Polizia Penitenziaria - Gennaio 2015 - n. 224

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Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002

anno XXII • n. 224 • gennaio 2015 www.poliziapenitenziaria.it

Collare d’Oro al Merito Sportivo alle Fiamme Azzurre



sommario www.poliziapeniten • gennaio 2015

300512 50-002 Roma aut. n. 1 comma 1 n.46/04 - art conv. in Legge

anno XXII • n. 224

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ziaria.it

anno XXII • numero 224 gennaio 2015

3 in A.P. DL n.353/0 S.p.A. Sped. Poste Italiane

Collare d’Oro al Merito Sportivo rre alle Fiamme Azzu

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In copertina: La Cerimonia al CONI per la consegna dei Collari d’Oro agli atleti del GS Fiamme Azzurre

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l’editoriale

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Vigilanza dinamica? Punto e a capo di Donato Capece

Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

il pulpito

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Ci vuole un fisico bestiale per dirigere il Dap

Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

di Giovanni Battista de Blasis

Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

il commento

Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme

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Il carcere e la radicalizzazione del fondamentalismo islamico di Roberto Martinelli

Redazione politica: Giovanni Battista Durante

lo sport

Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)

Premiati con il Collare d’Oro del CONI gli atleti delle FF.AA.

www.mariocaputi.it “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2014 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669

di Lady Oscar

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l’osservatorio di Giovanni Battista Durante

mondo penitenziario 20

di Sebastiano Ardita

Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)

crimini e criminali

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Erika e Omar i killer adolescenti

Finito di stampare: gennaio 2015

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Le ragioni di una Riforma La Memoria e gli uomini

Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994

Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

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Bisogna ritrovare la forza della ragione

e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza

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di Pasquale Salemme

Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:

POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza

Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.

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l’editoriale

Vigilanza dinamica? Punto e a capo Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

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adova, Saluzzo, Frosinone, Asti, Torino, Vigevano. Queste sono solo alcune delle carceri italiane nelle quali, in queste prime settimane del 2015, si sono registrate gravi e intollerabili aggressioni a poliziotti penitenziari. La situazione nelle nostre carceri resta dunque allarmante, nonostante si sprechino dichiarazioni tranquillizzanti circa il superamento dell’emergenza penitenziaria: la realtà però è un’altra: i nostri poliziotti continuano ad essere aggrediti senza alcun motivo o ragione.

della Polizia Penitenziaria di spray anti aggressione, recentemente assegnato a Polizia di Stato e Carabinieri. Ma al Governo Renzi chiediamo anche azioni efficaci e concrete che favoriscano l’espulsione dei detenuti stranieri presenti in Italia, che sono spesso tra i protagonisti di queste assurde e vigliacche aggressioni ai Baschi Azzurri. E’ sintomatico che negli ultimi dieci anni ci sia stata un’impennata dei detenuti stranieri nelle carceri italiane, che da una percentuale

Eventi del genere sono ormai all’ordine del giorno e a rimetterci è sempre e solo il Personale di Polizia Penitenziaria. Il SAPPE non può far altro che continuare ad esprimere solidarietà al personale coinvolto e augurare loro una veloce guarigione. Ma va anche detto - con fermezza! che queste aggressioni sono intollerabili ed inaccettabili. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite... Non è un caso che il SAPPE da tempo sollecita le istituzioni competenti per dotare anche le donne e gli uomini

media del 15% negli anni ‘90 sono passati oggi ad essere quasi il 35%. E allora fare scontare agli immigrati, condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile, la pena nelle carceri dei Paesi d’origine può anche essere un forte deterrente nei confronti degli stranieri che delinquono in Italia. Ma il dato oggettivo è un altro: le espulsioni di detenuti stranieri dall’Italia sono state fino ad oggi assai contenute: 896 nel 2011, 920 nel 2012 e 955 nel 2013, soprattutto verso Albania, Marocco, Tunisia e Nigeria. Si deve allora superare il paradosso

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ipergarantista che oggi prevede il consenso dell’interessato a scontare la pena nelle carceri del Paese di provenienza. In Italia ci sono 53.623 detenuti: ben 17.462 (quasi il 35 per cento del totale) sono stranieri, con una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. Espellere gli stranieri detenuti in Italia, dunque. Ma non solo. Va rivista l’organizzazione penitenziaria degli istituti e la fantomatica ‘vigilanza dinamica’. E’ sbagliato tenere tutta la giornata aperti i detenuti per farli rientrare nelle loro stanze solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione. Il SAPPE si batte da tempo contro questa improvvida soluzione che si ritiene assolutamente destabilizzante per le carceri italiane e confida che il nuovo Capo del DAP Santi Consolo si convinca dell’inutilità di una soluzione di questo tipo se ad essa non è associato l’obbligo del lavoro per tutti i detenuti. Tutto questo per garantire, nelle carceri italiane, ordine e sicurezza. E , soprattutto, per tutelare l’incolumità personale dei nostri eroici poliziotti penitenziari. H


il pulpito

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Ci vuole un fisico bestiale per dirigere il Dap

A Roma spadroneggia un piccolo gruppo di padreterni, i quali si sono persuasi, insieme con qualche ministro, di avere la sapienza infusa nel vasto cervello.” Per quanto difficile da credere, queste non sono parole mie indirizzate verso il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma una reprimenda scritta da Luigi Einaudi (futuro Presidente della Repubblica) sulle pagine del Corriere della Sera nel febbraio del 1919. Nello stesso articolo, Einaudi, aggiunge più avanti: “Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi [...] persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli [...]. Troppo a lungo li abbiamo sopportati. I Professori ritornino ad insegnare, i Consiglieri di Stato ai loro pareri, i militari ai reggimenti e, se passano i limiti di età, si piglino il meritato riposo.” Davvero inverosimile, quasi impossibile, credere che non si tratti della dirigenza del Dap degli anni duemila. Eppure, cento anni dopo quell’incredibile j’accuse di Einaudi nei confronti di “...un piccolo gruppo di padreterni che spadroneggia a Roma”, sembra quasi di ritrovare, al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la stessa speculare situazione del primo dopoguerra italiano. Infatti, nonostante il piccolo venticello che si è portato via il vecchio gruppo dirigente (quello che ha cavalcato la tigre di carta della riforma: Di Somma, Ragosa, Culla, Sparacia, Zaccagnino, ...), al Dipartimento sono rimasti parecchi capetti saldamente incollati alle stesse poltrone da più di dieci anni (e in qualche caso addirittura più di venti). Questa stirpe eletta, in maggior parte direttori penitenziari, ma anche educatori, ragionieri, assistenti sociali, ufficiali a esaurimento, è veramente

“persuasa di avere la sapienza infusa nel vasto cervello” (come stigmatizzava Einaudi) tant’è che ha orientato, nel bene e nel male, la politica penitenziaria (soprattutto quella sulla gestione del personale) degli ultimi vent’anni. Chi all’Ufficio del Bilancio, chi nella Segreteria Generale, chi all’Ente di Assistenza, chi alle Relazioni Esterne, all’Ufficio Stampa o alle Relazioni Sindacali; chi alle Assunzioni del Personale, chi agli Avanzamenti in Carriera o all’Ufficio Amministrativo e chi, infine, ha trovato il proprio habitat naturale nelle segreterie dei vertici: capi, vice capi o direttori generali. Tra l’altro, questa pletora di pezzi grossi si divide, perlopiù, in due categorie: gli Esperti, che sono quelli che conoscono tante cose su un numero ristretto di persone, e i Manager, che sono quelli che conoscono poche cose su un gran numero di persone. Tuttavia, col passare del tempo gli Esperti, a forza di conoscere ancora più cose su un numero sempre più piccolo di persone, hanno finito per sapere tutto su niente e i Manager, a forza di conoscere ancora meno cose su un numero sempre più grande di persone, hanno finito per non sapere niente su tutto. Proprio questi qui, dunque, sono i padreterni penitenziari del duemila. Sono loro gli avversari più pericolosi dei nuovi vertici dell’amministrazione penitenziaria, che non si potranno neppure avvalere di un who’s who penitenziario per sapere e conoscere ogni cosa dei propri dirigenti (ad esempio chi sono, da dove vengono, da quanto tempo sono al Dap e quello che hanno fatto o non fatto nella loro carriera). Dalla partita contro questi padreterni dipenderà il futuro della gestione Consolo/Palma.

Se i due dovessero riuscire a vincere la resistenza di siffatta potente burocrazia autoreferenziale, per l’amministrazione penitenziaria potrebbe arrivare una nuova stagione riformista dell’esecuzione penale se, invece, dovessero perdere il confronto, le cose rimarrebbero così come sono e loro verrebbero fagocitati dal sistema, nell’illusione di esser diventati anch’essi padreterni. Non sono certo io in grado di dare consigli a chi dirige il Dap, però un suggerimento mi sento di sussurrarlo:

per vincere questa battaglia, potrebbe funzionare la tattica suggerita da Einaudi: “ [...] I Direttori ritornino a dirigere le carceri, gli Educatori ad educare, gli Assistenti Sociali ad assistere, i Ragionieri alla contabilità carceraria, e, se passano i limiti di età, si piglino il meritato riposo.” La (mia) speranza è l’ultima a morire e perciò spero che Consolo e Palma abbiano davvero “un fisico bestiale” perché, come cantava Luca Carboni: “[...] ci vuole il fisico e il carico e il manico ... ci vuole di non farsi prendere dal panico ...” H

Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Nella foto: Caputo e il DAP

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Nella foto: la bandiera dell’Isis

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il commento

Il carcere e la radicalizzazione del fondamentalismo islamico acuirsi delle tensioni sul fronte della radicalizzazione del fondamentalismo islamico in Europa, con gli attacchi terroristici a Parigi e Bruxelles e le decine di morti, impone una seria riflessione. Innanzitutto, di carattere generale, poi più direttamente connessa al nostro ambiente professionale. Dopo Charlie Hebdo e la sparatoria di Bruxelles, la caccia ai terroristi in tutta Europa suscita allarmi e timori per il rischio di nuovi attentati. Una minaccia che in Italia è ancora generica ma credibile, possibile ma non si sa se probabile. La terribile strage di Parigi e l’attacco omicida di Bruxelles confermano i reali pericoli per la sicurezza nazionale che anche il nostro Paese corre per le minacce del fondamentalismo integralista e il terrorismo internazionale. E per assicurare e garantire la sicurezza nazionale, anche nelle sue articolazioni periferiche, non si possono ridurre mezzi e risorse alle Forze di Polizia e dell’Ordine. Altro che spending review, che chiude uffici e caserme e riduce i livelli di sicurezza delle nostre città e del territorio nazionale: questa scelta, sbagliata e da noi fermamente contestata, ha gravi ripercussioni sull’efficienza dei servizi di sicurezza e di soccorso pubblico.

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E allora basta tagli alla sicurezza, che ormai è al collasso. Chiediamo ancora una volta al Governo di tagliare gli sprechi ma non la sicurezza. Quel che è accaduto in Francia e in Belgio conferma che non si può e non si deve mai abbassare la guardia. Eppure, con sei miliardi di tagli che i vari Governi Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi hanno operato dal 2008 ad oggi, i cittadini sono meno sicuri perché ci sono meno poliziotti a controllare le loro case e i quartieri, meno poliziotti penitenziari nelle carceri a fronte di un aumento dei detenuti, meno forestali contro le agromafie e le ecomafie per la tutela dell’ambiente, meno vigili del fuoco a difenderci da disastri e calamità, a garantire sicurezza e soccorso

pubblico. A queste considerazioni di carattere generale, vanno aggiunte quelle più attinenti a noi, al nostro lavoro. Anche il carcere è luogo sensibile, da monitorare costantemente, per scongiurare pericolosi fenomeni di proselitismo del fondamentalismo islamico tra i detenuti presenti in Italia. La Polizia Penitenziaria, attraverso gruppi selezionati e all’uopo preparati, monitora costantemente la situazione, ma non dimentichiamo che oggi è ancora significativamente alta la presenza di detenuti stranieri in Italia. Rispetto agli oltre 53.600 presenti alla data del 31 dicembre scorso, ben 17.462 erano stranieri e di questi circa 8mila di Paesi del Maghreb e dell’Africa.


il commento Indagini condotte negli istituti penitenziari di alcuni paesi europei tra cui Italia, Francia e Regno Unito hanno rivelato l’esistenza di allarmanti fenomeni legati al radicalismo islamico, che anche noi come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria abbiamo denunciato in diverse occasioni. Tra questi fenomeni, vi è la radicalizzazione di molti criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, i quali, pur non avendo manifestato nessuna particolare inclinazione religiosa al momento dell’entrata in carcere, sono trasformati gradualmente in estremisti sotto l’influenza di altri detenuti già radicalizzati. Un po’ come accadde ai tempi del terrorismo, quando la consistente detenzione di molti terroristi – in particolare delle Brigate Rosse – portò delinquenti comuni ristretti in carcere ad ‘abbracciare’ la lotta armata in carcere. Un saggio contenuto in un interessante quaderno formativo dell’ISPP dedicato alla radicalizzazione del terrorismo islamico e al suo

Un altro canale di radicalizzazione e rappresentato dai “detenuti carismatici di matrice radicalreligiosa”. Questo orientamento e portato avanti da una molteplicità di fattori quali, la carenza di imam nelle carceri nonché il desiderio dei detenuti di esercitare una certa influenza. Un terzo percorso per avere proseliti jihaidisti, avviene attraverso l’utilizzo di mezzi di comunicazione estremista che circolano tra la popolazione detenuta in forma di letteratura o video: si pensi, per esempio ai video in favore di Bin Laden, oppure alla letteratura di matrice radicale. A queste considerazioni si aggiunga che, nel periodo giugno-settembre 2004, l’Ufficio per l’Attività Ispettiva e del Controllo dell’Amministrazione Penitenziaria ha effettuato un primo monitoraggio, teso a verificare la possibilità e le modalità d’incontro, sia di natura casuale (rientrante nella normale vita d’Istituto) sia quelli finalizzati alla professione della fede religiosa, costituzionalmente garantita, il cui

proselitismo in carcere ha evidenziato che uno dei modi in cui, in prigione, avviene il processo di radicalizzazione e attraverso sermoni anti-americani diffusi da imam, volontari, ecc. Un imam estremista, infatti, può avere una forte influenza sulla fede individuale in quanto parla di questioni religiose in veste di autorità. Potenzialmente, un imam può guidare gli individui vulnerabili in ambienti sempre più estremisti.

esito ha permesso di venire a conoscenza che il carcere rimarcava fedelmente la realtà geografica strutturale esterna. E le regioni con una maggiore concentrazione di ristretti musulmani sembravano essere quelle del Nord e la Campania o comunque altre località le cui realtà esterne rilevavano una forte presenza della comunità islamica rappresentata da centri islamici e Moschee.

