Polizia Penitenziaria - Luglio / Agosto 2012 - n. 197

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anno XIX • n.197 • luglio/agosto 2012

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L’EDITORIALE BSBD, SINDASP, CESI: tutte le relazioni internazionali del SAPPE di Donato Capece

IL PULPITO L’idea di carcere del Pres. Tamburino

ANNO XIX • Numero 197 Luglio / Agosto 2012

di Giovanni Battista De Blasis

Direttore Responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore Editoriale: Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it

IL COMMENTO Carceri, cosa accade nel mondo

Capo Redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

di Roberto Martinelli

Redazione Cronaca:Umberto Vitale Redazione Politica: Giovanni Battista Durante

L’OSSERVATORIO Carceri italiane: situazione drammatica

Redazione Sportiva: Lady Oscar Progetto Grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)

di Giovanni Battista Durante

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IN PRIMO PIANO Il Sappe ospita in Italia una rappresentanza del sindacato brasiliano Sindasp-SP

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CRIMINI & CRIMINALI Michel Profeta il serial killer atipico di Pasquale Salemme

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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

BSBD, SINDASP, CESI: tutte le relazioni internazionali del SAPPE

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n questo numero di Polizia Penitenziaria si parla diffusamente di carcere all’estero. Se ne parla in relazione alla visita in Italia della delegazione brasiliana dei poliziotti aderenti al Sindacato SINDASP-SP (Sindicato dos Agentes de Segurança Penitenciária do Estado de São Paulo). Se ne parla nell’articolo di Roberto Martinelli, che ci racconta le evoluzioni penitenziarie a Cuba, in Algeria e Turchia. Per rimanere in tema voglio allora raccontare la prestigiosa, stimolante ed interessate esperienza che ho avuto il privilegio e l’onore di vivere a Bruxelles lo scorso fine maggio.

Ho partecipato infatti al Consiglio della Categoria Giustizia della CESI (Confederazione Europea dei Sindacati Indipendenti) della quale fanno parte (ed erano presenti) i colleghi che rappresentano i Sindacati autonomi di Polizia di molti Paesi europei. In Europa la CESI è un interlocutore delle istituzioni europee ed in particolare della Commissione Europea. Emette prese di posizione relative soprattutto alle questioni di politica sociale e contribuisce, con l’ausilio delle attività sindacali dei suoi comitati, ad elaborare decisioni nel quadro della poli-

tica europea sociale e dell’occupazione. In collaborazione con l’organo di formazione della CESI, l’”Accademia Europa”, i sindacati membri sono coinvolti nelle ultime evoluzioni dell’Unione Europea. Nella due giorni ho dunque avuto modo di confrontarmi con i colleghi provenienti da molti Paesi europei discutendo di giustizia e carcere, di politiche per la sicurezza sociale, sostenendo e rafforzando l’azione delle autorità competenti degli Stati membri e la loro cooperazione reciproca al fine di suggerire indicazioni per prevenire e combattere la criminalità, organizzata e non. In questo prestigioso contesto sono stato relatore di un tema all’ordine del giorno non solo in Italia: l’uso e l’impiego del braccialetto elettronico come soluzione al sovraffollamento delle carceri. Ho parlato dell’esperienza italiana, dell’attuale emergenza penitenziaria e della specificità professionale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ho ricordato come, di recente, l’attuale Ministro della Giustizia abbia rinverdito l’ipotesi di fare ricorso alla misura alternativa del braccialetto elettronico quale possibile strumento deflattivo alla detenzione in carcere, anche in considerazione di una accresciuta affidabilità dello stesso in relazione a progressi tecnologici riscontrati che hanno evidenziato soddisfacenti risultati di sicurezza rispetto agli inconvenienti verificatisi nel passato. E questo l’ho sottolineato nel contesto di una compiuta analisi nel corso della quale ho anche ricostruito la storia del braccialetto elettronico. Ho infine ricordato che, pur essendo anche noi assolutamente favorevoli, al momento l’adozione dei braccialetti elettronici in Italia non risulta ancora definita, sia per gli elevati costi di gestione in relazione al particolare critico momento, sia per riserve che tuttora persistono negli ambienti gover-

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nativi e giudiziari, deputati a disporre direttamente tale strumento di controllo alternativo. Si è dunque trattato di una esperienza assolutamente interessante e stimolante, che ha confermato l’importante ruolo riconosciuto anche in Europa al primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE. Sono comunque convinto che dall’incontro del Consiglio della Categoria Giustizia della CESI possono essere scaturiti intenti comuni a livello europeo tali da garantire comunque la sicurezza ed offrire contestualmente condizioni di vita detentiva più umane, alla stregua di politiche nazionali ispirate ad una omogeneizzazione dell’esecuzione della pena.

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Giovanni Battista De Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

L’idea di carcere del Pres. Tamburino. Dicotomia tra teoria e pratica e tra realtà e immaginazione

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oi del Sappe l’avevamo detto prima ancora che arrivasse a Largo Daga: il Pres. Tamburino non è adatto a fare il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria. Si era appena sparsa la voce di un suo probabile incarico e noi replicammo con un comunicato stampa che invitava l’Esecutivo a non decretare la nomina. Conoscevamo Tamburino come uomo di cultura, con le caratteristiche, però, di uno studioso del diritto nel suo aspetto filosofico troppo lontano, a nostro parere, dal pragmatismo, dalla intraprendenza e dalla risolutezza che sono le principali qualità che dovrebbe avere un buon Capo Dipartimento. Puntuali, come le tasse e la morte, ci ritroviamo oggi, qui, a pronunciare il solito, scontato “Noi l’avevamo detto!”. Bella soddisfazione ... Soddisfazione vanificata e sopraffatta dalle notizie che giungono quotidianamente dagli istituti penitenziari; notizie che, ormai, hanno sempre più le caratteristiche di un vero e proprio bollettino di guerra. Suicidi di detenuti - una cinquantina dall’inizio dell’anno -, suicidi di colleghi – sette dall’inizio dell’anno - tentati suicidi, autolesionismi e aggressioni, aggressioni e ancora aggressioni... I dati sui suicidi, in particolare, sono di quelli da far tremare le vene ai polsi: negli ultimi dieci anni un centinaio di agenti penitenziari e un migliaio di detenuti. Qualcuno smentisca che si tratta quasi di un bollettino di guerra! E poi le aggressioni. In un contesto di estremo buonismo, fondato su ipotetici patti di responsabilità con i detenuti, il personale nelle carceri continua ad essere oggetto di aggressioni in un clima surriscaldato, quasi da girone dantesco. Mentre, infatti, da una parte c’è un capo del Dap che continua a teorizzare improbabili prese di coscienza da parte di una popolazione detenuta ristretta in condizioni di assoluta invivibilità, dall’altra parte c’è la triste ed amara realtà delle sezioni detentive dove un micidiale cocktail di sovraffollamento, afa e promiscuità genera attriti e tensioni che finiscono per sfociare in atti di auto ed etero lesionismo. In questi ultimi giorni tre episodi mi hanno colpito in particolar modo, sia per la loro gravità sia, soprattutto, per il fatto che avrebbero (dovuto) potuto essere evitati. Il primo, il più grave per gli effetti provocati, è stata l’aggressione di un assistente capo a Spoleto che ha riportato numerose fratture al volto e una prognosi di settantacinque giorni salvo complicazioni. Per la dinamica dell’aggressione, il collega, se non fossero intervenuti altri in suo aiuto, avrebbe potuto anche perdere la vita. La seconda, altrettanto grave per le implicazioni, è stato il tentativo di aggressione con lametta da parte di un detenuto di Pisa affetto da Hiv. Quest’ultima è particolarmente allarmante perché si tratta

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di un detenuto che, appena dieci giorni prima, si era reso protagonista di una analoga aggressione al personale, ferendo 3 agenti ed un medico i quali, oltre alle cure del caso, per ragioni di profilassi hanno dovuto anche sottoporsi a lunghe terapie antivirali per scongiurare il rischio di contagio. La terza, ultima per conseguenze ma ugualmente allarmante, è l’aggressione subita da una collega nel carcere di Sassari, di estrema violenza e in una condizione di assoluta inferiorità (l’agente era da sola in mezzo a decine di detenute). Ebbene la collega è stata salvata dalle altre detenute che sono intervenute in suo aiuto contenendo ed immobilizzando l’aggreditrice. Questa è la differenza tra il carcere immaginario del Pres. Tamburino ed il carcere reale esistente in Italia. Il Pres. Tamburino immagina (o spera) che le carceri italiane siano tutte come Rieti, come Trento o come la nuova sezione di Avellino. Il Pres. Tamburino non immagina (o non sa) che esistono altri duecento penitenziari dove la realtà è molto lontana dalle sue fantasie; dove ci sono brande fino a cinque livelli, dove ci sono anche dodici detenuti nella stessa cella, dove qualche volta si dorme sui materassi in terra, dove si soffre, dove si muore e dove si è ristretti e si lavora in condizioni da terzo mondo. E’ lì che un Capo del Dap dovrebbe (deve) intervenire ... altro che sorveglianza dinamica! Il Capo del Dap, poi, ci dovrebbe spiegare come possono accadere episodi come quello di Spoleto e che cosa bisogna fare per evitare che si ripetano. Il Capo del Dap ci deve spiegare come può essere successo che un detenuto autore del ferimento di quattro agenti possa aver ripetuto lo stesso gesto con le stesse modalità all’interno dello stesso carcere. Il Capo del Dap ci deve spiegare come è possibile che chi dovrebbe garantire l’ordine e la sicurezza degli istituti penitenziari, alla fine, si trova ad essere soccorso dagli stessi detenuti. L’amministrazione penitenziaria non può essere governata in dicotomia tra teoria e pratica, tra realtà ed immaginazione. Dal Pres. Tamburino, filosofia o non filosofia, pretendiamo che certi episodi non accadano più; dal Pres. Tamburino pretendiamo interventi in favore dell’incolumità e della sicurezza del personale. Se non vuole farlo o se non ne è capace, pretendiamo, allora, che se ne vada immediatamente e lasci il passo a chi può e vuole tutelare chi rappresenta lo Stato mettendolo nelle condizioni di lavorare con serenità, tranquillità e senza temere per la propria incolumità fisica e psicologica.

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Nella foto il Capo del DAP Giovanni Tamburino


Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Carceri, cosa accade nel mondo

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a visita in Italia dei colleghi brasiliani ha testimoniato una volta di più quale e quanta importanza hanno per il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE le relazioni internazionali in materia di operatori della sicurezza penitenziaria ed esecuzione della pena. Peraltro, come è noto, il SAPPE aderisce ad un organismo internazionale di estrema importanza quale è il CESI ed ha tenuto nel mese di luglio scorsi un analogo incontro bilaterale con i rappresentati dell’omologo sindacato autonomo penitenziario tedesco, il BSBD. Conoscere i sistemi di lavoro e le singole realtà del mondo è a mio avviso importante e fondamentale per apprendere eventuali nuove metodologie di lavoro. Non a caso, i colleghi brasiliani aderenti al SINDASP-SP Nella foto sono stati in Italia proprio per ‘importare’ a fianco nel loro Paese le peculiarità, le professioFidel Castro nalità e le caratteristiche del Corpo di Polizia Penitenziaria e del SAPPE. E’ stato certamente utile sapere che in Brasile ci sono 500mila detenuti rispetto ai circa 200 milioni di abitanti: nelle carceri dello Stato di San Paolo (circa 10 milioni di abitanti), dal quale proveniva la delegazione, vi sono 200mila detenuti e 30mila poliziotti. E la riorganizzazione penitenziaria è in evoluzione non solo in Brasile, Paese nel quale è in discussione una proposta di legge di modifica costituzionale che prevede appunto un Corpo di Polizia penitenziaria strutturato analogamente al nostro. A Cuba, ad esempio, risulterebbero esservi in carcere oltre 57mila i detenuti e di que-

sti, circa 23mila, lavorerebbero ricevendo uno stipendio. Almeno secondo il regime dell’Avana, che ha diramato qualche tempo fa con un dettagliato rapporto sulla popolazione carceraria in risposta alle accuse di abusi commessi nelle strutture penitenziarie dell’isola. In un articolo pubblicato da Granma, organo di stampa ufficiale, si è

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sottolineato in particolare l’avvio di programmi di riabilitazione per i carcerati nell’ambito di un piano di investimenti fino al 2017 per apportare miglioramenti alle infrastrutture e, più in generale, per le condizioni di vita dei detenuti. Sempre secondo i dati forniti dal regime, circa 10mila persone sono state scarcerate negli ultimi sei mesi mentre è in aumento il numero di detenuti condannati per corruzione. Dati che i gruppi dissidenti contestano, citando i tanti casi di detenuti politici morti dopo uno sciopero della fame proprio per contestare le politiche repressive del regime cubano e spiegando che in realtà la popolazione carceraria si aggirerebbe tra le 70 e le 100 mila unità, molti delle quali recluse appunto per motivi politici. La situazione cubana è da tempo oggetto di attente valutazioni da parte del Comitato Onu contro la tortura, riunitosi recentemente per verificare testimonianze di violazioni commesse dalle autorità. Anche l’Algeria ha recentemente tirato le somme di una riforma penitenziaria che ha sostanzialmente assunto, nel giro di pochi anni, il profilo di una rivoluzione, puntando decisamente, dopo l’epoca in cui il detenuto era un soggetto che doveva pagare pesantemente per quel che aveva fatto, al suo recupero, al suo reinserimento nella società. L’Algeria, in questo, sembra essere un passo avanti agli altri Paesi del nord Africa, anche se il vento di democrazia partecipata della ‘primavera araba’, prima di varcarne le frontiere, ha perso di forza.

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Come testimoniano le elezioni che, annunciate o temute come quelle del grande cambiamento, hanno confermato il vecchio regime, anche se non necessariamente la sua attempata nomenklatura. Ma sulle carceri il Paese ha, in un certo senso, investito la propria immagine, cosciente del fatto che esse sono, insieme, una scommessa da vincere o, in caso negativo, un bubbone che, esplodendo, potrebbe investire lo Stato sin nelle fondamenta. Perchè, dentro di esse, la rabbia cova perenne, terreno fertile per chi spande il seme della intolleranza religiosa. Le carceri algerine oggi hanno una popolazione di circa 58 mila individui, quasi tutti giovanissimi, quasi sempre dietro le sbarre per delitti contro il patrimonio. Per circa 16 mila di loro - la percentuale si commenta da sola - il sistema penitenziario ha previsto dei meccanismi che ne consentano il reinserimento nella società, con meccanismi che tengano conto della loro

origine (in termini di classe), del loro percorso scolastico (semmai ne hanno uno), di quelle che sono le loro attitudini e, quindi, di quel che, una volta, fuori, potrebbero fare. L’aspetto rivoluzionario, per queste latitudini e per il ‘carico’ di tradizione che i Paesi si portano dietro, è che il carcere, da luogo di espiazione, è stato elevato a banchina da cui possono partire le speranze dei reclusi che hanno mostrato di volere tornare a fare parte del mondo normale. Una scelta che lo Stato asseconda con un ampio ricorso allo strumento della libertà provvisoria, non fine a se stessa, ma mirata ad attività che spianino la strada verso un

Nella foto a fianco il Premier turco Tayyip Erdogan

lavoro degno di tale nome. Insomma, si disegna davanti al detenuto in procinto di uscire (con tempi che non sono necessariamente brevi e fornendolo di un sostegno psicologico) un percorso che non è agevolato, ma che intende metterlo nelle migliori condizioni per tentare non una redenzione, ma semplicemente di restituirlo ad una vita normale.

