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anno XX • n. 202 • gennaio 2013 www.poliziapenitenziaria.it
Non vedo! Non parlo! Non sento!
sommario
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anno XX • numero 202 gennaio 2013 Per ulteriori approfondimenti visita il sito
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In copertina: La trojka del DAP: Pagano, Matone e Tamburino
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l’editoriale
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Rivoluzionare il sistema penitenziario La sfida per il nuovo Parlamento di Donato Capece
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
il pulpito
Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
La trojka del DAP Non vedo! Non parlo! Non sento! di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
il commento 6
di Roberto Martinelli
Redazione politica: Giovanni Battista Durante
osservatorio politico
Redazione sportiva: Lady Oscar Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2013 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
di Giovanni Battista Durante
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storia del corpo
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669
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Agenti di Custodia nobili antenati della Polizia Penitenziaria - 2ª parte
e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it
di Giuseppe Romano
lo sport
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Le FiammeAzzurre diventano d’oro nel nuoto
Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994
di Lady Oscar
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)
crimini e criminali
Finito di stampare: gennaio 2013
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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L’istituzione della banca dati del DNA e del laboratorio centrale
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2012: cos’è successo alla giustizia?
Redazione cronaca: Umberto Vitale
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
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Il giardino degli orrori
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di Pasquale Salemme
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
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l’editoriale
Rivoluzionare il sistema penitenziario: la sfida per il nuovo Parlamento sette detenuti che hanno presentato ricorso per il sovraffollamento nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza hanno diritto a un risarcimento da parte dello Stato di 99600 euro per danni non materiali: lo ha deciso negli scorsi giorni la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con una sentenza che ha provocato ovviamente molte reazioni. Quattro dei sette detenuti avranno inoltre diritto a un risarcimento di 1.500 euro ciascuno per il rimborso delle spese del procedimento. La Corte ha definito la situazione intollerabile delle carceri italiane di carattere “strutturale e sistemico”. La decisione ha suscitato, come detto, forti reazioni, a cominciare da quella del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che tante volte, negli ultimi mesi, ha lanciato l’allarme sull’emergenza carceri. «La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – ha affermato il Presidente - rappresenta un nuovo grave richiamo» per l’Italia ed è «una mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena». Infatti «il Parlamento avrebbe potuto, ancora alla vigilia dello scioglimento delle Camere, assumere decisioni, e purtroppo non l’ha fatto». Ora – è stato il monito del Capo dello Stato- il confronto su questo punto deve essere una priorità per le forze politiche che «concorreranno alle elezioni del nuovo Parlamento così da essere poi rimessa alle Camere per deliberazioni rapide ed efficaci». «Avvilita ma non stupita» dalla decisione della Corte il Ministro della Giustizia Paola Severino, che ben conosce la situazione ed è convinta che servano misure strutturali. E se c’è, da parte sua, la
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soddisfazione per i risultati raggiunti con il decreto salva-carceri, varato a inizio mandato, che ha fatto scendere la popolazione carceraria dalle oltre 68mila unità del 2011 alle attuali 65.725 (poca roba e nulla di efficace e strutturale, comunque…), c’è l’«amarezza» per l’iter del DDL sulle misure alternative al carcere, un testo che andava nella «direzione indicata da Strasburgo» e rappresentava il vero snodo per cambiare rotta, ma è stato stoppato al Senato quando ormai la legislatura era agli sgoccioli dopo l’ampia maggioranza ottenuta alla Camera. Da parte nostra prendiamo atto che la Corte europea dei diritti umani ha rinnovato l’invito all’Italia a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la Convenzione dell’Unione Europea. Ma non sono degradanti le carceri di Busto Arsizio e Piacenza, dove anzi il Personale di Polizia Penitenziaria svolge ogni giorno un importante servizio di professionalità ed umanità: è l’intero sistema penitenziario al collasso, anche per le incapacità politiche ed istituzionali a risolvere il grave problema del sovraffollamento. Anche per questo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, manifesterà a Roma il prossimo 23 gennaio davanti alla sede del DAP. Lo diciamo da tempo: l’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, intende fornire il proprio costruttivo contributo. Non avere dato seguito al DDL sulle pene alternative in carcere indica quale diffuso disinteresse hanno le criticità penitenziarie in Parlamento.
Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverò un provvedimento tampone inefficace. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro: lo conferma una volta di più la sentenza della Corte europea dei diritti umani. I poliziotti e le poliziotte penitenziarie nel biennio 2011 e 2012 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita ad oltre duemila detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che oltre 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Hanno fronteggiato oltre 1.500 episodi di aggressione e circa 8.000 colluttazioni. Ad avviso del SAPPE, Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria, si deve potenziare maggiormente il ricorso alle misure alternative alla detenzione, espellere i detenuti stranieri e favorire nuovi circuiti penitenziari, che ad esempio permettano ai tantissimi tossicodipendenti oggi in cella di espiare la pena nelle comunità di recupero controllati dalla Polizia Penitenziaria. Avranno coraggio, il nuovo Parlamento ed il prossimo Governo che sarà chiamato a guidare il Paese, di affrontare concretamente e con soluzioni efficaci i problemi del sistema penitenziario? H
il pulpito on vedo, non parlo, non sento. Con questa metafora si potrebbe riassumere tutto il 2012: un anno di gestione Tamburino a capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. In particolare, prendendo in considerazione la trojka che ha “governato” l’amministrazione penitenziaria nel 2012, potremmo dire (come abbiamo riassunto in copertina) che il presidente Tamburino “non sente”, il suo vice vicario Simonetta Matone “non parla” e l’altro vice Luigi Pagano “non vede”. Facile, facilissimo, intuire le ragioni di questa disamina. In primis, più che evidente il fatto che il dott. Tamburino non sente e non vuole sentire nessuno. Il suo modo di interpretare l’incarico di capo del dap è stato, appunto (come abbiamo già avuto modo di dire), quello alla Marchese del Grillo, in altre parole: “io me la canto e io me la suono” ... Indicativo in tal senso il suo ragionamento, ripetuto più volte in convegni e riunioni sindacali ed altrettante volte affidato alle agenzie, secondo il quale “...le riforme vanno avanti comunque, in virtù della loro portata innovatrice e a prescindere dalle resistenze e dalle opposizioni di chicchessia!” Che, tradotto in un linguaggio più alla nostra portata, suona più o meno così: “...io faccio quello che cavolo mi pare perché sono onnisciente ed onnipotente!” Chissà se il dott. Tamburino conosce Il Paradosso dell’onnipotenza e dell’onniscienza, quello che sostiene che Dio, in quanto onnisciente, conosce il futuro e, quindi, sa che farà una certa azione anche tra mille anni ma allo stesso tempo, trascorsi mille anni, Dio non può decidere di non fare quella azione o di compierne un’altra differente e quindi non è onnipotente. Ma, purtroppo, come abbiamo visto nell’immagine di copertina, il Presidente Tamburino “non sente”. In secundis, il vice capo vicario, l’ingombrante e altrimenti loquacissima dott.ssa Simonetta Matone, non parla (e non prende
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La trojka del DAP Non vedo! Non parlo! Non sento! posizione) su nessunissima questione. Il suo modo di interpretare l’incarico di vice capo vicario del dap sembra quello dello scrutatore non votante di Bersani (non il segretario del PD, ma Samuele, il cantante), riassumibile nell’assunto “ma chi me lo fa fare!” Che, tradotto in un linguaggio più alla nostra portata, suona più o meno così: “...visto che nessuno mi riconosce i meriti, chi me lo fa fare di risolvere i problemi agli altri?” La dott.ssa Matone sembra la protagonista del Terzo paradosso di Zenone, quello della freccia che appare in movimento ma, in realtà, è immobile perché, occupando in ogni istante solo uno spazio che è pari a quello della sua lunghezza e poiché il tempo in cui la freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi. Infatti, come vediamo nell’immagine di copertina, la presidente Matone “non parla”. In tertiis, il vice capo del dap dott. Pagano continua ad immaginare un mondo penitenziario tutto suo e non vede la situazione reale delle carceri. Il suo modo di interpretare l’incarico di vice capo del dap è stato, appunto, quello alla vedo solo quello che voglio vedere, perché, come diceva Sciascia, “quello che non sappiamo non è”. Tutto ciò, tradotto in un linguaggio più alla nostra portata, suona più o meno così: “ ...io conosco solo la realtà di Milano Bollate, lì c’è un regime penitenziario che funziona e quindi non ne voglio vedere altri!” In effetti, la cecità del dott. Pagano ci ricorda un po’ Il mito della caverna di Platone, quello che racconta di uomini sempre vissuti dentro una caverna, i quali conoscono il mondo esterno solo attraverso l’eco delle voci e le ombre proiettate all’interno della grotta e, non avendo potuto vedere
Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
altro, pensano che quella sia la realtà. Questo, nell’immagine di copertina, ci ha fatto raffigurare il dott. Pagano che“non vede”. Tuttavia, pur in questa situazione di “non vedo, non parlo e non sento” che avrebbe dovuto cristallizzare il dap nell’immobilismo più assoluto, nel 2012 si sono verificate tante e tali sciagure da farmi ritenere che “La gestione Tamburino” dell’amministrazione penitenziaria sia stata una delle peggiori in assoluto dalla riforma del 1990,
penultima, forse, soltanto a quella altrettanto discutibile del dott. Alessandro Margara (casualmente un altro Magistrato di Sorveglianza). Tra l’altro, per la serie le disgrazie non vengono mai da sole, la gestione del pres. Tamburino è stata anche caratterizzata da una classe dirigente – al dap - piuttosto mediocre, che sembra stata scelta per particolari doti di inesperienza ed inadeguatezza. Comunque non disperiamo, fra poco più di un mese ci sono le elezioni e, se siamo sopravvissuti alla profezia dei Maya, sopravvivremo anche a questa malaugurata gestione Tamburino... H
L’illustrazione di copertina che raffigura Matone, Tamburino e Pagano
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nella foto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Ministro della Giustizia Paola Severino all’Annuale del Corpo 2012
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il commento
2012: cos’è successo alla giustizia?
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uando un anno termina, è quasi un obbligo trarre un bilancio sulle cose fatte e da fare. Proviamo a ripercorrere i dodici mesi del 2012 in relazione ai temi che più ci interessano, quelli della giustizia. Un anno, quello concluso, che ha visto l’impegno tenace della ministro, Paola Severino, prima donna Guardasigilli nella storia della Repubblica, spesso chiamata a mediare tra i partiti della ‘strana maggioranza’ che ha sostenuto il governo dei tecnici, spesso su posizioni contrastanti su una materia tradizionalmente oggetto di scontro politico.
Va detto che i due grandi temi che più di altri hanno incentrato l’agenda della Giustizia sono stati gli interventi per l’emergenza delle carceri e lotta alla corruzione, passando per la revisione della geografia giudiziaria, che ridisegna un assetto risalente all’800. Quello per le carceri, in particolare è stato un impegno assunto con forza dal ministro, fin dal suo insediamento, anche se la situazione di sovraffollamento resta intollerabile e scandalosa. E l’anno si apre e si chiude con due provvedimenti pensati per ridurre il sovraffollamento: uno approvato a gennaio, quel decreto ‘salva carceri’ che è stato il primo atto legislativo del governo, l’altro, il DDL sulle misure alternative, stoppato in Senato a un passo dall’approvazione, dopo il sì alla Camera a larghissima maggioranza, ‘vittima’ dei sussulti
politici di fine legislatura. Ma andiamo con ordine, ripercorrendo il 2012 ed i temi della giustizia dibattuti nel corso dell’anno. 20 gennaio: la nuova bozza del decreto sulle liberalizzazioni, varato dal Consiglio dei ministri, prevede, tra le altre norme in tema di giustizia, la costituzione del Tribunale delle imprese. Un tribunale specializzato, che dovrebbe assicurare maggiore celerità nei processi che vedono come protagoniste le imprese. Previsti anche l’abrogazione delle tariffe professionali e la facoltà per il cliente di chiedere un preventivo al suo legale, la semplificazione dell’accesso dei giovani all’esercizio della professione con la possibilità di svolgere il tirocinio già durante l’ultimo biennio di studi, l’incremento del numero dei notai nell’ordine di 500 nuovi professionisti e concorrenza nei distretti. 24 gennaio: con 226 voti favorevoli, 8 astenuti e 40 contrari, l’Assemblea del Senato approva il disegno di legge di conversione del decreto sulle carceri, varato dal consiglio dei ministri . Il testo passa all’esame della Camera. 14 febbraio: il decreto carceri è legge. La Camera approva infatti in via definitiva la conversione in legge con 385 voti favorevoli, 105 contrari e 26 astenuti. Dall’approvazione in consiglio dei ministri il 16 dicembre 2011, al sì di Palazzo Madama il 25 gennaio fino al via libera, un iter contrastato che ha portato il governo a chiedere la fiducia, per superare l’ostruzionismo pesante della Lega, e che ha visto una serie di interventi che lo hanno modificato rispetto alla formulazione originaria del governo. Non ‘svuota’ ma ‘salva carceri’, nelle intenzioni del ministro, il decreto introduce, tra l’altro, il ricorso prima ai domiciliari, in seconda istanza alle camere di sicurezza e solo in maniera residuale al carcere, per gli arrestati in flagranza per reati di competenza del giudice monocratico con rito
direttissimo (tranne furto in appartamento, scippo, rapina ed estorsione semplici), in attesa dell’udienza di convalida che si svolge, entro 48 ore e non più 96, nel luogo in cui l’arrestato è custodito, esclusi i casi di custodia presso il domicilio; il prolungamento da 12 a 18 mesi del fine pena che si può scontare ai domiciliari, e la chiusura, entro il 31 marzo del 2013, degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Immediate le polemiche, che costringono il guardasigilli a fare chiarezza sul merito e gli intenti delle nuove norme: “Il decreto non è ne’ un indulto mascherato, ne’ una resa dello Stato alla delinquenza”. Nei mesi successivi, Severino ricorderà i risultati del provvedimento sul fenomeno delle cosiddette ‘porte girevoli’, la permanenza in carcere per pochi giorni di detenuti in attesa di giudizio: si è ridotto, sono gli ultimi dati, dal 27 al 13% sul totale degli ingressi. Ma la realtà è che l’impatto di questa legge non ha cambiato lo stato del sistema, restando la complessa situazione penitenziaria italiana semplicemente scandalosa. Non è cambiato praticamente nulla. 9 marzo 2012: il consiglio dei Ministri approva un disegno di legge che contiene disposizioni in materia di usura ed estorsione, e di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Il provvedimento, presentato dal ministro Severino, introduce un meccanismo di estinzione regolata delle obbligazioni del soggetto sovraindebitato, anche persona fisica, che non può essere sottoposto alle vigenti procedure concorsuali. Obiettivo delle nuove norme la deflazionare del contenzioso in sede civile che deriva dall’attività di recupero forzoso dei crediti. 23 marzo 2012: arriva la Carta dei diritti e doveri del detenuto e dell’internato. Su proposta del ministro della Giustizia, in concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, il Consiglio dei Ministri approva alcune modifiche al regolamento sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà. La ‘Carta’, il cui contenuto sarà in seguito definito da un decreto, ha lo scopo di consentire al detenuto un esercizio più completo dei propri
