4 dic. / 2010
Caro direttore, sfogliando il magazine Prima Pagina sono attratto dall’articolo “Vino al Vino”, titolo che evoca quello del bellissimo libro di Mario Soldati (cronaca di un viaggio tra i vigneti d’Italia). Ad inizio lettura penso che voglia essere un omaggio al nostro bellissimo territorio delle colline teramane e ai suoi magnifici vigneti che producono vini conosciuti e apprezzati in tutta Italia e all’estero. Occasione perduta perché mi sbaglio di grosso! Chi scrive, al contrario, non trova altro di meglio che demonizzare il vino, parlare di alcolismo e mettere i lettori in guardia dai tanti sommelier che nelle trasmissioni televisive “assaporando una qualunque bottiglia sentono sapori di fruttato e lamponi”!!!; una stucchevole descrizione di una generica e approssimativa degustazione che nessun sommelier farebbe mai. Quello che non ho capito è se l’autore dell’articolo volesse parlare di alcolismo con i suoi relativi e gravissimi danni alla salute, oppure di vino come lascia intendere l’incipit e il titolo. Due temi diversi per trattazioni diverse: l’alcolismo trae origine dall’abuso reiterato di qualsiasi bevanda alcolica (birra compresa!) mentre il vino è parte della storia dell’uomo fin dall’antichità, è cultura e ricchezza del territorio perché ogni vino bevuto ha il suo racconto, è bevanda che accompagna e valorizza l’abbinamento con il cibo e tante altre cose anche immaginifiche che tralascio di descrivere. Questo per chi AMA il vino, per chi ne è AMICO e, quindi, per chi ne fa un uso moderato e consapevole, cogliendone anche piccoli vantaggi salutistici (il vino contiene quantità di resvaratrolo, una sorta di antibiotico delle coronarie). Francamente avrei letto con piacere un attento e competente articolo centrato sulla valorizzazione del territorio delle Colline Teramane e della sua docg Montepulciano d’Abruzzo, corredato da indirizzi e notizie utili su vignaioli certamente disposti con piacere a ricevere visite alle loro cantine in questi giorni profumate di mosto. Il tema e altri legati alla cultura materiale del nostro territorio possono certamente interessare i vostri lettori oltre che offrire un contributo alla valorizzazione economica e sociale del nostro Abruzzo Teramano. Una precisazione: Controguerra non si è “autodefinita” Citta’ del vino, ma è un ambito riconoscimento (sono tanti i Comuni che vorrebbero averlo !) ricevuto dall’Associazione Nazionale “Citta’ del Vino “ che riunisce tutte quelle località particolarmente vocate al turismo del vino e alla sua valorizzazione, perché oggi sono in tanti a intraprendere viaggi ed esperienze attraverso i territori rurali dell’Italia. Per ultimo Le invio il testo, ma è solo una boutade, di una frase che ho avuto modo di leggere sulla parete di una cantina piemontese: “Costruitevi una cantina ampia, spaziosa, ben areata e rallegratela di belle bottiglie, queste ritte, quelle coricate, da considerare con occhio amico nelle sere di primavera, estate, autunno e inverno, sogghignando al pensiero di quell’uomo senza canti e senza suoni, senza donne e senza vino, che dovrebbe vivere qualche anno più di voi”! Non male, vero? Voglia scusarmi per questa mia intrusione e gradire i miei migliori auguri. Ruggero Gorgoglione
Sono trascorsi 11 anni da quando mi sono trasferito a Teramo. L’ho fatto per motivi universitari. La scelta è stata dettata, all’epoca, dall’unico punto a favore che questa cittadina veramente possiede: la tranquillità. Una bella addormentata a misura d’uomo. Tuttavia, dopo un decennio, la mia visione è – leggermente – cambiata. Ritengo Teramo un microcosmo autoreferenziale contraddistinto da una immobilità cronica. Quella che credevo una bella addormentata, col passare degli anni, si è rivelata una zitella dal sonno molto pesante. Se escludiamo tiepidi barlumi di vita universitaria, la tranquillità si trasforma in uno sconfortante tracciato piatto. Prendiamo ad esempio il corso di Teramo dopo le 10 di sera. Le città fantasma del vecchio west hanno molta più vita. Se non altro perché, ogni tanto, rotolano delle balle di sterpi. Quando ho chiesto il motivo di cotanta sterilità da parte dei teramani verso la vita notturna, mi è stato detto che la gente ha paura delle streghe e che, dopo una certa ora, si rintana in casa. Pare che ci sia pure una leggenda a riguardo. Sarà, ma più delle streghe tendo a credere di più della meno esoterica ipotesi chiamata Giulianova o, più recentemente, Gran Sasso (purtroppo non la montagna). Sia chiaro: ho sentito tanti teramani lamentarsi della Zitella Ronfante. Pare che sia una delle discipline sportive più in voga durante le passeggiate per il corso, chiamate vasche. Nella classifica delle sentenze, al primo posto: “Teramo vive solo nei giorni della Coppa Interamnia”. Oppure (se il livello culturale è più alto), nella variante “Maggio Festeggiante”. Una soluzione? Tutte le belle sentenze da “vasca” potrebbero essere indirizzate a dovere verso le istituzioni locali. Comune e Provincia potrebbero finalmente decidere un piano d’azione efficace per risollevare l’economia, in collaborazione con gli esercenti del centro. In soldoni, invogliare tramite incentivi i teramani a scegliere il centro cittadino piuttosto che la costa oppure il salotto di casa. Non mi sembra una cosa difficile. Sempre se, non è una ipotesi da scartare, la storia delle streghe non sia stata messa in giro dai residenti del centro...