In quest’opera, l’Algeria, da tempo, ha chiesto la collaborazione di esperti stranieri che arrivano, controllano, propongono e, se del caso, bacchettano. In tutto questo lo Stato centrale dialoga con le sue strutture sul territorio, a cominciare dalle wilayas, le Province, che devono aiutare gli ex detenuti a muovere i primi passi, anche collaborando con loro nell’avvio di pratiche amministrative per una nuova attività. Un processo in cui anche la società civile è coinvolta veramente e fattivamente. I risultati, in imprese come queste, non sono immediati e necessitano di tempi lunghi. Ma, dicono al ministero della Giustizia algerino, il fatto che le ricadute, le recidive,

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come si chiamano in linguaggio giuridico, siano pochissime è già una vittoria. Carcerazioni preventive e arresti meno facili anche in Turchia: nell’ambito della riforma giudiziaria votata proprio in questi giorni dal parlamento turco, sono stati approvati importanti emendamenti alla legislazione in vigore, che vanno a toccare alcuni punti particolarmente sensibili, da anni sotto la lente di ingrandimento di Bruxelles. Per licenziare la riforma voluta dal governo di Recep Tayyip Erdogan l’assemblea ha lavorato oltre il termine previsto per la chiusura estiva del parlamento, in agenda dal primo luglio. Nel pacchetto di riforme approvato, per quanto riguarda la carcerazione preventiva che in Turchia può durare anche diversi mesi o anni, questa verrà sostituita da misure di controllo giudiziario per tutti i reati, non più solamente per quelli che prevedono pene fino a tre anni. Altro punto molto importante della riforma, è l’introduzione di regole più vincolanti per gli ordini di arresto, con i giudici che saranno obbligati a presentare giustificazioni concrete per i mandati d’arresto. Il quotidiano Hurriyet ha fatto notare che proprio la discrezionalità dei giudici potrebbe giocare un ruolo importante nell’effettiva applicazione delle nuove norme. Da questa parziale e veloce disamina sembra dunque che il tema del carcere e dell’esecuzione della pena è centrale in molti Paesi del globo, tra luci ed ombre, nella costante dicotomia tra teoria e pratica, e con le evidenti complicazioni che una diffusa situazione emergenziale determina alle donne e agli uomini addetti alla vigilanza ed alla sicurezza delle strutture detentive di tutto il mondo.

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A sinistra fasi della primavera araba in Algeria


Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Carceri italiane: situazione drammatica

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Nella foto il Ministro della Giustizia Paola Severino

a situazione delle carceri è sempre drammatica, nonostante i detenuti non siano cresciuti, a seguito dei provvedimenti che prevedono la possibilità di scontare in regime di detenzione domiciliare la parte residua della pena: gli ultimi dodici mesi previsti dalla legge 199, c.d. legge Alfano, elevati a diciotto mesi dal decreto presentato dall’attuale ministro della Giustizia, Paola Severino. Se non ci fossero state queste due iniziative i detenuti avrebbero superato la cifra di settantatremila unità, dei quali, probabilmente, molti dormirebbero per terra, com’è già avvenuto in passato in alcuni istituti. A ciò si aggiunge la grave carenza di organico, la cui emorragia è stata contenuta con le assunzioni relative al 2011 e al 2012: bisogna ricordare che ogni anno perdiamo almeno otto/novecento appartenenti al Corpo, a causa dei pensionamenti e delle esigue assunzioni, fatta eccezione, come dicevamo, degli ultimi due anni. Infatti, l’attuale carenza di settemila unità è stata determinata proprio dai pensionamenti e dalle conseguenti mancate assunzioni. Problema, quello delle assunzioni, che si ripresenterà con le previsioni contenute nel decreto riguardante la spending review, dove è previsto che per il triennio 20122014 anche i Vigili del fuoco, i Corpi di polizia, il sistema delle Università e gli Enti di ricerca, potranno procedere al ricambio del turn-over nella misura del 20%, del 50% nell’anno 2015 ed il pieno reintegro del personale cessato dal servizio dal 2016 in poi. Ciò determinerà un risparmio di1,1 miliardi. Le iniziative messe in campo dal ministro Severino, come abbiamo sempre detto fin dall’inizio, vanno nella giusta direzione, soprattutto per quanto riguarda il disegno di legge sulle depenalizzazioni e la messa alla prova, al quale il Parlamento dovrebbe dare una corsia preferenziale per appro-

varlo al più presto, magari prima della pausa estiva. Si tratta sicuramente di una di quelle misure da considerare strutturali, che sono destinate ad incidere sull’ordinamento, modificandolo e rendendolo più adeguato alle esigenze attuali. Si tratta di una misura sicuramente efficace, così come lo è stata finora per i minori, poiché consente di scontare all’esterno pene brevi, fino ad un massimo di quattro anni di reclusione, con la possibilità di svolgere lavori socialmente utili. E’ questa un’altra modalità di esecuzione della pena che dovrebbe essere maggiormente incentivata: nell’ultimo anno lo svolgimento di lavori socialmente utili è aumentato, sono infatti oltre mille e cinquecento le persone che svolgono tale attività, rispetto alle poche decine degli anni precedenti, ma comunque troppo pochi per svolgere un ruolo determinante nel sistema dell’esecuzione penale. Il sistema penitenziario italiano, costruito su una normativa che può comunque essere ancora considerata all’avanguardia, necessita evidentemente di una generale riorganizzazione amministrativa, a cominciare, a nostro avviso, dalla differenziazione

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degli istituti nell’ambito delle regioni, visto il fallimento dei circuiti penitenziari. Sarebbe opportuno, oltre che utile, differenziare gli istituti in almeno tre livelli: massima sicurezza, media sicurezza e custodia attenuata. Negli istituti di massima sicurezza dovrebbero essere reclusi i detenuti più pericolosi che non sono sicuramente pochi: nelle carceri italiane sono detenute circa dieci mila persone appartenenti alla criminalità organizzata, alle quali bisogna aggiungere i terroristi ed i responsabili di gravi reati contro la persona. Negli istituti a custodia attenuata, invece, potrebbero essere detenute le persone meno pericolose, che hanno commesso reati che non destano grave allarme sociale, ovvero coloro che si trovano in un’avanzata fase trattamentale; potrebbe trattarsi di strutture filtro, nelle quali i detenuti accedono prima di uscire all’esterno, ovvero di usufruire di misure alternative alla detenzione. Di particolare importanza sarebbero anche le strutture a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti che, lo ricordiamo, sono il 25% del totale dei reclusi, nonostante in Italia ci sia una legislazione molto favorevole che consente di poter espiare la pena all’esterno, attraverso la sospensione della pena o l’affidamento terapeutico, per coloro che hanno superato il programma di recupero, ovvero hanno in corso un programma di recupero o a tale programma intendano sottoporsi. Qualche esempio positivo c’è già, come l’istituto di Rimini, dove, in una piccola sezione con sedici posti non incrementabili, negli ultimi anni sono stati recuperati circa quattrocento tossicodipendenti. Qualcosa di concreto si potrebbe fare, senza investire tante risorse, ma i dirigenti del Dipartimento continuano a navigare a vista, nella probabile attesa di giungere all’isola del Giglio, per il consueto inchino.

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Il Sappe ospita in Italia una rappresentanza del Sindasp-SP, sindacato brasiliano della Polizia Penitenziaria

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i rafforzano e si intensificano le relazioni internazionali del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il

Sappe Nella settimana dal 25 al 30 giugno scorsi è stata in Italia una delegazione degli Agenti di Polizia Penitenziaria del Brasile aderenti al Sindacato SINDASP-SP (Sindicato dos Agentes de Segurança Penitenciária do Estado de São Paulo) per una visita agli istituti e servizi di pena del nostro Paese. La delegazione brasiliana, guidata dal Presidente SINDASP-SP Daniel Grandolfo ed accompagnata dai componenti la Segreteria Generale del Sappe, ha incontrato la vice Capo Dipartimento Vicario dell’Amministrazione Penitenziaria Simonetta Matone, che ha espresso convinto apprezzamento per l’incontro bilaterale SAPPE-SINDASP ed ha valorizzato le professionalità e l’operativa delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria italiana. In Brasile ci sono 500mila detenuti rispetto a circa 200 milioni di abitanti.

Nelle carceri dello Stato di San Paolo (circa 40 milioni di abitanti), dal quale proviene la delegazione brasiliana, vi sono 200mila detenuti e 30mila poliziotti. I colleghi del SINDASP-SP sono venuti in Italia perchè intendono ‘importare’ nel loro Paese le peculiarità, le professionalità

e le caratteristiche del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Sappe. Nel Paese sudamericano è infatti in discussione un importante provvedimento di legge che è finalizzato alla riorganizzazione del sistema penitenziario brasiliano e del personale addetto ai compiti di sicurezza e vigilanza. Nel corso della loro permanenza in Italia, i poliziotti brasiliani hanno visitato il carcere romano di Regina Coeli, quello di Rieti e la cittadella penitenziaria di Rebibbia, il Museo Criminologico in via del Gonfalone a Roma, la Scuola di Formazione Giovanni Falcone, il Reparto speciale del Gruppo Operativo Mobile G.O.M., l’Istituto di perfezionamento e l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari. La visita della delegazione brasiliana segue quelle fatte nel marzo e nel luglio scorsi dai colleghi tedeschi aderenti al Sindacato BSBD (Bund der Strafvollzugsbediensteten Deutschlands), a seguito delle quali è stato organizzato in Veneto il Meeting

Nelle foto sopra il Segretario Generale Donato Capece a fianco le delegazioni al completo

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Nelle foto ancora fasi dell’incontro

bilaterale Italia-Germania di interscambio professionale. Come già avvenuto con i tedeschi, anche l’incontro con i colleghi brasiliani è stato utile per conoscere i sistemi penitenziari di altri Paesi e per ragionare sulla possibilità di soluzioni comuni al sovraffollamento penitenziario, che è un problema non solo italiano ma internazionale. Si è anche diffusamente discusso della possibilità di mettere in campo delle sinergiche strategie di intervento sull’esecuzione della pena nei Paesi e sulle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari nei rispettivi Stati, nel rispetto degli specifici ordinamenti. L’incontro con i colleghi del SINDASP-SP conferma ancora una volta l’importanza che per il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe hanno le relazioni internazionali in materia di operatori della sicurezza penitenziaria ed esecuzione della pena. Non a caso il Sappe aderisce ad un organismo internazionale di estrema importanza quale è il CESI. Il nostro obiettivo, come noto, è dare vita ad una Confederazione internazionale dei Sindacati autonomi della Polizia Penitenziaria, che possa avere ascolto e rappresentanza nei consessi internazionali, presso il Consiglio europeo ed i Governi dei vari Paesi, e riuscire ad organizzare un Convegno mondiale sul ruolo, la professionalità e la funzione sociale delle Polizia Penitenziarie dei vari Stati. roberto martinelli

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a cura di Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

I campioni delle Fiamme Azzurre alle Olimpiadi di Londra

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a trentesima edizione dei giochi olimpici estivi vedrà Londra come città ospitante per la terza volta della sua storia. La prima si tenne nel 1908, la seconda nel 1948, quella 2012 invece, terrà banco nella Capitale britannica dal 27 luglio al 12 agosto. In tutto e per tutto si appresterà ad essere una kermesse a cinque cerchi dei record: sono stati venduti oltre otto milioni di biglietti per le gare olimpiche (un milione e mezzo per quelle paralimpiche), messi in commercio nel 2011 ed esauritisi nel giro di due settimane. Nelle previsioni di spesa dei consumi per le Olimpiadi e le Paralimpiadi i negozianti della City sono quelli che attendono con più trepidazione l’inizio delle gare, perché l’indotto conseguente dovrebbe portare nelle casse della città, e dei centri limitrofi, ben 250 milioni di euro. A seguire poi ci sono le strutture alberghiere che ne incasseranno oltre 170, la terza piazza andrà invece ai proprietari di supermercati e negozi di generi alimentari, con un guadagno previsto di circa 110 milioni e quello degli

Aldo Montano sciabola Livornese, classe 1978, Aldo è stato oro individuale ai giochi di Atene 2004, argento a squadre nella stessa edizione e bronzo a Pechino 2008. Alla sua terza partecipazione ai giochi estivi è molto più di un semplice figlio d’arte: il nonno Aldo ha vinto diverse medaglie olimpiche in edizioni differenti, l’ultima all’età di 38 anni, il papà Mario Aldo e gli zii paterni, Mario Tullio, Carlo e Tommaso, furono ugualmente degli olimpionici nella sciabola ed il fioretto. Anche se un infortunio all’adduttore ha reso più frammentaria la preparazione all’evento, la sua profonda esperienza può fare davvero la differenza in pedana.

operatori nel business di viaggi e turismo, per i quali è previsto un introito vicino ai 900 milioni. Inoltre secondo la ricerca dal nome “Realising a Golden Opportunity: Visa Europe’s London 2012 Olympic and Paralympic Games Expenditure and Economic Impact Report” , realizzata in previsione del periodo olimpico, l’effetto dei giochi estivi non si esaurirà con la cerimonia di chiusura di Londra 2012, ed i benefici dovrebbero arrivare fino al 2015, portando ad un ritorno economico complessivo di oltre 6 miliardi di euro. Così stando le cose, si può pensare che, grazie all’indotto di cui sono una potente forza creatrice, i giochi 2020 e la candidatura di Roma non sarebbero dovuti forse apparire propriamente come un’occasione da lasciarsi sfuggire dal nostro Paese. D’accordo che siamo in clima di spending review, ma se la previsione di spesa per investimenti pubblici in infrastrutture e accoglienza nella città eterna era stimata in circa 4,6 miliardi di euro, è pur vero che il ritorno, nella peggiore delle previsioni, non sarebbe mai stato inferiore alla cifra di Londra. Totale: 1,4 miliardi di euro di attivo... forse per Roma, contrariamente a quanto affermato in tempi di austerity, è stata davvero un’occasione persa. Chi invece difficilmente salterà i giochi olimpici dell’edizione 2020 e anzi può legittimamente aspettarsi di esserci con una continua crescita degli atleti da schierare giudicando già ad oggi i numeri dell’edizione 2012, saranno proprio le Fiamme Azzurre. E’ infatti record di presenze per la storia del gruppo sportivo della

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Polizia Penitenziaria che a Londra contribuirà alla spedizione azzurra con ben 23 rappresentanti: evidentemente l’opera intrapresa da ormai quasi due quadrienni olimpici per rinforzare il gruppo sportivo in strutture, dotazioni ed atleti di primissimo profilo, continua a dare degli ottimi risultati, e la strada intrapresa è quella giusta. A Pechino quelli schierati furono 18, ad Atene 8, a Sydney 9, ad Atlanta 11, a Barcellona 6 e a Seoul (che sancì la prima partecipazione del gruppo sportivo in una kermesse olimpica) i presenti furono solo 3. Senza fare previsioni sul numero di medaglie, per scaramanzia, vi presentiamo uno ad uno i portacolori della Polizia Penitenziaria in territorio d’oltremanica, sperando di potervi parlare di loro anche nel prossimo numero, quando vi racconteremo quale è stato il bottino finale della spedizione azzurra e delle Fiamme Azzurre. A tutti, intanto, un caloroso in bocca al lupo da parte della redazione sportiva della rivista.

