Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002
anno XX • n. 212 • dicembre 2013
Quest’anno faremo anche da albero di Natale? www.poliziapenitenziaria.it
sommario
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anno XX • numero 212 dicembre 2013 Per ulteriori approfondimenti visita il sito
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In copertina: L’Appuntato Caputo fa’ ...l’albero di Natale
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l’editoriale
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Continuano gli attacchi alla Polizia Penitenziaria da parte di “certa stampa” di Donato Capece
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
il pulpito
Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
Quest’anno faremo anche da albero di Natale? di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
il commento
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Redazione cronaca: Umberto Vitale
di Roberto Martinelli
Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)
l’osservatorio
www.mariocaputi.it
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Un Manuale di criminologia edito in due volumi dalla casa Editrice Clueb
“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2013 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
di Giovanni Battista Durante
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669
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e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it
sport
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Progetto “Sport in carcere”: firmato il protocollo d’intesa con il Coni di Lara Liotta
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
crimini e criminali
Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
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Il mostro di Firenze 1ª parte
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)
di Pasquale Salemme
il punto sul corpo
Finito di stampare: dicembre 2013
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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Morti in carcere, giudizie e pregiudizi
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Redazione politica: Giovanni Battista Durante
Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
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Serve un Dipartimento per la sicurezza penitenziaria
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di Daniele Papi
Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:
POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza
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l’editoriale
Continuano gli attacchi alla Polizia Penitenziaria da parte di “certa stampa” e di “certi giornalisti” Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Nel box a fianco un estratto della Carta dei Doveri del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti
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el corso del tempo, noi del Sappe, abbiamo maturato la convinzione che per riuscire ad ottenere l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi del carcere è assolutamente necessario (se non indispensabile) ottenere prima di tutto l’attenzione dei mass media. Tuttavia, quando si parla di carcere è sempre molto forte nei giornalisti la tentazione di sviluppare ragionamenti ispirati a singoli eventi e/o a specifiche questioni, che occasionalmente ed improvvisamente fanno diventare interessante il dibattito sul mondo penitenziario. Non bisogna, però, correre il rischio di discutere di questi temi sull’onda dell’emozione e senza tener conto della complessità del carcere e della necessaria sistematicità che dovrebbe caratterizzare eventuali Per esempio, nella trasmissione “Linea gialla”, andata in onda il 17 dicembre scorso, ci sembra sia stato commesso proprio tale errore, tanto che si è assistito alla consacrazione dello stereotipo del secondino aguzzino, il cui radicamento nella società determina, nell’ambito del settore penitenziario, un sovvertimento del principio di innocenza, poiché il poliziotto penitenziario è ritenuto colpevole fino a prova contraria, con evidente inversione dell’onere probatorio. Infatti, nell’ambito della più ampia tematica riguardante la difesa dei più deboli, il conduttore Salvo Sottile è tornato a parlare delle carceri e del caso Perna, questa volta però senza il necessario contraddittorio: forse perché, memore della precedente puntata, gli interlocutori del DAP e del SAPPe sono risultati scomodi alla trasmissione? Si badi bene anche noi stiamo usando la forma interrogativa, come è stato evidenziato dal conduttore che, incalzato dal Vice Capo Vicario del DAP sul titolo della precedente puntata “Federico ucciso in carcere dalle guardie?”, faceva appunto notare che non vi era alcuna accusa nei confronti della Polizia Penitenziaria, stante l’uso
della forma interrogativa. Nel rammentare che in carcere lavora la Polizia Penitenziaria, e non penitenziale, né tanto meno secondini, sarebbe davvero utile ed opportuno che ogni giornalista, ma soprattutto quelli che hanno maggiori responsabilità nelle testate, non perdesse mai di vista la Carta dei doveri dei giornalisti, siglata l’8 luglio 1993 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana, le cui disposizioni sono divenute poi “norme di legge” con l’emanazione del codice di deontologia del 1998, perché
in esso trasfuse. Ad ogni buon fine, e per valutare se i principi in essa espressi siano stati o meno rispettati nei confronti della cronaca da e sulle carceri, in particolare nella trasmissione Linea gialla, riportiamo alcuni punti salienti della Carta dei Doveri. Resta ancora aperta una domanda fondamentale: Perché, per una volta in questo Paese, non si attendono gli esiti delle indagini della magistratura e dell’indagine interna del DAP, nonché i risultati della autopsia, prima di esprimere giudizi e condanne televisive? H
Carta dei Doveri Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti - Federazione Nazionale della Stampa Italiana Premessa Il lavoro del giornalista si ispira ai principi della libertà d’informazione e di opinione, sanciti dalla Costituzione italiana, ed è regolato dall’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963: «E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori. … omissis … Principi Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. … omissis … Il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità e il suo diritto alla riservatezza e non discrimina mai nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche. Il giornalista corregge tempestivamente e accuratamente i suoi errori o le inesattezze, in conformità con il dovere di rettifica nei modi stabiliti dalla legge, e favorisce la possibilità di replica. Il giornalista rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione d’innocenza.
… omissis … Il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell’avvenimento. I titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie non devono travisare, né forzare il contenuto degli articoli o delle notizie. Non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie particolarmente raccapriccianti di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, o comunque lesive della dignità della persona; né deve soffermarsi sui dettagli di violenza o di brutalità, a meno che non prevalgano preminenti motivi di interesse sociale. Non deve intervenire sulla realtà per creare immagini artificiose. Il commento e l’opinione appartengono al diritto di parola e di critica e pertanto devono essere assolutamente liberi da qualsiasi vincolo, che non sia quello posto dalla legge per l’offesa e la diffamazione delle persone. … omissis … Il giornalista non deve dare notizia di accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità di una persona senza garantire opportunità di replica all’accusato. … omissis … In tutti i casi di indagini o processi, il giornalista deve sempre ricordare che ogni persona accusata di un reato è innocente fino alla condanna definitiva e non deve costruire le notizie in modo da presentare come colpevoli le persone che non siano state giudicate tali in un processo. … omissis … Il giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l’attendibilità e per controllare l’origine di quanto viene diffuso all’opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei fatti.
il pulpito
Quest’anno faremo anche da albero di Natale?
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trasburgo di qua... Strasburgo di la’... Qui ormai non si fa altro che parlare di Strasburgo e del termine di maggio 2014 che ci ha imposto. Pare questa l’unica preoccupazione della Ministro Cancellieri e del capo (?) Dap Tamburino. L’unica differenza tra i due è che la Cancellieri dice “...ce la faremo” mentre Tamburino dice “...non ce la faremo”. (Sembra quasi il famoso sketch di Ezio Greggio: “...ce la fa ...ce la fa ...non ce la fa!” ). E, comunque, chi non si occupa di Strasburgo (come il Presidente Napolitano) non fa altro che parlare dei detenuti e delle condizioni in cui sono costretti. Ma a noi ...chi ci pensa? Sembra proprio che a nessuno importi un fico secco delle condizioni di lavoro di 40.000 servitori dello Stato. A nessuno frega niente di dove siamo costretti a dormire: caserme che assomigliano sempre di più agli alloggi dei clandestini ...e qualcuno al dap ci vuole anche far pagare l’affitto (che Paese è quello che dà le case gratis ai nomadi e fa pagare le caserme ai poliziotti?) A nessuno frega niente che andiamo in giro con furgoni blindati di vent’anni (dentro ci sono anche i detenuti) con quasi 1 milione di kilometri percorsi e, in certi casi, con le portiere che si staccano per strada a causa della ruggine. A nessuno frega niente che due automezzi su tre sono fermi nelle rimesse perché non ci sono i soldi per ripararli (soldi che invece non mancano mai per le auto blu dei nostri “nobili” dirigenti). A nessuno frega niente che siamo costretti a lavorare per otto/dieci notti al mese, che non abbiamo giornate di riposo, che per noi non esiste Natale, Capodanno, Pasqua o Ferragosto.
Di tutto questo non gliene frega niente a nessuno, men che meno ai nostri “nobili” dirigenti del Dap, con in testa il capo Dipartimento Giovanni Tamburino che, da quasi due anni, vive in un mondo tutto suo e continua a dire: “...non ce la facciamo ...non ce la facciamo...” Nel frattempo, in carcere mancano gli educatori? Noi facciamo gli educatori! Mancano gli infermieri? Noi facciamo gli infermieri! Mancano i direttori? Noi facciamo i direttori! Si rompe una lampadina? Noi facciamo gli elettricisti!
Pare che quest’anno mancheranno anche gli alberi di natale … Che problema c’è? Vorrà dire che nel 2013 prenderemo anche il posto dell’albero di Natale: due palle, quattro fili d’angelo e via... Così, magari, qualcuno potrà metterci sotto i doni per Tamburino e per tutta la pletora dei suoi dirigenti... del resto se l’anno scorso gli è arrivato il regalo della Corte Costituzionale che ha annullato la riduzione del 10% del suo stipendio (€ 26.000 al mese) quest’anno potrebbe anche arrivargli una bella gratifica per tutto quello di buono (?) che ha fatto per le carceri italiane... H
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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Quanto tempo serve per svuotare il mare con un cucchiaio? on è molto facile stabilire il volume di acqua presente sul nostro pianeta, ma si ritiene – secondo un calcolo della Rivista Science – che possa aggirarsi intorno ai 1.360.000.000 km cubici, pari a litri 13,2192 21. Il mare ne costituisce il 97,3 % del totale. Considerato che un cucchiaio da tavola contiene circa 15 ml, per svuotare il mare con questo avremmo bisogno di un tempo pari a oltre 200.000 volte l’età dell’universo e cioè 2.800.000 miliardi di anni. Che dite... ci potrebbe essere prima o poi un Capo del DAP che rimarrà incollato a quella poltrona per duemilaottocento miliardi di anni?
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nelle foto sopra Oliviero Diliberto a destra il carcere di Poggioreale a Napoli
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il commento
Morti in carcere, giudizi e pregiudizi ome sanno bene i nostri lettori, il SAPPE ha sempre sostenuto l’idea che il carcere debba essere un’Istituzione trasparente, perché nulla vi è da nascondere ed anzi questo permettere di conoscere le criticità quotidiane che devono affrontare tutti gli operatori, poliziotti penitenziari in primis.
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discorso fu che tutto ciò che attiene alle carceri viene rimosso dalle menti della popolazione e dell’opinione pubblica, che vive la detenzione come altro da sé, che fa notizia solo nei momenti patologici per evasioni, aggressioni, tragici casi - come suicidi - o per detenuti e inchieste eccellenti. Il lavoro in carcere è allora un lavoro
affetti da HIV - espressione del disagio e della marginalità sociale. Il carcere è quindi un pezzo della società come tutti gli altri e richiede, come gli altri settori, delle risposte politiche, tanto più perchè nel carcere si vive in maniera esacerbata l’intero disagio sociale, la marginalità sociale. Converrete come queste parole siano
Abbiamo la consapevolezza che non è un campo facile, quello del carcere: non è infatti semplice coinvolgere su questi temi la grande opinione pubblica, che è nel suo complesso disattenta a questi problemi e vuole la rimozione dei temi del carcere, dei temi del penitenziario. Tende a rimuoverli, perchè i temi del sistema penitenziario fanno riflettere su aspetti che la gente comune preferisce non affrontare. Ricordo tempo fa l’intervento in Parlamento di un Ministro della Giustizia sui problemi del carcere che mi colpì molto. L’anno era il 1999, il Ministro era Oliviero Diliberto ed il senso del suo
oscuro, perché quando viene arrestato un pericoloso latitante la vicenda finisce sulle pagine dei giornali, ma tutto quello che accade successivamente, negli anni a seguire, é oscuro e non subirà la stessa sorte, non comparirà sulle pagine dei giornali né in televisione, non farà notizia. Il lavoro in carcere é un tema più difficile di altri da affrontare, anche perché oggi sul carcere si scaricano interamente tutte le principali contraddizioni della nostra società. Basta vedere la composizione della popolazione carceraria, in larga parte fatta da immigrati, da tossicodipendenti - quando non
assolutamente attuali ma siano sempre in attesa di una concretizzazione in fatti. Specie in relazione alla specificità del nostro lavoro e ad una valorizzazione sociale che non sia sterile esaltazione del nostro servizio ma la consapevolezza del delicato e difficile ruolo istituzionale che ogni giorno esercitiamo. E allora deve proseguire l’impegno per favorire quanto più possibile l’idea generale dell’apertura del carcere alla società e dell’ingresso della società nel carcere, attraverso forme che vanno valorizzate. Non in modo demagogico, però, come quello del volontariato, sapendo che
il commento esso non può e non deve essere sostitutivo, come un alibi, per quanto riguarda le strutture dello Stato, ma portando semmai ad esse un valore aggiunto. Per tutte queste ragioni suggerirei maggiore prudenza quando si parla delle cause che hanno portato alla morte di una persona detenuta in carcere, come drammaticamente accaduto proprio a Federico Perna morto nel padiglione Avellino del carcere di Napoli Poggioreale lo scorso 8 novembre. Invito tutti a non trarre affrettate conclusioni prima dei doverosi accertamenti giudiziari, anche se duole constatare come ancora una volta sembra purtroppo che alcuni
Era anche un detenuto che lo scorso luglio diede fuoco alla cella, mandando all’ospedale per intossicazione due detenuti e due poliziotti penitenziari. E questi sono dati oggettivi, che però non sono stati neppure citati per inquadrare il suo stesso disagio. Certo è che la morte di un detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l’esasperante sovraffollamento.