Gentile (e competente) lettore, la sua lunga e appassionata difesa del vino e delle sue “profumate” qualità conquistano. Il nostro Di Nino (autore dell’articolo al quale fa riferimento) ha inteso considerare “l’altra parte” della vite, quella che tanti danni crea. .Purtroppo. E ironizzare su certe “esibizioni” televisive di esperti dell’acino, che talvolta hanno poco a che fare con la “cultura” del bere. Importante anch’essa e vanto del nostro Paese. Plauso, dunque, a tutti coloro che, come Soldati, hanno raccontato la parte più succulenta dell’Italia. E “prosit” a lei. Ma con moderazione.
Per una risposta privata inviare alla redazione specificando il titolo dell’articolo o della rubrica Via Costantini n.6 64100 Teramo Indirizzi mail: primapagina.te@libero.it direttoreprimapagina@libero.it telefono/fax 0861. 412240
Stefano Orlando Puracchio Dopo undici anni, credo che si possa considerare “teramano” a tutti gli effetti. Le osservazioni sulla “zitella ronfante” sono “inacidite” come la medesima. Nel senso che i teramani, compreso gli “adottati” come lei, le sentono e ripetono a loro volta da sempre. Come darle torto, dunque? Tuttavia, non credo che gli abitanti del centro amino streghe e dintorni, o scaccino con l’aglio gli insonni del divertimento. Semmai, i maleducati e gli schiamazzatori isterici, che, purtroppo, non si estinguono, anzi… C’è soluzione? Lei dice che è “cosa facile”. Allora partecipi attivamente alla risoluzione dell’annoso problema, da giovane brillante quale, immagino, sia. O già è stato contagiato (senza saperlo) dal virus del “microcosmo autoreferenziale contraddistinto da un’ immobilità cronica” tutto teramano?
Per scrivere a PrimaPagina
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In copertina: Terrra di Badanti (foto free royalty from internet)
Si ringraziano gli inserzionisti per il loro sensibile contributo che consente la pubblicazione e la divulgazion del periodico. Edito da E.C.S. Editori srl Via Costantini, 6 TERAMO T. e F. 0861.412240 primapagina.te@libero.it direttoreprimapagina@libero.it DIRETTORE RESPONSABILE Reg. Trib. di TE Iscr. Roc PUBBLICITÀ
HANNO COLLABORATO
IMPAGINAZIONE E GRAFICA STAMPA DISTRIBUZIONE CHIUSO IN REDAZIONE
TIZIANA MATTIA
Dal territorio le risposte alla crsi di Mira Carpineta
13
“Spazio a chi lo merita”
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ATR di Colonnella, un pò di respiro
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Stalking: la molestia non ha sesso
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Astrofisica: domande imbarazzanti
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Per farcela solo talento
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Aquilotti in braccio al gigante
62
Edu Alimentare: la familglia non và lasciata sola
di Daniela Palantrani di N. Viandi di Lorena Di Giambattista di Oscar Straniero di Vicenzo Lisciani Petrini di Matteo Lupi di Paolo De Cristofaro
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n. 605 del 14/07/09 n. 20081
Focus on
E.C.S. Editori srl Via Costantini, 6 Te T. e F. 0861.412240 primapagina.te@libero.it Iscr. Roc. 20081
La Terra di Badanti
Francesca Alcinii Mira Carpineta Vincenzo Castaldo Manolo Ciprietti Mirko De Berardinis Paolo De Cristofaro Emanuela Di Gaetano G. Di Giacomantonio L. Di Giambattista Valter Di Mattia Sara Di Mattia Ivan Di Nino Valentina Di Simone V. Lisciani Petrini Antonella Lorenzi Matteo Lupi Daniela Mantini Federica Mazzoni Giuseppina Michini Barbara Monaco Daniela Palantrani Mariagrazia Petrino Gianfranco Puca Raul Ricci Fabio Rocci Ropel Roberto Santoro Valerio V. Silverii Oscar Straniero Emanuela Torbidone N. Viandi Nicola Arletti Pegasus Communcations Poste Italiane 01 Dicembre 2010
La responsabilità delle opinioni e apprezzamenti espressi negli articoli pubblicati è dei singoli autori da intendersi libera espressione degli stessi. Alcune collaborazioni sono gratuite. Per motivi organizzativi testi, foto e disegni inviati in redazione non verranno restituiti. Il contenuto della pubblicazione è coperto dalle norme sul diritto d’autore. I diritti di proprietà letteraria ed artistica della rivista sono legalmente riservati. È vietata la riproduzione anche parziale.