Clemente Russo pugilato Il gigante di Marcianise, classe 1982, soprannominato “Tatanka” come il personaggio del film che ha interpretato, gareggerà sul ring nella categoria al limite dei 91kg. E’ stato argento a Pechino 2008 cedendo l’oro solo nella finale contro il russo Chakhkiev, e questa è la sua terza partecipazione olimpica dopo la prima di Atene 2004. L’obiettivo di Clemente è salire sul podio, se possibile scrollandosi di dosso la delusione per quel metallo prezioso mancato nell’edizione cinese. Dato che il 27 luglio sarà anche il suo trentesimo compleanno, ci auguriamo che con quel podio voglia farsi da solo un bel regalo: da dedicare certamente a se stesso, ma anche alla moglie Laura Maddaloni (judoka di alto profilo) e alla loro piccola Rosy.

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Michele Santucci nuoto: 4x100

Vincenzo Mangiacapre pugilato Classe 1989, cresciuto a Marcianise come il mitico compagno di nazionale Clemente Russo, Vincenzo gareggerà a Londra nella categoria al limite dei 64 kg. E’ forte, agile e mingherlino oggi: difficile da credere, ma iniziò a praticare il pugilato perché era troppo in carne e la famiglia cercava un’attività utile a farlo dimagrire da piccolino. Per lui a Londra non esiste nessuno da temere, perché quello da temere per gli avversari sarà lui stando a ciò che ha dichiarato e: «Guai a chi osa intromettersi tra me ed il mio sogno olimpico». Il suo nome di battaglia Murzy ci ha incuriositi... Vincenzo afferma che gli è stato dato perché lui è come la Murzett, il biscotto alle mandorle duro fuori, ma dolcissimo dentro.

Atleta di Castiglion fiorentino, classe 1989. Dal 2008 ha iniziato a lavorare sodo per avere i tempi giusti necessari ad essere presente a Londra 2012, e alla fine, meritatamente, Michele è riuscito pienamente a conquistarsi il posto in nazionale. Il suo obiettivo sarà quello di far bene con la squadra, già 4° agli ultimi mondiali di Shangai insieme a Dotto, Orsi e Magnini. Se possibile, tra gli obiettivi olimpici che si è posto, vorrebbe poter arrivare a disputare la finale olimpica perché lì, ha dichiarato che tutto può succedere, anche se in vasca hai la Russia, gli Usa e l’Australia.

Elena Moretti judo: 48 kg

Davide Uccellari triathlon A ventuno anni Davide Uccellari, classe 1991, modenese e grande promessa de triathlon azzurro, si avvicina all’esperienza olimpica con la meraviglia di chi è consapevole di fare un piccolo passo nella storia sportiva partecipando alla rassegna a cinque cerchi. Ottimo interprete di tutte e tre le discipline previste (bicicletta, nuoto e corsa), soprattutto nella corsa ha dimostrato più volte di avere i tempi giusti. A suo parere però la gara olimpica avrà il maggior elemento di variabilità nella prova di nuoto, a causa delle quasi certamente basse temperature dell’acqua nordica. Eventualmente bisognerà affidarsi alle mute e alla sua tempra da campioncino.

Matteo Betti

Ilaria Bianchi nuoto: 100m farfalla

L’atleta super leggera del judo azzurro, bresciana classe 1987, nei 48 kg può giocarsi una medaglia fortemente alla sua portata per ciò che ha dimostrato nelle gare di avvicinamento alla gara olimpica. Ciò è vero nonostante nelle dichiarazioni precedenti alla partenza Elena abbia affermato solo di voler far di voler far bene, salendo e scendendo dal tatami senza rimpianti. Tra i vari risultati internazionali di prestigio a cui ha partecipato tutto il gotha mondiale della disciplina, e dove la nostra atleta ha conquistato delle ottime medaglie, basta ricordare che nel 2012 Elena è stata medaglia di bronzo ad Almaty (KAZ) World Masters, nel 2011 oro alla World Cup di Roma, così come ugualmente il bronzo lo ha conquistato a Mosca (RUS) e a Baku (AZE).

scherma in carrozzina

Classe 1985, sensese, Matteo a causa di un’emorragia cerebrale subita alla nascita ha avuto un’emiparesi che gli impedisce l’uso della mano destra: da bambino ha iniziato a tirare di scherma in piedi, nel 1991, scoprendo solo nel 2005 la versione in carrozzina in cui ben presto si è dimostrato un fuoriclasse. Vuole evitare di fare pronostici sul suo risultato, ma si può senza dubbio affermare che in assoluto della spedizione azzurra Matteo, alla sua seconda esperienza olimpica dopo Pechino 2008, dove ha probabilmente pagato troppo la tensione dell’esordio, ad oggi a Londra rappresenta la più concreta possibilità di medaglia nella sua categoria.

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Nuotatrice di Castel San Pietro terme, classe 1990, Ilaria non ha mai avuto il mito sportivo da imitare, anzi non ha mai neppure pensato, prima della partecipazione a Pechino 2008, di poter essere anche lei un’atleta di livello olimpico. Quella di Londra sarà emotivamente parlando, un’esperienza più semplice da affrontare, perché, forte dell’esperienza cinese, dice di essere più preparata a ciò che rappresenterà l’essere presente lì. Potendo scegliere un obiettivo vorrebbe poter entrare nelle prime dieci anche se è consapevole del fatto che non sarà un’impresa semplice.

Francesco Faraldo judo: 66 kg Solo dopo aver assistito alla grande festa in diretta da Sydney 2000 per l’oro dell’atleta campano Pino Maddaloni, il suo idolo sportivamente parlando, Francesco Faraldo, classe 1982, validissimo judoka delle Fiamme Azzurre, ha iniziato a credere di poter essere anche lui un possibile protagonista dei giochi in un giorno non troppo lontano. A Londra troverà in categoria circa trenta atleti che vogliono inseguire i tre posti sul podio: tutto potrà accadere ma lui salirà sul tatami per combattere con l’idea di andare a vincere, con determinazione e tanta intelligenza sportiva.

Brenda Spaziani tuffi Classe 1984, tuffatrice delle Fiamme Azzurre dopo un passato alla prestigiosa società canottieri Aniene, Brenda si è avvicinata piuttosto tardi alla disciplina per la quale a Londra rappresenterà i colori azzurri: il suo passato agonistico, fino ai 15 anni, è stato impegnato nella ginnastica artistica e oggi, quando tutti la davano ormai quasi per finita in prospettiva di una partecipazione a cinque cerchi, a 28 anni, l’atleta di Frosinone, è invece riuscita a staccare il pass per la gara sulla piattaforma dei 10 metri. Ciò è stato possibile grazie al terzo posto ottenuto nella prova di ripescaggi della Coppa del Mondo svoltasi proprio a Londra.

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Agnese Allegrini badminton

Claudia Cesarini pentathlon moderno Romana, classe 1986, a Londra si appresterà a vivere la sua prima partecipazione olimpica. Arrivata alla consapevolezza solo da maggiorenne che lo sport che praticava da bambina (comprendente scherma, tiro con la pistola, corsa, nuoto ed equitazione) poteva darle tante soddisfazioni agonistiche se avesse incominciato ad inseguirle con impegno e convinzione, arriverà ai giochi con la voglia di far bene e di divertirsi il più possibile, sul risultato, anche lei nelle dichiarazioni prima della partenza anche lei non si è sbilanciata.

Chiara Rosa getto del peso Classe 1983, originaria di Camposampiero, è stata tredicesima a Pechino 2008 e dopo il recentissimo bronzo ai campionati europei di Helsinki grazie ad una misura di 18,47m, che è stato anche la sua prima medaglia internazionale in una competizione continentale, ed i dieci titoli italiani assoluti vinti in carriera, si appresta a vivere un’edizione olimpica con l’obiettivo di rientrare tra le prime otto finaliste. Germania, Cina, Russia, Bielorussia e la neozelandese Valerie Adams (campionessa mondiale e olimpica in carica), si contenderanno il posto sul podio anche se, come il ciclone Rosa ha dichiarato, la gara olimpica è una gara a sé e tutto può accadere pur nella consapevolezza dei limiti e delle possibilità di ognuna delle presenti.

Walter Endrizzi

Eleonora Giorgi 20 km marcia

Classe 1982, originaria di Vignanello, Agnese è la prima italiana nella storia della disciplina ad accedere ai giochi olimpici. Dopo le sfortunate qualificazioni per i giochi di Sydney ed Atene, in cui ha mancato l’obiettivo di pochissimo, e la prova di Pechino in cui non è riuscita a far valere pienamente la sua abilità, Agnese è a Londra intenzionata a far bene e a fronteggiare la dura concorrenza delle rappresentanti dei paesi nordici, sicuramente presenti al gran completo all’evento a cinque cerchi. Stavolta però, con la consapevolezza e l’esperienza maturata quattro anni fa, ha dichiarato di non volersi far sopraffare dalla tensione, e di puntare a vincere come persona innanzitutto, superando i suoi limiti anche grazie alla meditazione che da tempo pratica con un esperto maestro indiano.

Anna Incerti maratona Siciliana di Palermo ma residente a Bagheria, classe 1980, campionessa europea 2010, Anna Incerti è alla sua seconda partecipazione olimpica dopo pechino 2008. Sarà impegnata nella maratona di Londra dopo il ritiro preolimpico di S. Moritz da cui ha avuto buone sensazioni sul suo stato di forma, consapevole che dovrà dosare le energie ed utilizzare tutta la sue esperienza per leggere la competizione e fronteggiare la concorrenza delle fortissime russe, delle etiopi e delle keniote.

maratona paralimpica

Maratoneta di Cles (Trento), classe 1967, Walter si appresta a vivere la sua seconda esperienza a cinque cerchi dopo il bronzo conquistato a Pechino 2008, unico paralimpico dell’atletica azzurra a portare a casa la medaglia. Non devono ingannare i suoi 45 anni, dopo i lunghi periodi di raduno in quota, arriverà a Londra in ottime condizioni fisiche e con le idee molto chiare: il suo obiettivo è quello di vincere l’oro che vorrebbe poter dedicare a se stesso, al Comitato Paralimpico e alle Fiamme Azzurre.

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Milanese, nata il 14 settembre 1989, con Londra, che una delle sue città preferite, vivrà la sua prima esperienza olimpica. La preparazione è stata buona, molti i raduni in quota di avvicinamento all’evento le hanno dato delle buone sensazioni sul suo stato di forma. Ma l’obiettivo olimpico di Eleonora sarà innanzitutto, se possibile, quello di abbassare i tempi del suo personale fermo a 1h 31’ 18 “ e magari al traguardo rientrare nel gruppetto delle prime 15 classificate perché quello delle contendenti dei posti sui gradini del podio sarà difficile da avvicinare, e probabilmente in fuga sin dalle prime fasi. Tra le bestie nere della sua competizione ci sarà la russa Kaniskina, campionessa olimpica in carica e tre volte oro mondiale nella 20 km di marcia.

Massimo Dighe vela paralimpica (Sonar) Nato ad Iseo nel marzo 1976, Massimo si è avvicinato alla sua disciplina piuttosto tardi, a 31 anni, per curiosità nei confronti della disciplina che veniva praticata in un circolo sul lago d’Iseo con l’associazione Disvela. Nel 2008 ha iniziato a partecipare a qualche regata e nel 2009 ha gareggiato in tutto il circuito italiano della classe e, ai Campionati Mondiali di Atene, ha concluso in 20a posizione. A Novembre 2009 è entrato a far parte dell’equipaggio del Progetto Sonar della Canottieri Garda Salò per cercare di ottenere la qualificazione alle Olimpiadi di Londra 2012, e ottenuta poi nel 2010 grazie ad un’ottava posizione ai Campionati Mondiali di Medemblik. Per la gara di Londra l’obiettivo, insieme al resto dell’equipaggio composto da due veterani dei giochi come Paola Protopapa (oro olimpico a Pechino 2008 nel canottaggio ) e Antonio Squizzato, è di riuscire a conquistare una posizione più avanti possibile nella classifica, mettendo a frutto tutto il lavoro intrapreso insieme.

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Elisabetta Mijno arco paralimpico Elisabetta Mijno, atleta di Moncalieri classe 1986, è alla sua seconda partecipazione olimpica nel tiro con l’arco dopo Pechino 2008. Attualmente l’arciera delle Fiamme Azzurre, capace di collezionare oltre venti titoli tricolore tra competizioni assolute e di categoria, è anche una studentessa di medicina e chirurgia in barba a chi crede che ad un certo punto dell’esistenza si debba fare una scelta di campo tra la pratica dello sport di alto profilo e lo studio. Relativamente all’evento che la vedrà impegnata a Londra si è posta l’obiettivo di esprimersi al meglio delle sue possibilità perché tutto può accadere, e, a volte sostiene lei- il non sentirsi addosso troppe responsabilità in una competizione come quella olimpica può pagare molto.

Silvia Salis lancio del martello

Monia Baccaille ciclismo su strada Monia Baccaile, atleta di Marsciano (Perugia), classe 1984, in carriera vanta due titoli nazionali su strada e dieci su pista. Già molte volte in maglia azzurra, nel 2011 a Copenaghen ai campionati del mondo ha contribuito al successo dell’azzurra iridata Giorgia Bronzini ed a Londra si appresta a vivere la sua prima partecipazione in carriera ai giochi assieme all’esperta compagna Tatiana Guderzo. Amante dei percorsi che le consentono di esprimere le sue doti agonistiche in volata, Monia sostiene che le osservate speciali della gara dovranno essere l’inossidabile Marianne Vos e la padrona di casa nonché campionessa olimpica in carica, Nicole Cooke.