Un detenuto albanese ha accusa un malore tale da disporne l’immediato ricovero in ospedale ma i poliziotti non hanno mezzi per accompagnarlo ed usano l’auto personale di uno di loro. Il tempestivo intervento dei nostri poliziotti e la decisione di usare un’auto privata sono state due coraggiose iniziative che hanno permesso di salvare la vita al detenuto. Il ricorso all’auto privata di un Agente si è reso necessario perché l’unico mezzo di servizio in uso nel carcere di S. Cataldo è prossimo al fuori uso per la sua fatiscenza e neppure si è messo in moto all’atto di avvalersene. Anche la richiesta di mezzi di
detenuti diventino importanti solamente da morti... Mi ha colpito e scosso vedere, del tutto accidentalmente, la puntata della trasmissione tv La vita in diretta, su RaiUno, che si è occupata di questa triste morte: in studio vi erano la mamma del detenuto e il di lei avvocato. Capisco e comprendo il dolore dei familiari ma non è con comparsate in tv senza contradditorio che si trova la verità. Perna era un detenuto certamente malato, che se avessimo una classe politica più sensibile alle questioni penitenziarie, forse neppure doveva stare in carcere.
E’ utile ricordare una volta di più che negli ultimi venti anni la Polizia Penitenziaria ha sventato, in carcere, più di 16mila tentati suicidi di detenuti ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Tutto questo nel silenzio assordante di buona parte di giornali e di trasmissioni tv (come La vita in diretta) che si sono ben guardati dall’approfondire uno solo di questi inquietanti numeri... Pensate all’ultimo clamoroso caso, accaduto la notte dello scorso 2 dicembre nella Casa di reclusione di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta.
supporto alla Polizia Penitenziaria di Caltanissetta, alla Polizia di Stato ed ai Carabinieri non ha avuto esito favorevole per indisponibilità di mezzi e quindi i poliziotti, posto come prioritario il dovere di salvare la vita al detenuto, hanno scelto di usare una loro macchina. Questo fa la Polizia Penitenziaria in carcere: salva la vita ai detenuti e rappresenta lo Stato con professionalità, abnegazione ed umanità! Con buona pace e nonostante il colpevole ed assordante silenzio di buona parte dell’informazione pubblica e di trasmissioni tv come La vita in diretta... H
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Nelle foto sopra il carcere di San Cataldo a sinistra la mamma di Federico Perna e, sotto, il logo della trasmissione tv La vita in diretta
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
l’osservatorio
Edito dalla casa editrice Clueb un nuovo manuale di criminologia pubblicato in due esaurienti volumi l nuovo manuale di criminologia, di Augusto Balloni, Roberta Bisi e Raffaella Sette, edito dalla casa editrice Clueb, consta di due volumi: il primo è dedicato alle teorie, il prezzo è di 19 euro ed è formato da 270 pagine; il secondo è dedicato alla criminalità e tratta del controllo e della sicurezza, è formato da 342 pagine e costa 25 euro. Il primo volume, nel secondo capiolo, affronta l’enigma del crimine, a partire da Caino ed Abele, la vicenda biblica di questi due fratelli è una delle più significative storie criminali che costituisce un’ottima lezione per chi voglia imparare a riflettere sul crimine – scrivono gli autori. Caino, che secondo la narrazione del libro della Genesi, è il primo uomo nato nella storia, è però anche identificato come il primo omicida che si conosce: il criminale per eccellenza. Il terzo capitolo è dedicato all’opera di Cesare Beccaria, del quale si ricorda Dei deitti e delle pene. Con rferimento alla severità della pena egli affermava che questa deve essere strettamente limitata. Pur essendo proporzionata al reato commesso, non deve tuttavia oltrepassare il limite necessario per impedire al delinquente di danneggiare nuovamente gli altri cittadini e per riuscire a trattenere altri dal commettere reati simili. A proposito della certezza della pena Beccaria osservava che La certezza di un castigo, benchè moderato, farà sempre una maggiore impressione, che non il timore di un altro più terrible, unito colla speranza della immunità; poiché i mali, anche minimi, quando son certi, speventano sempre gli animi umani. Sempre attuale l’opera di Beccaria, se
I Le copertine dei due volumi
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correttamente interpretata. Troviamo in queste poche righe l’utilità del castigo, della pena, in quanto deterrente al crimine, in quanto posta a tutela della colletività, in quanto funzionale al recupero del condannato ma, in modo particolare, tutto ciò è possibile se esiste la certezza della pena intesa, appunto, come certezza del castigo. Già nel ‘700 Beccaria aveva ben individuato il corretto significato da attribuire alla certezza della pena, intesa, appunto, come certa conseguenza del castigo alla commissione di un crimine, diversamente da quanto avviene oggi nel linguaggio comune, allorquando alla certezza della pena si attribuisce, erroneamente, il significato di pena immutabile, obiettando alla flessiblità dela pena la necessità che essa venga espiata per intero e nella stessa forma in cui è stata inflitta dal giudice. Sappiamo bene, invece, che nel nostro ordinamento la pena è flessibile, per espresso richiamo della Corte Costituzionale. Il quarto capitolo è dedicato all’opera di Cesare Lombroso e dei suoi precursori. L’uomo delinquente segnalò che la psicologia completava quanto l’anatomia faceva intravedere… Le conseguenze delle tesi di Lombroso non sono state irrilevanti ed ancor oggi, pur essendosi sgretolata inesorabilmente la teoria dell’uomo delinquente, possono esercitare una ceta influenza sull’opinone pubblica allorché, senza alcun fondamento, si fa riferimento alla cosiddetta faccia da delinquente. Questa classificazione è stata efficacemene contesata da Lev Tolstoj in Resurrezione. Di questo gli autori ne danno ampia spiegazione nel volume.
Nel quinto capitolo gli autori trattano degli epigoni di Lombroso e delle teorie bio-antropologiche: Enrico Ferri e la sociologia criminale, la criminologia di Raffaele Garofalo, la sindrome cromosomica, le famiglie criminali, ereditarietà nella biologia criminale: studi sui gemelli, basi genetiche del comportamento criminale, criminalità giovanile. Il capitolo sesto è dedicato alle teorie psicodinamiche. Attraverso l’educazione e l’istruzione si attua quel processo di formazione sociale in cui i ruoli di comportamento dei singoli si strutturano nei rapporti con gli altri membri della collettività: determinandosi con ciò lo stile sociale del gruppo. Il destino dei singoli in una tale realtà sociale non può essere considerato a sé, esso si compie nel gruppo in cui l’individuo è inserito ed
l’osservatorio è esposto alla pressione dei conflitti in atto che vi dominano. Il gruppo in cui si nasce costituisce di per sé un destino: in effetti la società sviluppa con il singolo, vale a dire con l’individuo, una dialettica che influenza la condotta, anche quella deviante. Quindi occorre sottolineare che, nell’interpretazione della devianza e della delinquenza, acquistano importanza la famiglia, la scuola e poi la società. In questo capitolo vengono approfonditi il concetto di personalità, il contributo di Sigmund Freud: il delinquente per senso di colpa, il contributo di Theodor Reik, il sentimento di colpa e il passaggio all’ato criminale, la delinquenza individuale giovanile, la psicologia della pecora nera, devianza govanile, criminalità e devianza come meccanismo di difesa, frustrazione e aggressività. Il capitolo sette è dedicato alle teorie sociologiche: le statistiche criminali di Adolphe Quetelet e André Guerry, il delitto, un fatto sociale, di Emile Durkheim, la scuola di Chicago,
Gabriel Tarde e il concetto di imitazione, Robert King Merton e i tipi di adattamento individuale, l’associazione differenziale di Edwin Hardin Sutherland, le subculture, Talcott Parsons e il comportamento deviante, le funzioni del controllo, i teorici dell’etichettamento, il naturalismo di David Matza, l’etnometodologia. Il capitolo otto tratta l’evoluzione degli studi di criminologia, perché le persone rispettano le regole? (Par. 6). Il capitolo nove – Per una teoria del campo. Il capitolo dieci – Vincoli e obiettivi nel dibattito sulle scienze criminologiche. Il capitolo 11 tratta del progetto multimediale, nel quale si fa riferimento alle sette interviste che costituiscono un aspett innovativo del volume e del corso di studi. Le persone intervistate sono sia stimati studiosi che autorevoli esponenti del sistema giustizia, del controllo sociale e del mondo dell’aiuto alle vittime, alle quali sono stati proposti come argomenti di discussione urgenti e delicate tematiche criminologiche e
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vittimlogiche legati sia ad aspetti della loro vita professionale, di studio e di ricerca sia ai cambiamenti che stanno attraversando non solo tali discipline, ma anche le politiche criminali e del controllo sociale. In particolare si tratta di: Serge Brochu, vice rettore dell’Università di Montreal (Canada); Vito Zincani, Procuratore capo della procura di Modena; Stephan Parmentier, professore dell’Istituto di criminologia dell’Università cattolica di Lovanio (Belgio); Sabrina Bellucci, direttore dell’INAVEM (Fédération National d’Aide aux Victimes ed de Médiation), Parigi; Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna; Giovanni Battista Durante, commissario polizia penitenziaria, segretario generale aggiunto SAPPE; Antonio Scicchitano, assistente Polizia Penitenziaria, segretario regionale Emilia Romagna UGL. Il primo volume si chiude con il caitolo dodicesmo, dedicato alla criminalità europea. H
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Lady Oscar rivista@sappe.it
sport
Progetto “Sport in carcere”. Firmato il protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e il Coni l 3 dicembre scorso, nel Salone d'Onore del Coni, il Presidente Giovanni Malagò ed il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, hanno siglato il protocollo d'intesa del progetto “Sport in carcere”. Al tavolo dei relatori, dove è stata apposta la storica firma, erano presenti il Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, il
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Nelle foto il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e il Presidente del Coni Giovanni Malagò a destra la platea e il tavolo della presidenza
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Segretario Generale del Coni, Roberto Fabbricini ed il Commissario Marcello Tolu, Responsabile Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre. Il progetto, ambizioso tanto quanto utile, è finalizzato al benessere del personale della Polizia Penitenziaria, al miglioramento della condizione carceraria e del trattamento dei detenuti attraverso pratica e formazione sportiva. L’idea è nata con la necessità di realizzare in tempi brevi una prima serie di interventi concordati in sede europea dal Ministro della Giustizia. L'impegno è quello di arginare gli effetti del sovraffollamento che incidono pesantemente sulla qualità
della vita degli operatori e dei reclusi, e pongono l'Italia in uno stato di perenne contravvenzione dell'art.3 della Cedu, in particolare dopo la sentenza pilota "Torregiani" che ha rilevato come il sovraffollamento sia ad oggi un fenomeno endemico dell'intero sistema penitenziario italiano. Proprio per questo a Strasburgo, il 4 e 5 novembre scorso, il Ministro Cancellieri, davanti al Consiglio
d’Europa e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si è assunta l'onere di trovare soluzioni valide per una prima serie di importanti interventi sul problema. Il “Protocollo d’Intesa” prevede l’impegno congiunto del Coni (che agirà per il tramite delle Federazioni Sportive Nazionali) e delle Fiamme Azzurre - nelle strutture individuate all’interno di diversi istituti di pena, su tutto il territorio nazionale.