“Siamo il Paese delle badanti” Francesco Vietti, antropologo
“E’ bello essere poveri anche perché, quando ti avvicini ai settant’anni, i tuoi figli non cercano di dichiararti demente per prendere il controllo delle tue proprietà”. Il cinico umorismo di Woody Allen è utile per affrontare l’approfondimento di questo mese. Parliamo di badanti, infatti, e di un fenomeno che “pesa” sul bilancio delle famiglie italiane per oltre nove miliardi. Cifre enormi che fanno riflettere. Allo stesso modo, e con le dovute proporzioni, tutto ciò che riguarda la “buona tavola”. Come non pensare ai manicaretti di casa nostra, alla vigilia delle feste natalizie? Lo facciamo con un grande giornalista, che inizia una collaborazione con Prima Pagina rispondendo, ogni mese, a domande su temi di varia attualità, ai quali i lettori possono replicare puntualmente. E buone feste a tutti. Tiziana Mattia
6 dic. / 2010
No al “globalismo”, specialmente per il pranzo di Natale Con lo scrittore-giornalista, specialista in enogastronomia, parliamo delle nuove tendenze del gusto e del ruolo della cucina tipica locale. Anche per rilanciare il turismo e risollevare l’economia.
Natale è alle porte. Tralasciamo argomenti poco commestibili e occupiamoci di temi piacevoli. Non tutti sanno che fra le tue competenze di giornalista e scrittore c’è la enogastronomia. Non a caso sei uno dei capi della Fondazione De Victoriis Medori de Leone, che si occupa di ricerca e cultura dell’alimentazione. “In effetti, ho coltivato sempre interesse per il settore. E guardo con molto sospetto chi non apprezza la buona tavola e la convivialità”. Hai certamente da raccontare… C’è un personaggio che più ti ha coinvolto? “Molti gl’incontri e le esperienze. In particolare, ho un ricordo nitido di Luigi Carnacina, mitico gastronomo di fama internazionale, del quale sono stato più d’una volta privilegiato commensale. Una sera, ad Amatrice, organizzarono una manifestazione celebrativa in onore del grande maestro. Naturalmente, al posto d’onore di un menu all’altezza di tanto ospite, c’erano i celebrati “maccheroni all’amatriciana”. E come andò? “Carnacina ad un certo punto…andò su tutte le furie e, prendendo il microfono, riproverò senza mezzi termini i cuochi impegnati in cucina. ‘Ho portato questo piatto in tutto il mondo. Non sapevo -riproverò il maestro- di dover scoprire proprio ad Amatrice come non si cucinano i maccheroni all’amatriciana’. Dal che si deduce che la cucina è un’arte, con regole da rispettare… “Di più. Si può dire che da qui comincia il problema e da qui urge ricominciare. Vale a dire, dalla riscoperta e valorizzazione della vera cucina tradizionale. In tempi di globalizzazione, potrebbe apparire un’idea di incalliti conservatori, che rifiutano la modernità. Invece, no. Il localismo è indispensabile. Specie a tavola. Guai a
‘globalizzare’ persino i gusti. Sarebbe un disastro”. Pensi davvero che un piatto in regola con la tradizione possa essere decisivo per il turismo e l’economia in generale? “Importantissimo, sicuramente. La cucina tipica locale, con l’arte e il paesaggio, è determinante per il fatturato turistico di un paesello o di una grande nazione. Pensa: i McDonald’s stanno adeguando i propri menu, inserendovi piatti tradizionali del territorio. Persino sulle grandi navi da crociera, la tavola delle prossime feste sarà all’insegna del gusto italiano e dei piatti della nostra cultura regionale.” Eppure, certi ristoratori di casa nostra fingono di non capire e insistono con proposte culinarie che ignorano i prodotti locali. “E’ così. Ed è un limite culturale. Noi italiani siamo bravissimi nel rifiutare o rinnegare il meglio del nostro patrimonio di arte e cultura, piccole o grandi cose che siano. E, per capirlo, basterebbe un giretto in America, dove stanno crollando i colossi del fast-food, mentre avanzano catene di nuovi locali alla moda, che offrono panini all’italiana, sani e di qualità, al posto degli hamburger dolciastri e ipocalorici. Semplice, no? Prima, non c’era chi, negli Stati Uniti, vendesse pane vero e non di plastica”. A pensarci bene, sembra davvero incredibile. E per Natale, come regolarci? “Come sempre, rispettando la tradizione. Altrimenti, che Natale sarebbe? Il ‘globalismo culinario’, se proprio non possiamo farne a meno, rimandiamolo a dopo le feste. Con tanti auguri a tutti”.