Silvia Salis, genovese, nata nel settembre 1985 e cresciuta nel Cus Genova, andrà a Londra, la sua seconda olimpiade, anche e soprattutto per riscattare la prova di Pechino 2008, che fu una grande delusione. Pur giustificata dalla giovane età, Silvia infatti in terra cinese si fermò a soli 62,28 metri, classificandosi al quarantaduesimo posto. Fare meglio sarà facile e la bellissima agonista del settore atletica. L’obiettivo personale che si è posta sarà raggiungere la finale, la misura non conta affatto. Agli ultimi campionati assoluti di Bressanone di luglio, Silvia ha fatto registrare una buona misura: 70.18m, che la ha dato sicurezza e maggiori motivazioni

Alberto Simonelli arco paralimpico lberto Simonelli, bergamasco classe ‘67, aveva 25 anni quando in piena notte si è accorto della paralisi improvvisa degli arti inferiori. Da allora, è cominciato il suo percorso per cercare le cause, i possibili rimedi. Il tiro con l’arco compound, è diventato la sua riabilitazione in ospedale e la sua passione dopo una lunghissima degenza. Alla prima convocazione azzurra ottenuta per i campionati europei di Spello, nel 1997, Alberto è riuscito a conquistare subito l’oro, e ugualmente primo è stato al mondiale dell’anno successivo a Stoke-on-Trent. Il suo obiettivo, dopo i primi importanti successi internazionali, furono subito le pralimpiadi. Già olimpionico ed argento a Pechino 2008 nella prima edizione in cui il compound è diventato una disciplina olimpica, a Londra tenterà la corsa per l’oro, magari incontrando, proprio nell’edizione dei giochi casalinga, il britannico John Stubbs che per 116 a 111 gli ha negato il gradino più alto del podio in terra cinese.

Tatiana Guderzo ciclismo su strada La campionessa di Marostica, classe 1984, tra i tanti risultati in azzurro è stata medaglia di bronzo nella corsa in linea ai Giochi Olimpici di Pechino 2008 e campionessa del mondo, sempre nella corsa in linea, a Mendrisio 2009. Tatiana prenderà parte anche alla cronometro olimpica e con Londra disputerà la sua terza partecipazione ai giochi dopo Atene 2004 e Pechino 2008 in cui ha gareggiato sia nella gara in linea, sia in quella a cronometro e dove ha guadagnato, con una prova in linea determinata ed intelligente, quel bronzo prezioso che è stato anche una delle prime medaglie dell’intera spedizione azzurra in Cina.

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Giovanni Pellielo tiro a volo Giovanni (Jhonny) Pellielo, vercellese, classe 1970, è stato vincitore di tre medaglie olimpiche individuali (due argenti ed un bronzo), di 10 titoli mondiali (3 individuali) e 10 titoli europei (2 individuali). Quella di Londra sarà la sua sesta partecipazione olimpica, l’occasione per aggiungere il metallo che manca al suo palmarès a cinque cerchi da far invidia a chiunque. Animato dalla sua caratteristica saggezza e da senso della misura, il campione delle Fiamme Azzurre, insignito del prestigioso Discobolo della Morale dal cardinal Ruini per le sue elevate doti umane e spirituali, ritiene che non si debba considerare la vittoria sportiva come la svolta della vita: esserci per lui significa “andare a fare” ma non necessariamente dover vincere ad ogni costo. Nonostante ciò sappiamo che per far bene metterà in gara tutto se stesso.

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Secondo meeting bilaterale con i colleghi tedeschi del sindacato BSBD

I

l SAPPE ha partecipato dall’11 al 13 luglio scorsi, a Montegrotto Terme (PD) al 2° Meeting di interscambio professionale con la delegazione del Sindacato tedesco BSBD - Bund der Strafvollzugsbediensteten Deutschlands. Il Meeting nato dai rapporti intercorsi negli ultimi anni tra il SAPPE e il BSBD e si è prefisso di individuare, fatte salve le prerogative ordinamentali dei rispettivi Paesi, soluzioni al comune problema del sovraffollamento penitenziario, problema non solo italiano e tedesco ma europeo, per avere, in ambito comunitario, una quanto più possibile omologazione dei sistemi giudiziari e penitenziari dei vari Paesi aderenti. L’incontro è servito anche per mettere in campo delle sinergiche strategie di inter-

vento sull’esecuzione della pena nei Paesi europei e sulle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari nei rispettivi Stati. Si è dunque trattato di un importante momento di confronto, di analisi e di studio del sistema penitenziario nazionale e tedesco nonchè di studio delle iniziative di stra-

Nelle foto l’incontro

tegia sindacale che saranno svolte dalle Segreterie Generali del SAPPE e del BSBD nei prossimi mesi. Nel corso del meeting, i gruppi di lavoro tecnici hanno provveduto ad elaborare il profilo professionale del poliziotto penitenziario europeo, con particolare riferimento alla formazione ed all’aggiornamento professionali, e a definire comuni e sinergiche azioni sindacali nei rispettivi Paesi.

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La convenzione Sappe/Studio Legale Guerra Per rispondere ad una richiesta sempre più pressante dei propri iscritti, • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; il Sappe ha stipulato una convenzione con lo Studio Legale Associato •assistenza nella fase giudiziale contro il relativo provvedimento negativo; Guerra, come partner legale in materia previdenziale. • compenso professionale convenzionato. Lo Studio Legale Associato Guerra è specializzato in materia di diritto pen- in materia di PENSIONE PRIVILEGIATA sionistico pubblico, civile e militare. per il personale cessato dal servizio e/o i superstiti L’assistenza interessa: La convenzione tra il Sappe e lo Studio Legale Associato Guerra comprende • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione • la causa di servizio e benefici connessi; ordinaria che possa ancora chiedere il riconoscimento della dipendenza • le idoneità al servizio e provvedimenti connessi: da causa di servizio di infermità o lesioni riferibili al servizio stesso e la • i benefici alle vittime del dovere; conseguente pensione privilegiata; • la pensione privilegiata (diretta, indiretta e di riversibilità) e gli assegni • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione accessori su pensioni direttte e di riversibilità. ordinaria, al quale sia stata negata la pensione privilegiata per non dipendenza da causa di servizio di infermità e lesioni o per non ascrivibilità delle La consulenza si avvale di eccellenti medici esperti di settore, collaboratori stesse; dell Studio Guerra, in grado di assistere l’interessato anche nel corso delle • il personale cessato per inidoneità dal ruolo della Polizia Penitenziaria, visite mediche collegiali in sede amministrativa e giudiziaria. già transitato o che debba transitare ai ruoli civili della stessa amministraIn particolare, attraverso lo Studio Legale Associato Guerra , il Sappe ga- zione o di altre amministrazioni, ai fini della concessione della pensione rantisce ai propri iscritti: privilegiata per il servizio prestato nella polizia Penitenziaria; • il personale deceduto in servizio, ai fini della pensione indiretta privilein materia di CAUSA DI SERVIZIO giata ai superstiti e di ogni altro beneficio previsto a favore degli stessi; • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento della do- • il personale già titolare di pensione privilegiata deceduto a causa delle manda per il riconoscimento della causa di servizio anche ai fini dell’equo medesime infermità pensionate, ai fini dei conseguimenti spettanti ai suindennizzo; perstiti. • assistenza legale nella fase amministrativa; L’assistenza comprende: • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso • esame gratuito, legale e medico legale, del fondamento della domanda contro il provvedimento negativo di riconoscimento della causa di servizio per la concessione della pensione privilegiata anche per i transitati al ruolo e del’equo indennizzo; civile; • assistenza legale nella fase giudiziale dinanzi alle competenti Sedi Giu- • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso risdizionali; contro il provvedimento negativo della pensione privilegiata; • compenso professionale convenzionato. • valutazione gratuita, legale e medico legale, delle pensioni indirette e di riversibilità ai fini del trattamento privilegiato e dell’importo pensionistico in materia di INIDONEITA’ AL SERVIZIO liquidato; • valutazione legale e medico legale delle infermità oggetto di accerta- • assistenza nella relativa fase amministrativa e nella fase giudiziale contro mento della idoneità al servizio, per la scelta strategica delle azioni da pro- il provvedimento pensionistico negativo; muovere secondo gli obiettivi che intende raggiungere l’interessato; • compenso professionale convenzionato. • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; •assistenza nella fase giudiziale contro il provvedimento amministrativo; PER BENEFICIARE DELLA CONVENZIONE • assistenza amministrativa e giurisdizionale contro il provvedimento di Gli iscritti al Sappe possono: trensito; • rivolgersi alla Segreterie Sappe di appartenenza; • compenso professionale convenzionato. • rivolgersi agli avvocati Guerra presso le sedi degli studi di Roma (via Magnagrecia n.95, tel. 06.88812297), Palermo (via Marchese di Villabianca in materia di VITTIME DEL DOVERE n.82, tel.091.8601104), Tolentino - MC (Galleria Europa n.14, tel. • valutazione gratuita per l’accertamento della sussistenza delle condizioni 0733.968857) e Ancona (Corso Mazzini n.78, tel. 071.54951); di legge richieste per il diritto ai benefici previsti a favore delle vittime del • visitare il sito www.avvocatoguerra.it dovere;


Giovanni Passaro passaro@sappe.it

Diritto a pensione in caso di riforma

C

aro collega, sono un ass. capo in servizio in Piemonte da circa 28 anni e mezzo, da un anno sono in convalescenza per “stato ansioso depressivo con disturbo dell’adattamento”. Credo di essere già in riduzione stipendio avendo superato da poco i 365 gg continuativi, e i primi di luglio devo tornare alla CMO e ho il sentore che questa sia l’ultima volta, che sicuramente mi dichiarerà inidoneo in via permanente al servizio d’istituto, e mi proporrà per il ruolo civile. Questa opzione, non credo faccia per me, sono nato con la divisa addosso ( a 19 anni) e vorrei “morire” sempre con la divisa addosso. Ora di anni ne ho 49 ( a settembre) e la causa di servizio è stata anche questa “ non dipendente”. Ormai tutte le cause di servizio sono rigorosamente non dipendenti. Non è dipendente la sinusite purulenta, non lo è l’ipertiroidismo, non lo è la depressione, non lo sarà la periartrite quando risponderanno. Il comitato con diciture a volte molto fantasiose ( se per esempio uno di noi cadesse dal muro di cinta.... « e va bè poteva succedere a chiunque e poi lei era predisposto geneticamente”??????.») respinge ogni sorta di riconoscimento. Quindi, mi stavo chiedendo e spero che tu mi possa aiutare, considerato che ho anche un anno di militare già inquadrato e riscattato e 5 quinquenni INPDAP c.s. ( quindi in tot. ho 34,5 anni di contributi) se questi mi congedano, alla luce delle riforme del governo tecnico, avrò diritto a un minimo di pensione? O resterò senza stipendio e senza pensione? La depressione è nata nel 2009, a seguito di mobbing che si è prolungato nel tempo, fatto di un lungo periodo di demansionamento ingiustificato, cazziatoni in pubblico da parte di assistenti sociali (ero distaccato c/o UEPE) questi assistenti sociali erano direttore e vice direttore quindi funzionalmente miei superiori. Poi sono seguiti rapporti disciplinari e riduzioni di paga. Poi è arrivata una denuncia. Poi è arrivato l’abbassamento della classifica, mai successo in tutti questi anni di servizio. Poi qualche mente eccelsa, ha fatto bloccare il concorso da Vice Isp. dove avevo superato la prima prova con un 8. Poi all’uepe, mi hanno tolto ogni mansione, costringendomi a fare la bella statuina in ufficio. A volte mandavano fuori con la macchina un civile, a costo di bloccare l’ufficio perchè spesso questo civile era un centralinista, oppure collaborava con la segreteria tecnica, che affondava sotto la mole di carte da “sbrigare”. Poi dopo tante telefonate e fax e mail, al PRAP di Torino, sono riusciti a farmi revocare il distacco e tornare in Istituto. Sono riusciti a farlo nonostante fossi membro provinciale del sindacato. Arrivato in carcere credevo di potermi buttare tutto alle spalle e ricominciare daccapo. Ma mi ero sbagliato: molti colleghi hanno preso a punzecchiarmi, ad offendere, a sfottere,

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qualche volte anche con insulti «beato te che non capisci un cazzo». Gente con cui si è condivisa una camera, si è condiviso un mezzo di servizio per tanti anni, con cui si sono superati tanti momenti difficili, con cui si sono svolti decine e decine di tornei di calcio, di gare podistiche. All’improvviso, dopo 4 anni e mezzo di distacco per altro l’uepe è a 2 km dall’istituto, quindi anche di sfuggita, ci si vedeva e ci si salutava; mi facevano sentire un corpo estraneo. Anche qui in carcere ho cominciato ad avere rapporti disciplinari, soprattutto da una ex vigilatrice, che nel frattempo, per titoli, è passata vice sovrintendente, anche due ispettori, di cui uno era agente come me negli anni 80, nel mio stesso Istituto, hanno cominciato a “pestarmi i piedi”. Di conseguenza ho iniziato a frequentare dottori e farmacie. Mi piacerebbe sapere, magari tramite la mia mail se stò rischiando seriamente di restare senza stipendio e pensione. A livello locale mi danno sempre risposte evasive e poco chiare. di che morte devo morire???? Ti ringrazio per una tua gentile risposta e ti auguro buon lavoro. Caro collega, in primis mi preme rassicurarti circa il diritto alla pensione e al trattamento di fine servizio a seguito di eventuale riforma. I recenti interventi legislativi nulla hanno innovato per quanto concerne l’anzianità contributiva richiesta in caso di dispensa dal servizio per infermità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro (pari o superiore ad anni 14, mesi 11 e giorni 16), per inabilità assoluta ai sensi dell’art. 2, comma 12, della legge 335/1995. Sicuramente, non sarà una pensione elevata, inoltre, la quota relativa alle anzianità maturate a decorrere dal 1.1.2012 è calcolata secondo il sistema contributivo, con il criterio del pro-rata1. Pertanto, anche il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, in possesso di diciotto o più anni di contribuzione al 31.12.1995, è destinatario di un tipo di calcolo di tipo misto: retributivo fino al 31.12.2011 e contributivo dal 1.1.2012. Tuttavia, sono state introdotte considerevoli novità in materia di modalità di corresponsione del trattamento di fine servizio, ai sensi dell’art. 1, commi 22 e 23, della legge 148/2011. I termini per la liquidazione delle prestazioni sono: 1052 giorni (15 giorni per l’Amministrazione e 90 per l’ente previdenziale) in caso di cessazione dal servizio per inabilità. Rispetto alla questione della decurtazione dello stipendio del 50% dal tredicesimo mese (sospensione di qualsiasi emolumento dopo il diciottesimo mese), l’Amministrazione non può ridurre lo stipendio, se hai avanzato richiesta di causa di servizio, anche se, in caso di mancato riconoscimento della dipendenza da causa di servizio le somme non spettanti saranno recuperate, ai sensi del comma 4 del’l’art. 16 del D.P.R. 52/2009. Spero di aver risposto ai tuoi dubbi.

Riferimenti: Circolare DAP n. 3636/6086 del 07.05.2012; Circolare DAP n. 2851 del 14/07/2009. 1 2

Art. 24, comma 2, della legge 214/2011. Decorso detto periodo sono dovuti gli interessi.

