Polizia Penitenziaria - Ottobre 2014 - n. 221

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anno XXI • n. 221 • ottobre 2014 www.poliziapenitenziaria.it



sommario

anno XXI • numero 221 ottobre 2014

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In copertina: Vent’anni fa, nell’ottobre del 1994, veniva pubblicato il primo numero della nostra Rivista

Per ulteriori approfondimenti visita il sito

www.poliziapenitenziaria.it

l’editoriale

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La vigilanza dinamica e le conversioni sulla via di Damasco Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

di Donato Capece

il pulpito 1994 -2014 Vent’anni di informazione

Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

di Giovanni Battista de Blasis

Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

il commento

Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme

di Roberto Martinelli

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l’osservatorio

Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2014 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

di Giovanni Battista Durante

lo sport

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di Lady Oscar

Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza

Finito di stampare: ottobre 2014

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Ciclismo su pista: ottimi risultati per le Fiamme Azzurre

e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it

Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)

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Le banche europee all’esame della BCE

www.mariocaputi.it

Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994

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In Parlamento l’ennesimo attacco all’onorabilità delle Forze di Polizia

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Redazione politica: Giovanni Battista Durante

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669

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crimini e criminali

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Il caso di Leonarda Cianciulli la saponificatrice di Correggio di Pasquale Salemme

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donne in uniforme

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Carcere sostantivo, singolare, maschile di Laura Pierini

Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014


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l’editoriale

La vigilanza dinamica e le conversioni sulla via di Damasco Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014

a tanto decantata vigilanza dinamica non ha cambiato affatto il volto delle carceri italiane e si è dimostrata un fallimento perché al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti si sarebbe dovuta associare l’attività lavorativa e che il personale di Polizia Penitenziaria avrebbe dovuto essere esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico (tramite “ronde” di vigilanza), che di fatto vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza. Tutto questo non è avvenuto: si è preferito lasciare aperte le porte delle celle e far girare nei corridoi, a non far nulla, i detenuti creando un “regime aperto” che ha acuito l’ozio e favorito le tensioni. Noi del SAPPE, tutto questo, lo denunziammo fin da subito. E ci vedemmo lungo se, oggi, a contestare la vigilanza dinamica sono anche coloro che fino a ieri la esaltavano... Ma andiamo con ordine. I numeri degli eventi critici che si sono registrati nei penitenziari italiani nel primo semestre del 2014 sono testimonianza evidente di come la tensione nelle carceri è costante: 3.633 atti di autolesionismo, 481 tentati suicidi sventati in tempo dagli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, 20 suicidi, 20 decessi per cause naturali. 441 sono state le manifestazioni di protesta dietro le sbarre che hanno coinvolto – per rivendicare provvedimenti di indulto e amnistia o migliori condizioni di detenzione – ben 42.746 detenuti. E non è tutto: 1.609 sono state le colluttazioni in carcere, 444 i

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ferimenti, 5 i tentati omicidi e addirittura 1 omicidio! L’Amministrazione Penitenziaria, nonostante i richiami di Bruxelles sulla necessità di introdurre migliorie nella vita detentiva (si ricordi la sentenza Torreggiani), non ha dunque affatto migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti. Eppure chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4%, contro il 19% di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo. Manca allora certamente la volontà politica all’introduzione di norme che legiferino il lavoro obbligatorio per tutti i detenuti – differenziato anche in relazione alla gravità dei reati commessi ed alla pena da scontarsi ma questo è anche la conseguenza e il risultato delle politiche penitenziarie sbagliate degli ultimi 20 anni, che hanno lasciato solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle sovraffollate carceri italiane E’ allora evidente a tutti che la qualità delle vita nelle carceri non è cambiata affatto, anche e nonostante il calo evidente del numero di detenuti per effetto di ben quattro leggi definite, più o meno impropriamente, “svuotacarceri”, varate per altro in poco tempo. Ma pensare di risolvere i problemi del sovraffollamento delle carceri con leggi che danno la possibilità a chi si è reso responsabile di un reato di non entrare in carcere è sbagliato, profondamente sbagliato, ed ingiusto. Intaccare la certezza della pena per coprire le inefficienze e le inadempienze dello Stato è sbagliato.

Ma che la vigilanza dinamica si sia dimostrata un fallimento così com’è stata concepita e organizzata lo stanno scoprendo, come detto, finanche coloro che fino a ieri l’avevano difesa a spada tratta, che l’avevano definita come la panacea di tutti i mali penitenziari, arrivando persino ad ascrivere a sé i meriti (!!) per gli effetti e le conseguenze della richiamata sentenza Torreggiani sull’intero sistema delle carceri del Paese. E’ il caso del coordinamento penitenziario della Uil pubblica amministrazione, che nel Congresso Nazionale ha criticato aspramente gli effetti della vigilanza dinamica dopo averla difesa, esaltandone i (presunti) effetti taumaturgici, in lungo e in largo, in (buona?) compagnia di Tamburino, Pagano & Co. Per carità, solo gli stupidi non cambiano idea, e noi siamo abituati da tempo alle contraddizioni del sindacalismo confederale. Dai tempi che scendevano in piazza per il disarmo delle Forze di Polizia (per poi correre al procacciamento delle adesioni una volta smilitarizzate Polizia di Stato e Polizia Penitenziaria) alla recente partita del rinnovo stipendiale. Ai dirigenti dei settori sindacali della sicurezza che esaltavano la specificità del nostro lavoro (specificità che è stata una conquista del sindacalismo autonomo di SAPPE, SAP e SAPAF!) si sono immediatamente contrapposti i responsabili nazionali dei comparti pubblico impiego degli stessi sindacati confederali (nel caso specifico, Cgil e Uil), dai quali i settori sicurezza dipendono, per dire che “non si possono fare lavoratori di serie A e serie B tra i dipendenti pubblici”, taluno parlando del nostro sblocco salariale (fermo da 4 anni!) come di un “privilegio”. H


il pulpito uesto mese di ottobre, con il numero 221, la Rivista Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza compie vent’anni di vita. Nel lontano ottobre 1994, infatti, ha visto la luce il primo numero della nostra storica testata, con la copertina dedicata a Alfredo Biondi, appena nominato Ministro di Grazia e Giustizia.

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Da quell’ottobre del ‘94 è partita la straordinaria avventura editoriale di quello che, con il tempo, è diventato il più importante periodico di informazione per la Polizia Penitenziaria e per l’intera amministrazione penitenziaria. Peraltro, vent’anni di pubblicazioni hanno consacrato il nostro mensile come autorevole voce di opinione oltre ad avergli conferito la dignità di qualificata fonte storica. La consapevolezza di questo ultimo ruolo ci ha suggerito l’idea di realizzare una rubrica nella quale ristampare la copia anastatica di un articolo di particolare interesse risalente a tanti anni addietro. Nella stessa rubrica abbiamo trovato spazio anche per la riproduzione della copertina, dell’indice e della vignetta del numero originale. Ritornando ad oggi, come dicevamo, sono passati venti anni dalla nascita di questa Rivista. Venti anni di pubblicazioni che, spero, abbiano offerto a tutti la possibilità di confrontarsi sulle diverse tematiche che la redazione ha trattato ed

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1994 - 2014 Vent’anni di informazione approfondito sulle pagine del mensile. In verità, non posso negare che i giudizi sul nostro operato sono stati più che lusinghieri tanto da darci la carica per andare avanti in tutti questi anni sempre alla ricerca di un continuo miglioramento. La nostra iniziativa editoriale ha sempre avuto come obiettivo quello di trattare i grandi temi del nostro lavoro e della nostra professione ma, anche, le questioni che riguardano il nostro tempo, l’attualità, la cultura e la storia senza tralasciare argomenti più “leggeri” come turismo, sport, cinema e tempo libero. Come già detto, non senza qualche fatica, abbiamo sempre aspirato a migliorarci, anche nell’impaginazione e nella veste grafica, cercando di non penalizzare la piacevolezza della lettura e la rilevanza delle immagini, indispensabili alla gradevole presentazione visiva dell’articolo. Abbiamo realizzato numerosi restyling grafici, cercando di arricchire il periodico per un maggiore sviluppo editoriale e per una graduale integrazione con il sito internet. Questa Rivista, attraverso un continuo miglioramento dei contenuti e della

grafica, ha cercato di consolidare la leadership editoriale nel proprio target per rimanere un punto di riferimento informativo del mondo penitenziario. E pur tuttavia, ci siamo imposti, allo stesso tempo, di non perdere mai di vista le radici storiche del nostro passato. Sono vent’anni, insomma, che Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza si

Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Nei riquadri le copertine del n.1, del n.111 e del n.221

occupa della Polizia Penitenziaria con attenzione, scrupolo e professionalità. Scrivere “di” e “sulla” Polizia Penitenziaria e sull’amministrazione penitenziaria ha sempre richiesto grandi capacità di comunicazione affinché quello che si scrive possa essere comprensibile a tutti i lettori. E sono proprio queste particolari qualità comunicative che hanno connotato la nostra Rivista, per adesso unica ed irraggiungibile nel panorama editoriale penitenziario. In questa lieta occasione non può mancare il mio ringraziamento a tutti i nostri lettori. Quei lettori che ci hanno fatto diventare così popolari e che ci hanno permesso di raggiungere quella autorevolezza che oggi orgogliosamente rivendichiamo. Un grazie di cuore a tutti voi. H

Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014


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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Nella foto scontri tra manifestanti e Forze dell’ordine

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il commento

In Parlamento l’ennesimo attacco all’onorabilità delle Forze di Polizia italiane Italia è un Paese davvero strano, che alle enunciazioni di principio fa spesso seguire comportamenti che vanno, per dirla alla De Andrè, “in direzione ostinata e contraria”. Invece di pensare a leggi che prevedano lo stanziamento di risorse più cospicue (anzichè i tagli) per gli uomini e le donne delle forze dell’ordine che percepiscono stipendi ridicoli, in Parlamento sta andando in scena un’operetta tragicomica.

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L’ultima perla emerge dai contenuti da un recentissimo lancio dell’Agenzia di Stampa DIRE, attenta e sensibile ai temi sociali e penitenziari. Il primo ottobre un lancio di DIRE dà notizia del fatto che, mentre alla Camera si discute di dotare i poliziotti di pistola elettrica e videocamere indossabili per una migliore gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza, al Senato c’è chi ritiene necessario ‘rieducare’ gli agenti con corsi di ‘non-violenza’ “per i troppi e frequenti episodi di abusi” imputabili non “a casi di singoli” ma all’“inadeguatezza della loro preparazione”. E’ scritto nero su bianco in un disegno di legge, atto Senato numero 1565, a prima firma del Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani, Luigi Manconi (quello che favorì lo sfascio del sistema penitenziario quando era Sottosegretario alla Giustizia...), depositato a Palazzo Madama assieme

ad altri 17 colleghi del Pd, alcuni senatori M5s ed ex del Movimento di Beppe Grillo. La proposta, pensata il 14 luglio, è stata assegnata a fine settembre alla Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama. “Al fine di garantire la piena conformità dell’istruzione, della formazione e dell’aggiornamento professionale del personale delle Forze di Polizia” ai “valori della Costituzione della Repubblica e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea” all’articolo 1 del testo si propone l’inserimento, nei programmi didattici destinati alla formazione e all’aggiornamento delle Forze di polizia, delle attività e degli insegnamenti funzionali all’apprendimento delle tecniche e dei metodi della non violenza. Nella premessa al disegno di legge si osserva: “I troppo frequenti episodi di violenze e abusi da parte delle Forze di polizia, sembrano denotare, tra le altre cause, l’inadeguatezza della loro preparazione e l’esigenza di una complessiva revisione del loro percorso formativo, nel segno di una maggiore democratizzazione. Per ricorrenza, dimensioni e gravità, comportamenti violenti e prevaricatori quali quelli tenuti, ad esempio, in occasione del G8 di Genova, non sono imputabili esclusivamente ad eccessi e devianze di singoli agenti, ma a una complessiva esigenza di miglioramento, sotto il profilo deontologico e valoriale, della preparazione del personale di polizia”. Nel ddl Manconi sui corsi di ‘non violenza’ ai poliziotti, presentato in Senato, si sottolinea che “il continuo confronto con situazioni di difficoltà e spesso anche di scontro richiede una preparazione ad ampio spettro, che fornisca gli strumenti