sport Le sedi-pilota interessate dall’iniziativa sono quelle della Casa Circondariale di Bologna e di Roma Rebibbia Femminile ma il progetto è destinato a crescere ed espandersi in molte altre sedi italiane, con discipline scelte di volta in volta per adattarsi alle loro caratteristiche strutturali e a quelle delle persone recluse cui si rivolgeranno. Non solo pratica, ma anche formazione sportiva per i detenuti, per consentire loro di poter avere qualificazioni utili da spendere nel momento in cui torneranno alla libertà. L'idea di introdurre lo sport in carcere in funzione rieducativa e formativa è collegata alla necessità del praticante, nel momento in cui decide di diventare tale, di rispettare le regole che sottintendono l'espletamento di qualunque disciplina, di sposare l'assunto che qualunque confronto vincente parte anche dall'accettazione della possibilità di uscire perdenti e che perdere è il primo passo per apprendere dai propri errori. Insomma regola da rispettare, come parte fondante dello sport, per il tramite di quello sport si auspica che diventi tale anche nella vita. Il Responsabile del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre, Marcello Tolu, chiamato a spiegare con il suo intervento i dettagli dell’iniziativa non a caso ha affermato che: «La pena deve tendere al reinserimento, lo sport è un ausilio fondamentale in questo senso. Prevediamo di impegnare i detenuti anche nell’ambito di manifestazioni e iniziative sportive». Sport e lavoro per apprendere pratiche di vita virtuose: il Protocollo d'Intesa Ministero della Giustizia-Coni comprende infatti sia l'individuazione di singoli progetti che consentano ai detenuti di svolgere attività lavorative legate all'organizzazione di grandi eventi sportivi, sia il loro impiego a titolo volontario e gratuito alle attività del Coni e delle Federazioni sportive (ai sensi dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario). Esaustivo sul punto è stato anche il presidente del Coni Giovanni Malagò
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Nelle foto in alto gli atleti delle Fiamme Azzurre sopra il discorso del Comm. Tolu a fianco il Salone d’onore del Coni gremito
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Nelle foto sopra il Ministro Cancellieri tra il Comm. Tolu e il Pres. Malagò con gli atleti del GS Fiamme Azzurre sotto la signora Manuela Olivieri consegna le maglie dei settori giovanili delle Fiamme Azzurre al Ministro della Giustizia e al Presidente del Coni Nell’altra pagina il Ministro Cancellieri mentre firma il Protocollo d’intesa
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sport
che ci ha tenuto a sottolineare l’importanza del messaggio promosso attraverso il progetto:«Oggi è una giornata importante. E' una cosa della quale essere fieri, orgogliosi. Il protocollo è un atto formale ed in parte anche sostanziale. A volte queste iniziative sono rimaste lettera morta ma questa volta voglio dimostrare sul campo praticamente e concretamente che il mondo dello sport può dare molto alle persone che vivono dentro al carcere. Lo sport contribuisce mettendoci la faccia e le professionalità. I migliori atleti, tecnici, allenatori e del materiale. Credo che oggettivamente ci siano dei problemi di strutture ma anche su questo possiamo provare ad incanalare qualche azienda che vuole investire nel mondo dello sport ed è attenta ai temi del sociale per creare degli spazi, i miglior possibili, dove noi entriamo e portiamo i grandi campioni. Persone che sono in un contesto di regime carcerario evidentemente le regole non le hanno rispettate, invece dobbiamo spiegare che nello sport è indispensabile farlo». E' bene specificare come il progetto sia stato pensato e si rivolga anche al benessere del personale della Polizia Penitenziaria, che con il mondo
carcere ha un contatto diretto e quotidiano. Il Ministro Annamaria Cancellieri in tal senso ha dichiarato che: «L'impegno, in ogni carcere, è che ci siano impianti sportivi, anche se è un cammino che si preannuncia molto lungo. Vogliamo che di questi impianti possa goderne anche la Polizia Penitenziaria. E dove ci sarà la possibilità di ingressi esterni, questi impianti dovranno essere messi a disposizione della collettività. Bisogna che la società civile viva in
simbiosi con il carcere, che è una risorsa e non solo un problema. La Costituzione dice che il detenuto debba espiare la pena ma la detenzione deve essere un momento di crescita e non di regressione. Lo sport è un grimaldello che permette di rompere certe catene. Lo sport è un insieme di regole, di forza, disciplina e quindi portare i principi dello sport all'interno delle carceri significa dare alle carceri gli strumenti di crescita civile».
13 L'evento al Salone d'Onore si è aperto con la proiezione di un meraviglioso video girato nel carcere femminile di Roma Rebibbia dall'Istituto Superiore di cinematografia "Roberto Rossellini" e diretto dal professore Clemente Sablone, noto per le sue spiccata capacità documentaristiche. E' seguito un breve saluto del padrone di casa, il Presidente Malagò che ha dimostrato entusiasmo e compiacimento per il progetto, è stata poi la volta del ministro Cancellieri, altrettanto entusiasta della possibilità della possibilità di mettere lo sport al servizio della collettività e, in conclusione, è intervenuto il responsabile del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre, Comm. Marcello Tolu, che ha spiegato con l'ausilio della proiezione di slides il cuore del progetto. Attimi di commozione subito dopo, con la premiazione ad opera di Manuela Olivieri, vedova di Pietro Mennea, del Ministro e del Presidente Coni. Entrambi sono stati omaggiati con la maglia dei settori giovanili di atletica delle Fiamme Azzurre, intitolati proprio a Mennea scomparso lo scorso marzo, campione e padre nobile delle Fiamme Azzurre. E' seguita la storica firma. Il lavoro vero per la diffusione del progetto è, d'ora in poi, tutto da compiere.
CONVENZIONE 2013 RAINBOW MAGICLAND • Nessun limite minimo e massimo di pre acquisto; • Acquisto tramite email, pagamento con bonifico bancario ed invio biglietti in formato elettronico; • Utilizzo immediato senza coda alle casse; • Validità biglietto stagione 2013
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costo biglietto euro 24 a persona (adulti e bambini fino a 10 anni) Bambini fino al metro di altezza GRATIS Esempi di costo biglietti non in convenzione: • € 35 intero • € 28 ridotto per bambini • € 20 pomeridiano (dopo le 17) MODALITA’ DI PAGAMENTO: bonifico bancario IBAN: IT97W03069050506 15 25 9952801 Intestato a INTERCLUB SERVIZI SRL: nella causale indicare denominazione SAPPe e il numero totale di biglietti prenotati. E’ richiesto l’invio della copia del bonifico comprovante l’avvenuto pagamento per ricevere i biglietti via e-mail. N.B. i biglietti pagati non potranno essere rimborsati.
Per informazioni e prenotazioni: passaro@sappe.it
Le Fiamme Azzurre, con lo staff, i tecnici ed i testimonial che vi saranno coinvolti, lo affronteranno con la gioia e l'impegno della più importante delle gare, perché l'attività fisica al servizio della collettività è in fondo la più preziosa delle medaglie. H
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Giovanni Passaro passaro@sappe.it
diritto e diritti
L’istituto della riabilitazione annulla la sanzione disciplinare dopo due anni di giudizio “ottimo”
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alve a tutto lo staff e grazie in anticipo per una Vostra eventuale risposta. Prima di cominciare voglio complimentarmi con la redazione per la professionalità e la qualità degli articoli trattati nella Vostra, e direi anche un po’ nostra rivista che ormai seguo da svariati anni. Sono un assistente capo con 22 anni di servizio, qualche anno fa, a causa di una mancanza (smarrimento tessera di riconoscimento) ho ricevuto una sanzione disciplinare. Il fatto mi è dispiaciuto perché ho sempre avuto un comportamento professionale, senza ricevere mai alcun rapporto disciplinare e riportato una classifica personale di ottimo. Vorrei sapere se trascorso un determinato periodo è possibile annullare le conseguenze della sanzione. Ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.
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Caro assistente, l’istituto della riabilitazione è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 8 del d.lgs. 449/1992 e 87 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n° 3. In ordine a quanto sopra, relativamente all’istituto della riabilitazione previsto nel richiamato articolo 8, occorre evidenziare che l’articolo 87 del citato d.P.R. 3/1957, testualmente, recita “Trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni il giudizio complessivo di ‘ottimo’, possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva; possono altresì, essere modificati i giudizi complessivi riportati
dall’impiego dopo la sanzione ed in conseguenza di questa. Il provvedimento è adottato con decreto ministeriale, sentiti il Consiglio di amministrazione e la Commissione di disciplina”. Ne consegue che il Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, prevede l’Istituto della riabilitazione a favore del dipendente, trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitto qualsiasi tipo di sanzione disciplinare, per poter rendere nulli i suoi effetti giuridici ex tunc, ovvero dall’ottenimento in poi.
vantaggio per il dipendente non solo di ottenere la cessazione degli effetti, dopo soli due anni anche se non retroattivi, ma anche per la possibilità di poter richiedere la non menzione sul foglio matricolare e di non vedersi preclusa l’opportunità di partecipare a concorsi per accedere a qualifiche superiori. In conclusione, si può sostenere che la riabilitazione può essere richiesta trascorsi due anni dalla sanzione disciplinare a condizione che il dipendente abbia riportato la classifica di ottimo nei rapporti informativi formulati
Certamente la riabilitazione è una norma compatibile ed applicabile alla disciplina del Corpo di Polizia Penitenziaria, considerato che tale istituto non si pone in contrasto con le norme dell’ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria ne con lo “status” riconosciuto al personale, implicando solo la necessità di acquisire il parere del competente organo, su istanza dell’interessato. Tuttavia, la riabilitazione è un beneficio poco conosciuto e poco praticato, seppur comporta il
dall’amministrazione (possono, altresì, essere modificati i giudizi complessivi riportati dall’impiegato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa). Il provvedimento è adottato con decreto ministeriale, per analogia con le procedure del riesame e della riapertura del procedimento in esame, e che è competente il Capo del D.A.P. che, ascoltato il Consiglio Centrale di disciplina e la Direzione Generale del Personale e della Formazione, può decretare la riabilitazione. H
ottava ed ultima edizione per quest’anno del corso di specializzazione si è svolta, come è noto, all’Istituto Centrale di Formazione di Roma dal 10 al 23 novembre 2013. Ad oggi sono 324 i poliziotti del Dipartimento Giustizia Minorile ad aver conseguito tale specializzazione, superando ciascuno un corso di due settimane con relativa discussione di tesina finale. A questo punto, il piano ferie natalizie impone all’amministrazione una pausa per consentire ai servizi territoriali di garantire i meritati Congedi Ordinari e la sicurezza delle strutture nel migliore dei modi. A garanzia di quanto detto, risulta da informazioni raccolte all’Istituto Centrale di Formazione che il Corso di Specializzazione nel settore minorile riprenderà non prima di febbraio 2014. Ricordiamo che a distanza di due anni dalla firma del Decreto sulla specializzazione da parte dell’ On.
