Polizia Penitenziaria - Novembre 2012 - n. 200

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Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03

conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002

anno XIX • n.

200 • novembre 2012 www.poliziapenitenziaria.it



sommario

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anno XIX • numero 200 novembre 2012 Per ulteriori approfondimenti visita il sito

In copertina: Un collage delle copertine più significative degli ultimi venti anni

www.poliziapenitenziaria.it 5

l’editoriale

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La politica economica dei tagli di Donato Capece

Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

il pulpito

Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

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Dopo 200 numeri ci rinnoviamo di Giovanni Battista de Blasis

Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

il commento 6

La Polizia Penitenziaria l’altra faccia del carcere

Redazione cronaca: Umberto Vitale

di Roberto Martinelli

Redazione politica: Giovanni Battista Durante

osservatorio politico

Redazione sportiva: Lady Oscar Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)

di Giovanni Battista Durante

“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2012 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

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lo sport

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669

di Lady Oscar

crimini e criminali

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Nel nome di Satana: Ambra, Milena e Veronica

Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994

di Pasquale Salemme

Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)

penitenziari storici

Finito di stampare: novembre 2012

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Silvia Marangoni: una carriera ineguagliabile nel pattinaggio

e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it

Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

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Il potere logora chi non ce l’ha!

www.mariocaputi.it

Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza

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Il carcere dell’Asinara

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di Aldo Di Giacomo

Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:

POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza

Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012


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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

l’editoriale

Contro la politica economica dei tagli indiscriminati, il Sappe e la Consulta Sicurezza registrano l’appoggio della maggioranza parlamentare a maggioranza parlamentare ha riscritto completamente la legge di stabilità rispetto al testo che il Governo aveva portato alla Camera. Il tutto in una seduta notturna della commissione Bilancio della Camera durante la quale il Governo è stato ripetutamente battuto. Sono rimasti alcuni nodi che verranno affrontati non tanto in aula a Montecitorio quanto nel passaggio in Senato. In una maratona notturna, conclusasi alle 5, la commissione Bilancio ha approvato legge di stabilità e legge di Bilancio. Nella seduta decisiva il Governo è stato ripetutamente battuto su molti punti qualificanti della manovra: tra questi, va segnalato l’approvazione dell’emendamento bipartisan che esenta parzialmente il comparto sicurezza dal blocco del turn over del pubblico impiego. Sale, nel primo anno e secondo anno, dal 20 al 50% il tetto per il blocco del turn over nel comparto. Le risorse arrivano da risparmi interni e da un fondo ad hoc da 10 milioni l’anno. Ulteriori risorse potrebbero essere stanziate dal Senato. Immediatamente, la Segreteria Generale del Sappe – che sta seguendo passo passo i lavori parlamentari con gli amici della Consulta Sicurezza – ha scritto una lettera alla Ministro della Giustizia Paola Severino, al Presidente del Consiglio Mario Monti ed a tutti i Ministri interessati affinchè al Corpo di Polizia Penitenziaria si possa garantire un turn over del 100% in relazioni alle gravi carenze organiche ed alla situazione emergenziale delle carceri. Peraltro, sempre nell’ambito della

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discussione del disegno di legge Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013), la Camera dei Deputati ha approvato un importante Ordine del Giorno presentato dall’on. Alfredo Mantovano (Pdl), che prevede – in relazione alla recente modifica di innalzamento delle percentuale di assunzione per il turn over – l’immediata assunzione di “non meno del 50 per cento dei vincitori dei concorsi fin qui completati per il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico”. Nello specifico, l’ordine del giorno presentato ed approvato, è il seguente: “La Camera, premesso che: l’articolo 1 comma 76 della legge sulla stabilità amplia significativamente la possibilità del turn over tra le forze di polizia, le forze armate e i vigili del fuoco, permettendo di rendere meno drammatici gli effetti – decisi con i provvedimenti di spending review – derivanti dalla contrazione di personale e dall’innalzamento dell’età media degli appartenenti al comparto sicurezza, difesa e protezione civile; sono più d’uno i concorsi per differenti posizioni nel predetto comparto – si ricordi, per tutti, quello per 1850 allievi carabinieri – che, pur essendo stati completati, tuttavia vedono in concreto l’immissione in servizio limitata a una piccola percentuale di coloro che sono stati dichiarati vincitori; nella norma richiamata le risorse finanziarie per provvedere all’ampliamento del turn over sono state individuate in appena dieci

milioni di euro all’anno per il prossimo triennio: voce del tutto insufficiente con riferimento alla possibilità di avvicinarsi al massimo delle nuove soglie percentuali – rispetto al personale in uscita dal comparto per pensionamento – individuate dalla presente legge, sì che appare necessario prevedere un incremento delle dotazioni aventi tale obiettivo, ricavandole da altre poste del bilancio, impegna il Governo: a valutare gli effetti applicativi della normativa citata in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte, nel rispetto dei saldi, rendere più congrue rispetto a quelle previste le risorse finanziarie a sostegno dell’innalzamento delle soglie di turn over previste dal comma 76 dell’articolo 1; sempre nel rispetto dei saldi, a immettere in servizio nei tempi più rapidi non meno del 50 per cento dei vincitori dei concorsi fin qui completati per il comparto sicurezza – difesa – vigili del fuoco, a cominciare da quello per 1850 allievi carabinieri. E’ evidente, dunque, un ampio appoggio parlamentare alle ragioni delle forze dell’ordine in aperto contrasto con la volontà dell’attuale compagine governativa di continuare sulla strada dei tagli orizzontali ed indiscriminati a tutto il pubblico impiego. Sulla scorta di questo consenso parlamentare, il Sappe insieme alla Consulta ed a tutti i sindacati e le rappresentanze del comparto sicurezza, continuerà la propria battaglia per ottenere il giusto riconoscimento delle rivendicazioni dei poliziotti. ★


il pulpito e lo ricordo ancora quel pomeriggio del 1994 – era primavera – quando l’allora numerosissima segreteria generale del Sappe (11 persone) deliberò su mia proposta, dopo lunga e sofferta discussione, la registrazione di una testata giornalistica come organo ufficiale nazionale di informazione del Sindacato. Francamente, va detto che la maggior parte dei miei colleghi di allora erano fermamente convinti che l’esperienza editoriale del Sappe sarebbe stata di breve durata e che quell’approvazione fosse nulla più che un assecondare un mio desiderio, comunque destinato a fallire miseramente. Contrariamente alle previsioni delle cassandre, la Rivista del Sappe dopo quasi venti anni è ancora qui a festeggiare la sua duecentesima uscita. Cari lettori, cari colleghi, cari amici, sono passati quasi venti anni dall’inizio dell’avventura di Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza, vent’anni anni che, spero, siano stati per voi graditi come confronto sulle diverse tematiche che la redazione ha voluto affrontare, approfondire e portare alla vostra attenzione. Non posso certo negare che, in generale, i commenti sul lavoro svolto sono sempre stati più che lusinghieri, ed è questo che ci ha dato la forza di andare avanti in tutti questi anni e che ci da ora la spinta a migliorare con una nuova proposta. Il nostro obiettivo è quello di far rinascere in questa rivista un’iniziativa editoriale che ha l’obiettivo di trattare come sempre i grandi temi che riflettono il nostro lavoro, la nostra professione, ma anche il nostro tempo, l’attualità, la cultura, la storia, senza, però, tralasciare argomenti più “leggeri”, ma non per questo secondari nella vita di ognuno di noi, come il turismo, lo sport, il tempo libero, il cinema, il territorio, con una formula possibilmente più aderente alle nuova esigenze ed ai nuovi tempi. In questo senso, si è voluta recuperare l’impaginazione della rivista cartacea

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Dopo duecento numeri ci rinnoviamo nel solco della continuità classica, senza però diminuire la piacevolezza della lettura e la rilevanza che abbiamo sempre dato alle immagini, a nostro avviso indispensabili per dare al lettore una immediata e gradevole presentazione visiva dell’articolo. La redazione e le collaborazioni sono rimaste invariate, ma con qualche interessantissima new entry, che avete avuto o che avrete presto modo di apprezzare. Il nostro rinnovamento non è solo restyling grafico, ma anche un tentativo di arricchimento del prodotto editoriale, sempre più orientato allo sviluppo editoriale e all’integrazione con il nostro sito internet. La nostra Rivista, così rinnovata nei contenuti e nella grafica, intende consolidare la propria leadership editoriale sul target professionale della Polizia Penitenziaria, ma anche essere un punto di riferimento per l’informazione dell’intero mondo penitenziario. Speriamo che questo rinnovamento possa, davvero, consolidare la nostra leadership di settore e, grazie alla qualità dei contenuti e alla riconoscibilità della testata, la rivista possa continuare a rappresentare un punto di riferimento per tutti gli addetti ai lavori dell’esecuzione penale. Pur tuttavia, anche in questa fase di rinnovamento, abbiamo voluto preservare le radici storiche del nostro passato. Tutto sommato, guardare al passato è la nostra inclinazione naturale, la nostra vocazione e speriamo che questa nostra propensione sia pienamente condivisa dai nostri lettori. In buona sostanza, da duecento numeri Polizia Penitenziaria Società

Giustizia & Sicurezza si occupa del Corpo con attenzione, con scrupolo e con professionalità e, anche dopo questo numero straordinario, lo vuole continuare a fare con una veste grafica differente e, auspichiamo, di migliore appeal. Qualcuno potrebbe eccepire che “non è l’abito a fare il monaco”, ma lasciateci, invece, sperare che “anche” l’abito può contribuire a “fare” il monaco. Il cambiamento grafico si vuole adeguare alla nuova linea editoriale di Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza che intende introdurre un po’ più di ordine e di sobrietà e dare più spazio alle parole e alle opinioni di chi scrive e collabora con noi. Scrivere “di” e “sulla” Polizia Penitenziaria e sull’amministrazione penitenziaria richiede, a nostro avviso, grandi capacità di comunicazione per essere comprensibile a tutti i lettori e sono proprio queste “speciali” qualità comunicative che abbiamo voluto, vogliamo e vorremo sempre avere come patrimonio di questa Rivista, per adesso, unica ed irraggiungibile nel panorama editoriale penitenziario e, finanche, giudiziario. Grazie a tutti Voi per esserci stati vicini in questi anni e, soprattutto, grazie a tutti Voi per averci tributato la popolarità e l’autorevolezza che oggi orgogliosamente rivendichiamo. ★

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Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Nella foto la pila dei 200 numeri della Rivista

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012


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il commento

La Polizia Penitenziaria l’altra faccia del carcere Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Nella foto Marco Pannella in una sua recente visita in un carcere

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

ome è noto, si parla ciclicamente dell’emergenza carceri del nostro Paese. A un anno dall’insediamento del Governo Monti, è possibile sostenere che anche questo Esecutivo in carica ha ottenuto ben pochi risultati per contrastare questa grave criticità. Tanto per capirci: i detenuti presenti nelle nostre carceri nei giorni della nascita del Governo tecnico erano 68.047 (alla data del 30.11.2012); pochi giorni fa, il 31 ottobre 2012,

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erano 66.811: un decremento di soli 1.236 soggetti, una flessione pressoché impercettibile se si considera che i posti letto regolamentari detentivi sono poco più di 45mila. Certo, probabilmente senza la legge fortemente voluta dalla Ministro Guardasigilli Severino finalizzata a ridurre la tensione detentiva determinata dal numero di persone che transitano per le strutture carcerarie per periodi brevissimi, evitando cioè il meccanismo delle porte girevoli (gli ingressi e le uscite dal carcere per pochi giorni che, è stato stimato, si aggirano attorno alle oltre 20 mila persone che ogni anno entrano ed escono dagli istituti nell’arco di tre giorni) avrebbero potuto essere anche di più ma, di

fatto, le strategie di contrasto al sovraffollamento penitenziario si sono rilevate inefficaci. Da addetto ai lavori, da fiero ed orgoglioso appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, dico che quel che serve sono processi più rapidi (oltre il 40% dei detenuti oggi presenti nelle carceri italiane sono in attesa di un giudizio definitivo); l’espulsione degli oltre 23.500 detenuti stranieri presenti oggi in Italia; la detenzione nelle Comunità terapeutiche dei detenuti tossicodipendenti, che sono oggi 1 su 4 dei presenti. Non solo: il fatto che i detenuti non siano impiegati in attività lavorative o comunque utili alla società (come i lavori di pubblica utilità) favorisce l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni. Ricordo a me stesso che, secondo le leggi ed il regolamento penitenziario, il lavoro è elemento cardine del trattamento penitenziario e «strumento privilegiato» diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società. In realtà, su questo argomento c’è profonda ipocrisia. Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti, con ciò alimentandosi una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, sotto organico di ben 7mila unità. Autorevoli studi universitari hanno studiato i fattori di stress ed il benessere organizzativo negli operatori di Polizia Penitenziaria. Quel che è emerso è che i già gravosi compiti istituzionali affidati alle donne e agli uomini del Corpo diventano