7 dic. / 2010
Dal territorio le risposte alla crisi Intervista a Luciano D’Amico D’Amico, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione, ma anche economista con idee ben precise sul futuro dell’Abruzzo DI
MIRA CARPINETA
l decreto Gelmini sulla riforma dell’Università ha aperto un quindi con un’evoluzione assolutamente positiva. Dal ‘97 le uniampio dibattito sul futuro assetto del mondo accademico e versità ricevono finanziamenti sulla base dei risultati che inizialdella ricerca in Italia e in una recente conferenza, tenutasi presso mente erano focalizzati sulla didattica, progressivamente c’è stato la facoltà di Scienze della Comunicazione, sono emersi numerosi uno spostamento sulla ricerca. Attualmente, sul totale dei finanziamenti dell’anno precedente, viene defalcata una quota pari al spunti di confronto. Con il prof. Luciano D’Amico abbiamo cercato di fare un’analisi 7% dell’importo annuo complessivo, e questa quota viene riassegnata, sulla base dei risultati ottenuti per il 66% dalla ricerca e per della situazione, partendo dalle cosiddette criticità del decreto. “Le criticità emerse dalla conferenza - spiega il preside - sono il 34% dalla didattica. Quindi la meritocrazia in questo senso non essenzialmente le stesse rilevate a livello nazionale e consistono è una novità. Nel decreto legge in discussione, in un certo senso principalmente in questo: indipendentemente dai risultati conse- tutto questo viene confermato. Ciò che invece impone riflessione guiti, negli ultimi due, tre anni, sono stati apportati tagli alle risor- sono i nuovi modelli di governance del sistema, in cui si vuole se finanziarie di importi notevolissimi. Questi tagli si traducono rafforzare una componente anche esterna degli organi di governo, immediatamente in criticità, perché fisiologicamente tutte le uni- il che non è necessariamente un bene, perché qualsiasi universiversità, non solo Teramo, se ben gestite, investono parte rilevante tà è un organismo assolutamente ed enormemente complesso. E delle risorse finanziarie che ricevono in spese per il personale. perché funzioni non è pensabile che il reclutamento degli organi di governo sia fatto banalmente all’esterno. Compito dell’università è sviluppare ricerPuò approfondire? ca e promuovere la didattica. In entrambi i “Cosa succederebbe se aprissimo il consiglio casi sono necessarie le persone. Non produdi amministrazione della Fiat a rappresenciamo automobili, non abbiamo costi indutanti del territorio, semplicemente prelevanstriali. Le strutture universitarie presentano doli e immettendoli nel cda? Probabilmenquindi costi assolutamente rigidi, la cui parte te i risultati non sarebbero utili in quanto, principale è rappresentata dagli oneri per il sebbene autorevoli, potrebbero non avere personale. Questo significa che tagli di tale sufficienti strumenti di comprensione del rilevanza e percentuale mandano in crisi l’inprocesso. Il funzionamento dell’università è tero sistema, perché nessuna università è in un processo altrettanto complesso e senza grado di licenziare il personale, né sarebbe le necessarie conoscenze, è molto difficile auspicabile tale situazione.” programmare un’attività didattica o indiviIn cosa consiste la “meritocrazia” nell’amduare i settori della ricerca che vanno pobito della distribuzione delle risorse? tenziati, soprattutto quelli in cui va creata “Dal ‘97, in Italia, le università sono finanziate la vocazione dell’ateneo. Non possiamo più esclusivamente in base ai risultati. La meritopermetterci di avere un impegno nella ricercrazia in realtà non deve essere introdotta ca indiscriminato, come non possiamo più oggi, perché è stato fatto tredici anni fa, ed è permetterci un’offerta didattica indiscrimistata introdotta con meccanismi che ancora nata. Dobbiamo decidere come concentrare oggi utilizziamo. Ovviamente con integraziole risorse e in questo disegno strategico è ni e modifiche degli indicatori provocate Durnate uno dei suoi interventi molto importante che i decisori siamo a codal raggiungimento di determinati obiettivi, all’Università di Teramo
8 dic. / 2010
noscenza di tutto il sistema delle variabili che influiscono sulle decisioni e abbiano anche l’abilità tecnica nell’assumere tutte le decisioni giuste. Quindi questa apertura semplicistica all’esterno potrebbe non dare i migliori risultati. Parliamo dei “famigerati” tagli. “La formazione del personale docente è un processo impegnativo e lunghissimo. E’ necessario il completamento di un percorso universitario, il conseguimento di un dottorato di ricerca, un ulteriore periodo di sviluppo post dottorato, fino al giorno prima in cui il docente o ricercatore va in pensione. Sarebbe quindi uno spreco di risorse un investimento così impegnativo per poi dire semplicemente ai ricercatori che non c’è più posto. Chi si è formato nella ricerca e vi ha trascorso gran parte della sua vita non può riuscire a restituire tutte le risorse che la sua formazione ha assorbito in un contesto diverso dalla ricerca. Quale potrebbe essere la proposta più adeguata? “Sicuramente una crescente specializzazione degli atenei consentirebbe, molto più di troppo spesso citate politiche di aggregazione, fusione o assorbimento, di realizzare una politica di sistema. Su