il commento diritti. Conterrà dunque l’indicazione dei principi sul rispetto della dignità della persona, le disposizioni in materia di vestiario, igiene personale, alimentazione, permanenza all’aperto, provvedimenti disciplinari e misure alternative alla detenzione. Sarà consegnata ai detenuti e degli internati, e portata a conoscenza dei loro familiari. 25 maggio 2012: il Consiglio dei ministri vara lo schema di decreto legislativo che integra il Codice delle leggi antimafia . Al primo punto del decreto c’è l’immediata entrata in vigore delle nuove norme sulla documentazione antimafia, al secondo l’ampliamento dell’area dei controlli e delle situazioni ‘indizianti’. Vengono estesi i casi di controlli antimafia anche ai membri del collegio sindacale e degli organismi interni destinati a vigilare sul rispetto dei modelli comportamentali delle imprese. Terzo punto della strategia, ‘’la circolazione delle interdittive antimafia’’. Infine, è il quarto punto del percorso, ‘’attuazione del processo di decertificazione’’. 14 giugno 2012: dopo tre giorni di serrato dibattito, l’aula della Camera approva il disegno di legge anti corruzione. E’ il primo passo di un cammino tormentato, che sarà caratterizzato da continue battute d’arresto. Il provvedimento, che torna all’esame del Senato per l’ok definitivo, passa con 354 voti favorevoli, 25 contrari e 102 astenuti. 15 giugno 2012 - Sono quattro i punti che riguardano la Giustizia nel decreto Sviluppo, varato dal Consiglio dei ministri: il primo è la modifica della legge Pinto, con l’introduzione dell’entità di equa riparazione in caso di un processo di durata eccessiva. Il secondo e il terzo punto riguardano rispettivamente l’introduzione di un filtro alla possibilità di proporre ricorsi in appello in sede civile e le misure anti fallimento che consentono alle aziende colpite dalla crisi la possibilità di ricorrere al concordato preventivo anzichè l’obbligo della dichiarazione di fallimento. Infine il quarto punto prevede la concentrazione, in caso di difficoltà economica, in un’unica sede delle attività della Scuola della Magistratura. 21 giugno 2012: la Camera ratifica le convenzioni, penale e civile, sulla corruzione di Strasburgo
il 27 gennaio 1999. Via libera quasi all’unanimità ai due provvedimenti: il primo ha ricevuto 441 sì e 3 astenuti; il secondo 424 sì e 1 astenuto. 3 agosto 2012: il Consiglio dei Ministri approva il regolamento governativo di attuazione della delega sulla riforma degli ordinamenti professionali presentato dal ministro Severino. Garantito il principio dell’accesso alla professione libero e non discriminatorio e quelli dell’effettività del tirocinio e dell’obbligo di formazione continua permanente del professionista. E’ poi stabilito l’obbligo di assicurazione del professionista a tutela del cliente e regolata la libertà di pubblicità informativa relativa all’attività professionale. Infine, sempre in attuazione della delega, è fissato il principio della separazione tra gli organi disciplinari e gli organi amministrativi nell’autogoverno degli ordini. 10 agosto 2012. Cambia la geografia giudiziaria del Paese: circa mille nel complesso gli uffici giudiziari tagliati con il via libera definitivo del Consiglio dei ministri al decreto legislativo di revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Il governo, tenuto conto dei pareri delle Commissioni giustizia di Camera e Senato nonchè di quello reso dal Consiglio superiore della magistratura, ha licenziato il testo finale del provvedimento, modificato rispetto a quello che era stato approvato il 6 luglio, e aveva provocato una vera e propria rivolta in molte delle sedi soppresse. La versione definitiva del decreto prevede: la soppressione di tutte le 220 sedi distaccate, la riduzione e l’accorpamento di 31 tribunali e di 31 procure. Rispetto allo schema di decreto approvato il 6 luglio, il Governo decide di mantenere i presidi giudiziari nelle aree ad alta infiltrazione di criminalità organizzata (Caltagirone e Sciacca in Sicilia; Castrovillari, cui sarà accorpato il tribunale di Rossano, Lamezia Terme e Paola in Calabria; Cassino, cui sarà accorpata la sezione distaccata di Gaeta nel Lazio) e di dotare di un ufficio di Procura anche il Tribunale di Napoli nord. Prevista ancora la soppressione di 667 uffici di giudici di pace, mantenendo, rispetto alla
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previsione iniziale, un giudice di prossimità in sette isole (Ischia, Capri, Lipari, Elba, La Maddalena, Procida, Pantelleria) in modo da consentire anche l’eventuale deposito di atti urgenti in casi di irraggiungibilità dalla terraferma. Nel testo anche la ridistribuzione sul territorio del personale amministrativo e dei magistrati restanti, per i quali non sono previsti esuberi ne’ mobilità. 31 ottobre 2012: approvazione definitiva del DDL anticorruzione. Il testo, licenziato il 17 al Senato con la fiducia al maxiemendamento presentato dal governo, passa alla Camera con 480 voti favorevoli, 19 contrari e 25 astenuti. Il provvedimento aveva incassato il giorno prima il voto di fiducia. Contraria l’Italia dei Valori, mentre la Lega, che aveva votato no alla fiducia, vota a favore. Astenuti i radicali e Alfredo Mantovano (Pdl), in dissenso dal gruppo. La legge si
compone di una parte relativa alla prevenzione e una alla repressione. Per quanto riguarda la prima, è istituita una nuova Autorità nazionale anticorruzione, con compiti di controllo e indagine sulla pubblica amministrazione, oltre che di presentare relazioni annuali al Parlamento. Responsabili per la lotta contro la corruzione in tutti gli enti pubblici, nei quali è anche stabilita una ‘rotazione’ delle cariche nei settori più a rischio; e in ogni prefettura ci sarà una ‘white list’ delle aziende e dei fornitori di servizi non soggetti a infiltrazioni mafiose. Per la parte penale, viene sdoppiato il reato di concussione, prima punito con una pena da 4 a 12 anni: la concussione per costrizione, esercitata nei confronti del privato da parte del pubblico ufficiale, sarà punita con una pena da 6 a 12 anni; la concussione
Nelle foto Il Presidente Napolitano con il Ministro Severino e il Vice Presidente del CSM Vietti
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il commento per induzione sarà punita invece con pene da 3 a 8 anni. Introdotti due nuovi reati, il traffico di influenze illecite e corruzione tra privati, puniti con pene da 1 a 3 anni. Si prevedono poi aumenti di pena per i reati corruzione in atti giudiziari (da 3-8 anni a 4-10 anni). La corruzione per atto conforme a doveri d’ufficio viene sostituita dalla corruzione per l’esercizio della funzione, punita da 1 a 5 anni di carcere. Stretta per i magistrati fuori ruolo: stabilito a 10 anni il limite per gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici . 26 novembre: un voto a scrutinio segreto dell’Aula di Palazzo Madama boccia l’articolo 1 del DDL sulla Diffamazione a mezzo stampa, affossando di fatto il provvedimento ripescato a seguito della condanna definitiva a 14 mesi per il direttore del ‘Giornale’ Alessandro Sallusti. Subito la politica mobilita, per eliminare la sanzione del carcere.
Nella foto Ancora il Presidente Napolitano e il Ministro Severino alla inaugrazione dell’Anno giudiziario
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Ma il provvedimento ha un iter complesso e controverso: prima, alla ripresa dell’esame da parte dell’Aula, il ripristino, votato a scrutinio segreto, del carcere (come pena di un anno, alternativa alla sanzione pecuniaria di 50mila euro) per i giornalisti condannati per diffamazione. Poi un emendamento del relatore Filippo Berselli (Pdl), che prevede per il direttore o il vicedirettore responsabile della testata, condannato per diffamazione, la sola pena pecuniaria, mentre per il giornalista il carcere fino a un anno, in alternativa alla sanzione pecuniaria. Emendamento bocciato dal governo, con un no per ragioni tecniche. Alla prova del voto il Senato blocca il DDL. Intanto Sallusti va ai domiciliari, poi Napolitano trasforma la pena in sanzione pecuniaria. 19 dicembre. Via al processo civile telematico per il Mezzogiorno, un
progetto del valore di 7,2 milioni di euro, per garantire tempi più brevi alla giustizia civile. Un sistema di gestione digitale del processo destinato a cambiare profondamente le attività degli uffici giudiziari in 8 Regioni del Sud, attraverso una riduzione dei tempi e dei costi e uno snellimento delle procedure. Un progetto che all’inizio riguarderà 80 tribunali e che sarà poi esteso agli uffici di tutto il Paese. 21 dicembre: con il via libera del Senato la riforma forense diventa legge. Il provvedimento, atteso dagli avvocati da circa 80 anni, interviene nei rapporti tra legale e cliente e stabilisce, tra l’altro, libertà nella determinazione del compenso, informando il cliente sulla complessità dell’incarico e sulle spese ipotizzabili e fornendogli, a richiesta, un preventivo. In caso di disaccordo, vengono in soccorso i parametri del ministero. All’avvocato rimane inoltre specifica competenza nella consulenza stragiudiziale. Via libera alle società di capitali tra avvocati ma senza il socio esterno, per garantire l’autonomia della prestazione professionale. Introdotto l’obbligo dell’iscrizione alla Cassa forense , dell’assicurazione per la responsabilità civile e della formazione continua. L’esercizio della professione dovrà essere effettivo e continuativo come condizione per la permanenza nell’albo. Arrivano anche le quote rosa nelle elezioni dei consigli dell’Ordine, del Cnf e dei Consigli distrettuali di disciplina. 21 dicembre. Sì alle liste pulite. Varato il decreto legislativo sull’incandidabilità dei condannati, che attua la delega al governo contenuta nella legge anticorruzione. Alle prossime elezioni, regionali e politiche, non potrà candidarsi chi ha una condanna definitiva a due anni per reati gravi, di mafia e terrorismo, contro la pubblica amministrazione e per delitti che comportano il carcere per oltre 4 anni. Questo, sostanzialmente, è quel che ha caratterizzato il mondo della giustizia nell’anno appena concluso. Va rilevato che non c’è stata alcuna riforma strutturale del sistema dell’esecuzione della pena, e questo è un dato estremamente negativo. Restano dunque tante, tantissime cose da fare. H
Il malefico Porcellum in pillole LA LEGGE Attualmente il nostro sistema elettorale è regolamentato dalla legge n.270 del 21.12.2005, voluta da Calderoli che non aveva esitato a definirla “una porcata” proprio perché il controllo completo delle operazioni è affidato alle segreterie dei partiti e non agli elettori. CRITERI Cardini della nuova legge sono: il “voto di lista”, la “soglia di
sbarramento”, il “premio di maggioranza”, l’abolizione dei collegi uninominali, la suddivisione dell’Italia in 26 “circoscrizioni elettorali”. LA SCHEDA All’elettore viene consegnata una scheda elettorale per la Camera ed una scheda per il Senato. CAMERA Sulla scheda sono riportati i simboli delle liste facenti capo ai singoli partiti o alle coalizioni di partiti della circoscrizione territoriale cui si appartiene. Il nome del leader riportato sul simbolo del partito non significa che quel leader, in caso di vittoria,diventerà Presidente del Consiglio, visto che tale incarico lo affida il Presidente della Repubblica.
società e cultura Piccola guida al sistema elettorale più antidemocratico della nostra Repubblica CANDIDATI I nomi dei candidati sono riportati in lista secondo un ordine assolutamente discrezionale voluto dalle segreterie dei partiti. Per conoscere chi sono i candidati e il loro ordine in lista, l’elettore può consultare il manifesto elettorale affisso all’esterno dei seggi. E’ chiaro che più il proprio nome scorre in basso sulla lista minore sono le possibilità di entrare in parlamento. Se infatti il Partito sa che,in base alle previsioni statistiche pregresse, in
quella circoscrizione eleggerà 10 deputati, è chiaro che metterà nei primi 10 posti i nomi di chi vuole siano assolutamente eletti (è quello che si dice “listino bloccato”). VOTO DI LISTA L’elettore manifesta la sua scelta barrando il simbolo del partito. Egli non esprime quindi alcuna “preferenza” per i candidati perché la lista è bloccata e predeterminata dai giochi di corridoio. L’elettore si limita a scegliere un partito. Gli eletti saranno certamente quelli che le segreterie avranno inserito tra i primi nomi della lista. SOGLIA DI SBARRAMENTO La soglia di sbarramento rappresenta il limite stabilito per consentire ad una lista di poter eleggere propri
candidati. La lista che partecipando da sola non ha raggiunto il 4% dei voti validi e le liste che partecipando in coalizione tra di loro non hanno raggiunto il 10% dei voti validi, vengono scartate. I voti ricevuti sono voti perduti. RIPARTO DEI SEGGI Il riparto dei 617 seggi alle liste che hanno superato la soglia di sbarramento si effettua su base nazionale e successivamente i seggi vengono distribuiti alle singole circoscrizioni in funzione dei voti ottenuti dalle singole liste partecipanti. Il calcolo avviene utilizzando calcoli matematici fondati sui “quozienti” e i “resti” per vedere se la lista che ha ottenuto il “maggior” numero di voti è riuscita da sola a conquistare almeno 340 seggi, pari al 55% dei seggi da assegnare. PREMIO DI MAGGIORANZA ED ELETTI PARACADUTATI Per vincere basta ricevere un voto in più del partito avversario. Infatti se nessuna lista ha avuto tanti voti da potersi aggiudicare da sola i 340 seggi, scatta il “premio di maggioranza”. Praticamente alla lista con il maggior numero di voti viene attribuita d’ufficio la differenza tra i seggi conquistati con i suoi voti e i 340 necessari per raggiungere il 55% dei seggi da assegnare. Se ad esempio il Partito X ha avuto un solo voto più di tutti gli altri ma con i suoi voti potrebbe aggiudicarsi 270 parlamentari, questo sistema elettorale – per quel voto in più che ha avuto - gliene attribuisce d’ufficio altri 70 per farlo arrivare a 340 parlamentari. I candidati dal 271° al 340°, “graziati” dal premio di maggioranza, vengono praticamente paracadutati in Parlamento indipendentemente dalla volontà degli elettori e solo per la fortuna/scelta di trovarsi nelle varie circoscrizioni italiane tra i primi posti della lista che ha avuto “più” voti (non la maggioranza assoluta dei voti) Le altre liste si suddivideranno, in funzione dei voti ottenuti, i rimanenti 277 seggi.
SENATO Per il Senato l’Italia è stata suddivisa in 20 circoscrizioni, una per ogni regione italiana. Anche per il Senato è previsto il Premio di maggioranza che viene attribuito però su base regionale, quindi alla lista che ha ottenuto più voti in quella singola regione. Le procedure di voto sono le stesse della Camera. L’elettore sceglie il partito e non esprime alcuna preferenza sui nomi, perché non previsto. L’inserimento in lista è fatto anche in questo caso dai partiti e l’elenco è consultabile sui manifesti elettorali. La soglia di sbarramento per il Senato è fissata per le liste singole all’8% e per le coalizioni di partiti al 20% dei voti validi della regione.
9 Aldo Maturo Avvocato già dirigente dell’Amministrazione penitenziaria avv.maturo@gmail.com
RIPARTO DEI SEGGI Eliminate le liste che non hanno
superato la soglia di sbarramento, si verifica che una coalizione o una lista abbia ottenuto da sola la quota del 55% dei seggi della regione. Se nessuno ha raggiunto tale quota, il resto dei seggi, fino alla concorrenza del 55%, viene attribuito d’ufficio alla coalizione o alla lista con il maggior numero di voti. Il rimanente 45% viene ripartito tra le altre coalizioni e/o liste. Valgono anche per il senato le considerazioni e le perplessità esposte per la Camera nel senso che il Premio di maggioranza falsa completamente la volontà dell’elettorato. In più, essendo il Premio di maggioranza variabile in ogni regione, non c’è certezza che la maggioranza dei seggi vada allo stesso partito/coalizione che ha avuto più seggi alla Camera. H
Nelle foto Manifesti elettorali e la deposizione della scheda nell’urna elettorale
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
Nella foto la struttura a doppia elica dell’acido desossiribonucleico (DNA)
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osservatorio politico
L’istituzione della banca dati del DNA e del laboratorio centrale Italia, con la legge 85/2009, ha aderito al Trattato di Prum, conclusosi il 27 maggio 2005 tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria.