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Aldo Maturo * avv.maturo@gmail.com

Carceri: l’uomo del fiume n uomo sta passeggiando lungo la riva di un fiume, quando si accorge che c’è una persona che sta affogando, lottando inutilmente contro le rapide. Improvvisamente si avvede che dall’altra parte della riva un pescatore si è nel frattempo tuffato in acqua nel generoso tentativo di raggiungere il disgraziato che sta affogando: con fatica riesce ad agguantarlo e a trascinarlo a terra, ove gli pratica la respirazione bocca a bocca, salvandolo. Ma dopo pochi minuti si ripete una situazione analoga: un altro uomo rischia di soccombere nel fiume e il medesimo pescatore si getta in suo aiuto e ancora una volta riesce nel suo eroico intento. Ma in breve di nuovo la situazione si ripete, una due tre volte ancora, fino a quando il pescatore, di fronte ad un altro in pericolo di vita, invece di buttarsi in acqua comincia a correre risalendo la corrente del fiume. Stupito, lo spettatore lo ferma chiedendogli: «Ma che stai facendo? Perché non cerchi di salvare quel disgraziato come hai fatto con gli altri?» «Questa volta - risponde il pescatore - voglio andare a vedere chi diavolo getta in acqua questi uomini» La storia di Saul Alinsky rappresenta in maniera plastica la frustrazione di quanti lavorano nel mondo dell’emarginazione rimettendo in discussione, ogni giorno, il proprio lavoro di fronte alle poche vittorie ed alle tante sconfitte. La cosa è ancor più evidente nel carcere, che ogni tanto esce dalle nebbie che lo circondano per finire sotto i riflettori. Lo vediamo in questi giorni con gli spazi sulla stampa occupati dal problema del sovraffollamento. Dubito che qualche gruppo politico assuma disinvoltamente la paternità di un provvedimento clemenziale, notoriamente sgradito alla maggior parte dell’elettorato poco sensibile ai rumori del carcere. Di segnali concreti, a chi vive nel carcere di qua o al di là delle sbarre, non ne arrivano molti mentre l’arrivo quotidiano di centinaia e centinaia di arrestati è un dato reale e statistico.

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Oltre il 50% dei detenuti sono in custodia cautelare, le presenze sono oltre 67.600 (al 31 marzo 2012) su 45.320 posti letto disponibili, tanto che si è pensato anche di riaprire i penitenziari dismessi delle isole ignorando che non c’è assolutamente possibilità di farlo per mancanza di personale. L’esperienza del passato - anche quella dell’ultimo indulto del 2006 - ci ha insegnato che, a legislazione o giurisprudenza immutata, nello spazio di un paio d’anni il problema del sovraffollamento si ripropone nella sua drammaticità. Molti indultati, infatti, sono ritornati in carcere, per naturale predisposizione a violare disinvoltamente le leggi alla ricerca di una vita più facile o per scelte condizionate dall’impossibilità di rientrare in una società che apre periodicamente le porte del carcere ma, una volta fuori, chiude disinvoltamente quelle dell’accoglienza e dell’aiuto al reinserimento. D’altra parte approvare un’amnistia è praticamente impossibile visto che è necessaria una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera e, con le divisioni esistenti tra i partiti, la cosa sembra allo stato utopistica. Il tema carcere per alcuni diventa merce elettorale, anche se dietro la demagogia, dietro le quinte dei convegni e dei dibattiti televisivi, c’è il destino di oltre 67.000 detenuti giornalmente residenti cui si aggiungono i drammi di altrettante famiglie. Senza contare che in un anno sono quasi 100.000 i pendolari del carcere o quelli che soggiornano per pochi giorni o ore nei penitenziari. Sono solito paragonare le carceri ad una gigantesca pentola a pressione che nessuno può pensare di scoprire all’improvviso dopo aver tenuto per anni il fuoco acceso ed il coperchio chiuso per non sentirne la puzza. Ne sono convinto anche se è indubbio che vi è una costante ed insanabile contraddizione tra una sacrosanta esigenza di sicurezza che sale dal Paese e la necessità di

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maggiori investimenti in termini di risorse umane e finanziarie per rendere decorose le nostre strutture penitenziarie. Per chi ci lavora è ormai abituale vedere un carcere rattoppato a causa di una disattenzione storica ed invero politicamente trasversale. Da sempre si fanno i conti della serva con un bilancio che a stento e male assicura la gestione del quotidiano. L’emergenza finanziaria che caratterizza il Paese non consente di aspettarsi di più per il carcere. Ma allora non bisogna aspettarsi di più dal carcere, questo mondo oscuro che, come una discarica, periodicamente si pensa di bonificare con soluzioni tampone. Per le funzioni di questa istituzione va preso in considerazione un investimento continuo perché un carcere solo custodiale è un carcere violento e continuerà a restituire cittadini violenti in un processo di reciproca irreversibile autoalimentazione che ne accentua il fallimento.

Un carcere a dimensione d’uomo, invece, Nella foto non è una contraddizione in termini, ma è salvataggio un luogo in cui la società tenta doverosamente un investimento sull’uomo, sapendo in ogni caso che non è possibile radiografare la mente umana e quindi a volte può esserci un prezzo da pagare. In tal caso bisognerebbe ricordare, con Don Gelmini, che fa più rumore un albero che cade che cento alberi che crescono. Questo il dilemma. Basta scegliere, come il pescatore di Alinsky: o si nuota tutti insieme per salvare il maggior numero di quelli che affogherebbero o si va sul ponte a vederli buttar giù. * Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria

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a cura di Ciro Borrelli Coordinatore Nazionale Sappe Minori per la Formazione borrelli@sappe.it

Caterina Chinnici è il nuovo Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile

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l 5 Luglio 2012, a circa quattro mesi dalle dimissioni della dott.ssa Manuela Romei Pasetti, il Ministro della Giustizia, Paola Severino, ha nominato la dott.ssa Caterina Chinnici alla direzione del Dipartimento per la Giustizia Minorile. La carriera dell’attuale Capo Dipartimento è la seguente: La dott.ssa Caterina Chinnici è nata a Palermo, dove ha conseguito la laurea in Giurisprudenza, a soli 21 anni, con il massimo dei voti e la lode accademica. Ha intrapreso la carriera di magistrato, professione svolta dal padre, Consigliere Istruttore Rocco Nella foto Chinnici, del quale, nell’ambito Caterina delle funzioni svolte, ha sempre riChinnici calcato l’impegno e la professionalità. La dott.ssa Caterina Chinnici ha svolto le funzioni di Pretore a Caltanissetta; quindi ha maturato una esperienza amministrativa presso il Ministero della Giustizia. Rientrata nel 1991 a Caltanissetta, ha svolto le funzioni requirenti presso la Procura della Repubblica e successivamente presso la Procura Generale presso la Corte di Appello. La dott.ssa Caterina Chinnici è stato il più giovane magistrato nell’ambito nazionale ad essere nominato capo di un Ufficio Giudiziario: infatti dal 20 settembre 1995 al 19 novembre 2008 ha ricoperto l’incarico direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, il cui territorio comprende realtà di devianza minorile particolarmente complesse, connotate dal coinvolgimento anche dei più giovani nei reati di criminalità organizzata mafiosa. Dal 20 novembre 2008 al 2 giugno 2009

ha svolto le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo. Durante lo svolgimento della delicata attività giudiziaria, si è impegnata costantemente nella prevenzione della devianza minorile. Nel mese di novembre e nel mese di dicembre 2001, su incarico dell’On. Ministro della Giustizia, la dott.ssa Caterina Chinnici ha partecipato come rappresentante del Ministero della Giustizia alla Conferenza Regionale Europea di Budapest (20-21 novembre 2001) ed alla Conferenza Mondiale di Yokohama (17-20 dicembre 2001) su La protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale. Nell’anno 2002, su designazione del Ministro della Giustizia, la dott.ssa Caterina Chinnici è stata nominata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri componente della Commissione per le Adozioni Internazionali di cui è stata vicepresidente. In

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atto riveste in seno la Commissione la qualifica di esperto. Nel 2004 è stata nominata, dal Capo Dipartimento per la Giustizia Minorile, componente della Commissione di studio sul fenomeno del recidivismo nei minori autori di reato. Dall’anno 2008 è componente dell’Organismo centrale di raccordo per la protezione dei minori comunitari non accompagnati istituito presso il Ministero dell’Interno nonché, in seno ad esso, della Commissione mista per l’attuazione dell’Accordo bilaterale Italia-Romania in materia di protezione dei minori non accompagnati o in difficoltà presenti sul territorio italiano. Dal giugno fino al 31 dicembre 2009 ha ricoperto l’incarico di assessore regionale della famiglia, delle politiche sociali e delle autonomie locali. Dal primo gennaio 2010 è assessore delle autonomie locali e della funzione pubblica. Come abbiamo già detto dal 5 luglio 2012 è stata nominata Capo Dipartimento per la Giustizia Minorile. Il Ministro della Giustizia Paola Severino ha dichiarato agli inizi di luglio: «Ringrazio Caterina Chinnici per aver accettato un incarico gravoso al quale saprà dare un fondamentale contributo di professionalità e di competenza acquisite in anni di intenso lavoro». La Polizia Penitenziaria dopo alcuni mesi di incertezze dovuti all’assenza del Capo Dipartimento Minori, dà il benvenuto alla dott.ssa Caterina Chinnici auspicando la migliore collaborazione per un’ulteriore crescita del prestigioso Dipartimento per la Giustizia Minorile.

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Vibo Valentia: un Convegno sull’Economia della Criminalità

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i è svolto lo scorso 28 giugno presso l’Auditorium del nuovo complesso penitenziario di Vibo Valentia, il Convegno promosso dall’Associazione Antimafia E adesso Ammazzateci tutti, in collaborazione con il Sap, Sindacato Autonomo di Polizia, il Rotary Club di Vibo Valentia ed il Sappe Segreteria Provinciale Vibo Valentia, il Work Shop Economia della Criminalità, strumenti giuridici ed investigativi per arginare la ‘ndrangheta. Moderatrice dell’evento la dottoressa Rosy Grandinetti, di Ammazzateci Tutti di Lamezia Terme, L’attenzione di tutti i presenti si è concen-

trata poi sull’accorato intervento del Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, dottor Nicola Gratteri, che ha parlato di come la Magistratura mostra la sua credibilità quando usa gli stessi strumenti per la procura ordinaria e la procura distrettuale antimafia. La distinzione tra le procure, specie in ambienti come il vibonese caratterizzati dalla forte presenza della criminalità organizzata non avrebbe, secondo Gratteri, motivo di esistere in quanto anche reati che non rientrato nella competenza per materia della Procura Distrettuale Antimafia vi incidono fortemente.

Un messaggio di solidarietà è stato espresso da parte di tutto il Reparto della Polizia Penitenziaria di Vibo Valentia al Dottor Nicola Gratteri a seguito delle minacce emerse dagli ambienti vicini alla criminalità organizzata.

Montelupo Fiorentino: Decimo Consiglio Regionale della Toscana

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i è tenuto il 21 giugno scorso, nella magnifica sala Ducale dell’OPG di Montelupo, in provincia di Firenze, il X Consiglio Regionale del SAPPe della Toscana. Al consesso oltre ai quadri sindacali regionali, provinciali e locali della Toscana ha partecipato il Segretario Generale del Sappe Donato Capece, il Segretario Generale Aggiunto Roberto Martinelli e il Segretario Nazionale Pasquale Salemme.

Nel corso del Consiglio è stata illustrata dettagliatamente l’attività sindacale svolta nel corso dell’ultimo anno e sono state illustrate le problematiche penitenziarie presenti nella regione. Molto significativo e particolarmente apprezzato è stato l’intervento del Segretario Generale sulla politica sindacale nazionale del Sappe. All’incontro hanno partecipato anche esponenti politici regionali e diverse altre personalità.

Trapani: al via il 1° Memorial Pietro La Pica

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l giorno 2 luglio, organizzato dalla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Trapani con la collaborazione del Centro Sportivo Italiano, presso il Centro Sportivo La Locomotiva ha preso il via il 1° Memorial Pietro La Pica, in ricordo dell’assistente capo in servizio preso la Casa Circondariale di Trapani, morto prematuramente l’8 novembre 2010 a causa di una lunga malattia, alle soglie dei 50 anni. Per ricordarlo è stato scelto un torneo di calcio a 5 in quanto Pietro La Pica era un abile calciatore e non mancava mai di dare il suo grande contributo a centrocampo in tutte le compagini della Polizia Penitenziaria presenti nei tornei di calcio amatoriale. Alla inaugurazione del Memorial erano presenti i figli e la moglie dell’assistente scomparso, ai quali il Commissario Giuseppe Romano a nome degli agenti della Casa Circondariale di Trapani, ha donato un completo da calcio con l’effigie del collega scomparso.

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S. Maria C.V.: commemorato San Basilide

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fficiata dal Vescovo di Capua, si è svolta il 30 giugno 2012 presso la C.C. di Santa Maria Capua Vetere, la cerimonia celebrativa in onore di San Basilide, patrono della Polizia Penitenziaria. In un contesto di sobrietà e di grande partecipazione del personale, con l’intervento di numerose autorità locali e della delegazione del Sappe, rappresentato nell’occa-

lizzo di motociclette e l’apertura di un nuovo settore da destinare al ricevimento degli internati all’atto della prossima già prevista dismissione degli OPG. La Dirigente Carlotta Giaquinto, nella sua prima occasione ufficiale dopo il suo recente insediamento al vertice della struttura, dopo i saluti, ha dichiarato che auspica di poter ricevere sufficienti risorse

sione dal Delegato Nazionale Angelo Di Costanzo. Il Comandante di Reparto Commissario Michele Fioretti dopo i saluti di rito, ha ringraziato il personale tutto per l’impegno e la professionalità mostrata, tratteggiando ed illustrando il nuovo assetto organizzativo che a breve caratterizzerà la struttura, con l’apertura prossima del nuovo Padiglione, ed ha illustrato il nuovo servizio di pattugliamento esterno con l’uti-

umane per rendere immediatamente operativo il nuovo Padiglione e che è consapevole che i nuovi orizzonti prospettati porranno l’Istituto all’attenzione nazionale in relazione anche al bacino di utenza, e ciò impegnerà tutti in un duro lavoro. Al termine della cerimonia religiosa un frugale rinfresco ha portato sollievo alla insistente afa di questi giorni. Angelo Di Costanzo

Cuneo: gli esiti della protesta dei No Tav

Casa Circondariale di Cuneo. La manifestazione si è caratterizzata per ripetuti slogan contro il Governo e l'Amministrazione Penitenziaria. Sono stati esposti striscioni contro i poliziotti penitenziari e sono state lanciate pietre che hanno danneggiato le auto dei nostri colleghi Le manifestazioni di intolleranza verso l'Istituzione penitenziaria sono purtroppo sempre più frequenti ed il crescente sovraffollamento non aiuta certo a rasserenare gli animi, anche dei reclusi. La Polizia Penitenziaria deve garantire, oltre a quella interna, anche la sicurezza esterna delle strutture carcerarie con una attenta vigilanza, ma con carenze di organico così evidenti (a livello nazionale mancano ben 7mila agenti) sono palesi ed evidenti le nostre difficoltà.