ancora più complessi nel momento in cui gli appartenenti al Corpo sono chiamati a gestire e a controllare gli eventi critici di servizio che si verificano nelle carceri. Eventi critici di servizio stanno a indicare eventi professionali di particolare gravità che hanno le potenzialità per sopraffare le usuali strategie di fronteggiamento messe in atto dall’operatore e per provocare una sensibile diminuzione del benessere organizzativo. L’influenza degli eventi critici di servizio tipicamente è stata indagata in quelle professioni cosiddette di emergenza, quali vigili del fuoco od operatori sanitari extraospedalieri. Tuttavia, gli studi condotti sugli operatori di polizia in generale hanno portato a differenziare due tipologie di stressor presenti nel lavoro: una è

inerenti alle mansioni (per esempio scontri violenti, incidenti, disastri) e riguardanti quindi eventi critici di servizio; l’atra è connessa al contesto di lavoro (per esempio clima organizzativo, norme culturali, ambiente, rapporto con i superiori) e riguardanti quindi aspetti organizzativi. Nella letteratura scientifica sugli operatori penitenziari la maggioranza degli studi si è concentrata sugli aspetti organizzativi quali, ad esempio, carico di lavoro, rapporto con i superiori, conflitto di ruolo, conflitto casa-lavoro e percezione di sicurezza. Uno studio del tedesco Kommer ha riportato che circa il 70% degli operatori di Polizia Penitenziaria presentava un notevole affaticamento, a causa soprattutto del


il commento sovraccarico di lavoro. Questi, infatti, dovevano svolgere molti incarichi in poco tempo, avevano periodi di riposo troppo brevi e dovevano eseguire compiti differenti simultaneamente. Un altro fattore che può provocare un forte stress nei poliziotti penitenziari è anche l’ambiguità che caratterizza il loro ruolo: da un lato, infatti, devono sorvegliare i detenuti, mentre dall’altro devono rieducarli. Alcuni studi hanno messo in luce che il conflitto tra queste due funzioni è fortemente correlato con lo stress. Il contatto diretto con la popolazione reclusa è un altro fattore da cui può derivare un elevato affaticamento, in quanto tale rapporto è alcune volte conflittuale; esiste, infatti, una relazione positiva tra lo stress lavorativo e la percentuale di tempo

passato a contatto diretto con i detenuti. Uno degli esiti lavorativi più investigati nel lavoro in polizia penitenziaria è sicuramente il burnout. Oltre al burnout gli studi sui poliziotti penitenziari hanno utilizzato misure di benessere psicologico o di morbilità psichiatrica. Tali misure possono essere utili affiancate assieme, poiché la relazione fra salute mentale e burnout è complessa e poiché questi indicano costrutti diversi. Non si può, inoltre, non tenere conto che il carcere continua ad essere un grande contenitore di patologie infettive sia in Italia che in Europa: perché accoglie al suo interno un’alta quota di persone tossicodipendenti, prostitute, cittadini provenienti da zone ad elevata

endemia. Ma anche perché in tale vi permangono comportamenti e situazioni che possono diffondere ulteriormente le infezioni tra le persone detenute e da queste ai cittadini liberi sia durante i permessi premio che dopo la scarcerazione. E’ quanto è emerso anche nel corso della Conferenza Europea 2012 sulle Malattie Infettive, le politiche di riduzione del danno ed i diritti umani in carcere, organizzata dalla SIMSPe (Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria) congiuntamente a SIMIT (Societa’ Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) a Viterbo alla fine del mese scorso di settembre, che ha messo a confronto l’esperienza italiana con quelle europee ed ha identificato le maggiori criticità e i migliori modelli a cui ispirarsi per un auspicato miglioramento degli standard assistenziali per i cittadini detenuti nelle carceri europee. «Tra tutti i diritti violati quello alla salute è forse l’unico che ancora riesce a suscitare pietà», ha sottolineato nell’occasione Giulio Starnini, Past President e Fondatore SIMSPe. «Non è giusto, pero’, accettare che la disperazione di chi sta in carcere, ma anche talvolta di chi ci lavora, per poter avere ascolto si trasformi in suicidio. Non dobbiamo credere ineludibili le centinaia di morti per cancro, per cirrosi epatica o per AIDS. Non possiamo illuderci che la tubercolosi, che coinvolge il 20% dei detenuti, non travalichi le mura del carcere. Non vogliamo che la giustizia si trasformi in colpevole, violenta, indifferente». In questi ambienti di lavoro malsani, i poliziotti e le poliziotte penitenziari italiani hanno salvato negli ultimi vent’anni decine di migliaia di vite umane in carcere, intervenendo tempestivamente e salvando la vita a chi ha tentato di suicidarsi (impiccandosi alle sbarre della finestra, inalando gas da bombolette di butano che si continuano a far detenere nonostante la loro pericolosità, avvelenandosi con farmaci, droghe o detersivi, soffocandosi con un sacco infilato in

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testa) e impedendo che atti di autolesionismo potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Nel solo 2011 ci sono stati ben 1.003 tentativi di suicidio di detenuti e 5.639 atti di autolesionismo. E nei soli primi sei mesi del 2012 ci sono stati 3.617 atti di autolesionismo, 637 tentati suicidi, 541 ferimenti e 2.322 colluttazioni. E’ allora importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai poliziotti penitenziari, è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. Il nostro Corpo è costituito da persone che nonostante

l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane. Ricordarlo, ogni tanto, è a mio avviso doveroso, tanto più in occasione del numero 200 della nostra bella ed interessante Rivista, che è la voce dei poliziotti penitenziari italiani. Ma è utile ricordarlo soprattutto a coloro che quando parlano e discutono di carcere dimenticano di parlare di noi e a quanti hanno il potere e l’autorità di assumere decisioni significative e concrete sui temi del carcere. ★

Nelle foto sopra agenti soccorrono un detenuto al centro poliziotti penitenziari in una sezione

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012


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osservatorio politico

Il potere logora chi non ce l’ha! Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Il premier Mario Monti alla guida del prossimo esecutivo di Governo? l Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti ha senz'altro fatto un'affermazione vera, ma inopportuna, quando ha detto, dall'estero, che non poteva garantire per il futuro. Tale affermazione ha suscitato le immediate reazioni dei partiti politici, soprattutto di quelli che hanno sostenuto e sostengono l'esecutivo guidato proprio da Monti.

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Nella foto il Presidente Mario Monti durante la sua recente visita negli Emirati Arabi

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

Siccome il Presidente del Consiglio in carica non è persona sprovveduta e le sue non possono essere considerate parole in libertà, dietro a tale affermazione qualcuno potrebbe leggerci una strategia ben precisa: quella di volersi accreditare come unico uomo in grado di poter guidare il prossimo esecutivo. Molti lo tirano per la giacca, in modo particolare il leader dell'UDC Pier Ferdinando Casini, e non è detto che questa cosa a lui non piaccia. In fondo al potere ci si abitua molto presto; come diceva Giulio Andreotti: “Il potere logora chi non ce l'ha”. A chiarire in parte quella che potrebbe essere la posizione di Monti è intervenuto subito il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, il quale ha chiaramente detto che Monti è già Senatore a vita e, quindi, non

potrebbe candidarsi, ma ciò non esclude che potrebbe guidare una lista; cosa, questa, che costituirebbe un grave errore, sia perché Monti si era impegnato a non entrare nell'agone politico, sia perché si tratta di una delle poche personalità del nostro paese, capace di mettere d'accordo ampi schieramenti e, quindi, di poter essere un uomo delle istituzioni, candidabile a qualsiasi carica, compresa quella di Presidente della Repubblica. E visto che il mandato di Giorgio Napolitano scade il prossimo anno, Monti farebbe bene a rimanere fuori dalla competizione politica. L'affermazione di Monti è stata inopportuna anche perché avrebbe potuto suscitare reazioni negative nei paesi che intendono investire in Italia. Infatti, proprio durante la recente visita ad Abu Dhabi, un esponente delle elites degli Emirati gli ha chiesto di indicare un buon motivo per investire in Italia... Ci dia un buon motivo per investire in Italia, noi oggi lo facciamo in Asia e in Africa, in Paesi che crescono a ritmi infinitamente superiori al vostro. Perché l'Italia ha un potenziale di crescita maggiore degli altri paesi, è stata sostanzialmente l'incerta risposta di Monti. In ciò c'è sicuramente una parziale smentita all'affermazione precedente, circa l'incertezza del futuro che, comunque, rimane senz'altro, sia per ragioni di politica interna, sia per questioni economiche e politiche internazionali. Monti ce l'ha messa davvero tutta per dimostrare che, in fondo, la sua era stata solo una battuta infelice ed ha affermato che «...l'Italia e l'Europa sono stati al centro dell'attenzione in

questi anni, perché l'Europa, pur nella sua complessità, sta lavorando nella giusta direzione e perché l'Italia è stata protagonista di un cambiamento anche psicologico: era parte della crisi, è diventata parte della soluzione, grazie al supporto benevolo dei partiti e alla maturità dei cittadini...» Certo, i partiti qualcosa hanno fatto, ma finché si tratta di mettere le mani nelle tasche degli altri va sempre bene, quando, invece, le mani bisogna metterle nelle proprie tasche sono tutti d'accordo nel fare le barricate. Si veda, per esempio, la questione del taglio delle province che rischia di saltare, perché proprio i partiti stanno facendo le barricate, per evitare la conversione in legge del decreto. Ogni provincia ha qualche parlamentare che si oppone al taglio. Il problema è che se il decreto non sarà convertito entro dicembre scadrà e tutto rimarrà come prima. Siccome le resistenze sono tante il rischio che scada è davvero concreto. A ciò si aggiunge il taglio al finanziamento pubblico dei partiti che nessuno vuole ridurre. Sono tutti aspetti che dovrebbero indurre i partiti ad un'inversione di tendenza se vogliono recuperare credibilità per le imminenti elezioni e dare al Paese un governo che sia in grado anche di avviare lo sviluppo; solo con il rigore l'Italia non uscirà mai dalla crisi, si possono risanare i conti pubblici, ma è necessario che riprenda lo sviluppo, diminuisca la disoccupazione ed i redditi dei lavoratori riprendano a crescere. Solo così ci potrà essere una vera inversione di tendenza rispetto ad oggi, visto che il mercato interno è stagnante, il credito arriva con il contagocce e costa il 2% in più degli altri Paesi dell'UE. Anche questo è un aspetto di non poco conto; perché le piccole imprese possano sopravvivere, riprendere a produrre ed assumere nuovi lavoratori hanno bisogno di risorse che solo le banche possono fornire. Da un po' di tempo a questa parte le banche hanno ridotto notevolmente il credito sette punti in meno in un anno) e quando lo concedono il costo è altissimo. ★


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sappeinforma

Corso di conduttore di cani antidroga

Nelle foto alcune fasi dell’addestramento e dei corsisti

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

ome è noto è in fase di svolgimento il II corso per conduttori di cani antidroga del Corpo di Polizia Penitenziaria che vede la formazione di 22 unità di personale e di circa 30 cani. Il corso, che è iniziato il 2 maggio 2012 presso il Centro di Addestramento Cinofilo di Asti, il 1° giugno 2012 si è diviso in altre due piattaforme addestrative, Avellino e Macomer. Presso l’articolazione di Avellino sono in formazione sei unità di personale e quattordici cani, sono stati immessi nel corso di formazione anche otto cani nati all’interno della nostra

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cercato di coinvolgere l’Amministrazione in un progetto che poi si è rivelato vincente. Tra gli sforzi fatti da quei colleghi che poi sono stati i pionieri del servizio cinofilo del Corpo di Polizia Penitenziaria, non si può sottacere che anche questa Segreteria Generale ha fatto la propria parte per appoggiare e dare risalto all’allora Gruppo Sportivo Cinoagonistico della Casa Circondariale di Asti, credendo nell’importanza di questo essenziale e indispensabile servizio, dato che nel settembre del 1999, questa Segreteria sostenne, anche, finanziariamente, una dimostrazione

mettere in risalto le abilità dei cani da loro addestrati e proporsi a chi poi ha dovuto legittimare l’entusiasmo, l’iniziativa e l’esperienza che poi è stata impiegata nel delicato compito che ha visto l’Istituzione del Servizio Cinofilo. Dopo la proficua esperienza della regione Piemonte, nell’anno 2001, vennero istituiti anche i Nuclei Regionali Cinofili nelle regioni Lombardia, Lazio e Campania, per poi continuale con il Triveneto, Sicilia e la Puglia. Nell’anno 2008, l’Ufficio Centrale della Formazione riponendo fiducia nel nostro personale istruttore, ha