L’
oltre 500 mila persone. In Spagna ha iniziato a funzionare nel 2007 ed è stata determinante nella risoluzione di circa 7500 casi. In Francia, dove è stata istituita nel 2001, sono stati raccolti più di un
Tale trattato prevede, oltre all’istituzione della banca dati delle impronte digitali e al registro di immatricolazione dei veicoli, l’istituzione della banca dati nazionale del DNA. La finalità dell’istituzione della banca dati nazionale del DNA è quella di facilitare l’identificazione degli autori dei delitti, nonché di favorire la cooperazione internazionale di polizia. Le potenzialità di tale strumento di indagine sono straordinarie; infatti, come dimostra il sistema inglese, che contiene ormai oltre 6 milioni di profili genetici, la banca dati del DNA è stata utile nel 42% dei casi esaminati. In Inghilterra la banca dati è stata creata nel 1995, in Germania nel 1998, sotto il governo di Helmut Kohl, e raccoglie il profilo genetico di
milione di profili genetici. Italia, Irlanda, Grecia, Cipro e Malta sono gli unici paesi dell’Unione europea a non avere la banca dati nazionale del DNA. Eppure, fin dal 2009, dal momento, cioè, in cui abbiamo aderito al Trattato di Prum, è previsto che il nostro Paese si doti di tale importante strumento di indagine. Il provvedimento prevede l’istituzione di una banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, e di un laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La separazione delle due strutture, luogo di raccolta e confronto dei profili del DNA, e luogo di estrazione
dei medesimi profili e di conservazione dei relativi campioni biologici, consente di mantenere un elevato livello di garanzie, evitando promiscuità che potrebbero essere da pregiudizio per la genuinità dei dati raccolti e analizzati. Per quanto riguarda i compiti, la banca dati nazionale provvede: • alla raccolta del profilo del DNA dei soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale; • alla raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali; • alla raccolta dei profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati; • al raffronto del DNA a fini di identificazione. Chi gestisce la banca dati ha anche il compito di procedere al raffronto del DNA a fini di identificazione. I compiti del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA sono: tipizzazione del profilo del DNA; conservazione dei relativi campioni biologici, dai quali vengono tipizzati i profili del DNA. Pertanto, il Dipartimento di pubblica sicurezza dovrà custodire solo i dati relativi ai profili del DNA, per la successiva consultazione, mentre il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha il compito di estrarre il profilo del DNA provvedendo, successivamente, a trasmetterlo per via informatica alla banca dati nazionale. I soggetti suoi quali si potrà agire per il prelievo delle sostanze biologiche sono: • coloro ai quali si applica la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari; • gli arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo, dopo la convalida del giudice;
il libro del mese • i detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo; • coloro ai quali si applica una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo; • coloro ai quali si applica, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva, per aver commesso un delitto punito nel massimo con almeno tre anni di reclusione. Il prelievo sarà possibile esclusivamente qualora nei confronti dei soggetti de quibus si proceda per delitti non colposi, per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza. E ’consentito anche il prelievo forzoso del DNA, cioè senza il consenso dell’interessato, di qualunque persona, anche non indagata; l’unica condizione è che, in relazione a delitti non colposi, la cui pena massima sia almeno 3 anni di reclusione, il giudice lo ritenga assolutamente necessario per l’accertamento dei fatti. Per garantire la tutela della privacy i profili del DNA sono resi anonimi attraverso sequenze alfanumeriche. Inoltre, l’accesso alla banca dati si configura di secondo livello, nel senso che la polizia giudiziaria e la stessa autorità giudiziaria dovranno prima richiedere di effettuare il confronto e, solo se esso è positivo, potranno essere autorizzate a conoscere il nominativo del soggetto, al quale il profilo appartiene. Tutte le attività concernenti i profili ed i campioni vengono registrate, così come viene registrato anche l’operatore che ha consultato la banca dati. Il profilo del DNA può essere conservato nella banca dati al massimo per 40 anni, il campione biologico per 20 anni. A tutt’oggi, purtroppo, la banca dati nazionale del DNA non esiste, così come non esiste il suo presupposto: il laboratorio centrale per la tipizzazione dei profili genetici che dovrebbero alimentarla. Il rischio maggiore di questo grave ritardo è di essere tagliati fuori dalla cooperazione internazionale europea. H
Benedetto Zucco
ERMETICO VIAGGIO ilmiolibro.it pagg. 52 - euro 12,00 ermetico viaggio e la prima raccolta di poesie che Benedetto Zucco pubblica e che io ho letto. La lettura per me è stata un “ermetico viaggio” in una poesia di non sempre facile comprensione, perché pregnante, densa di pensieri e di sentimenti ispirati dalla natura, da esperienze di vita, da meditazioni su di essi e sulla vicenda umana in generale. I componimenti, per lo più brevi, colgono in modo essenziale attimi di vita lievi come sospiri, lampi di ricordi, immagini della natura. Fra i temi della poesia, che sono vari, dominano il ricordo dell’infanzia e della madre precocemente perduta, il mare, il mistero della morte, l’inesplicabilità del reale, emozioni e pensieri ispirati dalla natura, dal ricordo di persone lontane nel tempo, da una considerazione amara degli uomini. L’infanzia è presente soprattutto come privazione: “di lontani ricordi - non dimenticati - che mente fuggiva sognando ...affetti sereni (Orizzonti); “l’incontro con lei è fantasia- immaginazione la voce il mio addio forse - sono attimi per credere - che il sobbalzo è vicino -l a ragione anche - mia madre non c’è” (Il bianco arredo di un incontro). La notte è sentita talvolta come mistero insondabile che conduce in un altrove fatto di luci (ermetico viaggio). Un conforto ad una vita sentita talvolta come vuoto e assenza viene dall’affetto della moglie e della figlia; “presente il faro - che clima diverso -mutò - in porto sicuro. La natura è presente nella maggior parte dei suoi componimenti: e il mare, con il quale l’autore ha un rapporto di felicità, appagante e consolatorio (il circo del silenzio) - il mare è “il mio
L’
amico Jonio” e “guarda con occhi azzurri” (Mediterraneo), il mare dove lavorano i pescatori, volano i gabbiani, dal mare arriva il ghibli, il mare con il suo faro ti indica una direzione, “l’unica speme a bussole folli”, e al mare è legato da un’empatia profonda (Calma piatta L’ascolto delle onde); è il cielo, con le sue variazioni di luce ed il buio, con l’alternarsi il sereno e di nubi. Preferisci, però, le atmosfere umbratili, la solarità è scarsa (intervallo di luce-no). La scarsa solarità, la presenza per le atmosfere crepuscolari si coniugano bene con la malinconia di fondo che è presente nella maggior parte dei componimenti. Gli uomini sono poco presenti nella sua poesia, ma sono sottintesi nel suo moralismo polemico che egli esprime non in modo diverso ma attraverso immagini della natura. Ho già detto che non è facile leggere la poesia di Zucco egli si firma con un linguaggio allusivo, spesso ermetico. Usa la parola in modo libero e molto personale, caricandola di valori semantici nuovi, per esempio “astratto”, “pretto” o usando vocaboli in modo nuovo quali: “il mosso” delle onde, il “piego” del timone (Calma piatta), “intonano” la riva (Sul tetto della luna). È innegabile che Zucco possiede una straordinaria capacità di versificazione e di esprimere in una poesia ermetica e a tratti impressionistica, quello che ha nel cuore e nella mente. H G.B.D. Benedetto Zucco, è un Assistente Capo della Polizia Penitenziaria in servizio presso la C.C. di Locri, nonchè delegato del S.A.P.Pe, appassionato di poesia.
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La copertina del libro di Benedetto Zucco
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storia del corpo
Agenti di Custodia nobili antenati della Polizia Penitenziaria Giuseppe Romano Comandante della C.C. di Trapani rivista@sappe.it
Seconda parte Se non conosciamo le nostre origini e la nostra storia non avremo mai consapevolezza di chi siamo veramente. Giuseppe Romano, Comandante della Casa Circondariale di Trapani e grande appassionato di storia penitenziaria ha scritto per noi una breve ricostruzione storica delle origini del Corpo degli Agenti di Custodia che pubblichiamo a puntate. rancesco Brancaccio di Carpino, giovane patriota palermitano, incarcerato a diverse riprese, negli anni 1859 e 1860, all’Ucciardone, affollato oltre che da delinquenti politici, pure da centinaia di liberali rivoluzionari, pubblicò nel 1901, a Napoli, un libro di ricordi dal titolo “Tre mesi nella Vicaria di Palermo” che oltre ad offrire uno spaccato interessante della vita carceraria, descrive tra l’altro alcuni custodi dell’epoca: “(…) peggiori sono i quattro aguzzini, che fanno a turno il servizio di sorveglianza nel corridoio. I loro nomi sono: Scarpinato, Campanella, Stancampiano e Marotta; i primi tre sono giovani, l’ultimo è un vecchio orrido a vedersi. Per la loro ferocia costoro appartengono più alla razza ferina che all’umana. Questi quattro manigoldi fa ribrezzo a guardarli; i loro occhi iniettati di sangue, i loro denti lerci, i loro sguardi feroci, i loro sorrisi sprezzanti, e le loro voci rauche e avvinazzate, tutto rivela in loro la lordura del corpo e dell’animo. E’ fuor di dubbio che i birri destinati al servizio delle prigioni, sono i peggiori della loro specie, né mal si apporrebbe chi asserisse che l’unico personaggio di modi cortesi ed affabili in questa accozzaglia di banditi, essere il boia Piddu Tinchi, mia
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Nella foto Agente di Custodia a cavallo Castiadas (CA), fine 1920 (inviata da Gustavo Garau)
Polizia Penitenziaria n.201 dicembre 2012
conoscenza del 1859 (…)” Il Conte Carlo Ilarione Petitti di Roreto, nel “Trattato della condizione attuale delle carceri e dei mezzi di migliorarla” del 1840 ( oltre a descrivere le impietose condizioni delle carceri del Regno Sardo (ambienti insalubri generati dalla mancanza di luce e dalla scarsa ventilazione, l’angustia dei luoghi e l’assenza dell’igiene degli ambienti e delle persone, la promiscuità tra giovani e anziani e l’intimità tra guardiani e condannate) da cui emerge un quadro “doloroso e spaventevole”, descrive anche i guardiani di quelle carceri come “persone di aspetto minaccioso e severo, assuefatte a stare con uomini di malaffare e a conoscere l’immoralità. Debbono (salvo poche eccezioni, che pur s’incontrano) avere il cuore chiuso a qualsiasi sentimento temperato e compassionevole, nate ed educate, come sempre furono al sospetto, alla durezza, al rigore. Quindi percorrendo le stanze vedrete questi custodi accompagnati da un feroce mastino, addestrato a scagliarsi sul primo detenuto che osasse resistere al ricevuto comando; sentirete imporre con voce tremenda ai prigionieri di stare ognuno seduto a piè del proprio letto, onde impedire che si accostino al guardiano prima ch’esso abbia usato le debite precauzioni”. La custodia, quindi, per gestire i detenuti utilizza metodi che offendono l’umanità, e per far questo, “i custodi sono scelti per lo più ineducati, talvolta anche duri oltremodo ed inaccessibili ad ogni idea caritativa, quando non sono brutali”. Passano gli anni e arrivano i primi giudizi sugli Agenti di Custodia (il
Corpo delle Guardie Carcerarie, istituito con regolamento del 1873, fu riformato dal Regio Decreto 6 luglio 1890 n.7011 che istituì il Corpo degli Agenti di Custodia).