Questo fa comprendere il gravoso compito affidato alla Polizia Penitenziaria di monitorare costantemente la situazione nelle carceri per accertare l’eventuale opera di proselitismo di fondamentalismo islamico nelle celle, anche alla luce dei tragici fatti di Parigi. Ma per fare questo, servono anche fondi per la formazione e l’aggiornamento professionale dei poliziotti penitenziari nonché per ogni utile supporto tecnologico di controllo, fondi che in questi ultimi anni sono stati invece sistematicamente ridotti e tagliati dai Governi che si sono via via succeduti alla guida politica del Paese. E questi soldi per la formazione e l’aggiornamento professionale vanno trovati, e in fretta. Quel che è successo nella Casa di Reclusione di Padova nei primi giorni del 2015, con la sollevazione dei detenuti arabi che hanno inneggiato ad Allah e alla guerra santa dell’Isis durante una protesta in carcere, conferma che non c’è tempo da perdere... H

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Nelle foto: momenti di preghiera in carcere e in piazza

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lo sport

La cerimonia del Collare d’Oro Premiati al CONI gli atleti delle Fiamme Azzurre Lady Oscar rivista@sappe.it

onferito al termine di un’attenta valutazione da parte della Commissione Benemerenze Sportive del CONI, il Collare d’Oro al Merito Sportivo è in assoluto il riconoscimento istituzionale/agonistico più importante a cui possono ambire: un atleta di alto profilo che abbia conseguito risultati o titoli stabiliti da parte della Giunta Nazionale del CONI; una personalità sportiva (già in possesso della “Stella d’Oro al Merito Sportivo”) che abbia per oltre quarant’anni onorato lo sport italiano; le società sportive che abbiano un’anzianità di costituzione di almeno cent’anni e che siano in attività al momento della proposta di concessione dell’Onorificenza (a cui sia stata già conferita la “Stella d’Oro al Merito Sportivo” ed i cui atleti abbiano vinto titoli in campo internazionale e nazionale. Insieme all’Onorificenza attribuita viene rilasciato all’assegnatario un Diploma attestante l’avvenuta concessione con l’indicazione del nome, della data di rilascio e del numero d’ordine. La Stella al Merito Sportivo, altra benemerenza a cui può ambire chi opera nello sport con lunga militanza

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Nelle foto: in alto la presentazione della cerimonia da parte del Presidente del CONI Giovanni Malagò a fianco il Collare d’Oro sotto la platea

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e tangibile valore, ha invece tre gradi (oro, argento e bronzo). E’ stata istituita il 20 dicembre 1933 per premiare i presidenti di federazioni sportive che più si erano distinti in affermazioni di carattere internazionale nel corso del biennio precedente. L’assegnazione fu successivamente estesa anche ai fascisti, corpi armati ed enti che avevano svolto lodevole attività sportiva . Oggi viene concessa: alla bandiera di enti sportivi che con continuata e meritoria azione nel campo della promozione e della attività agonistica abbiano contribuito a diffondere e ad


lo sport

onorare lo sport nel paese; a personalità sportive che abbiano lungamente servito lo sport con opere di segnalato impegno e positività di intenti; a personalità sportive straniere che abbiano operato in favore dello sport italiano. Entrambi i riconoscimenti costituiscono dunque il massimo sigillo di carattere istituzionale riconosciuto dal CONI ad atleti e società militanti. In occasione della solenne cerimonia di consegna dei Collari d’Oro e delle Stelle al Merito Sportivo 2014, il 15 dicembre scorso, un posto nell’olimpo dei più meritevoli è stato riservato proprio alle Fiamme Azzurre: Stella d’Oro al Merito Sportivo per la società della Polizia Penitenziaria e cinque suoi atleti insigniti del Collare d’Oro. Se i Collari d’Oro hanno premiato Clemente Russo, Giovanni Pellielo, Silvia Marangoni, Anna Cappellini e Luca Lanotte per i titoli mondiali conquistati nelle rispettive discipline agonistiche di appartenenza nel corso del 2013 (pugilato, tiro a volo,

pattinaggio a rotelle, pattinaggio su ghiaccio), la Stella d’Oro per le Fiamme Azzurre è il riconoscimento tangibile di una leadership affermatasi sul campo, con il lavoro silenzioso e la passione di quanti hanno contribuito a quei risultati senza apparire mai sulla scena, ma credendoci fermamente. Nella aulica cornice del Salone d’onore del CONI, alla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del sottosegretario Graziano Delrio, il Presidente Giovanni Malagò ha aperto la giornata di celebrazioni con un messaggio di ringraziamento a tutte le componenti della grande famiglia dello sport: «Siamo orgogliosi di festeggiare tanti campioni che, con i loro successi ed il loro esempio consentono al Paese di mostrare il volto vincente». Andrea Fusco, conduttore dell’evento con l’aiuto di due “spalle” come Alex Zanardi e Federica Pellegrini, ha poi introdotto il premier Matteo Renzi, che in diretta rai ha lanciato la sfida del CONI e del Governo a sua guida affinchè l’Italia si giochi la partita più importante: la candidatura ai Giochi

Olimpici Estivi del 2024. «Saremo accanto al CONI perché da qui al settembre del 2015 l’Italia presenti la propria candidatura ai Giochi Olimpici del 2024» è stato l’annuncio del premier che ha di fatto rilanciato il ruolo del nostro Paese come organizzatore di un grande evento a cinque cerchi dopo i giochi olimpici invernali di Torino 2006.. Subito dopo è iniziata la cerimonia di consegna delle onorificenze. L’elenco degli insigniti comprendeva in tutto 18 atleti, 7 uomini di sport, 21 tra società e gruppi sportivi militari ed un Comitato Regionale. H

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Nelle foto: a destra Malagò e Renzi a sinistra le autorità intervenute

Collare d’Oro al Merito Sportivo Atleti Ciclismo: Vincenzo Nibali, Vincitore del Tour de France 2014 Pugilato: Giacobbe Fragomeni , Campione Mondiale 2012- WBC Pesi Massimi Leggeri Clemente Russo, Campione Mondiale 2013 - Dilettanti 91 Kg a sinistra gli atleti premiati a destra la consegna del Collare d’Oro a Clemente Russo

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10 Nelle foto: la consegna del Collare d’Oro agli atleti delle Fiamme Azzurre a destra Silvia Marangoni

lo sport Collare d’Oro al Merito Sportivo Scherma: Arianna Errigo, Campionessa Mondiale 2014 - Fioretto Individuale Rossella Fiamingo, Campionessa Mondiale 2014 - Spada Individuale Sport Del Ghiaccio Anna Cappellini Campionessa Mondiale 2014 - Danza su Ghiaccio Luca Lanotte Campione Mondiale 2014 - Danza su Ghiaccio

sopra Luca La Notte e Anna Cappellini sotto Giovanni Pellielo a destra il Gonfalone del Gruppo Sportivo della Polizia Penitenziaria

Tennis: Roberta Vinci, Vincitrice del Grand Slam Wimbledon 2014 Doppio Vincitrice della Fed Cup 2013 Flavia Pennetta, Vincitrice della Fed Cup 2013 Francesca Schiavone, Vincitrice della Fed Cup 2013 Tiro a Segno Petra Zublasing, Campionessa Mondiale 2014 - Carabina 10 Metri Tiro a Volo: Giovanni Pellielo, Campione Mondiale 2013

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Jessica Rossi Campionessa Olimpica 2012 Campionessa Mondiale 2013 Fossa Olimpica Individuale

Sport Paralimpici Assunta Legnante, Campionessa Paralimpica 2012 Atletica LeggeraGetto del Peso Hockey e Pattinaggio: Silvia Marangoni, Vincitrice di 10 Titoli Mondiali tra il 2002 e il 2013 - Pattinaggio Artistico In Line Motociclismo: Antonio Cairoli, Campione Mondiale 2014 - Motocross Kiara Fontanesi Campionessa Mondiale 2014 - Motocross Motonautica: Alex Carella, Vincitore di 3 Titoli Mondiali anni 2011-2012-2013 - F1

Collare d’Oro al Merito Sportivo

Collare d’Oro al Merito Sportivo

GRUPPI SPORTIVI MILITARI - 2014 Gruppo Sportivo Forestale Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre Polizia Penitenziaria Gruppo Sportivo Marina Militare Centro Sportivo Aeronautica Militare

Società 2012: Tiro a Segno Nazionale Sezione di Parma A.S.D. Società Dilettantistica Ginnastica “Francesco Petrarca” 1877 Fratellanza Ginnastica Savonese A.S.D. - Società Canottieri Lario “Giuseppe Sinigaglia” A.S.D. - Società Canottieri Lecco A.S.D. Società 2013: Tiro a Segno Nazionale Sezione di Bari A.S.D. - Società Ginnastica Fortitudo A.S.D. - Società Canottieri Milano A.S.D. Unione Ciclisti Trevigiani A.S.D. Fanfulla 1874 A.S.D. di Ginnastica e Scherma. Società e Gruppi Sportivi Militari 2014: Circolo Canottieri Napoli A.S.D. - Club Scherma Jesi, Gruppi Sportivi Fiamme Gialle, Centro Sportivo Carabinieri - Gruppi Sportivi della Polizia di Stato Fiamme Oro - Centro Sportivo Esercito.

Collare d’Oro al Merito Sportivo

Stella d’Argento al Merito Sportivo

Uomini di Sport Luca Cordero di Montezemolo Giacomo Agostini , Alfredo Martini “Alla Memoria”

GRUPPI SPORTIVI MILITARI - 2014 Gruppo Sportivo Vigili del Fuoco Fiamme Rosse

Stella d’Oro al Merito Sportivo Pier Luigi Marzorati, Gugliemo Moretti Bruno Pizzul, Tito Stagno

Premio al vincitore del Trofeo Coni 2014 Comitato Regionale Lazio H


l’osservatorio fatti di Parigi e le atrocità dell’ISIS, fatte di teste tagliate, donne giustiziate solo per aver guardato un uomo per strada, bambini decapitati o usati come killer, hanno riportato alla ribalta il problema dell’integralismo islamico. Un problema che una parte della politica ha sottovalutato, sostenuta spesso da un certo intellettualismo che, in nome di una pseudo integrazione, è giunto a disconoscere anche i valori fondanti della nostra civiltà e della nostra cultura. Tutto questo è potuto accadere perché la nostra nazione, al contrario di altre, non è stata fondata su valori condivisi da tutti, ma, al contrario, tutti si dividono su tutto; la sicurezza divide, la religione divide, la giustizia divide e via dicendo. Diversamente da quanto invece avviene in altri paesi, dove alcuni valori sono patrimonio della nazione e di tutti i cittadini. In Italia c’è chi è arrivato a sostenere che dobbiamo togliere il crocifisso dai luoghi pubblici, perché offende il sentimento religioso degli altri credenti. Abbiamo consentito e consentiamo alle donne di girare col burqua, quando il testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza vieta di girare con il volto coperto. Tutto questo in nome della civiltà, ma questa non è civiltà. A proposito di civiltà, l’ex premier australiano John Howard, attuale capo del partito liberale, pare abbia detto in uno dei suoi interventi: “Gli immigrati non australiani devono adattarsi. Prendere o lasciare, sono stanco che questa nazione debba preoccuparsi di sapere se offendiamo alcuni individui o la loro cultura. La nostra cultura si è sviluppata attraverso lotte, vittorie, conquiste portate avanti da milioni di uomini e donne che hanno ricercato la libertà. La nostra lingua ufficiale è l’inglese, non lo spagnolo, il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese, o qualsiasi altra lingua. Di conseguenza, se desiderate far parte della nostra società, imparate la lingua! La maggior parte degli australiani crede in Dio. Non si tratta di obbligo di cristianesimo, d’influenza della destra o di pressione politica, ma è un fatto, perché degli uomini e delle donne hanno fondato questa nazione su dei principi cristiani e questo è ufficialmente insegnato. E’ quindi appropriato che

