Carte Blanche #6 · Il pittore che fuggiva il vento

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Car te Blanche #6

Il pit tore c he fuggiva il vento Cinque ar tisti alla ricerca di Antonio Donghi





Car te Blanche #6

Il pit tore c he fuggiva il vento Cinque ar tisti alla ricerca di Antonio Donghi


Car te Blanche #6

Il Pittore che fug giva il vento.

Cura redazionale e

Cinque ar tisti alla ricerca

coordinamento del catalogo

di Antonio Donghi

Catalogue Editing and

The Painter who fled the wind.

Coordination

Five artists in search

Francesca Pagliuca,

of Antonio Donghi

Nicoletta Scabini

UniCredit Studio

Contributi di / Texts by Francesca Pagliuca

Ar tisti / Artists

(UniCredit Studio

Alessandro Agudio

Project Manager),

Helena Hladilovà

gli Ar tisti / The Artists.

Alice Mandelli Valerio Nicolai

Traduzioni / Translation

Namsal Siedlecki

Ben Bazalgette

Mostra a cura di

Ar t Direction

Exhibition curated by

Pomo

Francesca Pagliuca Design Assistente curatore

Alessandro Cavallini

Assistant Curator Nicoletta Scabini

© Gli autori per i testi © The authors for the texts

Uf ficio Stampa Press Office

Carte Blanche è il titolo che

SEC

contrassegna la collana di cataloghi e le esposizioni

Logistica / Logistics

presso UniCredit Studio, nate

Massimiliano De Sur y,

per sostenere e promuovere

Davide Locati

giovani ar tisti e curatori a livello internazionale. Car te Blanche is the title of a series of catalogues and exhibitions at UniCredit Studio created to support and promote young artists and curators internationally.




Un patrimonio viv o A living heritage UniCredit for Art

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“ H o viva passione p e r l a su a p i t tu r a ” “ I have a vibrant p a s s i o n f o r y ou r p a i n t i n g ” F rancesca P agliuc a

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P rogetti d’artist a i n d i a l o g o co n A n t o n i o Do n g h i A rtists’ proje cts i n d i a l o gu e w i t h An t o n i o Do n g h i

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A lessandro Agudio

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H elena Hladilovà

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A li c e Mandelli

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V alerio N i colai

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N amsal Siedle cki

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RINGRA ZIAMENTI A C KNOWLEDGEMENTS

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Un patrimonio vivo

La nostra visione della collezione d’arte UniCredit è quella di un patrimonio “vivo”, ossia di un insieme di opere in costante dialogo con il presente: ciò vale sia per i lavori di arte contemporanea, che in maniera più diretta ed immediata raccontano e riflettono il nostro tempo, ma anche per le opere d’arte antica e moderna, su cui cerchiamo di offrire stimoli di lettura sempre nuovi. Per noi è tutto molto chiaro e coerente. Il supporto ai giovani artisti e alla sperimentazione più d’avanguardia è l’ultimo “anello” di un impegno che, passando per gli artisti contemporanei più affermati presenti in collezione, giunge fino ai grandi Maestri del passato. Il dialogo con il passato è fondamentale, solo tenendo ben saldo il legame con le nostre radici possiamo affrontare il futuro, per crescere e rinnovarci. Quest’aspetto è importante per un’azienda e per il rafforzamento della sua identità, ma lo è anche per i singoli individui e soprattutto per gli artisti, i più attenti e sensibili a percepire i cambiamenti di scenario. Proprio in quest’ottica per questa nuova mostra delle serie Carte Blanche, ormai la sesta di UniCredit Studio, cinque giovani artisti sono stati invitati ad approfondire il lavoro di un artista dei primi del Novecento, Antonio Donghi, pittore romano appartenente alla corrente del Realismo Magico di cui abbiamo in collezione un significativo nucleo di opere, ereditate da Banca di Roma. Se ogni mostra può essere considerata un percorso di approfondimento e formazione, ciò vale non solo per chi guarda ma anche per chi è concretamente immerso nella produzione delle opere. Per i giovani avere avuto occasione di studiare Donghi, la sua arte e la sua vita d’artista, ha rappresentato una possibilità di confronto e di crescita, per noi è stato senza dubbio un modo nuovo di guardare e portare attenzione su uno dei grandi protagonisti della nostra collezione. U n i C re d i t f o r A r t

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A living heritage

Our vision of the UniCredit Art Collection is that of a ‘living heritage’, meaning an ensemble of works in an ongoing dialogue with the present. This is true both of the works of contemporary art, which more directly tell and reflect on our own era, and also for the works of ancient and modern art, of which we constantly try to provide new interpretations. It’s all very clear and coherent from our point of view. Our support given to young artists and the most avant-garde experimentation is but one ‘link’ in an ongoing commitment which, via the most well-established contemporary artists to be found in the collection, stretches right up to the great Old Masters. Maintaining our dialogue with the past is essential, for only by holding on to our own roots may we face the future with a sense of growth and renewal. This is a fundamental aspect for a company and for the strengthening of its identity, but it is also for single individuals and above all for artists, the most sensitive of all to changing scenarios. It is with this in mind that for this new exhibition in the Carte Blanche series – now the sixth to be held at the UniCredit Studio – five young artists have been called upon to reappraise the work of an early 20 th-century artist: Antonio Donghi, a Roman painter belonging to the Magical Realism school of which we have a substantial number of works in our Collection, inherited from the Banca di Roma. While every exhibition may be considered a form of study and enrichment, this holds true not only for visitors but also for those who are actually involved in the production of the works. For young artists, having the chance to study Donghi, as well as his life and art, constituted an opportunity for comparison and professional growth, while it also undoubtedly provided us with a new way of looking at and focusing on one of the key protagonists of our Collection.