Nella seduta della Camera dei Deputati del 18 marzo 1904, il deputato socialista Filippo Turati, pronunciò un drammatico atto d’accusa sulla situazione reale delle carceri, non risparmiando gli Agenti di Custodia, definiti dallo stesso “aguzzini dal dominio assoluto”, i quali, nelle carceri, sono i veri e soli padroni. Gli agenti – aguzzini, così sono descritti dal Turati: “mal pagati e con uno stipendio di 28 lire al mese, costretti a svolgere un lavoro ingrato,
storia del corpo diventano i veri padroni del carcere”. Ecco il profilo dell’agente di custodia fornito dal deputato socialista “costui intanto (non lo dico per fare del regionalismo, ma è una triste constatazione) è un meridionale quasi sempre, perchè è solo nelle regioni dove manca ogni industria che si può trovare chi sia disposto ad assumersi questo disagiato, antipatico, odioso mestiere; è un analfabeta o presso a poco, e soprattutto un irritato contro tutto e tutti, perchè la sua vita è la vita del detenuto (le guardie non possono uscire che due ore ogni due giorni) e come i detenuti, egli vive in un ambiente di diffidenza e di sospetto, continuamente spiato, punito, angariato, ond’è che il suo odio lo sfoga sul carcerato, il solo che non possa reagire”. Molto interessante, invece, è il ritratto dell’Agente di Custodia che offre un tal Mario Dumini, detto l’Eremita, più noto forse per essere il figlio di Amerigo Dumini, l’assassino di Giacomo Matteotti. Questi, che nel suo percorso ha svolto una lunga esperienza di volontariato nel carcere, rimase profondamente colpito dalla figura del secondino carcerario, tanto da iniziare una battaglia contro questo “mestiere”, svolto secondo i metodi attuali. Egli inquadra l’agente nella serie delle “persone che il religioso deve evitare: vi siete mai chiesti che razza d’uomo sia un agente di custodia? In attesa che vi facciate l’idea, frequentandolo come facciamo noi operatori sociali, ve lo dico io. Poi mi farete sapere se sono nel giusto. Quest’uomo è quello che se gli chiedi perchè fa quel lavoro equivoco, ti risponderà: «che male c’è?». E se gli dici che un vero cristiano non potrebbe fare certi lavori, lui invece che ribatterti con sincerità: «Ah, ma io sono cristiano (quindi mi è lecito)» si giustifica: «chiunque farebbe come me per una paga. Se il lavoro è onesto, che male c’è?» Avete capito il tipo? Secondo lui, basta dare ad un lavoro immorale il
timbro di “onesto”, ed ecco che esso diviene cristianamente o moralmente lecito”. Ma i giudizi sugli Agenti di Custodia rimangono gli stessi, anche durante gli anni ’60 e ’70; giudizi duri e severi, in molti casi dispregiativi. Sono gli anni della contestazione studentesca dove secondini, celerini e carabinieri vengono definiti servi dello Stato; ma anche delle rivolte nelle carceri fomentate in gran parte da detenuti politici che riversano un odio incontenibile nei confronti dei loro “aguzzini”: “i secondini avevano nei nostri riguardi un comportamento duro, arrogante, derisorio; quando li chiamavamo per qualsiasi bisogno facevano finta di non capire rispondendoci in dialetto” (1)
Ma ci sono anche persone che vanno a lavorare in carcere, come l’insegnante della Casa di Reclusione di Alessandria, professor Giacchiero, e disprezzano gli agenti: “a contatto con i detenuti non stanno degli specializzati ma dei falliti, che si cambiano d’abito appena finito il servizio perché hanno vergogna della loro divisa. Del resto basta vedere quanto guadagnano le guardie carcerarie, il titolo di studio richiesto, le zone da cui provengono (…) Fare un’analisi approfondita sull’agente di custodia non è facile. Prima di tutto perché non esistono studi a carattere sociologico, né del resto ad altri livelli, su questo particolare problema. Secondo perché quel poco che è stato detto in proposito (anche da sinistra)
sostanzialmente ricalca e avalla lo stereotipo del “secondino” sadico, cattivo, che picchia e malmena il detenuto. In terzo luogo perché l’agente di custodia non ha una configurazione precisa e definibile; il suo ruolo è ambiguo nella misura in cui finisce per assumerne altri tre, tutti diversi tra loro: quello del poliziotto, del militare, dell’educatore. Ed è proprio questa ambiguità di funzioni e di mansioni diverse, riassunte in uno stesso soggetto, che complica notevolmente la situazione.” Un altro insegnante, Piero Malvezzi, nel suo libro “Scuola in carcere” (Feltrinelli editore – Milano 1974) scritto dopo un periodo trascorso nel carcere di San Vittore di Milano così descrive gli Agenti di Custodia da lui conosciuti: “Dopo parecchi mesi di contatti settimanali con gli agenti di custodia, il giudizio che ho tratto è piuttosto sconsolante in rapporto alla preparazione, alla mentalità e al livello culturale. (…) Le guardie anziane, quasi tutte graduate, ricoprono i servizi meno gravosi; sono persone ormai da anni rotte ad una vita più passiva che attiva, dove, in certi casi, la sedia posta davanti o dietro una porta di ferro o ad un tavolo rimane la miglior compagna se affiancata dalla lettura di un quotidiano o di un settimanale (…) il contegno fiacco e trascurato – che fa rivivere la figura del vecchio soldato territoriale, poggia su componenti umane ben comprensibili: tra l’altro sembrerebbe ricompensare – per un’interna legge del contrappasso – l’ingratitudine burocratica per i modesti scatti di avanzamento che la carriera loro offre, dopo anni di duro servizio. Anche l’atteggiamento delle giovani guardie sembra poco entusiasta, stancamente dimesso, burocraticamente già aggredito dai vari problemi amministrativi relativi a turni, indennità ecc. (…) si tratta di elementi meridionali, ventenni/venticinquenni, con circoscritti titoli di studio (5ª elementare o al massimo frequenza
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Nella foto Federico Battiloro Napoli, 1946 (inviata da Alessandrino Battiloro)
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storia del corpo delle prime medie) e che quasi esclusivamente per ragioni economiche hanno avviato “obtorto collo” questa carriera, senza particolari convincimenti personali come s’addice ad ogni soldato di leva, quasi la vita non offrisse loro alternative più allettanti. (…)
Nella foto l’Appuntato degli Agenti di Custodia Antonio Minicozzi in motocicletta Brescia, 1963 (inviata da Fabrizio Minicozzi)
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
Ho parlato a più riprese con alcune di queste giovani guardie (…) mi venne da loro fatto rilevare – tra l’altro – come il motto del Corpo “Vigilando Redimere” contrastasse con la realtà della situazione all’interno dello stabilimento: è una confessione questa che stabilizza senza mezzi termini la realtà”. “Vigilare, dicevano, sta bene: ma redimere? Chi debbo redimere? Con il mio titolo di studio? Con quale esperienza? Con quali criteri?, su quali basi, chi ci ha insegnato “qualcosa” nell’affrontare i detenuti?(…) mi descrivono le variazioni scherzose “all’italiana” che il motto del Corpo poteva subire e che rispecchierebbero più o meno situazioni di fatto anche molto incresciose che si verificano nel silenzio delle celle ‘vigilando reprimere’, ‘vigilando sopprimere’, ‘vigilando veglio’, vegliando vigilo’; situazione penosa questa delle guardie, specie da un punto di vista umano e sociale: origini umili,
istruzione limitata, non addestrate a compiti educativi, costrette da anni a questo ingrato lavoro perché “costrettevi” da disagiate condizioni economiche di famiglia, fatto quest’ultimo troppe volte amaramente evocato quasi fosse indelebile colpa o “macchia” di cui si fossero personalmente investite. Si sentono sacrificate, vittime incomprese un po’ da tutti (anche all’esterno dove preferiscono l’anonimato mai indossando la divisa), vittime inoltre di un sistema ingeneroso che assurdamente pretenderebbe considerarli militai, poliziotti, educatori ad un tempo: sistema che con sussiego riconosce il disagio di questa loro attività, non corrisponde una adeguata mercede, non permette una facile carriera, non offre soddisfazioni morali e conta sull’arma dell’improvviso trasferimento in carceri lontane e disagevoli per imporre la mano di ferro senza, ovviamente, ammettere rifiuto o contestazione. (…) Ho notato come le relazioni guardia – detenuto sono quasi sempre improntate – nei due sensi – da sentimenti di sospetto e di sfiducia reciproca: come due pugili in posizione di difesa, in attesa di un colpo basso. L’agente alle volte è paziente, forse anche troppo. Non fa pesare eccessivamente il suo grado o la sua posizione: interviene anche bonariamente, cercando di immedesimarsi in alcuni problemi del detenuto anche se a priori già conosce o intuisce l’indifferenza con cui viene accolto il suo intervento: altre volte finge di non vedere o di non sentire e giudiziosamente non insiste. Non mancano scambi di battute scherzose con i detenuti più anziani di età. (…) Ciò che mi ha colpito è come la guardia si senta a disagio quando è a contatto con detenuti dotati di una certa cultura (…) la guardia in questi casi preferisce ignorarli, assumendo una posizione tra l’emarginato e l’escluso. La sua presenza riveste così una funzione puramente burocratica. (…) Alcuni allievi detenuti addirittura
affermano - ad esempio - che le guardie non sanno nemmeno tener le chiavi in mano tanto sono addormentate o drogate dalle sigarette che continuano a fumare: altri ancora ridicolizzano sul fatto che molte guardie pretendono l’appellativo di “superiore” ben conoscendo che l’unica generalizzata qualifica che li contraddistingue è quella di “secondino” etimologicamente derivante dal latino “secundus” – altro che “superiore”! (…) Non conosco il clima che caratterizza gli altri Corpi di Polizia, ma quanto settimanalmente posso osservare in fatto di polemiche e di discussioni (tra gli agenti n.d.r.) – a volte sostenute ad alta voce come se gli antagonisti non disponessero adeguatamente dell’uso dell’udito – mi ha fatto molto riflettere sulle tristi condizioni cui debbono destreggiarsi molte di queste guardie. Un piccolo elemento questo che si aggiunge ad altri più macroscopici per render più gravosa ed ingrata la loro già ingrata opera e che induce a molte non superficiali o aneddotiche riflessioni.” Il Professore Fontanesi, criminologo fondatore del centro di selezione del carcere di Roma Rebibbia, intervistato da Aldo Ricci per la sua ricerca sociologica, trasposta poi nel libro “Il carcere in Italia” rincara la dose: “nel 1961 feci un’indagine, non pubblicata, molto ben fatta sugli agenti di custodia di Rebibbia. L’ipotesi trovò una conferma di quelle notevoli ...lei pensi che il divertimento più grosso dell’agente di custodia è quello di essere accompagnato il sabato dalla moglie a far la spesa ...non c’è un agente di custodia che legga un quotidiano... mi venne fuori che era un anno e mezzo che un agente non aveva assistito ad uno spettacolo sportivo, se non di fronte al televisore...” H ...continua (1 )“Il carcere in Italia” Inchiesta sui carcerati, i carcerieri e l’ideologia carceraria di Aldo Ricci e Giulio Salierno Edizioni Einaudi, Torino 1971.
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lo sport
Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it
Le Fiamme Azzurre diventano d’oro nel nuoto
Nelle foto Ilaria Bianchi
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
vevamo dedicato spazio al nuoto e ad Ilaria Bianchi ad ottobre. Nel primo numero dell’anno torniamo ad occuparci di lei perché la stagione d’oro della campionessa bolognese, specialista della farfalla, sta continuando a portare risultati brillanti e soddisfazioni a tutto il nuoto azzurro e alle Fiamme Azzurre.
A
stagionale, facendo fermare il cronometro a 56”40 (frazioni 26”5329”87), spazzando via ancora una volta i tempi che aveva stabilito a Mosca prima, con 57”18 e a Berlino poi con 56”68. Il periodo della maturità agonistica di Ilaria sembra ormai essere arrivato dopo un passato di gare giovanili di alto livello: la ventitreenne delle Fiamme Azzurre ha
in pieno carico di allenamento in vista dei campionati del mondo di Istanbul di quindici giorni dopo, quasi come se l’europeo fosse una gara di avvicinamento come tante. Nella prima parte della finale, la fuoriclasse della Polizia Penitenziaria si è tenuta dietro alla danese Jeanette Ottesen Gray, che ha virato ai 50 prima in 26”09, con 44/100 di
Dopo le vittorie che risalgono al periodo di avvicinamento dell’appuntamento a cinque cerchi di Londra, il quinto posto della finale olimpica e le varie tappe di coppa del mondo (Fina Swimming World Cup) in cui ha trionfato, ritoccando il (suo) record italiano, due volte, Ilaria ha aggiunto al palmares personale anche il titolo continentale ed il campionato del mondo in vasca corta. Il 25 novembre 2012 a Chartres ha condotto da protagonista la finale dei 100 del campionato d’Europa realizzando quella che fino ad allora è stata la miglior prestazione mondiale
infatti conquistato il titolo iridato nel 2006 ma anche l’argento nella staffetta mista. La prima esperienza olimpica vissuta è stata quella di Pechino, ad appena diciotto anni, mentre nella finale raggiunta a Londra, se l’è giocata tra le migliori della sua specialità. Solo tre centesimi l’hanno separata dalla gioia del doppio podio continentale dopo l’oro nei cento: il bronzo nei cinquanta lo ha infatti solo sfiorato. E pensare che la sua partecipazione a Chartres non era affatto così scontata, che vi è arrivata all’ultimo momento
vantaggio sull’azzurra che però è riuscita a superarla a 25 metri dall’arrivo. La danese è infine giunta terza in 57”13. Sulla piazza d’onore la belga Kimberly Buys in 57” netti. Pochissimo tempo dopo per realizzare o gioire, il 16 dicembre, Ilaria è stata protagonista anche in Turchia, al campionato del mondo. Nel meraviglioso nuovo impianto “Sinam Erdem Dome”, candidato ad ospitare i giochi olimpici estivi del 2020, l’atleta delle Fiamme Azzurre ha conquistato un oro pesantissimo per lei - in quanto primo titolo
lo sport
seniores della sua intensa carriera storico per il nuoto azzurro perchè mai nessuna donna del nuoto italiano era arrivata a vincere nelle gare in vasca corta (25m anziché i 50m nei quali si disputano i Giochi Olimpici). Ad Ilaria non è bastato solo vincere e convincere. Anche in Turchia è stato di nuovo record italiano con 56”13, grazie al quale si è tenuta dietro la cinese Liu Zige, medaglia d’argento in 56”58, e la britannica Jemma Lowe, terza in 56”66. Modo migliore per chiudere il 2012 e la stagione internazionale non poteva esserci. E’ vero che una rondine non fa primavera, ma la nostra farfalla ha fatto ritornare il sereno in un nuoto italiano che negli ultimi tempi è molto
Per il gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria altro successo importante ai campionati del mondo di Istanbul è arrivato il 12 dicembre, proprio in apertura, con il prestigioso argento di Michele Santucci nella 4x100 stile libero. La squadra , composta dagli staffettisti Marco Orsi, Filippo Magnini, Luca Dotto, e appunto il nostro Michele Santucci, ha chiuso con il crono di 3’ 07” 07, a 67 centesimi dagli Stati Uniti (Ervin, Lochte, Feigen, Grevers), e venti centesimi davanti all’Australia (D’Orsogna, Richardson, Mahoney e To). Se il quartetto italiano ha dovuto cedere il passo alla corazzata americana ha però vinto la sua battaglia contro i fortissimi australiani, terzi, lasciando fuori dal podio la Russia. Michele ha disputato anche le seconda frazione della 4x200 arrivata poi quinta. Un altro risultato importante per il gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria, che è arrivato nella
spesso offuscato da prestazioni dei nazionali non all’altezza di quanto realizzato in precedenza nelle varie specialità. Ora, dopo questa stagione da incorniciare, la nostra atleta potrà guardare ai campionati mondiali in vasca lunga di Barcellona 2013 con maggiore tranquillità e sicurezza. Tanto per non farsi mancare proprio nulla, nella rassegna tricolore di Riccione, si è portata a casa anche i due titoli italiani nei 50m e 100m, potendo permettersi di vincerli in scioltezza, con i tempi 26”95 e 58”93.
specialità in cui a rubare la scena non sono le singole individualità e i solitari successi, ma il collettivo, al punto che a volte i nomi singoli non sempre dicono molto a chi lo sport è abituato a seguirlo grazie ai titoli in prima pagina. Michele, ventiquattro anni di Castiglion Fiorentino, oro ai campionati mondiali di Rio de Janeiro 2006 sia nella 4x100 mista che nella 4x100 stile, e oro anche ai campionati europei giovanili nella 4x100 mista di Anversa 2007, è conosciuto per essere positivo, semplice, volenteroso e dotato di una
costanza di rendimento che lo rende pressochè ineludibile nelle competizioni. Le sue prestazioni da gregario silenzioso hanno contribuito a costruire le migliori performance italiane in vasca della staffetta maschile, le vittorie e i tempi più bassi delle ultime stagioni, e l’ottima performance di Londra. Nel suo profilo twitter, subito dopo la vittoria di Istanbul, ha dedicato la foto della medaglia a tutti i sostenitori del dream team Italia: «A tutti voi che ci siete sempre, che ci avete tifato, grazie mille, questa è per voi». Anche per lui i mondiali di Barcellona 2013 saranno l’occasione per far bene e per continuare a sostenere le prestazioni di una squadra azzurra che ha sempre più bisogno di talenti silenziosi e meno di personaggi da copertina. H
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Nelle foto a sinistra Ilaria Bianchi mostra la medaglia d’oro conquistata a Istanbul sotto una veduta esterna e interna del nuovo impianto turco Sinam Erdem Done
Nelle foto in alto a sinistra la staffetta 4x100 stile libero che ha vinto l’argento a Istanbul composta da Orsi, Magnini, Dotto e dal nostro Michele Santucci, ritratto anche a fianco
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dalle segreterie Paliano
rivista@sappe.it
Inaugurato il centro multiconferenze video
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n data 10 Dicembre 2012 è stato inaugurato il Reparto video multi conferenze della Casa di Reclusione di Paliano (Fr) alla presenza del Prefetto di Frosinone dott. Eugenio Soldà, del Provveditore Regionale del Lazio, dott.ssa Maria
Claudia Di Paolo, del Cardinale di Palestrina (Rm) Domenico Sinalini, del Direttore dell’istituto, dott.ssa Nadia Cersosimo, del Comandante di Reparto Commissario Tullio Volpi, del Comandante della Stazione dei Carabinieri, Maresciallo Giovanni Leo, del Comandante della Compagnia di Anagni, Cap. Costantino Airoldi. Hanno partecipato, inoltre, il Comandante del Comando della Guardia di Finanza di Anagni, rappresentanti della Polizia Municipale, diversi giornalisti e un nutrito numero di invitati.
Ferrara Befana 2013: un giornata da poliziotto pediatra nche quest'anno, in occasione della festa della Befana, una rappresentanza della Polizia Penitenziaria di Ferrara si è recata presso il Reparto di Pediatria dell'Ospedale di Cona portando doni ai piccoli ricoverati. La delegazione di “poliziotti pediatrici”, coordinata dal dott. Paolo Teducci, era composta dall’Ispettore Renda, dall’Assistente Capo Damiano, dall’Assistente Pellizzola, dall’Assistente Capo Bottoni, dall’Agente Tartaglione e dall’Agente Gisonde. La consegna dei regali è stata
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accompagnata dalla dolce melodia del violino suonato dall'Assistente Capo Damiano, mentre i clown dell'Associazione Vola nel cuore, si adoperavano, con le loro performance, a far sorridere i piccoli pazienti. Antonio Fabio Renda, Barbara Pellizola
eravamo così
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a sinistra: 1978 Casa Circondariale Cuneo foto inviata da Giulio Antonelli
a lato:1994 Scuola Allievi AA.CC. Parma (134° Corso) foto inviata da Melchiorre Giglio
sotto: 1974 Scuola Allievi AA.CC. Cairo Montenotte (SV) (43° Corso) foto inviata da Pietro Milazzo
sopra:1981 Scuola Allievi AA.CC. Portici (NA) (71° Corso) foto inviata da Giovanni Raffaele La Magra
sotto:1980 Scuola Allievi AA.CC. Portici (NA) foto inviata da Andrea Bisceglia
sotto: 1975 Casa di Reclusione di Pianosa foto inviata da Giovanni Carmine Merola
a sinistra:1982 Casa Circondariale di Bassano del Grappa (VI) foto inviata da Virgilio Di Iorio
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cinema dietro le sbarre
Gulag 77 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
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ex campione americano di atletica leggera, Mickey Almon, si reca a Mosca per la telecronaca di un meeting sportivo USA-URSS. Appena arrivato in Russia, viene contattato da uno scienziato sovietico che gli consegna preziose informazioni da portare in Occidente. Purtroppo per lui si tratta, però, di una trappola perché l’uomo è un falso dissidente e il KGB lo coglie sul fatto e dopo averlo arrestato, interrogato ed umiliato lo trattiene in carcere.