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Bisogna ritrovare la forza della ragione questo si veda sui muri delle nostre scuole. Se Dio vi offende, vi suggerisco allora di prendere in considerazione un’altra parte del mondo come vostro paese di accoglienza, perché Dio fa parte della nostra cultura. Noi accetteremo le vostre credenze senza fare domande. Tutto ciò che vi domandiamo è di accettare le nostre, e di vivere in armonia pacificamente con noi. Questo è il nostro Paese, la nostra terra e il nostro stile di vita. E vi offriamo la possibilità di approfittare di tutto questo, ma se non fate altro che lamentarvi, prendervela con la nostra bandiera, il nostro impegno, le nostre credenze cristiane o il nostro stile di vita, allora vi incoraggiamo fortemente ad approfittare di un’altra grande libertà australiana, il diritto ad andarvene. Se non siete felici qui, allora partite. Non vi abbiamo forzati a venire qui, siete voi che avete chiesto di essere qui. Allora rispettate il nostro Paese che vi ha accettati.” Tutto questo mi è stato inviato nei giorni scorsi, prima che scrivessi questo articolo, da un amico su whatsapp, non so se effettivamente corrisponda in tutto o in parte al pensiero dell’ex premier australiano, ma ne ho fatto parte integrante del mio articolo perché lo condivido integralmente. Ne condivido ogni passaggio, perché ritengo che questa sia la vera civiltà, non quella sbandierata da pseudo intellettuali che per il solo fatto di non credere in alcuni valori, comunque fondanti della nostra cultura e della nostra civiltà, sono pronti a sostenere le ragioni del primo venuto, il quale, magari, dopo un po’ sgozza la figlia perché veste all’occidentale, oppure pretende che venga tolto il crocifisso dalle scuole e dagli altri uffici pubblici. In questi giorni, dopo la strage di Parigi, sono tornati alla ribalta gli scritti di Oriana Fallaci, della quale riportiamo alcuni passaggi. “Sono anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare «Troia brucia, Troia

brucia». Anni che ripeto al vento la verità sul Mostro e sui complici del Mostro cioè sui collaborazionisti che in buona o cattiva fede gli spalancano le porte. Che come nell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna. Incominciai con La Rabbia e l’Orgoglio . Continuai con La Forza della Ragione . Proseguii con Oriana Fallaci intervista sé stessa

e con L’Apocalisse. I libri, le idee, per cui in Francia mi processarono nel 2002 con l’accusa di razzismoreligioso e xenofobia. Per cui in Svizzera chiesero al nostro ministro della Giustizia la mia estradizione in manette. Per cui in Italia verrò processata con l’accusa di vilipendio all’Islam cioè reato di opinione. Libri, idee, per cui la Sinistra al Caviale e la Destra al Fois Gras ed anche il Centro al Prosciutto mi hanno denigrata vilipesa messa alla gogna insieme a coloro che la pensano come me. Cioè insieme al popolo savio e indifeso che nei loro salotti viene definito dai radical-chic «plebaglia-di-destra». E sui giornali che nel migliore dei casi mi opponevano farisaicamente la congiura del silenzio ora appaiono titoli composti coi miei concetti e le mie parole. Guerra-all’Occidente, Culto-della-Morte, Suicidiodell’Europa, Sveglia-Italia-Sveglia. Continua la fandonia dell’Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da

Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Nella foto: Oriana Fallaci

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giustizia minorile

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Nella foto: la copertina del libro di Cira Stefanelli

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un’esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be’, il nemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all’occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inseritonel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l’automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in blue jeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Un nemico che in nome dell’umanitarismo e dell’asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della «necessità» (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l’Olimpo Costituzionale. «Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi». Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all’imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l’Eurabia sicché per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l’esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca...” Sono argomentazioni molto forti quelle di Oriana Fallaci, i cui scritti sono stati pubblicati dopo l’attacco alle torri gemelle, sono argomenti che dividono e non uniscono, che indignano sicuramente quei pseudo intellettuali di cui si diceva poc’anzi. Ma sono argomenti che contengono molte verità e su cui si sarebbe dovuto riflettere in maniera più attenta. H

Corso di specialista nel trattamento di detenuti minorenni e ultime notizie avute da fonti del Dipartimento Giustizia Minorile ci dicono che il Corso di Specialista nel trattamento dei detenuti minorenni continuerà presumibilmente fino al 2016. Da un conteggio fatto a dicembre 2014, risulta che sarebbero rimasti da formare poco più di 300 poliziotti penitenziari divisi in 8 o 9 moduli. Il restante personale di Polizia Penitenziaria, appartenente al Corpo da meno di cinque anni, qualora intendesse conseguire la specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni, potrà partecipare (previa ammissione mediante selezione per titoli) ad un corso articolato in moduli didattici di carattere teorico e pratico riguardanti gli aspetti normativi, deontologici e educativi. Detto corso avrà la durata di tre mesi. Nel suo aspetto pratico, è previsto un tirocinio di durata non inferiore a un terzo del percorso formativo ( un mese circa) sul posto di servizio, in affiancamento nei servizi minorili. Al termine del corso è inoltre prevista una prova di verifica in forma scritta e orale tendente ad accertare l’apprendimento delle competenze specifiche per il settore minorile. Si evidenzia che lo Specialista nel Trattamento dei detenuti minorenni, per la specificità delle funzioni di sicurezza e trattamento, deve possedere: • attitudine e soprattutto una personalità equilibrata e corretta dal punto di vista deontologico in linea con le nuove teorie psico/pedagogiche. La qualità dei rapporti che deve instaurare rappresenta una condizione imprescindibile per la

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buona riuscita dei progetti educativi elaborati per i minorenni; • capacità di saper valutare in ogni momento le molteplici situazioni ed avvenimenti che possono incidere positivamente o negativamente sul processo evolutivo del minore detenuto. Per concludere, ricordiamo che i lavori svolti nei primi moduli all’Istituto Centrale di Formazione, diretti dalla dottoressa Cira Stefanelli, hanno portato alla realizzazione di una pubblicazione intitolata “Fare Sicurezza e Trattamento”, una serie di spunti tratti dal Corso di formazione di specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni. Il testo molto chiaro e ben organizzato chiarisce ancora una volta che la Polizia Penitenziaria costituisce una risorsa preziosa ed imprescindibile per il sistema penale. H Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile


diritto e diritti

Rimborso spese di viaggio per assegnazione di prima nomina aro Sappe, sono un assiduo sostenitore del sindacato e della rivista che seguo mensilmente con attenzione per i preziosi contributi. Di recente sono stato assegnato in prima nomina di vice ispettore (famoso concorso pubblico a 271 posti del 2003 – già appartenente all’amministrazione) presso un istituto penitenziario del nord. Avendo fatto il corso di formazione presso la S.F.A.P.Pe di Aversa ho richiesto il rimborso delle spese di viaggio. A tal proposito, preciso che ho utilizzato l’automobile personale per raggiungere la nuova sede e ho avanzato richiesta di rimborso dell’equivalente del prezzo del treno. Tuttavia, il direttore amministrativo contabile dell’istituto sostiene che non mi compete il rimborso perché si tratta di prima nomina e quindi non può essere considerato servizio di missione. Inoltre, lo stesso ha precisato che comunque non spetterebbe perché è ammesso il rimborso spese, solo su presentazione del biglietto di viaggio in originale, in quanto non è applicabile l’art. 13 del DPR 51/2009 poiché relativo al solo personale in missione. Vorrei conoscere il vs. parere. Ringrazio anticipatamente.

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aro collega e pari corso, il rimborso delle spese di viaggio compete perché previsto dall’art. 29 della Legge 836/73 che prevede “a coloro che conseguono la nomina a posto retribuito a carico del bilancio dello Stato, spetta il solo rimborso delle spese di viaggio sostenute per raggiungere la sede di servizio, purché questa sia diversa dalla località di residenza”.

Pertanto, dal tenore della norma si evince chiaramente, senza alcun dubbio interpretativo, che il rimborso delle spese di viaggio compete di diritto nel solo caso in cui la sede di servizio è diversa della località di residenza del dipendente pubblico. Rispetto alla presentazione del biglietto di viaggio in originale, quale attestazione delle spese effettivamente sostenute, è necessario fare alcune doverose premesse: in primis è opportuno sottolineare che i soggetti ammessi a frequentare il corso di formazione, già appartenenti all’amministrazione o meno, sono posti in carico amministrativamente presso il Centro Amministrativo “Giuseppe Altavista” e la sede effettiva di servizio corrisponde con la Scuola di Formazione ed Aggiornamento del Personale Penitenziario di frequentazione dell’apposito corso di formazione. Considerato che la nomina a vice ispettore si consegue a seguito del giuramento e l’assegnazione in prima nomina avviene dopo tale data è palese che la prima nomina è in capo ad un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria. Inoltre, tenuto conto che i neo vice ispettori sono stati muniti di foglio di marcia, che disponeva il raggiungimento nella sede di

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Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it

assegnazione in prima nomina si configura un servizio fuori dall’originaria sede di servizio (S.F.A.P.Pe.), ovvero, prestazione analoga al servizio di missione sempre che l’individuata sede di servizio sia diversa dalla località di residenza (1) dell’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria. Tra l’altro, anche la Legge 18 dicembre 1973, n. 836 (GU n.333 del 29-12-1973 - Suppl. Ordinario) è relativa al “Trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali”. Pertanto, trova applicazione in questo caso, cioè nel raggiungimento della prima sede di servizio, quanto previsto dall’art. 13, comma 1, del DPR 51/2009 (“… è rimborsata una somma nel limite del costo del biglietto ferroviario”). H Nota (1) Al riguardo, va precisato che la residenza anagrafica dell’interessato può non corrispondere con l’abituale dimora (luogo dove abita il nucleo familiare). Si precisa, altresì, che non è considerata dimora la località dove risiede la famiglia originaria del dipendente, benché vi trascorra i fine settimana, le festività o le ferie.

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dalle segreterie Lecce Befana di solidarietà dei Sindacati

rivista@sappe.it

artedì 6 gennaio 2015 in piazza Sant’Oronzo a Lecce, i rappresentanti delle OO.SS. Sindacato Autonomo di Polizia SAP, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il Sindacato

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Autonomo Corpo Forestale dello Stato SAPAF, il Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco CONAPO, il Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria SINAPPE, l’Associazione Famiglie Italiane Associate per la difesa dei Diritti degli Audiolesi F.I.A.D.D.A. Onlus Lecce e le Associazione Onlus Cuore e Mani aperte verso chi soffre, con l’adesione al Progetto Cuore Amico,

Sulmona Cerimonia per la donazione alla comunità di Roccacasale di un quadro raffigurante il beato Fra Mariano

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organizzatrici della giornata di solidarieà, hanno incontrato i cittadini per illustrare l’ iniziativa. Sono stati informati ed invitati Organi Istituzionali della Provincia e del Comune di Lecce, nonché rappresentanti politici locali. Ha partecipato all’iniziativa leccese il Segretario Nazionale del SAP Francesco Pulli. H

on una solenne cerimonia religiosa, la comunità di Roccacasale (AQ), ha accolto l’immagine del beato Mariano da Roccacasale. Il quadro dipinto da un detenuto ristretto nella Casa di Reclusione di Sulmona, è giunto nel paese della Valle Peligna, dietro l’interessamento di un nostro collega, Sabatino De Rosa, originario proprio del paese abruzzese. La causa del beato Mariano da Roccacasale, al secolo Domenico Di Nicolantonio, religioso italiano dell'Ordine dei Frati Minori, nato a

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dalle segreterie

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Padova La Polizia Penitenziaria consegna i regali ai bambini ricoverati nell’ospedale cittadino

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nche il personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa di Reclusione di Padova, in occasione delle festività natalizie di fine anno, si è tolto la divisa per indossare l’abito di Babbo Natale e portare attimi di gioia e serenità ai bambini presenti nei reparti di pediatria e oncologia dell’ospedale di Padova. L’iniziativa è stata presa dagli Assistenti Capo Filippo Saladino, Francesco Diresi e Gabriele Preziosi che hanno promosso una colletta fra tutti i colleghi della Casa di Reclusione di Padova raccogliendo 1.000 euro da destinare all’iniziativa. Dopo aver contattato e avuto il nulla osta organizzativo e sanitario, i giorni 11 e 19 dicembre 2014, si sono recati presso detti reparti per regalare a tutti i bambini momenti di gioia, spensieratezza e, per un attimo, far dimenticare di essere dei piccoli

Roccacasale il 13 gennaio 1778, fu introdotta il 12 dicembre 1895. Il 3 maggio 1923 papa Pio XI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sulle virtù eroiche del frate, riconoscendogli il titolo di venerabile. Nel 1998 la Santa Sede ha riconosciuto l'autenticità di un miracolo attribuito all'intercessione del venerabile Mariano (la guarigione, avvenuta nel 1918, di un bambino di quindici mesi da una meninge-encefalite acuta). Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 3 ottobre 1999 in Piazza San Pietro a Roma. Il suo elogio si legge nel Martirologio romano al 31 maggio, giorno della sua morte avvenuta a Bellegra (RM). H

rivista@sappe.it

pazienti e prendersi una pausa dalle “sfide” intraprese con la vita già in tenera età. Con i mille euro raccolti, si sono comprati giocattoli e libri e, in compagnia di Babbo Natale e di due clown, figure queste sempre amate dai bambini, i nostri colleghi, hanno incontrato i piccoli e donato loro il materiale acquistato. Questa bellissima iniziativa, alla quale la Segreteria Nazionale SAPPe per il coordinamento del Triveneto si associa totalmente ed è intenzionata a ripetere in futuro, potrebbe essere ancora migliorata se (come suggerisce la quasi totalità del personale in servizio a Padova) l’Ente di Assistenza del Corpo di Polizia Penitenziaria devolvesse i contributi attualmente destinati all’acquisto del cd. pacco befana o, quanto meno, dare facoltà agli interessati di farlo, a questa lodevole iniziativa. H