U n i C re d i t f o r A r t

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“Ho viva passione per la sua pittura” “I have a vibrant passion for your painting”

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“Ho viva passione per la sua pittura” F ra n c e s c a P a g l i u c a

Questo testo ha come titolo le parole che un collezionista, il compositore Alfredo Casella, scrisse ad Antonio Donghi. Non a caso l’immagine di Casella che è passata alla storia è quella del ritratto dipinto da Giorgio de Chirico: egli era assolutamente rapito dall’arte dei pittori a lui contemporanei, con la loro ricerca sentiva profondamente sintonia tanto da collezionare le loro opere e ricercare un continuo dialogo attraverso fitte corrispondenze. Mi piace iniziare con le sue parole perché questa mostra nasce in effetti dalle opere di una collezione - quelle di Antonio Donghi presenti nella raccolta del gruppo UniCredit - ma allo stesso tempo intende costruire un dialogo con artisti contemporanei. La scelta di omaggiare Donghi non celebra un anniversario o un’occasione particolare, è del tutto pretestuosa. Di certo ha, ancora una volta, a che fare con “viva passione” e questo può bastare. La collezione d’arte UniCredit vanta un nucleo importante di opere dell’artista romano che include dipinti - tra cui ritratti, paesaggi, nature morte - disegni e schizzi preparatori. Tra tutte emerge senza dubbio Il giocoliere, 1936, opera esposta per la prima volta alla XX Biennale Internazionale di Venezia, che rappresenta uno dei momenti più alti del Realismo Magico di Donghi e sicuramente uno dei suoi quadri più noti, anche perché vi si riconoscono gli elementi più caratteristici del suo stile: la staticità e il senso di sospensione impresso alle figure, unito a una precisa, quasi “fotografica”, fedeltà di rappresentazione. Il personaggio ritratto nell’atto di eseguire un esercizio circense è il Marchese Lauro de Bosis, poeta dannunziano, amico carissimo dell’artista e grande promotore della sua arte negli Stati Uniti (organizza nel 1926 una mostra d’arte italiana in America dove Donghi ottenne il suo primo successo internazionale). Su questa figura aleggia un senso di malinconia legato alla sua storia: la sua posizione antifascista si radicalizza al punto tale che de Bosis decide di mettere in atto un volantinaggio di protesta su Roma, acquista un piccolo aereo ed impara a pilotarlo. Mosso da estrema determinazione parte da Marsiglia nell’ottobre del 1931 e riesce a lanciare una pioggia di 400.000 manifestini su Roma, in attesa, al rientro verso la Francia, di una tragica morte in volo. Donghi era figlio di un sarto, da lì probabilmente gli deriva l’attenzione alla resa della fattura degli abiti, nella scelta di colori intensi per i tessuti, nella varietà dei costumi soprattutto per i quadri a soggetto circense. Il tema del circo ritorna ne L’ammaestratrice di cani, opera del 1946 esposta per la prima volta al pubblico nel 1948 presso una galleria romana e, successivamente, alla XXV Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (1950). In un periodo per lui difficile, il dopoguerra, dove tra le nuove tendenze astratte non riusciva bene a trovare una sua collocazione nella scena artistica, quest’opera ottiene comunque un riscontro considerevole, come per le altre da lui presentate in Biennale. In una composizione estremamente calibrata, Donghi sfodera le sue migliori carte: una figura femminile (la domatrice) di estrema grazia per la postura statuaria ma al tempo stesso leggera e ironica, quasi leziosa nell’abitino color lilla e nello sguardo sfuggente, l’attenzione alle geometrie come la palla in equilibrio sullo sgabello o i cerchi, di cui uno incornicia come un incastro magico il profilo del cane più grande. Un istante 12


così perfetto che non lascia immaginare alcun seguito. Si diceva che Donghi ammonisse le sue modelle invitandole a restare completamente immobili durante le sedute di posa e che da questo potesse derivare anche quello sguardo un po’ ritratto e assente, che sembra specchiarsi in se stesso più che cercare una comunicazione con l’esterno. Chissà se avrà ammonito anche sua sorella Bianca quando ha posato in Donna che fuma, 1950, dipinto dove il suo profilo si staglia netto su un fondale piatto, la resa dei riccioli è meticolosa, il disegno netto e preciso, gli accordi cromatici ricercati. Ritorno dal lavoro (Ritorno dalla campagna) è invece molto probabilmente l’ultimo quadro da lui dipinto, fu infatti trovato sul cavalletto al momento della sua morte, il 16 luglio del 1963. Lungo una strada di campagna un uomo a cavallo, con cane a seguito, rientra verso casa, forse da una giornata di caccia. Il dipinto sembra raccontarci una realtà lontana, il mondo della provincia italiana tanto caro all’artista forse proprio per il suo essere rimasto al riparo dai cambiamenti e dalle turbolenze della vita moderna. Queste e tante altre cose potrei scrivere per dare un assaggio della complessità di quest’artista. Tuttavia la domanda adesso è un’altra: cosa può dire oggi Donghi e il suo Realismo Magico a un gruppo di artisti contemporanei? Esiste un ponte tra la sua ricerca e la contemporaneità? Penso esistano affinità, sintonie, suggestioni che valeva la pena esplorare con una mostra. Dicevano di lui che non usciva a dipingere se c’era vento perché si muovevano le foglie (da qui deriva il titolo della mostra Il Pittore che fuggiva il vento). Dicevano che non si accontentava di finire un quadro in un’ora perché preferiva impiegarci mesi e che, probabilmente, avrebbe potuto dipingere per tutta la vita un bruco (L. Sinisgalli). In quest’ultimo aneddoto, ma anche in molti dei dipinti dedicati a paesaggi dove Donghi restituisce con cura ossessiva la meticolosità del fogliame, percepisco la stessa forma di devozione con cui Alice Mandelli disegna fiori o ricalca i suoi testi. L’interesse per il mondo naturale (come “immagine” specifica l’artista) e per la crescita organica di fiori e piante ha portato Alice a ricreare, in occasione del progetto TUTTO SU , 2011 (presso lo spazio di Lucie Fontaine, con cui collabora dal 2009), una parete di fiori dipinti dove ai disegni si intervallavano una serie di testi, scritti da lei e da persone a lei vicine, dall’artista successivamente ricalcati e ricolorati. Sottoponendo i testi a questo processo intendeva donare alle parole una nuova natura, diversa da quella di veicolare significati. Le parole dovevano assumere una dimensione organica, viva e vibrante, all’unisono con l’organicità della flora che li avvolgeva. Il percorso di Donghi è coerente e coeso: precisione del disegno, saldezza delle volumetrie, atmosfere oniriche e figure congelate in un’inquietante fissità. Una realtà così perfetta e cristallina da diventare proprio per questo irreale, dunque magica. Questa soglia tra realtà ed il suo eccesso che sfocia nel suo opposto mi fa pensare ad Alessandro Agudio. L’interesse dell’artista sembra diretto a cercare punti di vista diversi dalla percezione ordinaria, nel tentativo di combattere una sorta di apatia della visione che ci conduce ad ignorare aspetti densi di poeticità. Confinati in una sorta di “visione a distanza” ci è 13