Amministrazione, che stanno dando ottimi risultati. Con l’istituzione del Servizio Cinofilo (decreto Ministeriale del 17 ottobre 2002) l’Amministrazione ha inteso dotarsi di un presidio, con funzioni preventive e repressive che efficacemente contrasta i tentativi di introduzione di sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari. Proprio per questo come previsto dal decreto Ministeriale, troviamo uno o più distaccamenti per le varie regioni di Italia, in base alla estensione territoriale e al numero di istituti penitenziari che insistono in quella determinata regione. Dopo la prima esperienza, che ricordiamo è stata fatta presso l’istituto di Asti, dove si era costituito di fatto, un gruppo di colleghi di tre unità che poi hanno formato un Gruppo sportivo cinoagonistico, dalla metà degli anni novanta hanno

in occasione di un convegno regionale del SAPPe presso la SFAPPE di Monastier, dove gli stessi poterono

avviato il 1° Corso per Conduttori di cani antidroga interamente condotto dall’Amministrazione, andando ad istituire il Nucleo Regionale Cinofilo della regione Sardegna e ad incrementare i distaccamenti già esistenti. Attualmente è in fase di svolgimento il 2° corso per Conduttori di cani antidroga che terminerà presso la sede di Asti probabilmente entro la fine dell’anno. ★



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diritto e diritti

Decorrenza del congedo matrimoniale Giovanni Passaro passaro@sappe.it

Nella foto mani con la vera nuziale

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

aro Giovanni, ti volevo porre un quesito: il congedo matrimoniale si deve prendere necessariamente subito dopo l’evento oppure si può rimandare di qualche mese? Il personale addetto alla segreteria mi ha detto che si deve prendere subito. In sostanza io mi sposerò il 5 dicembre 2012 il congedo matrimoniale lo posso posticipare a fine gennaio febbraio 2013 oppure lo devo prendere subito? Mi puoi far sapere? Ti ringrazio e ti auguro una buona giornata. Mail firmata

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Gentile collega, il congedo matrimoniale è un periodo di congedo retribuito di quindici giorni consecutivi e non frazionabili, previsto dalla legge (RDL 24 giugno 1937 n. 1334) e dai contratti collettivi nazionali di lavoro, di cui potrà usufruire il lavoratore in occasione della celebrazione del matrimonio che abbia effetti civili1. Il congedo matrimoniale non decorre necessariamente dal giorno delle nozze. Questo il principio dettato dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte nella sentenza 6 giugno 2012, n. 9150, interpretando e completando il dettato normativo contenuto nel R.D.L. n. 1334/1937 (convertito in legge n. 2387/1937), il cui unico articolo nulla dispone al riguardo. La questione da risolvere - ha osservato la Corte - è quale sia, ai sensi del R.D.L. n. 1334 del 1937, la decorrenza del congedo matrimoniale ivi previsto, ed in particolare se esso debba essere fruito a decorrere dal giorno del matrimonio o da quale altro successivo momento. In mancanza di specifica disciplina contrattuale collettiva sul punto (è infatti pacifico che essa nel prevedere il congedo per matrimonio nulla dica circa la sua decorrenza - ha affermato la Corte - l’articolo unico del R.D.L. n. 1334/37, convertito in legge 23 dicembre 1937 n, 2387, prevede soltanto, per quanto qui interessa, il

diritto degli impiegati privati di cui al R.D.L. n. 1825/24, ad un congedo straordinario per contrarre matrimonio non eccedente la durata di quindici giorni; benché la norma stabilisca che il congedo spetti per contrarre il matrimonio, deve ritenersi che in assenza di specifica disciplina collettiva, ed essendo la norma evidentemente diretta a tutelare le personali esigenze del lavoratore in occasione delle nozze, anche costituzionalmente tutelate (art. 31, comma 1, Cost.), tale periodo non debba necessariamente decorrere dal giorno del matrimonio; quest’ultimo deve intendersi come la causa che fa sorgere il diritto del lavoratore, e non il dies a quo dello stesso. Soccorrono infatti in materia - ha rilevato la Corte - i principi di buona fede e correttezza nell’adempimento delle obbligazioni e nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.), sicché, contemperando le tutelate esigenze personali del lavoratore in occasione del matrimonio, e le esigenze organizzative dell’impresa (che potrebbero giustificare una differente collocazione temporale del congedo ove siano gravi e comprovate), deve ritenersi che il periodo di fruizione debba essere giustificato dall’evento matrimonio e che tale necessario collegamento, da un lato, non impone che la giornata del matrimonio debba essere necessariamente ricompresa nei quindici giorni di congedo, ma, dall’altro, non può neanche comportare che la relativa fruizione sia del tutto svincolata dell’evento giustificativo. Ne consegue - ha affermato la Corte - che il congedo per matrimonio, che il lavoratore deve richiedere con sufficiente anticipo, spetti, in difetto di specifica disciplina contrattuale collettiva, laddove il periodo richiesto sia ragionevolmente connesso, in senso temporale, con la data delle nozze, ciò essendo sufficiente a mantenere il necessario rapporto causale con l’evento; accertata la correttezza del

comportamento del lavoratore quanto al rispetto di un congruo anticipo nell’avvertire il datore di lavoro dell’evento, e la ragionevole connessione del periodo di congedo richiesto con la data del matrimonio, in assenza di ragioni organizzative o di servizio ostative, si ritiene infondato il mancato accoglimento della richiesta. A parere dello scrivente, il periodo di congedo dovrebbe fruirsi entro 30 giorni dalla celebrazione, così come indicato dall’Inps per l’istituto dell’assegno per congedo matrimoniale. Un caloroso augurio per il lieto evento. ★ 1

L’ARAN nei suoi orientamenti applicativi (RAL _921), precisa che le previsioni dei contratti collettivi che disciplinano l’istituto del congedo per matrimonio si limitano a “contrattualizzare” la precedente disciplina pubblicistica contenuta nell’art. 37 del Decreto Legge 10 gennaio 1957 n. 3 e nel Regio Decreto Legge 24 giugno 1937 secondo la quale in occasione del matrimonio al dipendente vengono riconosciuti 15 giorni di congedo straordinario. Pertanto, in materia, non si può che fare riferimento alla prassi applicativa consolidatasi con riferimento a tali fonti legislative. La giurisprudenza, secondo l’ARAN, con riferimento alla disciplina contrattuale del settore privato (ma tali indicazioni non possono non essere valutate anche con riferimento al lavoro pubblico), ha avuto modo di precisare che: a) in caso di sdoppiamento temporale tra celebrazione religiosa e civile, non vi è duplicazione del congedo, che invece, può essere goduto una sola volta; b) il diritto al congedo non sorge quando sia celebrato solo quello religioso, senza trascrizione; c) il beneficio compete in caso di divorzio, quando venuto meno a tutti gli effetti civili il precedente matrimonio, il dipendente contragga un nuovo matrimonio.


La convenzione Sappe/Studio Legale Guerra Per rispondere ad una richiesta sempre più pressante dei propri iscritti, • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; il Sappe ha stipulato una convenzione con lo Studio Legale Associato •assistenza nella fase giudiziale contro il relativo provvedimento negativo; Guerra, come partner legale in materia previdenziale. • compenso professionale convenzionato. Lo Studio Legale Associato Guerra è specializzato in materia di diritto pen- in materia di PENSIONE PRIVILEGIATA per il personale cessato dal servizio e/o i superstiti sionistico pubblico, civile e militare. L’assistenza interessa: La convenzione tra il Sappe e lo Studio Legale Associato Guerra comprende • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione ordinaria che possa ancora chiedere il riconoscimento della dipendenza • la causa di servizio e benefici connessi; da causa di servizio di infermità o lesioni riferibili al servizio stesso e la • le idoneità al servizio e provvedimenti connessi: conseguente pensione privilegiata; • i benefici alle vittime del dovere; • la pensione privilegiata (diretta, indiretta e di riversibilità) e gli assegni • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione ordinaria, al quale sia stata negata la pensione privilegiata per non dipenaccessori su pensioni direttte e di riversibilità. denza da causa di servizio di infermità e lesioni o per non ascrivibilità delle La consulenza si avvale di eccellenti medici esperti di settore, collaboratori stesse; dell Studio Guerra, in grado di assistere l’interessato anche nel corso delle • il personale cessato per inidoneità dal ruolo della Polizia Penitenziaria, già transitato o che debba transitare ai ruoli civili della stessa amministravisite mediche collegiali in sede amministrativa e giudiziaria. In particolare, attraverso lo Studio Legale Associato Guerra , il Sappe ga- zione o di altre amministrazioni, ai fini della concessione della pensione privilegiata per il servizio prestato nella polizia Penitenziaria; rantisce ai propri iscritti: • il personale deceduto in servizio, ai fini della pensione indiretta privilegiata ai superstiti e di ogni altro beneficio previsto a favore degli stessi; in materia di CAUSA DI SERVIZIO • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento della do- • il personale già titolare di pensione privilegiata deceduto a causa delle manda per il riconoscimento della causa di servizio anche ai fini dell’equo medesime infermità pensionate, ai fini dei conseguimenti spettanti ai suindennizzo; perstiti. • assistenza legale nella fase amministrativa; L’assistenza comprende: • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso • esame gratuito, legale e medico legale, del fondamento della domanda contro il provvedimento negativo di riconoscimento della causa di servizio per la concessione della pensione privilegiata anche per i transitati al ruolo e del’equo indennizzo; civile; • assistenza legale nella fase giudiziale dinanzi alle competenti Sedi Giu- • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso risdizionali; contro il provvedimento negativo della pensione privilegiata; • compenso professionale convenzionato. • valutazione gratuita, legale e medico legale, delle pensioni indirette e di riversibilità ai fini del trattamento privilegiato e dell’importo pensionistico in materia di INIDONEITA’ AL SERVIZIO liquidato; • valutazione legale e medico legale delle infermità oggetto di accerta- • assistenza nella relativa fase amministrativa e nella fase giudiziale contro mento della idoneità al servizio, per la scelta strategica delle azioni da pro- il provvedimento pensionistico negativo; muovere secondo gli obiettivi che intende raggiungere l’interessato; • compenso professionale convenzionato. • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; •assistenza nella fase giudiziale contro il provvedimento amministrativo; PER BENEFICIARE DELLA CONVENZIONE • assistenza amministrativa e giurisdizionale contro il provvedimento di Gli iscritti al Sappe possono: trensito; • rivolgersi alla Segreterie Sappe di appartenenza; • rivolgersi agli avvocati Guerra presso le sedi degli studi di Roma (via Ma• compenso professionale convenzionato. gnagrecia n.95, tel. 06.88812297), Palermo (via Marchese di Villabianca n.82, tel.091.8601104), Tolentino - MC (Galleria Europa n.14, tel. in materia di VITTIME DEL DOVERE • valutazione gratuita per l’accertamento della sussistenza delle condizioni 0733.968857) e Ancona (Corso Mazzini n.78, tel. 071.54951); di legge richieste per il diritto ai benefici previsti a favore delle vittime del • visitare il sito www.avvocatoguerra.it dovere;


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Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

lo sport

Silvia Marangoni: una carriera ineguagliabile nel pattinaggio a rotelle on un curriculum agonistico come il suo, se solo non fosse la fuoriclasse di uno sport cosiddetto minore, sarebbe una donna copertina o da ospitate nei talk show televisivi nazionali. Nove titoli mondiali, stesso numero conquistato da Valentino Rossi nel motociclismo, e una carriera ineguagliabile nel pattinaggio a rotelle: Silvia Marangoni, veneta, ventisettenne di Oderzo, in forza al Gs Fiamme Azzurre, ad Auckland, in Nuova Zelanda, il 5 ottobre scorso, nel corso della 57° rassegna iridata, si è nuovamente laureata campionessa mondiale di pattinaggio artistico (settimo titolo consecutivo a partire da Murcia 2006) nella specialità “inline”. Il primo oro iridato, per la campionessa allenata da Samo Kokorovec e assistita dai coreografi Francesca Pergola e Gabriele Quirini, è arrivato nel 2002, quando pattinava ancora per lo Skating Club di Oderzo. Da lì in poi è seguita una serie infinita di successi senza che abbia mai mancato un appuntamento che conta. Non è dunque un caso che a

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Nella foto un’intensa espressione di Silvia Marangoni in gara