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Dopo qualche mese, Almon si arrende alla congiura contro di lui e smette di negare la sua colpevolezza, smette di chiedere l’intervento, mai ottenuto, dell’Ambasciata americana e, parlando alla TV, ammette di essere una spia, pur di tornarsene a casa. Ma tutto ciò era proprio quello che l’URSS voleva sentir dire da lui per comunicarlo al resto del mondo e, invece di essere accompagnato all’aeroporto, Mickey Almon viene fatto salire su un treno ed internato in un Gulag, dove dovrà scontare dieci anni di reclusione.
Almon è costretto ad adattarsi al duro regime del campo di lavoro e cerca di farsi degli amici tra i quali un ebreo (David Suchet) ed un simpatico cosacco, gigantesco e di buon carattere, già conosciuti sul treno, più un tecnico inglese (che in realtà è una spia). Almon ha una sola idea fissa: la fuga, soprattutto dal giorno in cui non gli arrivano più i pacchi a lui indirizzati dalla moglie Susan (che da Mosca dov’era con il marito è rientrata negli Stati Uniti). Addirittura Mickey apprende dai suoi compagni che le Autorità sovietiche hanno dato notizia telegrafica a sua moglie che lui sarebbe morto. Per mettere in pratica il piano di fuga, Almon si fa trasferire, insieme all’inglese e dopo aver provocato un incidente, dal reparto stranieri a quello dei russi, dove ritrova l’ebreo ed il cosacco (che tutti chiamano il vagabondo), perché quel reparto è
la scheda del film Regia: Roger Young Soggetto: Raphael Shauli, Dan Gordon, Yehousha Ben Porat Sceneggiatura: Dan Gordon Fotografia: Kelvin Pike Musiche: Elmer Bernstein Montaggio: John Jympson Produzione: Lorimar Distribuzione: Film 2 (1985) Personaggi ed Interpreti: Mickey Almon: David Keith l’inglese: Malcolm McDowell il vagabondo: Warren Clarke Diczek: John McEnery Susan: Nancy Paul Bukovski: George Pravda Jay: Shane Rimmer McHenry: Bruce Boa Yuri: Eugene Lipinski Wisinski: Barrie Houghton Vikstrom: Alexei Jawdokimov Matvei: David Suchet Vlasov: Brian Pettifer Genere: Avventura Durata: 108 minuti Origine: USA, 1984 vicino allo scalo ferroviario ed i prigionieri sono spesso adibiti allo scarico di viveri e materiali. A questo punto, Mickey Almon mette in atto, insieme ai suoi amici, un pericolosissimo piano per fuggire in treno che torna sempre vuoto e senza scorta all’altro capolinea. Il piano di fuga ha successo, anche se l’ebreo Matvei decide di restare ed Almon parte solo con l’inglese ed il vagabondo. Dopo un migliaio di chilometri comincia la parte più difficile del piano e i tre si lasciano cadere sulla neve in mezzo ad una sterminata e allucinante pianura. Sopraggiungono, così, la fame e fatiche inenarrabili, il cosacco cade in un pendio roccioso e si frattura una gamba e, dopo essere stato trascinato sulla neve dai due compagni, muore. I superstiti, per sopravvivere, mangeranno il suo corpo. Nonostante le terribili traversie, riescono, infine, ad arrivare alla frontiera norvegese, dove le guardie di confine li accolgono e, finalmente, li fanno rimpatriare. H
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diritto e diritti
Risultare assenti al controllo medico fiscale Giovanni Passaro passaro@sappe.it
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pett.le redazione, sono un assistente capo con 24 anni di servizio svolti con professionalità e senso di appartenenza al Corpo di Polizia Penitenziaria, da svariati anni riporto un giudizio complessivo di ottimo, non sono mai incorso in rapporti disciplinari e ho ricevuto croce al merito di servizio e croce di anzianità di servizio. Tuttavia, nel mese di novembre a causa di un periodo di assenza dal lavoro per motivi di salute sono stato assente al controllo del medico fiscale, perché mi trovavo dal medico di famiglia per una visita. Da qualche giorno ho ricevuto la contestazione degli addebiti da parte del funzionario istruttore, dove mi contesta la violazione dell’art. 3 lett g) del d.l.vo 449/92, per essere stato assente al controllo medico fiscale disposto a seguito di assenza per malattia. Vorrei sapere se l’assenza dal domicilio è giustificata dal fatto che mi sono recato dal medico di famiglia, poiché mi dispiacerebbe macchiare il foglio matricolare con un rapporto disciplinare. Lettera firmata
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Gentile assistente, le assenze alle visite di controllo effettuate nelle c.d. fasce di reperibilità devono essere determinate non dall’intenzione di sottrarsi al controllo ma dalla presenza di improcrastinabili giustificati motivi, nel caso in questione, dati dalla necessità di recarsi dal medico di base per sottoporsi a visita. A tal proposito, si deve dimostrare che la visita non poteva avere luogo in orari diversi dalle fasce di reperibilità, ad esempio perchè coincidenti con gli orari di ricevimento del medico di famiglia. L’Amministrazione dispone di un ampio margine di discrezionalità nell’individuazione dei motivi che possono giustificare l’assenza dal domicilio durante le fasce orarie di reperibilità, nella valutazione del giudizio medio e della comune
esperienza che renda plausibile l’allontanamento dal domicilio. E’ sostanziale che nel comportamento del dipendente non si ravvisi motivo di convenienza od opportunità. Si riportano alcuni precedenti giurisprudenziali in materia: • la decadenza dal trattamento economico di malattia e la rilevanza disciplinare dell’assenza dal domicilio alla visita di controllo durante le fasce orarie di reperibilità non operano in presenza di un giustificato motivo, il quale non si identifica con lo stato di necessità o con la forza maggiore, ma ricorre anche in presenza di un impegno serio ed apprezzabile ovvero di un ragionevole impedimento, incompatibile, per ragioni di orario, con il rispetto delle fasce orarie. (Trib. Milano 10/12/2004, Est. Salmeri, in Lav. nella giur. 2005, 800); • esistono casi in cui l’assenza del lavoratore malato da casa è giustificata. La sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza 4.247 del 2004, ha stabilito che l’assenza a una visita di controllo domiciliare da parte di un lavoratore “può dirsi giustificata solo dalla sussistenza di un motivo molto serio, concretantesi nella insuperabile necessità di effettuare un determinato adempimento in orario ricompreso nella fasce orarie di reperibilità”. I giudici hanno precisato, che è necessario che “il lavoratore provi che la sua assenza è stata determinata da situazioni tali da comportare adempimenti non effettuabili in ore diverse da quelle di reperibilità”. La Corte ha, infine, precisato che “l’onere di fornire tale prova, ovviamente, è a carico del lavoratore il quale ne alleghi, a propria giustificazione, la ricorrenza”; • il dipendente assente per malattia non reperibile a casa nelle fasce orarie previste non è passibile di sanzione, quando l’assenza da casa è dovuta a causa di forza maggiore (sentenza Consiglio di Stato n.
3142/2002); • la clausola del contratto collettivo che, relativamente all’obbligo del lavoratore assente per malattia di trovarsi al suo domicilio, fa salve le eventuali documentate necessità di assentarsi dal domicilio per cause inerenti alla malattia stessa, va interpretata nel senso che l’obbligo della reperibilità viene ad essere limitato solo allorquando quelle “ragioni” siano urgenti e improcrastinabili e risulti comunque l’impossibilità di rispettare le fasce orarie di reperibilità (Trib. Roma 15/12/00, est. Bellini, in Orient. giur. lav. 2001); • l’obbligo di reperibilità ai fini della visita domiciliare di controllo, nella previsione di cui all’art. 5, DL 12/9/83 n. 463 convertito nella L. 11/11/83 n. 638, resta escluso in presenza di un giustificato motivo di esonero del lavoratore dal rispetto dello stesso che prevale, pertanto, sull’interesse pubblico al controllo dello stato patologico da cui è affetto il soggetto. Il concetto di giustificato motivo richiamato dalla citata disposizione, non si identifica con lo stato di necessità o con la forza maggiore, ma è integrato, anche in presenza di un impegno serio e apprezzabile, da soddisfare con tempestività, e incompatibile con il rispetto delle fasce orarie (Trib. Napoli 18/3/97, pres. Nobile, est. Lorito, in D&L 1997, 811; • concetto di giustificato motivo (Corte di Cassazione con sentenza del 11/02/1993). Si considera giustificato motivo, un ragionevole impedimento, cioè un motivo serio ed apprezzabile che induca a compiere adempimenti non rinviabili oltre le fasce orarie. Il lavoratore è altresì giustificato nei casi di urgenza, intendendo per tali i casi di assenza per rilascio di certificati d’incapacità al lavoro, rilascio di prescrizioni mediche o richieste di visite specialistiche e accertamenti diagnostici, per prestazioni extra anche senza impegnativa dell’Azienda sanitaria e, infine, per situazioni che richiedono la presenza fisica del lavoratore come ricoveri in ospedale, funerali, infortuni gravi, convocazione ad opera di pubbliche autorità e partecipazione a concorsi pubblici allo scopo di evitare pesanti effetti per il lavoratore stesso o per la sua famiglia. H
giustizia minorile
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La Giustizia Minorile tra passato e futuro: cenni storici n questo numero faremo un breve salto nel tempo per ricordare i passaggi fondamentali che hanno portato alla nascita del “Settore Minorile della Polizia Penitenziaria”. Negli anni ‘50 fu istituito un Ufficio Minori presso la Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena del Ministero di Grazia e Giustizia e, il primo Direttore Generale della Giustizia Minorile, il consigliere Radaelli, decise di avviare un vastissimo programma di formazione di base per il personale che si occupava dei minori. Questo programma, dal taglio fortemente educativo, riguardò un numero relativamente cospicuo di agenti di custodia. L’obiettivo principale da perseguire era la formazione del personale di custodia, in un’ottica educativa disancorata dalla matrice penitenziaria-custodiale. I primi agenti di custodia che frequentarono questo corso di formazione vennero opportunamente denominati “agenti-educatori”. Fu quindi lo strumento formativo, orientato pedagogicamente, che caratterizzò il lavoro del personale che operava nelle strutture minorili dell’epoca, quali le case di rieducazione, gli istituti di osservazione, ecc. Il riconoscimento della specializzazione in materia minorile per gli appartenenti all’odierno Corpo della Polizia Penitenziaria affonda le radici in questa stagione. A seguito dell’attuazione di due apposite leggi del 1962 vennero organizzati , negli anni successivi, corsi di formazione creati per le varie professionalità della Giustizia Minorile, quali assistenti sociali ed educatori, figure queste ultime appositamente pensate per gli istituti di rieducazione. In seguito furono create strutture minorili (ad esempio a Tivoli - Rm) come istituti sperimentali e pilota da
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cui attingere idee e prassi condivise, funzionali alla creazione di nuove strutture minorili . L’idea di progetto pilota è stata mutuata oggi per i percorsi formativi caratterizzati dalla metodologia di ricerca/intervento, che spesso rivestono anche un carattere di sperimentazione locale o tematico con prospettive di implementazione sotto forma di best practices. Negli anni ’70 assistiamo ad una vera rivoluzione normativa; è del 1975, infatti la Legge sull’Ordinamento Penitenziario n. 354 che pone al centro dell’espiazione pena il trattamento individualizzato del condannato. In questo periodo si avvia anche il processo di deistituzionalizzazione del minore detenuto. Questo ordinamento, modificato in alcune parti con il D.P.R. 230 del 2000, è stato pensato per gli adulti e solo in alcune parti fa specifico riferimento ai minori. Un passaggio cruciale fu il decreto 616 del 1977, che prevedeva il passaggio delle competenze civili e amministrative relative ai minori dal Ministero della Giustizia agli Enti locali; alla Giustizia Minorile restarono da allora esclusivamente le competenze penali (fatta salva tutta la materia, recente, rispetto al periodo analizzato, della sottrazione di minori e quindi dell’istituzione presso la Giustizia Minorile di un Ufficio delle Autorità Centrali). La formazione si è sempre attrezzata per dare seguito alle trasformazioni, sia normative che sociali, anzi in alcuni momenti ha facilitato il cambiamento, per poi sostenerlo con lo strumento formativo. Un esempio di ciò è il lavoro formativo “a tappeto” realizzato dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 448/88, la normativa fondamentale per il settore del processo penale minorile. L’Istituto Centrale di Formazione del Personale, di nuova costituzione,
garantisce l’attuazione del sistema formativo della Giustizia Minorile su tutto il territorio nazionale, attraverso le tre sedi formative di Roma, Castiglione delle Stiviere e Messina (rispettivamente centro, nord e sud Italia), istituite negli anni ‘60.