preclusa una lettura più complessa e articolata del tempo in cui viviamo. In questo circolo chiuso le opere di Alessandro si inseriscono come forti e improvvisi bagliori che ci portano a considerare elementi e aspetti prima ignorati. Appellato Le Petit-Maître, Donghi lamenta nei suoi ultimi anni di vita di come i pittori “figurativi” sembravano non riscuotere più l’interesse di un tempo alla luce delle nuove tendenze astratte. Queste considerazioni sul rapporto tra pittura figurativa e astratta mi fanno pensare a Valerio Nicolai. I dipinti di Valerio potrebbero leggersi come mappe, sia perché alludono a una dimensione di continua ricerca nella deriva delle forme e delle traiettorie, sia perché sono costruiti, da un punto di vista materico, attraverso stratificazioni che contemplano tecniche diverse: dalla pittura a olio al collage, dal disegno a inserti di varia natura. Figure vicine alla realtà convivono con forme ibride tra l’umano e il fantastico, dalla presenza di questo doppio registro si libra un’atmosfera sospesa tra l’onirico e l’emersione di ricordi mescolati a trame immaginarie. La dimensione del quadro diventa la cornice perfetta per delimitare uno scenario dove il mondo sensibile può convivere con il suo opposto, l’informe e il sommerso, producendo un’oscillazione continua dello sguardo. Nel suo autoritratto Donghi non si ritrae in maniera convenzionale con tavolozza e pennelli, ma semplicemente guarda. Quasi a dire che il ruolo dell’artista sta nell’osservare e restituire ciò che vede. Questo mi fa pensare ad Helena Hladilovà. Un processo di scelta soggettivo e dunque estremamente personale porta Helena a individuare nel mondo sensibile delle sollecitazioni visive registrandole come eventi fuori dall’ordinario, oppure ad attivare delle situazioni che permettono di accedere ad una maggiore comprensione di determinati fenomeni, prima non appieno considerati. In una fotografia dal titolo Photograph of found situation II, 2010, l’artista invece registra semplicemente una situazione, una carta appallottolata di colore blu che si mimetizza sulle strisce stradali (e per questo non viene rimossa dagli spazzini); una leggera e chiara riflessione su tutto quanto ci passa accanto e non riusciamo a percepire perché appiattito in una sorta di rumore di fondo. La realizzazione di un quadro per Donghi era un processo quasi maniacale, tutto era basato su disegni estremamente accurati e dettagliati anche in merito al riporto su tela. L’importanza data ad ogni fase del processo mi fa pensare a Namsal Siedlecki. Parlando della sua ricerca Namsal sottolinea come l’attitudine a dare rilievo potenzialmente a tutte le fasi del processo creativo comporti uno slittamento di prospettiva nella visione stessa del lavoro, fino a considerare lo stesso spazio ospitante come materiale plastico. Guardando i dipinti di Donghi si ha come la sensazione di osservare un mondo protetto da una campana di vetro, lontano dalla contingenza e dalla mutevolezza delle cose. Per tutta la vita l’artista ha perseguito il suo iperrealismo. Ci ha dimostrato come guardare al passato, alle fonti, ed interpretarle attivamente può essere altrettanto coraggioso e radicale di un gesto di rottura avanguardista.

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“I have a vibrant passion for your painting” F ra n c e s c a P a g l i u c a

The title of this text comes from the words that a collector, the composer Alfredo Casella, used when writing to Antonio Donghi. It is no coincidence that the image of Casella which has gone down in history is that of the portrait painted by Giorgio de Chirico: he was absolutely swept away by the painting of his contemporaries, he felt so close to their artistic research that he would both collect their works and seek ongoing dialogue through his frequent correspondence. I like the idea of opening with his words because this exhibition is actually based on the works in a collection – those by Antonio Donghi to be found in the collection of the UniCredit Group – while at the same time it sets out to build a dialogue with contemporary artists. The choice of paying homage to Donghi does not commemorate an anniversary or any other particular occasion; it is merely a pretext. But it still has to do with that selfsame “vibrant passion,” and that is quite suffice. The UniCredit Art Collection lays claim to a major selection of works by the Roman artist including paintings – portraits, landscapes, still-life works – drawings as well as preparatory sketches. The work that stands out is undoubtedly Il giocoliere, 1936, displayed for the first time at the 20th International Venice Biennale. The work represents one of the highpoints of Donghi’s Magical Realism, and it is surely one of his best-known paintings, also because all the most characteristic elements of his style may be recognised: the staticity and sense of suspension endowed on his figures, along with a precise – almost ‘photographic’ – faithfulness of representation. The character portrayed in the act of performing a balancing act is Marquis Lauro de Bosis: a poet of the D’Annunzio school, dear friend of the artist and great promoter of his art in the United States (in 1926 he organised an exhibition of Italian art in America, where Donghi achieved his first international success). This figure is surrounded by a sense of melancholy bound up in his own past: his anti-fascist stance hardened to the point that de Bosis decided to undertake a leafleting protest campaign in Rome, for which he purchased a light aircraft and learnt how to fly it. Driven by his extreme determination, he left from Marseilles in October 1931 and managed to scatter some 400,000 leaflets right across Rome, only then to come to a tragic end during his return flight towards France. Donghi was the son of a tailor, and this was probably where he developed an eye for the workmanship of clothing, the choice of intense fabric colours, the variety of his costumes, especially for those paintings on the theme of the circus. The circus theme was to return in L’ammaestratrice di cani, 1946, a work put on public display for the first time in 1948 at a Roman gallery and then at the 25th International Art Biennale of Venice (1950). In what was a difficult period for him, the post-war years, when he was unable to find his place in the artistic scene among the new abstract tendencies, this work nevertheless enjoyed a degree of success, as did the others that he presented at the Biennale. In an extremely balanced composition, Donghi plays his best cards: an extremely graceful female figure (the dog tamer) in a statuary posture, yet at the same time light and almost ironic, with her little lilac dress, smirking slightly beneath her fleeting glance, with great attention paid to geometry as may be seen in the ball, balanced on the stool, and the hoops, one of which – by magical coincidence – frames the head of the larger dog. Such a perfect instant that we are left unable to imagine quite how the scene may unfold. Donghi is said to have sternly warned his models to remain completely motionless when posing, 15