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

pochi giorni dal primo posto in Nuova Zelanda la regina del pattinaggio a rotelle sia riuscita a mantenere la leadership anche nel vecchio continente, vincendo la Coppa Europa di Paredes ad Oporto, valevole anche come Campionato Europeo individuale nella sua disciplina. Il primo passo dell’atleta della Polizia Penitenziaria verso il nono titolo è stato primeggiare nello “short program”, dove si è espressa sulle note di una danza “macabra”, conquistando 121,000 punti, seguita dall’australiana Kristen Slade a 116,500 e dalla statunitense Natalie Motley a quota 112,700. Poi nel programma lungo, ha pattinato accompagnata della musica di “Giselle”, lasciandosi dietro le due dirette contendenti grazie ai suoi 583,700 punti finali: la statunitense Natalie Motley, a seguire, ha collezionato 467,900 punti, finendo al secondo posto come nella precedente edizione, invece all’australiana Kristen Slade, a quota 456,100 punti, è andata la medaglia di bronzo. Con davvero poco tempo per festeggiare o anche solo per rilassarsi dagli impegni agonistici, per la campionessa delle Fiamme Azzurre c’è stata anche la rassegna continentale, che si è svolta il 23 e 24 dello stesso mese, meno di venti giorni dopo Auckland, al Palasport “Rota dos Moveis”. Anche in Portogallo Silvia Marangoni ha saputo imporsi sin dal programma “corto” (con un parziale di 76.00 punti), confermando di essere distante anni luce dalle sue inseguitrici già all’esito dell’esercizio libero, con una classifica che l’ha vista vincere alla fine con 331.60 punti, a ben 49,40 misure di distacco rispetto alle due tedesche Gloria Drebes (283.20) seconda, e Claudia Pfeifer (282.20) terza. A caldo, dopo l’oro in Nuova Zelanda, la pattinatrice di Oderzo ha dichiarato

che la vittoria iridata 2012 aveva un significato diverso rispetto alle altre, perché per la prima volta raggiungeva il mondiale vestendo i colori del gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre e che la gioia per la vittoria ripagava tutte le fatiche necessarie a raggiungerla. Le fatiche dell’atleta per arrivare sul gradino più alto del podio sono in genere note solo all’atleta e al ristretto entourage di persone che con l’atleta sono a contatto giornalmente e che con l’atleta condividono passione, tempo e sacrifici. Quelle di Silvia sono state tante anche considerando solo la strada più lunga che ha dovuto percorrere per arrivare ad essere parte del gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria: lo abbiamo detto, il suo è uno sport cosiddetto minore, e l’atleta di Oderzo era ben consapevole di come probabilmente nessun concorso per titoli sportivi, nonostante lei di titoli ne avesse in tasca moltissimi, sarebbe stato bandito per reclutare un’atleta di una disciplina spettacolare, ma che non gode della visibilità di quelle olimpiche appunto perché trattasi proprio di uno sport non olimpico. Fedele però a quel che ha sostenuto nel post gara mondiale, che le vittorie ripagano ogni sacrificio, Silvia non ha mai abbandonato l’idea di poter essere una fiamma azzurra anche lei. Rimboccandosi le maniche ha studiato, ha affrontato il concorso ordinario previsto per l’accesso in Polizia Penitenziaria, ed è riuscita a vincerlo realizzando finalmente il desiderio di indossare la divisa giusta per il sogno giusto: essere nella sezione pattinaggio a rotelle delle Fiamme Azzurre, seconda atleta della storia del gruppo sportivo a militarvi insieme Francesca Ciani Passeri. Abbiamo voluto conoscere meglio questo esempio di abilità agonistica e determinazione personale combinate insieme, rivolgendo a Silvia Marangoni qualche domanda. Premesso che nove titoli mondiali sono ormai più di una consacrazione, che soddisfazione è stata per te l’ultimo oro conquistato ad Auckland? Questo titolo è uno dei più belli in assoluto perché è arrivato al termine


lo sport non ha fatto che rendere più semplice tutto, aiutandomi a continuare con la possibilità di avere una fonte di reddito necessaria per uno sport che come altri più piccoli non è milionario.

del lungo periodo in cui ho frequentato il corso di formazione alla scuola di Parma grazie al quale sono diventata Agente di Polizia Penitenziaria. Il corso, tra lezioni, tirocinio e verifiche è durato circa sette mesi, da fine dicembre ad agosto, e mi ha impegnato otto ore giornaliere. In tutto questo tempo ho cercato di capitalizzare i momenti in cui potevo essere libera per andare ad allenarmi comunque. Una sede abbastanza vicina che mi ha permesso di continuare a muovermi è stata Reggio Emilia, e poi, zero weekend, zero giorni liberi. Dopo tanti risultati di vertice che motivazioni ha un’atleta come te, che più volte si è riconfermata, ad andare avanti nella pratica agonistica? Le motivazioni nel continuare risiedono tutte nella grande passione che ho per il mio sport: i pattini sono la mia vita da sempre ed il fatto che grazie alle Fiamme Azzurre siano riusciti a diventare anche un lavoro

Quanto ti impegna la pratica agonistica tra allenamenti tecnici sui pattini e la preparazione fisica? Mi impegna tutti i pomeriggi, sette giorni su sette, con in più due o tre sedute di preparazione atletica mattutine, variabili in ragione delle gare previste in calendario. L’unica concessione che mi faccio subito dopo il Campionato del Mondo, è di provare a praticare per un mese uno sport diverso dal mio. Attualmente ad esempio sto provando l’Acqua Bike . Com’è essere un’atleta del gruppo sportivo Fiamme Azzurre? Io sono grata al gruppo sportivo Fiamme Azzurre che ha accolto già da svariati anni tra le sue fila il pattinaggio a rotelle: per questo devo ringraziare anche chi da diverso tempo nella sezione pattinaggio “mi aveva messo gli occhi addosso” non perdendo di vista i miei risultati sportivi. A proposito di risultati, sono contenta di aver vinto il mondiale da atleta che rappresenta i colori delle Fiamme Azzurre. Entrare a farne parte non è stato semplice perché io, come ho spiegato, sono entrata in Polizia Penitenziaria vincendo il concorso ordinario previsto per il reclutamento degli Agenti, e dunque prima il concorso da superare, poi il corso, gli esami e fino all’ultimo il timore di non farcela... Da concorsista e poi corsista “ordinaria”, avendo avuto modo più di qualsiasi altro atleta di venire a contatto direttamente con il lavoro degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria che idea ti sei fatta del loro impegno quotidiano nei luoghi di detenzione? L’idea compiuta di cosa significhi lavorare in sezione ho avuto modo di farmela nelle fasi di tirocinio che ho svolto nelle case circondariali femminili di Trento e di Trieste. In quei periodi ho toccato con mano quanto sia impegnativo e professionale il

lavoro della Polizia Penitenziaria, di quanto stress si accumuli nelle ore di servizio, di quanto siano in gamba le persone che con esperienza lo gestiscono giornalmente, rispondendo alle mille richieste ed esigenze di chi in quel momento è privato della libertà personale. Questo posso dire dei colleghi e delle colleghe che lavorano in carcere: sono davvero bravi e personalmente li stimo molto. Se non avessi vissuto quel pur breve periodo a contatto con loro, al di là di qualche frase di circostanza che avrei potuto abbozzare magari dopo una vittoria per dimostrare vicinanza, credo che da atleta non avrei mai compreso fino in fondo ciò che quotidianamente di buono fanno. Proprio per questo, in momenti difficili come quelli che l’Italia sta vivendo per il sovraffollamento e la carenza di personale, il mio augurio è che le cose migliorino al più presto e che nel frattempo tengano duro consapevoli di essere degli operatori di polizia importanti.

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Nella foto Silvia Marangoni in uniforme

Il logo dei Camponati del Mondo di Auckland 2012

A chi dedichi quanto hai ottenuto dallo sport finora? Lo dedico a tutti coloro che sono dietro alle mie vittorie, che a vario titolo vi hanno contribuito con il loro sostegno: a mia nonna, che è venuta a mancare lo scorso anno, alla mia famiglia, ai miei allenatori, ai fisioterapisti, etc. etc. Da soli infatti non si va da nessuna parte, tutti sono importanti, dal tecnico che ti segue, al papà che decide di accompagnarti ad ogni trasferta o anche la mamma che si prodiga in cucina a prepararti il cibo corretto per ciò che devi fare. Silvia come donna cosa chiede al suo futuro? Silvia come donna chiede al futuro una vita che possa essere il più possibile serena, delle soddisfazioni personali importanti a livello affettivo e tanta salute. ★

Nella foto Silvia durante una gara

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16 Aldo Maturo Avvocato già dirigente dell’Amministrazione penitenziaria avv.maturo@gmail.com

società e cultura

Il braciere del prete i si andava a cercare nel ripostiglio agli inizi di ottobre, quando le prime nebbie cominciavano ad ovattare le case e la luce debole dell’inverno sfumava sul viale già ricoperto dalle foglie gialle dei platani. Si spostavano scatoloni, borsoni e legni accatastati per estrarli da quel disordine e rimetterli in uso, dopo averli spolverati e liberati dai ricami di qualche ragnatela. Solo a rivederli si pregustava già il tepore che avrebbero regalato durante le serate invernali. Portati nel soggiorno, gli si faceva posto, quasi fossero ospiti d’onore, spostando sedie e tavolo per dare a loro lo spazio necessario.

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Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

Per prima si sistemava la base, una pedana circolare in legno a forma di ciambella, alta un palmo da terra, con il foro centrale dove si infilava il braciere. Con gli anni il legno di abete ingrigito testimoniava tutt’intorno l’impronta delle scarpe per il bordo consunto più della parte centrale. C’era il braciere bello, di rame ed ottone lucido, con i risvolti e i manici intarsiati, e quello di ferro, annerito e cotto dal fuoco. Sulla pedana, a protezione del braciere, si appoggiava l’asciugapanni a forma di cupola in legno o in giunco. A casa mia era in ferro, come una gabbia cilindrica a due facciate piane. Quella inferiore era aperta e copriva il braciere, mentre da quella superiore s’irradiavano a stella i listelli di ferro che poi scendevano lungo i lati e,

incrociando quelli orizzontali concentrici, formavano una griglia a maglie larghe. Quel tipo di asciugapanni aveva una doppia funzione. Al mattino poteva essere ricoperto da mutandine, fazzoletti ed altri panni appena lavati, messi lì ad asciugare al calore del braciere, con i calzini infilati nei vari riquadri. Nel pomeriggio, tolti i panni, si stendeva sopra una bella coperta di lana che cadeva giù fino a sfiorare la pedana. Quando la famiglia era tutta in casa, e non si sceglieva il camino della cucina come punto di raccolta, si stava seduti intorno al braciere, con i piedi appoggiati sulla pedana e la coperta poggiate sulle gambe. Più era grande e lambiva la base di legno più contribuiva a non disperdere il dolce tepore. Nelle giornate più fredde, rientrati a casa, si andava a cercare il braciere e si infilavano le mani sotto la coperta per riscaldarsi prima. Il compito di ravvivare la brace con la paletta di ferro non era un compito da bambini. Si alzava un lembo della coperta, si chinava la testa di lato per guardare meglio e si interveniva con delicatezza, accostando a poco a poco la carbonella esterna, ancora spenta, a quella centrale, rossa di fuoco. Se si mescolava alla rinfusa, la carbonella nuova e la cenere soffocavano la brace e bisognava riattizzarla con il ventaglio, di cartone o di penne di gallina. Lo si oscillava a mezz’altezza, senza guardare, con un movimento ondulatorio del polso lento e continuo per evitare di sollevare cenere e scintille. Le ore passavano così, nei lunghi inverni di quegli anni, quando in casa non c’erano i termosifoni e della Tv si fantasticava l’esistenza perché qualcuno l’aveva vista nei negozi delle grandi città o in qualche film americano. Tutta la famiglia era raccolta vicino a questo simbolo,

principale fonte di calore della casa e nessuno, salvo assoluta urgenza, si azzardava ad andare nelle altre camere senza essersi prima ben coperto. Si rammentava, si leggeva il giornale, si parlava, si facevano solitari o lunghi pisolini con la testa poggiata su quel ripiano intiepidito. Io partecipavo al rito solo la sera perché, dopo aver giocato, me ne stavo in camera a studiare, una copertina sulle ginocchia e una piccola stufetta elettrica sotto al tavolino. Era a due spirali ma quando le accendevo tutte e due puntualmente saltava la luce. Non esistevano i salvavita e mio padre ogni volta, a lume di candela, doveva scendere fino al portone dove, borbottando, sostituiva i fusibili nelle valvole di ceramica bianca poste sotto al contatore. Si chiamavano valvole a tabacchiera e per me era magico che il ripristino di un filino facesse tornare la luce. Il suono del campanello per l’improvviso arrivo di parenti o amici “a lunga permanenza” rimetteva in gioco le posizioni acquisite intorno al braciere e l’inserimento di altre sedie rompeva tutti gli equilibri. La coperta, suddivisa anche tra gambe a lei non familiari, sembrava sempre più corta e ogni tanto gli si dava una tiratina per coprire una coscia rimasta scoperta e più infreddolita. Il massimo della felicità era cenare intorno al braciere. La tavola per fare la pasta in casa era circolare e così la si poggiava sull’asciugapanni che diventava la base su cui mettere la tovaglia, i piatti e i bicchieri mentre, data l’instabilità del telaio, le bottiglie ed altre pietanze si poggiavano sul tavolo da pranzo rimasto inutilizzato. Cenette semplici ed indimenticabili, con amici o con parenti, che finivano quasi sempre a scopa o scopone, al sapore di Strega o di Anice. Il braciere al termine della serata non finiva la sua missione. Poco prima di andare a letto si spostava la brace rimasta nello scaldino, simile a un tegame bombato, e partiva l’operazione “prete”.