per gestire, nella maniera appunto più pacifica possibile, condizioni di tensione e stemperarne la conflittualità. In tal senso, sarebbe quanto mai opportuno- si suggerisce- arricchire il percorso formativo del personale delle Forze di polizia di tecniche e metodologie non violente, che forniscano loro gli strumenti per la risoluzione pacifica dei conflitti e per il superamento di situazioni di tensione”. È significativo sotto questo profilo, spiegano i firmatari, che “nella maggior parte dei Paesi europei il percorso formativo e di aggiornamento del personale di polizia, soprattutto se destinato al servizio di ordine pubblico, comprenda anche l’apprendimento delle tecniche e delle metodologie non violente, con risultati alquanto positivi”. Pertanto, concludono, “nella consapevolezza dell’importanza del momento formativo ai fini dell’introiezione dei migliori modelli comportamentali, il presente disegno di legge intende promuovere la conoscenza e il ricorso alla non violenza, quale metodo di risoluzione dei conflitti, tra le forze di polizia, così conformandone pienamente il ruolo ai valori democratici sanciti dalla Costituzione”. Il ddl presentato in Senato, tra l’altro, sancisce in capo al Ministro dell’Interno l’obbligo di presentare alle Camere, con cadenza annuale, una relazione sull’attività formativa realizzata, comprensiva altresì dell’indicazione degli obiettivi prefissati per l’anno successivo. Il contenuto di tale relazione potrà poi, ovviamente, essere oggetto di dibattito parlamentare e, se del caso, di atti di indirizzo che forniscano dunque, al Governo - e nella specie al


il commento Ministro dell’Interno, nella sua qualità di autorità nazionale di pubblica sicurezza – le direttive necessarie per la definizione delle linee programmatiche per l’istruzione, formazione e aggiornamento delle Forze di polizia. Qualche considerazioni è d’obbligo, ancorchè doverosa. Punto primo. Le Forze di Polizia in Italia, e la Polizia Penitenziaria tra loro, sono istituzioni sane e democratiche, i cui appartenenti ogni giorno, 24 ore su 24, rischiano la vita per la salvaguardia della sicurezza sociale del Paese. Alle donne e gli uomini delle Forze di Polizia, così come a tutti coloro che svolgono con serietà e competenza una professione, servono sì una formazione e un aggiornamento

professionale costante, continuo e mirato al tipo di attività che si svolge. Però questo quasi mai viene fatto perché i Governi di tutti i colori e i Parlamenti che si sono succeduti nel tempo non stanziano adeguate risorse economiche a questi scopi. Ma mettere in dubbio la democraticità delle Forze di Polizia italiane, e tra esse la Polizia Penitenziaria, mi sembra davvero fuori luogo. Punto secondo. Luigi Manconi, primo firmatario della proposta di legge, Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani, già Sottosegretario di Stato alla Giustizia, sa bene ad esempio che la Polizia Penitenziaria non ha nulla da nascondere. Lo dovrebbe sapere bene, avendoglielo noi detto decine e decine di volte. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è sempre stato ed è quello di rendere il

carcere una “casa di vetro”, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Del carcere e dei Baschi Azzurri viene spesso diffusa un’immagine distorta, che trasmette all’opinione pubblica un’informazione parziale, non oggettiva e condizionata da pregiudizi. Tanto per dire, negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2013, abbiamo salvato la vita, in tutta Italia, ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il corpo. Questa è la democrazia dei fatti, non la demagogia delle parole, signori Senatori. La Polizia Penitenziaria, nelle oltre 200 carceri italiane, è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia di suicidi di detenuti. Luigi Manconi, da Sottosegretario alla Giustizia, avrebbe potuto fare molto per una formazione ed un aggiornamento professionale di qualità ed eccellenza per la Polizia Penitenziaria. Ma non ha fatto nulla, e con questa sua proposta legislativa vorrebbe coprire questa sua desolante inattività istituzionale. E’ stato il primo responsabile della mancata programmazione da parte del Ministero della Giustizia (e quindi del Governo) dei necessari interventi strutturali per il sistema carcere che dovevano essere adottati contestualmente all’approvazione dell’indulto, chiesti anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Non fece nessun progetto concreto di formazione ed aggiornamento

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professionale dei poliziotti, senza alcun atto concreto sulle importanti questioni attinenti al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma pensò bene di appoggiare iniziative formative assurde, come i corsi di boxe per detenuti, pur sapendo delle centinaia di aggressioni, ferimenti e colluttazioni che avvengono ogni anno in carcere, spessissimo contro i poliziotti penitenziari. Terzo e ultimo punto. La verità è che con sei miliardi di tagli che i vari Governi hanno operato dal 2008 ad oggi (anche quello in cui Manconi era Sottosegretario e gli altri che lui ha sostenuto e sostiene, come quello in carica), i cittadini sono MENO sicuri perché ci sono MENO poliziotti a controllare le loro case e i quartieri, MENO poliziotti penitenziari nelle

carceri a fronte di un aumento dei detenuti, MENO forestali contro le agromafie e le ecomafie per la tutela dell’ambiente, MENO vigili del fuoco a difenderci da disastri e calamità, a garantire sicurezza e soccorso pubblico. E quindi c’è anche meno formazione e aggiornamento professionale per le donne e gli uomini delle Forze dell’Ordine e della Polizia Penitenziaria in particolare. Che, come dimostrano le foto a corredo dell’articolo, spesso sono vittime loro per prime di taluni pseudo democratici e finti pacifisti. Mettere dunque in dubbio la professionalità e lo spirito democratico delle nostre Istituzioni, per difendere le quali tantissimi sono caduti vittime della violenza criminale, mi sembra davvero ingiusto e ingrato. E dovrebbe far anche un po’ vergognare, anche solo vedendo le foto a corredo dell’articolo che descrivono a quali rischi vanno incontro i poliziotti italiani... H

Nelle foto ancora immagini di scontri

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l’osservatorio

Le banche europee all’esame della BCE Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Nelle foto le sedi del Monte dei Paschi di Siena e della Carge

Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014

a Banca Centrale Europea ha giudicato la solidità delle maggiori banche dell’Unione e il quadro che emerge è abbastanza confortante, solido. Il metodo di valutazione è basato sui cosiddetti stress test, un esame unico e rigoroso che, dal 4 novembre, farà partire la vigilanza unica sugli istituti bancari.

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Le banche sono giudicate in base a un parametro, il CET1 (Common Equility Tier 1) che rappresenta, in sintesi, la percentuale di capitale sicurissimo su cui una banca può contare, cioè il capitale totale in rapporto agli investimenti esposti a rischio. Per passare il test le banche devono avere un CET1 di almeno 8% al momento dell’inizio del test in caso di scenario normale e non devono scendere sotto il 5,5% in caso di scenario avverso, quindi, si valuta anche e soprattutto la capacità della banca di resistere alle situazioni avverse. Le banche bocciate dai test effettuati nel corso del 2014 sono state 13; il sistema bancario italiano ne esce piuttosto bene, le uniche bocciate sono state la genovese Carige e il Monte Paschi di Siena, già nella bufera per essere stata graziata da un finanziamento del governo Monti di 4 miliardi di euro, dei quali 3 già restituiti. Questo giudizio negativo ha fatto crollare in borsa le due banche, mettendole ancora di più nei guai.

Adesso, le banche che hanno una carenza di capitale dovranno mettersi in regola, non necessariamente con un aumento di capitale, che sarebbe la cosa più ovvia, ma anche o solo con la cessione di asset, beni immobiliari o partecipazioni, ovvero con nuove alleanze con soci più forti. I tempi per farlo sono diversi a seconda se abbiano fallito la verifica degli attivi di bilancio o gli stress test. Il caso di Mps e Carige riguarda il mancato superamento degli stress test meno grave, per cui avranno 9 mesi di tempo a disposizione per presentare il loro piano. Intanto la Banca d’Italia assicura i clienti delle due banche, per i quali non cambierebbe nulla (facile a dirsi ma difficile sicuramente da far digerire per chi ha investito delle risorse), perché i due istituti avrebbero comunque dimostrato solidità di capitale disponibile. Molto probabilmente cambieranno le strategie, le alleanze, fatte di fusioni e cessioni, ma, secondo quanto affermato dalla Banca d’Italia, i risparmi resteranno al riparo da rischi. In questi anni si è registrato, da parte delle banche, un inasprimento delle condizioni di garanzia nel concedere prestiti a famiglie e imprese. Ciò è dipeso dal fatto che le banche, anche per potersi presentare all’esame dell’Europa con le carte in regola, hanno dovuto ripulire i bilanci dal rischio dei prestiti inesigibili, quindi hanno aumentato ancora di più la prudenza nel concedere i prestiti e, in più, l’esigenza di aumentare i capitali, hanno fatto si che le risorse venissero canalizzate proprio nel rafforzamento del capitale stesso. La BCE ha assicurato che adesso il credito ricomincerà ad essere più elastico verso famiglie e imprese. Il Monte dei Paschi di Siena, nato nel 1472, è la banca più antica al mondo e costituisce il terzo gruppo bancario

italiano per numero di filiali. La crisi della banca è esplosa nel 2011. Il piano 2012-2015 ha previsto una riduzione dei costi di 565milioni di euro e nel giugno scorso c’è stato un aumento di capitale di 5 miliardi di euro. Adesso il Mps potrebbe essere prossimo a una fusione con un altro istituto italiano. Questa operazione sembra incontrare anche il favore della Banca d’Italia. La banca deve trovare 2,1 miliardi mancanti. Mps deve, tra l’altro, rimborsare ancora 750 milioni di Monti bond, cosa che, a questo punto, vista la situazione, potrebbe non fare.

La banca Carige è nata nel 1483. Lo scorso giugno aveva affrontato un aumento di capitale di 800 milioni di euro. Ha firmato con i sindacati un accordo che prevede l’uscita incentivata di almeno 600 dipendenti al raggiungimento dell’età della pensione. La Carige si era preparata al giudizio della BCE mettendo in conto un aumento di capitale di 400 milioni, ma il fallimento dei due livelli di stress test e i criteri adottati hanno fatto salire la cifra a 813 milioni. Quindi, la banca dovrà mettere in campo altre strategie, per rientrare nei parametri previsti. Il Consiglio di Amministrazione ha già votato un aumento di capitale che, per il momento, varierà dai 500 ai 650 milioni, qualora il maggior importo venisse ritenuto necessario per la validazione della BCE. Tale aumento è rivolto, in prima battuta, ad opzioni degli azionisti. A ciò si aggiungono le dismissioni, a cominciare dalla vendita del ramo assicurativo, che dovrebbero fruttare 300 milioni. H


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Lady Oscar rivista@sappe.it

sport

Ciclismo su pista: ottimi risultati per le Fiamme Azzurre ttobre è stato un mese fondamentale per le gare di ciclismo su pista che hanno coinvolto gli atleti del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre: prima i tricolori di Montichiari, dal 29 al 3 ottobre, poi i campionati europei di Baie-Mahault che hanno confermato, continuandola a suon di risultati prestigiosi, la grande tradizione dei pistard appartenenti alla Polizia Penitenziaria.

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Nelle foto sopra Elena Cecchini e Tatiana Guderzo con il CT Edoardo Savoldi nell’altra pagina, in alto, Alex Buttazzoni

Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014

Campionati italiani su pista A Montichiari, presso il velodromo “Fassa Bortolo” (unico impianto italiano omologato per le gare su su pista al coperto e per questo ospitante la rassegna tricolore ormai dal 2011), sono arrivati quattro titoli tricolori, due in campo maschile grazie alle prove di Alex Buttazzoni e due nel settore femminile élite capitanato da Tatiana Guderzo. Guida di insostituibile esperienza per le ragazze dell’inseguimento a squadre, con una gara da manuale la fuoriclasse di Marostica ha regalato alla spedizione delle Fiamme Azzurre uno dei due preziosi metalli giunti dalle corse a punti in questi campionati d’Italia. Grazie al contributo delle compagne di squadre Elena Cecchini (nona), Marta Tagliaferro (quarta) e Marta

Bastianellli, la capitana ha vinto staccando di ben 17 punti la piazza d’onore Simona Frapporti, e di 19 la terza Annalisa Cucinotta (94-77-76). Nell’inseguimento a squadre femminile, in una formazione mista che ha ricompreso anche l’atleta Beatrice Bartelloni della WiggleHonda, le Fiamme Azzurre Elena Cecchini, Marta Tagliaferro e Tatiana Guderzo, hanno conquistato l’altro oro ed il titolo in 4:40.003, sconfiggendo in finale il quartetto Astana-BePink (Simona Frapporti, Ana Maria Covrig, Michela Maltese, Silvia Valsecchi). Tra gli uomini, Alex Buttazzoni è stato uno dei più vincenti della rassegna tricolore dominando nello Scratch, nell’inseguimento a squadre, e prendendosi anche l’argento nella Madison in coppia con Manuel Cazzaro (Team Südtirol Asd). Nell’inseguimento il crono di 4:12.658 ha consentito al quartetto composto Michael Bresciani, Francesco Castegnaro, Piergiacomo Marcolina e appunto il nostro Alex Buttazzoni di piegare in finale il team della Colpack (Simone Consonni, Davide Martinelli, Francesco Lamon, Oliviero Troia). I RISULTATI DI MONTICHIARI Uomini – Corsa a Punti: (1) Francesco Lamon 64, (2) Liam Bertazzo 60, (3) Marco Coledan 53, (5) ALEX BUTTAZZONI 50; Scratch: (1) ALEX BUTTAZZONI, (2) Piegriacomo Marcolina, (3) Riccardo Donato; Inseguimento a squadre: (1) Mista (Michael Bresciani-Francesco Castegnaro-Piergiacomo MarcolinaALEX BUTTAZZONI) 4’12”658, (2) Team Colpack 4’13”868, (3) Mista 4’26”001; Madison: (1) Simone Consonni-Francesco Lamon 29, (2) ALEX BUTTAZZONI-Manuel Cazzaro 21, (3) Francesco CastegnaroPiergiacomo Marcolina 14; Donne – Corsa a Punti: (1) TATIANA