questo mi fa piacere citare l’esempio di Teramo che ha basato sull’individuazione di proprie vocazioni tutta la sua programmazione. Infatti nella didattica, e conseguentemente nella ricerca, copre delle aree che non sono coperte né dall’ateneo di Pescara, né da quello de L’Aquila. Sicuramente sarebbe utile un raccordo per aree vocazionali. Un autogoverno che privilegi lo sviluppo di aree vocazionali non può che giovare all’ateneo e al sistema più di una mera razionalizzazione amministrativa. Abbandoniamo l’argomento università. Lei è un economista, possiamo fare un’analisi della situazione, dal più ampio contesto nazionale al locale teramano? Che ruolo hanno nella gestione della crisi? “Le banche fanno il loro mestiere.Valutano le operazioni d’investimento e le finanziano sulla base del merito creditizio. Il vero problema, ragionando in termini aggregati, è che in Italia, come dato nazionale, in Abruzzo come dato locale, si stanno manifestando in modo repentino alcuni cambiamenti che comunque da qualche decennio erano nell’aria. Per un sistema
industriale come quello italiano, ancora fortemente manifatturiero ( il secondo dopo la Germania), e per rimanere nel locale, come quello abruzzese, che rappresenta per il Mezzogiorno uno degli esempi a maggiore concentrazione manifatturiera, i tassi di crescita iperbolici di paesi come la Cina, l’India o paesi in rapidissimo sviluppo, si traducono nella perdita di volumi che anno dopo anno conducono a una minore incidenza sul pil europeo e mon-
CHI È Docente di Comunicazione Economico-finanziaria, Preside della facoltà di Scienze della Comunicazione. Professore ordinario dell’università di Teramo dal 2000 e nello stesso ateneo già direttore della Fondazione universitaria. Membro dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale e segretario della Società Italiana di Storia della Ragioneria, ha svolto attività di ricerca prevalentemente su temi istituzionali, di Accounting e di Accounting History. Autore di numerose monografie e articoli pubblicati con prestigiosi editori e reviewer di autorevoli riviste scientifiche. Già presidente di corsi di laurea, ha assunto incarichi istituzionali anche presso altre università. Membro di numerose commissioni di studio del consiglio nazionale dottori commercialisti.
diale. Questa crisi probabilmente ha anche l’effetto di costringere a prendere atto quasi all’improvviso di un deterioramento, un travaso della struttura produttiva da paesi manifatturieri a economia consolidata come l’Italia (e di riflesso l’Abruzzo) a paesi emergenti come la Cina. Pensare di rispondere a questa crisi insistendo sul manifatturiero classico è fuorviante. Il divario in termini di costo del lavoro è tale che non può essere colmato nemmeno nella migliore delle ipotesi. Il costo del lavoro nei paesi emergenti è nell’ordine di grandezza di un decimo, un ventesimo del costo del lavoro in Italia. Qual è la situazione reale? “Ogni volta che c’è stato un cambiamento
epocale, come quello che stiamo vivendo, in cui paesi come la Cina o l’India stanno tornando ad essere quello che erano fino al Settecento, e cioè la grande manifattura del mondo, e nel momento in cui questo processo si sposta di nuovo in quei paesi, non possiamo che cercare di ridefinire una vocazione produttiva, che quando è stata condivisa, ha sempre prodotto ottimi risultati. Il Teramano ha avuto un’economia meravigliosa nel tessile-abbigliamento come nel calzaturiero-pellettiero. Questo successo si è avuto perché era la strategia migliore in quel momento storico, ed è stata condivisa. Anche le strutture erano create in coerenza con quella politica. Oggi ciò che appare sempre più evidente è la mancanza di una politica industriale condivisa. Bisognerebbe riuscire a ridefinire una vocazione nel Teramano, ma in senso più ampio in Abruzzo e in Italia, sapendo che non possiamo più fare affidamento sugli strumenti che hanno sempre premiato il recupero di produttività e competitività in termini di svalutazione del tasso di cambio, di minor costo del lavoro e finanza agevolata. E’ difficile invertire strutturalmente il declino produttivo a cui ci stiamo lentamente abituando, ma non è un caso che la Germania cresca al 3,4 % e l’Italia solo al’1%. Mentre il nostro settore produttivo sconta ancora l’abitudine maturata in decenni di storia economica di recupero di competitività con svalutazioni, in Germania accadeva l’opposto, cioè un sistema produttivo abituato a convivere per decenni con continue rivalutazioni del marco. Sono cambiati i termini e la prospettiva del problema”. Quale potrebbe essere la soluzione? “Provare a ridisegnare la vocazione produttiva della Provincia di Teramo, della Regione e concorrere in questo a ridisegnare anche quella del Paese e magari farlo insieme alle aziende. Per funzionare occorre un sistema di alta formazione, rappresentato dalle università, così come avveniva negli anni passati in cui percorsi formativi istituzionali consentivano di rispondere efficacemente alle richieste di professionalità. Per ridefinire la vocazione bisognerebbe rafforzare questo rapporto, puntare ancora di più su ricerca e alta formazione, anche non universitaria, per ricercare in questo valore aggiunto il recupero di competitività”.