and it was in this way that he was able to glean that slightly absent gaze, one which seems to be self-focused rather than in search of communication with the outside world. Who knows whether he was just as strict with his sister Bianca when she posed for Donna che fuma, 1950, in which her profile stands out sharply against the flat background, her curls meticulously rendered, the outlines sharp and accurate, the colours painstakingly chosen. Ritorno dal lavoro (Ritorno dalla campagna) on the other hand is most likely his last ever painting: it was in fact found on his easel when he died on 16 th July 1963. A man on horseback with a dog following just behind him makes his way homeward along a country road, perhaps after a day’s hunting. The painting seems to tell us of a distant reality, that world of provincial Italy which was so dear to the artist, perhaps by virtue of it having been excluded from the changes and the turbulence of modern society. These and so many other things could be written to give a sense of the complexity of this artist. However, the question at hand is what might Donghi and his Magical Realism say today to a group of contemporary artists? Is there a link between his research and that of the contemporary scene? I believe there to be affinities, similarities and evocations that together are worth exploring through an exhibition. He is said to have been unable to paint if it was windy because it would make the leaves rustle (and this is where the title of the exhibition – The Painter who Fled the Wind – comes from). He is said to have been unwilling to polish off a painting in an hour, always preferring to take months over it and that he probably could have spent his entire life painting a caterpillar (L. Sinisgalli). In this last anecdote, but also in many of his landscape paintings, in which with obsessive care, Donghi meticulously renders every detail of the foliage, I note the same form of devotion with which Alice Mandelli draws flowers or traces her own words. Her interest in the natural world (as an ‘image’, the artist specifies) and the organic growth of flowers and plants led Alice (on the occasion of the TUTTO SU project 2011 at the Lucie Fontaine space, with which she has collaborated since 2009), to recreate a wall of painted flowers, on which the drawings are interspersed with a series of texts, written by her and by people close to her, and which the artist then retraced and re-coloured. The process which the texts undergo is meant to provide the words with a new nature, different from that of merely bearing meaning. The words were thus supposed to take on a lively and vibrant organic dimension, in unison with the vital naturalness of the surrounding flora. Donghi’s approach was coherent throughout his career, with his great precision in drawing, the solidity of his volumes, the dreamlike atmospheres and figures captured in an unsettling fixedness. A reality that becomes unreal and thus magic by virtue of its very perfection and crystalline clarity. This threshold between reality and its excesses to the point of it being transformed into its opposite reminds me of the work of Alessandro Agudio. The artist seems to focus on seeking out points of view different from that of everyday perception, in an attempt to contrast a kind of apathy of vision which leads us to overlook aspects that are actually brimming with poetry. Confined to a sort of “vision from afar,” we are unable to undertake a more complex and articulate reading of the era in which we live. In this closed circle, Alessandro’s works are 16


presented as strong and sudden flashes which spur us to consider elements and aspects that would otherwise be ignored. Having been given the name Le Petit-Maître, in his later years Donghi was to lament how ‘figurative’ painters no longer seemed to arouse the interest of yesteryear in the wake of the new abstract tendencies of the day. These considerations on the relationship between figurative and abstract painting remind me of Valerio Nicolai. Valerio’s paintings could be read as maps, both because they allude to a dimension of ongoing research into the field of forms and trajectories, and also because from a material point of view they are made up of numerous stratifications that exploit various different techniques: from oil painting to collage, from drawing to inserts of various kinds. Figures close to reality live alongside hybrid forms between the human and the fantastical, and an atmosphere arises from the presence of this double register, suspended between the oneiric and the emergence of memories coupled with imaginary stories. The dimension of the painting becomes the perfect frame for a scenario in which the sensitive world may live in harmony with its opposite – the shapeless and the submerged – causing a continuous oscillation of the gaze. In his self-portrait, Donghi does not paint himself in the conventional manner with palette and brushes: he simply gazes. Almost as if to say that the role of the artist lies in observing and rendering what he sees. This reminds me of Helena Hladilovà. A subjective – and thus extremely personal – selection process leads Helena to indentify a number of visual stimuli in the sensitive world, registering them as extraordinary events, or triggering situations that make it possible to gain a greater understanding of given phenomena, previously not fully considered. Instead, in a photograph entitled Photograph of found situation II, 2010, the artist simply records a situation: a scrunched up piece of blue paper, camouflaged against the road markings (and for this reason is not swept up by the street-cleaners); a light-hearted but clear reflection on all that which passes us by yet which we are unable to perceive because it is drowned out by a sort of all-enveloping background noise. For Donghi, the painting of a picture was an almost maniacal process; everything was based on extremely accurate and detailed drawings, even indicating how they should be transposed onto the canvas. The importance given to every stage of the process reminds me of Namsal Siedlecki. When describing his own research, Namsal underlines how stressing all the potential stages of the creative process entails a shift in perspective even in the viewing of the work, to the point of also considering the exhibition space as artistic material. Looking at Antonio Donghi’s paintings, one has the sensation of observing a world preserved beneath a bell jar, far from the contingency and changeability of things. The artist pursued his sense of hyperrealism throughout his life. He showed us how to look to the past, to the sources, and how interpreting them actively may be just as courageous and radical as a gesture of avantgarde rupture.

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Progetti d’artista in dialogo con Antonio Donghi Artists’ projects in dialogue with Antonio Donghi

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Alessandro Agudio

Le immagini che ho deciso di inserire in queste pagine mi aiutano a configurare una certa atmosfera e alla tonalizzazione dello spazio a cui sto lavorando. Intendo porre attenzione sul termine Realismo Magico, non tanto come corrente artistica legata ad un preciso tempo e luogo ma come elemento di stile che può ricadere in altri generi. The images that I decided to insert in these pages help me to create a certain atmosphere and to tonalise the space I’m working on. I aim to focus attention on the term Magical Realism, not so much as an artistic current bound up in a precise time and place, but rather as an element of style which may emerge also in other genres.