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dalle segreterie Trieste

Genova

16ª Staffetta di solidarieta Telethon

Eseguito un arresto in flagranza di reato

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rivista@sappe.it

Nelle foto: sopra Angelo Iannelli sotto Anna Incerti con il segretario Corrado Venturati e S. Scaini sotto, a destra Anna Incerti durante la gara

Nella foto: Berardo Chiarelli alla partenza

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er il secondo anno consecutivo, il 13 e 14 dicembre 2014, si è svolta la 16° edizione della Telethon (24 ore per 1 ora a staffetta) a Udine; gara di solidarietà per la ricerca delle cure per le malattie ad oggi non curabili. A questa edizione hanno partecipato 330 squadre provenienti da tutto il Triveneto, tra cui quella denominata “TriesteRun/Fiamme Azzurre”, fortemente voluta dai colleghi di Trieste: Ass. capo Corrado Venturati e Ass. Giuseppe D'Iglio (Segretari Locali Sappe di Trieste) e l'Ass. Capo Sabino De Castro organizzatori del Team. La squadra ha ottenuto un importante piazzamento, tanto da salire sul podio al 13° posto (sul podio salgono le prime 15 classificate), anche grazie alla disponibilità dell'Ispettore Erik Maestri e del Sovrintendente Giuliano

Baccani, coordinatori e preparatori del Gruppo Sportivo “Fiamme Azzurre” che hanno permesso la partecipazione nel Team “TriesteRun/Fiamme Azzurre” di atleti del calibro di Anna Incerti, Angelo Iannelli e Berardo Chiarelli. Un grande ringraziamento va anche alla Società A.S.D. Taekwondo “Free Spirit Trieste” Turilli's Team che ha favorito la partecipazione di alcuni suoi atleti a questa manifestazione. Un ultimo ringraziamento va agli sponsor e a tutti i colleghi del Corpo di Polizia Penitenziaria della casa Circondariale di Trieste che hanno contribuito alla raccolta fondi per la beneficenza alla Telethon. H Corrado Venturati

ue nostri colleghi colleghi (li vediamo ritratti nella foto in basso: a sinistra l’Agente scelto Giuseppe D'Agostino e a destra l’Assistente capo Jean Marie Torre) mentre erano in un tabaccaio, hanno visto passare un ex detenuto già ospitato nell’istituto genovese dove prestano entrambi servizio. Poco dopo hanno sentito una ragazza urlare e piangere che gridava «dammi il cellulare». I nostri colleghi sono subito accorsi alle grida di aiuto ed hanno avuto la conferma che la persona che avevano incrociato era proprio lui; lo hanno così rincorso e catturato. Dopo averlo perquisito gli hanno trovato addosso il cellulare sottratto alla ragazza ed hanno provveduto ad arrestare il delinquente. H Sabatino De Rosa


dalle segreterie

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Ferrara Una giornata con i calciatori della Spal rivista@sappe.it

rande successo per la manifestazione “Un giorno con la Spal” svoltasi nell’Istituto Penitenziario di Ferrara. Nella mattinata del 15 gennaio si sono recati ad incontrare detenuti e personale i dirigenti della squadra di calcio estense, i patron Simone e Francesco Colombarini e il presidente Walter Mattioli, insieme al tecnico Leonardo Semplici con la “prima squadra”. Dopo i saluti del Comandante Paolo Teducci ed una presentazione sulla storia della SPAL ad opera del giornalista sportivo Alessandro Sovrani, hanno avuto luogo significative riflessioni e testimonianze dei dirigenti e dei calciatori sul valore del calcio seguite da domande curiose ed interessate dei detenuti. I giocatori chiamati a rispondere alle domande, tra cui il capitano Giani,

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Lutto a Catania

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Assistente Capo Giacomo Sciacca era un caro amico e come tale appena arrivato a Catania mi disse come tanti altri colleghi che avrebbe voluto condividere le battaglie del Sappe,voleva dare un concreto contributo a risolvere le gravi problematiche del personale di Polizia Penitenziaria della provincia Etnea ed in particolare del Nucleo T.P dove da molti anni operava.Ebbi così il piacere di farlo nominare nostro Segretario Locale presso il Nucleo Provinciale di Catania “Bicocca”, incarico di cui era orgoglioso e che svolgeva con impegno. Forse, proprio per la sua militanza nel Sappe, in alcune occasioni, aveva subìto atteggiamenti vessatori per la deminutio del suo ruolo di Caposcorta con oltre 25 anni di servizio, ma nonostante ciò gli facesse male, era comunque molto attaccato al suo lavoro, che svolgeva con grande professionalità, presente a

Filippini, Germinale, Gasparetto, Togni e Capece, nonché il direttore sportivo Davide Vagnati, hanno comunicato valori profondi non solamente legati al calcio, che rappresenta per loro insieme passione, ma anche lavoro, ma

anche sull’etica della pratica sportiva. La SPAL ha donato, alla delegazione di detenuti intervenuta all’incontro, dei palloni ed una muta di maglie della squadra che verrà consegnata in premio alla quadra vincitrice del campionato interno di calcio. H

dare il suo contributo per essere un punto di riferimento dei colleghi ai quali dava sempre il suo incoraggiamento, e per questo era molto stimato e rispettato. Il suo estremo gesto ha lasciato increduli tutti, il coro dei colleghi è unanime: perché Giacomo ha fatto questo? I colleghi a lui più vicino che danni condividevano quotidianamente i viaggi in auto tra Catania e Caltagirone suo paese di nascita e residenza, giurano di non aver mai percepito nulla che facesse presagire le sue intenzioni, tutti lo descrivono come amante della vita,simpatico sempre pronto alla battuta e alla parola di incoraggiamento verso gli altri. Aveva una bella famiglia, senza particolari problemi, una moglie e due figlie di 13 e 17 anni che adorava, una casa di sua proprietà, amava andare in campagna nell’appezzamento del terreno di famiglia che coltivava per hobby. Le lamentele che aveva esternato ultimamente, riguardavano il mancato rispetto della sua anzianità nell’espletamento dei servizi di

traduzione. Sperequazioni varie ed atti di deminutio che, in verità, erano abbastanza frequenti nei confronti di alcuni colleghi, con particolare riferimento a delegati e iscritti Sappe. Ovviamente non voglio assolutamente dire che quello che è successo è colpa dello stress lavorativo, ma di certo in qualche modo la poca serenità nell’ambito lavorativo non lo ha sicuramente aiutato. Tutti noi porteremo per sempre il ricordo di un collega amato e Giacomo Sciacca rispettato, autore di un gesto estremo ed incomprensibile che ci ha privato della sua presenza lasciando un vuoto incolmabile tra le fila della Polizia Penitenziaria di Catania ma in particolar modo tra i suoi cari e tutti coloro che gli hanno voluto bene. Grazie caro amico ,per me e per tutti i Polizia colleghi sarai sempre il “Grande” Penitenziaria Caposcorta Giacomo Sciacca. H n.224 gennaio Ciccio Pennisi 2015


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cinema dietro le sbarre

Ternosecco a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Nelle foto: la locandina e alcune scene del film

Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015

l film Ternosecco, diretto e interpretato da Giancarlo Giannini, è un intricato prison movie in salsa partenopea, che racconta le vicende detentive di tale Domenico Aniello Capatosta, detto Mimì, famoso praticone napoletano diventato popolare per saper leggere i sogni e tradurli in numeri da giocare al lotto. In un’afosa notte d’estate, Raffaele, anziano gestore di un banco-lotto napoletano e suocero di Mimì Capatosta, viene assassinato nella sua casa. Mimì abita al piano di sopra, insieme alla moglie Brigida, e viene incolpato dell’omicidio, arrestato dalla polizia ed incarcerato a Poggioreale.

all’esterno, aiutato addirittura da una delle suore di un orfanotrofio. Don Salvatore prende davvero in simpatia Mimì, fino a conferirgli il delicato incarico di assaggiatore personale dei suoi cibi. Allo stesso

Con inspiegabile sollecitudine compare l’avvocato Parente che assume la difesa di Capatosta e comincia a occuparsi della giovane moglie. In carcere Mimì diventa amico di don Salvatore, un famoso boss della camorra, che è detenuto con ogni comodità, attorniato e servito da numerosi guappi, e che continua indisturbato a trasmettere ordini

tempo, il boss rimane affascinato dalla straordinaria capacità di Capatosta di interpretare i sogni e tradurli in numeri, quasi sempre azzeccati nel prevedere azioni criminali da compiere. Mentre la moglie di Mimì è diventata l’amante dell’avvocato Parente, che si rivela essere anch’egli un capo clan della camorra, don Salvatore ordina di uccidere due uomini e, allo stesso tempo riesce a far uscire di galera Capatosta con l’incarico di rintracciare alcune sue carte compromettenti. Don Salvatore, però, viene avvelenato in carcere e Mimì dopo aver recuperato le famose carte, si troverà a fare i conti con l’avvocato Parente, che nel frattempo è l’unico sopravvissuto alla guerra di camorra

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la scheda del film Regia: Giancarlo Giannini Altri titoli: Vado e torno, Ninì Ternosecco, The Numbers Game Soggetto: Lino Jannuzzi Sceneggiatura: Lino Jannuzzi Fotografia: Marcello Gatti, Montaggio: Franco Fraticelli Arredamento e Scenografia: Nicola Losito, Enzo De Camillis, Vincenzo De Camillis Musica: Antonio Infantino, Andrea Venturoli (collaborazione) Costumi: Benito Persico, Gino Persico Produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori per C.G. Silver Film (Roma), Reteitalia (Milano) Distribuzione: Columbia Pictures Italia (1987) - Columbia Tristar Home Video Personaggi ed Interpreti: Mimì: Giancarlo Giannini Brigida: Victoria Abril Avvocato Parente: Lino Troisi Gargiulo: Franco Angrisano Don Salvatore: George Gaynes Suor Angela: Gea Martire Donnarumma: Ugo Calise Capece: Armando Brancia Detenuto: Ernesto Mahieux Antonino Iuorio Tommaso Palladino Enrico Maisto Genere: Drammatico Durata: 125 minuti Origine: Italia, 1986 scoppiata dopo la morte del boss detenuto. Nello scontro con Parente, Mimì verrà salvato proprio da Brigida che, saputo che era stato proprio l’avvocato ad aver assassinato suo padre Raffaele, lo uccide a sua volta per vendetta. Dell’omicidio, però, si incolperà proprio Mimì che tornerà così a Poggioreale, questa volta rispettato e riverito come un boss. H


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mondo penitenziario

Le ragioni di una Riforma Sebastiano Ardita Magistrato*

1. La Memoria

I Nella foto grande: il Magistrato Giovanni D’Urso nei box, da sinistra i Magistrati Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione e Girolamo Minervini

Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015

l 15 Gennaio del 1981 il magistrato Giovanni D’Urso, direttore dell’ufficio detenuti, veniva rilasciato dalle Brigate Rosse dopo un sequestro durato 33 giorni, un processo rivoluzionario ed una condanna a morte non eseguita. Pochi sanno chi fosse e quale calvario subì. Come pochi ricordano Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione e Girolamo Minervini, i colleghi che lo precedettero in quel ruolo, uccisi dalle brigate rosse in quella stagione di agguati contro l'amministrazione penitenziaria.

Ho avuto la sorte di stare seduto su quella stessa poltrona, ma nessuno me ne ha mai parlato - o ha preteso che sapessi chi fossero - né mi ha mai parlato di Luigi Bodenza e di Giuseppe Montalto, gli agenti eroi uccisi dalla mafia per vendetta contro il 41bis; o di Pasquale Mandato e Ignazio De Florio trucidati dalla camorra nel 1983; o di Raffaele Cinotti e di Francesco Rucci. E la lista continuerebbe molto a lungo. Nessuno li ricorda e li onora. Il difetto di memoria dell’amministrazione penitenziaria è solo la prova della sua debolezza.

Una dirigenza di complemento, una struttura burocratica ed un Corpo di polizia senza vertice interno operano, deboli e disorientati, come figli di nessuno. Realtà disaggregate, quando non anche in conflitto tra loro: senza radici, senza unità e senza memoria. E quindi senza forza istituzionale. Urge una riforma del Corpo che riunifichi questo mondo; ne metta insieme la nobile storia; gli dia un ruolo rilevante ed esclusivo anche fuori dal carcere; lo ponga al vertice tra le polizie, e lo ri-avvicini ai


mondo penitenziario

magistrati; lo collochi alle dirette dipendenze del Ministro della Giustizia e non dentro un sub-ministero dominato dalla burocrazia. Un Corpo che goda del prestigio che meritano i suoi uomini, che renda forte il suo vertice e ne ottenga forza a propria volta, per difendersi dagli attacchi che riceve mentre opera per la giustizia e nell’interesse dei cittadini. Credo sia venuto il momento di pretenderlo. E’ questo l’augurio che mi sento di fare per il nuovo anno agli uomini e donne della polizia e dell’amministrazione penitenziaria ed al loro nuovo capo.