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irca duecento persone, per lo piu' appartenenti a gruppi anarchici e No Tav, hanno manifestato davanti la

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Valentino Aniello eletto Assessore

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ive congratulazioni da parte di tutta la Segreteria Generale ed in particolare dal Dott. Donato Capece sono state espresse al vice segretario regionale del Sappe Campania Valentino Aniello, eletto assessore con delega alla Protezione Civile nel comune di Cervino Caserta, con l’augurio di un proficuo ed efficace lavoro in un settore, quale la Protezione Civile, che in questo periodo sta attraversando momenti difficili, visti i tragici eventi che, purtroppo, hanno colpito la nostra nazione, come il terremoto in Emilia. «Sono certo - dichiara Capece - che anche in questo settore Valentino dimostrerà il meglio di sè con la sua competenza ma, soprattutto, con la sua umiltà . Valentino, dal canto suo, ha dichiarato: «certamente la felicità è tanta ma l’euforia va subito spazzata perché purtroppo i problemi che affliggono il mio Comune sono tanti e comunque questo certamente non mi distoglierà neanche un attimo dal mio impegno verso il sindacato come ho sempre fatto» . Al neo Assessore vanno gli auguri della Segreteria Generale e della Redazione.

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Reggio Calabria: i campioni italiani di danza sportiva 2012

Vince solo chi e convinto di poterlo fare”. E’ con questa frase che sono state accolte le atlete dell’Accademia Hen Dance Center, al rientro del campionati Italiani di danza tenutasi a Rimini dal 31 maggio al 3 giugno. L’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria, sponsor orgoglioso dell’Accademia, dopo la vittoria del Campionato Regionale della Calabria che le aveva lasciate con un “in bocca al lupo», le vede rientrare con attestati e medaglie al collo, medaglie d’oro, argento, e bronzo che sono state assegnate a tre delle atlete dell’Accademia Han Dance Center. Parliamo di Alessia Denisi (figlia del Segretario locale Sappe di Reggio Calabria Franco Denisi), che si è aggiudicata il titolo di Campionessa Nazionale nella categoria Show Frestyle U 15 Classe C Solo, seguono il secondo e terzo

posto assegnati rispettivamente a Dalila Gioè e Flavia Filardo.Tenacia, sudore, bravura e voglia di vittoria hanno spinto le giovane atlete Alessia Denisi e Flavia Filardo, a dare su quella pista il meglio di loro stesse riuscendo così ad ottenere il secondo titolo di campionesse italiane nella disciplina Show Frestyle U 15 Classe C Duo. Il Presidente dell’Accademia Claudio Bagnato, il Tecnico Federale Olena Honcharenko e lo sponsor ANPPe, si congratulano con le loro atlete per i risultati raggiunti ai Campionati Italiani. Di seguito le atlete che hanno tenuto alto il livello della danza sportiva in Calabria nonchè della città di Reggio Calabria ai Campionati Italiani FIDS 2012: Alessia Denisi, Elisa Agostino, Flavia Filardo, Janette Neri, Sara Polimeni, Sara Varamo, Dalila Gioè, Michela Pronesti e Vanessa Politano.

Foggia: la presenza alla Festa della Repubblica

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lato una foto del picchetto della Casa Circondariale di Foggia che ha partecipato alle manifestazioni per le celebrazioni della Festa del 2 giugno nella città pugliese.

Cairo Montenotte : assemblea del Sappe con gli allievi del 164° corso

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l 21 giugno 2012 presso la Scuola di Formazione di Cairo Montenotte (SV), si è tenuta un’assemblea con gli allievi del 164° corso. La riunione ha visto la partecipazione del Segreterio Generale, dott. Donato Capece, del Segretario generale Aggiunto Roberto Martinelli e del Segretario Locale Vincenzo Cionti. Le problematiche discusse hanno spaziato dall’assegnazione e mobilità degli allievi, all’Accordo Quadro Nazionale, delle criticità degli istituti penitenziari ai temi economici come l’Una Tantum e gli avanzamenti di qualifica.

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Luca Pasqualoni Segretario Nazionale ANFU pasqualoni@sappe.it

Roma: Francesco Andreozzi dirige la Banda della Marina

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l 17 maggio 2012, gli allievi della classe di composizione strumentazione e direzione d’orchestra di fiati del Conservatorio Santa Cecilia di Roma, tra i quali il collega della Polizia Penitenziaria Francesco Andreozzi, hanno eseguito per alcune ore la concertazione e direzione di brani composti da illustri musicisti come: Wolfgang Amadeus Mozart, Gustav Holst e Alfred Reed. In quella occasione tra l’altro, l’Agente Scelto Francesco Andreozzi ha diretto la Banda della Marina Militare sotto la guida dello stimato prof. GianFilippo Pocorobba (docente del Santa Cecilia), ricevendo i complimenti del Direttore della Banda della Marina Militare, Capitano di Fregata Antonio Barbagallo, che si è complimentato con il giovane Maestro Agente Scelto Francesco Andreozzi alle prime esibizioni con l’organico Vesselliano. Il Maestro Andreozzi ha studiato al Conservatorio di Firenze e dal 2012 è a Roma al Conservatorio Santa Cecilia per completare il suo percorso artistico con un biennio di tirocinio. Il nostro augurio è quello di vedere al più presto il suo talento al servizio della Banda del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ciro Borrelli

Riconoscimento delle mansioni superiori nel pubblico impiego

Qualifica e trattamento economico da Commissario Capo penitenziario

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La retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego è stata sempre oggetto di accesi dibattiti dottrinali e di rilevanti orientamenti giurisprudenziali tra i quali si evidenziano, per quello che più propriamente interessa, la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia n. 02821/2008, depositata in segreteria il 15/12/2008, e la recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, depositata in segreteria il 12/06/2012. Il T.A.R. per la Toscana è stato investito sulla questione da un appartenente al ruolo degli ispettori facente funzioni di comandante di reparto, circa il rigetto della richiesta di attribuzione del parametro economico erogato a favore dei commissari capo, responsabili dell’area sicurezza per gli istituti di livello dirigenziale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 6 D.Lgs. n. 146/2000 e 2 D.P.R. del 5.11.2004, n. 301, nonché per il riconoscimento del diritto del ricorrente a ricevere il trattamento economico stipendiale per la qualifica superiore di commissario capo in luogo di quello attribuitogli, con condanna dell’Amministrazione convenuta alla corresponsione delle differenze già maturate per il periodo di riferimento, oltre agli accessori di legge ed all’adeguamento contributivo, comprensivo di interessi e rivalutazione. Parimenti, il T.A.R. per la Puglia fu investito della questione da un appartenente al ruolo direttivo ordinario, allora vice commissario, per analoghi motivi.

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Al di là di alcune contestuali precisazioni, i ricorsi sono stati entrambi rigettati sulla base di un percorso argomentativo logico giuridico sostanzialmente identico, ma che presenta spunti interessanti circa la non perfetta coincidenza tra la funzione di comandante di reparto e responsabile dell’area sicurezza. Fino all’istituzione del ruolo direttivo ad opera del D.Lgs. n. 146/2000, attuativo della delega contenuta nell’articolo 12 della Legge n. 266/1999, la gerarchia interna al Corpo di Polizia Penitenziaria vedeva in posizione sovraordinata il personale appartenente al ruolo degli ispettori, come stabilito dall’articolo 2 del D.Lgs. 443/1992. Le funzioni del personale del ruolo degli ispettori erano e continuano ad essere disciplinate dall’articolo 23 del medesimo D.Lgs. n. 443/1992, in forza del quale, per quanto qui interessa, l’ispettore destinato a capo del personale del Corpo in servizio presso gli istituti e servizi penitenziari e nelle scuole è gerarchicamente e funzionalmente dipendente dal direttore dell’istituto, del servizio o della scuola. Il D.Lgs. n. 146/2000, nell’istituire il ruolo direttivo della Polizia Penitenziaria, all’art. 6 ha quindi stabilito che il personale appartenente a tale ruolo “assume le funzioni di comandante di reparto presso gli istituti, le scuole e i servizi secondo le norme del vigente ordinamento e del regolamento di servizio del Corpo di Polizia Penitenziaria” e che “ai commissari capo penitenziari competono le funzioni di responsabile dell’area sicurezza presso

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le Scuole e gli Istituti penitenziari di livello dirigenziale”; ed è proprio in forza di tale ultima previsione che il ricorrente sostiene di aver titolo al riconoscimento del trattamento economico corrispondente alla mansioni superiori di commissario capo. A tal riguardo, deve però osservarsi come non vi sia, in realtà, necessaria coincidenza fra titolarità della qualifica di commissario capo e ruolo di comandane di reparto e di responsabile della sicurezza; se, infatti, al personale direttivo sono riconosciute le funzioni di comando presso tutti gli istituti, senza distinzione di livello, le funzioni di responsabile della sicurezza sono attribuite ai vice commissari ed ai commissari penitenziari presso gli istituti di livello non dirigenziale, ed ai commissari capo presso quelli di livello dirigenziale. Del resto, il secondo comma dell’articolo 7 D.M. 28 gennaio 2004, contenente la specificazione dei compiti e delle mansioni di cui agli articoli 6 e 21 D.Lgs. n. 146/2000, tiene ben distinte le funzioni di comandante di reparto e di responsabile della sicurezza, autorizzando vice commissari e commissari, negli istituti di livello dirigenziale, ad assumere le funzioni di responsabile vicario dell’area della sicurezza in aggiunta alle funzioni di comandante di reparto. Ne consegue che l’esercizio delle funzioni di comandante di reparto, ancorché presso istituti di livello dirigenziale, coincide sempre e comunque con lo svolgimento di mansioni di pertinenza del personale con il grado di commissario capo, ove manchi la prova dell’esercizio congiunto delle ulteriori e diverse funzioni di responsabile della sicurezza. In altri termini, poiché le mansioni di commissario capo non si esauriscono nelle funzioni di comandante di reparto, l’esercizio di queste ultime non giustifica di per sé il miglior trattamento retributivo preteso; a maggiore ragione ove si consideri che si tratta di funzioni già proprie del personale appartenente al ruolo degli ispettore e, perciò, da reputarsi contemplate ai fini della determinazione del relativo parametro economico e adeguatamente compensate dall’attribuzione dell’emolumento di cui agli accordi sul Fondo per l’efficienza dei servizi istituzionali (F.E.S.I.). In via più generale, la pretesa economica

deve essere respinta per ragioni che attengono alla natura del rapporto di impiego delle Forze di Polizia, sottratto alla privatizzazione, e, pertanto, alla disciplina dettata oggi dall’articolo 52 del D.Lgs. n. 165/2001 e, in precedenza, dall’articolo 56 del D.Lgs n. 29/1993, come sostituito dal D.Lgs. n. 80/1998, che, per effetto della modifica apportata dall’articolo 15 del D.Lgs n., 387/1998, ha innovativamente riconosciuto, per il futuro, il diritto del lavoratore alle differenze retributive connesse allo svolgimento di mansioni superiori. Nel caso in esame continua, invece, ad applicarsi il principio, da lungo tempo acquisito in giurisprudenza, dell’irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento di mansioni superiori, giacché, in difetto di una contraria previsione normativa, lo stato giuridico dei pubblici dipendenti si desume dal solo dato formale costituito dagli atti di nomina e promozione. Inoltre, il collegio ricorda che l’articolo 36 Cost. non può essere invocato per ottenere un trattamento economico differenziato, in quanto non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in tale ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, come quelli di cui agli articoli 97 e 28 Cost., dai quali si desume che l’esercizio di mansioni superiori contrasta con il buon andamento e l’imparzialità della P.A. e che vi è in materia la rigida predeterminazione delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità dei funzionari. Né possono trovare applicazione al caso in esame gli articoli 2126 e 2013 cod. civ., il primo relativo al fenomeno del tutto diverso dello svolgimento di mansioni superiori, il secondo non applicabile in virtù degli articoli 51, comma 1, e 97 Cost., secondo cui la qualifica spettante all’impiego è quella conseguita al momento dell’assunzione o successivamente nei modi previsti dalle leggi o dai regolamenti. Esula dal tema della controversia stabilire se, anche per il personale delle Forze di Polizia a ordinamento civile, valga la possibilità di reagire all’utilizzazione illegittima in mansioni superiori alla qualifica, ogniqualvolta questa ecceda i limiti fisiologici della supplenza temporanea, istituto che, per la Polizia penitenziaria, è disciplinato

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dall’articolo 32 del regolamento di servizio; ovvero, se, nei confronti di detto personale, debbano sempre e comunque farsi prevalere delle attività connesse alla pubblica sicurezza. E’ utile, tuttavia, ricordare che, in forza della norma transitoria contenuta nel primo comma del citato articolo 7 D.M. 28 gennaio 2004, “fino a quando non saranno contemplate le dotazioni organiche del ruolo direttivo del Corpo di Polizia Penitenziaria, le funzioni di comandante di reparto, ove previsto, potranno essere affidate agli ispettori superiori sostituti commissari o agli appartenenti al ruolo degli ispettori”, pertanto, fintanto che non sarà attuata l’integrale copertura delle dotazioni e non avrà luogo l’adeguamento delle piante organiche degli istituti, le funzioni in questione sono riferibili in via promiscua sia al personale direttivo, sia a quello appartenente al ruolo degli ispettori, di talché il loro esercizio da parte dei secondi nemmeno in punto di mero fatto equivale all’utilizzo di personale in mansioni superiori.

Le sentenze riportate, oltre a confermare il principio di non retribuibilità delle mansioni superiori nell’ambito pubblico, si apprezzano per aver fatto chiarezza sulla funzione di comandante di reparto e responsabile dell’area sicurezza non sempre sovrapponibili, anche se negli istituti penitenziari davvero non si comprende quali funzioni residuino al responsabile dell’area sicurezza (ancorché avente la qualifica di commissario capo) oltre alle funzioni di comando, dal momento che i contenuti dell’articolo 6, comma 2, del D.Lgs 146/2000, richiamato dall’articolo 7 D.M. 28 gennaio 2004 al secondo comma, sono identici ai contenuti dell’articolo 31 del D.P.R. n. 82/1999 soprattutto in relazione ai commi 4 e seguenti.