9 dic. / 2010
10 dic. / 2010
“Lo Lo psichiatra col bisturi” bisturi Intervista a Paolo Cajano chirurgo estetico di fama internazionale ma teramano per radici ed affetti. DI
MIRA CARPINETA
edico per vocazione, dopo 27 anni di lavoro ospedaliero a Londra, dove ha ricoperto l’incarico di primario di Chirurgia Estetica, da qualche tempo e per sua scelta, il dr Paolo Cajano esercita la libera professione. Dice di sé: “Sono nato a Teramo. La mia famiglia è qui da qualche centinaio di anni e così anche la mia anima, anche se molti miei parenti ora non ci sono più. Mio padre era un generale dell’esercito e abbiamo girato l’Italia da Udine a Messina, passando per Roma, ma il mio punto fisso è sempre rimasto Teramo. Si dice che tutto il mondo è paese, ma io mi sento sempre molto più sereno quando sono a Teramo piuttosto che a New York, o a Manila la prossima settimana o a Londra la settimana scorsa. Come spesso capita, quando si arriva ad una certa età le rondini tornano al nido.” Cosa le piace di Teramo? Alla fine dei conti siamo fatti di emozioni. Io sono molto emotivo e questo aspetto è molto importante per me. Le mie radici, i miei affetti sono qui e mi legano molto a Teramo. Anche gli aspetti pratici mi piacciono. Quando mi dicono che Teramo è noiosa, io rispondo che invece qui si vive bene. La sicurezza, la possibilità di godere di una passeggiata senza le paure delle grandi città. Nei paesi anglosassoni, le persone lavorano, lavorano, lavorano e quando tornano a casa sono soli. Direi proprio isolati. Ma non si può essere felici in solitudine, anche se si è ricchi. L’uomo è un essere sociale, sta bene in compagnia. Quando torno a Teramo, invece, posso ancora telefonare al vecchio amico, con cui giocavo a pallone da ragazzino, e trascorrere una serata insieme. Questi sono aspetti umani che a Teramo, grazie al cielo Paolo Cajano ancora ci sono.
Cosa manca invece a Teramo? Secondo me non manca proprio niente. Io vengo da un mondo altamente tecnicizzato, ricco, ma ne riconosco i difetti, e mi sento più attratto da questa realtà più semplice, fatta di cose essenziali. Quali sono i difetti del vivere all’estero? L’ultima volta che sono stato al cinema è stato 27 anni fa. Nel mio campo, se si vuole sopravvivere prima, e affermarsi poi, l’impegno lavorativo è talmente totalizzante che tutto passa in secondo piano. Questo soprattutto nel mondo anglosassone. Nella mia vita c’è stata solo la chirurgia. C’è stato un periodo in cui lavoravo 106 ore a settimana. Così, molti aspetti della vita si perdono. Per questo motivo, per me lo “struscio” per il corso di Teramo è ogni volta un enorme divertimento, un grosso svago. Perché proprio la chirurgia estetica? La vita a volte è veramente curiosa. A quattro anni ebbi un incidente con una Lambretta. Finii in coma e una mia zia mi portò una reliquia di Padre Pio. Quando mi risvegliai, la mia famiglia (e anch’io nel tempo) lo considerò un miracolo. Dell’incidente subìto rimase solo la deformazione del naso, che negli anni successivi divenne per me un enorme problema. Mi rendeva insicuro. Poco socievole. Quando ero all’università decisi di “rifarmelo” e il cambiamento che si verificò mi portò a considerare la scelta sul mio futuro. Chi è il paziente del chirurgo estetico? La società impone dei canoni molto rigidi. Inutile negare che l’aspetto non conti. È quasi proibito invecchiare. In Inghilterra, questa è soprattutto una strategia di sopravvivenza tra i managers sulla sessantina, che temono di perdere il lavoro a favore di colleghi più giovani e allora ricorrono al lifting. Ma quello
11 dic. / 2010
che la società vede sono gli aspetti più superficiali della chirurgia estetica. A parte le attrici e i vip, ci sono persone con problemi reali, con disagi che influiscono sulla qualità della loro vita, sulle relazioni interpersonali. A volte, dopo un intervento, la loro vita cambia radicalmente. Il chirurgo estetico, in realtà, è “uno psichiatra col bisturi”.
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CHI È Nato a Teramo e laureato a Roma, Paolo Cajano esercita da 27 anni all’estero. Primario in Chirurgia Plastica a Liverpool, perfezionatosi in Chirurgia Plastica Estetica dal 1995 al 1998 alla scuola del prof. Pitanguy a Rio de Janeiro, dove ha conseguito anche la Specializzazione della Societa’ Brasiliana di Chirurgia Plastica. Nel 1999 Primo Aiuto del Professor Jackson all’Istituto di Chirurgia Plastica Craniofacciale ed Estetica di Detroit. Consulente delle maggiori Società nel settore della Chirurgia Estetica. Membro di numerose associazioni internazionali, fra le quali: Associazione britannica di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, Accademia americana di chirurgia cosmetica e del seno, Accademia americana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica facciale. E’ membro del consiglio di esperti in Sanità del gruppo industriale Gerson-Lehrman di New York.