libro del mese Il “prete” era uno strano oggetto di legno che ricordava un po’ lo slittino e serviva per riscaldare il letto e stemperare le lenzuola. Era formato da quattro assicelle di legno, due superiori e due inferiori, inarcate e convergenti. Nella base, rivestita di lamierino, si poggiava lo scaldino con la carbonella ancora calda. Si sollevavano le lenzuola e le coperte, si infilava nel letto il “prete” con dentro lo scaldino, e si riappoggiavano il tutto su questo fantasioso telaio. Dopo un po’ si risollevavano le coperte piano piano per non disperdere il calore, si sfilava il prete e il beneficiato si rannicchiava fra le lenzuola intiepidite, gustando il tepore di quel calore ben diverso dal gelo della stanza. Sul cuscino restavano fuori solo i capelli. Il “prete”, pare che si chiamasse così

perché, con maligna allusione, era quella cosa che riscaldava il letto per il “tempo necessario” ma senza restarci a “dormire”. Serate d’inverno di un passato lontano, fatte di un sano e naturale tepore, di odore di carbone acceso, di geloni, di castagne sotto la cenere, di persone raccolte davanti a un braciere o a un camino, unite dal calore del fuoco e della famiglia. ★

17 a cura di Erremme rivista@sappe.it

Massimo Monti

IL RISCHIO PSICOSOCIALE NEL CORPO DI POLIZIA PENITENZIARIA GIUSEPPE PONTARI Editore

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n un recente intervento pubblicato sulla Rassegna Penitenziaria è stato sottolineato come sia luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio esclusivo delle persone fragili e indifese. Recenti ricerche hanno invece dimostrato che il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne dovrebbero essere esenti. Tra queste categorie rientra certamente quella della Polizia Penitenziaria che è caratterizzata dall’avere un rapporto particolare e continuativo con un’utenza quale quella carceraria che, a lungo termine, può dar luogo alla cosiddetta sindrome di burnout. Sebbene tutt’oggi non esista una definizione univoca ed assoluta del burnout, la si potrebbe definire come quella sindrome complessa a componente prevalentemente psichica con risvolti anche cognitivo comportamentali che si instaura come reazione ad una condizione di stress lavorativo prolungato: gli effetti del burnout compromettono negativamente sia la salute che la produttività stessa dell’operatore, con conseguenti ricadute sfavorevoli sull’intera organizzazione lavorativa e sugli obiettivi della stessa. Il burnout è quindi un processo che nasce dalla disparità che si crea tra obiettivi da raggiungere e risorse del lavoratore, da cui scaturisce una forte quota di stress lavorativo; l’operatore non riesce a far fronte in nessun modo alla risoluzione del disagio se non rispondendo a questo stress emotivo cronico con: esaurimento emotivo e fisico; sentimenti di impotenza e di negatività verso gli altri, il lavoro e la vita; diminuita produttività sul lavoro; depersonalizzazione; deterioramento

pagg. 157 - euro 16,00 nei rapporti interpersonali. Questo interessante studio dello psicologo Massimo Monti, che ha collaborato e collabora come formatore e docente nei corsi periodicamente svolti

dall’Amministrazione Penitenziaria, offre ampi spazi di riflessione sul rischio stress lavoro correlato e burnout rispetto alla nostra professione, in relazione ai rapporti che intercorrono tra l’agente e il detenuto e, quindi, al continuo e persistente contatto che gli agenti hanno con i più disparati detenuti e i loro problemi. Contatti che potrebbero e possono gravare sulle capacità relazionali portandoli ad innescare, con il cinismo, il distacco, la depersonalizzazione e l’esaurimento emotivo, la ‘miccia’ del burnout. Uno studio, quindi, assolutamente da non perdere se si vuole seriamente indagare sul drammatico fenomeno del ‘mal di vivere’ che ha portato decine e decine di poliziotti penitenziari, negli ultimi anni, a togliersi la vita. ★

La copertina del libro di Massimo Monti

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a cura di Ciro Borrelli Coordinatore Nazionale Sappe Minori per la Formazione borrelli@sappe.it

giustizia minorile

Il Ministro Paola Severino visita l’Istituto Minorile di Casal del Marmo a Roma l 23 ottobre 2012- come da programma - il Ministro della Giustizia, Paola Severino, ha visitato l’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo di Roma. I preparativi sono iniziati alcuni giorni prima a cura del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio presso detta struttura e sono stati coordinati dal Comandante di Reparto Isp.Capo Saulo Patrizi. Per l’occasione, non

interessato le aule didattiche e il laboratorio informatico, dove i Ministri si sono intrattenuti prima di recarsi nella sala teatro per la firma del protocollo d’intesa tra MIUR e Giustizia. Da parte del Miur, il protocollo prevede che vengano arricchite le mediateche esistenti presso gli istituti penitenziari, anche attraverso la stipula di opportune convenzioni con le case editrici che aderiranno al programma. Sarà compito

poteva mancare il picchetto d’onore messo a disposizione dall’Ufficio del Cerimoniale D.A.P.. Presenti all’evento diverse autorità in servizio presso il Ministero della Giustizia: il dr. Giovanni Tamburino Capo del D.A.P., il vice Capo D.A.P. dr.ssa Simonetta Matone, la dr.ssa Carmela Cavallo (ex Capo D.G.M.), nonchè vari Direttori Generali e Magistrati, tutti accolti dalla dr.ssa Caterina Chinnici attualmente al vertice della Giustizia Minorile Molto atteso anche il Ministro Francesco Profumo, in rappresentanza del Ministero dell’ Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), il quale ha sottoscritto - insieme al Ministro Paola Severino - il protocollo d’intesa per la realizzazione del programma speciale inteso all’istruzione e alla formazione negli Istituti Penitenziari per minorenni. La visita della struttura romana ha

invece del Ministero della Giustizia adeguare, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, le strutture e gli spazi dedicati alle attività di istruzione e formazione negli istituti, anche nell’ambito dei progetti di edilizia penitenziaria. Impegno comune è dotare questi spazi formativi di attrezzature tecnologiche avanzate, che consentano collegamenti virtuali tra carcere e mondo esterno. Ancora una volta, nonostante i problemi

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Nelle foto alcune fasi della visita del Ministro nella struttura Minorile di Casal del Marmo

Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012

e la grave carenza di personale del contingente di Polizia Penitenziaria del settore minorile dovuta ai pensionamenti e al mancato turn-over, la manifestazione si è svolta secondo il programma previsto dal protocollo, con grande sacrificio e impegno di tutti i colleghi, che ogni giorno operano nei reparti detentivi, con turni massacranti e spesso in condizioni veramente al limite della sopportazione. A tutti loro va un ringraziamento speciale. ★


dalle segreterie Lodi 100 anni del carcere della città lombarda l 26 ottobre 2012, la Casa Circondariale di Lodi ha festeggiato 100 anni di storia, presso l’auditorium della Banca Popolare di Lodi. Il progetto, sostenuto da Comune, Provincia e Fondazione Bipielle di Lodi, ha avuto un grandissimo successo con uno spettacolo denominato Tieni il tempo che ha

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visto partecipare tutte le autorità lodigiane, dal Prefetto al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, dal Sindaco al Presidente della Provincia, dal Vescovo ai vertici delle Forze dell’Ordine. Uno spettacolo davvero indimenticabile con al centro la musica la danza e il teatro, che ha visto i posti dell’auditorium tutti esauriti.

In scena sono andati anche cinque detenuti della Casa Circondariale di Lodi che si sono esibiti nel racconto delle loro condizioni. Per l’occasione si è esibita anche Martha J che con doti raffinate è riuscita a donare emozioni ed entusiasmo all’intera platea. L’incasso della serata è stato interamente devoluto in beneficenza. Il vivo apprezzamento alla riuscita dello spettacolo va allo staff della Casa Circondariale e soprattutto a tutto il Reparto della Polizia Penitenziaria di Lodi che nonostante le criticità lavorative a cui è sottoposto è riuscito a conciliare, con tantissimo impegno, i doveri istituzionali. ★ La Segreteria Provinciale Sappe di Lodi

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rivista@sappe.it

Nelle foto il carcere di Lodi e l’Auditorium sopra la locandina della Manifestazione per il centenario

Verbania Il Segretario Generale Donato Capece incontra gli allievi del 165°corso o scorso 6 novembre, nell’Aula Magna della Scuola di Formazione della Polizia Penitenziaria di Verbania il Segretario Generale del SAPPe Donato Capece, ha incontrato gli allievi del 165° Corso. Durante il confronto, Donato Capece ha risposto ai numerosi quesiti posti dai corsisti sulle problematiche penitenziarie. ★

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Bologna La Cerimonia cittadina per la Festa del 4 novembre

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iceviamo e volentieri pubblichiamo la foto della rappresentanza del Corpo di Polizia Penitenziaria che ha partecipato alla Cerimonia tenutasi nella città di Bologna in occasione del 4 novembre 2012.

Nelle foto sopra i colleghi di Bologna a sinistra Nicola Sette e Donato Capece a Verbania

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dalle segreterie

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23 ottobre, giorno di protesta in tutta Italia rivista@sappe.it

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iccola rassegna fotografica delle manifestazioni di protesta organizzate dalla Consulta Sicurezza (SAP - SAPPE - SAPAF) in diverse cittĂ italiane il 23 ottobre 2012.

Bari

Teramo Catanzaro

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Trieste


dalle segreterie

Aosta

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Massa Congratulazioni al Segretario Provinciale ANPPe

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Roma

Ancona Consiglio Regionale Sappe delle Marche

Alessandria Ennesima manifestazione anarchica alla C.R. di Alessandria ncora una volta, il 17 novembre, a distanza di soli due mesi dalla precedente, un folto gruppo anarcoinsurrezionalista ha tenuto una manifestazione davanti l'istituto alessandrino di San Michele.

A

l Segretario Provinciale della Sezione ANPPe di Massa, il Sovrintendente di Polizia Penitenziaria in congedo Antonio Cofrancesco, qualche settimana fa si è brillantemente laureato in scienze giuridiche, dinanzi alla commissione presieduta dal Prof. Dante Cosi, già Segretario Generale della Corte Costituzionale ed attuale Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Telematica di Roma. Quello del collega Cofrancesco è il coronamento di un percorso formativo e professionale iniziato nel Corpo degli Agenti di Custodia agli inizi degli anni ‘80, come Agente Ausiliario, fino a raggiungere la qualifica di Vice Sovrintendente nel 2002. Una vita lavorativa piena di emozioni, fino al raggiungimento del meritato titolo accademico. Al neo dottore le congratulazioni di tutti gli amici del Sappe. ★ Mario Novani - Segr. Prov. Massa

rivista@sappe.it

l 23 ottobre 2012 si è svolto ad Ancona il Consiglio Regionale Sappe delle Marche. Nell’incontro, tenutosi presso la Sala del Consiglio della Regione, è stato confermato Segretarioil dott. Aldo Di Giacomo. ★

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Ci sono stati lanci di bombe carta e sassaiole senza però gravi danni alle strutture né agli uomini. Da sottolineare che c'è stata un invasione nell'intercinta esterna del carcere da parte di un soggetto che ha imbrattato parte del muro di cinta che è stato fermato mentre tentava la fuga e successivamente identificato da pochi agenti di Polizia Penitenziaria in servizio di pattuglia esterna all'istituto. Presente anche un nutrito gruppo di Carabinieri e Poliziotti che ha però controllato solo l'ingresso dell’istituto. Enrico D'Ambola

Nelle foto sopra Antonio Cofrancesco

a sinistra il Consiglio Regionale Sappe di Ancona

La Segreteria Generale del Sappe e la Redazione augurano a tutti gli iscritti, ai loro familiari e a tutti gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria

BUONE FESTE Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria


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dalle segreterie Monteforte Irpino (BN)

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Nella foto Ciro Borrelli e Nunzio Sandulli con le Miss

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Sotto la direzione di Ciro Borrelli, inaugurato il Crossodromo Acqualonga omenica 14 ottobre si è svolta, come ogni anno, l’importante manifestazione di Motocross APT Memorial Biancardi in concomitanza con l’inaugurazione del Crossodromo Acqualonga a Monteforte Irpino (BN). Il Crossodromo Acqualonga dopo diversi anni di intoppi burocratici finalmente nei mesi passati ha avuto tutti i permessi grazie soprattutto alla caparbietà dell’Assistente Capo Nunzio Sandulli del Corpo di Polizia Penitenziaria che non si è mai arreso alle difficoltà. Il Crossodromo è dotato di numerosi servizi tra cui una grande palazzina con bar e servizi igienici, inoltre dispone di lavaggio moto, altri servizi igienici sotto, ampio paddock, locali e officina. La giornata è stata veramente bellissima e, inaspettatamente, c’è stato anche il sole contro tutte le previsioni meteo anche per non rovinare il lavoro enorme

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fatto al tracciato che tutti i piloti hanno apprezzato sin dalle prove libere onorando con lo spettacolo la presenza di oltre mille persone. La manifestazione è stata diretta dal Vice Sovrintendente Ciro Borrelli, Direttore di Gara Nazionale della Federazione Motociclistica Italiana, coadiuvato da due finaliste del concorso Miss Italia 2012. ★


mondo penitenziario

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Dopo più di venti anni dalla Legge di Riforma del Corpo

Come liberarsi dall’uso di appellativi e stereotipi sulla denominazione corretta della Polizia Penitenziaria? a trasmissione “Chi l’ha visto” di Rai tre del giorno 21 novembre 2012 è tornata ad occuparsi del ritrovamento dei resti di Elisabetta Grande e di sua figlia Maria Belmonte, le due donne scomparse da Castel Volturno (CE) nel 2004, adagiate in una intercapedine sotto la villetta di proprietà Domenico Belmonte, ex direttore sanitario della Casa Circondariale di Poggioreale di Napoli, e portate alla luce a seguito di accurata perquisizione della polizia scientifica, disposta dagli inquirenti procedenti dopo la denuncia di scomparsa presentata tempo or sono dal fratello della moglie. Durante il servizio è stato intervistato anche un collega in quiescenza in forza nell’istituto penale partenopeo circa il carattere scontroso ed autoritario del dott. Belmonte, qualificandolo come “secondino”, denominazione riprodotta anche nel sottotitolo “secondino del carcere”.