2. Gli uomini Solo chi ha osservato, letto e ricostruito con curiosità la vita e la storia degli Agenti di Custodia prima, e della Polizia Penitenziaria poi, ed ha vissuto in mezzo a loro condividendo i rischi ed il lavoro può comprendere di che stoffa sono fatti questi uomini. Sapere, ad esempio, che nell’Italia dei dipendenti col cartellino segnatempo, esistono persone che in una notte sono capaci - dopo un terremoto - di trasferire 100 detenuti 41bis da un istituto all’altro, riaprendo una sezione dismessa. Tutti - trecento agenti - rimanendo a

lavorare fino all’alba, senza nulla chiedere, saldando brande, spostando pesi, rivoltando i reparti e tenendo a bada i capi di cosa nostra ed impedendo loro di comunicare. Oppure sapere cosa può accadere quando in carcere entrano quattro tossicodipendenti in astinenza o ubriachi, che si mordono le labbra per sputarti addosso il loro sangue e tu non sai se hanno l’HIV, perché non hanno ancora fatto la visita medica. Oppure sapere che tanti di loro ogni giorno intervengono per impedire che durante i colloqui i mafiosi si passino biglietti e messaggi, pur consapevoli che facendo questo - ossia il proprio dovere - Luigi Bodenza e Giuseppe Montalto vennero trucidati senza pietà dal piombo della mafia, e che quindi la stessa sorte potrebbe capitare anche a loro. Eppure fanno tutto questo con passione per poco più di mille euro al mese. Sono uomini che conoscono il sacrificio e hanno imparato a sconfiggere la paura, anche se nessuno dirà loro grazie, perchè non saprà mai di cosa ringraziarli visto che quello che accade dentro una cinta raramente si conoscerà all’esterno. Eppure quel lavoro lo fanno come e meglio degli altri se è vero che

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Nella foto quando scrivono, vigilano, fanno la grande: scorta, riescono a farlo meglio degli Agenti di altri e tutti ce li invidiano. Custodia Oggi gli agenti che lavoravano con me in marcia al DAP semplicemente me li sogno. nei riquadri, E sono sicuro che nessun dipendente da sinistra degli uffici giudiziari potrebbe tenere Luigi Bodenza, Giuseppe loro testa. Montalto La loro intelligenza, la curiosità, la e Pasquale capacità di intuire e interpretare il Mandato pensiero prima che avessi parlato, di scrivere in italiano meglio dei laureati, non le potrò mai dimenticare. Ed è la stessa stoffa, con carismi diversi, che hanno quelli che ogni giorno portano avanti le carceri, ed in 38.000 fanno il lavoro di 50.000. Senza confondere la vita con le favole, sarebbe giusto però che questa storia di meriti e di sacrifici avesse un lieto fine. Occorre che finalmente questo Corpo prenda in mano l’esecuzione penale e guidi tutto intero un settore della sicurezza, e che quel lavoro e quell’energia escano così finalmente fuori dalla cinta e siano visibili a tutti i cittadini. Speriamo che la commissione presieduta da Nicola Gratteri possa dare il suo contributo e che trovi Polizia ascolto. H

* Procuratore Aggiunto di Messina, già Direttore Generale Detenuti DAP

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Nelle foto: sopra Omar ed Erika al’epoca degli omicidi a destra un fotogramma della loro “involontaria” confessione nella caserma dei Carabinieri

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crimini e criminali

a mattina del 22 febbraio del 2001 l’opinione pubblica nazionale si sveglia con una notizia aberrante: una madre e il suo piccolo bambino sono stati barbaramente uccisi nella propria abitazione. La notizia già nella notte aveva fatto il giro del mondo e soprattutto aveva turbato la tranquillità del piccolo quartiere borghese di Lodolino, a pochi passi dal centro storico di Novi Ligure, una ridente cittadina in provincia di Alessandria.

L

apocalittica, c’è sangue dappertutto: sul pavimento, sui mobili, sui muri e sulle scale. Il corpo della donna è disteso sul pavimento, in un bagno di sangue, colpito da più di 50 coltellate; il corpo del bambino invece, giace inanimato al piano superiore della casa, all’interno della vasca da bagno, anch’esso colpito da arma da taglio. Gli inquirenti e i concittadini, accorsi nei pressi dell’abitazione, non riescono a capire chi possa essere stato a compiere una siffatta mattanza.

L’adolescente dichiara che quella sera era nella sua stanza ad ascoltare musica con le cuffie, quando la madre e il fratellino sono rientrati in casa dalla palestra e che, subito dopo, aveva sentito forti rumori. Spaventata, aveva aperto la porta della propria camera e aveva visto un uomo che accoltellava il fratellino e subito dopo la madre, che nel frattempo era accorsa al piano superiore, avendo udito le grida del bambino. La madre le grida di fuggire e lei scappa scendendo le scale dove trova un altro uomo che cerca di bloccarla, ma lei riesce a divincolarsi e fuggire nel seminterrato che porta al garage. Una volta in strada, blocca un’auto, che in quel momento passava, per chiedere aiuto. Il racconto della ragazza è “preciso e lineare”, come ribadirà il sostituto

Il giorno precedente, verso le dieci di sera, si era consumato un atroce duplice omicidio tanto che, l’allora sostituto procuratore di Alessandria Carlo Carlesi, intervenuto poco dopo sulla scena del crimine, fu colto da malore. «E’ una cosa di una ferocia senza limiti, praticamente senza senso» aveva dichiarato ai giornalisti accorsi nei pressi dell’abitazione, e ancora: «uno degli episodi più feroci che abbia visto in vita mia, senza scopo». Ma cosa è successo quella sera a Novi Ligure? In una villetta è passato il mostro, ha ammazzato Susy Cassini, di 41 anni, e il suo bimbo Gianluca Di Nardo, di soli 11 anni. Quando i carabinieri entrano nella casa la scena è

La Cassini è una mamma come tante altre, ama i suoi due figli, peraltro è molto religiosa e si impegna tantissimo in attività di volontariato in paese. Il piccolo Gianluca è un bambino modello, ben educato e con tante passioni. Il papà Francesco è un dirigente di un’importante azienda. Insomma, una famiglia normale, felice, senza nemici e soprattutto senza pretese apparenti che possano alimentare conflitti o vendette. Quindi è gioco forza che la prima ipotesi che prende consistenza tra gli investigatori è quella di un tentativo di rapina degenerato nel sangue. Ad avallare tale sospetto contribuisce anche la deposizione dell’altra figlia, Erika, che riesce, a suo dire, a scampare alla strage.

procuratore ai giornalisti, subito dopo la deposizione. Erika descrive gli aggressori in due uomini, uno giovane e l’altro vecchio; addirittura ne riconosce uno dalle foto segnaletiche mostrate dalla polizia: è un albanese. La notizia degli assassini albanesi ha un effetto esplosivo e genera manifestazioni di protesta e ritorsioni contro gli immigrati in tutta Italia, Novi Ligure compresa. I Carabinieri dapprima perquisiscono l’abitazione del sospettato, dove rinvengono degli oggetti interessanti ai fini dell’indagine, poi conducono lo stesso in caserma. Il sospettato però, interrogato per ore dai magistrati, ha un alibi di ferro e soprattutto tantissime persone che possono

Erika e Omar i killer adolescenti


crimini e criminali testimoniare la sua presenza, la sera della mattanza, altrove. Gli inquirenti decidono di sentire nuovamente la ragazza, la quale, forse perché stanca e stressata, inizia ad apparire confusionaria. A Novi Ligure, nel frattempo, arrivano i R.I.S., con a capo l’allora tenente colonnello Luciano Garofano, i quali, dopo i sopralluoghi sulla scena del crimine, evidenziano che la ricostruzione di Erika appare inverosimile e l’ipotesi originaria di una rapina degenerata pare sempre più perdere consistenza. Le motivazioni per cui è da escludere la rapina si basano sulle seguenti considerazioni: nessuno dei vicini ha sentito nulla; la porta d’ingresso della casa non presenta segni di effrazione; le modalità con le quali i 2 rapinatori riescono ad entrare nella villetta; il

sul suo fidanzatino, tale Mauro “Omar” Favaro, di anni 16. I due ragazzi, lasciati soli nell’anticamera della locale caserma dei Carabinieri, nella quale erano installate microspie e telecamere nascoste, tra il 22 ed il 23 febbraio, “confessano” involontariamente l’esecuzione, parlandone tra loro e confrontandosi sugli identikit che Erika avrebbe dovuto abbozzare per la polizia. Una telecamera, peraltro, ha inquadrato la ragazza mentre mimava il gesto della coltellata e mormorando «gliel’ho dato qui» chiedendo a Omar:«Ti sei divertito vero a ucciderli?» mentre il ragazzo la strattonava sbottando «vieni qui, assassina» e rinfacciandole «tu non sai, non è un gioco questo... sono morte due persone è una roba da ergastolo».

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appena 16 anni, convincere il suo ragazzo ad uccidere? Nel corso delle indagini, emerse una certa conflittualità tra Erika e la madre: litigi causati dallo scarso rendimento scolastico della ragazza e dal fatto che Susy Cassini disapprovava che la figlia ed Omar trascorressero troppo tempo da soli isolandosi dagli amici, anche perché temeva che i due giovani facessero uso di stupefacenti. Le indagini appurarono che in alcune occasioni i due giovani avevano fatto uso di marijuana e cocaina, ma fu escluso che la coppia fosse in stato di alterazione provocato dall’uso di droga la sera del delitto o che la loro situazione fosse riconducibile ad una tossicodipendenza vera e propria. Il Tribunale dei Minorenni di Torino, il 14 dicembre del 2001, dichiarò: “De Nardo Erika e Favaro Omar Nelle foto: a sinistra l’abitazione dei Di Nardo a fianco Mauro “Omar” Favaro oggi

cane che non ha abbaiato; inoltre l’ora della rapina coincide con l’orario in cui le famiglie cenano e quindi sono tutti in casa; dalla casa non è stato asportato alcun oggetto. Inspiegabile, inoltre, appare la circostanza per la quale i presunti rapinatori, una volta uccisa la madre, perché mai avrebbero dovuto uccidere anche il ragazzino, il quale peraltro era al piano superiore. Gli esperti, inoltre, sono convinti che l’aggressione e stata commessa con molta brutalità, propria dell’ “overkiller”, cioè di colui che uccide con una ferocia e una ripetizione di gesti di gran lunga superiore al necessario. Gli inquirenti decidono, pertanto, di predisporre delle intercettazioni ambientali su Erika e

Poco prima la ragazza aveva commentato «Adesso possiamo andare in giro come una coppia vera« e aveva raccomandato ad Omar di vestirsi bene ai funerali. La sera stessa i due adolescenti vennero definitivamente posti in stato di fermo e quindi condotti nel carcere minorile “Ferrante Aporti” di Torino e successivamente, la sola Erika, trasferita al carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano. Ma perché Erika e Omar hanno ucciso? Quale movente può spingere due adolescenti ad una furia tanto selvaggia? Perché Erika odiava sua madre e suo fratello al punto da massacrarli? Come ha potuto una ragazzina, magrolina e all’apparenza timida, di

colpevoli dei reati loro ascritti (concorso in duplice omicidio volontario, con l’aggravante della premeditazione, e simulazione di reato), ritenuti uniti dal vincolo della continuazione e, applicata ad entrambi la diminuente della minore età, concesse agli stessi le attenuanti generiche, valutate diminuente ed attenuanti prevalenti sulle aggravanti, valutato reato-base ai fini della continuazione l’omicidio di Cassini Susi ed applicata la diminuente per il giudizio abbreviato, condanna De Nardo Erika alla pena di anni 16 di reclusione e Favaro Omar alla pena di anni 14 di reclusione”. Nella requisitoria il pm Livia Locci aveva chiesto 20 anni di reclusione

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Nelle foto: sopra Erika Di Nardo in una recente immagine a destra Don Mazzi

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crimini e criminali per Erika e 16 per Omar. Erika, secondo i periti, soffre di “disturbo narcisistico della personalità”, Omar di lieve “disturbo di personalità dipendente”. Le tesi dei difensori, che avevano chiesto l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere al momento del fatto: «Erika è una personalità borderline a un passo dalla psicosi», furono rigettate. Come non accolte furono le richieste formulate dagli stessi difensori in subordine: per Erika, il vizio parziale di mente e per Omar la sospensione del procedimento con la messa in prova dell’imputato.