GUDERZO 94, (2) Simona Frapporti 77, (3) Annalisa Cucinotta 76, (4) MARTA TAGLIAFERRO 76, (9) ELENA CECCHINI 24, (15) MARTA BASTIANELLI 0; Scratch: (1) Silvia Valsecchi, (2) Annalisa Cucinotta, (3) MARTA TAGLIAFERRO, (13) TATIANA GUDERZO, (-) MARTA BASTIANELLI rit.; Velocità: (1) Maila Andreotti (20), (2) Annalisa Cucinotta, (3) Nicole Maffietti (2-0), (4) MARTA BASTIANELLI; Keirin: (1) Maila Andreotti, (2) Annalisa Cucinotta, (3) MARTA BASTIANELLI; Velocità a squadre: (1) Maila Andreotti-Annalisa Cucinotta 36”474, (2) Simona Frapporti-Silvia Valsecchi 37”741, (3) Beatrice Bartelloni-MARTA BASTIANELLI 38”395; Inseguimento individuale: (1) Silvia Valsecchi 3’41”726, (2) TATIANA GUDERZO 3’45”417, (3) Maria Giulia Confalonieri 3’47”557; (8) ELENA CECCHINI; Inseguimento a squadre: Fiamme Azzurre/Mista (Beatrice Bartelloni-ELENA CECCHINI-TATIANA GUDERZO-MARTA TAGLIAFERRO) 4’40”003, (2) Astana BePink 4’49”049, (3) Mista; Omnium: (1) Simona Frapporti 206, (2) Annalisa Cucinotta 198, (3) TATIANA GUDERZO 183, (8) MARTA TAGLIAFERRO 145. Campionati europei su pista Ancora medaglie per le Fiamme Azzurre sono arrivati successivamente dagli europei su pista svoltisi a BaieMahault dal 15 al 19 ottobre. L’Unione Ciclistica Europea ha appaltato all’ultimo momento gli Europei a Baie-Mahault, località della Guadalupa francese, a causa della rinuncia di Apeldoorn. I caraibici hanno ristrutturato in fretta il proprio velodromo: 333 metri a fronte dei 250 di lunghezza ormai in voga nei principali impianti internazionali, con fondo in cemento e non in legno. Questi Europei erano importanti anche perché costituivano la prima delle dieci prove che assegnano il punteggio per la qualificazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, dove keirin, omnium, velocità, velocità a squadre e inseguimento a squadre costituiranno le cinque discipline, tanto per il maschile quanto per il femminile, del programma olimpico.


sport

Su cinque medaglie portate a casa dagli azzurri tre sono state conquistate dai portacolori della Polizia Penitenziaria: sul podio Elena Cecchini (Corsa a punti e Scratch) e Tatiana Guderzo (Inseguimento a squadre), quarto posto con rammarico per Alex Buttazzoni nello Scratch, ad un soffio dal podio che ha favorito invece il britannico Clancy. Per la nostra campionessa d’Italia su strada Elena Cecchini, le gare dominate anche su pista di questo campionato europeo sono state il coronamento di una stagione intensa e di altissimo spessore, che l’ha vista vincere altre tre volte anche agli Europei giovanili di Anadia su pista e una agli Europei su strada: la ventiduenne di Mereto di Tomba, tesserata per le Fiamme Azzurre e per la Estado de Mèxico-Faren, nella corsa a punti ha chiuso con 14 punti, preceduta solamente dalla belga Kelly Druyts (argento) e dalla polacca Eugenia Bujak. Nello scratch è stato suo il terzo posto finale dietro alla francese Laurie Berthon FRA e alla vincente russa Evgeniya Romanyuta. Ottima prova anche per Tatiana Guderzo, che ha dato un contributo determinante nel team dell’inseguimento che è arrivato al bronzo battendo la Polonia al fil di cotone (4:42.018 contro 4:43.857). Il quartetto che ha conquistato il podio era formato, oltre che dalla nostra portacolori, anche da Simona Frapporti (Astana-BePink), Beatrice Bartelloni (Wiggle-Honda) e Silvia Valsecchi (Astana-BePink). Nei turni precedenti avevano dato il loro apporto al risultato anche la brianzola

Maria Giulia Confalonieri (Estado de Mèxico-Faren) e la stessa Elena Cecchini, costretta ad abbandonare, a causa di alcuni problemi fisici, dopo pochi giri della qualifica. L’oro è stato appannaggio della Gran Bretagna in 4:38.391 (Archibald-Barker-HornerTrott) davanti alla Russia (Balabolina-Molicheva-GoncharovaRomanyuta), che ha chiuso in 4:45.364. La gioia è stata solamente sfiorata nello scratch maschile: qui il ventinovenne friulano della Polizia PenitenziariaAlex Buttazzoni (Cycling Team Friuli) ha chiuso al quarto posto, cedendo il podio al britannico Edward Clancy che ha chiuso alle spalle dello spagnolo Eloy Teruelrovira e del belga Otto Vergarde. Ed infine, se l’Italia era assente nella velocità a squadre che ha premiato la Germania e la Russia, nell’inseguimento a squadre maschile il quartetto azzurro (Viviani-ColedanButtazzoni-Bertazzo) ha terminato al sesto posto, cedendo, in 4:17.497, alla Svizzera per la quinta posizione. Il podio della specialità è stato costituito da Gran Bretagna (Clancy-DibbenDoull-Tennant) in 4:11.545 su Germania (4:12.342) e Russia (4:13.318).

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Pressello: oro a Londra l Cristal Palace Park di Londra Stefano Pressello si è messo al collo uno scintillante oro portando a casa l'ennesima vittoria al prestigioso Open Internazionale di Jiujitsu -IBJJF, tenutosi il 9 Ottobre 2014 davanti ad un numeroso pubblico di appassionati delle discipline marziali. Alla gara, organizzata dalla federazione Internazionale IBJJF, hanno preso parte i migliori lottatori di jiujitsu a livello mondiale.

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Per l'Assistente Capo in forza al Centro Amministrativo Altavista la competizione è iniziata con la categoria dei Super Heavy (94.3 kg), condotta senza troppe difficoltà sino al LE CLASSIFICHE DEGLI EUROPEI primo posto finale. La vittoria di Scratch M: (1) Otto Vergaerde BEL, (2) Eloy Teruelrovira ESP, (3) Edward categoria gli è valsa la possibilità di Clancy GBR -1, (4) ALEX BUTTAZZONI accedere alle gare della fase Open in cui, dopo aver travolto nelle -1; Inseguimento a squadre M: (1) eliminatorie tre ostici avversari, in Gran Bretagna 4’11”545, (2) finale ha tolto il sorriso all'inglese e Germania 4’12”342, (3) Russia 4’13”318, (6) ITALIA (Liam Bertazzo- beniamino di casa Christopher Michael Glew - Total MMA Studio (BTT Orange ALEX BUTTAZZONI-Marco ColedanElia Viviani) 4’17”497; Corsa a punti F: County), vinto con un perentorio 7 a 2. Il prossimo appuntamento che (1) Eugenia Bujak POL 21, (2) Kelly impegnerà Pressello sul tatami sarà Druyts BEL 14, (3) ELENA CECCHINI quello con il Brazilian Jiu Jitsu 14; Inseguimento a squadre F: (1) internazionale a Monaco, il 16 Gran Bretagna 4’38”391, (2) Russia novembre, dove si svolgerà il Munich 4’45”364, (3) ITALIA (Simona Frapporti-Beatrice Bartelloni-TATIANA Fall International Open. Nell'occasione GUDERZO-Silvia Valsecchi) 4’42”018; l'atleta della Polizia Penitenziaria, già Istruttore di Difesa personale del Corpo Scratch F: (1) Evgeniya Romanyuta MGA, avrà modo di fare sfoggio di tutta RUS, (2) Laurie Berthon FRA, (3) la sua abilità di esperto di difesa ELENA CECCHINI, (26) TATIANA GUDERZO; Madison: (1) Austria 6, (2) personale in quanto i due metodi Belgio 21/-1, (3) Francia 18/-1, (10) mutuano tecniche simili, con un'origine per lo più risalente ITALIA (Liam Bertazzo-ALEX all'antico Brazilian Jiujitsu. H BUTTAZZONI) 4/-2 H

Nella foto Stefano Pressello sul podio

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dalle segreterie Piazza Armerina

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Consiglio Regionale del Sappe in Sicilia l 15 ottobre si è tenuto nella città siciliana di Piazza Armerina, alla presenza del Segretario Generale dott. Donato Capece, il Consiglio Regionale dei Quadri sindacali del Sappe. Nelle foto alcuni momenti dell’incontro. H

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per il Paradiso, da quando, in tarda serata m’ha allarmato il bip di uno sms. Era quello di un comune Amico: “È morto Tommaso Fiorentino”. Ho appreso così che te ne sei andato, senza averti potuto salutare, senza “Quello che si prova aver avuto il tempo di prepararmi a un non si può distacco che lacera e ferisce di dolore spiegare. Dietro non la carne e l’anima. Questo accade si torna, non si può sempre quando si perde un Amico un tornare giù, quando collega. L’Amicizia non si perde: è ormai si vola non si spirito che non si cancella, che resta può cadere più.” come arricchimento, che sedimenta “Gli Angeli”di V. Rossi nell’intimo e ci consola, che vive nei ricordi e nelle emozioni. L’Amico si Caro Tommaso, sono passati tre giorni, perde, momentaneamente come tutte le persone care che ritroverò nella i funerali si sono svolti, i colleghi ti Vita Eterna, ma il momentaneamente hanno portato a spalla fin dentro la chiesa, il picchetto, l’ultimo “attenti” durerà comunque tutta la vita terrena; anche se fosse un giorno solo sarebbe ti ha accompagnato nel tuo viaggio

Reggio Calabria

A Tommaso

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un tempo enorme. Mi hai e ci hai onorato, rallegrato, arricchito con la tua Amicizia e questo è stato per me e per noi molto bello, è stato uno dei tanti segni della Grazia di Dio che ho ricevuto. Credo, sono sicuro che è stato così per tutte le persone e i colleghi che hanno avuto come me questo privilegio. E siamo in tanti oggi sgomenti e sinceramente addolorati. La tua è stata un’Amicizia fatta di entusiasmo generoso, di grande e disinteressata disponibilità, di appassionata condivisione, di serietà, di un affetto schietto e senza inutili fronzoli. Insomma è stata Amicizia; così io l’ho vissuta; così la terrò con me. Nelle ore che verranno, nei prossimi giorni di questa vita racconterò a quelli che incontrerò dei


13 Ferrara L’impegno della Polizia Penitenziaria nel sociale

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l Comando di Polizia Penitenziaria di Ferrara, in collaborazione con il C.U.S di rugby cittadino ha organizzato il 20 settembre la 3ª edizione del “Memorial Quaglio Doro, Noi per loro”, una giornata di beneficenza per tutti i bimbi disabili e dislessici. Il personale di Polizia Penitenziaria, ha presenziato numeroso all’evento, allestendo un gazebo, nel quale erano esposti automezzi ed attrezzature di servizio, e ha consegnato a tutti i bambini partecipanti piccoli gadget, infondendo agli stessi, momenti di serenità ed allegria, con la presenza, tra l’altro, di alcuni clown della associazione “Volontari del sorriso”

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e da coldplay dei mitici Star Wars(guerre stellari), che con i loro animatori hanno portato una ventata di allegria e novità in campo. Erano altresì presenti i pluricampioni italiani Chiara Rosa, (getto del peso) e Giulio Ciotti (salto in alto) appartenenti al G.S. Fiamme Azzurre nostri colleghi cose che forse avranno dimenticato nell’affastellamento dei ricordi di una vita intera e loro mi racconteranno cose che forse ora non mi sovvengono. È così si celebra un Amico, un collega, senza retorica, senza bandierine di effimera durata, con l’allegria e la gioia che quei ricordi raccontano perché descrivono una persona come te, Caro Tommaso, un collega,una persona cara, mite, allegra, sincera, generosa, positiva. Sai ti abbiamo sempre chiamato “nonno”, è il nomignolo che io ricordo (18 anni di servizio insieme con gli ultimi sette all’ufficio conti correnti-sopravvitto) ti porti dietro da tantissimi anni e che ti ha identificato all’interno del nostro Reparto.