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Siamo purtroppo alle solite: a distanza di oltre venti anni dallo scioglimento del Corpo degli Agenti di Custodia e dalla istituzione del Corpo di Polizia Penitenziaria, assistiamo all’uso di appellativi e denominazioni intrise di inossidabili stereotipi, che celano in sé una certa idea degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, soprattutto da chi non ha saputo affrancarsi da quel pregiudizio ideologico che latente affiora, forse inconsapevolmente, nell’uso di certe espressioni. Eppure, a nessuno verrebbe di additare gli appartenenti alla Polizia di Stato guardie carcerarie e ciò non tanto perché la riforma del Corpo della Polizia di Stato è intervenuta dieci anni prima di quella del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma proprio perché il mondo penitenziario addensa in sé retaggi storici, ansie antropologiche, paradigmi sociali, che appaiono indelebili. Allora vediamo dove affondano le radici di tali espressioni, denominazioni e appellativi. La derivazione etimologica del termine secondino è controversa. Infatti, alcuni la vorrebbero fa derivare dal comandante in seconda, in considerazione del fatto che le guardie carcerarie inizialmente erano alle dipendenze del Ministero della Marina, alcuni viceversa la vorrebbero far derivare, sempre in gergo marinaresco, da colui che effettuava il secondo turno di guardia; ed infine, c’è chi, in maniera più fervida, la vorrebbe far discendere da colui che a bordo delle galere (imbarcazioni ove i galeotti scontavano la pena remando) batteva il tempo, appunto i secondi,

Luca Pasqualoni Segretario Nazionale Anfu pasqualoni@sappe.it

per favorire il ritmo uniforme della remata. La tesi più accreditata però rimane quella che vuole il secondino come colui che viene dopo. Una persona che aveva gli incarichi più umili nel carcere o nel bagno penale: costui poteva essere anche lo stesso recluso.

L’umile ruolo del secondino traspare ove si scorra il regolamento disciplinare del Lombardo - Veneto del 1818, dove si legge che “La pulizia delle sale, delle carceri e delle infermerie spetta ai secondini e agli infermieri. ... è pure dovere dei secondini e degli infermieri di vigilare per l’espurgo delle latrine e dei pozzi”. Certo è che il suddetto atteggiamento nei confronti della Polizia Penitenziaria potrà e può essere contrastato e superato, per non dire vinto, solo ed unicamente con l’istituzione della Direzione Generale del Corpo, in seno all’Amministrazione Penitenziaria, dotata di un efficiente ufficio stampa a cui siano preposti, per l’effetto, uomini e donne con la divisa. ★

Nelle foto sopra il logo della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” a sinistra una Guardia Penitenziaria del Regno delle Due sicilie del 1834

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cinema dietro le sbarre

Hakuna Matata a cura di Franco e Francesca Denisi rivista@sappe.it

Il cinema dentro le mura, il ruolo e le emozione dei soci avute dietro le quinte del cortometraggio “HAKUNA MATATA” on un precedente articolo ci eravamo lasciati con l’avvio, nella seconda decade del mese di ottobre, delle riprese per la realizzazione del cortometraggio diretto da un giovane regista e a cui avrebbero partecipato come interpreti alcuni attori locali e quattro soci

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Nella foto la fase del trucco e gli attori

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dell’ANPPe, tre uomini e una ragazza, interpretando il ruolo di agenti di Polizia Penitenziaria. L’Associazione ANPPe ed in particolare la sezione di Reggio Calabria è stata coinvolta in maniera attiva nel progetto del cortometraggio. Il coinvolgimento dei soci alle riprese nonché a tutte le varie attività è stata a trecentosessanta gradi, partendo

dalle varie autorizzazione necessarie per poter girare il film, come quella del Ministero della Giustizia che, su specifica richiesta della Direzione dell’istituto penitenziario “App.Giuseppe Panzera MAVM” di Reggio Calabria, ha autorizzato i soci ad indossare la divisa per le riprese. Questo tipo di partecipazione attiva dei soci ANPPe ha garantito all’Amministrazione Penitenziaria una potestà assoluta sull’aspetto corretto di visibilità esterna del Corpo di Polizia Penitenziaria. Con i soci (ex appartenenti al Corpo), infatti, oltre che a garantire nel cortometraggio una visione del tutto reale di quanto succede all’interno di un istituto penitenziario, si è garantita una figura professionalmente corretta del Poliziotto Penitenziario. Fatta questa breve introduzione, si riportano in seguito i nominativi dei soci che hanno partecipato al progetto e le sensazioni provate sia durante le riprese che dietro le quinte, con tutte le sfaccettature che una ripresa cinematografica possa avere : • Agente donna addetta alla perquisizione Francesca Denisi (socio ANPPe);

la scheda del film Regia: Aldo Iuliano Sceneggiatura: Fabio Mollo Fotografia: Davide Manca Operatore: Sandro Chessa Macchinista: Antonio Caracciolo Fonico: Simone Casile Scenografia: Stella Milidoni Trucco: Francesca Romolo, Ilaria Minicuci Costumi: Valentina Versace Produzione: Michele Geria per E20 Personaggi ed Interpreti: Fabio: Salvatore Striano Antonio: Gigi Miseferi Paolo: Costantino Comito Natale: Massimo Barresi Massimo: Francesco Custodero Concetta: Pasqualina Scuncia Anna: Maria Elena Fonga Mimma: Concetta Crupi Serena: Marcella Favano madre Serena: Maria C. Melchionna Agente donna: Francesca Denisi Agente 1: Roberto Esposito Malara Agente 2: Mario Orlando Agente 3: Emanuele Lupo Agente 4: Carmelo Scordo padre in visita: Gabriele Manocchio Genere: Docufilm Origine: Italia, 2012 • Agente in sezione Roberto Esposito Malara (ispettore di Polizia Penitenziaria in quiescenza); • Agente ai colloqui interni ed esterni Mario Orlando ( Ass.te Capo di Polizia Penitenziaria in quiescenza); • Agente addetto accompagnamento familiari Carmelo Scordo (Ass.te Capo di Polizia Penitenziaria in quiescenza); • Familiare che fa visita al figlio detenuto: Gabriele Manocchio (già Comandante della CC di Reggio Calabria);


cinema dietro le sbarre È a Reggio Calabria, presso la casa Circondariale“Circondariale “App. Giuseppe Panzera MAVM” che hanno avuto luogo le riprese del cortometraggio Hakuna Matata. Rientra tutto nel progetto “Cinema Dentro Le Mura” promosso con il patrocinio della Provincia di Reggio Calabria dall’Associazione Culturale di E20 che negli ultimi anni ha favorito attività produttive in ambito artistico e cinematografico come il docufilm “Cesare deve morire” vincitore dell’Orso d’Oro di Berlino 2012 e candidato per ben 12 volte ai David di Donatello 2012. Il progetto approvato dal Ministero della Giustizia ha come fine sociale quello di sensibilizzare chi può realizzare una condizione migliore ed il più possibile umana per tutti i detenuti ristretti nelle carceri italiane. Al cortometraggio, diretto dal regista Aldo Iuliano e con sceneggiatura di Fabio Mollo, hanno preso parte vari attori tra cui Salvatore Striano, ex detenuto e protagonista del film “Cesare deve morire”. Ma il lavoro dietro le quinte è senza dubbio faticoso, ogni impiegato dello staff ha un ruolo indispensabile per l’adeguato svolgimento delle attività cinematografiche. A partire delle ragazze addette al trucco&parrucco, prontissime a riprendere le acconciature ed i visi degli attori ogni qualvolta essi erano di scena; gli addetti agli apparecchi di ripresa che nel giro di pochissimi minuti scomponendo e rimontando da una zona all’altra ad ogni variazione di scena; ed anche l’assiduo controllo da parte del regista e dell’aiuto regista. L’attività cinematografica di Hakuna Matata ha consentito agli attori protagonisti e alle varie comparse di confrontarsi e di far conoscenza, favorendo anche la nascita di amicizie all’interno del “gruppo sociale”, se così si possiamo definirlo, creato grazie all’impegno e alla volontà di collaborazione da parte di ogni componente. Non sono certo mancati attimi di sfogo e nervosismo che qualche volta hanno causato momenti di tensione che, se pur breve e passeggeri,

risultano del tutto comprensibili al termine di intere giornate di costante lavoro. Sorprendente è stata la partecipazione al cortometraggio di una bambina, la quale ha interpretato la figlia di un detenuto che andava a far visita al padre in carcere, che ha reso l’atmosfera molto più stimolante e divertente. Le riprese del film si sono concluse sullo sfondo del più bel chilometro d’Italia al calar del sole. Prendere parte al cortometraggio è senz’altro stata un esperienza stupefacente e sensazionale. Al di fuori è ostico comprendere adeguatamente quanto sforzo, attenzione e pazienza ci vogliano per la creazione di circa venti minuti di film. Ogni particolare necessita di una minuziosa attenzione da parte del regista fino al costumista; dagli altri: le luci, gli accessori, i rumori e molto altro ancora. Non possono essere dimenticate però le risate fatte sul set, le battute di continuo ripetute e qualche volta mal recitate, ma che alla fine dei conti hanno dato vita ad un cortometraggio commovente e pregno di significato.

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Nelle foto alcune fasi della lavorazione del film

Raccontata questa mia breve esperienza avuta nell’ambito del cinema, con la presente intendo ringraziare l’ ANPPe per l’opportunità concessa a me ed ai soci presenti sul set. ★ F. D.

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

crimini e criminali

Nel nome di satana: Ambra, Milena e Veronica a sera del 6 giugno del 2000, una suora viene uccisa a coltellate, il cadavere, straziato, quasi irriconoscibile, è rinvenuto nel Parco delle Marmitte Giganti di Chiavenna, in provincia di Sondrio, frequentato da tossicomani e prostitute.

L Nelle foto a fianco il ritrovamento del corpo di Suor Maria Laura Mainetti

sotto il Professore Massimo Introvigne

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Si chiamava Maria Laura Mainetti, era nata a Colico (Como) e aveva 61 anni, apparteneva alla congregazione francese delle Figlie della Croce di Sant’Andrea ed era madre superiora in un istituto religioso con scuola materna e convitto ed inoltre si occupava spesso di giovani sbandate che la chiamavano a tutte le ore del giorno e della notte. La suora è stata massacrata a colpi di pietra e con 19 coltellate, sulla scena del crimine gli investigatori rilevano delle scritte sataniche. Sarà proprio il culto a satana il movente dell’uccisione di suor Maria Laura. La sera dell’assassinio, la suora riceve una telefonata da una ragazza la quale le dice di essere stata violentata, di aspettare un figlio e di voler abortire. La telefonata è stata fatta da Ambra Gianasso, diciassettenne, per poter incontrare la suora in un luogo isolato e poterla così “offrire”, insieme alle amiche Veronica Pietrobelli e Milena De Giambattista (rispettivamente di

diciassette e sedici anni), in sacrificio a satana. Le tre ragazze erano amiche, si ubriacavano insieme, s’incidevano la pelle per noia e coltivavano la passione per il satanismo. Le ragazze furono arrestate il successivo 28 giugno in seguito ad un’intercettazione telefonica; scriveranno gli inquirenti nella relazione finale dell’inchiesta: «che per quanto irrazionale, illogico e assurdo possa sembrare, il movente dell’uccisione di suor Maria Laura, è da individuarsi nel culto di Satana al quale le tre sciagurate omicide credevano». Cos’è il satanismo e perché tre giovani adolescenti premeditano un delitto così atroce come sacrificio a satana? Parlando di satanismo ci si riferisce a persone, gruppi o movimenti che, in forma in parte organizzata, praticano l’adorazione e l’evocazione del demonio, per maggior precisione riporto la definizione di Massimo Introvigne (professore e direttore scientifico del CESNUR - Centro Studi sulle nuove Religioni): «Il satanismo – da un punto di vista storico e sociologico – può essere definito come l’adorazione o la venerazione, da parte di gruppi organizzati in forma di movimento, tramite pratiche ripetute di tipo culturale o liturgico, del personaggio chiamato satana o diavolo nella Bibbia».