Tale decentramento assicura anche una competenza territoriale. Infine ricordiamo che nel biennio 2013/2014 l’Istituto Centrale di Formazione porterà a compimento la “specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni”, come previsto dall’accordo quadro per il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria del contingente della Giustizia Minorile. H
a cura di Ciro Borrelli Coordinatore Nazionale Sappe Minori per la Formazione borrelli@sappe.it
Nelle foto strutture della Giustizia Minorile
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mondo penitenziario L’assistenza da parte del Poliziotto Penitenziario al familiare portatore di gravi handicap, ai sensi della Legge 104/92
Luca Pasqualoni Segretario Nazionale Anfu pasqualoni@sappe.it
Le novità della giurisprudenza e della Amministrazione sulla Legge
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Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
a legge 104/1992 che disciplina l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici di handicap è da sempre applicata tra ombre e luci. Come è noto, il riconoscimento del diritto che la legge riconosce al parente del disabile a vedersi attribuito, ad esempio attraverso il trasferimento, una sede tale da consentirgli di prestare idonea assistenza, ha incontrato crescenti e anche comprensibili difficoltà anche in considerazione della recente novella legislativa e delle ripercussioni che i trasferimenti possono causare nell’ambito della organizzazione del lavoro e sulle esigenze di servizio. Infatti, per effetto della modifica apportata all’articolo 33, comma 5, Legge 104/92 dalla Legge 183/2010, entrata in vigore il 24.11.2010, ai fini della concessione del beneficio previsto dalla citata norma, i requisiti dell’attualità, della continuità e della esclusività dell’assistenza sembravano non essere più necessari, in quanto espunti dal suddetto articolo 33: opzione ermeneutica accolta anche dalla Circolare n. 13/2010 del Ministero della Funzione Pubblica. Tuttavia, in prossimità dell’intervenuta innovativa modifica legislativa si è assistito a pronunciamenti del Consiglio di Stato alquanto restrittivi, in ragione sia dell’articolo 19 della legge 183/2010 che sancisce il principio di specialità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sia dell’articolo 3 del D.Lgs. 165/2001, che testualmente recita: “…rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di Polizia di Stato…”, escludendo così che il beneficio normativo del trasferimento
trovi applicazione per i particolari dipendenti di cui al predetto articolo. Successivamente non sono mancati pronunciamenti favorevoli da parte del Consiglio di Stato (sentenza numero 7025/11 sez. III e sentenza numero 6987/11 sez. III), all’applicazione della nuova normativa in materia di assistenza ai soggetti disabili anche agli appartenenti alle Forze dell’ordine. Tale orientamenti giurisdizionali sono stati definitivamente suggellati dalla sentenza n. 04047 del 9 luglio 2012 della quarta sezione del Consiglio di Stato, che in precedenza aveva sempre manifestato un orientamento di segno opposto a differenza della terza sezione, la quale ha riconosciuto come l’intervenuta novella legislativa in materia di benefici ex Legge 104/92 si applichi anche al personale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile, nonché ai militari con le seguenti argomentazioni. Invero, l’arresto fondato sulla particolare tecnica legislativa che nel riconoscere la “specialità” sembra introdurre motivi di deroga all’ordinario regime nel frattempo innovato per gli altri dipendenti, merita di essere parzialmente riconsiderato in primis in ragione del carattere programmatico della norma che sancisce il principio di specialità. Né la norma può essere considerata quale implicita disposizione transitoria che mantiene inalterata, nei confronti delle Forze Armate (quindi anche per le Forze di Polizia), tutta la disciplina previgente ( ivi compresi i benefici della legge n. 104 del 1992) in attesa di una valutazione di adeguatezza da parte del legislatore “speciale”, poiché, a prescindere da quanto sopra chiarito circa la natura palesemente programmatica della norma, l’ultravigenza di norme espressamente sostituite necessita di una chiara
indicazione legislativa che ne proroghi temporalmente o soggettivamente l’efficacia, in deroga al principio per il quale la sostituzione presuppone in via generale una implicita abrogazione della norma sostituita. In conclusione, ragioni testuali e sistematiche inducono a considerare la novella dell’articolo 24 applicabile a tutto il personale dipendente, senza eccezioni: sino a quando, cioè, la legislazione attuativa richiamata dell’articolo 19 non interverrà e non detterà disposizioni speciali e derogatorie, la disciplina comune in materia di assistenza ai familiari disabili potrà trovare applicazione anche per il personale delle Forze Armate, di Polizia ed ai Vigili del Fuoco. Nondimeno, ferma restando l’applicazione della nuova normativa anche agli appartenenti alle Forze di Polizia, l’alto Consesso Amministrativo, o meglio la terza sezione, con sentenza n. 1293/2012 è intervenuta sul requisito della esclusività “rivitalizzandolo”, anche alla luce delle esigenze datoriali, prendendo posizione, nel contempo, sulla retroattività della novella. Per quanto riguarda l’applicabilità della nuova disciplina alle fattispecie pregresse è stato chiarito che “le recenti modifiche alla normativa in materia di permessi e trasferimenti a favore di dipendenti, pubblici e privati, che intendono assistere un familiare portatore di handicap debbono ritenersi implicitamente retroattive, proprio perché finalizzate a risolvere le svariate questioni insorte a seguito delle diverse interpretazioni fornite alle precedenti normative, e debbono quindi trovare applicazione anche per situazioni ancora non definite”. In ordine al requisito della esclusività e delle esigenze di servizio è stato precisato che è indubbio che
mondo penitenziario attualmente, proprio alla luce delle modifiche normative intervenute e soprattutto di quelle più recenti, può affermarsi, sul piano generale che, per usufruire del diritto al trasferimento nella sede più vicina alla residenza del familiare da assistere, il dipendente deve dare prova, con dati ed elementi oggettivi, della necessità di dover prestare assistenza al familiare disabile e che nessun altro familiare sia in grado o possa assicurare tale assistenza, fatte salve le irrinunciabili esigenze organizzative e funzionali dell’Amministrazione. Il suddetto orientamento della giustizia amministrativa, niente affatto consolidato, è stato prontamente recepito dalla Direzione Generale del Personale e della Formazione con la lettera circolare n. 0457451 del 28/12/2012 integrata da apposita modulistica, in virtù della quale per ottenere il trasferimento per assistere il familiare disabile, allo stato, devono ricorrere i seguenti elementi. • Riconoscimento da parte della competente Commissione dell’azienda sanitaria locale, ai sensi dell’articolo 4 della legge in esame, dell’handicap in situazione di gravità dell’assistito;
• Inesistenza del ricovero a tempo pieno presso strutture ospedaliere o simili della persona con handicap in situazione di gravità; • Relazione di parentale o di affinità entro il secondo grado tra il dipendente e il portatore di handicap in situazioni di gravità ovvero relazione di parentela di terzo grado nei casi previsti dalla norma; • Inesistenza di altri parenti o affini entro il terzo grado che stiano fruendo del beneficio di cui all’articolo 33, comma 5, o abbia in corso una procedura per il suo riconoscimento; • Offerta della prova, mediante dati ed elementi oggettivi, della necessità di dover prestare assistenza al familiare disabile e che nessun altro familiare sia in grado o possa assicurare tale assistenza; • Gradimento del soggetto disabile all’assistenza da parte del richiedente. Certo è che l’Amministrazione non potrà rigettare le istanze di trasferimento per l’assistenza al disabile sulla scorta di formule di stile o stereotipate che facciano magari il verso ai pronunciamenti degli organi giurisdizionali amministrativi, dal momento che il Consiglio di Stato sul
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punto, nella sentenza recepita dalla lettera circolare n. 0457451 del 28 dicembre 2012, ha chiarito perentoriamente come “la Pubblica Amministrazione nel valutare le istanze proposte per l’assistenza ai familiari è tenuta ad attuare le disposizioni in materia in modo da non vanificare la tutela offerta dal legislatore ai soggetti portatori di handicap e quindi, anche ai fini di non prestarsi a eventuali abusi, a effettuare una rigorosa, oggettiva, chiara e concreta istruttoria predisponendo tutti gli accertamenti necessari”. Ne consegue che l’Amministrazione penitenziaria non potrà fondare la reiezione delle istanze di trasferimento in parola sul fatto che la sede cedente è gravata da una consistente carenza di personale, tanto che il trasferimento dell’unità del Corpo richiedente determinerebbe un intollerabile depauperamento dell’organico, sulla base di formule apodittiche e generiche, atteso che la carenza degli organici, che è una costante per tutti gli Istituti di pena, non appare assurgere a motivo ostativo quando si tratti di assegnare unità del Corpo al D.A.P... H
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crimini e criminali
Il giardino degli orrori Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
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Nelle foto sopra il castello Orsini a Nerola
primo dopoguerra quasi come oggi) e si trova proprio nel mezzo della Sabina sui Monti Lucretili, lembo estremo della provincia romana. È dominato da uno splendido castello (il Castrum Nerulae, che risale al X secolo e dalla fine del XII è stata una delle dimore preferite dagli Orsini). Nerola diventerà il «paese del mostro», in un connubio difficile da rimuovere ancora fino a poco tempo fa. Il mostro si chiamava Ernesto Picchioni ed è considerato il primo assassino seriale uomo italiano dell’era moderna (visto che comunque è una donna, Leonarda Cianciulli, a «vantare» la primogenitura assoluta in azione negli anni precedenti e subito successivi
in alto, con il titolo una immagine di Ernesto Picchioni a destra la cattura del “mostro”
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
l mio amico, nonché collega, Federico qualche tempo fa mi riferì che il papà nel leggere la nostra rubrica lo invitò a riportare la storia di un serial killer italiano che nel primo dopoguerra aveva operato per anni nelle campagne romane, creando una psicosi collettiva per gli abitanti della zona della sabina, tanto da essere soprannominato il «mostro di Nerola». Dopo aver letto diversi articoli sul caso, devo ammettere, mio malgrado, che poco conoscevo di questo personaggio reo di essersi macchiato di un’infinità di omicidi utilizzando sempre la stessa tecnica di adescamento. Nerola è un piccolo paese abitato da poco più di duemila persone (nel
alla Seconda guerra mondiale). Tra il 1944 e il 1947, molti viaggiatori scomparvero lungo la strada tra Roma e Rieti, al chilometro 47 della vecchia via Salaria, l’antica strada consolare che dalla capitale passa di lì per poi puntare verso Rieti. Picchioni era un omicida seriale ben allineato al modus operandi tipico di questi criminali, infatti le vittime che finivano nella sua trappola erano sconosciute, casualmente entrate in contatto con il loro assassino. La tecnica utilizzata era sempre la stessa, cospargere di chiodi la strada adiacente la propria abitazione obbligando così i passanti in bicicletta a fermarsi per chiedere aiuto per riparare il mezzo. La vittima, del tutto ignara, giungeva nella trappola preparata e il mostro dapprima la colpiva con una grossa chiave inglese e poi le sottraeva la bicicletta, i beni, i soldi e altri effetti di valore; oppure la invitava a sostare nell'aia della sua cascina e la uccideva a fucilate. I criminologi definiscono questa particolare tecnica di cattura delle vittime «del ragno», in quanto il killer utilizza un espediente al fine di indurre la vittima ad entrare nel suo territorio e qui la uccide con pochi rischi. Al «mostro» vengono attribuite due vittime identificate, due portate alla luce, ma mai identificate, per un totale di quattro persone uccise. Ma gli inquirenti parlano di non meno di otto omicidi, e la vox populi fa salire il conto a non meno di sedici, ma ciò non è suffragato da alcuna prova. L'omicida operò indisturbato per circa tre anni, dal 1944 al 1947, senza destare sospetti neanche tra i parenti - anche se sarà proprio la moglie a denunciarlo -. Ernesto Picchioni si trasferisce a Nerola, da un piccolo paese vicino, e occupa un terreno, nei pressi del chilometro 47 della Salaria, in nome della giustizia sociale professandosi
militante comunista, addirittura ricoprendo la carica di vice segretario della locale sezione del PCI, prima di essere espulso per indegnità morale. I primi veri guai con la giustizia li ha proprio per l'aggressione al legittimo proprietario del terreno che stava occupando abusivamente, a seguito della quale viene condannato a sei mesi di galera nel 1946, precedentemente aveva accumulato una serie di denunce per detenzione illegale di armi. Ma Picchioni è un soggetto poco raccomandabile che aveva destabilizzato la vita quotidiana degli abitanti locali tanto che i contadini confinanti gli avevano coniato due soprannomi altisonanti: «bruttafaccia» (per la particolarità del suo volto che probabilmente avrebbe
fatto la gioia di Cesare Lombroso) o «sparafacile», per via della sua sveltezza a imbracciare il fucile. In quegli anni, alla locale stazione dei Carabinieri arrivano diverse segnalazioni di scomparse di persone, sempre nelle adiacenze della casa di Picchioni. Nel maggio del 1947, si perdono le tracce di Alessandro Daddi che con la sua bicicletta «cucciolo» - una particolare bicicletta molto in voga in quegli anni fornita di motore - si stava recando da Roma a Contigliano a trovare la madre. Sarà proprio la particolare bicicletta a insospettire i carabinieri. Infatti, poco dopo la scomparsa, il Picchioni inizia a scorrazzare per il paese a bordo
crimini e criminali
della bicicletta. Il maresciallo Evaristo Acquistucci, che già da diverso tempo sospetta di quell'uomo, inizia a pedinarlo per trovare indizi o prove contro di lui. Una domenica di ottobre, il Picchioni si reca da solo al matrimonio della cugina, il maresciallo approfittando della sua assenza, va di proposito a casa sua e con autorità mosse delle accuse dirette alla moglie Angela sulla scomparsa e sulla morte dell'uomo romano, avvenuta qualche tempo prima nelle vicinanze della loro abitazione. La donna spaventata dalla fermezza e dal tono deciso del militare barcollò stringendosi ai figli; uno di questi, Angelo, urlando con una voce stridula disse: «l'hanno saputo!».
«Si l'ho saputo», rispose il maresciallo fingendo di conoscere già tutto. «Ci ammazzerà tutti», mormorò a quel punto la donna, e poi «ci ha detto che ci avrebbe ammazzati tutti se si fosse venuto a sapere della cosa». Il maresciallo, a quel punto, prese tutta la famiglia e la portò in caserma dove la donna rispose a tutte le domande dei carabinieri. Diverse sono le versioni che si tramandano circa le modalità di arresto del Picchioni, quella più accreditata racconta che il maresciallo lo attese la sera stessa della confessione della moglie, al suo rientro dal matrimonio, e lo bloccò all'atto di scendere dalla corriera, in località Osteria di Nerola.
Non fu facile l'arresto, perché l'uomo aveva capito tutto alla vista dei militari: il tradimento dei famigliari e la fine delle sue gesta. Anche se cercò di lottare in tutti i modi per sottrarsi all'arresto, alla fine fu immobilizzato e rinchiuso nelle camere di sicurezza della stazione dei Carabinieri e successivamente trasferito al carcere di Regina Coeli a Roma, con l'accusa di omicidio e occultamento di cadavere del commerciante Alessandro Daddi. Il cadavere della vittima riaffiorò, alcuni giorni dopo, dal terreno di pertinenza della sua abitazione a seguito, come detto, delle rivelazioni della moglie che sostenne che le persone uccise dal marito erano molte di più e che il loro occultamento era avvenuto entrò le mura di casa (precisamente nell'orto-giardino adiacente). I Carabinieri, con l'avallo della magistratura, iniziarono a scavare l'orto-giardino rinvenendo anche il corpo di Pietro Monni, un avvocato scomparso qualche prima, di lui non si avevano più notizie dal 6 luglio del 1944, quando svanì lungo la salaria in sella alla sua bicicletta di ritorno dalla visita di un suo cliente. Inoltre, vennero trovate le ossa di altri due corpi, di cui una di corporatura piccola e l'altro che presentava ancora dei baffi nonostante la sepoltura. Nel corso del processo l’assassino confessò solo due assassini e nel marzo del 1949 fu riconosciuto sano di mente e condannato a due ergastoli. Non mancarono colpi di scena nel corso del dibattimento, come ad esempio quando inveì contro i giornalisti presenti - che odiava a morte per l’utilizzo del termine «mostro» che questi riportavano continuamente negli articoli. Per i giudici i suoi delitti avevano scopi volgari: la rapina, al Monni aveva sottratto 700 lire, al Daddi 1.500 (negli anni 40 non si trattava di somme irrisorie). Nel 1954, in appello, la sua pena fu confermata. Nel 1964 si fece vivo di nuovo, con una querela contro uno degli odiati giornalisti, che rievocando i fatti lo aveva chiamato ancora una volta
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«mostro». Sono numerosi i racconti che circolavano sul conto del Picchioni durante la sua permanenza nelle patrie galere. Si racconta, ad esempio, che mentre era in carcere a Porto Azzurro con la scusa di volere la confessione, legò un frate e si travesti con il saio di questi per evadere e andare ad uccidere la moglie ma gli allora Agenti di Custodia lo riconobbero e lo fermarono. Così come si narra di un più eclatante tentativo di aggressione nei confronti del pontefice Pio XII in visita pastorale a Regina Coeli: motivo, quest’ultimo, del suo trasferimento al penitenziario di Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba. Morì d’infarto, 8 maggio 1967, in una cella di Rebibbia, dove era stato trasferito dal carcere di Porto Azzurro per sottoporsi ad una protesi dentaria. Aveva appena compiuto 61 anni. Dopo il suo arresto, la casa del «mostro» fu abbandonata e la famiglia inviata alla Casa delle
Nella foto a sinistra una delle ultime immagini di Ernesto Picchioni prima della sua morte, avvenuta nel 1967
Calasanziane Suore di Roma, per i bambini orfani e dei dannati. Un cronista dell’epoca, che la visitò, la trovò completamente vuota e sudicia di escrementi, e aggiunse: «Le pareti bianche sono coperte di grandi iscrizioni, in cui il sentimento popolare si è sfogato....Parole di odio implacabile, propositi di vendetta, rimpianti, perché il mostro è sfuggito al linciaggio». Qualche iscrizione era perfino firmata. La casa del mostro, negli anni successivi, è stata meta di curiosi dell’orrore impegnati nel loro tour morbosamente voyeuristico, in anticipo di oltre mezzo secolo rispetto a quello che è avvenuto ad Avetrana dopo l’omicidio di Sarah Scazzi. Alla prossima... H
Nelle foto a sinistra una pagina sul delitto di Alessandro Daddi de la Tribuna Illustrata del 19 ottobre 1947 sopra la ricerca dei corpi nel terreno di Picchioni
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penitenziari storici
Le carceri dell’arcipelago toscano: Capraia Aldo Di Giacomo Consigliere Nazionale del Sappe digiacomo@sappe.it
Nelle foto alcuni scorci dell’isola e dei resti del vecchio penitenziario
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40 miglia marine da Livorno verso ovest incontriamo Capraia, una delle isole dell’arcipelago toscano. Di origine vulcanica, l’isola è fortemente accidentata e dirupata, di forma ellittica allungata per 8 km mentre la massima larghezza è di 4 km. Numerosi rilievi svettano in molte direzioni separati da brevi vallate scoscesi. Tutto intorno le coste sono a picco sul mare. L’altitudine media dei rilievi è di 150/300 metri. La cima più alta è Monte Castello che raggiunge circa 450 metri.