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Helena HladilovĂĄ

I colori scelti per queste pagine speciali sono estratti dal piĂš noto dei suoi dipinti, Il giocoliere. The colours chosen for these special pages are taken from his most famous painting: Il giocoliere.

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Alice Mandelli

Leggendo i testi critici su Antonio Donghi ho sottolineato alcune frasi che mi interessavano e affascinavano. Riscritte stanno in piedi, contornate da disegni e colori e creano un’aura magica e misteriosa. “Un universo perfetto costruito secondo una quiete sorprendente” Bruno Mantura “Con una pulizia da ermellino” Roberto Longhi “Letteratura chiromantica” Teresa Benedetti While reading the critical texts on the work of Antonio Donghi, I underlined a number of sentences which caught my interest. They are presented here, rewritten and surrounded by drawings and colours to create a magical and mysterious aura. “A perfect universe pieced together with surprising calm” Bruno Mantura “With all the clarity of an ermine” Roberto Longhi “Chiromantic literature” Teresa Benedetti

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Valerio Nicolai

Ho cercato di capire il lavoro di Donghi attraverso la combinazione della mia opera con la sua. Ingrandendo dei particolari dei suoi dipinti, ho trovato delle superfici irriconoscibili dove poter intervenire, facendo così del suo lavoro, una cosa completamente mia. L’operazione quindi diventa un’analisi quasi scientifica dell’opera dell’artista, ma allo stesso tempo fantastica poiché decifra minuscoli spazi di alcuni suoi quadri, invisibili allo sguardo, riuscendo ad avere in questo modo dei monocromi sul quale, scopro le cose che possono essere nascoste, un mondo che esiste solo attraverso la mia osservazione della sua opera. Sono andato alla scoperta della magia che Donghi mi suggeriva, una magia nascosta che ho voluto rilevare mescolandola con la mia immaginazione. Ne consegue una sorta di contraddizione, tra il trattamento tecnico e sistematico con cui sono intervenuto sull’opera e la sensibilità dei contenuti. I have tried to understand Donghi’s work through the combination of my own work with his. By enlarging details of his paintings, I found unrecognisable surfaces on which to intervene, thus turning parts of his work into something entirely of my own. The operation therefore becomes an almost scientific analysis of the artist’s work, while at the same time a fantastical one, insofar as it deciphers tiny spaces of several of his paintings, invisible to the naked eye, thus creating a number of monochromatic areas in which to discover things that may be hidden, a world that only exists through my observation of his work. I set out to discover the magic that Donghi suggested, a hidden magic which I wanted to reveal by coupling it with my own imagination. The result is a sort of contradiction, suspended between the technical and systematic approach which I used to intervene on the work and the delicacy of the contents themselves.

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Namsal Siedlecki

Nella tradizione scultorea ogni studio che si rispetti ha il cassone della creta, luogo deputato al riutilizzo dell’argilla. La creta è un materiale infinito. Una volta utilizzata viene fatta asciugare per poi ridurla in piccoli pezzi che vengono immersi in acqua in modo che assorbano il giusto quantitativo di umidità. Ciò consente al materiale di tornare allo stato iniziale, permettendone un nuovo utilizzo. E così in eterno. L’argilla contenuta all’interno dei cassoni subisce innumerevoli mutamenti, passando di volta in volta attraverso sembianze distanti tra loro, adattandosi ad infinite possibilità di forme e contenuti. Estraendo da questa moltitudine di frammenti un prescelto, interrompere il suo ciclico destino, risparmiandogli un’incessabile sottomissione. Mi interessava reagire alla precisione del segno che caratterizza la pittura di Donghi andando alla ricerca di ciò che si cela dietro l’apparenza. Traditionally, every self-respecting sculpture studio has a clay box, where leftover pieces of clay may be put back for reuse. Clay is material that may be used endlessly. Once used, it is left to dry before being broken down into small pieces which are then covered in water in order for them to absorb the right amount of humidity. This allows the material to return to its initial state, and for it to be used once again. And so on in eternity. The clay to be found inside the clay box undergoes countless changes of state, each time passing through different figures, adapting to the infinite possibilities of forms and contents. Extracting a chosen one from this multitude of fragments means interrupting its cyclic destiny, saving it from its relentless submission. I was interested in reacting to the precision that characterises Donghi’s drawing work by seeking out that which is hidd en beneath appearances.

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Alessandro Agudio Helena Hladilovรก Alice Mandelli Valerio Nicolai Namsal Siedlecki

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Alessandro Agudio Statement La percezione ordinaria non è quella in cui si è ammaliati o attratti da ciò che si vede. È semmai una sorta di “visione a distanza” che disegna una disposizione d’animo permanente, mi riferisco a quel tipo di percezione che constata oggetti, fatti e situazioni. Due anni fa scattai una foto in un parco nella periferia di Milano. In quel periodo cercavo giochi di prestigio e trovai interessante una soluzione, “il giornale impermeabile”. Pensai che in quel particolare luogo tutti avrebbero dovuto avere un giornale impermeabile, una soluzione estetica compatibile all’interno di quella geometria, la superficie più adatta a quella luminosità, il peso idoneo di una certa “atmosfera” e inoltre se avesse piovuto tutto sarebbe andato per il verso giusto. L’abbinamento, il contegno, la compostezza rientrano in un certa logica nostalgica, così come la domenica, i negozi chiusi e qualche bar che rimane aperto. Le cose, i fatti, diventano attraenti quando crollano su loro stessi. Ordinary perception is not that in which we are dazzled, drawn to what we see. If anything, it is a sort of ‘detached seeing’ which describes a permanent state of mind: I’m referring here to that kind of perception which ascertains objects, facts and situations. Two years ago I took a photo in a park on the outskirts of Milan. In that period I was looking around for conjuring tricks and I had come across what I thought was an interesting object: the ‘waterproof newspaper’. I thought in that particular place, everyone should have had a waterproof newspaper, as an aesthetic solution compatible with that kind of geometry, the surface best suited to that level of luminosity, the ideal weight for a certain ‘atmosphere’, and what’s more if it had started raining, everything would have turned out for the best. The coupling, this attitude and composure all form part of a certain nostalgic logic: just like Sundays, with the shops shut and only a few bars open. Things and events become attractive when they begin to collapse onto themselves.