L’
“Specialista nel trattamento dei detenuti minorenni”: si chiude il 2013 Angelino Alfano, le due Direzioni Generali del Personale e Formazione del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e Dipartimento Giustizia Minorile hanno formato quasi la metà del contingente di Polizia Penitenziaria che opera nel settore minorile (circa 750 unità con un anzianità di servizio di almeno 5 anni). Con tutta probabilità, a nostro avviso il corso di Specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni riservato esclusivamente al personale
di Polizia Penitenziaria continuerà fino al 2015 con almeno altre 8 edizioni.H
Perché iscriversi a Piazza d'Armi della Polizia Penitenziaria? PER SPIRITO DI CORPO La Polizia Penitenziaria è continuamente tenuta in secondo piano dai suoi stessi amministratori Dirigenti dell'Amministrazione penitenziaria. E' tempo di riunirci e confrontarci anche attraverso gli strumenti offerti dal web. PER RIMANERE IN CONTATTO CON I COLLEGHI E GLI AMICI Ognuno di noi ha perso i contatti con tanti amici e colleghi dei vari Corsi di formazione, oppure gli amici e colleghi delle sedi in cui abbiamo lavorato. Con Piazza d'Armi rimanere in contatto (e in maniera riservata) è più facile! PER I SERVIZI RISERVATI AI POLIZIOTTI PENITENZIARI L'iscrizione gratuita a Piazza d'Armi è riservata ai soli appartententi alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. I servizi già attivi (o che saranno attivati fra poco) sono i messaggi privati tra colleghi, i gruppi di discussione su specifiche tematiche lavorative, convenzioni, scambio di taglie di uniformi, consulenza legale, annunci di vendita/affitto/scambio di oggettti o servizi, e molti altri che attiveremo anche in base alle vostre segnalazioni e richieste.
PER TUTELARE LA SICUREZZA E LA PRIVACY DEI POLIZIOTTI PENITENZIARI Piazza d'Armi è riservata ai soli appartententi alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. Ci sono troppi siti web che diffondono e pubblicano documenti con dati sensibili dei poliziotti penitenziari. Piazza d'Armi nasce anche per tutelare la privacy e la sicurezza degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. PERCHÉ È GRATIS! Piazza d'Armi è l'unico luogo virtuale che offre notize, approfondimenti, servizi, materiale utile per il lavoro e documenti riservati in maniera gratuita. Piazza d'Armi è e resterà uno spazio gratuito per tutti i colleghi della Polizia Penitenziaria! PIAZZA D'ARMI È FATTO DA COLLEGHI PER I COLLEGHI Piazza d'Armi è realizzato unicamente da colleghi della Polizia Penitenziaria per i colleghi della Polizia Penitenziaria. Per qualunque richiesta, informazione o consiglio, hai la garanzia di rivolgerti ad un tuo collega e amico della Polizia Penitenziaria!
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a cura di Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it
Nella foto l’ICF Minori di Roma
www.piazzadarmi.it
giustizia minorile
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dalle segreterie Bologna
rivista@sappe.it
I lavori del Sappe della Regione Emilia Romagna unedì 10 dicembre, si è tenuta presso la sala sindacale della Casa Circondariale di Bologna la riunione Regionale del SAPPE. Erano presenti il Segretario Generale Dott. Donato Capece, il Segretario Generale Aggiunto Dott. Giovanni Battista Durante e le Segreterie Provinciali della Regione Emilia Romagna con i loro rappresentanti: Modena (Gennaro Caruso, Giobbe Liccardi, Ferrara (Domenico Marinaro, Roberto Tronca, Antonio Fabio Renda, Barbara Pellizzola, Giuseppe Salerno), Rimini (Massimiliano Vitale, Maurizio Russo), Ravenna (Davide Tirelli, Francesco Falzarano), Bologna (Annunziato Barbarossa, Luciano Zammapelli, Fabio Del Castro, Francesco Borelli, Adamo Ianni, Rocco Riggio, Paolo Aucone), Forlì (Michele Piccinini, Alberto Gregoriadis),
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Nelle foto i momenti della riunione
Polizia Penitenziaria n.212 dicembre 2013
Piacenza (Marco Parente, Gianni Garofalo), Parma (Errico Maiorisi, Pasquale Ielapi, Francesco Campobasso. Sono stati affrontati temi riguardanti le pensioni, il nuovo concorso agenti, la situazione sindacale degli Istituti dell’Emilia Romagna e le problematiche varie del Corpo di Polizia Penitenziaria.
Inoltre, essendo stata la Segreteria commissariata per circa tre anni, si è proceduto all’elezione del Segretario Regionale Emilia Romagna. All’ unanimità è stato eletto come Segretario Regionale il Dott. Francesco Campobasso, coadiuvato dai tre Vice Segretari Regionali Rocco Riggio, Michele Malorni e Errico Maiorisi. H
dalle segreterie Como Il collega Luigi Barbanera salva un bambino caduto dal secondo piano ragedia evitata in provincia di Como con l'intervento fulmineo e coraggioso di Luigi Barbanera, 45 anni, che si è reso protagonista dell'eroico salvataggio di un bambino di 20 mesi precipitato dalla finestra dell'appartamento dei genitori a Cantù, impedendo drammatiche conseguenze per la vita del piccolo. Barbanera, 45 anni, sposato e padre di due figli, assistente di Polizia Penitenziaria nel carcere di Como, smontato dal servizio, si trovava in macchina, fermo a un semaforo, nei pressi dell'abitazione del bimbo, quando ha notato il piccolo in piedi sul davanzale. Con grande prontezza di riflessi, è uscito dalla macchina ed è riuscito ad afferrare al volo il bimbo
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dopo la caduta di otto metri accasciandosi a terra con il bimbo tra le braccia. Entrambi sono stati portati in ospedale, praticamente illesi. Se la sono cavata con qualche escoriazione e leggera contusione. «Ho ancora lo stomaco sottosopra per quello che è successo» racconta nella sua abitazione, a Cantù, dove è accaduto il fatto. Il caso, la prontezza di riflessi, lo slancio generoso: c'è tutto in questa storia che è a lieto fine perché il bimbo non si è fatto quasi nulla e l'agente ha solo un polso dolorante. La mamma, una donna nigeriana, era uscita per stendere il bucato e aveva lasciato il piccolo, Ryan, che compirà 2 anni a gennaio, solo per una manciata di minuti. Ryan era salito sulla finestra per gioco e le ante gli si sono chiuse alle spalle lasciandolo lì, intrappolato a sei metri di altezza. Il capo del DAP, Giovanni Tamburino, con una lettera, ha elogiato l'intervento fulmineo e coraggioso di Luigi Barbanera. «L'intervento dell'assistente Barbanera ha giustamente dato rilievo a un uomo della Polizia Penitenziaria - ha dichiarato il vice
capo del Dipartimento, Luigi Pagano - sarebbe bello, però, ogni tanto, leggere sui giornali anche delle decine di storie di solidarietà, di umanità e di coraggio che si consumano all'interno delle carceri, e che vedono protagonisti gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria». H
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rivista@sappe.it
Nelle foto Luigi Barbanera
Parma Sappe: raggiunte le 240 adesioni rande festa alla Segreteria Sappe di Parma per il raggiungimento dei 240 iscritti al nostro sindacato. H
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dalle segreterie
omenica 6 ottobre si è svolta ad Adria (RO) la settima ed ultima tappa del ‘Veneto Mtb Tour 2013’, circuito di mountain bike tra le province venete di Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza. Al termine di una gara estenuante a causa soprattutto delle condizioni climatiche disagevoli, sono avvenute le premiazioni dei protagonisti di quest’avventura iniziata il 24 febbraio a Concordia
Vanni è il figlio di una nostra collega, Angela Bianchin Gheno già Agente scelto presso carcere femminile della Giudecca - Venezia, la quale ci ha scritto dicendo: «Mi sento in dovere, sia a nome mio che della mia famiglia, di congratularmi con lui attraverso il periodico della Polizia Penitenziaria per l'eccezionale risultato, per la caparbietà e la costanza dimostrata in tutti questi anni e per la soddisfazione che ci ha regalato.» Vanni ha dimostrato nuovamente che con il giusto allenamento, molta costanza, un pizzico di umiltà e per la mountain bike, si possono raggiungere ottimi risultati e piazzamenti, pur continuando a considerare questo sport principalmente come un divertimento.
ra il lontano 2001 quando un gruppo di persone, prevalentemente appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, decisero di fondare il Moto Club Fiamme Azzurre per dare maggiore “ufficialità” alla passione comune per le moto, per i viaggi, per stare insieme tra amici. Si decise da subito di far sul serio e il Moto Club Fiamme Azzurre è stato iscritto fin dall’inizio alla Federazione Motociclistica Italiana (F.M.I. www.federmoto.it) con il numero di registrazione 8260 trai i moto club ufficiali d’Italia.Durante questi anni, il gruppo è cresciuto ed è stato aperto a tutti coloro che volevano condividere la passione per il mondo motociclistico e far conoscere meglio l’amministrazione e la Polizia Penitenziaria in giro per l’Italia e
Sagittaria (VE). In terza posizione nella categoria M1 ancora un buon piazzamento per il solagnese Vanni Bordignon, che nel 2010 vinse la maglia azzurra di ‘campione Veneto’ nella medesima categoria.
Ottimo piazzamento anche per i compagni di squadra Pietro Lunardi, capitano del Lunardi Team, classificatosi primo sempre nella categoria M1 e Michele Beltrame, secondo nella categoria M2. H
anche all’estero. Le attività principali del Moto Club Fiamme Azzurre sono state svolte, in tutti questi anni, con la partecipazione attiva dei numerosi iscritti che hanno preso parte alle tante iniziative motociclistiche organizzate dalla Federazione Motociclistica Italiana e che hanno consentito al Moto Club di essere premiato con la consegna di trofei e riconoscimenti ufficiali della F.M.I. Tra le tante iniziative, il Moto Club Fiamme Azzurre è tra gli organizzatori dell’appuntamento per la raccolta e la consegna dei giocattoli e fondi per i bambini orfani ospitati presso il Centro del Divino Amore a Roma. Ogni anno, vari Moto Club anche delle altre Forze di Polizia, in
Veneto
rivista@sappe.it
Ottimo piazzamento di Vanni Bordignon nel circuito “Veneto MTB Tour 2013”
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Nella foto la premiazione
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mondo penitenziario occasione della giornata della Befana, si recano presso il Divino Amore di Roma per la consegna dei giocattoli e ogni altro genere di conforto per i bambini e chissà se tra i lettori di questa rivista, ci sia qualcun altro che voglia partecipare alla prossima edizione! Ce lo auguriamo. Da qualche mese il Moto Club Fiamme Azzurre ha chiesto all’amministrazione penitenziaria di essere inserito nell’omonimo Gruppo Sportivo del Corpo per permettere ai propri iscritti di partecipare alle competizioni agonistiche della Federazione Motociclistica Italiana, così come avviene già per i poliziotti delle altre Forze di Polizia. La moto non è solo un mezzo di locomozione, perché chiunque ne possieda una o ha l’occasione di fare
destinati alle spese di gestione del Moto Club e per l’organizzazione delle varie iniziative. Tutte le informazioni comunque possono essere approfondite nei siti web www.mcfiammeazzurre.com www.federmoto.it L’iscrizione da diritto a ricevere a casa la rivista ufficiale e i gadget della F.M.I. e tante altre agevolazioni e sconti tra cui: polizze assicurative agevolate, assistenza stradale, sconti vari per manifestazioni motociclistiche nazionali e
un viaggio in moto, ha provato quella sensazione unica di libertà e di piacere di essere più vicini alla natura e alla storia dei posti visitati. Chiunque voglia condividere con altri amici e colleghi la passione per le due ruote e lo spirito di libertà che solo i vaggi in moto riescono a trasmettere, è il benvenuto nel Moto Club Fiamme Azzurre! Per l’iscrizione si può contattare la Segreteria del moto Club scrivendo una e-mail a mcfiammeazzurre@gmail.com oppure alfonsomattiello@libero.it. Il telefono è 06/66529247 o 3666589309. La tessera di iscrizione ha un costo di € 50 di cui € 32 sono la quota riservata alla Federazione Motociclistica Italiana e € 18
internazionali, corsi di guida, BikersHotel, abbonamenti a riviste specializzate e tanto altro… Cosa aspetti? Iscriviti ad uno dei più prestigiosi moto club d’Italia, il Moto Club Fiamme Azzurre e partecipa
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Il Motoclub Fiamme Azzurre
insieme ad altri appassionati delle due ruote come te, alle manifestazioni, alle uscite nei week end, ai viaggi e agli incontri tra amici e colleghi dell’amministrazione e Polizia Penitenziaria! H
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cinema dietro le sbarre
Regia: Sergio Gobbi Soggetto: Silvana Busso, Roberto Bessi, Luca Biglione, Ettore Pasculli Sceneggiatura: Claude Baignieres, Luca Biglione, Sergio Gobbi, Anna Tognetti Fotografia: Jean-Francis Gondre Musiche: Jean Yves D'Angelo Montaggio: Francoise London Scenografia: xo Costumi: Nicoletta Ercole
Rewind a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
Polizia Penitenziaria n.212 dicembre 2013
Il film di Sergio Gobbi racconta la storia di Paul Mansart, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza per reati di terrorismo. Paul accetta di essere sottoposto a esperimenti di realtà virtuale per cercare di ricostruire l’identità del fantomatico criminale che ha preparato l’attentato che gli è costato la cattura e che probabilmente è responsabile di altre recenti azioni terroristiche. Mansart, viene così trasferito in un laboratorio bunker dove computer ed
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altre sofisticatissime apparecchiature registrano i suoi ricordi e le sue emozioni da visualizzare in video su grandi schermi dove vengono esaminate e scandagliate dagli psicologi che coordinano l’esperimento. In questo modo Paul rivive gli istanti del tragico attentato per arriavre a comprendere, con l’aiuto della psicologa Marianne Langrand, che i suoi complici e la donna amata non
la scheda del film
Produzione: Sandro Parenzo per VIDEA Roma, FRANCE Films Internazional, JIBY Productions Parigi Distribuzione: MEDUSA Films
sono stati uccisi dalla polizia - come aveva sempre creduto – ma dall’uomo che gli aveva ordinato l’attentato. Mentre l’esperimento va avanti, cominciano ad arrivare inspiegabili pressioni affinchè venga sospeso ma la caparbietà di Mansart e della psicologa che l’assiste impediscono che questo accada e, alla fine, la verità finalmente viene fuori. Il mandante delle azioni terroristiche è Luc Baudin, un insospettabile professionista che gode di influenti protezioni e che, una volta scoperto, tenta in ogni modo di sottrarsi alla cattura minacciando nuovi attentati. Finalmente liberatosi da dubbi e rimorsi Paul Mansart può ritornare in carcere per finire di scontare la sua pena, nella speranza di un futuro migliore. Il film di Gobbi si sviluppa in una sceneggiatura molto intricata e in gran parte inverosimile per quanto riguarda le tecnologie futuribili,
Personaggi ed Interpreti: Paul Mansart: Raoul Bova Marianne Legrand: Maruschka Detmers Fabrice Rivail: Niels Arestrup Joseph Valko: Luca Zingaretti Alice Varyk: Cécile Pallas Luc Baudin: André Oumanshy Claude Ricci: Marc Samue Blondin: Jay Benedict Karl Müller: Antonio Marsina Juliette: Maria Laborit Mathias: Jérôme Hardelay Thomas: Philippe Dajoux Helga: Alice Evans Yvonne: Candice Hugo Wolf: Meyer Bokobza Genere: Fantasy Durata: 92 minuti Origine: Italia, Francia, 1998 miscelando con molta superficialità anni di piombo, strategia della tensione e terroristi pentiti. Discreta l’interpretazione di Raoul Bova nella parte del terrorista irriducibile turbato dai sensi di colpa e che alla fine si converte alla fiducia nel prossimo. H
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NB: il laboratorio analisi è attivo tutte le mattine (festivi esclusi) ed è erogabile in convenzione con il Servizio Sanitario Regionale in entrambe le Sedi (Termini e Pisana).