Appare utile puntualizzare, per maggiore chiarezza, anche la distinzione tra possessione e satanismo; afferma ancora lo studioso: «Benché la frequentazione di gruppi satanisti possa, secondo molti esorcisti, aprire la porta a “disturbi” di tipo diabolico, possessione e satanismo non vanno confusi. Non tutte le persone ‘disturbate’ dal demonio sono passate dal satanismo (alcuni sono buoni cristiani) e non tutti i satanisti sperimentano fenomeni di possessione o di ‘disturbo’ diabolico». Si può asserire che se il satanista cerca il diavolo, il posseduto viene trovato dal diavolo che lo «disturba» a livello fisico, psicologico e spirituale. Non tutti i satanisti sono «posseduti», né tutti i «posseduti» sono satanisti, anzi la vita di molti Santi e Beati presenta episodi reali e documentati in cui il demonio esercita un’azione di “disturbo”. Fra questi don Giovanni Calabria e suor Maria del Gesù Crocifisso (beatificati da Giovanni Paolo II), i quali hanno attraversato veri e propri periodi di possessione diabolica, nei quali hanno detto e fatto cose contrarie alla loro fede senza avere alcuna colpa o responsabilità perché era il demonio ad agire servendosi delle loro membra, mentre la loro anima era comunque rivolta a Dio. Questi periodi di grave sofferenza hanno senza dubbio contribuito alla loro santificazione. Dunque, satanismo e possessione diabolica, sono fenomeni estremamente diversi e non necessariamente collegati, anche se – secondo il parere di vari studiosi ed esorcisti – le pratiche occulte come la magia, lo spiritismo e, appunto, il satanismo possono costituire una buona porta d’ingresso per problemi quali la possessione diabolica. Le tre ragazze premeditano il delitto – come hanno ricostruito successivamente i magistrati – per la sola esclusiva finalità di incontrare satana e avere dallo stesso una dimostrazione della sua esistenza e potenza. Non facevano parte di un gruppo satanico, come ne esistono tanti, ma si erano improvvisate “sataniste” con un “giuramento di


crimini e criminali sangue” scambiato tra loro: bevendo acqua benedetta e gocce del proprio sangue, cavato con un taglio alla mano (sentenza di appello). Per entrare in contatto con satana devono progettare un delitto che il “principe del male” possa gradire: profanare una tomba, immolare un bimbo, una donna incinta, un prete, una suora.

La scelta cade appunto su suor Maria Laura. Dopo averla fatta inginocchiare cominciarono ad inveire contro di lei e a colpirla; prima Milena, prendendo la suora alle spalle, con una mattonella che aveva nella borsa, poi Ambra, più volte, battendole la testa contro il muro di cinta di un edificio. In seguito passano alle coltellate, prima Milena, poi Veronica e ancora Ambra, con la suora che le implorava di avere pietà di lei e che diceva: «Perché mi colpite? Io non dico niente, non vi preoccupate», e Ambra che incitava le compagne ad aiutarla, quando le ha viste esitare un attimo: «Venite a darmi una mano, io non ce la faccio da sola, questa non muore più». Le tre minorenni furono processate con rito abbreviato. Milena e Veronica (la più giovane delle tre), ritenute parzialmente incapaci di intendere e di volere, furono condannate a 8 anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione. Ambra fu ritenuta completamente incapace di intendere e di volere, e prosciolta al termine del processo di primo grado, il 9 agosto del 2001 fu in seguito affidata ad una comunità, dove rimase per quasi un anno. Poi affrontò l’Appello, che riformulò la sentenza: il 4 aprile 2002 Ambra fu condannata a 12 anni e 4 mesi; la ragazza fu di nuovo rinchiusa in carcere e vi rimase fino al 17 gennaio 2003, quando uscì per scadenza dei

termini di custodia cautelare, ma, successivamente, la Cassazione confermò la condanna di secondo grado e la ragazza tornò dietro le sbarre. Delle tre amiche, Veronica fu la prima ad uscire dal carcere: il 4 luglio 2004, dopo aver scontato metà della pena, fu trasferita in una comunità romana dove le affidarono i bambini del “nido”. Il 2 maggio 2006 fu la volta di Milena; Don Antonio Mazzi la accolse nel centro Exodus di Grezzana (Verona), agli inizi di dicembre del 2007 Ambra ha ottenuto la semilibertà. In Italia il fenomeno del satanismo è molto diffuso; accanto ad una miriade di nuovi culti, molti dei quali non pericolosi, iniziano a proliferare, anche nel nostro Paese, pericolose sette. Ormai è innegabile una realtà satanico-rituale; studi elaborati dalla Polizia dimostrano che in Italia, in questi ultimi anni, si è registrato un notevole incremento di sette sataniche. Il Centro studi sulle nuove religioni (Cesnur) calcola che gli aderenti a sette, in Italia, sono più di un milione, queste organizzazioni sono molto diffuse a Torino, Roma e nelle città del Veneto; distinguendosi tra quelle di matrice occultista, circa il 30% dei culti alternativi, e quelle d’indirizzo satanico il 9%. Il fenomeno del satanismo moderno è, tuttavia, assai complesso; nella vastità di correnti e pseudocorrenti magico-sataniche, che permeano la nostra epoca, diversi studiosi hanno già tracciato delle mappe dei soggetti che si muovono nei territori inferi. Michele Del Re (Docente di diritto penale all’Università di Camerino) distingue diversi tipi di satanisti: 1. Isolati tradizionali (streghe e maghi, dotati di speciali legami con l’anti-dio, da consultare per ottenere fatture a morte, imprecazioni...). 2. Isolati dediti a droghe, che godono di visioni sabbatiche e infernali nel trip drogastico. 3. Isolati psicotici, sofferenti di follia religiosa a contenuto satanista. Tra gli associati sarebbero satanisti in senso proprio, puri, vale a dire legati al satana biblico. 4. I Gruppi di satanisti tradizionali

(messe nere, fede, sia pure distorta, nella religione cristiana). 5. I gruppi dediti a droghe (ad esempio La famiglia Manson). 6. I gruppi di trasgressori sessuali, con tendenze sadomasochistiche e/o tendenze orgiastico-naturalistiche. Sarebbero impropriamente satanisti (satanisti non puri), invece: 1. I seguaci di Baphomet (dio della sfera del divenire, contrapposto a Javè, dio dell’essere, della sfera celeste). 2. I carismatici, che credono nella rivelazione e nella venuta in terra di satana, demiurgo buono (ordinatore, creatore dell’universo), capace di riparare la creazione di Javè. 3. I razionalisti, che identificano il demonio con le forze compresse e represse della nostra civiltà, forze che devono essere rivalutate e portate alla coscienza. Sempre più spesso i gruppi dediti alla venerazione di satana nella loro attività pongono in essere reati di vario genere alcuni dei quali di grande allarme sociale. Sono innumerevoli i fatti di cronaca che vedono le sette o i gruppi satanici coinvolti in situazioni delittuose (pedofilia, maltrattamenti di animali, truffa, violenza sessuale e addirittura sacrifici umani) ma, alla base di alcuni comportamenti illegali che avvengono nell’ambito di questi gruppi, si ritrovano anche forme in parte avanzate di condizionamento psicologico e di tecniche di coercizione, attuate con metodi sottili, spesso di tipo suggestivo. In altri termini, i reati che coinvolgono a vario titolo gli adepti (come autori o come vittime), sembrano essere talvolta associati ad una modifica della loro percezione della gravità di tali reati. Il fenomeno delle sette sataniche è in definitiva un fenomeno molto complesso che avrò modo di affrontare ancora in futuro. Prima di concludere è doveroso ricordare che nel 2008 è stato avviato il processo di beatificazione di suor Laura Mainetti. Alla prossima... ★

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Nella foto a sinistra Suor Maria Laura Mainetti

Nella foto sotto Il Professore Michele Del Re

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penitenziari storici

Il carcere dell’Asinara Aldo Di Giacomo Consigliere Nazionale del Sappe digiacomo@sappe.it

Nelle foto in alto la pianta dell’isola sotto, nel riquadro, Cala Reale in basso la Direzione Centrale

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urante la fase di transizione legislativa, nella quale si passa dai codici degli Stati preunitari alla promulgazione del codice Zanardelli, in Italia viene proposta l’istituzione delle Colonie Agricole, prendendo in considerazione il modello dell’isola di Pianosa (istituita nel 1858) e tra le diverse aree viene scelta in modo quasi incidentale l’isola dell’Asinara, è il 16 giugno 1885. Il regolamento delle Colonie Penali Agricole entra in vigore il 1° marzo 1887 e prevedeva la suddivisione in due categorie, quelle destinate ai condannati ai lavori forzati e quelle per i condannati a tutte le altre pene. La permanenza dei detenuti nella colonia era legata principalmente alla buona condotta e alle capacità nei lavori di coltivazione, bonifica dei terreni, nonché nella costruzione di strade e fabbricati. Nel caso specifico dell’Asinara, i detenuti venivano trasportati con delle spedizioni effettuate dalle forze dell’ordine. Una volta arrivati sull’isola, i detenuti affrontavano un colloquio con il comandante militare e dopo una prima valutazione, in base alla condanna riportata ed al tipo

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di reato, venivano ripartiti nelle varie diramazioni. All’ingresso del carcere , venivano sottoposti ad una visita sanitaria; solo il medico poteva disporre l’isolamento dell’individuo, così come poteva stabilire di metterlo nel letto di “contenzione”, nel quale doveva rimanere supino e dove gli venivano bloccati gli arti con appositi anelli, per consentire un accurato controllo; il medico aveva inoltre il compito di redigere il diario clinico. Successivamente affrontavano il colloquio con lo psicologo e l’assistente sociale. Tutti i detenuti che soggiornavano all’Asinara venivano trattati allo stesso modo, senza preferenze e quelli considerati “buoni” avevano la possibilità di lavorare all’interno del carcere, come ad esempio nelle cucine o nelle foresterie. Ognuno poteva usufruire del “sopravitto”, ovvero una quota da poter spendere all’interno dell’isola per acquistare libri e qualsiasi oggetto che avesse uno scopo culturale. Tale quota veniva stabilita dal Ministero di Grazia e Giustizia e ad esempio, nel 1985, non poteva superare le 350.000 lire mensili. La Colonia Penale Agricola, che divenne successivamente Casa di Reclusione, ossia luogo di soggiorno per i detenuti con condanna definitiva, era organizzata in diversi insediamenti residenziali, denominati “diramazioni” o “distaccamenti”. Ogni diramazione era una sorta di

piccolo carcere, costituito dai dormitori per i detenuti, dalla caserma e alloggi per le guardie e dalle stalle per il ricovero degli animali. Le varie diramazioni erano dislocate in tutto il territorio dell’isola. A Fornelli era ubicato il carcere di massima sicurezza, ampliato alla fine dell’ottocento e utilizzato come tubercolario durante la seconda guerra mondiale. Gli anni del carcere di massima sicurezza iniziarono il 25 giugno 1971 con l’arrivo di 15 mafiosi, ai quali, nel mese di settembre, se ne aggiunsero altri 18. Con il passare degli anni il numero dei criminali aumentava sempre più e così i reclusi iniziarono ad essere destinati ad altre diramazioni e solo quelli più pericolosi restavano a Fornelli. La sera del 2 ottobre del 1977 vi fu una ribellione molto violenta che venne sedata solo il giorno successivo. La struttura venne così rinforzata con nuove sbarre alle finestre ed alle porte, molto più robuste e sicure rispetto alle precedenti; venne ricostruita la volta ed anche il pavimento. Venne posta un’asta per bloccare la porta che dava l’accesso al cortile per


penitenziari storici “l’ora d’aria” e che consentiva l’ingresso dei detenuti solo uno alla volta ed inoltre, onde evitare contatti tra le stesse persone, di volta in volta veniva cambiata la provenienza di cella, ciascuna delle quali ospitava al massimo due individui. I corridoi, i cortili, nonché i punti più nevralgici delle aree più frequentate, venivano sorvegliati con dei sistemi di telecamere; vi era anche un circuito elettronico esterno, costruito su una recinzione molto vasta ma poi, a causa delle frequenti intrusioni da parte di animali selvatici, venne disabilitato. Nel 1983 soggiornò nell’isola anche Raffaele Cutolo, appartenente alla Nuova Camorra Organizzata. In quel periodo i detenuti venivano suddivisi nelle carceri anche a seconda della “famiglia” di appartenenza: quelli che stavano dalla sua parte e quelli contro, questi ultimi appartenevano alla così detta “Nuova Famiglia” Santa Maria è stata una delle diramazioni più recenti e moderne; qui veniva praticata l’agricoltura utilizzando gli aratri a trazione animale; venivano allevati cavalli, maiali, capre e vitelli. Questa diramazione veniva anche denominata “legione straniera” perché il 95% dei detenuti erano stranieri, provenienti da tutto il mondo, algerini, peruviani, portoricani, egiziani, iracheni, tutti incriminati per spaccio di sostanze stupefacenti. A Tumbarino, in un’area priva di terreni coltivabili, si ospitavano 10-15 detenuti che avevano il compito di fare provviste di legna e carbone. Qui soggiornavano detenuti con pene molto elevate, persone condannate soprattutto per violenza carnale, i così detti “mangiabambini”, cioè i condannati per pedofilia ed altri crimini a sfondo sessuale. La diramazione di Stretti nacque intorno agli anni ’20; aveva vocazione agricola e vennero utilizzate le strutture realizzate dall’Amministrazione Militare. Ebbe vita fino agli anni ’60, fu poi abbandonata a causa delle avversità meteorologiche e dei forti venti che colpiscono questa parte dell’isola.