Alessandro Agudio, Untitled, 2010, performance, Milano / Milan.

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Alessandro Agudio, luluclub (ipotesi di una collezione), 2011, stola in seta indossata da Beatrice Marchi / silk

Alessandro Agudio, Cromie, 2008,

scarf worn by Beatrice Marchi,

vari supporti e dimensioni / variable

180 x 140 cm.

supports and dimensions.

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Alessandro Agudio, Cromie, 2010, vari supporti e dimensioni / variable supports and dimensions.

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Alessandro Agudio, Untitled, 2009, stampa fotografica su carta blue back patinata / photographic print on glossy blue back paper, 488 x 248 cm, veduta dell’installazione presso Gaffurio 8/Farnespazio, Milano / view of the installation at the Gaffurio 8/ Farnespazio, Milan.

Alessandro Agudio, Untitled, 2009, stampa fotografica su alluminio, cornice / photographic print on aluminium, frame 64 x 47 cm.

Alessandro Agudio, Untitled, 2009, stampa inkjet su carta fotografica / inkjet print on photographic paper, 42 x 24 cm.

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Alessandro Agudio, Bravissimi, 2010, stampe su plexiglas, casse audio, amplificatore / Plexiglas prints, audio speakers, amplifier, 120 x 32 x 35 cm.

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Alessandro Agudio, Patinato tipo favela, 2008, stampa su carta poster / print on poster paper 100 x 70 cm.

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Alessandro Agudio e Andrea Romano, Mi piacerebbe battermi con gli Uomini

Alessandro Agudio, Untitled, 2008,

Merda, 2010, stampa inkjet / inkjet

carta poster / poster paper,

print, 50 x 32 cm.

100 x 70 cm.

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Helena Hladilová Statement L'arte è un’immersione totale, un lasciarsi alle spalle i preconcetti imposti per addentrarsi all’interno di una rilettura del conosciuto. Ritengo che porsi domande sull’autenticità sia dannoso al conseguimento di quella libertà necessaria al raggiungimento di una comprensione autentica. La straordinarietà dei fenomeni che individuo è un qualcosa di molto soggettivo: ai miei occhi un evento potrebbe apparire anomalo, inusuale, anche se nella percezione ordinaria potrebbe sembrare banale, trascurabile. Osservando il reale reagisco a grandi linee in due modi. Mi capita di riuscire, molte volte attraverso il caso, a registrare situazioni straordinarie che mi permettono di sbloccare meccanismi che fino ad allora me ne impedivano la lettura. Oppure aggiungo una narrazione ad un accadimento che ritengo idoneo ad accoglierlo ed apro a riflessioni che altrimenti non potrebbero essere esplorate con la sola immagine, donando alla quotidianità l’eccezionalità. All’ interno di ciò che riteniamo scontato si celano inaspettate sfumature che permettono di visualizzare ciò che ci appare frammentato. Talvolta monitorando due entità distanti capita di osservare come esse mantengano la propria individualità nascondendoci una loro più profonda relazione. Riuscire ad osservare il dettaglio in qualsiasi attimo, riuscendo a rimanere in una costante attività di analisi è ciò di cui necessita colui che è alla ricerca di un’altra soluzione. Credo che distinguere sia puramente un atto di fiducia. Art is total immersion, leaving all your preconceptions behind you in order to set off on a re-reading of the familiar. I believe that asking yourself questions about authenticity hinders the achievement of that freedom necessary for the acquisition of authentic understanding. The extraordinariness of the phenomena that I indentify is something extremely subjective: to my eyes, an event may appear anomalous, unusual, even though to an ordinary perception it may seem banal or negligible. Having observed reality, I basically react in two ways. Sometimes – very often by chance – I manage to record extraordinary situations which allow me to unblock mechanisms which until that point had prevented their interpretation. Otherwise, I add a narrative to an event which I believe suited to grasping, and I thus open up to reflections which could not otherwise be explored through the image alone, providing a layer of exceptionality to the everyday. Within that which we take for granted, unexpected nuances are hidden which allow us to visualise what appears to us as fragmented. Sometimes when monitoring two distant entities, we happen to note how they maintain their own individuality, concealing a deeper relationship from us. Managing to observe detail in any moment, to remain in a constant state of analytical activity, is what someone in search of an alternative solution needs. I believe that distinguishing is merely an act of faith. Helena Hladilová, Portrait, 2010, fotografia a colori / colour photograph, 18 x 12 cm.

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Helena Hladilovå, Unique pièce, 2010, foglia modificata, dimensioni ambiente / modified leaf, ambient dimensions.

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Helena Hladilovรก, Untitled, 2010, stampa fotografica, dimensioni variabili / photographic print, variable dimensions.

Un alberello era stato roso, la corteccia consumata da conigli affamati durante un freddo inverno. 65

A sapling had been gnawed away at, deprived of its bark by hungry rabbits in a cold winter.


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Helena Hladilovรก, The biggest mask on Earth, 2011, stampa fotografica / photographic print, 45 x 60 cm.

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Helena Hladilovรก, School project, 2011, materiali vari, dimensioni ambiente / different materials, ambient dimensions.

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Helena Hladilovรก, School project/ Library, Hanging Space, Drawing space, Small table, 2011, materiali vari, dimensioni ambiente / different materials, ambient dimensions.

Utilizzando uno spazio scolastico come studio d'arte mi ha costretto a trasformarlo in uno spazio espositivo. Using the ex school space like an art sudio forced me to transform it into an exhibition space. 69


Helena Hladilovรก, Dogs, 2011, specchio, cane, dimensioni variabili / mirror, dog, variable dimensions.

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Helena Hladilovรก, Photograph of found situation II, 2010, stampa fotografica, dimensioni variabili / photographic print, variable dimensions.

Notai che i netturbini avevano tralasciato qualcosa che li aveva ingannati. 71

I noticed that the street cleaners had missed something which had tricked them.