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Nella foto insegne di qualifica di Commisario


Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Michele Profeta il serial killer atipico

P Nelle foto a destra Michele Profeta nell’altra pagina ancora Profeta scortato al processo

rima di ricostruire i crimini atroci di questo criminale è necessario delineare l’atipicità di questo serial killer. Michele Profeta inizia ad uccidere in età avanzata e per soldi (cosa alquanto insolita per un serial killer). Solitamente l’assassino seriale ha una sessualità malata, accompagnata da un’infanzia di soprusi. Profeta, invece, è un uomo dalla doppia vita, entrambe fallimentari, pieno di vizi e squattrinato. Il suo delirio a credere di essere onnipotente, frustrato, e arrabbiato con il mondo intero, lo porta a concepire un piano folle per estorcere denaro alla comunità. Nasce a Palermo, nell’ottobre del 1947. Figlio di una famiglia medio borghese. Fin da bambino vive un grande conflitto di inferiorità nei confronti del fratello maggiore, Maurizio, continuamente presentato dalla madre come irraggiungibile modello di riferimento. Michele, dopo la maturità classica, si iscrive, per volere della madre, alla facoltà di giurisprudenza, senza mai portare a termine gli studi. Sempre per volere della madre è costretto a lasciare anche il suo grande amore, Concetta, una ragazza di un rango sociale molto basso e quindi a lui non adeguata. Poco dopo, incontra e sposa Adriana, dalla quale ha due figli. La separazione giunge comunque in breve tempo. Una volta libero dal suo matrimonio, e dal peso dei suoi genitori, Michele riprende il rapporto con Concetta. La sposa nel 1979, diventa padre di altri due figli. Le cose sembrano andare per il verso giusto: la donna che ha sempre amato è diventata sua moglie e madre dei suoi figli, è impiegato presso una società immobiliare e guadagna

molto. Ma una notte insonne lo porta a scoprire una cruda verità: la donna che ha sposato e credeva di conoscere non esiste, la realtà, quella che emerge dai diari trovati nella sua libreria, è ben diversa. Tutto si sgretola, il suo amore per Concetta si trasforma improvvisamente in ripudio, il lavoro comincia ad andare male. Ritrovatosi senza lavoro, decide di mettersi in proprio, optando per il settore finanziario. Conosce così Antonella, che rimarrà per lui un punto di riferimento anche dopo l’arresto. Non avendo il coraggio di lasciare Concetta, però, comincia ad avere una doppia vita: due donne che ignorano l’una l’esistenza dell’altra. Dopo l’ennesimo fallimento lavorativo Michele lascia definitivamente la Sicilia, sistema le due donne in due città lontane e trova lavoro presso un’agenzia immobiliare. Le cose sembrano andare bene fino a quando non viene licenziato e si ritrova di nuovo sull’orlo del baratro: squattrinato e con due famiglie da mandare avanti. Deve trovare una soluzione, e l’unica a cui giunge è folle e senza speranze: inizia così il suo percorso da omicida seriale di Michele Profeta. Il primo delitto lo commette il 29 gennaio 2001 a Padova, uccide a sangue freddo e senza alcun motivo, a colpi di pistola, il tassista Pierpaolo Lissandron, quarantun anni. Nonostante si tratti di un delitto a sangue freddo, risulta subito evidente agli investigatori che l’omicidio non è opera di un professionista: a causa dell’imprecisione dello sparo, il tassista non morì sul colpo, bensì un’ora dopo il suo ricovero in ospedale. Sul suo cadavere lascia una carta da

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gioco, un Re. Gli inquirenti si concentrano sul conteso familiare del Lissandron. Nonostante nell’ambiente familiare vi siano tensioni e dissidi forti, non emerge nulla di significativo ai fini investigativi. Pochi giorni dopo, il 10 febbraio, Profeta torna ad uccidere, sempre a Padova: spara 3 colpi alla testa del giovane agente immobiliare Walter Boscolo, 37 anni, che gli stava mostrando un appartamento al centro di Padova. A scoprirlo è la fidanzata, che dal giorno precedente non ha notizie di Walter e che ha chiesto all’agenzia dove lavora il ragazzo l’indirizzo del suo ultimo appuntamento. Quando arriva sul posto, con l’aiuto dei Vigili del Fuoco, la donna entra in casa. Il suo Walter è riverso a terra. Vicino al corpo di Walter Boscolo, l’assassino lascia un messaggio: sul tavolo della cucina, in bella evidenza accanto alla ventiquattro ore di Boscolo, ci sono 2 carte da gioco, raffiguranti un re di quadri e un re di cuori. Poco distante, una busta chiusa con all’interno due righe scritte con il normografo: «anche questa non è una rapina contattare il questore di Milano». Tra il primo ed il secondo omicidio trascorrono 12 giorni. Un numero maledetto per Michele Profeta: il 12 gennaio 2001, prima dell’omicidio del tassista, invia una lettera alla Questura di Milano: «questo è un ricatto vogliamo 12 miliardi altrimenti uccideremo delle persone a caso in qualsiasi città sarà un bagno di sangue dovete pubblicare questa inserzione sul corriere della sera: offresi tornitore specializzato 12 anni di esperienza e un numero di cellulare entro il 15-01-01 se non ubbidirete dopo le prime uccisioni manderemo copie alla tv e giornali e magari a qualcuno verrà voglia di imitarci scateneremo il terrore». La lettera risulta inviata da Milano due giorni prima, il 9 gennaio. L’annuncio verrà pubblicato, ma risponderanno solo persone interessate al lavoro. Intanto la perizia balistica sui proiettili che ha ucciso Lissandron, conferma che sono stati esplosi dalla stessa arma che ha ucciso Boscolo. L’unico indizio per gli inquirenti è una chiamata ricevuta da Boscolo il 9 gennaio, da un certo Pertini, il quale voleva vedere l’appartamento di via San Francesco. La telefonata era stata effettuata da un apparecchio pub-

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blico istallato presso il Pronto Soccorso di Noventa Vicentina. Da quell’apparecchio sono state effettuate altre chiamate ad agenzie immobiliari a nome sempre di Pertini. Il 18 gennaio, il Pertini ha incontrato Leonardo Carraro per visitare una casa in via Marostica. I tabulati telefonici dell’apparecchio mettono in evidenza che sono state fatte chiamate solo ad agenzie immobiliari tranne una, che attira l’attenzione degli inquirenti. È un numero di Palermo, intestato a Giovanni Profeta. I sospetti, quindi, si concentrano sul fratello di Giovanni, Michele, residente a Venezia. Le foto di Michele Profeta vengono mostrate al Carraro, il quale conferma che l’uomo è il Pertini. Il 16 febbraio 2001 viene catturato e arrestato. Dopo l’arresto, gli investigatori trovano nel suo appartamento un revolver Iver Johnson calibro 32, utilizzato per entrambi i delitti e le carte da gioco con le quali firmava gli omicidi. Nella sua automobile, una Skoda Felicia, trovano un normografo. Nel luglio del 2001, Michele Profeta tenta di evadere dal carcere Due Palazzi di Padova, dove è stato rinchiuso dopo l’arresto, e per questo viene trasferito nel penitenziario di Voghera. Il 22 marzo del 2002, inizia il processo in Corte d’Assise a Padova, ma il Profeta non si presenterà mai in udienza, adducendo «motivi di salute». Il 12 aprile, durante la perizia psichiatrica svolta per conto della difesa dal prof. Vittorino Andreoli, Michele Profeta ammette per la prima volta le sue responsabilità nei due delitti. Per Andreoli il movente andrebbe ricercato in un delirio di onnipotenza che affliggerebbe l’imputato. La Corte d’Assise di Padova, nel maggio dello stesso anno, condanna Michele Profeta, dopo oltre sei ore di camera di consiglio, alla pena dell’ergastolo disponendo

anche la misura dell’isolamento diurno per un periodo di due anni, sei anni di reclusione e 1.500 euro di multa per la tentata estorsione aggravata ai danni dello Stato, tre anni di reclusione e 800 euro di multa per la detenzione e il porto illegale di arma. Profeta è invece assolto dall’accusa di aver alterato l’arma. Inoltre, a Profeta sono applicate anche le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, dell’interdizione legale e della decadenza dalla patria potestà. Nel corso del processo, la difesa di Profeta, giocò invano la carta della perizia psichiatrica: il movente dei delitti sarebbe in un delirio di onnipotenza. Dopo la condanna, Profeta invia un manoscritto al suo avvocato in cui affermava di aver ucciso come «sacrifici al Dio del Bene e del Male suggeriti da una voce amica, quella della madrina», rivelatasi poi però quella del «Maligno». Ancora oggi resta difficile stabilire per quanto tempo durante il suo delirio paranoico generale Michele Profeta era consapevole e coerente, se non del tutto e quanto sicuramente appare fortemente il risultato di una personalità gravemente disturbata. Il processo d’appello prima e la Cassazione poi, confermano la sentenza. Malato di cuore, il 16 luglio 2004, Profeta muore a Milano nella sala avvocati del carcere di San Vittore dove era stato trasferito per sostenere il suo primo esame universitario: storia della filosofia. «Era emozionatissimo per questa prova», dirà il suo legale. Profeta si accascia mentre sta rispondendo alle domande della commissione esaminatrice. In «Il lato oscuro», lo psichiatra Vittorino Andreoli affermerà che Michele Profeta è un individuo che ha compiuto i due delitti in condizione di chiara patologia maniacale e che quando entra in fase delirante perde il contatto con la realtà diventando preda di forze che non è la sua volontà a controllare. E’ un uomo che uccide contro i suoi principi, in funzione di una strategia di sopravvivenza che oscura la sua pochezza ogni volta che si manifesta e fa di lui l’Uomo assoluto, l’essere supremo dotato del potere di vita e di morte sui suoi simili. Soprattutto di morte. Alla prossima...

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Avellino: Fattorello è campione italiano di tiro (Fossa universale)

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l 20 luglio presso la struttura sportiva della società Giuliano (Na), si è disputata la gara finale della F.I.T.A.V. (Federazione Italiana Tiro a Volo), per aggiudicare i titoli nazionali per il Campionato Italiano 2012, specialità Fossa Universale per i tiratori appartenenti alle FF.OO. e FF.AA., provenienti da tutta l’Italia Bisogna evidenziare la brillante e notevole prova effettuata dall’atleta avellinese Sergio Fattorello, Agente della Polizia Penitenziaria appartenente al Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre ed in forza amministrativa presso la Casa Circondariale di Avellino. L’atleta ventottenne ha conseguito ben due titoli italiani al termine della competizione, dopo un esaltante percorso sulle infuocate pedane di tiro, riportando il punteggio tecnico di 93/100 centri, divenendo così campione Italiano individuale della 1° categoria salendo sul gradino più alto del podio, precedendo un rappresentante dell’Esercito e dei Carabinieri. Fattorello ha conseguito anche il titolo di Campione Italiano a squadre per i Corpi dello Stato, nella stessa disciplina schierato insieme ad altri due colleghi del G.S. delle Fiamme Azzurre, l’alessandrino Marco Panizza e lo spoletino Alberto Bartoli, che hanno ottenuto il prestigioso risultato tecnico di 283/300 centri, al termine di una estenuante prova segnata anche da un clima torrido che ha reso ancora più difficoltosa la gara. L’Agente Sergio Fattorello gareggia con il Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre diretto dal tecnico Pietro Aloi, grazie ad un curriculum di tutto rispetto, nonostante la sua giovane età che gli consente già di gareggiare tra i migliori atleti professionisti del tiro al volo italiano; non ultimo è da ricordare che nel Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre della Polizia Penitenziaria gareggia anche il mitico campione Johnny Pellielo che nelle ultime tre Olimpiadi ha raggiunto il podio con due argenti ed un bronzo ed attualmente è a Londra per difendere i colori della Nazionale Italiana del tiro al volo della prossima Olimpiade.

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a cura di Giovanni Battista De Blasis

menza in alcuni detenuti. Proprio mentre Emile è a MS Uno scoppia una rivolta e lei stessa viene presa in ostaggio. La delicatezza della situazione, induce i ren un futuro prossimo venturo (siamo sponsabili della Sicurezza Nazionale a rinel 2079), un agente della Cia, Snow, correre proprio a Snow per tentare di viene arrestato con l’accusa di aver uc- liberare la figlia del Presidente. ciso un collega dei servizi segreti che aveva Nell’accettare l’incarico, Snow si introdurrà scoperto il suo tentativo di vendita di un se- all’interno di MS Uno per tentare di provare greto di stato sul programma aerospaziale. la propria innocenza, oltre che per salvare Tenuto conto della gravità dell’accusa, Snow Emile. è destinato a MS Uno, penitenziario di mas- Scontato il successo della missione speciale sima sicurezza realizzato su una astronave di Snow che riuscirà a salvare la figlia del in orbita nello spazio. Presidente appena un attimo prima che la Nonappena la vicenda viene resa nota, nu- nave spaziale-prigione si schianti contro merosi agenti delle forze di sicurezza si mo- una stazione orbitale. bilitano per scoprire dove possono essere Ovviamente, Emile è anche riuscita a sconascoste le informazioni segrete trafugate prire esperimenti illegali praticati nel carda Snow. cere di massima sicurezza che utilizzavano Nel frattempo, la figlia del Presidente degli i detenuti come cavie. Stati Uniti, Emile, arriva a MS Uno per inda- Al rientro, però, Snow viene nuovamente gare su presunti esperimenti neurologici arrestato ma, capovolgendo i ruoli tra salche avrebbero causato psicopatie e de- vato e salvatore, sarà proprio Emile a provare la sua innocenza e restituirgli la libertà.

Lockout

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In alto la locandina sotto alcune scene del film

Regia: James Mather, Stephen St. Leger Soggetto: Luc Besson Sceneggiatura: Stephen St. Leger, James Mather, Luc Besson Fotografia: James Mather Musiche: Alexandre Azaria Montaggio: Camille Delamarre, Eamonn Power Scenografia: Romek Delmata Cotumi: Olivier Bériot Effetti: Olivier Afonso Produzione: Europa Corp., Canal+, Ciné+ Distribuzione: Europa Corp. Distribution, Open Road Films Universum Film, Zon Lusomundo Audiovisuais Personaggi ed Interpreti: Snow: Guy Pearce

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Evidente, e nemmeno troppo dissimulata, l’ispirazione di questo film a 1994 fuga da New York di John Carpenter del quale, però, non riesce nemmeno lontanamente ad eguagliare il fascino narrativo.

Emilie Warnock: Maggie Grace Alex: Vincent Regan Hydell: Joseph Gilgun Harry Shaw: Lennie James Scott Langral: Peter Stormare Hock: Jacky Ido John James Mace: Tim Plester Barnes: Mark Tankersley Kathryn: Anne-Solenne Hatte President Warnock: Peter Hudson Hostage Negotiator: Nick Hardin. Duke: Dan Savier Slick: Damijan Oklopdzic

Genere: Thriller Durata: 95 minuti Origine: Francia, 2012

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a cura di Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it

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uasi venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato quindici e più anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

Braccialetti elettronici come misure alternative alla detenzione. Anche in Italia i nuovi dispositivi? di Moraldo Adolini

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l Dipartimento Dell'Amministrazione Penitenziaria, già da alcuni mesi ha messo in piedi un gruppo di lavoro che si dovrebbe occupare della tanto discussa proposta di controllare a distanza tramite un impulso elettronico i circa 13 mila detenuti tossicodipendenti. Questa eventualità darebbe, secondo i propositori della proposta, la possibilità di controllare i detenuti fuori dal carcere, alleggerendo così il sovraffollamento delle nostre carceri, oramai giunte al collasso. Il tanto discusso oggetto sarebbe un semplice braccialetto ma che stando ai nostri esperti riuscirebbe a controllare e individuare il possessore dovunque egli sia. In questa maniera sempre secondo gli esperti ci sarebbe un notevole risparmio economico e una grande riduzione del numero dei detenuti, attuando così delle misure alternative alla pena, tanto discusse ma mai attuate nella nostra nazione. I dati usciti ultimamente dalle statistiche dell 'Amministrazione Penitenziaria sono chiari; la popolazione detenuta ha raggiunto la quota di 48.584 persone al 31 marzo 1996, ultimo censimento disponibile. Di questi solamente 27.622 sono stati giudicati definitivamente, 12.493 sono in custodia cautelare o in attesa di un primo processo, i condannati in attesa dell'appello sono 5.643 ed infine 2.822 attendono il ricorso in Cassazione. La proposta che si sentiva ultimamente sull'utilizzo di questi braccialetti era diretta alla popolazione detenuta tossicodipendente in carcere per piccoli reati inerenti la loro condicondizione tossicomane. Questi secondo il Dipartimento dell 'Amministrazione Penitenziaria sarebbero circa 13.000. Comunque al di là del giudizio politico o etico che si vuol dare alla cosa e che obiettivamente partirebbe dall'applicazione della legge Martelli, rimane sempre un grosso problema che é quello del super affollamento delle carceri italiane. Il personale addetto al sistema carcerario italiano é oramai giunto alla disperazione, i politici sembrano orientati tutti a fare tante proposte ma nessuna soluzione, braccialetti o non braccialetti il problema carceri va risolto.