Eppure in questo soprannome non c’è niente di diminutivo, anzi c’è quasi quell’omen in nomen che spesso si trova nei grandi personaggi: c’è la tua energia sempre attiva nel fare, soprattutto nel partecipare senza mai tirarti indietro, come hai sempre fatto. È stato un segno il fatto che quel soprannome, sia diventato quasi uno dei tuoi tratti positivi distintivi nel profilo di una vita spesa nel Corpo di Polizia Penitenziaria con i tuoi 30 anni di onorato servizio. Che Dio ti benedica e ti accolga come meriti, Ciao, Amico, collega. E, grazie, grazie, grazie. H Reggio Calabria, 13 ottobre 2014 Franco Denisi

della Polizia Penitenziaria. Presenti, inoltre, il neo direttore della Casa Circondariale Paolo Malato ed il comandante della Polizia Penitenziaria, Commissario Paolo Teducci. Alla fine della manifestazione è stata raccolta la somma di 1.000 euro interamente devoluta alle associazioni benefiche: Associazione Disabili di Ferrara; S.O.S Dislessia; Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili e all’Associazione I Frutti dell’Albero. Inoltre è doveroso un sentito ringraziamento a tutto il personale del Reparto di Polizia di Ferrara, che dietro le quinte ha organizzato questo evento; nello specifico all’Ispettore Roberto Tronca, agli Assistenti Capo Riccardo Sarti, Nino Mininno, Damianano Rongioletti, Barbara Pellizzola, Baldino, Lo Tito e Di Lauro, e, inoltre all’Ispettore Antonio Fabio Renda, che cura costantemente l’immagine e la comunicazione del Corpo di Polizia Penitenziaria che da sempre è impegnata concretamente nell’aiuto solidale ai bambini meno fortunati del ferrarese. H La Segreteria Sappe di Ferrara

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dalle segreterie Augusta Visita nei luoghi di lavoro siciliani

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na delegazione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, presieduta dal Segretario Generale dott. Donato Capece, si è recata, il 14 ottobre, nella Casa di Reclusione di Augusta per un sopralluogo alle strutture dell’istituto. Nelle foto alcune delle situazioni critiche riscontrate. H

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Genova

Teramo

Ecco i volontari del Sappe, liberi dal servizio, all’opera dopo l’ultima alluvione in città

Colleghi dell’istituto abruzzese a confronto nell’incontro con il Sappe

È

stata numerosa la partecipazione di iscritti e non all'assemblea sindacale svoltasi il 23 settembre presso la sala riunioni della Casa Circondariale di Teramo. Nelle foto la riunione sindacale. H

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dalle segreterie Ferrara Torneo Europeo di calcio a 5 per la Polizia Penitenziaria ntusiasmante esperienza per la squadra di calcio del Comando di Polizia Penitenziaria di Ferrara che ha partecipato al Campionato internazionale “32° LoJack World Police Indoor Soccer Tournament” dal 6 al 10 Ottobre 2014 in Olanda, nella città di Eibergen, classificandosi quarantesima. Il torneo internazionale ha visto la partecipazione di ben centottantadue squadre di calcio di Polizia provenienti dal tutto il mondo; tra queste, alcune provenienti da nazioni quali Israele, Georgia, Russia, Madagascar, Cina, Brasile e Giordania. La squadra, costituitasi nel 2005, è formata esclusivamente da unità di personale Polizia in forza al Comando di Ferrara: Isp. DomenicoMarinaro, Ass.ti Capo Massimo De Gruttola, Egidio Forastiere, Antonio Lodato, Francesco Di Micco, Raffaele Patronario, Agenti Corrado Crocco, Salvatore Agueci, Giuseppe Lombardo, Giuseppe Savasta e Danilo Palma .

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Dopo anni di attività sportiva in tornei italiani, la squadra, per la prima volta è stata impegnata in un Torneo mondiale; dopo aver giocato sette partite, gareggiando con Belgio, Francia, Russia, Olanda, Spagna, Germania ed Inghilterra, si è qualificata prima tra le dodici squadre italiane partecipanti! In occasione della cerimonia di apertura del Campionato Internazionale, due rappresentanti per ogni squadra hanno sfilato in divisa da cerimonia, con esposizione della bandiera della Nazione di appartenenza. Questa esperienza è stata molto arricchente sportivamente, oltre che umanamente formativa; l’osmosi con le altre compagini sportive e realtà di Polizia provenienti da altre Nazioni, alcune delle quali, peraltro, geograficamente e culturalmente molto lontane dall’Italia, ha corroborato nei singoli agenti Polizia Penitenziaria il senso di orgoglio ed appartenenza alla Nazione italiana e alla Amministrazione Penitenziaria. La squadra ringrazia la Direzione ed il Comando di Polizia Penitenziaria di Ferrara, il Prap di Bologna e tutti gli Uffici del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, oltre che l’Ente Assistenza per l’attenzione ed il sostegno manifestato in

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occasione del Campionato Internazionale “32° LoJack World Police Indoor Soccer Tournament”. H

Pavia Manifestazione #piazzapermanente nche a Pavia si è svolta l’iniziativa #piazzapermanente che vede nelle città italiane dei presidi di poliziotti appartenenti alla Consulta dei Sindacati Autonomi di Polizia che manifestano le condizioni di disagio in cui sono costretti a lavorare. H

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cinema dietro le sbarre

Regia: Bradford May

Ring of Death a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Nelle foto la locandina e alcune scene del film

ing of death è un prison movie mai distribuito nelle sale cinematografiche. Il film di Bradford May è stato trasmesso in tv e subito dopo distribuito in home video. Burke Wyatt (Johnny Messner) è un ex poliziotto caduto in disgrazia. Cacciato dalla polizia ed abbandonato dalla moglie e dal figlio piccolo Burke attraversa il peggior periodo della sua vita quando gli viene offerta la possibilità di riabilitarsi. Un agente speciale dell’FBI, Steve James (Derek Webster), gli propone di infiltrarsi all’interno di un penitenziario per indagare su presunte attività illecite gestite dal direttore dell’istituto. Accettato l’incarico, Wyatt commette deliberatamente un crimine per essere arrestato, condannato e quindi incarcerato nel penitenziario statale di Cainsville. In effetti, Wyatt scopre che il direttore del carcere Warden Golan è a capo di

la scheda del film Soggetto: Dan Fitzsimons Sceneggiatura: Matthew Chernov, David Rosiak Fotografia: Maximo Munzi Montaggio: Thomas A. Krueger Costumi: Evan Waters Scenografia: Scott H. Campbell Musica: Justin Caine Burnett

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Produzione: Alpine Medien Productions, Grand Army Intrattenimento, Larry Levinson Productions Distribuzione: IPA Asia Pacific, Spike TV, Telekanal TV3

pagare per assistere ai matchs all’ultimo sangue. Alla fine, anche Burke viene coinvolto con la minaccia di colpire la moglie e il figlio. Cedendo al ricatto, Burke si trova immerso in un mondo crudele e sadico dove si trova costretto a combattere per la propria vita sotto la continua minaccia del direttore e del comandante delle guardie. Inevitabilmente, Wyatt finirà per affrontare lo scontro finale all’interno

Personaggi ed Interpreti: Burke Wyatt: Johnny Messner Pops: Frank Bettag Lancer: Jonathan Chase Emilio Diaz: Esteban Cueto Nova: Meredith Giangrande Warden Carl Golan: Stacy Keach Chow: Nelson Lee Agente Colson: Michael McGrady Wheaton: Sam McMurray Huey: Derek Mears Giudice: Kerry Leigh Michaels Burly: David E. Newham Mary Wyatt: Charlotte Ross Tommy Wyatt: Uriah Shelton Tommy Micelli: Frank Sivero Pres. Milton Kennedy: Lester Speight O'Reilly: Grant Sullivan Agente Steve James: Derek Webster Genere: Drammatico Durata: 80 minuti Origine: USA, 2008

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un’organizzazione che gestisce combattimenti illegali. Per alimentare gli incontri clandestini, i detenuti più aggressivi vengono obbligati dal direttore a combattere per un pubblico selezionato disposto a

della “gabbia” dove combatterà all’ultimo sangue contro il mastodontico Presidente, campione indiscusso dell’arena carceraria. H


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Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it

diritto e diritti

Decurtamento del trattamento economico per assenza alla visita fiscale aro sindacato, durante un periodo di assenza per malattia sono stato legittimamente assente dal domicilio fiscale in quanto sottoposto a visita medica dal mio medico curante, previa comunicazione all’ufficio malattia competente.Durante l’assenza è stata effettuata visita di controllo fiscale che ha accertato la mia assenza dal domicilio dichiarato. Nonostante la certificazione sanitaria rilasciata dal mio medico curante, il direttore dell’istituto ha disposto nei miei confronti la decurtazione economica prevista per essere risultato assente alla visita fiscale. Trovo che il provvedimento adottato sia ingiusto e vorrei un parere. Grazie

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aro collega, giustifichi l’assenza dal domicilio all’atto della visita fiscale, con l’esserti dovuto recare presso lo studio del medico curante per sottoporti ad una visita “indifferibile”, previa comunicazione all’Ufficio di appartenenza ed invochi, a sostegno della correttezza del comportamento, la certificazione rilasciata dallo stesso medico curante ed il diritto alla salute costituzionalmente garantito. L’Amministrazione ha considerato i certificati esibiti non idonei a giustificare l’assenza dal domicilio durante la fascia di reperibilità e dai documenti visionati risulta che la comunicazione di assentarsi temporaneamente dal domicilio è avvenuta solo qualche minuto prima di assentarsi, non consentendo all’ufficio di richiedere eventualmente all’ASL competente di differire la visita fiscale. La contestata decurtazione del trattamento economico è stata

disposta dall’amministrazione penitenziaria in applicazione dell’art. 5, comma 14, del D.L. 12.9.1983 n. 463, convertito nella L. 11.11.1983 n. 638, a tenore del quale “qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dall’intero trattamento economico per l’intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l’ulteriore periodo, esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo”. A parere dello scrivente, le

certificazione medica rilasciata dal medico curante la quala si limita ad attestare, rispettivamente, che sei stato sottoposto a visita medica di controllo dalle ore ... alle ore ... “e” ...sottoposto a visita medica di controllo indifferibile. Tale certificazione non offre, elementi sufficienti a far ritenere sussistenti le condizioni necessarie perché possa essere evitata la sanzione prevista dalla norma citata, non avendo provato né l’effettivo orario di visita né la sussistenza di situazioni cogenti che rendessero impossibile recarsi dal medico in fasce orarie diverse da

circostanze invocate non possono costituire validi motivi per giustificarne l’assenza dal proprio domicilio durante il periodo di mancata prestazione del servizio per infermità, non sussistendo né l’esigenza di una valida ragione per recarsi a visita medica presso lo studio del medico curante proprio durante la “fascia di reperibilità”, né l’assoluta impossibilità di rispettare tale fascia, prevista allo scopo di conciliare le esigenze private e di “privacy” del lavoratore, con il diritto del datore di lavoro di accertare l’effettiva impossibilità della prestazione lavorativa. A giustificare la riscontrata assenza dal proprio domicilio durante l’accertamento fiscale, non si può fondatamente invocare la

quelle di reperibilità e neppure l’esistenza di uno stato patologico tale da richiedere una visita medica urgente che giustificasse l’allontanamento dal proprio domicilio. Non è possibile, dunque, escludere la responsabilità, pur volendo riconoscere una generale rilevanza scusante al motivo invocato per l’allontanamento dal proprio domicilio ed all’atto di diligenza – effettuato, peraltro, poco tempo prima dell’intervenuta visita di controllo – con cui ti eri premurato di informare di tale allontanamento l’addetto all’ufficio competente. Per quanto precede, il provvedimento sanzionatorio assunto dal Direttore appare legittimo. H

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giustizia minorile

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Novità e cambiamenti nella Giustizia minorile Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole G. Minorile borrelli@sappe.it

seguito dei cambiamenti legislativi in atto è doveroso chiarire che all’interno del sistema minorile il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria che opera negli Istituti Penali per Minorenni è quello che sta affrontando il momento più difficile. Come è noto la legge n.117 dell’11 agosto 2014 convertita a seguito di modificazioni del Decreto legge 26 giugno 2014 n.92 ha determinato dei cambiamenti nella composizione dell’utenza carceraria. Dal mese di agosto la predetta normativa estende la competenza del settore minorile sino al compimento del venticinquesimo anno di età, comportando non pochi disagi all’interno degli Istituti Penali per Minorenni. C’è chi ha subito fatto notare al Dipartimento Giustizia Minorile che già in passato con l’attuazione del D.P.R. n.448/88 gli Agenti di Custodia prima, seguiti dalla Polizia Penitenziaria dopo, si sono trovati a gestire un consistente flusso di carcerati tra i 18 e 21 anni. A sentire gli anziani del Corpo di Polizia Penitenziaria non sembra che quell’esperienza - per quanto interessante - sia stata un grande affare che meriti una ripetizione. Anzi, vi è da sottolineare che dal 1989 ad oggi ci sono stati numerosi casi di detenuti che infra -ventunenni sono rimbalzati più volte dalle Case Circondariali agli Istituti Penali per Minorenni, portando con se l’esperienza negativa appresa dagli adulti e causando talora non pochi problemi al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria del contingente minorile. Tuttavia, non sembra, a parere di chi scrive, che questa problematica sia stata presa in giusta considerazione dal Dipartimento Giustizia Minorile. Il 30 settembre 2014 infatti il predetto Dipartimento