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crimini e criminali
Il mostro di Firenze Prima parte Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Da questo mese voglio raccontare, in più puntate naturalmente, una delle storie più complesse dell’Italia del novecento, non fosse altro per la durata delle indagini, circa 40 anni, e del numero di processi svolti. Si tratta della storia di 8 coppie, brutalmente massacrate ed uccise nelle campagne toscane da uno o più mostri, sulla quale ancora non è stata fatta piena luce e i cui autori, o presunti tali, condannati o assolti, sono quasi tutti morti.
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Nelle foto sopra una delle vittime a destra il fondello “H” di una cartuccia winchester
Polizia Penitenziaria n.212 dicembre 2013
Devo essere sincero, ancora oggi, quando mi ritrovo ad attraversare i luoghi dove avvennero i delitti, il mio corpo rabbrividisce e credo che anche la psicosi di quegli anni non sia del tutto sopita tra gli stessi fiorentini. La vicenda, ebbe molto risalto dal punto di vista sociale, suscitando estrema paura per il profilo delle vittime (giovani fidanzati in atteggiamenti intimi), aprendo l’opinione pubblica italiana al dibattito sull’opportunità di concedere con maggiore disinvoltura la possibilità per i figli di trovare l’intimità a casa, evitando luoghi pericolosi. Del «mostro di Firenze» si è parlato tanto, decenni d’indagine, una scia di sangue di almeno 16 morti e tante «morti collaterali», due discusse condanne definitive ai presunti complici di Pacciani (il «contadino dal cervello fino» morto però da innocente), i sardi finiti in
carcere negli anni ’80 liberati dal mostro stesso che tornava a colpire, le infruttuose ipotesi su un possibile “secondo livello” che hanno portato solo ad assoluzioni. Inoltre film, fiction televisive, documentari, siti on-line dedicati, insomma, tante, forse troppe le ipotesi e le supposizioni formulate, a volte anche bizzarre e fantastiche, da far ritenere che non ci sia altro da aggiungere, oltre a quanto emerso dalle carte processuali ma solo raccontare, questa volta, ai miei colleghi, alcuni dei quali hanno conosciuto loro malgrado taluni personaggi di questa brutta vicenda, la storia di ciò che avvenne nelle dolci colline fiorentine dal 1968 al 1985. Prima di addentrarci nei singoli omicidi è bene dire che vi è un “protagonista” ricorrente in tutti gli assassini, che ha dunque visto tutto: la pistola Beretta calibro 22 e non solo, anche le pallottole, le Winchester serie H, sono le stesse nei primi cinque delitti. La pistola non è mai stata ritrovata e quindi costituisce l’unica prova che ancora potrebbe mettere fine definitivamente alla storia del mostro. Per rendere ancora più intrigante il racconto aggiungo che tutti gli omicidi sono avvenuti d’estate, di notte e di sabato in cui non c’era la luna, fatta eccezione per uno solo in cui il mostro ha ucciso di giovedì, ma il giorno dopo era programmato uno sciopero generale. Il primo duplice omicidio avvenne in una notte di agosto del 1968, in località Castelletti di Signa, nella periferia ovest di Firenze. Anche se è considerato da molti il primo della serie, per altri invece, la mano di questo delitto, anche se collegata alla vicenda, non è quella del mostro di Firenze. Barbara Locci, è una donna di 32 anni sposata con Salvatore Mele, che vive in un piccolo paese alla periferia di Firenze, Lastra
a Signa, alla quale piace frequentare gli uomini, tant’è che in paese è soprannominata «l’Ape regina». La sera del 21 agosto esce con la sua nuova “fiamma”, Antonio Lo Bianco, per recarsi al cinema, portando con se anche il piccolo figlio, Natalino, di sei anni. All’uscita i due amanti, prendono l’auto e decidono di appartarsi per godersi un po’ d’intimità, anche in considerazione che il piccolo si era addormentato sul sedile posteriore. Raggiunta una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, intorno alla mezzanotte, i due iniziano a spogliarsi, quando a un tratto la mano criminale dell’assassino fa fuoco sparando otto colpi da distanza ravvicinata: quattro colpiscono la donna e quattro l’uomo. Furono ritrovati sulla scena del crimine cinque bossoli di cartucce
calibro 22 Winchester con la lettera “H” punzonata sul fondello. Per tale delitto vi è un mistero nel mistero ed è dato dal comprendere come il piccolo Natalino Mele, rimasto illeso in macchina mentre la madre e l’amante venivano uccisi davanti a lui, sia riuscito a raggiungere, intorno alle due del mattino, scalzo, scioccato, al buio, un casolare ad oltre due chilometri di distanza dal luogo del delitto. Natalino, avrebbe bussato alla porta della casa e avrebbe detto a un uomo affacciatosi alla finestra per vedere chi fosse a quell’ora, che la mamma e lo zio erano morti. Le indagini conducono al marito della donna, un muratore originario della provincia di Cagliari, che gli investigatori sospettano possa aver commesso il delitto per gelosia. Qualche giorno dopo, il Mele, dopo aver negato inizialmente un suo coinvolgimento e aver gettato sospetti
crimini e criminali sui vari amanti della moglie, tra cui tale Salvatore Vinci, da taluni indicato come il vero padre del piccolo Natalino, confessa il delitto. Dopo poche ore Mele ritratta in parte la confessione e coinvolge come complice del duplice omicidio proprio Salvatore Vinci accusandolo di avergli fornito l’arma e di essere stato da lui accompagnato in auto fino alla stradina di Castelletti. Dopo aver sparato, il Mele dichiara di aver gettato la pistola nel canale che corre lungo il cimitero, ma nonostante le ricerche, l’arma non sarà mai ritrovata. Il processo per il duplice omicidio si svolse due anni dopo e vide come imputato il solo Stefano Mele, malgrado questi abbia cercato di tirare in ballo amanti della moglie e propri familiari. La Corte d’Appello di Firenze lo condannò come unico responsabile del duplice omicidio a 14 anni di reclusione, riconoscendolo seminfermo di mente. Sei anni dopo, il 14 settembre del 1974 a Borgo San Lorenzo (località Sagginale), a nord di Firenze, il mostro compie il suo primo delitto sicuramente maniacale: è un omicidio orribile, uccide Pasquale Gentilcore, di 19 anni, e Stefania Pettini di 18. I due fidanzati verso la mezzanotte si erano fermati, con la loro autovettura, una Fiat 127, lungo una strada sterrata; dopo essersi spogliati e intenti a scambiarsi effusioni, vengono raggiunti ripetutamente da colpi di pistola: l’uomo fu trafitto da cinque colpi e la donna da tre colpi esplosi da una Beretta calibro 22 Winchester. Il ragazzo muore con la testa reclinata verso sinistra, addossata al finestrino anteriore andato quasi completamente in frantumi; la ragazza, probabilmente, ancora viva, viene trascinata fuori dall’abitacolo e ripetutamente accoltellata con 96 pugnalate e successivamente penetrata con un tralcio di vite nella vagina. Il delitto fu scoperto la mattina seguente da un contadino che lavorava da quelle parti, furono ritrovati, sparsi sul terreno, gli oggetti contenuti nella borsetta della ragazza (particolare questo che si ripeterà costante in tutti
gli omicidi). I Carabinieri ritrovano sul posto 5 bossoli calibro 22 long rifle Winchester, a breve distanza l’uno dall’altro. A seguito del completamento delle autopsie e dei rilievi, il perito balistico, colonnello Zuntini, lo stesso che prestò la sua consulenza per il caso del duplice omicidio del 1968, eseguirà una puntuale perizia ricostruttiva della dinamica dell’omicidio: tuttavia il Colonnello non ricollega il duplice delitto a quello del 1968 pur essendo di modalità e contesto simile. Per gli investigatori gli omicidi sono stati compiuti con molta probabilità da un individuo affetto da turbe comportamentali della sfera sessuale e da questo momento la pista del maniaco diventa predominante. Da queste convinzioni, per la prima volta, il mondo dei “guardoni” del luogo entrò nel mirino degli investigatori, considerando anche il fatto che la zona dove era avvenuto il duplice omicidio era nota per la presenza di coppie appartate e relativi voyeur. Nel giugno del 1981 il mostro torna a colpire, questa volta a Mosciano una frazione del Comune di Scandicci, vicino Firenze. La domenica mattina del 7 Giugno 1981, verso le ore 9:00, un agente di polizia fuori servizio, decide di fare una gita col suo figlioletto verso le campagne di Roveta, in località Mosciano. Mentre camminano, l’agente nota, a breve distanza, di fronte ad un albero bruciato, un’auto Fiat Ritmo di colore rame, parcheggiata sull’erba. L’agente nota immediatamente che sul lato interno sinistro dell’auto, quello del conducente, a terra c’è una borsetta da donna di paglia aperta e oggetti sparpagliati intorno. Avvicinandosi ulteriormente, vede un ragazzo, con una leggera barba, riverso sul sedile con la testa poggiata contro il finestrino. Poco lontano dall’auto scopre anche il corpo esanime di una donna in posizione supina e con una catenina tra le labbra socchiuse. I due giovani uccisi, successivamente identificati, sono Carmela De Nuccio, di anni 20, e Pasquale Foggi, di anni 30. Anche in
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questo caso la dinamica è sempre la stessa: due ragazzi appartati in cerca d’intimità sorpresi e massacrati all’improvviso ed in modo atroce con colpi di pistola calibro 22 sparati dal finestrino dal lato del guidatore, tre colpi all’uomo e varie coltellate; cinque colpi alla donna, coltellate al seno e l’asportazione del pube effettuato con tagli precisi. Dagli esami della polizia scientifica, anche per questo duplice omicidio, non risultano impronte digitali dell’assalitore sulla scena del crimine. Nei giorni immediatamente successivi all’omicidio le indagini si indirizzarono in modo deciso verso il mondo dei «guardoni», sulla base delle indicazioni fornite dalla dinamica e dal luogo dell’omicidio, certamente conosciuto come ritrovo di coppie e molto frequentato dagli