La società impone dei canoni molto rigidi. Inutile negare che l’aspetto non conti. È quasi proibito invecchiare
Nel mio campo, se si vuole sopravvivere prima, e affermarsi poi, l’impegno lavorativo è talmente totalizzante che tutto passa in secondo piano
12 dic. / 2010
“Teramo non finisce nel centro storico” Appello all’amministrazione comunale di Giusi Casolani Casolani, segretaria del circolo Pd Villa Vomano/Forcella/Caprafico/Miano w w w. L i 8 L i . c o m
DI
DANIELA PALANTRANI 2.2407
i parla spesso del comune di Teramo, spaziando anche oltre il centro storico, ma Giusi Casolani, segretaria del circolo Pd Villa Vomano/Forcella/Caprafico/Miano, fa subito notare come la zona in cui vive e di cui si fa portavoce, sia dimenticata da tutti. “Da noi vengono i candidati in campagna elettorale, poi non li vediamo più. Tutti a chiedere voti, spesso con logiche clientelari.” I problemi di Villa Vomano sono diversi, la “storia della scuola“ si protrae ormai da anni. “ E’ un edificio fatiscente. Riassumendo la situazione: si tratta di un finanziamento della giunta Sperandio, ‘smarritosi’ con la giunta Chiodi. Incredibile, ma non si capiva dove fossero finiti i fondi stanziati. Grazie ad una lunga battaglia, siamo riusciti ad ottenere ampie rassicurazioni dall’attuale sindaco Brucchi, che la scuola verrà ultimata. Allo stato attuale però, ci sono solo i pilastri.” E’ un progetto che risale ad oltre dieci anni or sono, e ormai anacronistico rispetto alle esigenze scolastiche attuali, ma non ancora realizzato. “I lavori sono fermi, ed il cantiere è esposto agli agenti atmosferici. Mi chiedo se un giorno l’edificio che verrà realizzato potrà essere sicuro, o se la struttura è stata compromessa dall’essere stato trascurato per così lungo tempo. Abbiamo visto nella nostra zona la giunta comunale solo per l’inaugurazione dei marciapiedi. Ci sentiamo dimenticati dalle istituzioni, e dire che paghiamo le tasse come ogni altro cittadino”. La segre-
taria racconta che la mattina, quando esce di casa, prova tanta tristezza, vive in una zona con potenzialità enormi ma che non viene aiutata nello sviluppo. “Non c’è nulla, il piano regolatore non permette nessun tipo di evoluzione. Per la semplice pulizia dei canali di scolo delle acque bianche ai lati delle strade, un paio di anni sono stata costretta a decine di protocolli in comune, per chiedere ciò che in realtà è dovuto”. La Casolani prosegue dicendo di venire da un’esperienza aquilana nei Ds e sinistra giovanile, di amare la politica, di sapere che non ci si arricchisce se la si fa come si dovrebbe: per altruismo e non per puro egoismo. “ A L’Aquila appunto, ho vissuto un’esperienza bellissima dove non esisteva il centro e la periferia – non sono ironica, parlo di un periodo antecedente il terremoto - le zone vengono trattate tutte alla stessa maniera. Parlo proprio del contatto delle amministrazioni con le persone, senza distinzioni di colore politico. Si tratta di saper fare politica. Il sindaco è il sindaco di tutti non solo di Teramo centro.Vorrei che Brucchi una mattina venisse da noi, anziché passeggiare per il corso, magari a dirci di non avere le risorse per fronteggiare, a breve, una determinata questione piuttosto che un’altra. Sarebbe un forte segno di rispetto per i cittadini.” L’illuminazione annunciata a Sardinara in campagna elettorale, ancora non c’è. Non si possono fare promesse che non si è in grado di mantenere.
13 dic. / 2010
“Spazio Spazio a chi lo merita” merita Intervista a Valeria Misticoni consigliere comunale del Pdl DI
DANIELA PALANTRANI
Teramo è iniziato già da tempo un percorso di svecchiamento della politica, con giunte precedenti nelle quali furono nominati giovani consiglieri, all’inizio della loro carriera politica, che oggi ricoprono cariche importanti, a livello regionale. Questo il concetto di esordio di Valeria Misticoni, consigliere comunale eletta con il Pdl. “Personalmente credo che i giovani, così come le donne, non debbano avere precedenze o quote privilegiate. Penso che ognuno debba guadagnarsi il proprio spazio, dimostrando ciò che vale.