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Nelle foto sopra interno del DGM di Roma a fianco colleghi del DGM di Roma

ha emanato l’ennesima circolare con cui si è cercato di giustificare l’intento della nuova normativa. Si legge che “...allo stato attuale l’obiettivo prioritario è indirizzare lo sforzo operativo dei Servizi Minorili territoriali per concorrere alla gestione dei bisogni di questa nuova fascia di utenza nella maniera più efficace ed efficiente...” Sulla scorta di quanto scritto, non si può che prendere quindi atto che all’interno degli Istituti Penali per Minorenni, il personale di Polizia Penitenziaria, come sempre, dovrà assicurare la separazione dei minorenni dai maggiorenni, sobbarcandosi però ulteriori problemi e difficoltà nella gestione quotidiana di questi detenuti adulti provenienti per la maggior parte da Case Circondariali

o Case di Reclusione. E’ vero pure che la circolare chiarisce testualmente: “tuttavia l’età anagrafica non dovrà essere l’unico criterio di riferimento e sarà l’equipe trattamentale a valutare la scelta sulla base delle caratteristiche del soggetto, così come previsto dalle circolari dipartimentali”. Ulteriori novità dovrebbero riguardare la sanità, l’istruzione superiore, la formazione professionale e l’inserimento lavorativo all’esterno per questa nuova fascia di detenuti che sta portando per il momento solo difficoltà agli operatori di Polizia Penitenziaria. Infatti, è cosa nota che che molti Istituti Penali per Minorenni non hanno spazi sufficienti per la separazione minori/adulti per la gestione di sezioni detentive diverse. H

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Nelle foto sopra Leonarda Cianciulli a destra la stessa Cianciulli in un ritratto da giovane

Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014

crimini e criminali

Il caso di Leonarda Cianciulli articolo dello scorso mese, dedicato a Maria Tarnowskaia, nonostante riguardasse fatti accaduti ad inizio novecento, ha suscitato notevole curiosità tra i lettori. Ho ricevuto diverse email e tantissime richieste tese a soddisfare curiosità, soprattutto amorose, sulle vicissitudini della contessa russa. Per questa ragione ho deciso, di proseguire la rubrica con un’altra storia terribile di inizio novecento, sia a livello personale che per l’impatto che ebbe sulla vita di altre tre persone, riproponendo “un classico” della

L’

non avevano per me nessuna delle attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava, perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l’intenzione di morire, e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla».

criminologia italiana: Leonarda Cianciulli, più nota come la “saponificatrice di Correggio”. Questa storia ha inizio con un rapimento e una violenza carnale, perpetrata da Mariano Cianciulli, ai danni di una giovane donna, Emilia Di Nolfi. A seguito dello stupro la ragazza rimane incinta e soprattutto è costretta a sposare l’uomo. Così, il 14 aprile del 1894, a Montella, in provincia di Avellino, viene alla luce Leonarda, una figlia non voluta che la madre odierà e maledirà per tutta la vita. Dopo qualche anno il padre biologico muore e la madre si risposa con un altro uomo. Dal nuovo matrimonio nascono altri figli e Leonarda è sempre più isolata: «Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso,

All’età di 21 anni, Leonarda, contrae matrimonio con Raffaele Pansardi, un impiegato dell’Ufficio del Registro, in aperto contrasto con la sua famiglia, soprattutto con sua madre che la voleva sposa ad un suo cugino che aveva scelto per lei, secondo una consuetudine dell’epoca. I rapporti già difficili tra Leonarda e sua madre si interrompono bruscamente il giorno del matrimonio in cui, la madre, seppur non partecipandovi, la maledice con un anatema: «Nessuno dei tuoi figli ti sopravviverà». Anche dopo la morte, avvenuta dopo poco, la madre continuerà a perseguitarla apparendole in sogno e segnerà per sempre la sua esistenza. Per 15 anni la donna e suo marito vivono in un paese del confine lucano, Lauria, dove Leonarda incorre in

gravidanze una dietro l’altra: saranno ben 17, ma solo 4 quelle portate a termine con la nascita di figli. Una vicenda, quella dei figli, che avrà un’importanza capitale nell’economia della sua storia, con la donna che difenderà con le unghie l’unica cosa a cui tenne veramente nella vita. Nel 1930, il disastroso terremoto che sconvolse la Lucania e la Campania (meglio noto come terremoto del Vulture e che causò più di 1400 morti), distrugge la casa e la famiglia è costretta a trovare sorte migliore emigrando a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. La famiglia Pansardi (dal cognome del marito) affitta una modesta camera ammobiliata. Leonarda, grazie alla sua intraprendenza, si ingegna, dapprima, con un commercio di abiti usati e grazie a questa attività e al rimborso ricevuto dalla Stato per danni subiti dal terremoto, risolleva ben presto la propria economia, tanto da permettersi una casa più grande nella centrale via Cavour, al civico 11. Nonostante la nuova situazione economica, la donna non riesce a godersi la vita perché ossessionata dalla maledizione che sua madre ha pronunciato in punto di morte. Come se ciò non bastasse, anni prima una zingara le aveva fatto una terribile profezia, la cui prima parte recitava: «Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi». La cerchia di conoscenti si allarga sempre di più per la Cianciulli, tanto che la sua casa diventa un punto di ritrovo per molte donne del paese, ciò grazie anche alla sua nuova “professione” di cartomante e fattucchiera. La donna inizia così a dispensare, a prezzi modici, consigli, pozioni, scongiuri, fatture e amuleti contro il malocchio. Ottenuta l’indipendenza economica si sbarazza del marito anche se è quest’ultimo ad abbandonare il tetto familiare – diventato nel frattempo alcolizzato. La donna quindi si ritrova, con i quattro figli (Norma, unica donna, Bernardo, Biagio e Giuseppe) a portare avanti la famiglia da sola. Lo scoppio della seconda guerra mondiale manda in tilt l’equilibrio


crimini e criminali tanto faticosamente raggiunto dalla donna; il figlio tanto amato, Giuseppe, è in età per essere chiamato al fronte, così Leonarda inizia uno strano percorso. Memore delle parole pronunciate tempo prima dalla zingara, Leonarda teme che un eventuale chiamata alle armi del figlio possa portarlo per sempre via da lei: «Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l’altra dalla terra nera... per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli». Una notte i sogni spaventosi di Leonarda scompaiono e al loro posto appare una Madonna, la quale le dice

La Cianciulli la attira nella sua casa e, dopo essersi fatta rilasciare una delega per poter disporre dei suoi beni, la uccide con un’ascia spaccandole la testa; seziona, poi, il corpo in nove parti con una sega e mette i pezzi in un pentolone aggiungendo della soda caustica. La cosa più atroce che compie, però è raccogliere il sangue in un catino, farlo coagulare e, alla fine mescolandolo a farina e cioccolato, ne ottiene dei dolci da servire alle amiche che la andranno in seguito a trovare. La seconda vittima si chiamava Francesca Soavi, 55 anni, la quale gestiva presso la propria abitazione un piccolo asilo per i bimbi del quartiere. Alla donna Leonarda aveva promesso un lavoro in un collegio femminile a Piacenza. La Soavi la mattina del 5 Settembre 1940 si recò a salutarla prima di partire.

impiego in un teatro a Firenze, come segretaria di un misterioso impresario teatrale, suo amico, pregandola come al solito di non farne parola con nessuno. Virginia, entusiasta della proposta, mantenne il segreto e il 30 novembre 1940 si recò a casa della donna dove, raccontò Leonarda: «Finì nel pentolone, come le altre due. La sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i pasticcini furono migliori del solito: quella donna era veramente dolce». La situazione comincia a diventare sospetta. A Correggio la gente inizia a mormorare, tutti suppongono che dietro la scomparsa delle tre donne ci

di sacrificare una vita per ognuno dei figli, solo in questo modo la donna sarebbe riuscita a salvaguardarli: questa è la versione che qualche anno dopo indusse i giudici, nel corso del processo, ad attenuare la pena alla Cianciulli perché considerata schizofrenica. La novella maga decide così di passare al setaccio tutte le proprie clienti, fino a quando non trova tre potenziali vittime che fanno al caso suo: tre donne sole, che si erano rivolte a lei per cambiare il loro futuro. La prima vittima si chiama Faustina Setti, una signora anziana di 73 anni, che le si era legata. Leonarda la circuisce con la promessa di trovarle un marito, un suo conoscente di Avellino, e la donna ingenuamente cade nel trabocchetto.

Leonarda convinse la donna a scrivere due cartoline, dicendole che le avrebbe dovute spedire per annunciare ai conoscenti la partenza evitando di far conoscere la sua destinazione. La Cianciulli si avventò come una furia sulla donna uccidendola e riducendola in pezzettini che finirono, ancora una volta, in un pentolone con la soda caustica e il sangue nei pasticcini. Qualcosa però andò storto: la vittima è più corpulenta della prima e pertanto è costretta a tagliargli la testa e a metterla in un sacco che affida al figlio Giuseppe perché lo occulti. Anche in questo caso si appropriò dei beni della vittima. La terza e ultima vittima si chiamava Virginia Cacioppo, 59 anni, ex cantante lirica, costretta a vivere in miseria e nella nostalgia del proprio passato di artista. Leonarda le propone un

sia ben più di quanto raccontato da loro stesse. Pensano che ci sia la Cianciulli, troppo strana, quasi dotata di facoltà paranormali, forse pericolosa. Albertina Fanti, non avendo più notizie dalla cognata Virginia Cacioppo, si presenta perfino alla locale stazione dei carabinieri per denunciare la scomparsa della parente indicando nella Cianciulli l’ultima persona che l’aveva vista. Il comandante della stazione dei Carabinieri, Federico Scagliarini, pur avendo già sentito, in paese, diverse voci sul conto e sull’attività della Cianciulli, non ritiene di procedere. Non avendo ottenuto soddisfazione dai Carabinieri, Albertina si piazza sotto casa della Cianciulli ad osserva, interrogare e analizzare.Scopre che Leonarda ha venduto tutte le scarpe, i

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Nelle foto sopra le vittime a sinistra la Cianciulli in una fase del processo

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giustizia

22 vestiti e l’unico cappotto della cognata e si chiede perciò con quali abiti questa sia partita per Firenze. La costanza e la caparbietà della Fanti trovano finalmente un riscontro nel Commissario di Polizia di Reggio Emilia Serrao, che considerò fondati i sospetti della Fanti ed apri un’indagine.