A
L’abitato di Capraia sorge sopra un’altura (65 m.) a est del porto. Il centro abitato raggiunge con una comoda strada provinciale che costeggia il monte per circa 1 km. Il paese già popolato è ora in stato di progressiva deurbanizzazione. Da tempo, infatti, si sta verificando un costante progressivo spopolamento. Man mano gli abitanti, attirati dalla vita meno difficile del continente, stanno abbandonato i loro orti aggrappati al monte, bisognosi di continuo e poco remunerativo lavoro, allontanandosi dall’isola. Le strade pressoché deserte sono fiancheggiate da casette, la maggior parte delle quali, in assenza dei proprietari, sta cadendo lentamente in rovina. La popolazione locale, escludendo le famiglie degli agenti e del personale amministrativo, non supera le 50 anime. Fu nel 1873 che il Comune di Capraia cedette al Ministero degli Interni (Direzione Generale Carceri)
una parte dei propri terreni perché venisse fondata una colonia penale. Il territorio ceduto (poco meno di 1/3 dell’isola) ricopre una superficie di 552 ettari ed occupa la parte più settentrionale dell’isola. Molto irregolare e di forma triangolare l’appezzamento ceduto era aspramente montuoso. Se altrove si rinviene qualche zona pianeggiante e qualche vallata, qui si trova in prevalenza nuda roccia, degradante sulle vallate al cui fondo scorre in brevi ruscelli l’acqua piovana. Verso nord est dall’altezza di 447 m. del M. Castello si giunge rapidamente al mare che segna il confine. A sud un muro a secco a metà del monte segna il limite della Colonia e la divide dai terreni comunali e privati. La Colonia possiede, oltre quella Centrale, quattro diramazioni. Il corpo Centrale, situato, come si è detto, in paese risiede in un antico convento ed ha annessa la Chiesa ad uso degli internati. Altri locali (scuola, magazzini, scuderia, ecc.) sono stati aggregati man mano al vecchio edificio. A poca distanza, isolata e confortevole è la villetta alloggio del Direttore con 6 stanze ed annessi. Altra costruzione aggregata alla Centrale è la torre, bene demaniale, vestigia di epoche passate (XV secolo), adibita a spaccio viveri. Le quattro Diramazioni: l’Aghiale, l’Ovile, Portovecchio e la Mortola sono invece in montagna collegate alla Centrale da comunicazione telefonica. Per andare al tenimento bisogna ridiscendere al Porto, donde parte, in direzione nord ovest, la strada che vi conduce. Scavata a mezza costa tra le rocce del monte s’inerpica a tornanti per un buon chilometro prima di raggiungere la Colonia, un arco sulla via sta a segnarne l’ingresso. Ancora 4-500 metri e la strada, attraversato, su di un piccolo ponte, il torrente che scorre nella vallata, raggiunge la diramazione Aghiale. È questa la maggiore tra le diramazioni, ricca di numerosi piccoli fabbricati.
Ai dormitori ed uffici, si aggregano in diverso livello l’apiario, il porcile, una cappelletta adibita a fienile, l’Ufficio dell’Agronomo ed altre piccole costruzioni. Su di uno sperone più in alto, cui si giunge per un’altra strada a tornanti, la stalla per equini con una vasta aia circolare, piccoli magazzini e una concimaia. Questa diramazione comprende una vasta zona costituita dalla valle omonima e da quella prossima detta “della stalla”. Vaste e belle piazzole coltivate a viti o a cereali sono negli immediati pressi dei fabbricati.
Piazzole di ogni tipo, poi, salgono su dei monti fino a notevole altezza, coltivate per lo più a vigneto. Moltissime su in alto sono quasi impraticabili. Senza sentieri vi si giunge (quando non piove) inerpicandosi per i canaloni scavati dalle acque correnti. Questo naturalmente provoca gravi problemi per i trasporti in basso del prodotto e in alto di concimi e anticrittogamici, trasporto che necessariamente va fatto a spalla ed in misura ridotta data l’angustia e la difficoltà del cammino. A tale disagio è dovuto principalmente il fatto che le piazzole più elevate sono state un po’ alla volta abbandonate dalla coltivazione. All’Aghiale ci sono posti per 90 detenuti. Salendo ancora per la strada, che unisce tra loro tutte le diramazioni, troviamo la diramazione Ovile ove ci sono posti per 57 detenuti. Qui esistono piccoli locali ad uso uffici, il dormitorio, una vasta vaccheria capace di una quarantina di capi, nonché l’ovile per il gregge della Colonia. A mezza valle il caseificio, piccolo locale dove si giunge per un viottolo che scende serpeggiante. Poco più giù, verso est, la diramazione Portovecchio col pollaio, la cantina e gli uffici. Buona e produttiva a Portovecchio la coltivazione di uva da tavola su una decina di buone piazzole prossime alla strada. Più a nord l’ultima diramazione è la Mortola. Tutte le diramazioni, a causa di lavori di captazione di piccole sorgenti sgorganti qua e là dal monte, sono state provviste di acqua per i bisogni sia umani che del bestiame. I terreni non possono, data la loro distribuzione sparsa, essere attribuiti con precisione alle singole diramazioni. Grosso modo possono assegnarsi all’Aghiale le zone già dette, a Portovecchio la valletta omonima, all’Ovile il cosiddetto vallone con belle piazzole coltivate a vigneti; alla Mortola la valle dello stesso nome, con piazzole sparse adibite a colture erbacee. Date le condizioni pressoché simili di tutto il territorio, risulta più semplice parlare della Colonia, anziché per diramazioni, in ordine alle diverse coltivazioni. Il carcere ha chiuso definitivamente a giugno del 1986. H
un addio...
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In ricordo del nostro amico Peppe Manniello
N
on è semplice parlare di una persona che non c’è più, specie quando il cinico destino ha voluto che troppo presto lasciasse la vita terrena. Ed è ancor più difficile farlo quando si parla di un amico, perché si viene travolti da una tempesta di emozioni e sentimenti per le varie situazioni vissute insieme che acuiscono la malinconia per la sua scomparsa. Peppe Manniello era un amico, prima ancora che un collega della Polizia Penitenziaria e del Sindacato. Era una persona perbene, che credeva nei valori della solidarietà, dell’onesta e dell’amicizia e che per questo era benvoluto dai suoi colleghi. Purtroppo, nei suoi ultimi mesi di vita, molto l’hanno fatto soffrire le miserie umane di qualcuno che non gli voleva bene, emerse nei giorni successivi al suo prematuro ma necessario pensionamento, qualcuno che ha cercato di impedirgli di svolgere attività sindacale. A costoro va tutto il nostro totale disprezzo. Per gli esseri umani la morte significa abbandono e distacco e questo provoca dolore per non poter più riconoscere, rivedere e parlare con la persona cara. Per gli esseri umani è difficile accettare che la morte sia la fine di un viaggio intrapreso tempo prima e che riporta a casa, nella dimensione dalla quale si proviene. Di fronte a una perdita chi rimane in vita ha la morte nel cuore, prova un grande dolore come se ogni senso
fisico, ogni pensiero, ogni emozione fossero mutilati, spezzati, sradicati dalla loro naturale visione. L’uomo di fronte alla morte soffre terribilmente perché non riesce a comprendere che qualcosa del corpo che ci ha abbandonato, vive nell’eternità. L’uomo non crede di essere immortale e non concepisce l’immortalità nemmeno come ipotesi. Secondo alcune discipline orientali, invece, si dovrebbe accogliere la morte con gioia, perché morire è uno dei più grandi eventi della vita. Per talune filosofie orientali, nella vita esistono solo tre grandi eventi: la nascita, l’amore e la morte. E mentre la nascita e la morte sono inevitabili, l’amore è un fatto eccezionale perché accade solo a pochissime persone e non è possibile prevederlo. Le persone meschine che hanno approfittato della malattia di Giuseppe per creargli problemi, sono esseri umani che non sanno che cosa sia l’amore. E non sanno neppure che cosa sia l’onore. Noi, adesso, vorremo ricordare Peppe Manniello, che già ci manca, con questa “favola orientale” che racconta la perdita di qualcuno che si ama in chiave ottimista e amorevole .
Con amore Gianni de Blasis e Roberto Martinelli
Vi erano due innamorati che vivevano felici nel loro villaggio, ma un giorno uno di essi improvvisamente morì. Colui che rimase si disperò perché non sapeva come ritrovare l’amore perduto. E un giorno fece un sogno e sognò di essere in un prato verde in una giornata bellissima e di avere di fronte il suo amore. Sentì una grande emozione, pianse e lo spirito che gli stava di fronte gli disse: “… non devi piangere per la mia morte perché se mi hai amato, per te io vivrò per sempre. Se sulla terra e nell’universo mi hai veramente amato il mio corpo potrà scomparire, ma io non potrò mai morire perché vivrò nel tuo amore. Potrai cercarmi in ogni pietra, in ogni fiore, in ogni sguardo e in tutte le stelle dell’universo. Il mio corpo scomparirà, ma questo non deve crearti alcuna disarmonia perché ricorda che se la scomparsa del corpo creasse in te qualche differenza, tutto ciò dimostrerebbe che ciò che è nato fra noi sulla terra non è amore. L’amore è qualcosa al di là del corpo perché esso rimane nel tempo e nell’ eternità.” Il sogno finì e l’uomo si risvegliò nel suo letto mentre sentiva da lontano la voce dell’amata che gli risuonava dentro e allora capì che è inutile soffrire per una morte, ma ciò che importa è capire che anche prima di conoscere l’amore l’anima prova sentimenti, gioie e dolori che portano al di là del tempo e dello spazio.
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
30 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nella foto la copertina e la vignetta del numero di aprie 1997
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
come scrivevamo
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enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni più addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
Astrea, Regina di Coppa di Alfonso Morrone
ercoledì 26 marzo 1997, data storica per I'A.S. Astrea: battendo I'Albinese per 3 a 1 a Casal del Marmo, nel match di ritorno (andata 1-0 per i ragazzi di Agostinelli) la rappresentativa della Polizia Penitenziaria si è aggiudicata la Coppa Italia riservata alle formazioni che disputano il Campionato Nazionale Dilettanti. Ora si attendono coloro che, vincendo la Coppa Italia tra le squadre che
M
negli incontri casalinghi dell'Astrea e tutti i presenti erano consapevoli che quello che si stava vivendo rimarrà negli annali storici di questa Società. Dell'importanza dell'evento era consapevole anche il Ministro Flick, arrivato sul finire della partita a sostenere la squadra ed a godersi la premiazione. Non hanno potuto, però, fare a meno di assistere a questo grande evento soprattutto gli ex calciatori dell'Astrea accorsi in massa ad incitare i ragazzi.
partecipano ai campionati di Eccellenza e Promozione delle varie Regioni, dovranno affrontare proprio I'Astrea per l'aggiudicazione della Coppa Italia Dilettanti nella doppia gara prevista per l' 1 e 15 giugno. Ma torniamo al trionfo di Casal del Marmo. Lo stadio, per l'occasione, era gremito in ogni ordine di posto (più di 2.500 spettatori) e l'ingresso dei giocatori in campo è stato salutato da una suggestiva coreografia fatta di coriandoli, cartoncini bianchi e celesti e fumogeni rossi che hanno impedito la visione agli spettatori per una decina di minuti. Insomma, un'accoglienza così non si era mai vista
Di ciò sono rimasto particolarmente colpito, naturalmente in maniera positiva, perchè conferma che I'Astrea ha un fascino particolare che le altre squadre non hanno: chi ha indossato questa gloriosa maglia rimane eternamente innamorato dei colori biancocelesti che neanche il tempo potrà sbiadire. Sulla tribuna c'erano cinquant'anni di storia dell'Astrea e quando il capitano Davì ha alzato la Coppa al cielo, quel trofeo ha rappresento anche un giusto riconoscimento verso coloro che durante questi dieci lustri hanno difeso questa maglia ma non avevano avuto la gioia di raggiungere traguardi così prestigiosi. Sebbene nei due incontri si è evidenziato tra le due compagini un certo divario tecnico (I'Albinese primeggia nel suo girone n.d.r.), la conquista della Coppa non è stata cosa facile, specialmente nei primi minuti del secondo tempo della
come scrivevamo gara di ritorno, quando i bergamaschi hanno pareggiato il gol di Cordelli. Un altro gol dell'Albinese e la Coppa passava a loro. Invece con una calma da grande squadra i colleghi hanno fatto proprio risultato e Coppa Italia. Questo successo ha ulteriormente confermato, semmai ce ne fosse bisogno, che I'Astrea è ormai una bella realtà nel panorama calcistico italiano e che, inoltre, rappresenta un prezioso strumento di propaganda per l'immagine del Corpo di Polizia Penitenziaria. Oltretutto, non era facile arrivare a questo traguardo dopo la retrocessione dalla C/2. Ebbene, cambiando le carte in tavola con l'avvento di nuovi dirigenti, di un tecnico preparato e soprattutto con la presenza in rosa di giovani di talento e di giocatori d'esperienza, la Società di Largo Luigi Daga ha saputo risalire la china e ora, aggiudicatasi la Coppa Italia, è lì a contendersi con la Nuova Jesi il primato in Campionato che potrebbe riportarci in serie C/2, tra i professionisti. Avendo elogiato, giustamente, tutti i componenti della squadra, va sottolineata anche la grande abilità dei dirigenti e del tecnico Andrea Agostinelli nell'aver pescato giovani validissimi che hanno portato quel giusto e opportuno ricambio a una squadra ormai satura di successi come è da considerare la permanenza per sei anni in serie C/2, Tutto questo è ancor più apprezzato se s'aggiunge che la Rappresentativa della Polizia Penitenziaria è una scomoda presenza nel Palazzo del Pallone: essa non vive di alchimie come le altre e ormai è palese, per Lega e Federazione I'Astrea tra i professionisti del calcio significa soltanto togliere venti giocatori professionisti alla C/2 e niente più. l fattacci di Altamura (rigore concesso contro I'Astrea nell'ultima giornata al 105° minuto condannandola ai Play-Out) ed il mancato ripescaggio in C/2 dove sicuramente avevamo precedenza su tutti, sono episodi che la dicono lunga sull'indirizzo politico dei due organi calcistici e se a questo aggiungiamo il totale disinteresse della carta
stampata verso la nostra squadra il cocktail è servito. Un esempio su tutti. Il Corriere dello Sport - Stadio non ha ritenuto opportuno dedicare alla conquista
Quindi tutti pronti per preparare una nuova coreografia che saluterà il tempestivo ritorno dell'Astrea tra i professionisti. Forza ragazzi! H
31 Nelle foto nell’altra pagina la formazione tipo dell’Astrea a fianco le tribune dello stadio di Casal del Marmo gremite d spettatori sotto l’ingresso dei giocatori in campo nel riquadro l’organigramma dell’Astrea della stagione 1996/1997
della Coppa Italia almeno il titolo centrale nella pagina regionale. Il quotidiano sportivo ha liquidato la pratica con due piccolissime colonne di articolo dove, peraltro, il giornalista, tal Francesco Brunetti, ha definito i componenti dell'Astrea come "guardie carcerarie" ignorando che dal lontano 15 dicembre 1990 è stato istituito il Corpo di Polizia Penitenziaria abbandonando la vecchia denominazione di Agenti di Custodia avuta per circa cinquant'anni. Malgrado tutto I'Astrea vince ed in questo contesto c'è più gusto. L'interesse ora è puntato sulla vittoria finale in campionato che, aggiunto alla già conquistata Coppa Italia ed a quella probabile di giugno, potrebbe darci la possibilità di centrare il Grande Slam e nobilitare così sempre più il blasone.