Chi uccide «gli altri e magari se stesso nella convinzione di eliminare un ostacolo all’affermarsi di un progetto importante» coltiva un’idea fissa, ma non sarà ritenuto incapace di intendere: non lo sono «né i terroristi, né i kamikaze». Scrivono ancora i giudici: “due omicidi che per efferatezza, per il contesto, per la personalità degli autori e per l’apparente assenza di un comprensibile movente si pongono come uno degli episodi più drammaticamente inquietanti della storia giudiziaria del nostro paese”. Al compimento dei 21 anni, nell’aprile 2005, Erika è stata trasferita nel

In sostanza, non il carcere ma un periodo di “osservazione” in cui l’imputato lavora a certe condizioni in un servizio socialmente utile e vive a casa o in comunità seguendo orari e ritmi rigidissimi. Al termine del periodo, se supera la “prova”, potrebbe essere libero perché estinto il reato. Secondo la sentenza, pur nell’«apparente assenza di un comprensibile movente», l’ideazione dei delitti è da ascrivere a Erika, da cui era «certamente partita l’idea», anche se in finale «il ruolo di Omar fu concretamente molto rilevante e sostanzialmente paritario». Erika e Omar hanno premeditato i delitti con «un progetto lucido, aberrante, che si fissa e che poco per volta diventa un concreto traguardo da raggiungere, un traguardo utilitaristico». I due fidanzatini avevano «un’idea fissa» ma questa non «diminuisce né annulla la capacità di intendere e di volere».

carcere di Verziano (Brescia). La Corte di Appello di Torino nel 2002 e la Corte di Cassazione nel 2003 hanno confermato le precedenti condanne. Entrambi, grazie alla buona condotta, oggi sono liberi cittadini. Lei è uscita dal carcere il 5 dicembre 2011, dopo aver scontato quasi 11 anni, il primo giorno di libertà lo ha passato nella comunità Exodus, fondata da don Antonio Mazzi. Nel 2009 si è laureata in Lettere e Filosofia a Brescia, con 110 e lode, portando una tesi su “Socrate e la vana ricerca della verità”. Omar è uscito nel 2010, dopo averne scontati nove. Al massacro di Novi Ligure sono ispirate la canzone di Fabri Fibra, Cuore di latta, la canzone dei Subsonica, Gente tranquilla, la canzone 300 days to consciousness dei Motherstone e, infine, lo spettacolo teatrale, Le mani forti, di Marco Calvani. Alla prossima... H

n questo primo decennio, del secondo millennio, lo stress quotidiano è non solo aggravato da una serie di preoccupazioni legate a un diffuso malessere generale, ma anche dalle minacce di nuove e insidiose forme di terrorismo di fronte alle quali la cittadinanza si sente assolutamente impreparata. Secondo gli esperti dei Ministeri responsabili, queste minacce non si possono escludere. Purtroppo è sempre più forte il convincimento che futuri attacchi terroristici possano avvenire con armi radio-nucleari, biologiche o chimiche Quello che andremo a elencare nello specifico è il rischio chimico, quello più semplice da attuare, anche da mano poco esperta. Armi chimiche usate specialmente dai terroristi che hanno bisogno di creare nelle persone quella paura psicologica che colpisca i media e che abbia un effetto immediato sull’opinione pubblica. Il danno sulla persona va quantificato nella proprietà del gas, nel quantitativo rilasciato nell’ambiente, nell’esposizione e nel tempo che intercorre tra l’esposizione ed il soccorso. Negli agenti chimici si annoverano gas soffocanti, vescicanti, asfissianti, tossici, sistemici e irritanti. Si disperdono nell’ambiente in forma liquida, gassosa e solida. Quelli che andremo ad elencare per primi sono i quattro tipi di gas più letali e conosciuti, benchè quello irritante sia meno pericoloso e comporti disturbi temporanei. Nei gas soffocanti più conosciuti al mondo e letali si trovano i gas nervini. Tra questi si annoverano: Sarin, GF e VX, Tabun, Soman. L’effetto tossico sull’uomo, dei gas nervini, è spesso letale e si basa sull’inattivazione transitoria o irreversibile dell’enzima acetilcolinesterasi che degrada l’aceticolina (che media la trasmissione degli impulsi dal sistema nervoso al muscolo e, all’interno del sistema nervoso stesso). Un attentato terroristico, alla metropolitana di Tokyo, nel 1995 da parte degli addetti della setta Aumshinrikyo, ha previsto l’utilizzo del

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sicurezza, salute e igiene sul lavoro

Il rischio derivante da prodotti chimici

gas nervino Sarin. Dopo i gas nervini, altrettanto letali per l’uomo sono i vescicanti, che ha loro volta si suddividono in: Iprite e Lewisite. L’iprite è conosciuto come “gas mostarda” per l’ odore che emana. Se inalato o assorbito dalla pelle produce profonde ustioni con la formazione di vesciche che ricoprono rapidamente tutto il corpo esternamente e internamente. Dieci milligrammi sono sufficienti per uccidere una persona. Il suo uso, per un attacco terroristico, è stato registrato nella guerra contro l’Iran da parte dell’ Iraq.

pelle, alle mucose e alle prime vie respiratorie, provocando una abbondante lacrimazione. Generalmente vengono utilizzati in caso di interventi della polizia per motivi di ordine pubblico. I più noti sono l’adamsite e il cloacetofenone. L’ adamsite agisce su naso e gola e ha un colore verde.

Idrogeno Solforato e Cloro. Dal 1999 ad oggi in Italia incidenti al’API di Falconara Marittima, Molfetta, Bari (2007) Abbott Campoverde di Aprilia (Sodio Boro Idruro) Bristol Mayer Squibb di Latina (nube tossica), Good Year di Cisterna di Latina, Erg di Priolo (Trietanollammina e Tricloruro di

La lewisite come l’iprite ha effetto se inalato o assorbito, ma si diffonde attraverso la pelle molto più rapidamente e produce effetti dannosi anche a dosi minime (0.2 mg su 2 cmq di pelle producono vesciche irreversibili se non curate tempestivamente). L’uso di questi gas è ormai noto, a causa dell’attentato alla città di Halabaja (nel ), dove risiedeva il popolo Kurdo. Questo sterminio di massa (ad opera di Saddam Hussein) ha previsto l’ utilizzo di 15 aerei dotati di sistema di irrorazione e ha causato all’ incirca 5.500 morti. Altri derivati dei gas nervini sono: i gas asfissianti e i gas irritanti. I primi sono sostanze volatili e di facile dispersione. Agiscono sui polmoni provocando un immediata congestione degli alveoli e conseguente morte per soffocamento. Un noto asfissiante è il Fosgene, impiegato nella Prima Guerra Mondiale. I secondi invece provocano un’irritazione insopportabile alla

Ha effetto in meno di 3 minuti e provoca secrezione alle mucose, dolore al torace, tosse, nausea, vomito, dolore alla testa e sensazione di panico, tutti i sintomi durano alcune ore. Il Cloacetofenone, invece, agisce sugli occhi ed è quindi un lacrimogeno. A dosi elevate può essere mortale, specialmente se usato in ambienti chiusi. Per uso bellico, sembra che sia stato usato nella guerra del Vietnam per distruggere la vegetazione e quindi per distruggere la prima fonte di sostentamento e per privare gli indigeni del luogo della protezione della stessa per effettuare attacchi e per la mimetizzazione. Negli incidenti industriali (non previsti) si annoverano, solo in Italia, 1976 gravi incidenti ad alta contaminazione presso il petrolchimico brianzolo; dal 1998 in Sicilia sono stati censiti oltre 39 incidenti rilevanti tra cui 17 a Priolo, 8 ad Augusta, 2 a Gela, 1 a Milazzo e 1 a Messina, con l’emissione di Acido,

Fosforo), Pescara (2007) contaminazione di falde acquifere limitrofe stabilimento Montedison e la città con erogazione dell’acqua limitata in piena stagione estiva. Nel 2008 incidenti sito industriale Termoli - emissione di Fosforo, Dimetil-mercaptano, 38 contaminati. In conclusione accertato che un attentato terroristico non si può prevenire e un incidente industriale fa parte del rischio residuo che può accadere per molteplici cause, si può quantomeno ridurre il pericolo di decessi umani collaborando con tutte le forze in campo, in modo che si attuino quelle procedure standardizzate senza caos di competenze e senza creare panico nella popolazione. Nell’ordinanza straordinaria del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2003 in materia di rischio NBCR le competenze sono state attribuite alle Prefetture, alla Protezione Civile, ai Vigili del Fuoco e al Comparto Sanità (ASL, 118, ecc). H

25 di Valter Pierozzi Dirigente Sappe Esperto Salute e Sicurezza sul lavoro rivista@sappe.it

Nelle foto: immagini di disastri ambientali

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26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Sopra la copertina del numero di luglio/agosto 2000

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come scrivevamo

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iù di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

Parlamento avvisato... carcere mezzo salvato? Rapporto sullo stato delle carceri e situazione del sistema penitenziario in Italia, relazione inviata al Parlamento dal Sappe

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recenti fatti di Sassari hanno chiaramente dimostrato e fatto capire alla nazione che qualcosa non va nel sistema penitenziario italiano, particolarmente in alcune zone del territorio dove l'Amministrazione ha dimostrato di essere ben poco presente, se non addirittura assente, come ad esempio in Sardegna. Come Sindacato - il SAPPE è l’organismo più rappresentativo della categoria - a tutela degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria e più in generale a difesa del sistema che delega al Corpo importanti e indifferibili compiti istituzionali, più volte abbiamo provveduto a denunciare all'Amministrazione Penitenziaria la precarietà di una situazione ogni giorno più difficile, per certi versi incontrollabile laddove si manifestano mancanze tali che ogni possibile rimedio appare come una panacea, non come la soluzione dei problemi. Dispiace dovere rilevare che dopo Sassari, a fronte del clamore provocato dalla ben nota vicenda del San Sebastiano, sono state pochissime le voci alzatesi in difesa del Corpo di Polizia Penitenziaria, assunto - sempre e comunque - quale capro espiatorio di ogni possibile malefatta che accade nel mondo carcerario. Se un detenuto si suicida in cella, la colpa il più delle volte viene addebitata a un supposto scarso controllo della Polizia Penitenziaria in servizio: sono stati 59 i suicidi di detenuti riusciti nel 1999, ma pochi sanno che nel medesimo periodo oltre 950 casi di tentato suicidio sono stati sventati dallo stesso personale di Polizia. E' un segno, questo, dello scarso o

nullo interesse che suscitano i fatti "positivi" che accadono in carcere, un interesse addirittura inferiore a quello già minimo che la società e le istituzioni provano per il mondo penitenziario. Ebbene, l'istituzione "carcere/giustizia" é una delle colonne portanti della società, alla pari della scuola/istruzione, degli ospedali/sanità, delle caserme/difesa, senza la quale la giustizia sarebbe dimezzata e le colpe del singolo, qualora provate e punite dalla magistratura, resterebbero nel limbo, senza effettività della pena e senza alcuna garanzia di sicurezza per la società vittima del reato. Il carcere é e resta un illustre sconosciuto per la maggior parte della gente, anche e soprattutto perché la società vuole dimenticarlo, non vuole sapere cosa succede al reo dopo il processo, che pure tanto interessa per la spettacolarità insita nell'accusa e nella difesa, fino a farlo trasmettere anche via tv, oltre che essere l'argomento principe per riempire centinaia di pagine su giornali e riviste. La morbosità della gente resta relegata sulla porta del carcere, difficilmente vuole entrare nelle celle, vuole sapere cosa succede dietro le mura degli istituti penitenziari del nostro Paese, non interessa a nessuno (familiari a parte) che fine fanno i detenuti reclusi e ancora meno interessa all'opinione pubblica il personale che lavora in carcere. Poi, però, accadono fatti come quelli di Sassari, ed allora dalla stampa partono accuse pesanti e indiscriminate contro chi ha operato per garantire la sicurezza e il rispetto del Regolamento penitenziario, contro l'intero Corpo di Polizia Penitenziaria,


come scrivevamo i cui appartenenti sono i più esposti nell'ambito dell'intero sistema carcerario italiano, salvo poi dimenticarsi quasi completamente del carcere, perché "non fa più notizia". Anche per Sassari é stato così: dal 4 maggio scorso i giornali, la radio e la TV hanno pubblicato e trasmesso centinaia di articoli e servizi dedicati al San Sebastiano ed al carcere in generale (peraltro molto superficiali...),addirittura preoccupandosi - o facendolo credere del futuro dell'intero sistema. Da qualche settimana, invece, nessuno parla più di Sassari, del carcere, dei detenuti, del Corpo di Polizia Penitenziaria, argomenti rientrati nell'oblio della memoria e nel cantuccio più nascosto delle coscienze della gente. Per Sassari e per la Sardegna il Ministro e il Direttore Generale del DAP avevano garantito che sarebbero stati assunti immediatamente alcuni provvedimenti, inviando sull'Isola nuovi direttori d'istituto, educatori, personale amministrativo e sanitario ed almeno 70 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria: non é successo alcunché, dopo il clamore delle promesse le buone intenzioni sono rimaste sulla carta. Eppure, nonostante Sassari, più volte il SAPPE, come maggiore organizzazione sindacale della categoria, ha manifestato una chiara intenzione a non fare precipitare ulteriormente le cose, ed ha invece sostenuto ed accettato l'intento riparatorio dell'incolpevole Ministro Fassino e l'operato - lento, ma apparentemente in progressione ... del Presidente Caselli. Perdura, invece, l'attuale incertezza sul futuro non solo della Sardegna, ma anche e soprattutto dell'intero "pianeta carcere", e quindi del Corpo di Polizia Penitenziaria: giocoforza ci vediamo costretti a insistere, perché qualcosa si faccia davvero, e vogliamo quindi stimolare i massimi responsabili del sistema, politici ed amministrativi, chiedendo loro di passare finalmente ai fatti, considerando finito il tempo delle blande, evasive e suadenti promesse e parole. Dagli ultimi dati resi noti dalla Direzione del DAP (rilevati il 30 aprile 2000), si evince che l'attuale presenza