Nelle foto la cucina e gli strumenti usati dalla “saponificatrice” per gli omicidi

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Il poliziotto indaga e scopre così che Leonarda Cianciulli ha ricevuto somme di denaro proprio dalle tre donne scomparse, ricostruisce le vicende personali delle stesse e scopre che la Cianciulli ha a suo carico due denunce e una condanna per truffa. Nel corso della perquisizione a casa di Leonarda vengono ritrovati oggetti personali appartenuti alle tre donne. Le prove sono ritenute sufficienti per un’incriminazione per omicidio volontario e Leonarda, il 3 marzo del 1941, viene arrestata con suo figlio Giuseppe. La donna ammette le sue responsabilità, ma fa di tutto per scagionare suo figlio. A distanza di pochi mesi dall’arresto fu sottoposta a perizia psichiatrica da un luminare dell’epoca, Filippo Saporito, docente dell’Università di Roma e Direttore del manicomio criminale di Aversa. Il medico giudicò la donna «affetta da psicosi isterica e totalmente

inferma di mente». Il processo ha inizio solo nel 1946, a causa della guerra, innanzi alla Corte di Assise di Reggio Emilia che condanna l’imputata, dopo due ore di camera di consiglio, a 30 anni di carcere, oltre a tre anni di ricovero in un manicomio criminale. Fenomenologicamente la Cianciulli può essere classificata tra le assassini seriali per “guadagno personale” orientata al controllo del potere indipendentemente dal quadro psicopatologico, che però non raggiunge neanche i limiti minimi della infermità di mente con valore e significato forense (V. Mastronardi e F. Sanvitale, 1966 - Leonarda Cianciulli, la saponificatrice: nuove indagini e rivelazioni sul mostro di Correggio). Leonarda viene rinchiusa dapprima nel manicomio giudiziale di Aversa (CE) e poi trasferita nel carcere femminile di Pozzuoli; nel corso della sua detenzione scrive le sue memorie: «Le confessioni di un’anima amareggiata» (da cui ho estrapolato le dichiarazioni della Cianciulli riportate nell’articolo), settecento pagine in cui ripercorre la propria vita, raccontando la sua infanzia difficile e il suo rapporto tormentato con la madre, il suo matrimonio e l’amore per i figli, in cui narra fino nei minimi particolari le tecniche di smembramento dei tre cadaveri, la loro bollitura e dispersione. Il 15 settembre 1970, in seguito ad una apoplessia celebrale, la Cianciulli si spegne nel penitenziario di Pozzuoli ed è seppellita nella fossa comune della città campana. Alla sua misteriosa figura di madre (e quindi di dispensatrice di vita) che si trasforma in terribile assassina sono ispirati diversi film come «Gran bollito» di Mauro Bolognini, girato nel 1977 ed interpretato da Shelley Winters; spettacoli teatrali quali “Amore e magia nella cucina di mamma”, del 1980, rievocazione libera e grottesca della vicenda della saponificatrice, diretto dalla grande Lina Wertmuller; nonché pile di libri dedicati a quella che è considerata la prima serial killer italiana. Alla prossima... H

i profila una nuova organizzazione per il Ministero della Giustizia, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e quello della Giustizia Minorile. Il 15 ottobre scorso è stata diffusa dal Gabinetto del Ministro della Giustizia la proposta di riorganizzazione ministeriale, per altro già inviata alla Funzione Pubblica per il successivo iter legislativo. La trovate, integralmente, sul nostro sito internet all’indirizzo www.sappe.it. Diverse le novità, che di seguito illustriamo e che presentano modifiche sostanziali rispetto alle bozze precedentemente inviateci. Lo schema di decreto prevede, per prima cosa, che ogni Dipartimento del Ministero della Giustizia sia guidato da un Capo Dipartimento coadiuvato nell’esercizio delle sue funzioni da un Vice Capo Dipartimento: questa figura non è prevista per il Dipartimento della Giustizia Minorile che, come si vedrà meglio successivamente, assumerà nella denominazione anche l’estensione “e di comunità”. All’articolo 6 è dedicata la riorganizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, attualmente articolato in 5 direzioni generali, nei Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria e nell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari. Nel nuovo assetto organizzativo continuano ad essere attribuite al DAP le funzioni gestionali del personale, compresi i compiti in materia di formazione e specializzazione del personale penitenziario; viene inoltre specificata la funzione di formulazione dei pareri tecnici concernenti l’edilizia penitenziaria e residenziale di servizio. L’accentramento presso il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi della competenza in materia di procedure contrattuali del Ministero comporta la soppressione della Direzione Generale del Bilancio, Contabilità, delle Risorse Materiali, dei Beni e Servizi e l’inserimento presso la Direzione Generale del Personale anche della competenza in materia di gestione dei beni e servizi (di competenza), con conseguente nuova

S


giustizia denominazione in Direzione Generale del Personale e delle Risorse. Lo spostamento inoltre presso il Dipartimento dell’Esecuzione Penale Esterna e per la Giustizia Minorile della competenza in materia di esecuzione penale esterna comporta la soppressione della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dunque, esercita le funzioni mediante due direzioni generali: la Direzione Generale del Personale e delle Risorse nonché la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento. Costituiscono, inoltre, strutture di decentramento regionale i Provveditorati Regionali della Amministrazione Penitenziaria che, nell’ambito della complessiva riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e delle relative dotazioni organiche, sono ridotti a 11. Questa la nuova geografia penitenziaria regionale:

Giustizia, cambiano struttura e organizzazione Nasce così un’unica agenzia formativa che assorbe, oltre alle Scuole di formazione oggi operanti sul territorio nazionale, anche le attività di formazione iniziale, di aggiornamento e specialistica del personale di Polizia Penitenziaria e di quello del comparto ministeri e di diritto pubblico, oggi svolte dall’Ufficio della Formazione, marginalmente collocato all’interno della Direzione Generale del Personale. Questo è il preludio “ad una migliore programmazione che consenta di valutare oggettivamente una revisione dell’attuale rete di scuole con conseguente soppressione di quelle antieconomiche”.

P. R .A.P.

Sede

Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige Lombardia Emilia Romagna, Marche Toscana, Umbria Lazio, Abruzzo Campania Puglia, Basilicata, Molise Calabria Sicilia Sardegna

Torino Padova Milano Bologna Firenze Roma Napoli Bari Catanzaro Palermo Cagliari

* In grassetto sono indicati i PRAP che vengono accorpati E’ utile segnalare che il successivo articolo 16 dello schema di decreto (che disciplina le disposizioni transitorie e finali) prevede che con i decreti ministeriali attuativi potranno essere istituiti presidi territoriali in luogo dei soppressi Provveditorati Regionali e ne sono definiti compiti e competenze. Tornando all’articolo 6, ed alla riorganizzazione del DAP, l’Istituto Superiore degli Studi Penitenziari viene rimodellato nelle competenze per assicurare osmosi tra il DAP e il Dipartimento per la Giustizia Mminorile e di Comunità.

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L’ISPPe assorbirà anche l’attività formativa e di studio che oggi viene espletata dalla Scuola di Formazione del Dipartimento Minorile. Profondamente modificata l’organizzazione del nuovo Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, che come abbiamo detto non avrà un Vice Capo Dipartimento. La nuova strutturazione del Dipartimento pone particolare attenzione alla funzione di gestione dell’esecuzione penale esterna che non è solo limitata ai minori, ma anche agli adulti, finora affidati alla

rete degli uffici dell’esecuzione penale esterna del DAP. Da qui anche la nuova denominazione del Dipartimento, che si avvarrà di due direzioni generali: la Direzione Generale del Personale, delle Risorse e per l’Attuazione dei Provvedimenti del Giudice Minorile e la Direzione Generale per l’Esecuzione Penale Esterna. La nuova Direzione Generale per l’Esecuzione Penale Esterna svolge le funzioni prima attribuite alla soppressa Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria. Di più, nella cornice dei nuovi rapporti interdipartimentali tra amministrazione penitenziaria e minorile, e dunque con la finalità di assicurare una osmosi e una omogeneità di amministrazione attiva, sono attribuite al Capo del Dipartimento, in raccordo con il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, le funzioni di programmazione, pianificazione e controllo dell’esecuzione penale esterna. Queste, sommariamente, le cose che più ci riguardano nella riorganizzazione del Ministero della Giustizia e delle sue articolazioni centrali e regionali contenute nello schema di decreto che, come detto, è stato trasmesso alla Funzione Pubblica per il successivo iter legislativo. H Roberto Martinelli

Nella foto il Presidente dela Repubblica Giorgio Napolitano e il Ministro della Giustizia Andrea Orlando

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donne in uniforme

Carcere: s. m. sing. sostantivo maschile singolare a cura di Laura Pierini Vice Sezione Porvinciale Sappe Firenze rivista@sappe.it

Nella foto l’esterno del carcere di Firenze Sollicciano

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l carcere è maschile. E’ cioè popolato soprattutto da uomini. Le differenze di genere sono molto significative e costanti nel tempo: il 95,8% dei detenuti presenti è di sesso maschile, il 35% in media è straniero. La popolazione detenuta femminile quindi si attesta su una percentuale di poco superiore al 4 % e di queste circa il 40% è straniera. Il carcere è maschile anche nell’organizzazione, negli arredi, che siano detentivi o riservati al personale di Polizia Penitenziaria, senza distinzione di genere.

I

altri, che è propria delle donne. Soffrono pertanto maggiormente a livello psicologico per l’assenza di affettività, per la lontananza dalla vita normale, dai figli, dalla famiglia. Ansia, attacchi di panico e spunti panico-fobici. Il 90% delle detenute sono madri, il 25% è tossicodipendente. Il 70% assume psicofarmaci. La patologia che va per la maggiore è la depressione ed in generale è la terapia farmacologia che stabilizza la situazione. Per le straniere si aggiunge il problema della lingua. I reati per la maggior parte commessi

L’attualità del D.L. 92/2014 in tema di risarcimento in favore dei detenuti per la violazione dell’art.3 CEDU, pone l’accento sul problema carcere, sulle sue strutture, sul sovraffollamento e la qualità di vita delle persone ivi ristrette. A parte qualche eccezione, i reparti detentivi femminili sono ricavati all’interno delle stesse strutture che ospitano quelli maschili e rispecchiano il medesimo disegno costruttivo, anche se il problema del sovraffollamento è minore. E’ il modo di vivere la detenzione che è diverso, per natura. Il carcere è un’istituzione caratterizzata da regole rigide, dove l’autodeterminazione è contenuta e vi è poco spazio per la parte emozionale e di comunicazione, per la cura degli

sono relativi allo spaccio di droga e quelli conto il patrimonio. Quello che apparentemente sembra un elenco di percentuali dal valore prettamente statistico, racchiude invece la vita delle persone, compresa quella di noi operatori. Eh sì... e allora la domanda è: come si vive e si lavora nei penitenziari? La spending review ha comportato ulteriori tagli che inevitabilmente si sono riversati anche sull’amministrazione penitenziaria determinando nelle realtà locali un incremento di difficoltà gestionali. Io posso parlare solo per la realtà penitenziaria in cui lavoro ma penso che, al di là di qualche specificità, la situazione sia comune a molti, molti istituti. E’ un bollettino di guerra.

Dal punto di vista della struttura, operiamo in reparti dove piove anche quando fuori non piove: perché si rompono tubazioni, perché la guaina impermeabile del tetto non è più tale e così troviamo secchi sparsi per i corridoi a raccogliere, quando possibile, interminabili ed estenuanti gocciolii oppure panni in prossimità delle stanze per evitare allagamenti e che piova sui letti. Se si fulminano i neon nei corridoi nel periodo sbagliato questi rischiano di rimanere pressoché al buio, per mesi: mancano i fondi e non si riescono a sostituire. Situazione analoga per quanto riguarda le lampadine nelle stanze detentive. La muffa in tutte le sue sfumature crea murales variopinti su pareti e soffitti in cemento, bagnati, pieni di fessure e sfaldamenti. Finestre che non si chiudono. Vetrocemento che schianta improvvisamente lanciando pezzi in tutte le direzioni: un rischio fisico per chi transita nei pressi e un problema anche in termini di sicurezza trattandosi di materiale appuntito o tagliente, facilmente occultabile. Se un cordless in sezione si guasta, è pratica comune che venga acquistato dagli agenti tramite colletta. Talvolta è la carta, altre volte il toner a mancare alle stampanti e così rimaniamo bloccati: niente stampa dei moduli per le istanze dei detenuti o delle relazioni che dobbiamo giornalmente effettuare. In altre occasioni è proprio il computer a dare forfait e così non possiamo neanche accedere alla rete dei dati interni o essere in grado di effettuare quelle operazioni che la rigida e necessaria burocrazia penitenziaria richiede. Accade che manchino i guanti per le perquisizioni, le nostre scrivanie spesso sono traballanti, prive di cassetti funzionanti. Scarichi non funzionanti, problemi per l’acqua calda. Ambienti malsani dove le norme che dovrebbero regolare la sicurezza in materia di lavoro non vengono applicate: prese e prolunghe non a norma, areazione e illuminazione scarsa, umidità, polveri. Le caserme dove gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria vivono fuori


news dal servizio presentano gli stessi problemi. Un degrado generalizzato che tocca tutti, detenuti e detenute, poliziotti e poliziotte. Anche in questo non vi è distinzione di genere né di ruolo. Ed è anche difficile capirne le responsabilità: scelte politiche, finanziamenti destinati altrove, un datore di lavoro difficilmente individuabile. La Pubblica Amministrazione, tutta quanta, riesce a sottrarsi alle leggi di tutela in virtù proprio della mancanza di fondi, che oramai è cronica. A questo va aggiunto un disinteresse diffuso per il carcere che, come già detto in precedenza, è al margine della marginalità. Ma torniamo a noi. Lavorando all’interno gestiamo una serie di criticità che lo stato della struttura alimenta, ingigantisce, crea ansie in aggiunta a quelle dovute allo stato di privazione della libertà, degli affetti, della famiglia, in situazione psicologiche e psichiatriche in cui l’equilibrio è molto precario. Noi stessi dobbiamo, entrando nei reparti, fare tabula rasa dalle proprie vicende personali e fare appello a tutto il nostro essere, alla professionalità e alla sensibilità. Dobbiamo garantire la sicurezza, anche quella personale, che implica interventi in situazioni che potrebbero sfociare in atti di autolesionismo e tentativi di suicidio. Diventiamo psicologi, avvocati, ascoltiamo confidenze, richieste di aiuto e di attenzione. Un lavoro, giorno dopo giorno, a contatto con le sofferenze. Lo so, la mia professoressa d’italiano direbbe che sono andata fuori tema. Dovevo parlare di donne e invece non me la sono sentita di fare differenze. Uomini e donne della Polizia Penitenziaria si trovano uniti nella stessa difficile condizione anche se il modo di lavorare ed approcciarsi ai problemi può essere diverso. Ho l’impressione quasi di aver urlato con le mie parole, ed in effetti rileggendo ho visualizzato l’immagine, famosa, dell’urlo di Munch. Ma (vi assicuro che) non vi è in ciò che ho scritto, nelle mie intenzioni, abbandono o rassegnazione. A presto. H