AS ASTREA (1996/1997) Presidente: Cons. Giuseppe Falcone Vice Presidente: Dott. Giuseppe Suraci Dirigenti: Marcello Tolu, Felice Pietrangeli Allenatore: Andrea Agostinelli Allenatore in seconda: Roberto Gasparri Preparatore atletico: Federico Santucci Massaggiatore: Marco Ottavi Giocatori: Massimo Assogna, Damiano Buffa, Roberto Capozzi, Fabrizio Carli, Henri Carnesecchi, Giuseppe Centrone, Deni Crepaldi, Alessandro Cordelli, Santi Maurizio Dalia, Antonino Davì, Massimiliano Di Luca, Alessio Ferri, Fabio Gallo, Rodolfo Gentilini, Francesco Giordani, Marco Greco, Orlando Legnani, Antonio Leotta, Manolo Liberati, Massimo Milana, Angelo Mattei, Giancarlo Pantano, Giovanni Paris, Giuseppe Pelliccia, Tullio Polidori, Fabrizio Salvatore, Pietro Santinelli, Michele Venanzi, Mauro Venturi
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni AA.VV.
GUIDA GENERALE ALLA CITTA’ DEL VATICANO Jaka Book Edizioni pagg. 482 - euro 35,00
L
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
a prima ed unica guida generale completa della Città del Vaticano realizzata dalla costituzione dello Stato del Vaticano contemporaneo nel 1929. In accordo e sotto la responsabilità delle varie istituzioni vaticane (Reverenda Fabbrica di San Pietro, Biblioteca Apostolica, Archivio segreto, Musei Vaticani) sono state redatte le parti di questa guida. Ogni settore, monumento e realtà museale è presentato con una parte storica, che precede la descrizione o visita. Ogni testo è firmato da un singolo studioso e la guida si avvale di esperti indiscussi sia nella stesura dei testi che nell’esposizione del lavoro. La guida si rivolge perciò a tutti: turisti, pellegrini, studiosi. La guida riguarda posti visitabili e non visitabili della Città del Vaticano così come posti cui si può accedere seguendo determinate procedure. Tutti gli accessi sono spiegati nella parte finale. Si tratta infine di una pubblicazione di rilevanza storico culturale dello stato che possiede, in meno di un chilometro quadrato, la massima concentrazione artistica del mondo.
La guida è stata realizzata per la collaborazione di tre realtà editoriali, due vaticane ed una italiana. Ci riferiamo alla Libreria Editrice Vaticana, alle Edizioni dei Musei Vaticani e alla Editoriale Jaca Book di Milano.
Paolo Crepet
ELOGIO DELL’AMICIZIA EINAUDI Edizioni pagg. 144 - euro 15,50
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l legame sociale e affettivo piú nobile, l’amicizia, in un libro che ne rivela la forza consolatoria e al tempo stesso rivoluzionaria, in un’epoca segnata dalla crisi e dalla banalizzazione dei sentimenti. Col tono sobrio ma appassionato di sempre, Paolo Crepet indaga l’amicizia, sentimento «piú dogmatico dell’amore», che non conosce sfumature di comodo, per ridarle dignità. Si interroga sulle amicizie maschili e femminili, sul loro rapporto con l’amore e con il sesso, con il dolore e con la morte, con la fedeltà e il tradimento. E ancora sull’amicizia tra genitori e figli e sul senso che essa ha all’epoca dei social network. Rivelandoci il potere che rivestono nella nostra vita le relazioni che non giudicano e non ricattano, ma chiedono complicità e gratuità. E lasciandoci nella mente alcuni ritratti indimenticabili, che con leggerezza e ironia trattengono qualcosa del passato, e ci fanno intuire che nell’amicizia il tempo non è mai perduto.
Valerio Cutonilli e Luca Valentinotti
ACCA LARENTIA, quello che non è stato mai detto TRECENTO Edizioni pagg. 200 - euro 15,00
A
distanza di oltre tre decenni, l’eccidio di via Acca Larentia non ha colpevoli. Restano ignoti gli assassini di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Così come per la giustizia italiana non ha un volto il responsabile dell’omicidio di Stefano Recchioni, avvenuto poche ore dopo l’attentato. Questo libro rappresenta un tentativo di saldare il debito di verità che ogni uomo libero ha contratto la sera del 7 gennaio ’78. L’inizio somiglia quasi a un racconto. Viene ricostruita nel dettaglio l’ultima giornata delle vittime e di quanti sono sopravvissuti all’attentato. Emergono sullo sfondo i mille incroci del destino che hanno accompagnato i tre ragazzi del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile dell’allora Msi, all’appuntamento con la morte. La tragedia di Acca Larentia comincia nei primi giorni del ’78 ed è avvolta nel clima avvelenato degli anni di piombo. L’attesa del compromesso storico pare non essere neppure turbata dall’opera di macelleria umana consumata al Tuscolano. Ma gli spari di quella serata, rimasti sordi agli orecchi della classe politica italiana, riesploderanno con maggior fragore solo due mesi più tardi. Il 16 marzo ’78, con l’agguato brigatista di via Fani, la storia italiana devia improvvisamente il suo corso. Il libro, a un certo punto, sembra quasi cambiare pelle. Si trasforma in un’inchiesta che parte dallo studio della sigla usata per la rivendicazione. Chi sono i Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale? L’ennesimo gruppetto di terrorismo diffuso sorto e sciolto in poche settimane? Oppure dietro i NACT agisce una struttura ben più articolata che compie attentati a Roma, contro i giovani di destra, sin dall’inizio degli anni settanta? Dalle ricerche effettuate negli archivi storici del Tribunale di Roma sono emerse verità clamorose. Molte cose non ci sono state mai dette sull’eccidio di via Acca Larentia. Troppe. A partire dal percorso compiuto dalla famigerata Skorpion, la pistola mitragliatrice usata nell’attentato e poi scomparsa nel
le recensioni nulla per molti anni. Ma non solo. Dalle informative che la Questura di Roma inviò all’epoca all’Ufficio Istruzione si apprende l’esistenza di una pista sconosciuta all’opinione pubblica. Una pista che poi troverà conferma nelle deposizioni rese in altri processi da alcuni protagonisti del terrorismo rosso. Dichiarazioni esplicite che compongono un mosaico piuttosto nitido. Solo che nessuno, fino ad oggi, ce l’ha voluto far vedere.
Enrico Gregori
QUANDO IL CIELO ERA SEMPRE PIU’ BLU. Rino Gaetano raccontato da un amico HISTORICA Edizioni pagg. 182 - euro 14,00
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n’amicizia nata grazie all’amore per la musica. Quando il cielo era sempre più blu, racconta l’intesa tra il giovane critico musicale Enrico Gregori e Rino Gaetano. L’incontro tra il giornalista e l’artista si trasforma canzone dopo canzone, anno dopo anno, in stima e affiatamento reciproco. Da Ingresso Libero alla tragica morte, passando per il grande successo ottenuto con il terzo posto al Festival di Sanremo, il libro ricostruisce il percorso musicale di Rino Gaetano e restituisce al lettore un ritratto inedito dell’artista. Nonostante le fragilità, l’autore racconta di un Rino Gaetano che con disincanto, ironia e nonsense interpreta la contemporaneità, anticipa i tempi, raccoglie passato, presente e futuro in testi folli e straordinari. Dal seminterrato di Via Nomentana, al bar del Barone a Montesacro, fino alla fabbrica occupata, conosciamo i luoghi, le abitudini, i volti che hanno rappresentato la quotidianità nella vita del grande artista calabrese. Le amarezze, le incertezze, le abitudini, le gioie, gli umori, l’umiltà, la poesia di Rino Gaetano in una testo che diverte, affascina, racconta.
Danilo Quinto
DA SERVO DI PANNELLA A FIGLIO LIBERO DI DIO FEDE E CULTURA Edizioni pagg. 208 - euro 18,00
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uesto libro è “l’altra faccia” della medaglia radicale. C’è chi dice che Pannella non conta nulla e che Radio Radicale esiste per farlo divertire... Altri vorrebbero Presidente della Repubblica Emma Bonino, la quale sostiene che il cristianesimo ha esaurito la sua carica vitale, storica. Il progetto pro-Bonino è di un vasto schieramento, che corrisponde ad una cultura che affonda le sue radici nel ’68. Mentre i radicali demoliscono i principii del diritto naturale, Governi di destra e sinistra e il fior fiore dei parlamentari cattolici, consentono che la loro radio riceva decine di milioni di euro l’anno, più gli importi della legge sull’editoria, più le quote di finanziamento pubblico per la loro lista, più il danaro proveniente dall’accordo elettorale con il PD, più le pensioni dei loro ex deputati. Incassano denaro pubblico e sono i più candidi di tutti. Gli altri? Tutti ladri, che si spartiscono il bottino. Pannella, la Bonino e il potere. Una vicenda equivoca e ambigua. Raccontata da chi ha lavorato con loro per vent’anni.
Bruno Contrada con Letizia Leviti
LA MIA PRIGIONE. Storia vera di un poliziotto a Palermo MARSILIO Edizioni pagg. 272 - euro 16,50
è
la vigilia di Natale del 1992 quando Bruno Contrada, dirigente del Sisde con alle
spalle una lunga carriera in Polizia, viene arrestato a Palermo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Al termine di una complessa vicenda giudiziaria sarà condannato a scontare dieci anni di reclusione. Da allora Contrada non ha mai smesso di proclamare la sua innocenza portando avanti una tenace battaglia. Nato dall’incontro con la giornalista Letizia Leviti, questo libro raccoglie il racconto dei fatti, i ricordi, le considerazioni, le previsioni di un uomo che nell’arco della vita ha conosciuto la mafia e i mafiosi, la politica e i politici, la magistratura e i magistrati. E ha conosciuto il carcere. Ripercorrendo decenni di storia d’Italia - dal suo arrivo a Palermo nel 1962 a oggi Contrada affronta tutti i risvolti, anche i più oscuri, della sua storia: le accuse dei pentiti, i rapporti con Falcone e Borsellino, il suo presunto coinvolgimento nella strage di via d’Amelio, la trattativa statomafia. A completare il quadro, un documento inedito: un’informativa sulla situazione della mafia a Palermo e provincia che Contrada stilò nel 1982 all’indomani dell’omicidio La Torre, in cui per primo faceva riferimento all’esistenza della cosiddetta «zona grigia». Risultato di un profondo travaglio morale, il libro si compone di tante risposte, ma genera altrettante inquietanti domande. H
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Polizia Penitenziaria n.200 novembre 2012
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l’ultima pagina
Lettera al Direttore Noi vecchi, fino a quando...
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ono un ragazzotto con 30 anni di servizio, e spesso mi guardo indietro a vedere quello che ero, e quello che eravamo. Penso poi al ragazzo 19enne che andò a fare l’ausiliario e rimase abbagliato, tra le tante cose, anche dalla possibilità di andare in pensione con 19 anni di servizio, (i ragionieri all’epoca - nel 1983 - andavano in pensione con 14 anni 6 mesi) e giustamente pensò: sarei un pazzo ad andarmene da qui. Ricordo i mitici Principi del carcere, chi erano??? ma gli appuntatoni con quei grandi gradi rossi che incutevano rispetto a noi giovani, ma anche ai detenuti, pure a quelli più arrabbiati. Ricordo perfettamente che in sezione noi giovani andavamo prima di arrivare, (vi ricordate cari vecchi???) «queste sono le chiavi sono 52, ciao» e tu rimanevi li solo senza sapere cosa fare, in soggezione davanti ai reclusi, che ti guardavano e sorridevano, forse pensando, ecco un altro pulcino. E ad onor del vero c’era il turn over, quello vero, 3 4 5 anni in sezione prima di poter aspirare ad un posticino migliore, e come diceva il Comandante Maresciallo: il treno passa una sola volta! Che nella maggior parte dei casi era un cancello, la rotonda, o magari il reparto infermeria un po’ più piccolo e con meno detenuti, rispetto alle sezioni normali. Ora guardo in istituto e magicamente in molti casi, non in tutti, ma in molti, vedo dei giovanotti magari in ufficio (conti correnti, sopravvitto, domandine N.T.P.) e chi più ne ha più ne metta. Lo so, voi direte: e no ci sono gli interpelli, e non si scappa, tutto è chiaro, ma a parte gli anni e i titoli, vogliamo sorvolare sul colloquio orale fatto con i Dirigenti, lascio
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immaginare. Penso, sarà anche colpa nostra, magari ci siamo fermati alla 3ª media, loro sono più intelligenti, più preparati, ma credetemi spesso non è così, sono semplicemente persone che sono state segnalate da quello e questo, e che quando devono dare un cambio all’interno delle sezioni che notoriamente come noi che le frequentiamo tutti i giorni sappiamo che PUZZANO, quindi per scamparla fanno il giro cominciando dal Sovrintendente, Ispettore, Commissario, e se ci fosse bisogno facendo chiamare dalla Matone. Mi rattrista vedere quegli assistente ancora dignitosamente in sezione, magari un pochino curvi, con gli occhialoni per leggere le tabelle, e che finiranno la loro carriera li, e non come pensavano anni prima, ossia come i loro padri i Principi, a dare ordini a destra e a manca, e mi chiedo: dov’è la giustizia? Noi vecchi mandiamo avanti le carceri d’Italia, noi che facciamo il lavoro dei giovani, vero è che ce ne sono pochi, ma se anche quei pochi hanno il divieto di entrare nei reparti, allora è la fine. Noi vecchi abbandonati da tutti, e spesso maltrattati, da chi??? Per esempio vai all’ufficio servizi e chiedi il congedo ordinario e guai a te se nei tre mesi precedenti ti sei ammalato, si sa a 50 anni si è in perfetta forma, e scatta la ritorsione, (oltre a farti fare 3 prime a settimana, massacrandoti anche con più notti ), ti dicono che non è possibile, ma come? rispondi tu, io ho una visita della mia vecchia, risposta: ma io non ho il personale, cerca di spostarla e così via, d’altronde ti dicono sfacciatamente, quando ti sei ammalato ho dovuto togliere il riposo a tizio e caio. Allora ti assale la rabbia e pensi, voglio giustizia, ti presenti dal Commissario mettendolo al corrente, e qui delusione: sai io non posso farci nulla, d’altronde chi si ammala questo ottiene (che tristezza d’uomo), gente senza vergogna. Spero con la presente di dare la voce anche agli ultimi dei minatori. Un ragazzotto con 30 anni di servizio
il mondo dell’appuntato Caputo il nodo... di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2013
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013