di detenuti negli istituti ammonta a oltre 53.340 unità, a fronte di una capienza effettiva di sole 41.650 unità (capienza tollerabile, ma foriera di innumerevoli disagi e grave malessere, 47.670 unità), con un'incidenza di detenuti stranieri che supera il 27 per cento (14.705 unità, di cui oltre 14.000 extracomunitari) e una presenza in aumento di detenuti per crimini connessi al mondo della droga ed alla tossicodipendenza, con un crescente numero di reclusi affetti da patologie gravi, quali HIV, epatite B, TBC, ecc... Negli ultimi cinque anni, inoltre, é crescente l'incidenza sull'ingresso e permanenza in carcere di cittadini stranieri, mentre diminuiscono gli ingressi degli italiani: ciò significa che sta cambiando di giorno in giorno la tipologia dei detenuti. Di conseguenza, andrebbe pensato e ideato un approccio diversificato tra Amministrazione e reclusi, un modo diverso di considerare il carcere e la detenzione per gli stranieri extracomunitari, di cui soprattutto le forze politiche dovranno tenere debitamente conto, per garantire alla società ed agli stessi detenuti un trattamento equo e nel rispetto dei diritti umani. Prima che dall'interno del carcere é dall'esterno - pare di capire - che dovrebbero essere messi in atto quei correttivi legislativi ed amministrativi che consentano al detenuto straniero di essere uguale al detenuto italiano: oggi, così non é, e il riferimento é al diritto alla (migliore) difesa, che per

taluni stranieri resta una mera utopia, ed alla fruizione di particolari benefici. La situazione delle carceri, insomma, a prescindere dalla grave carenza d'organico del personale di Polizia Penitenziaria (per cui, come Sindacato, chiediamo i necessari, indispensabili correttivi) e dell'area psicosociopedagogica, non é certo delle più allegre, ma purtroppo non si vedono all'orizzonte migliorie che inducano all'ottimismo. Più volte questo Sindacato ha sollecitato sia il Ministro (tutti i Ministri, predecessori dell'on. Piero Fassino) che l'Amministrazione affinché si definissero le opportune soluzioni per quella che da emergenza carcere ogni giorno che passa rischia di diventare, volenti o nolenti, una consuetudine del sistema penitenziario cui é sempre più difficile controbattere. Abbiamo chiesto e ribadito - e con questa nota chiediamo e ribadiamo alle forze politiche cui é indirizzata che i malati di AIDS non debbano soggiornare in carcere, bensì in strutture sanitarie esterne che meglio possono seguire e curare l'iter incontrovertibile della malattia; abbiamo invitato l'Amministrazione a pensare e organizzare una diversificazione delle presenze dei detenuti negli Istituti, prevedendo circuiti differenziati a seconda delle categorie dei reclusi (imputati, condannati - tossicodipendenti extracomunitari, con riguardo alle singole nazionalità, ecc.); abbiamo

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Nella foto: sezione detentiva di un carcere

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la vignetta e il sommario del numero di luglio/agosto 2000

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come scrivevamo

sollecitato una maggiore partecipazione del personale addetto al trattamento e recupero dei condannati, per rendere merito e rispetto al dettato dell'art. 27 della Costituzione Repubblicana, anche con una più influente partecipazione del Corpo di Polizia Penitenziaria; abbiamo chiesto - e mai ottenuto, finora - la ridefinizione delle piante organiche negli Istituti, in modo tale da garantire la copertura di ogni posto di servizio ed assicurare, quindi, maggiore sicurezza alle strutture; abbiamo sempre sostenuto che per il servizio NTP (traduzioni e piantonamenti) servono più mezzi, più strumenti operativi, più materiali e personale di sostegno, affinché la presenza esterna e l'immagine del Corpo non abbiano a patire - oltre che in merito alla sicurezza, soprattutto agli occhi dell'opinione pubblica - le conseguenze dell'attuale precarietà del servizio. Quanto sopra descritto - tanto per fare qualche esempio, ma ci sono molte altre situazioni e problemi irrisolti - é per cercare di fare un quadro della situazione del "sistema carcere" cui il Ministero e il DAP dovrebbero porre rimedio, con l'ausilio delle forze politiche in Parlamento che dovrebbero legiferare in proposito. E ciò per garantire un servizio istituzionale che sia al passo con i tempi e, soprattutto, che assicuri il pieno rispetto dei diritti. umani, sia dei detenuti che del personale che lavora in carcere e garantisce sicurezza alla società. Qualche tempo fa - ed anche recentemente, dopo Sassari - abbiamo suggerito sia al Ministro della Giustizia

che al Direttore Generale del DAP di procedere a un censimento puntuale, veritiero e preciso dello stato delle carceri, per redigere un Rapporto Carceri da consegnare al Governo, al Parlamento, a tutti i partiti, affinché anche i responsabili politici della nazione si facessero carico delle difficoltà e dei problemi e ne ricavassero le debite conseguenze. Dall'Unità d'Italia a oggi il Parlamento, nonostante le apparenze e le buone intenzioni, non ha mai dato grande importanza alle carceri e solo tre rapporti (e pochi interventi significativi in Aula o in Commissione Giustizia) hanno cercato di chiarire e denunciare lo "stato delle cose", in questo secolo 1900/2000: la relazione d Filippo Turati del 1904, letta in una memorabile seduta alla Camera dei Deputati (ma che, a quanto pare, non ha avuto conseguenze degne di nota), il rapporto di Dino Grandi "La Bonifica Umana", del 1941, che più che una relazione sulle carceri é passato ai posteri come una glorificazione dei sistemi usati nel mondo penitenziario dal regime ventennale fascista, e la relazione del senatore Persico, del 1950, invero un documento puntuale e preciso, ed anche l'ultimo sull'argomento, da cui il Parlamento ha tratto spunti e motivazioni per le riforme del 1975 e del 1990. A distanza di cinquant'anni le cose in carcere sono molto cambiate e pare quindi opportuno aggiornare l'opinione pubblica, la stampa e il Parlamento sulle condizioni degli istituti penitenziari, sulla vivibilità intra moenia, sul rapporto di lavoro tra l'Amministrazione, lo Stato e chi opera nel sistema. Il Parlamento - i Deputati e i Senatori purtroppo pare sappiano poco o niente dell'istituzione carcere, e lo si intuisce dai loro interventi alla Camera ed al Senato e dai testi degli atti ispettivi e di controllo che presentano al Governo.

Per definire uomini e cose del carcere, gran parte dei parlamentari usa termini impropri e dati inesatti: agenti di custodia, guardie carcerarie e secondini sono termini con cui vengono spesso definiti gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria; il numero degli istituti del Paese cambia secondo la personale conoscenza di ognuno (chi scrive 200, chi 250, chi 270, ecc.); molti dimenticano che il servizio traduzioni e piantonamenti (NTP) é affidato al Corpo e non più all'Arma dei Carabinieri; altri parlamentari, invece, non hanno ancora realizzato che il Corpo é una Forza di Polizia dello Stato alla pari della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia Ambientale e Forestale; altri ancora non sanno dell'esistenza e significato del DAP (istituito nel 1990) e continuano a definire impropriamente gli uffici di largo Luigi Daga Direzione Istituti di Prevenzione e Pena - IPP (il Presidente Giuliano Amato, nel suo discorso d'insediamento alla Camera, ha definito il DAP "Direzione Istituti di Previdenza e Pena", sic!) ; in gran parte non conoscono affatto il Regolamento Penitenziario, e mostrano meraviglia se ai detenuti non vengono fatte


il libro del mese determinate concessioni (non previste... ). Il maggiore motivo dello scarso interesse della società, ma anche dei parlamentari e delle forze politiche, nei confronti delle carceri pare quindi essere proprio la mancanza di informazioni corrette, di una vera conoscenza del sistema, con tutte le sue pecche e problemi. Un Rapporto sulle Carceri preciso, puntuale, corretto e obiettivo, redatto dall'interno dell'Amministrazione (prima che lo faccia qualche ispettore dell'ONU o della Comunità Europea...), senza nascondere alcunché, non potrebbe che fare bene al sistema, all'intera istituzione carceraria. Dopo Sassari, insomma, le cose dovranno necessariamente cambiare, perché non abbiano più a verificarsi certi fatti, perché il personale del Corpo non debba più trovarsi in situazioni difficili da gestire, perché la legalità - verso i detenuti e verso il personale - sia sempre presente negli istituti, affinché il Paese possa presentarsi alla Comunità Mondiale con un sistema penitenziario efficiente, moderno e funzionale, che sappia garantire sicurezza e l'effettività della pena, qualunque essa sia, anche con metodi extramurari e il rispetto dei diritti umani dei detenuti. Per quanto esposto in questa nota il Sindacato si aspetta ed auspica che le Autorità istituzionali e politiche interessate vogliano essere messe a conoscenza dei gravissimi ritardi nella soluzione dei problemi e che collaborino con il Ministro Guardasigilli e con la Direzione del DAP per trovare le soluzioni più adeguate (che potrebbero anche essere scomode per qualcuno, ma comunque necessarie per la sopravvivenza del sistema), intervenendo per quanto di competenza legislativa. In tal senso e con questi obiettivi il SAPPE si mette a disposizione del Parlamento e di tutte le forze politiche, offrendo l'esperienza acquisita sul campo, per suggerire e comunque discutere insieme delle soluzioni che si ritengono più adeguate per migliorare il "pianeta carcere" del nostro Paese. H

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Cataldo Lo Iacono

PRIMA CHE DIMENTICHI pagine 288

“P

rima che dimentichi”, la recente pubblicazione di Cataldo Lo Iacono, Comandante della Polizia Municipale di Montale in provincia di Pistoia, rappresenta un piccolo capolavoro di un autore che ha speso la sua vita per la difesa della legalità con una particolare attenzione alla tutela dei giovani e delle donne. Formato da 17 saggi e da una appendice di documenti e fotografie, possiede una attenta e puntuale cronologia in cui, molti dei protagonisti, avranno modo di riconoscersi e “fermare” un periodo della loro vita e quella di un piccolo centro toscano, forse dimenticati. Di origini siciliane, trapiantato in Toscana nel 1969, è stato nominato nel 2012 Cavaliere della Repubblica Italiana, proprio per “l’impegno alla diffusione della cultura della legalità”. Il libro, attraverso una “lettura” della sua vita, immortala un percorso di esistenza in cui la sfera privata inevitabilmente si intreccia con quella istituzionale; la figura della moglie Teresa è quella che, seppure non prevalente, si distingue tra i molti “personaggi” descritti. Ella senza dubbio ha “modernamente” diretto molte delle scelte del Comandante Lo Iacono, fornendo la sua collaborazione in tante iniziative istituzionali e benefiche. La lettura gradevole e facilmente apprezzabile da un vasto pubblico, assume in molte occasioni una struttura ed una caratteristica antropologica, poichè le abitudini, i costumi, la quotidianità del Comune di Montale o della Sicilia anni ’60, sono uno spaccato di una italia che si è formata nella sua identità nazionale anche grazie a questi uomini che hanno sacrificato la propria esistenza per il bene pubblico.

Ed è lo stesso Lo Iacono che facendo sua una citazione di Oriana Fallaci afferma: “non si fa il proprio dovere perchè qualcuno ci dica grazie... lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità”. Ai lettori rimando per le riflessioni e le sensazioni che lo scorrere delle pagine di questo libro saranno sicuramente sollecitate e che, ad un certo punto, diverranno di esclusiva proprietà di fruitori desiderosi di emozioni. Buona lettura. H Rosa Cirone

Nelle foto: la copertina del libro e il Comandante Cataldo Lo Iacono

Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015


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donne in uniforme

Le aspirazioni delle donne, oltre il tradizionale ruolo di madre e moglie a cura di Laura Pierini Vice Segretario Provinciale Sappe Firenze rivista@sappe.it

Nella foto sotto: madre con bambino in un dipinto di Gustav Klimt (Le tre età)

A fianco donna in uniforme mimetica

Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015

orrei tornare a parlare delle donne, delle aspirazioni e dei tentativi di realizzarsi e dare un senso alla propria vita, al di là dei ruoli tradizionali di madre e moglie. In precedenza ho parlato di come le donne della Polizia Penitenziaria siano cresciute, nel corso degli anni, superando retaggi, preconcetti e paure.