«indiani» (così erano chiamati i guardoni nelle campagne fiorentine), ma soprattutto per le mutilazioni subite dalla ragazza, indice, secondo gli inquirenti di una mente malata e sessualmente perversa. I magistrati della Procura della Repubblica di Firenze Adolfo Izzo e Silvia Della Monica iniziano a lavorare in questo senso. Non vennero però trascurate anche altre piste, in particolare quella «del medico», per la precisione dei tagli operati sull’arco pubico, e quella del calzolaio o del conciatore di pelli, per la tipologia di arma bianca usata, che secondo le indicazioni medico legali è un arma particolarmente affilata e tagliente, più simile a un trincetto per pelli o da calzolaio che a un coltello, pur non escludendo del tutto quest’ultimo, o a un bisturi, accreditando ancora di più l’ipotesi di un medico o di un chirurgo. Alla prossima... H
Nella foto un’altra delle vittime del “mostro”
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24 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina e, nell’altra pagina, il sommario del numero di maggio1999
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come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
V
Nascita dell’istituzione carceraria e sua evoluzione sino ai giorni nostri 5ª parte - Il carcere in Italia nel XX secolo di Maurizio Renzi
L’
L’introduzione di alcune riforme, promosse dal Presidente del Consiglio Giolitti, danno l’idea che sia in atto una parziale umanizzazione dell’attività nelle carceri italiane. Con il R.D. 2 agosto 1902 n.337, si tende a limitare l’uso dei mezzi connettivi quali la catena al piede e la camicia di forza, successivamente eliminati con decreto del 14 novembre n.484. Sono questi gli anni in cui fervono i partiti politici a base popolare, formatisi verso la fine del XIX secolo. La stessa organizzazione sindacale diviene una struttura organizzata nel porre in atto rivendicazioni e denunce che hanno referenti alla Camera dei Deputati. E’ l’Italia dello sciopero generale e delle violente manifestazioni di piazza. Di riflesso questa situazione fa scoprire, agli attivisti sindacali i quali spesso appartengono non solo al ceto operaio ma anche a quello della media borghesia, la vita nelle carceri. Si inizia, quindi, a informare l’opinione pubblica di quale luogo di sfruttamento e ingiustizia sia il carcere, ed è proprio la nuova presa di coscienza da parte dei reclusi, che induce gli stessi, a rompere il clima di accettazione, a fronte della possibilità di poter affrontare, con degli argomenti, quel mostro burocratico rappresentato dall’amministrazione penitenziaria. Benché il favore verso l’isolamento continuasse a caratterizzare i costruttori di prigioni, una reazione si andava delineando nell’opinione pubblica e nella classe politica.
«Da un lato una nuova generazione di riformatori tornava al vangelo della salvezza “preventiva” dal crimine attraverso l’industria; dall’altro cresceva a vista d’occhio la disillusione nelle possibilità di riforma morale dei carcerati attraverso il sistema esistente di disciplina carceraria» . Ma sintomatico della situazione italiana, del suo scarso sviluppo industriale in questo periodo, è che si avanzassero proposte non terreni incolti dando inizio alla bonifica agricola. E’ facile notare qui la supremazia dei gruppi capitalistici agrari; infatti, con queste proposte si mirava a respingere il contadino, emigrato nella città, nel suo territorio d’origine e a reimpiegarlo nella terra. L’attività riformatrice di Giolitti si inserisce in questo contesto, con l’impiego dei condannati in lavori di bonifica, attribuendo così allo Stato il diritto «di utilizzare nel miglior modo possibile l’opera dei condannati per compensare in parte l’erario della grave spesa che per il loro mantenimento grava sul bilancio nazionale». Giolitti mira, infatti, a trovare forme di dialogo con le forze socialiste e questa politica, incontrerà alcune simpatie, in quanto venivano preferite le operazioni di bonifica piuttosto che le lavorazioni carcerarie, criticate per la concorrenza arrecata al lavoro libero. Tale atteggiamento, ebbe il difetto di non considerare il fatto che ci si trovasse innanzi a due aspetti del medesimo problema: quello dello sfruttamento del lavoro. Le strutture legislative e la prassi di
come scrivevamo gestione della struttura penitenziaria, non subiscono rilevanti mutamenti nell’arco di tempo che va dall’inizio del secolo all’avvento del fascismo. Anzi, si assiste ad un generale fallimento delle riforme giolittiane, inclusa la legge sui lavori di bonifica. Con l’instaurarsi dell’autoritarismo fascista si pongono subito un freno a quelle iniziative della Direzione generale delle carceri, tese a migliorare la vita detentiva. Tali misure, miravano all’eliminazione di qualsiasi restrizione in ordine ai colloqui, alla corrispondenza ed alla possibilità di assegnare una gratificazione al lavoro in carcere. Con il R.D. 31 dicembre 1922 n.l718, la Direzione generale delle carceri e dei riformatori, viene trasferita dal ministero dell’Interno a quello della Giustizia. Il fascismo appena arrivato al potere, ribaltava così la politica perseguita nell’ultimo biennio della Direzione generale. «Le follie positiviste introdotte nella gestione delle carceri abilmente strumentalizzate come sintomo della bolscevizzazione del settore e ritiene lesive dei principi di ordine e di autorità, debbono cessare; per ottenere questo risultato bisogna colpire l’ambiente della Direzione generale, ormai inquinato; nessuno meglio della magistratura, che tramite tante prove ha dato di “sensibilità” politica nei confronti del fascismo durante il “biennio rosso”, può offrire sicure garanzie per un ritorno alla normalità repressiva nel mondo penitenziario». Il fascismo, mette un freno sicuro a possibili iniziative tese ad una rieducazione del reo che comportino un sovvertimento dello status quo nelle carceri. Questa garanzia, viene così sanzionata dal fatto che ora è il ministero della Giustizia che controlla l’esecuzione della pena. Questo, dopo che esso stesso ha pronunciato la sentenza di condanna. Cala così per tutto il ventennio un totale immobilismo sugli organismi preposti alla direzione delle carceri, mentre fanno ritorno tutte le misure coercitive che erano state abolite durante il periodo liberale, pena di morte inclusa.
L’adeguamento normativa segue la stabilizzazione del regime; esso è richiesto perché sono mutate le classi da colpire. Nuovi nemici divengono gli oppositori politici, serve quindi una normativa atta a contrastare, non più soggetti violenti ma prevalentemente ignoranti, ma bensì una parte di quella borghesia mista ad elementi operai che si dimostra riluttante al fascismo. Il nuovo regolamento per gli istituti di prevenzione e pena, approvato con R.D. 18 giugno 1931 n.787, è la fedele traduzione dell’ideologia fascista nel settore penitenziario. Questo disegno si lega alla figura di Alfredo Rocco, ministro della giustizia dal1925 al 1932, artefice del codice penale e di procedura penale, del testo unico di pubblica sicurezza e del regolamento penitenziario, emanati tra il 1930 e il1931, ed è volto alla variazione di quella struttura normativa congeniale alla esigenze ideologiche, politiche ed economiche del regime fascista, volta alla repressione di ogni forma di dissenso sociale. «In pratica il codice penale realizza, quanto meno nei confronti dei soggetti socialmente pericolosi, il raddoppio della misura delle sanzioni: al non indifferente aumento delle pene rispetto a quelle previste per i medesimi reati dal codice Zanardelli e alla creazione di reati di carattere più decisamente politico, si affiancano
infatti le misure di sicurezza, che vengono scontate e sofferte, stante l ‘assoluta mancanza di stabilimenti speciali e di attrezzature per attuarne le finalità rieducative e curative, alla stregua di vere e proprie pene afflittive. Non solo: la misura di sicurezza è indeterminata nel, massimo, potendo il giudice prorogar/a all’infinito, sino a che ilsoggetto non dimostri di essere rieducato e idoneo a rientrare nel consorzio libero».
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come scrivevamo
La vignetta del mese maggio 1999
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Il carcere viene a ruotare esclusivamente su tre perni: lavoro, istruzione e pratiche religiose. I rapporti con la Chiesa erano stati un punto di forza del regime, che, con i Patti Lateranensi, aveva messo fine alla “questione romana”. Colmando il fossato che dal 1870 divideva le masse cattoliche dallo Stato. Questo nuovo rapporto, tra Stato e Chiesa, si rifletteva anche nella struttura penitenziaria, la religione diveniva corresponsabile al proprio operato. La Chiesa, veniva così di fatto a far parte del sistema penitenziario, privilegiata da una normativa che prevedeva l’obbligo della partecipazione alle cerimonie del culto cattolico. Il lavoro penitenziario si copre di un elevato valore di sfruttamento, esso, infatti, non è più fine a se stesso, ma reso disponibile alle Pubbliche Amministrazioni che ne facciano richiesta. Il carcerato diviene utile manodopera nell’interesse della Patria. Non a caso siamo negli anni delle grandi bonifiche, sulle quali il Duce aveva investito molto. Dal punto di vista strutturale vengono apportati alcuni miglioramenti, uno di
questi è rappresentato dall’abolizione del sistema di segregazione cellulare continuo, strumento crudele che, sia pure mai completamente applicato per mancanza di idonei locali, aveva caratterizzato l’ordinamento del 1891. Viene in parte mantenuto l’isolamento sia per fini sanitari che disciplinari. Eguale è il sistema delle ricompense e delle punizioni, dell’organizzazione dell’istruzione e delle regole spersonalizzanti e degradanti che si accompagnano al rituale dell’ingresso nello stabilimento carcerario. Novità è invece la comparsa della macchina della propaganda in tutta la struttura, quindi soprattutto nelle carceri minorili, ove si ritiene di meglio agire sull’educazione dei giovani criminali al fine di recuperarli alla nuova Italia fascista. La propaganda prevede per questi giovani, la partecipazione obbligatoria a quelli che sono i momenti di sviluppo del partito. Non a caso, la rieducazione passa per l’istruzione, per la quale viene prevista una frequenza obbligatoria per due ore al giorno, per i detenuti analfabeti.