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Il Sappe a Bruxelles al Consiglio d’Europa na delegazione del SAPPE, composta dal Segretario Generale Donato Capece e dal Segretario Generale Aggiunto Roberto Martinelli, ha partecipato il 22 e 23 settembre scorsi ad alcuni importanti appuntamenti istituzionali internazionali. Il 22 settembre siamo stati in visita al Consiglio d’Europa e successivamente, insieme alle delegazioni di tutti gli altri Paesi aderenti all’Unione Europea, ad una sessione informale sulla giustizia e gli affari interni che ha permesso di far conoscere la situazione relativa ad ogni singolo Stato. Abbiamo illustrato la situazione italiana con dovizia di particolati e di numeri, segnatamente per quanto concerne la questione penitenziaria e la sicurezza sociale, e abbiamo messo in campo alcune proposte concrete che hanno trovato la condivisione di altri Paesi. Quali, ad esempio, la necessità di stanziare fondi europei per favorire la formazione e l’aggiornamento professionali degli Operatori della sicurezza (e di quelli che lavorano nelle carceri in particolare), a cominciare dall’apprendimento delle lingue straniere, e di garantire idonee condizioni di sicurezza sanitaria attraverso adeguati controlli preventivi. Ma anche favorire quanto più possibile il trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine e favorire al contempo la circolarità di quelli comunitari ristretti nei Paesi membri, facendo scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, attraverso interventi normativi ed accordi europei. Martedì 23 settembre, presso la sede della Confederazione Europea dei Sindacati Indipendenti sempre a Bruxelles, si è svolto l’incontro della sessione europea dei due Consigli di categoria Giustizia ed Affari Interni che ha affrontato argomenti molto interessanti e qualificanti. A presiederlo, e questo è stato motivo

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di vanto ed orgoglio nazionale per il SAPPE, il Vice Presidente del Consiglio di Giustizia Donato Capece. L’incontro si è aperto con la disamina sulla figura del Procuratore Europeo, cui sono seguite altre due relazioni sulla sfida demografica per il settore della giustizia e un approfondimento della giustizia elettronica, già oggetto di un seminario a Tallinn. Ampio e approfondito il dibattito, che ha visto partecipare i rappresentanti di tutti i Paesi europei.

Una bella ed importante esperienza, che valorizza il ruolo propositivo e costruttivo del SAPPE sui temi della giustizia e della sicurezza sociale e che anche nell’importante contesto europeo lo conferma Sindacato leader nella tutela dei diritti dei poliziotti e nella valorizzazione sociale e culturale della delicata professionale da essi quotidianamente svolta con professionalità, abnegazione e umanità. H erremme

Nelle foto il Segretario Generale del Sappe Donato Capece e, sotto, la delegazione europea del CESI

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26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Sopra la copertina del numero di marzo 2000 a destra uno spray paralizzante

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come scrivevamo

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iù di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

Bombolette di spray paralizzante: ma è proprio un’utopia? di Giuseppe Romano

I

l detenuto extracomunitario è nervoso. Da qualche giorno si agita perchè vuole il lavoro. Come si fa a spiegargli che l’esiguità dei fondi non permette di far lavorare tutti? Come si fa a dirgli che c’è una graduatoria da rispettare, senza essere presi per razzisti? Come si fa a fargli capire che un eventuale turno di lavoro dura solo qualche mese e che alla prima infrazione disciplinare lo stesso verrà chiuso? Non c’è comunicazione con i detenuti italiani che non “vogliono” capire, figurarsi poi con un extracomunitario che a malapena parla la nostra lingua, e che da due giorni minaccia il personale ... Tutto si svolge in pochi secondi: il detenuto esce dalla cella e si scaglia contro il collega. Calci e pugni verso colui che rappresenta il sistema, verso l’agente che se non accontenta le sue richieste, in contrasto con il regolamento, è bollato subito come razzista. Il detenuto scivola e-addenta alle gambe il collega che urla di dolore. Azzannato in servizio da un mastino africano! Non fa notizia se un cane morde una persona, ma se una persona morde un cane allora sì: quella è una notizia. Se poi un povero detenuto africano, morde un agente di Polizia Penitenziaria quella è una notizia da prima pagina! Però, puntualmente, nonostante i vari comunicati stampa, essa viene liquidata con un trafiletto. Non ci interessava uscire sui giornali come Sappe; ci interessava, a seguito dell’episodio, rilanciare la provocazione di qualche mese fa, del segretario regionale della Liguria Roberto Martinelli: dotare gli agenti di Polizia Penitenziaria di bombolette spray paralizzante, da usare in casi di aggressione da parte dei detenuti.

Considerato poi l’alto numero di aggressioni quotidiane cui viene fatto oggetto il personale di Polizia Penitenziaria, la proposta più che provocatoria appare concreta, e crediamo che sia anche tempo di aprire un dibattito serio sulla possibilità di detenerla in sezione. Non è più possibile contrastare questi

tentativi, molto spesso riusciti, di aggressione con le sole mani nude, tanto più pericolosi se portati a termine da detenuti sieropositivi. Oggi si fanno interminabili tavole rotonde sul tema: meglio la sicurezza o la rieducazione? Meglio i corsi di yoga o le buone vecchie celle di punizione? E intanto, mentre si discute, i nostri colleghi, nel silenzio complice della stampa e di chi dagli istituti non fa trapelare le notizie per vergogna o per paura di un’ispezione ministeriale, continuano a prendere legnate. H


come scrivevamo

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Il problema della carcerazione di Francesco Campobasso

I

l nostro vivere civile è fatto di "problemi e domande” che spesso si ripropongono di continuo. Ad esse infatti corrispondono troppe risposte, nessuna delle quali offre una valida soluzione. Per questa ragione le domande stesse finiscono per diventare luoghi comuni: perché esistono le carceri? Come si possono riformare? Si possono sopprimere le carceri? Il dibattito prosegue, ma intanto nulla cambia, mentre si ripropongono nell'universo carcerario suicidi, rivolte, tentativi d'evasione. I cervelloni discutono, fanno seminari, compilano statistiche e, in buona fede, suggeriscono soluzioni "tecniche" che non vanno oltre un minimo miglioramento del regime carcerario. Ma il fatto è che gli aggiustamenti sono solo pannicelli caldi, come ben sanno coloro che nel carcere vivono o lavorano. La domanda vera che pochi hanno il coraggio di porsi è una sola: «il carcere serve veramente a qualcosa?». In tutta onestà dobbiamo dire che oltre alla custodia temporanea d'individui socialmente pericolosi non si riesce ad andare. Il recupero dei rei attraverso un'attenta rieducazione, scopo principale del carcere moderno, è spesso una mera illusione. I rei restituiti alla società emendati e rieducati si possono contare sulle dita di una mano. Questo perché il modello che viene loro proposto dall'istituzione carceraria, i valori che essa considera esemplari, sono di fatto caricature odiose dei peggiori aspetti della società esterna, fondamentalmente brutale, classista e ingiusta. Per vivere tranquilli nella macchina

carceraria i detenuti devono dare prova di conformismo mentale e di un comportamento rispettoso verso gli operatori penitenziari. E in queste condizioni ci si meraviglia che il carcere non funziona e che sia scuola di criminalità? In realtà parlare di queste cose significa parlare e occuparsi di cose grandi, più profonde e più complesse. Al pari del problema della follia, quello del contenimento e del

recupero delle devianze è un problema limite che coinvolge brutalmente la società nel suo insieme, anzi nella sua stessa natura. Ma in realtà pochi sono disposti a scendere su questo terreno minato, a mettere in discussione le proprie certezze, e gli uomini dell'istituzione carceraria meno di tutti. Ma allora, cosa fare di coloro che deviano, fino al crimine, dai canoni per così dire normali?

sopra una veduta aerea del carcere di San Vittore a Milano sotto la vignetta di marzo 2000

‡ Polizia Penitenziaria n.221 ottobre 2014


funzionari funzionali

28 Saperlo sarebbe come vincere la "lotteria", ma in realtà una soluzione potrebbe venire solo da una trasformazione completa del modo di pensare della società: una rivoluzione culturale.

Sopra il sommario del numero di marzo 2000

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Ciò non è avvenuto, né nella più avanzate democrazie nordiche, né nei paesi del defunto socialismo reale. Del resto, una società capace di "guarire" delinquenza e follia, paradossalmente, metterebbe in pericolo il bene supremo dell'umanità: la libertà dell'individuo. Per questo la domanda posta all'inizio di questa riflessione: «il carcere serve a qualcosa?» si esaurisce in se stessa, senza una ragione esaustiva. A noi uomini dell'istituzione carceraria devono essere chiari i limiti del nostro operare in una struttura che per la sua stessa natura è irriformabile. Uomini essenziali che debbono fare il bene di altri, senza di loro e spesso "contro" di loro! Rispettati poco, compresi ancor meno, ma assolutamente indispensabili. H

IS: il terrore che viene dall’Islam


funzionari funzionali

I

l mondo intero ha oggi paura di un pericolo che deriva da una sigla: Is, acronimo di Islamic State. Is, l’armata jihadista nata da Al Qaeda, controlla interi territori in Medio Oriente e ci ha abituato ad atroci immagini che hanno fatto il giro del mondo e che, purtroppo, non sono destinate a finire. Sono almeno una quarantina i jihadisti italiani partiti verso i fronti siriano e iracheno e la paura è che possano tornare in Italia, più radicalizzati ed addestrati, per organizzare operazioni ostili contro il nostro Paese. La situazione è talmente allarmante che anche i colossi del web hanno dato la loro disponibilità a collaborare per combattere il terrorismo che su internet trova il suo veicolo di principale propaganda.

Risulta molto difficile una seria opera di monitoraggio del fenomeno a livello periferico, principalmente per la mancanza di competenze da parte del personale penitenziario, in special modo della Polizia Penitenziaria che ogni giorno è a contatto con i detenuti, poichè si sconosce la cultura islamica e non si è in grado di riconoscere in maniera adeguata fenomeni allarmanti che potrebbero celarsi dietro gesti anche solo apparentemente usuali. Studi effettuati nelle carceri fanno emergere che il detenuto terrorista è, molto spesso, una persona laureata o iscritta all’università, spesso impegnato in attività lavorativa, ma anche libero professionista. Quasi tutti possiedono un diploma in scienze naturali o matematica.

carcere, li fa sentire automaticamente tutti “fratelli”: ecco spiegata la solidarietà che, a prescindere dalla effettiva conoscenza personale, i detenuti di fede islamica stringono tra loro. Non sempre, purtroppo, i cosiddetti indicatori forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria possono essere sufficienti ad individuare eventuali processi di radicalizzazione, che solo una precisa conoscenza storico sociale del fenomeno islamico può aiutare ad avere. La Polizia Penitenziaria ha, da sempre, fornito importanti apporti ad indagini di notevole importanza, perché detentrice di una serie di notizie che, anche solo attraverso l’osservazione delle dinamiche

Anche nelle carceri (non foss’altro che per l’altissimo numero di detenuti provenienti da quelle zone) la presenza degli islamici è monitorata attraverso uno scambio di informazioni tesa ad individuare i soggetti che assumono ruoli di leadership, anche spirituale e che, in quanto tali, potrebbero svolgere funzioni di reclutamento e proselitismo. Il 2004 ha visto la nascita del C.A.S.A., il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, organo che si occupa di valutare e gestire la minaccia terroristica e tutte le emergenze dal punto di vista dell’ordine e della sicurezza pubblica. Anche l’Amministrazione Penitenziaria ha un ruolo importante nella lotta al terrorismo internazionale e partecipa, a carattere permanente, al tavolo del C.A.S.A.