V

non leggersi in una semplice e riduttiva visione spaziale. Un processo a volte doloroso, vissuto in funzione degli affetti lontani, nella speranza continua di riuscire quanto prima a tornare a casa. Molte, troppe direi, invece di cercare di integrarsi nel nuovo contesto si sono chiuse in una vita di caserma, in un ambiente protetto ma limitato sotto

Hanno spesso lasciato il nucleo familiare di origine, affrontando un viaggio che ha posto una distanza da

tutti i punti di vista, in attesa del trasferimento. Trasferimento che negli anni passati, soprattutto per le donne non sposate e senza figli, non arrivava mai, non raggiungendo un punteggio sufficiente nonostante l’anzianità di servizio. Ne ho conosciute diverse, trasferite infine in prossimità della pensione, che periodicamente venivano a trovarci. Apparentemente sembravano felici di essere tornate nei propri luoghi, in realtà, in molte ho letto una estrema solitudine. E’ l’effetto dovuto all’esser donna che si allontana e che ‘tradisce’ il ruolo a lei culturalmente assegnato. Non avendo avuto modo di costruire e mantenere adeguate relazioni man mano che la vita scorreva, ne sono

rimaste ai margini ed una volta rientrate, neanche quella era più casa per loro. Benché quella appena descritta sia stata una realtà diffusa, c’è da dire che altre invece sono riuscite a costituire una famiglia nel nuovo ambiente, alcune con colleghi che vivevano la medesima lontananza, e a crescere i figli con tutte le difficoltà dovute al fatto di non avere aiuti familiari vicini. La società cambia, come pure gli obiettivi, le aspettative, il modo di vedere la propria vita e le nuove Poliziotte Penitenziarie appartengono al mondo di oggi. Sono giovani donne che scelgono volontariamente e consapevolmente di allontanarsi da casa e, senza perdere i valori e gli affetti di riferimento, accettano, mente aperta, di confrontarsi con realtà diverse in scambio reciproco e questa non può essere che una forma di arricchimento per tutti. Come principio generale, le donne che lavorano e che hanno una famiglia si trovano, nessuna esclusa, a sostenere il ruolo anche di madre e moglie ed è inevitabile che l’intersecarsi di queste funzioni comporti una forma di lotta anche interiore. I turni articolati nelle ventiquattrore, festivi e festività incluse, necessitano di un’organizzazione familiare ben studiata, perché condizionata dall’attività lavorativa. Il contatto con le problematiche psicologiche e di disagio di chi è detenuto è indubbiamente un peso in più da gestire e richiede la capacità di resettarsi al termine di ogni giornata. In definitiva non è facile per le donne conciliare le aspirazioni e i vari ruoli assunti e, ad esse, deve essere riconosciuto il loro apporto al vivere sociale. A presto. H


funzionari funzionali

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La complessa gestione dei “colletti bianchi” in carcere Mario Salzano Commissario di Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it

reati dei “colletti bianchi” sono reati commessi da una classe dirigente che produce guasti all’intero sistema economico e della Pubblica Amministrazione perché polverizza capitali, distrugge la fiducia dei cittadini e, in generale, genera turbativa. Anche grazie all’attenzione loro riservata dai mass media, questi reati

I

costituiscono argomenti la cui importanza è divenuta ormai di percezione comune. L’Italia, naturalmente, non fa eccezione: dopo l’illusione catartica degli anni di Tangentopoli e delle inchieste di Mani Pulite, i più recenti fatti di cronaca (si pensi su tutti allo scandalo di “Roma Capitale”) dimostrano che tale malcostume è tutt’altro che debellato. Le emergenze legate a questa forma di delinquenza sembrano riproporsi ad intervalli regolari con l’apparente ineluttabilità di certi disastri naturali. I reati di tipo economico e la “criminalità degli affari” comprendono azioni come la contraffazione delle merci, gli accordi illegali sui prezzi, la costituzione di monopoli in violazione alle leggi antitrust, la corruzione politica e commerciale, la pubblicità ingannevole, l’evasione fiscale, la violazione delle normative a tutela dei

lavoratori. La “corruzione sistemica” condiziona direttamente il circuito finanziario poiché le aziende e la Pubblica Amministrazione per pagare gli scambi corrotti devono disporre di fondi non contabilizzati, fuori bilancio (c.d. “fondi neri”) costituiti con diversi mezzi, sempre fraudolenti, o comunque distrarre fondi di pubblica utilità.

Reprimere con decisione queste condotte criminali non è però facile e richiede fra l’altro costi elevati. È quindi necessario riproporre la prevenzione. Uno strumento valido - insieme alternativo e complementare alla pressione esercitata dalla agenzie istituzionali - è costituito da un’azione

di controllo ed orientamento delle attività economiche attuata “dal basso”, ovvero da consumatori, utenti, risparmiatori e cittadini. Tuttavia, la percentuale di soggetti che conosce il carcere per aver commesso reati di questo tipo resta ancora estremamente bassa. Quando si parla di carcere e reinserimento sociale, infatti, solitamente il pensiero va a quelle categorie di soggetti deboli che nella propria vita difficilmente hanno avuto una seconda scelta, oltre a quella criminale intrapresa. È la parte della società economicamente e socialmente più debole quella che delinque. Molto spesso una larga parte dell’opinione pubblica è disposta anche a comprendere, se non a giustificare, determinati comportamenti motivati da uno stato di necessità o comunque da un contesto totalmente compromesso dal degrado e dal disagio. Minore (ma forse è il caso di dire nessuna) comprensione si è disposti ad accordare ai “colletti bianchi” che delinquono, in specie se i reati posti in essere rientrano nell’alveo dei cd. reati finanziari o comunque collegati alla gestione della Cosa Pubblica. In un momento storico come quello attuale in cui le difficoltà economiche sono il comune denominatore, non si è predisposti, né disposti, ad accettare che una persona influente e potente, il più delle volte designata dalla volontà popolare, si appropri di un patrimonio che, non solo non gli appartiene ma che è il frutto dei sacrifici di tutti. In questi casi, purtroppo, anche da parte di molti addetti ai lavori che si trovano a gestire questa ridottissima parte di popolazione detenuta, i moti di indignazione si sprecano.

Nelle foto: “colletti bianchi” in manette e dietro le sbarre

Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015


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Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015

funzionari L’ingresso di un soggetto noto per fatti di cronaca legati a reati finanziari all’interno di una struttura carceraria rappresenta (è inutile negarlo) un po’ un “trauma” per l’istituto, per il clamore mediatico che si riverserà sulla struttura e sui suoi operatori che, a seconda dell’importanza del detenuto, si ritroveranno ad operare, per un periodo più o meno lungo, sotto i riflettori. Tutto ciò può rappresentare un banco di prova ulteriore per l’Operatore Penitenziario e per il poliziotto in particolare che, con uno sforzo di astrazione superiore a quello già normalmente fornito dalla propria professionalità, dovrà agire ed operare in maniera scevra da emozioni, condizionamenti e considerazioni personali, garantendo il rispetto delle regole e fornendo, al contempo, quell’azione di osservazione, vigilanza e sostegno alla persona prevista dalla normativa. Ciò che ai non addetti ai lavori non sarà mai dato conoscere è, invece, la “seconda vita” di quell’uomo che in carcere è costretto a lasciare la sua corazza di soggetto influente e potente e che, improvvisamente, palesa la sua paura, il suo disagio e la sua necessità di doversi affidare ad altri, anche per le esigenze più elementari del suo quotidiano. È in un contesto così particolare che l’Operatore Penitenziario dovrà dare prova di estrema professionalità ed umanità; una occasione che, certamente con sfumature diverse da quelle che ordinariamente ci si trova ad affrontare, fornisce la possibilità di avere accesso alla parte più fragile di quella persona. Ognuno, nel corso della sua esperienza professionale potrebbe trovarsi a gestire e conoscere anche questo particolare aspetto della detenzione. È in quei particolari momenti ed in queste particolari occasioni che guardando la società “libera” si sente il privilegio che solo chi svolge questa meraviglioso lavoro può provare: conoscere a fondo ogni sfaccettatura dell’animo umano ed avere l’occasione di offrire, anche a queste persone, una speranza. H

attualità

Il cuore grande della Polizia Penitenziaria a mia è una famiglia di origine marinara. Tutti i miei antenati, trapanesi da oltre 5 secoli, sono stati marinai o pescatori, calafati o bottai salatori (di pesce), naviganti o cuochi di bordo. Tutti hanno avuto a che fare, in qualche modo, con il mare. Mio figlio Francesco, ha continuato la tradizione andando per mare dopo il diploma al prestigioso Istituto Nautico “Marino Torre” di Trapani, esistente in città da oltre 150 anni e che ha sfornato fior di ufficiali della Marina Mercantile che si sono fatti onore in tutti i mari del mondo. Una scelta difficile, in quanto tanti giovani d’oggi, all’età di mio figlio giocano ancora alla playstation, o continuano gli studi all’università alla ricerca di un titolo e di un lavoro che presto o tardi forse arriverà. La vita, quella del marittimo, è piena di ansie e di solitudine in quei mesi passati in navigazione, tra cielo e mare, lontano dagli affetti familiari. Una vita dura, che può essere anche ricca di soddisfazioni ed economicamente gratificante. Ma non tutti i giovani oggi sono disposti a fare sacrifici e stare lontani da casa o dalle fidanzate. Ed ecco quindi l’alternarsi dei mesi di sbarco e di imbarco, l’arrivo della chiamata e l’ansia di una famiglia che si chiede stavolta quale rotta farà, e cerca sull’atlante o su internet posti sconosciuti dove tuo figlio andrà a prendere la nave. E la partenza è sempre un piccolo trauma che si ripete puntuale ogni trimestre. E con il cuore in gola si attende sempre l’arrivo di una telefonata o di un sms. Il naufragio è l’ultima cosa a cui si pensa, poiché se si pensasse invece alla reale possibilità che possa

L

avvenire, penso che nessuno più si imbarcherebbe. Le navi oggi sono sempre più sicure e sottoposte a controlli minuziosi, eppure il fato è sempre in agguato, come nel caso della Norman Atlantic (sulle cui cause del naufragio vi è un’inchiesta in corso e quindi non è il caso parlare). Ma voglio solo soffermarmi sulle mie sensazioni; le sensazioni di un padre che riceve tramite TV la notizia e insieme a tutta la famiglia, moglie e altri figli, ma anche parenti e amici intimi, vive ore di angoscia senza poter far nulla per avere notizie, o ricevendo risposte vaghe e burocratiche, che ti spezzano il cuore, fino alla fatidica telefonata liberatoria: Sono vivo!!!! E allora emergono frammenti di storia, racconti spezzettati talvolta incomprensibili per la difficoltà di comunicare, e poiché inframezzati di


attualità i colleghi, l’amministrazione penitenziaria tutta, non facendo i conti con chi, coltivando un invidioso odio viscerale nei miei confronti, alimentato da futili motivi e vecchi rancori non ha perso tempo per buttare discredito con i suoi post al veleno (che lui ha scelto di non pubblicare perché indegni) nei

pianto. Lo sbarco a Taranto con altri naufraghi, salvati da quella lancia guidata da un ragazzo di 29 anni dalla condotta “eroica”. Certo, io sono suo padre. Per me, mio figlio è un eroe. Si può anche non essere d’accordo, ma restano i fatti. E come in ogni triste e tragica vicenda, fortunatamente a lieto fine per noi, ti rimane solo l’affetto degli amici, dei parenti, dei tantissimi concittadini che attraverso telefonate, messaggi, post sui social, esprimono solidarietà alla famiglia. Così come ha fatto il Sappe, nel quale ho a lungo militato in prima fila e in tante battaglie sindacali, solidarietà espressa anche attraverso un articolo con il quale il mio amico Gianni De Blasis pensava di far stringere intorno al dramma familiare di un “poliziotto penitenziario” il cui figlio era stato coinvolto nel naufragio,

confronti di un ragazzo ventinovenne di cui tutta la Polizia Penitenziaria, in quanto figlio di un appartenente, dovrebbe essere orgogliosa. Qualcuno dalle pagine di questa rivista ha scritto tempo fa che il vero nemico della Polizia Penitenziaria è la Polizia Penitenziaria, ovvero quei colleghi sempre pronti a gettare ombre su tutti, a discreditare chi con la propria abnegazione porta avanti le carceri ogni giorno con grandi sacrifici, a godere delle disgrazie altrui, specie se colleghi, specie se superiori di grado... Fortunatamente sono pochi; la stragrande maggioranza del personale ha un grande cuore e infatti, il grande cuore della Polizia Penitenziaria ma anche quello dei suoi dirigenti l’ho potuto toccare con mano; il 31 dicembre 2014, mentre i soliti detrattori che buttano veleni nei post

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mettendo perfino in dubbio ciò che è accaduto (ma solo per farmi del male moralmente) si apprestavano a brindare al nuovo anno (perché sicuramente erano liberi in un modo o nell’altro) io, in un momento di disperazione, mentre mio figlio dopo 80 ore di odissea in mare, scampato per miracolo alla morte, si trovava solo in ospedale senza nessuno che gli stringesse almeno la mano per dargli conforto, ho chiesto aiuto ai colleghi della Casa Circondariale di Taranto, al direttore di quel Carcere, la dottoressa Baldassarri, che rimproverandomi anzi per non avere chiamato prima davano tutto il sostegno e il conforto

morale di cui il ragazzo aveva bisogno, non lasciandolo più nemmeno un minuto da solo, fin quando i colleghi del NTP di Taranto non hanno visto l’aereo decollare. Ecco, in quel momento mi sono sentito orgoglioso di appartenere al Corpo di Polizia Penitenziaria, di un’amministrazione che ha dei direttori coma la dottoressa Stefania Baldassarri che in un giorno importante prefestivo come il 31 dicembre non si è mai negata al telefono, di avere un Vice Capo del Dipartimento come il dottor Luigi Pagano e il Provveditore della Puglia che non appena hanno saputo della vicenda si sono resi subito disponibili a fare qualcosa che potesse dare conforto al naufrago e alla sua famiglia. Ecco, volevo solo condividere con voi, come ormai si usa fare spesso sui social, una vicenda umana e personale che mi ha toccato nel profondo dell’animo. Grazie a chi mi è stato vicino. H Comm. Giuseppe Romano Comandante C.C. Trapani

Nelle foto: sopra Francesco Romano a fianco e in alto la Norman Atlantic in fiamme

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l’ultima pagina

inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it

il mondo dell’appuntato Caputo Domande senza risposte di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2015

CAPUTO, MA TU LO SAI PERCHE’ IL DAP NON RISPONDE MAI ALLE LETTERE DEL SAPPE?

DI SOLITO SI AVVALGONO DELLA FACOLTA’ DI NON INTENDERE E VOLERE...

Richiedi il tuo indirizzo e-mail di PoliziaPenitenziaria.it:

tuonome@poliziapenitenziaria.it La posta elettronica offerta a tutti gli appartenenti al Corpo, in servizio e in congedo. Visita il sito

GR ATISB 100 M Polizia Penitenziaria n.224 gennaio 2015

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