Essa diviene subito oggetto di propaganda verso l’esterno, disponendo una partecipazione ufficiale delle gerarchie del partito all’atto dell’inaugurazione dei corsi. Ma dietro la propaganda, che disegna un nuovo carcerato teso alla lotta, grazie all’aiuto del regime, per il suo reinserimento, permane una situazione di reale sfruttamento. Il lavoro continua a venire retribuito non con un salario, ma con un semplice compenso o gratificazione di entità irrisoria; ignorando tutte le parole, spese sulla funzione, l’importanza morale e sociale del lavoro carcerario. Ma l’aspetto sicuramente più triste è rappresentato dalla continua situazione di sfruttamento che prosegue anche dopo la scarcerazione. «Con impudente cinismo si insiste sui vantaggi che trarranno gli industriali nel servirsi del lavoro degli ex condannati, organizzato presso i consigli di patronato, in quanto l’assistito, non ancora inquadrato nelle categorie sindacali, può essere retribuito con un salario inferiore a quello stabilito nei contratti di lavoro, e i locali e la sorveglianza sono offerti gratuitamente» . L’assistenza post-carceraria diviene un aggregato della pena. Costruita da un lato come sfruttamento del lavoro degli ex carcerati e dall’altro come strumento per rendere più agevole la repressione e il controllo di coloro che continuano ad essere considerati pericolosi per la società. Le misure di sicurezza, per i soggetti dichiarati socialmente pericolosi, diventano un’asfissiante realtà del panorama giudiziario italiano. Infatti, grazie all’assistenza post penitenziaria, è possibile estendere i controlli anche a quei soggetti meno pericolosi, ma ugualmente sospetti. La società italiana viene così depurata degli elementi non allineati. La situazione, chiaramente peggiorò durante il periodo bellico. L’unica istanza presente fu quella contenitiva, volta alla soppressione dei dissidenti. H ....continua
interventi ricevuti
Il suicidio in carcere nell’epoca della “globalizzazione dell’indifferenza” i è svolta il 23 Novembre la “Giornata Mondiale dei Survivors”, giornata commemorativa per coloro che hanno perso un caro per suicidio. La giornata in Italia è stata organizzata dal Prof. Maurizio Pompili, referente italiano IASP, delegato dall’American Foundation for Suicide Prevention.
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Platone, nel Fedone, diceva che “l’uomo è un prigioniero che non ha il diritto di aprire la porta della sua prigione e fuggire”. La vita come prigione, dunque, dove ci si agita e si espia, una condizione, comunque, dovuta. E allora perché tenere chiuso il blindato e aprire al malcapitato la porta della fuga eterna?
Il Servizio per la Prevenzione del Suicidio, per chi ha necessità di aiuto e per chi ha perso un caro è attivo presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Scrive Daniela Teresi, psicologa penitenziaria, che “i numeri delle persone che muoiono per suicidio in carcere, come si legge dal dossier pubblicato su Ristretti Orizzonti , sono numerosi, in 13 anni (dal 2000 al 2013) se ne contano 794. Dei survivors, ovvero dei parenti dei detenuti che hanno perso un loro caro, la cronaca comincia a parlarne, seppure il dolore resta un fatto privato”. Questa tragica evenienza colpisce i parenti come i compagni di cella, la Polizia Penitenziaria, il personale Medico, la Direzione. Ed è sempre traumatica perché difficilmente si è preparati alla morte, che in genere giunge alla fine di un percorso che per gli altri non sembra mai concluso.
C’è da chiedersi se abbiamo fatto tutto, ma proprio tutto per dare un motivo in più al detenuto per rimanere nella prigione a termine. Ma lontano dall’odore di minestroni e cous cous, carbonare e arrabbiate che sfuggono tra le sbarre e rendono familiare un luogo che familiare non è, nemmeno al più incallito dei delinquenti, tra i velluti ministeriali che mai hanno visto la faccia di uno che è uno dei numerosi ospiti delle sue sbreccate case e dove tutt’al più circola aria stantia di polvere e noia, il problema interessa molto, ma molto meno di un fico secco. E anche il vissuto di chi è esposto a tali morti traumatiche, come il detenuto che sostiene il peso del suicidio del compagno di cella o dell’agente di Polizia Penitenziaria che deve staccare il corpo rigido, appeso a una corda, d’un poveretto
che non ce la faceva più e infilarlo in un sacco nero per smaltirlo nella discarica dei poveri, subisce una scossa terribile. “Sentimenti di stigmatizzazione, vergogna e imbarazzo distinguono i survivors di coloro che hanno perso un caro per suicidio, - dice ancora Daniela Teresi - sentimenti diversi sono quelli di coloro che soffrono per un lutto non connesso al suicidio. Un tema sul quale nessuno troverebbe ragionevolmente motivo da obiettare se il suicidio in carcere cominciasse a essere guardato come evento traumatico o stressante, come causa di PTSD , (disturbo post traumatico da stress) da utilizzare come diagnosi di riferimento per affrontare la vasta fenomenologia dei problemi che gravitano intorno a tale fenomeno nel mondo penitenziario, tra la popolazione detenuta ed il personale che vi opera”. “Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta” (Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini). Se questo è vero è, però, irrinunciabile, per un paese che si ritiene civile, operare affinché le storture del sistema carcerario vengano affrontate con decisione e tempestività, magari affidando a psicologi professionisti lo spazio che necessita per dirimere, dove possibile, le principali criticità. “In quanto artisti, forse non abbiamo bisogno di intervenire nelle faccende di questo secolo; ma in quanto uomini, sì” . (Albert Camus, Actuelles II). H
27 di Giuseppe Baiocco Psicologo penitenziario rivista@sappe.it
Nelle foto sopra Maurizio Pompili in alto a destra la locandina dell’incontro dello IASP e in basso Daniela Teresi
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28 di Daniele Papi rivista@sappe.it
il punto sul corpo
Serve un Dipartimento per la sicurezza penitenziaria Un Capo della Polizia Penitenziaria che sia il “Direttore Generale della Sicurezza Penitenziaria” e l’istituzione di Direzioni Centrali della Polizia Penitenziaria come per la Polizia di Stato artiamo subito dal nocciolo economico... L’indennità prevista dalla legge 121/81 articolo 5, spetta al Direttore Generale della Sicurezza Penitenziaria “Capo della Polizia Penitenziaria”, la corresponsione di tale indennità a favore del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è a mio modesto avviso un abuso, in quanto un’esegesi dell’articolo non dovrebbe far sfuggire che si tratta di un’indennità propria dei vertici delle Forze di Polizia che hanno la funzione di: Capo della Polizia o di Comandante Generale. Nicolò Amato, la sapeva lunga.. (se mi fate leggere dove è scritto che il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è anche il Capo della Polizia Penitenziaria, sono pronto a fare un passo indietro con tanto di scuse. Anzi, che il capo dipartimento, con “aria” totalmente auto referenziale, si presenti come capo della Polizia Penitenziaria, la ritengo una sorta di “USURPAZIONE DI TITOLO” passibile di querela. Torniamo alla organizzazione: L’idea, certamente non certo nuova, ma io vado oltre. Istituire una Direzione Generale della Polizia Penitenziaria, oggi è riduttivo secondo il mio modesto punto di vista occorre un Dipartimento ad hoc. La nostra presenza (mi onora essere un poliziotto penitenziario e, vestirne l’uniforme), all’interno delle sezioni non ha più ragion d’essere alla luce della sorveglianza dinamica e delle
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circa le otto ore di “libertà in carcere” prospettate dal ministro pro-tempore, sia dal numero verde a disposizione dei detenuti prospettato dal capo del dap. Nelle Sezioni a mio modesto avviso ci dovrebbero lavorare esclusivamente: Educatori, Assistenti Sociali, Psicologi, Associazioni di supporto. La Polizia Penitenziaria deve solo garantire la sicurezza penitenziaria e tutte le sue sfaccettature. Il Direttore non deve avere alcun rapporto gerarchico o funzionale con il personale di Polizia, il quale dipende esclusivamente dai propri superiori gerarchici. Il neo Dipartimento dovrebbe avere articolazioni centrali, periferiche regionali e locali che garantiscano l’economia, l’efficienza e la speditezza dei servizi istituzionali assegnati alla Polizia Penitenziaria, adeguandoli alle effettive esigenze di sicurezza. L’istituzione di un Dipartimento della Sicurezza Penitenziaria può mobilitare le energie, accendere la migliore motivazione professionale e la convinta partecipazione del personale di Polizia penitenziaria nella elaborazione del progetto di ineludibile trasformazione del sistema penitenziario ed a condividere le scelte strategiche per: a) la re-definizione dei circuiti; b) ampliamento delle strutture penitenziarie; c) l’innovazione dei modelli di sicurezza (sempre più calibrati sui diversificati contesti del trattamento e degli interventi professionali che lo caratterizzano nella concreta realtà);
d) l’introduzione di nuove tecnologie di supporto, che andranno sempre più ad integrare le risorse umane impiegate, in una prospettiva di contenimento (se non di contrazione) delle piante organiche, concepite sui vecchi parametri di una vigilanza statica e sostanzialmente indifferenziata. Certamente, riconoscere una dimensione organizzativa di rango elevato, può risvegliare un riflesso condizionato a temere il prevalere della funzione di sicurezza (se non della mera custodia) rispetto alle più articolate funzioni e obiettivi del sistema, fino ad immaginare una strisciante deriva disciplinare, correzionale e coercitiva nel trattamento penitenziario. Questo non può avvenire se si ragiona sulla evenienza che la Polizia Penitenziaria debba garantire esclusivamente la Sicurezza e, che quindi possa intervenire all’interno solo ed esclusivamente per ragioni di
il punto sul corpo sicurezza, tutte le attività trattamentali e rieducative devono essere di esclusiva competenza di altre figure professionali peraltro ben identificate dalla legge. Pensare che un elemento così significativo, quale è la Polizia Penitenziaria per la conduzione del sistema, possa continuare a sentirsi nella condizione di “figli di un dio minore” rispetto alla articolazione dei livelli di responsabilità, ovvero rispetto alla affermazione di una pari dignità dovuta a tutte le professionalità che concorrono a “fare sistema”, non può
che alimentare quella conflittualità latente fra “categorie”ed essere attraversata da pulsioni a contrastare ogni forma di innovazione o a resistere ad ogni spinta al cambiamento rispetto a presunte certezze consolidate, la Polizia Penitenziaria va quindi estrapolata dal contesto, garantisce quindi esclusivamente la sicurezza. Spunti in faccia, sangue infetto aggressioni non dovrebbero più esistere quando all’interno andranno ad operare esclusivamente quegli operatori preposti al “trattamento”. I direttori non avranno più l’incombenza della “sicurezza” e finalmente potranno occuparsi seriamente in via esclusiva sul funzionamento dell’istituto. Poi, non potranno più esserci abili circa la fatiscenza delle Sezioni, delle aree per la socialità e per le strutture in generale... Oltre alle incombenze relative agli aspetti sociali e rieducativi, potranno
occuparsi della manutenzione, ristrutturare e ammodernare l’intero immobile come fanno per i loro uffici, avete mai visto l’ufficio di un direttore che faccia schifo come può fare schifo, una sezione, un ufficio matricola o l’ufficio del sottufficiale responsabile della sorveglianza generale? Io mai!! Un siffatto riassetto organizzativo può porsi in armonia con le finalità della riforma e con l’istituzione dei ruoli direttivi e dirigenziali, già previsti dall’attuale quadro normativo, fornendo un riferimento strutturato agli operatori del Corpo di polizia
penitenziaria per l’evoluzione dei nuovi concetti e dei processi volti a perseguire la sicurezza penitenziaria, così come si sviluppano e si declinano nelle differenti contesti operativi. Il Dipartimento della Sicurezza Penitenziaria e le sue Direzioni Generali verrebbero ad avere competenze, direttamente derivate da criteri di omogeneità, su tutte le attività ed i servizi demandati alla principale risorsa operativa del sistema penitenziario, evitando dispersioni di competenze tra i vari uffici dipartimentali che oggi ne rallentano la sua azione. In ogni Istituto, il governo del personale di polizia andrebbe affidato ad un dirigente della polizia penitenziaria, capo della struttura alla stregua di quanto in essere per tutte le Forze di polizia. L’istituzione di un Dipartimento ad hoc dovrebbe avvenire contestualmente all’equiparazione reale ed efficace del personale della Polizia Penitenziaria a