In tutti i casi, questa tipologia di detenuto ha un forte ascendente sugli altri e riesce a far valere la sua leadership anche al di fuori di questioni strettamente religiose. Molti di questi soggetti hanno avuto una vita alla occidentale, fatta di studi, usanze e frequentazioni all’interno in ambienti europei. Non solo la Moschea ma anche la cella può diventare un luogo in cui si consumano conversazioni religiose ed in cui il fondamentalismo islamico fa proseliti, anche tra quei detenuti italiani che si convertono pensando di poter trovare nella nuova religione un motivo di riscatto nella società una volta tornati in libertà. Anche se quasi mai si conoscono i collegamenti esterni dei detenuti stranieri che entrano in carcere, la condizione di detenzione e la fede comune all’interno della comunità-

“carcerarie”, possono tornare utili alla polizia giudiziaria che opera all'esterno e che, diversamente, non ne verrebbe mai in possesso. Non sempre, però, chi svolge le indagini riesce a cogliere tale ricchezza, spesso perché - anche tra gli addetti ai lavori - poco si conosce il mondo penitenziario e la grande potenzialità di spunti ed informazioni che esso può fornire. Molto ancora dovrà farsi per fornire anche alla Polizia Penitenziaria i giusti strumenti per una seria e qualificata attività di monitoraggio e contrasto al terrorismo islamico. Certamente una formazione di tutto il personale risulta imprescindibile, non solo ai fini del monitoraggio di tali fenomeni ma anche per fornire una migliore conoscenza del soggetto detenuto, della sua storia e della sua cultura. H

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Mario Salzano Commissario di Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it

Nelle foto alcune immagini di islamici

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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it

A fianco: 1980 66° Corso AA.CC. Scuola di Cairo Montenotte (SV) (foto inviata da Giovanni Spinelli)

sotto: 1951 Casa Reclusione di Porto Azzurro (LI) Festa della Repubblica (foto inviata da Francesco Perruccio

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eravamo cosĂŹ


eravamo cosĂŹ

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In alto:1978 Casa Circondariale di Reggio Calabria Festa del Corpo (foto inviata da Francesco Ciccone) Sopra: 1981, Scuola AA.CC. di Parma (foto inviata da Enrico Pischedda) a sinistra: 1982, 74° Corso AA.CC. Scuola di Cairo Montenotte (SV) (foto inviata da Tommaso Mariniello)

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32 a cura di Erremme rivista@sappe.it

le recensioni Patrizio Gonnella

CARCERI. I confini della dignità JACA BOOK Edizioni pagg. 143 - euro 12,00 uro atto d’accusa di Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, che in questo libro denunzia il solco che separa, in carcere, i diritti costituzionalmente garantiti e quelli effettivamente garantiti. Dopo un’interessante storia sociale dell’istituzione penitenziaria in Italia dall’Unità ad oggi, Gonnella entra nel merito delle violazioni e ed esamina tutta una serie di diritti: dignità umana, alla vita, alla salute, agli affetti, alla liberta di conoscenza e coscienza, al voto, al lavoro alla difesa. E indica tutta serie di iniziative che i detenuti dovrebbero mettere in atto per rivendicare, appunto, il godimento di questi diritti violati. Il libro va letto per formazione e conoscenza, ma certo va respinta fermamente l’impostazione di Gonnella che vorrebbe “una formazione multidisciplinare di tipo prevalentemente sociale e non militare del personale della polizia penitenziaria che sempre più si orienti a essere un corpo di funzionari civili che operi non in divisa” . La nostra identità professionale, la nostra specificità, non può e non deve

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essere messa in discussione: che è quella di essere, certo, operatori del trattamento ma anche garanti dell’ordine e della sicurezza interna. La Polizia Penitenziaria, negli oltre 200 penitenziari italiani, è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti. Quegli uomini e quelle donne che indossano con fierezza la divisa della Polizia Penitenziaria, negli ultimi 20 anni, hanno sventato, in carcere, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Ed è cosi che proteggiamo concretamente - il diritto alla vita dei detenuti, anche se a Gonnella evidentemente sfugge...

intero. In questo libro si vuole ricostruire il percorso di chi, tra le file della borghesia e anche della classe operaia, ha aderito, simpatizzato o accettato, talvolta a rischio della vita, di coprire e giustificare il fenomeno terroristico. Negli uffici, in fabbrica, nelle aule universitarie, nei giornali molti simpatizzavano con chi aveva scelto la linea di opposizione violenta allo Stato. Documenti, dichiarazioni, articoli, fatti parlano chiaro e non possono essere smentiti. Talvolta è mancata una franca assunzione di responsabilità ed è prevalsa la voglia di chiudere con il passato, cancellandolo. Per paura, per vergogna, per calcolo di potere. Griner ha il merito di raccontare questa pagina tremenda e buia della storia della Repubblica.

Sergio Miracola

IL SOVRANO ORDINE DI MALTA ALL’ONU DARIO FLACCOVIO Edizioni pagg. 135 - euro 18,00

Massimiliano Griner

LA ZONA GRIGIA CHIARELETTERE Edizioni pagg. 277 - euro 16,00

T

anto si è scritto e parlato di quegli anni terribili che vengono ricordati proprio come “anni di piombo”, ma vi è una storia mai del tutto chiarita, i cui protagonisti sono in parte ancora presenti sul palcoscenico della politica e della società. Migliaia di persone (non meno di 10.000 i fiancheggiatori delle Br secondo un rapporto del Pci), tra simpatie, silenzi, complicità indirette o scoperte, hanno reso possibile una guerra che ha lasciato troppi morti e feriti e che ha infangato il sogno di giustizia di tanti giovani impegnati allora a difendere la democrazia dall’eversione fascista. Da sole le Br non ce l’avrebbero fatta a mettere in ginocchio un paese

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l Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, conosciuto come Sovrano Militare Ordine di Malta, ha una duplice natura. E’ uno dei più antichi Ordini religiosi cattolici, essendo stato fondato a Gerusalemme intorno all’anno 1048. Allo stesso tempo è sempre stato riconosciuto dalle Nazioni come ente primario di diritto internazionale. La missione dell’Ordine è sintetizzata nel binomio “Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum” che significa alimentare, difendere e testimoniare la fede (tuitio fidei) e servire i poveri e gli ammalati (obsequium pauperum). Dal 1994 è stato ammesso alle Nazioni Unite in qualità di Osservatore Permanente e in questo interessante libro di Sergio Miracola, edito per i tipi di Dario Flaccovio Editore, si pongono in particolare evidenza le relazioni diplomatiche internazionali consentono all’Ordine di intervenire


le recensioni con rapidità ed efficacia in caso di disastri naturali e conflitti armati. Emerge evidente come la neutralità, l’imparzialità e la natura apolitica consentono al S.M.O.M. di agire come mediatore tutte le volte in cui gli Stati gli si rivolgono per risolvere contrasti. Una encomiabile attività, poco conosciuta e valorizzata come invece meriterebbe.

Leonardo Degl’Innocenti Francesco Faldi

I BENEFICI PENITENZIARI GIUFFRE’ Edizioni pagg. 553 - euro 58,00 uesto è probabilmente uno dei libri più completi ed esaurienti sui benefici penitenziari, sulle sanzioni sostitutive e sui relativi procedimenti di applicazione. Tanto se ne parla e se ne discute, spesso impropriamente, ma la materia è assai complessa: non si possono accettare le sterili e demagogiche chiacchiere da bar su un tema così serio, eppure l’approccio di molti a questo argomenti è condizionato da ignoranza (nell’accezione semantica del termine) e, appunto, demagogia: basti pensare alle polemiche che regolarmente esplodono in occasione dei mancati rientri di detenuti in permesso premio, episodi che seppur gravi rappresentano una percentuale davvero minimale rispetto a coloro che fruiscono di permesso e rientrano regolarmente in cella. Questo volume è in grado di fornire un’esauriente, dettagliata e approfondita disamina per ogni singola fattispecie che riguarda l’area penale esterna e le misure alternative al carcere. Scritto a quattro mani da Leonardo Degl’Innocenti (giudice presso il Tribuna di Pisa dopo essere stato Pubblico Ministero, G.I.P. e magistrato di sorveglianza) e da Francesco Faldi (magistrato di sorveglianza di Firenze), credo dunque non si possa prescindere dalla sua consultazione e dalla sua lettera per avere una visione davvero completa ed organica della

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materia. I numeri attuali, alla data del 15 aprile scorso, ci dicono che sono oltre 30mila le persone coinvolte in misure alternative, lavori di pubblica utilità, misure di sicurezza non detentive e sanzioni sostitutive. Più di 11.700 in affidamento in prova ai servizi sociali (che taluni hanno recentemente scoperto di esistere in relazione alle disavventure giudiziarie di un condannato eccellente…), oltre 10.150 in detenzione domiciliare, 4.800 in lavori di pubblica utilità e 3.102 in libertà vigilata, tanto per citare le cifre più significative. Ma chi può chiedere l’affidamento in prova o la semilibertà? Quali requisiti bisogna avere per accedere alla detenzione domiciliare o al lavoro all’esterno, alle sanzioni sostitutive e alla conversione delle pene pecuriare? E, soprattutto, qual è il procedimento davanti alla magistratura di Sorveglianza? Ne “I benefici penitenziari” c’è proprio tutto: aggiornato alle recenti leggi 9 agosto 2013, n. 94, e 21 febbraio 2014, n. 10, studiate per contrastare il sovraffollamento penitenziario, in esso trova approfondita disamina anche la recente sentenza della Corte costituzionale 26 febbraio 2014, n. 35, in materia di stupefacenti. Gli argomenti sono trattati con chiarezza e competenza e con il riferimento agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali più significativi e con decisioni di legittimità e merito, alcune delle quali inedite. Si tratta, dunque, di un libro estremamente utile non solo ad avvocati, magistrati e studenti ma soprattutto per tutti gli operatori penitenziari, sì da auspicarne l’utilizzo nei corsi di formazione ed aggiornamento professionale.

Jacques Deridda

LA PENA DI MORTE JACA BOOK Edizioni pagg. 352 - euro 30,00

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econdo gli ultimi dati di Amnesty International, aggiornati a marzo 2014, sono 98 i Paesi hanno abolito la pena di morte per ogni reato. 7 quelli che

l’hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra. 35 Paesi sono abolizionisti de facto poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte. In totale 140 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica. Cinquantotto i Paesi che mantengono in vigore la pena capitale, ma il numero di quelli dove le condanne a morte sono eseguite è molto più basso. Quello della pena capitale è un tema che spesso torna nei discorsi, specie quando si apprende la notizia di crimini efferati. Jacques Derrida, filosofo francese padre del decostruzionismo, era convinto che la pena di morte ha un tempo, il suo tempo infatti, il tempo della sua morte, verrà sicuramente. Nel decennale della sua morte, Jaca Book presenta il resoconto dei suoi seminari. In questo primo volume dedicato alla pena di morte sono messi in gioco, nell’imminenza di una sanzione irreversibile, i concetti problematici di sovranità, eccezione e crudeltà. Il libro percorre quattro figure paradigmatiche (Gesù, Socrate, Hallâj, Giovanna d’Arco) e testi canonici: la Bibbia, Camus, Beccaria, Locke, Kant, Hugo, e anche testi giuridici successivi alla seconda guerra mondiale. Cuore pulsante del seminario è riconoscere che le tesi filosofiche e giuridiche a favore o contro la pena di morte si sono appellate agli stessi principi: “non è sufficiente decostruire la morte stessa”. Si fa strada l’ipotesi che proprio la pena di morte obblighi a rimettere in discussione gli umanesimi filosofici, politici, teologici, economici che sostengono la nostra epoca. H

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l’ultima pagina

inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it

Gianni Simoni

TROPPO TARDI PER LA VERITA’ TEA Edizioni pagg. 264 - euro 12,00

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ello, spassoso, appassionante. Non delude l’ultima fatica di Gianni Simoni per i tipi di Tea edizioni. È notte fonda: un’auto lanciata a gran velocità per le strade di Brescia travolge un uomo, lasciandolo sull’asfalto senza vita e dileguandosi. Sembrerebbe un triste caso di omicidio colposo con omissione di soccorso, come anche i testimoni

oculari confermerebbero, ma il sovrintendente Armiento della Stradale non ne è convinto. Troppi particolari fuori posto: come mai la vittima non portava documenti con sé? Perché i due testimoni spariscono il giorno dopo l’incidente? Ad avvalorare i sospetti del poliziotto spunta, inatteso, un terzo testimone che, a distanza di qualche giorno,

rovescia tutte le ipotesi avanzate fino a quel momento. Si apre così una nuova linea d’indagine, per sospetto omicidio premeditato. Competenza della Omicidi, dove il commissario Miceli, reintegrato nelle sue funzioni a fianco del commissario titolare grazia Bruni, prende in mano il caso. Ma più gli inquirenti indagano, più le acque si fanno torbide, e dal passato di vittima, testimoni e indagati emerge un pantano di tradimenti, odio, gelosie, brame di vendetta, debiti di gioco e sospetti di bancarotta. Ancora una volta determinante nella soluzione del mistero sarà l’esperienza dell’ex giudice Petri, indispensabile compagno di avventure e insostituibile amico per il buon Miceli. H

il mondo dell’appuntato Caputo L’informazione che aiuta a superare i muri di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2014

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