La copertina e la vignetta del numero di luglio agosto 1996 nell’altra pagina, il sommario

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Il Senatore Luigi Manconi dà un pò l'idea di come vanno le cose da una parte si trova d'accordo sull'utilizzo di questa nuova tecnologia a determinate condizioni, e dall'altra si dice contrario perché se usato in maniera non appropriata potrebbe essere una forma nascosta di privazione della libertà. Due buone motivazioni da una parte o dall'altra per non sceglierne nessuna e lasciare tutto com'è. Con questo esempio non si vuole puntare l'indice sulle idee politiche o personali dei nostri parlamentari ma bensì spronare loro a fare delle scelte, le migliori possibili, e partire da queste per correggerle e migliorarle, che comunque facciano capire che del problema carcere si inizia a far qualcosa di concreto cercando di risolvere i problemi dei detenuti, degli internati e se permettete anche degli operatori e della Polizia Penitenziaria in particolare.

Francia palle al piede ad alta tecnologia I detenuti francesi, per lo meno quelli condannati per reati non gravi, potranno presto chiedere l'assegnazione a domicilio, sotto sorveglianza elettronica. Potranno così scontare a casa la pena, in modo più confortevole e senza gravare su carceri già sovraffollate. Secondo gli esperti francesi il nuovo sistema elettronico, ancora in fase di sperimentazione, non consentirà in alcun modo fughe. L'apparecchio consiste in un piccolo cinturino fissato alla caviglia (come le vecchie palle di ferro dei detenuti) e di un ricevitore, collegato al telefono di casa. Se il detenuto si allontana per più di 50 metri dal ricevitore, questo non percepisce più i segnali del trasmettitore e fa scattare automaticamente l'allarme, collegandosi via telefono con il cervello elettronico centrale del servizio di soiveglianza.

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STEFANO RISSETTO

LA RAGAZZA DI S. SIRO SOULSAMPBooks Edizioni pagg. 227 - euro 18,80

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on è semplice recensire il libro scritto da una persona che conosci e stimi. Il rischio è quello di essere troppo: troppo esigente o troppo indulgente, per non correre il rischio di essere o apparire condizionati nel giudizio complessivo dal sentimento dell’amicizia che ti lega all’Autore. Ma questo libro, stampato e venduto nel circuito della Boogaloo Publishing è davvero una lettura da non perdere, unica nel suo genere, nel quale il gioco del calcio diventa la cornice di una imperdibile storia d’amore. Stefano Rissetto, redattore sportivo dello storico quotidiano genovese Corriere Mercantile fondato nel 1824, ci racconta la prima trasferta di un giovane tifoso sampdoriano che, con alcuni sodali di Fede ed un libro di Montale in tasca, sale a Milano dalla Riviera ligure per vedere la Samp giuocare contro il Milano. E’ il marzo del 1981, entrambe le squadre giocano in Serie B (il Doria era al quarto anno consecutivo di cadetteria, i rossoneri erano stati retrocessi per lo scandalo scommesse) e i tifosi blucerchiati salivano nel capoluogo meneghino per l’incontro clou della giornata di campionato, rinsaldati nella scelta e nello spirito anche da un altro sostenitore dei ‘quattro colori’ (non vedente ma sempre presente allo stadio) che disse loro come senza esser stati almeno una volta a San Siro non era possibile capire la drammatica bellezza prosciugante del calcio, bugiardo fin dal vezzo fuorviante di chiamarsi gioco. E proprio nel piazzale tra il palazzo dello sport e i cancelli di ingresso di San Siro il nostro giovane tifoso vede per un istante un poco più lungo di un attimo la ragazza che gli cambierà il corso della giornata e, forse della vita, immortalata in uno di quegli scatti Polaroid che i tiri a segno di una volta davano in ricordo ai tiratori. Sarà proprio con quella foto riposta nel libro di Montale che il nostro tifoso salirà le rampe elicoidali dello stadio e vedrà e godrà della storica vittoria sampdoriana a San Siro, con un gol di quel fenomeno di Alviero Chiorri (uno che, per dirla con le parole del grande Fulvio Bernardini, «se avesse avuto il decimo del cervello di una persona normale, sarebbe stato il più grande calciatore di tutti i tempi»). E sarà proprio dopo quella storica vittoria che il tifoso sampdoriano si avventura nella metropoli milanese per una missione quasi impossibile: ritrovare la ragazza, quella ragazza, perchè «se l’amore era vero, la città immensa sarebbe rimpicciolita in un attimo». Bello, coinvolgente, imperdibile!

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La copertina del libro


anche a sognare, e poi a trasformare i sogni in idee, e le idee in realtà. E deve oggi, a differenza del passato, conoscere la tenerezza di un’educazione ferma; che non significa essere mammo, bensì sostenere l’autorevolezza delle regole senza caparbietà, appunto con dolcezza. Perché se la ragione ti aiuta a gestire le tue insicurezze è solo il cuore che ti consente di avvicinarti nel modo più sensibile alla creatura che hai messo al mondo.

ANGELINO ALFANO

LA MAFIA UCCIDE D ‘ESTATE STEFANO ZECCHI

MONDADORI Edizioni pagg. 372 - euro 18,50

DOPO L’ INFINITO COSA C’ E’ PAPA’ ?

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MONDADORI Edizioni pagg. 120 - euro 17,00

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tefano Zecchi è diventato papà, fra mille titubanze, a 59 nove anni. Un padre tardivo, quindi, che oggi non si vergogna a confessare che il figlio Frick è stato la vera sorpresa della sua vita. Per lui è disposto a rinunciare a tutto, impegni lavorativi che lo allontanano da casa, partecipazioni ai programmi televisivi, etc. Meglio insegnargli a pescare o guardare insieme le partite di calcio tifando per il Milan. In questo libro sorprendente, Zecchi racconta attraverso la sua personalissima esperienza quale debba essere il ruolo della figura paterna in una società mammocentrica e come affronta ogni giorno i piccoli e grandi interrogativi che suo figlio gli pone. Al proprio padre ogni bambino chiede di spiegargli che cos’è la realtà, anche attraverso i suoi comportamenti quotidiani, e poi sicurezza, protezione. Ma un padre, ci dice Zecchi, deve insegnare

l 9 maggio 2008 Angelino Alfano fa il suo ingresso a via Arenula in qualità di ministro della Giustizia del nuovo governo Berlusconi. E subito si trova coinvolto nella serie di commemorazioni delle tante persone magistrati, preti, medici, politici, giornalisti, membri delle forze dell’ordine - cadute durante la loro eroica e implacabile lotta contro la mafia: in maggio Giovanni Falcone; in luglio Paolo Borsellino, Boris Giuliano e Rocco Chinnici; in agosto Ninni Cassarà; a settembre Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pino Puglisi, Mauro De Mauro e Rosario Livatino... Uccisi in anni diversi, ma sempre, curiosamente, nel corso della più lunga e calda stagione del Meridione italiano. La mafia uccide d’estate è l’autobiografia politica di un antimafioso siciliano berlusconiano e il racconto, personale e sincero, di un percorso di intensa partecipazione alla vita civile e di costante impegno istituzionale, che culmina nel triennio da Guardasigilli dedicato a fronteggiare tre grandi emergenze: la mafia, la lentezza dei processi e il sovraffollamento delle carceri.

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In un’analisi lucida e obiettiva, Alfano spiega come, attraverso gli strumenti della giustizia, anche la politica ha contribuito a combattere la criminalità organizzata, e ricorda quali azioni il suo ministero ha intrapreso per rendere efficiente il nostro sistema giudiziario e per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, cercando di non dimenticare mai che ogni detenuto è, innanzitutto, una persona. E, in particolare, si sofferma - senza nascondere la fatica, le amarezze e le accanite resistenze incontrate lungo il cammino - sul tentativo di attuare una riforma costituzionale della giustizia volta a modernizzarne il funzionamento e a favorire un armistizio tra politica e magistratura (il cosiddetto Lodo Alfano). Un impegno, quello di Alfano, a tutto tondo, che non si esaurisce nel pur complesso scenario italiano, ma ha un meno noto e non per questo meno significativo sviluppo nello sforzo di contribuire alla nascita dell’Europa dei diritti e dei doveri comuni. È proprio nel quadro di una riflessione sulla giustizia al di fuori del nostro Paese e sull’opera dei Guardasigilli di tutti gli Stati del mondo per la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, che assume un ruolo emblematico in queste pagine il resoconto appassionato del suo personale contributo al processo di consolidamento del sistema della giustizia internazionale, a partire da due presupposti fondamentali: il sentimento etico che rifiuta l’ingiustizia in ogni sua forma e la crescente consapevolezza della necessità di considerare alcuni crimini, particolarmente ripugnanti, alla stregua di violazioni perseguibili su scala universale.

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a cura di Erremme

icilia, luglio 1943. Il capitano americano John C. Compton raduna più di trenta italiani che si sono arresi e ai suoi soldati domanda: «Chi vuole partecipare all’esecuzione?», per poi finire personalmente con un colpo alla nuca i pochi sopravvissuti. Qualche ora dopo, il sergente Horace T. West ammassa un altro gruppo di prigionieri — disarmati e collaborativi, come recitano gli atti dei processi — e chiede un mitra: «È meglio che non guardiate - dice ai suoi - così la responsabilità sarà soltanto mia». Poi li uccide tutti. In quei giorni torridi e confusi la stessa sorte toccherà a molti altri italiani e tedeschi, catturati in prima linea dalle truppe alleate a Biscari, a Comiso, a Canicattì: «Ci era stato detto - hanno dichiarato i soldati americani - che il generale Patton non voleva prenderli vivi». I fatti di Sicilia non sono che l’inizio di una lunga serie di violenze e soprusi commessi dagli Alleati in Italia durante la difficile risalita della penisola: dai bombardamenti a tappeto, forse non tutti necessari dal punto di vista strategico, agli stupri di massa in Ciociaria, dove i marocchini del contingente francese ebbero in premio tre giorni di impunità per il coraggio dimostrato nello sfondare la linea Gustav: li usarono per saccheggiare le case e stuprare donne, uomini e ragazzi. Fino agli ottocento giorni dell’occupazione di Napoli-Sciangai. Dopo aver affrontato il mito del Risorgimento nel bestseller Controstoria dell’Unità d’Italia, Gigi Di Fiore riapre le ferite inflitte al nostro Paese dall’esercito di Liberazione. Scopre così il volto meno glorioso, dimenticato dai resoconti oleografici più o meno ufficiali, degli Al-

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VALERIA DELLA VALLE GIUSEPPE PATOTA

VIVA IL CONGIUNTIVO

Come e quando usarlo senza sbagliare SPERLING&KUPFER Edizioni pagg. 167 - euro 15,00

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ella grammatica italiana non c’è argomento che abbia reputazione peggiore del congiuntivo. Considerato obsoleto e impossibile da coniugare senza errori, è lo spauracchio degli studenti e di chi tenta di imparare la nostra lingua. Persino fra gli studiosi e i docenti c’è chi crede sia meglio rassegnarsi alla sua scomparsa. In aperta controtendenza, Valeria Della Valle e Giuseppe Patota si sono impegnati a confutare due convinzioni tanto diffuse quanto infondate: che il congiuntivo sia morto, o moribondo, e che sia difficile. Dopo aver dimostrato, attraverso una veloce scorribanda nei vari campi della comunicazione, che il congiuntivo gode in realtà di buona salute, gli autori offrono una ricca serie di informazioni e curiosità su questo modo verbale tanto discusso: la storia, gli usi e gli abusi, i motivi che lo hanno reso impopolare e, naturalmente, le regole che permettono di utilizzarlo senza incertezze. Un libro piacevole e istruttivo, corredato da esempi, citazioni e test di verifica, rivolto a chi vuole continuare a servirsi di un italiano non solo grammaticalmente corretto ma anche accurato, elegante, espressivo.

GIGI DI FIORE

CONTROSTORIA DELLA LIBERAZIONE Le stragi ed i crimini dimenticati degli Alleati nell’Italia del sud RIZZOLI Edizioni pagg. 360 - euro 19,00

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leati salvatori: la collusione con la mafia e la delinquenza, la corruzione, i regolamenti di conti, i colonnelli cinici che fecero i loro affari senza andare troppo per il sottile, i processi farsa del dopoguerra. Vicende scomode, e a lungo taciute, che ci obbligano a ripensare squilibri e fallimenti dell’Italia di oggi.

J. PATTERSON - M. SULLIVAN

PRIVATE GAMES LONGANESI Edizioni pagg. 336 - euro 16,60

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ondra, luglio 2012. Mancano pochi giorni all’inizio delle Olimpiadi e la città è parata a festa, pronta ad accogliere gli atleti provenienti da ogni parte del mondo per celebrare il grande rito dello sport. Ma c’è qualcuno convinto che l’antico spirito olimpico sia stato tradito dalla moderna corruzione e che questi Giochi non debbano avere luogo. Il primo omicidio è un segnale chiaro: davanti al cadavere di Sir Denton Marshall, uomo chiave del Comitato organizzatore, i cinque cerchi olimpici disegnati con la vernice spray sono coperti da una X. Tracciata con il sangue. Per la filiale londinese della famosa agenzia di investigazione Private International, al comando di Peter Knight, abilissimo detective e uomo tormentato da un passato di dolore, inizia una drammatica corsa contro il tempo e contro un nemico spietato e invisibile, che si firma Crono e che, come l’antica divinità di cui ha preso il nome, intende «divorare» i Giochi e i suoi atleti. E mentre le gare hanno inizio in un clima di angoscia e di massima allerta, Knight indaga e arriva fino a mettere a rischio ciò che ha di più caro perché la fiamma di Olimpia non si trasformi in fuoco di distruzione, ma resti luce di speranza per tutti...

n. 197 • luglio/agosto 2012 • pag. 33


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n. 197 • luglio/agosto 2012 • pag. 34




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