Alice Mandelli Statement Dopo un inverno freddo: il primo giorno di sole, la porta della pizzeria spalancata come se fosse estate. Nello spiraglio di luce il padre del padrone, un vecchio signore arabo, piega i cartoni con grazia. La maggior parte delle volte s’implode e non si esplode, all’esterno sembra tutto immobile, un viso senza espressione, ma è nel locale che con dei gesti ritmici come respiri si apre un universo contrario. “Noi non lo facciamo sapere, non lo diciamo a nessuno dove andiamo a nasconderci” dissero i clienti, ma molto probabilmente sarà vicino alla pila dei cartoni del vecchio, ormai altissima. After a cold winter, the first day of sun. The door of the pizzeria wide open as if it were midsummer. In the shaft of light, the father of the owner, an old Arab, delicately folds cardboard boxes. Most of the time implosion takes the place of explosion: from the outside it all looks still, his face expressionless, but it is inside the restaurant that, with a series of gestures as rhythmic as breathing, a back-to-front universe opens up. “We won’t let on, we won’t tell anyone where we go and hide,” the customers had said, but most likely it’s near the old man’s pile of cardboard boxes, of which there is now a crooked tower.

Alice Mandelli, Casa Italia dalla serie “Fiori”, 2009, pennarello, acquerello, acrilico su carta / from the “Fiori” series, 2009, felt-tip pen, watercolours, acrylics on paper, 42 x 29,7 cm.

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Alice Mandelli, AALLIICCEE, 2011,

Alice Mandelli, Polmoni, 2011,

pennarelli, acquerello, acrilico su carta

acquerello, acrilico, pennarello su carta

A4 / felt-tip pen, watercolours, acrylics

A4 / watercolours, acrylics, felt-tip pen

on A4 paper, 29,7 x 21 cm.

on A4 paper,

ďƒ&#x;

29,7 x 21 cm.

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Alice Mandelli, AALLIICCEE, 2011, pennarelli, acquerello, acrilico su carta A4 / felt-tip pen, watercolours, acrylics on A4 paper, 29,7 x 21 cm.

Alice Mandelli, Casa Italia dalla serie “Fiori”, 2009, pennarello, acquerello, acrilico su carta / from the “Fiori” series, 2009, felt-tip pen, watercolours, acrylics on paper, 42 x 29,7 cm.

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Alice Mandelli, Berlino Germania dalla serie “Fiori”, 2010, pennarelli, acquerello, acrilico su carta / from the “Fiori” series, 2010, felt-tip pen, watercolours, acrylics on paper, 14,8 x 21 cm.

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Alice Mandelli, Casa Italia dalla serie “Fiori”, 2010, pennarelli, acquerello, acrilico, smalto per unghie su carta / from the “Fiori” series, 2010, felt-tip pen, watercolours, acrylics and nail varnish on paper, 14,8 x 21 cm.

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Alice Mandelli, Berlino Germania dalla serie “Fiori”, 2010, pennarelli, Alice Mandelli, Melinda da San

acquerello su carta / from the “Fiori”

Francisco, 2011, acquerello,

series, 2010, felt-tip pen, watercolours

acrilico, pennarello su pergamena /

on A4 paper,

watercolours, acrylics, felt-tip pen on

29,7 x 21 cm.

parchment.

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81



Valerio Nicolai Statement Le figure, i luoghi, gli esseri immaginari che animano le mie opere tendono a rimandare, per certi aspetti, alla realtĂ e al senso di dramma e sconfitta che caratterizza la loro esistenza. Si concretizzano di conseguenza queste croste superficiali, che cercano di raccontare qualcosa di smarrito, nascosto, posizionandosi in una specie di mappa illogica che riconduce nuovamente alla ricerca. Utilizzo il mio lavoro soprattutto per cercare me stesso. The figures, the places, the imaginary beings that bring my works to life in some ways tend to hint at the sense of reality and of drama and defeat that characterises their existence. These superficial layers thus solidify as they attempt to tell of something lost, something hidden, standing within a kind of illogical map which leads back once again to my research. I use my work most of all to get to know myself.

Valerio Nicolai, Puntura di mezzanotte, 2011, olio, acrilico e grafite su tela / oil, acrylic and graphite on canvas, 165 x 186 cm.

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Valerio Nicolai, Flowers, 2011, olio su tela / oil on canvas, 360 x 320 cm.

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Valerio Nicolai, Catalaxy, 2011, olio, acrilico, grafite, inserzioni varie su tela / oil, acrylic, graphite, various insertions on canvas, 238 x 200 cm.

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Valerio Nicolai, Stanze, 2011, olio, acrilico, grafite, collage su tela / oil, acrylic, collage on canvas, 196 x 189 cm.

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Valerio Nicolai, Non due volte per la stessa cosa, 2011, olio, acrilico, collage di disegni su tela / oil, acrylic, collage drawings on canvas; dettaglio / detail.

Valerio Nicolai, Non due volte per la stessa cosa, 2011, fotografia/ photograph, collage, pongo; dettaglio / detail.

ďƒ&#x; Valerio Nicolai, Non due volte per la stessa cosa, 2011, olio, acrilico, collage di disegni su tela / oil, acrylic, collage drawings on canvas, 182 x 170 cm.

ďƒ 89


Valerio Nicolai, Reflected, 2011, olio,

Valerio Nicolai, Monumento al

acrilico e grafite su tela / oil, acrylic and

cacciatore, 2011, olio su tela / oil on

graphite on canvas,

canvas, 45 x 35 cm.

330 x 250 cm.

ďƒ 90


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Namsal Siedlecki Statement Provando ad analizzare il quotidiano nelle sue singole componenti, può capitare di individuarne aspetti capaci di innescare processi mentali che, a catena, stimolano altre soluzioni ed intuizioni. Tale metodo conduce a far emergere riflessioni ritenute ad un primo sguardo ovvie, ma che in realtà racchiudono la capacità di trasformare l’ordinario in straordinario. Rendersi conto di come tutte le fasi del processo creativo possano essere intese come risultato finale permette di intendere lo spazio ospitante come un materiale plastico. Ciò consente di estrapolare delle sintesi essenziali a ridefinire regole, aprendo a nuovi gradi di consapevolezza necessari ad affrontare nel presente un linguaggio. While attempting to analyse the everyday, split up into each of its individual components, we may happen to identify aspects capable of triggering mental processes which, like in a chain reaction, stimulate yet other solutions and intuitions. Such a method leads to our producing reflections considered obvious at first glance, yet which in actual fact withhold the ability to transform the ordinary into the extraordinary. Realising just how all the stages of the creative process may be looked upon as a final result allows us to think of the hosting space as malleable matter. This in turn makes it possible to extrapolate the key syntheses needed to rewrite the rules, opening up to the new levels of awareness necessary to deal with a language at the present time.