quello della Polizia di Stato. Dirigenti di Polizia Penitenziaria sarebbero designati a far parte degli organismi centrali e territoriali istituiti per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. Nel nuovo organigramma, al Capo della Polizia Penitenziaria, individuato nel Capo del Dipartimento per la Sicurezza Penitenziaria, si affiancherebbe il Direttore Generale preposto alla Direzione Generale di Polizia penitenziaria, con funzioni di Vice Capo. Il Direttore Generale verrebbe nominato tra i dirigenti superiori del Corpo. Il Vice Capo preposto alla Direzione Generale della Polizia penitenziaria eserciterebbe tutte le funzioni inerenti a: gestione del personale, assunzioni, prima assegnazione e trasferimenti, concorsi, avanzamento, disciplina, formazione e aggiornamento, servizio sanitario, quiescenza, affari generali, specializzazioni, Gruppo operativo mobile, U.S.P.e.V.; servizio di trasporto terrestre e servizio navale, servizio centrale delle traduzioni e dei piantonamenti, Istituto nazionale per le sperimentazioni e perfezionamento al tiro, distribuzione e approvvigionamento per il vestiario, per l’equipaggiamento, per il casermaggio e per l’armamento, gestione tecnico-operativa e amministrativa del Corpo. Le Direzione Generale del Corpo di Polizia penitenziaria andrebbe articolata in Uffici dirigenziali non generali, con a capo dirigenti superiori del Corpo. Gli Uffici verrebbero articolati, a loro volta, in Unità Organizzative di minore complessità che, in base all’ampiezza delle attribuzioni, dei compiti e della responsabilità, potrebbero essere diretti da primi dirigenti o funzionari del ruolo direttivo del Corpo. Le unità organizzative verrebbero quindi suddivisi per settori titolari di compiti e di responsabilità adeguate. Gli Istituti di Istruzione dovrebbero tornare alla Polizia Penitenziaria, medesima cosa per l’Ente assistenza. Insomma, c’è da lavorare e non poco, se vogliamo uscire dall’inferno... H
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Nella foto l’ingresso del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it
1973 Scuola AA.CC. di Cairo Montenotte 40° Corso “Moncenisio” saggio ginnico (foto inviata da Fausto Muru)
sopra: 1988 Scuola AA.CC. di Monastir (CA) 42° Corso Ausiliari (foto inviata da Girolamo Politanò) a destra 1976, C.R. Asinara Picchetto d’onore per la visita del Direttore Generale Giuseppe Altavista (foto inviata da Fausto Muru)
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eravamo così
eravamo così
31 A fianco: 1977 Scuola AA.CC. di Parma 54° Corso “Taro” (foto inviata da Antonio Pergola)
in basso, a sinistra 1987, C.C. Cagliari Festa del Corpo (foto inviata da Luciano Carta) sotto: 1975 il Cap. Mattiello e il Maresc. Granata (foto inviata da Pasquale Amato)
A fianco, 1980 Scuola AA.CC. di Cairo Montenotte (foto inviata da Pietro Gaeta) a sinistra: 1952 Scuola AA.CC. Portici (NA) (da Marcello Iorio)
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32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni Clive e Dirk Cussler
LA FRECCIA DI POSEIDONE LONGANESI Edizioni pagg. 407 - euro 18,60 anca soltanto un ultimo collaudo. Ed è proprio in quel momento che un attentato sanguinario mette fine alla vita del progettista e distrugge il prototipo segreto del Sea Arrow, un nuovo modello di sottomarino, il più veloce, il più silenzioso e il più potente mezzo subacqueo che abbia mai solcato le acque. Se le cose fossero andate secondo i piani e il Sea Arrow fosse stato realizzato, l’America non avrebbe avuto rivali nel dominio dei mari. Ma l’innocente “gita di pesca” di copertura, che avrebbe permesso di mettere a punto le ultime mosse, si è misteriosamente conclusa in tragedia. Solo la Numa può intervenire per recuperare i resti del cabinato da pesca sul quale viaggiava il progettista, ma nemmeno Dirk Pitt e Al Giordino sono consapevoli dell’importanza dell’impresa che stanno per affrontare. Non tarderanno però a rendersene conto, costretti da subito a difendersi dall’attacco di uno spietato commando, pronto a tutto pur di recuperare quello che c’era a bordo. Ma qual era il segreto che si celava in
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Polizia Penitenziaria n.209 settembre 2013
quel cabinato? E come si collega il progetto del Sea Arrow alla scomparsa del sommergibile italiano Barbarico avvenuta nel 1943 al largo dell’oceano Indiano? Affiancato da un’affascinante agente del NCIS, Pitt indaga, mentre i pericoli per lui e per i suoi uomini si moltiplicano e la soluzione del mistero sembra sempre più lontana...
alla riflessione sui modi e gli strumenti attraverso i quali i partiti potranno garantire la democrazia al loro interno e la trasparenza nella gestione delle risorse, riguadagnare la fiducia dei cittadini e recuperare il legame con il “Paese reale”. Prefazione di Silvio Berlusconi
Margaret Mazzantini
Ylenia Citino
SPLENDORE
PARTITI A TUTTI I COSTI. Il finanziamento dei partiti dal fascismo a oggi
MONDADORI Edizioni pagg. 309 - euro 20,00
SPERLING & KUPFER Ediz. pagg. 322 - euro 18,00 are o non dare denaro pubblico ai partiti? Il quesito è stato oggetto, in passato, di referendum e proposte di legge, dibattiti parlamentari e polemiche, ma è ancora una questione aperta che è ormai urgente affrontare, soprattutto dopo che le elezioni politiche del 2013 hanno dimostrato la sfiducia crescente dei cittadini nei confronti dei loro rappresentanti politici. Per affrontare l’argomento e trovare i criteri ai quali dovrebbe obbedire una buona legge sul finanziamento dei partiti, l’autrice propone un excursus storico che parte dal sistema di riscossione messo a punto dal fascismo, ripercorre la storia delle sovvenzioni che PCI e DC ricevettero per lunghi anni, rispettivamente, da Mosca e Washington, e arriva fino a Tangentopoli e agli scandali più recenti che hanno coinvolto la Lega Nord e la Margherita. Le interviste a politici e tecnici, l’approfondimento sulle esperienze degli altri Paesi europei e degli Stati Uniti, l’esame delle varie posizioni espresse sui temi del lobbismo e dei contributi dei privati completano l’analisi dell’attuale situazione legislativa. Un libro che fornisce una solida base
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vremo mai il coraggio di essere noi stessi?” si chiedono i protagonisti di questo romanzo. Due ragazzi, due uomini, due destini. Uno eclettico e inquietto, l’altro sofferto e carnale. Una identità frammentata da ricomporre, come le tessere di un mosaico lanciato nel vuoto. Un legame assoluto che s’impone, violento e creativo, insieme al sollevarsi della propria natura. Un filo d’acciaio teso sul precipizio di una intera esistenza. I due protagonisti si allontanano, crescono geograficamente distanti, stabiliscono nuovi legami, ma il bisogno dell’altro resiste in quel primitivo abbandono che li riporta a se stessi. Nel luogo dove hanno imparato l’amore. Un luogo fragile e virile, tragico come il rifiuto, ambizioso come il desiderio. L’iniziazione sentimentale di Guido e Costantino attraversa le stagioni della vita l’infanzia, l’adolescenza, il ratto dell’età adulta. Mettono a repentaglio tutto, ogni altro affetto, ogni sicurezza conquistata, la stessa incolumità personale. Ogni fase della vita rende più struggente la nostalgia per l’età dello splendore che i due protagonisti, guerrieri con la lancia spezzata, attraversano insieme. Un romanzo che cambia forma come cambia forma l’amore, un viaggio attraverso i molti modi della letteratura, un caleidoscopio di
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le recensioni suggestioni che attraversa l’archeologia e la contemporaneità. E alla fine sappiamo che ognuno di noi può essere soltanto quello che è. E che il vero splendore è la nostra singola, sofferta, diversità.
Giovanna Montanaro
LA VERITÀ DEL PENTITO. Le rivelazioni di Gaspare Spatuzza sulle stragi mafiose SPERLING & KUPFER Ediz. pagg. 274 - euro 17,00 uando, nel giugno del 2008, Gaspare Spatuzza decide di collaborare con i magistrati, i processi sulle stragi del 1992 e del 1993 sono stati celebrati da anni e le sentenze di condanna sono state confermate in Appello e in Cassazione. Le sue dichiarazioni si rivelano dirompenti: ricostruzioni dettagliate, e puntellate da particolari riscontrabili, che spazzano via la verità ribadita in tre gradi di giudizio e ne portano alla luce una nuova, che completa o rettifica il quadro degli attentati di Firenze, Milano e Roma e riscrive intere pagine del processo per l’assassinio di Paolo Borsellino. Chi è Spatuzza, il collaboratore chiave le cui rivelazioni sono paragonate, per la loro importanza, a quelle che Tommaso Buscetta fece a Giovanni Falcone? L’autrice di questo libro, che ha ottenuto da Spatuzza un’intervista esclusiva che ricostruisce la sua storia, lo definisce “un pentito da manuale”. Un ragazzo cresciuto agli ordini dei fratelli Graviano, capimafia di Brancaccio, che agisce nel “gruppo di fuoco” del loro mandamento. Rapine, estorsioni, circa quaranta omicidi - fra i quali quello di don Puglisi - fino al 1997, quando viene arrestato. E poi un lungo, sofferto cammino di pentimento e conversione religiosa che lo conduce a una svolta esistenziale e alla
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decisione di dire tutta la verità, di mettersi dalla parte dello Stato. Prefazione di Pietro Grasso.
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James Patterson e Howard Roughan
ALTRIMENTI MUORI Massimo Monti
IL RISCHIO PSICOSOCIALE NEL CORPO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA LAURUS ROBUFFO Edizioni pagg. 160 - euro 16,00
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sce, per i tipi di Laurus Robuffo, questa ricerca di Massimo Monti sui disagi del lavoro di poliziotto penitenziario. L’Autore è già noto per un analogo studio e, attraverso la sua ricerca, testimonia come il personale facente parte della Polizia Penitenziaria è statisticamente, in Italia e in Europa, quello che più risente degli effetti negativi derivanti da stress correlato al lavoro. In particolare, le problematiche più evidenti sono quelle legate all’insorgenza della sindrome del burn-out – reazione emotiva, cognitiva e comportamentale i cui effetti si ripercuotono sulla salute dell’operatore nonché sulla sua efficacia ed efficienza nell’adempimento del servizio – e a problemi di personalità di tipo “D” – ovvero distressed, con evidenti ripercussioni a livello umorale, tendenza ad un cupo pessimismo, impoverimento del senso di autostima. Bisogna sottolineare, evidenzia, come il problema non si esaurisce nell’individuo, ma diviene pericolosamente pubblico, sconfinando il disagio stesso sul benessere generale della comunità. Quel che emerge dalla lettura di questo interessante libro è una conferma a quel che da sempre sostiene il SAPPE, ossia che la professionalità del poliziotto penitenziario, considerata da tutti, a torto o a ragione, come indispensabile deve essere migliorata in termini di qualità sotto il profilo del benessere organizzativo della realtà lavorativa.
LONGANESI Edizioni pagg. 305 - euro 16,40
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ick Daniels sta per realizzare l’intervista più importante della sua breve ma intensa carriera di giornalista. L’occasione è ghiotta: dopo un lungo periodo di silenzio l’ex campione dei New York Yankees Dwayne Robinson, l’uomo che con i suoi lanci ha fatto sognare l’America del baseball, rivelerà in esclusiva alla prestigiosa rivista Citizen le ragioni di un repentino e incomprensibile ritiro dal mondo dello sport. Ma il giorno dell’intervista, al tavolo di uno dei ristoranti più in voga di Manhattan, le cose non vanno affatto per il verso giusto. Appena Nick Daniels accende il registratore, nel tavolo a fianco si consuma un atroce omicidio sotto gli occhi esterrefatti dell’intera sala: Vincent Marcozza, corpulento avvocato noto alle cronache giudiziarie per essere il difensore di uno dei più potenti capimafia della città, viene trucidato da un sicario che non esita a freddare anche due agenti fuori servizio del Diciannovesimo distretto. Comincia così per Nick Daniels, involontario testimone chiave, un’inaspettata discesa agli inferi innescata da un indizio che si rivelerà quanto mai subdolo. E foriero di imprevisti... H
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l’ultima pagina il mondo dell’appuntato Caputo Desideri e speranze
di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2013
Polizia Penitenziaria n.212 dicembre 2013
QUESTA E’ LA NOSTRA ULTIMA SPERANZA: CHIEDIAMOGLI SE DOPO I PANI E I PESCI PUO’ MOLTIPLICARE ANCHE I POLIZIOTTI PENITENZIARI...
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