Campu Perdu fu istituito dopo il primo conflitto mondiale, riutilizzando le strutture già esistenti e di appartenenza dell’Amministrazione Militare, furono allestite delle stalle molto moderne con lo scopo di sfruttare i terreni limitrofi molto fertili. Campo Faro venne realizzata nei primi anni del novecento, accanto al cimitero italiano. Il distaccamento di Trabuccato fu istituito dopo la prima guerra mondiale e qui venivano mandati i detenuti pericolosi, ma non come quelli che soggiornavano a Fornelli, vi erano inoltre detenuti con pene meno gravi e sconsegnati, che coltivavano una vigna di circa 5 ha; qui le celle, come anche a Campu Perdu, potevano ospitare 10-15 persone ma nei periodi di massima affluenza, con l’utilizzo di letti a castello, vi potevano soggiornare anche 30 detenuti. Nel villaggio di Cala d’Oliva si trovavano la direzione del carcere, gli alloggi degli impiegati, la chiesa, la scuola e la diramazione denominata centrale. Quest’ultima è stata realizzata nei primi anni del secolo scorso come struttura di alloggio per i carcerati della colonia penale. Nel corso degli anni sono stati effettuati numerosi interventi di ampliamento e ristrutturazione, in relazione all’utilizzo del carcere. Inoltre vanno ricordate le piccole diramazioni di Case Bianche ed Elighe Mannu che permisero di avviare l’attività della Casa di Lavoro, con cui poté iniziare l’opera di consolidamento post-bellica. A Case Bianche i detenuti erano prevalentemente pastori e venivano denominati “sconsegnati” in quanto non erano sottoposti ad una vigilanza continua. A questi, veniva dato il “vitto in natura”, ossia delle provviste settimanali, poiché dovendo controllare il bestiame non potevano rispettare gli orari della mensa e a volte rimanevano a dormire in apposite strutture situate in prossimità del luogo di lavoro. Successivamente, venne utilizzato anche il “bunker” di Cala D’Oliva, un ulteriore distaccamento creato agli

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inizi degli anni ’80. Era composto da poche celle di sicurezza, una delle quali ospitò Totò Riina ★

Nelle foto immagini e personaggi del carcere dell’Asinara

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30 a cura di Erremme rivista@sappe.it

le recensioni Carlo Galli

ABBICCI’ DELLA CRONACA POLITICA IL MULINO Edizioni pagg. 132 - euro 12,00

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arole, parole, parole... Dai giornali, dalla radio, dalla televisione e, in ultimo, anche dai social network come facebook e twitter un ininterrotto profluvio di parole arriva ogni giorno all’orecchio di ciascuno di noi per riversarsi, come indistinto, nelle conversazioni e nelle mille chiacchiere che popolano la nostra quotidianità. A volte si tratta di parole dalla vita breve, che passano di moda con la stessa rapidità con cui si sono imposte alla nostra attenzione, per far posto ai nuovi termini assurti all’onore della cronaca. E allora il rischio costante è che di tale flusso comunicativo vada smarrito il senso più autentico. A tale pericolo rimedia qui Carlo Galli, studioso e acuto osservatore della politica, che sceglie, spiega e restituisce il senso proprio a un ampio numero delle parole più presenti nella cronaca del nostro tempo (antagonismo, bipolarismo, cittadinanza e via di questo passo), fornendo al lettore un valido

strumento di navigazione per orientarsi nel mare magnum dell’attualità politica.

J. Patterson - M. Paetro

LA CERIMONIA LONGANESI Edizioni pagg. 311 - euro 16,40

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ircondata dalle inseparabili amiche - le Donne del Club Omicidi - la detective Lindsay Boxer ha finalmente coronato il suo sogno d’amore, sposando l’agente dell’FBI Joe Molinari. L’eco della marcia nuziale si è appena spenta che già Lindsay deve tornare al suo difficile lavoro, perché un caso delicato richiede tutta la sua esperienza di investigatrice e di donna. È stata ritrovata un’adolescente in fin di vita: dai primi accertamenti è chiaro che ha partorito da poco, ma lei non ha alcuna intenzione di dire che cosa è stato del bambino né chi sia il padre. Mentre menzogne e false piste si sovrappongono. Lindsay cerca la verità, soprattutto per salvare la vita del neonato scomparso. Anche per il procuratore Yuki Castellano c’è un caso difficile, nel quale si gioca la carriera. Yuki rappresenta la pubblica accusa nel processo contro la dottoressa Candace Martin, imputata per l’omicidio del marito. Yuki è certa della sua colpevolezza, ma il processo riserverà più di un colpo di scena... Per fortuna c’è sempre il momento in cui le quattro amiche possono ritrovarsi da Susie’s per un margarita e qualche tacos, per parlare di lavoro e di uomini, di problemi e di sogni e trovare insieme una soluzione ai difficili casi che le impegnano. Perché la loro forza sta nella loro straordinaria amicizia.

T. Boeri - S. Levi

PARLERO’ SOLO DI CALCIO IL MULINO Edizioni pagg. 108 - euro 10,00

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n mondo che esclude i giovani talenti, inquinato dal potere mediatico e dalla corruzione, oberato dai debiti «Lo sport più amato dagli italiani è una metafora di problemi più generali che affliggono l’Italia? Risponderò come nei titoli di testa dei film: ogni riferimento a mali italici realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti al di fuori del mondo del calcio è da ritenersi puramente casuale. Oggi parlerò solo di calcio».

R. Cantone - G. Di Feo

FOOTBALL CLAN. Perchè il calcio è diventato lo sport più amato dalle mafie RIZZOLI Edizioni pagg. 282 - euro 17,00

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l calcio è un affare. E dove girano i soldi, le mafie allungano i tentacoli. Partite combinate e scommesse clandestine in combutta con le centrali asiatiche del gioco online, racket a bordo campo, merchandising tarocco, appalti sui nuovi stadi sono solo alcune voci di un bilancio miliardario. E molto sporco. Ma non è solo una questione di denaro: il football è anche potere. I clan acquistano squadre per comprare il consenso, per sedersi in tribuna e stringere mani importanti; attingono manovalanza dai vivai giovanili e usano gli ultras come massa di manovra per tenere le città sotto scacco. E intanto le arene si svuotano e nel cuore di molti tifosi la passione viene scalzata da delusione e disgusto. Dalla scalata dei casalesi per conquistare la Lazio alle foto di Maradona e Hamsik usati come testimonial abbracciati a padrini; dalla cordata di riciclatori che stava acquistando la Roma al giro delle pizzerie-lavanderia di capitali criminali che aveva tra i soci Cannavaro e altri campioni. Dalla gita a Scampia di Balotelli alle frequentazioni malavitose di Sculli,


le recensioni dalle promozioni in cambio di bazooka nella Locride al sistemone ali inclusive della camorra stabiese, Cantone e Di Feo raccontano storie inquietanti e spesso inedite. Intrecciando in un’unica voce lo scrupolo del cronista e l’esperienza del magistrato, mettono a nudo i fatti ma anche le falle dei sistemi di controllo e di sanzione della giustizia sportiva (emanazione di un’associazione di privati ispirata a logiche di trattativa).

Gianni Simoni

IL FERRO DA STIRO. Un caso di Petri e Miceli TEA Edizioni pagg. 304 - euro 13,00

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rmai in odor di pensione, il commissario Miceli, tra una cena di commiato e le ultime consegne all’ispettrice Grazia Bruni; chiamata a succedergli, sarebbe felice di chiudere la carriera in tutta calma e serenità. L’ultima cosa che si aspetta a due settimane dal meritato riposo è che proprio il suo più caro amico, l’ex giudice Petri, gli piombi in ufficio con una rogna. Ma Petri, al contrario di Miceli, non perde occasione per inseguire il colpevole di turno, e questa volta il pretesto gli giunge davvero per caso: un ferro da stiro preso in prestito presso un elettricista, in sostituzione di quello guasto di sua moglie, sul quale spiccano alcune piccole macchioline rosse. Ruggine o sangue? Attraverso una rapida analisi della Scientifica, non è difficile avere la risposta: con quel ferro da stiro è stato colpito qualcuno, forse ucciso. Da qui prende l’avvio una complicata indagine per ricostruire a ritroso la strana storia di quel ferro da stiro e, soprattutto, dei suoi proprietari. È un caso di omicidio? Riusciranno i due a chiarire tutti gli aspetti di una vicenda intricata e dolorosa, prima che Miceli debba passare il testimone.

Alfio Caruso

LA BATTAGLIA DI STALINGRADO LONGANESI Edizioni pagg. 160 - euro 11,60

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talingrado (l’odierna Volgograd) fu teatro della più lunga e sanguinosa battaglia della seconda guerra mondiale, uno scontro che durò dall’estate del 1942 all’inverno del 1943. Il 22 novembre, per quasi trecentomila uomini della Wehrmacht e dei suoi alleati, chiusi in una sacca dalle armate sovietiche, iniziò un tragico conto alla rovescia. Il freddo, la fame, la sete, le malattie uccisero più tedeschi degli attacchi russi. La città divenne un incubo, un cumulo di macerie, un inferno: ogni ferita era a rischio d’infezione, la sopravvivenza una sfida quotidiana. Il 2 febbraio del 1943, contravvenendo all’ordine del Führer di resistere a ogni costo, si arresero in centoventimila: di questi solo seimila tornarono a casa dopo una lunga detenzione, durata per alcuni tredici anni.Dopo oltre cinque mesi di battaglie, il mattatoio contava più di un milione e mezzo tra morti e feriti, dall’una e l’altra parte. Dei 77 soldati italiani che avevano partecipato all’assedio se ne salvarono soltanto due. Con la sconfitta di Hitler e dei suoi eserciti nella battaglia di Stalingrado, ebbe finalmente inizio il cruento tracollo del Terzo Reich.

Sergio Rizzo

RAZZA STRACCIONA RIZZOLII Edizioni pagg. 270 - euro 17,00

C’

è il re delle cliniche romane che compra un ospedale da don Verzè e pochi mesi dopo lo rivende allo Stato guadagnandoci quasi il 20 per cento. C’è il “very powerful executive chairman” che fa precipitare le azioni della Telecom appena privatizzata e una decina d’anni dopo torna alla carica per rilanciare un marchio

automobilistico decotto grazie a improbabili investitori indiani, o forse cinesi, risultato: fallimento. C’è il finanziere amico dei politici che fa crac dopo aver intascato per sé e regalato ai figli decine di milioni della società quotata in borsa. C’è il tizio che risolve problemi, quello che conosce tutti, l’imprenditore turistico che ricicla i soldi dei boss, il faccendiere che era iscritto alla P2 in affari con un ex assessore di Cl... Insomma, la razza padrona degli anni Settanta si è trasformata nella razza stracciona di oggi. Intrecci pericolosi tra banche, fondazioni, assicurazioni e poteri pubblici locali e nazionali, connivenze tra controllori e controllati, meccanismi di selezione che premiano familiari e amici indipendentemente da meriti e capacità, una concezione distorta dell’impresa, incompatibile con le regole del capitalismo evoluto e moderno: sono solo alcuni dei vizi della nostra economia e della nostra società che Sergio Rizzo analizza in questo romanzo horror in forma di inchiesta. Non ci è rimasto molto tempo, per evitare che a finire in liquidazione sia tutta l’Italia. ★

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eravamo cosĂŹ

inviate le vostre foto a rivista@sappe.it

A destra 1989 - Festa del Corpo a Reggio Emilia presso la Basilica della Beata Vergine della Ghiara foto inviata da Ciro Marra

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Sopra:1984 Scuola Allievi AA.CC. Portici (NA) motocicista ad Ercolano foto inviata da Antonio Marotta

1983 - C.C. Regina Coeli, Roma il Direttore Generale Nicolò Amato e il Direttore dell’Istituto Santamaria foto inviata da Giovanni Passaro


eravamo così

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A sinistra: 1976 Inaugurazione dell’Anno Giudiziario al Tribunale di Trieste foto inviata da Pietro Milazzo

Sopra: 1978 Scuola Allievi AA.CC. Cassino (FR) al poligono di tiro foto inviata da Roberto Marrella

ERRATA CORRIGE La foto pubblicata a pag.31 del numero 199 scorso, inviata da Bernardino Corzani, è relativa alla Festa del Corpo della CC di Torino del 1970 e non di Palermo come erroneamente scritto. Ce ne scusiamo con i lettori e gli interessati. A destra: 1988 C.C. di Vasto (CH) Festa del Corpo foto inviata da Ettore Tomassi A sinistra: 1990 C.C. di Reggio Calabria visita di Papa Giovanni Paolo II foto inviata da Mario Bossone

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l’ultima pagina il mondo dell’appuntato Caputo Duecento!

1992•2012 VE N TI A NNI di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2012

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DA QUASSU’ SI VEDE PROPRIO TUTTO ... E BENE !

inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it




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