Namsal Siedlecki, Before the opening I moved all the works of the other artists 10 cm to the left, 2010, performance.

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Namsal Siedlecki, Rhino, 2011, stampa fotografica / photographic print, 15 x 20 cm.

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Namsal Siedlecki, Selfportrait, 2009, stampa fotografica / photographic print, 21 x 14 cm.

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Namsal Siedlecki, Happy birthDAY, 2011, stampa digitale / digital print, 19 x 14 cm.

Il 12 dicembre 2010 mio padre ha compiuto 20.000 giorni di vita. 97

On 12th December 2010 my father turned 20,000 days old.


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Namsal Siedlecki, Esigenze istallative, 2011, bottiglia, dimensioni variabili / bottle, various dimensions.

Mostra installata mediante “il gioco della bottiglia”. Ad ogni artista partecipante è stato chiesto di far ruotare la bottiglia, in base a dove la bottiglia puntava veniva installato il lavoro.

Namsal Siedlecki, Visione crepuscolare, 2011, 5 kg di gelato, dimensioni variabili Collaborazione con Giulio Delvè. / 5 kg of ice-cream, variable dimensions. In collaboration with Giulio Delvè.

Un gelato nero, al mirtillo e al nero di seppia. Durante la seconda guerra mondiale, i piloti della RAF erano soliti consumare grandi quantità di mirtilli per affinare la visione notturna durante le missioni. A black ice-cream, blackcurrant and sepia flavour. During World War II, RAF pilots used to consume huge quantities of blackcurrants in order to improve their sight on nocturnal missions. 99

Exhibition set up using “the bottle game”. Every artist taking part was asked to spin the bottle and wherever the bottle pointed the work was installed.


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Namsal Siedlecki, 4 days, 2011, legno / wood, 50 x 50 cm.

Una metà lasciata al sole l’altra all’ombra per quattro giorni.

Namsal Siedlecki, Ascia, 2010, legno, ascia, dimensioni variabili / wood, axe, variable dimensions.

Anziché dividere, unisce, ricongiunge. Instead of dividing, it unites, brings back together. 101

Half left in the sun and the other half in the shade for four days.


Ringraziamenti Acknowledgments

Maurizio Beretta

E ancora grazie a tutti coloro che

Head of Group Identity

hanno aiutato e suppor tato questa

and Communications

edizione di Carte Blanche / And thanks again to all the people who

Jean- Claude Mosconi

helped and supported this edition

Chiara Maria Bisignani

of Car te Blanche:

Giulia Falletta

Grazia e / and Gianni Bolongaro,

Maria Teresa Fulgenzi

Corrado Ciofani, Grafiche

Paola Maramotti

Marchesini, Elena Nemkova, Nicola

Simonetta Mar telli

e / and Carla Pagliuca, Daniele

Neve Mazzoleni

Perra, Italo Zuffi.

Antonella Pagliarulo Andrea Vannoni Artistic and Cultural Advisory Walter Guadagnini (Presidente della Commissione Scientifica UniCredit for Ar t / President, UniCredit for Art Scientific Commission) e tutti i Membri della Commissione / and all the Members of the Commission Carla Mainoldi Sabrina Di Giorgio Lavinia Protasoni Corporate Giving and Events Silvio Umber to Santini, Simona Ricci Brand Management e / and Viktoria Blajeva, Marco Fioravanti, Ettore Fittavolini, Mirna Gelleni, Luca Iuffredo, Davide Locati, Maurizio Mura, Giangiacomo Papa, Gianluca Quesitonio, Pier Maria Riccardi, Andrea Tiberi.

102


Credits

Antonio Donghi, Veduta di Roma Copertina / Cover. Antonio Donghi,

(Chiesa di S. Anastasia al Palatino),

Valle violata, 1942, olio su tela / oil on

1925, olio su tela / oil on canvas,

canvas, 45 x 45 cm, dettaglio / detail.

54 x 39 cm.

Pag. 5 / Page 5. Antonio Donghi, Donna

Pag. 50 / Page 50. Dall’alto, in senso

che fuma, 1950, olio su tela /

orario / From the top, clockwise, dettagli

oil on canvas, 50,50 x 40,50 cm,

/ details.

dettaglio / detail.

Antonio Donghi, Fiori, 1935, olio su tela

Pag. 6 / Page 6. Antonio Donghi, Il

/ oil on canvas, 92 x 111 cm.

giocoliere, 1936, olio su tela / oil on

Antonio Donghi, Ritorno dal lavoro

canvas, 116 x 86,50 cm.

(Ritorno dalla campagna), 1962, olio

Pag. 9 / Page 9. Antonio Donghi,

su tela / oil on canvas, 92 x 111 cm.

Ritratto di donna, 1944, olio su tela /

Antonio Donghi, Paesaggio (Veduta di

oil on canvas, 57 x 43 cm, dettaglio /

città di Castello), 1946, olio su tela /

detail.

oil on canvas, 45 x 45 cm.

Pag. 10 / Page 10. Antonio Donghi,

Antonio Donghi, La fontana dei cavalli

Caccia alle allodole, 1942, olio

marini, prima metà del XX sec., olio su

su tela / oil on canvas, 107 x 80 cm.

tela / oil on canvas, 48 x 74 cm.

Pag. 18 / Page 18. Dall’alto, in senso orario / From the top, clockwise, dettagli

collezione d’arte UniCredit / All the

Antonio Donghi, Fruttiera su un tavolo,

works belong to the UniCredit Art

1935, olio su tela / oil on canvas,

Collection.

45 x 45 cm. Antonio Donghi, L’ammaestratrice di cani, 1946, olio su tela / oil on canvas, 93 x 71 cm. Antonio Donghi, Castello (Arsoli), 1946, olio su tela / oil on canvas, 46 x 46 cm.

103

Tutte le opere appartengono alla

/ details.


Prima edizione Dicembre 2011 First published in December 2011 Grafiche Marchesini s.r.l., Verona




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