spazio, ma a chi lo merita”. Quando nasce la passione per la politica? “E’ una cosa che parte da molto lontano, da quando ero bambina, e chiaramente non sapevo scindere tra un’ideologia e l’altra, ma avevo grande rispetto per le istituzioni. Rispetto e amore per le istituzioni e per la storia che ancora mi accompagna, e mi spinge a fare qualcosa per gli altri. A vent’anni mi sono iscritta ad An.” La sua posizione in merito alla scissione interna del partito? “Penso che la scelta di Fini sia individualista. Resto nel Pdl, che è il partito in cui Fini ci ha portato, che ha contribuito a creare, e in cui ci ha chiesto di crescere. A Teramo stiamo tuttora costruendo nel Pdl. Per Alleanza Nazionale il Pdl era uno sfogo necessario in risposta anche al Pd che si era formato nell’altro schieramento. Inoltre, credo che la coerenza paghi sempre, anche se in certi momenti è dura perseguire certe strade, alla fine il tempo è galantuomo.” Non si percepisce più una netta differenza tra destra e sinistra. “E’ vero, anni fa abbiamo cercato di abbattere e smussare le ideologie. E’ vero che le ideologie esasperate nel 900 hanno por-
Personalmente credo che i giovani, così come le donne, non debbano avere precedenze o quote privilegiate. Penso che ognuno debba guadagnarsi il proprio spazio Sostengo che prima di ottenere qualcosa bisogna dimostrare cosa si sa fare. Spesso, accade il contrario. Molti giovani pensano prima di dover ottenere l’opportunità, poi di dimostrare cosa valgono. E’ giusto dare
tato anche tanto male: fascismo, nazismo, comunismo. Dagli errori della storia si deve imparare, non sono neanche d’accordo però ad appiattirci totalmente tutti su posizioni uguali. Una differenza deve esserci altrimenti chi ‘guarda’ la politica non ci capisce più niente. Ogni contradditorio, ogni delibera in fondo nasce da un’idea che si ha e che si porta avanti.” Il rapporto con i cittadini? “Io mi rapporto bene con tutti. Cerco di essere presente dove mi chiamano, cercando di farmi portavoce per un consenso più ampio. Ho un pregio: sono sincera, se non posso risolvere lo dico subito. Non appartengo a quella categoria di persone che dice sempre di sì, per ottenere consensi spiccioli”. Di cosa ha bisogno Teramo? “La città negli ultimi anni ha avuto un risveglio, è innegabile che sono stati portati avanti dei progetti, realizzate delle opere, che poi possono essere apprezzate o contestate, ma si è fatto molto. Non tutte le opere possono essere vissute positivamente dalla popolazione, ma un politico se vuol essere lungimirante, anche rischiare. A Teramo io vorrei tantissima cultura, soprattutto per i giovani. Sogno una città che possa permettere loro di restare o di tornare a lavorare se hanno studiato fuori, formare qui la propria famiglia e non di spostarsi”.
14 dic. / 2010
Lotto… spero Il sindaco ha comunicato in questi giorni che ci siamo quasi, che forse la prima parte sarà aperta fra poco anti anni fa un signore, che adesso porta un codino un po’ demodé, si incatenò alle ruspe che avrebbero dovuto cominciare alcuni lavori di sbancamento per l’inizio della famigerata strada del “Lotto zero” in città. Le colpe le prese tutte lui perché, si disse all’epoca, non andavano tagliati alcuni alberi vicino al fiume. L’attuale tracciato ha invece fatto tentennare in maniera agghiacciante quasi tutta Porta Romana. Inchieste giornalistiche in Irlanda ed Inghilterra, nonché alcune interrogazioni al Parlamento europeo, hanno portato questa tela di Penelope più che ventennale all’attenzione dell’Europa intera. Secondo l’associazione Teramo ViviCittà ci furono anche altri responsabili, ma i pesantissimi ritardi di più di quattro lustri sarebbero dovuti anche a “interessi privati di piccoli comitati”. Questo è un altro italico mistero. Basta un ricorso al Tar, che non nega “quasi” mai una sospensiva, per trascinare stancamente per anni il lavoro di rimozione di un palo, uno svincolo, pochi metri che devono passare a destra o a sinistra di quel tale cespuglio. E’ chiaro che se, e quando, il Lotto zero dovesse aprire i battenti, la strada sarà quella pensata quasi trent’anni fa, mentre il traffico è quello attuale. E’ prevedibile che sarà facile trovarsi in ingorghi
a mo’ di collo di bottiglia tanto più se, uscendo per andare al centro, si dovranno riattraversare i cosiddetti “Tigli” per arrivare a piazza Garibaldi. Allora è tutto inutile! Tutte le città degne di tale nome si sono dotate di nuove vie di comunicazione, mentre Teramo è rimasta la stessa da più di quarant’anni. Il sindaco ha comunicato in questi giorni che ci siamo quasi, che forse la prima parte sarà aperta fra poco. Quintino Stanchieri, direttore dell’impresa che sta lavorando all’opera, ha già messo le mani avanti: “Non fatemi promettere cose che poi non posso mantenere”. Per quanto riguarda la seconda parte del tracciato, stanno arrivando cinque milioni di euro dall’Anas per la sua conclusione. Questa città ed i suoi cittadini attendono con pazienza il lotto zero, sì, ma anche una decente strada verso Ascoli Piceno - con cui siamo collegati grazie ad una lingua d’asfalto del 15° secolo- nonché la famosa Val Vomano-Val Fino, interrotta all’altezza di Capsano. Come dice il vecchio proverbio, “Chi vive di speranza, di speranza muore”. N. VIANDI
15 dic. / 2010
Ruzzo niente di nuovo li uffici dell’acquedotto del Ruzzo sono in via Dati, vicino la Villa Comunale “prigioniera dentro la sua rete”, come cantava Ivan Graziani. La storia di questo ente che gestisce “il petrolio del duemila” cioè l’acqua, affonda le radici nel secolo scorso: erano infatti gli anni ’20 quando venne costituita l’Acar-Azienda consorziale acquedotto del Ruzzo. Poi la legge n.36/1994 (cd. legge Galli) ha avviato un processo di riorganizzazione del settore, reso inefficiente dalla frammentazione degli operatori, all’epoca più di 13.000 in Italia. La normativa ha assegnato alle autorità regionali e locali la modernizzazione dei servizi acquedottistici. I principi della regolamentazione sono: l’introduzione degli Ato (ambiti territoriali ottimali) con funzioni di indirizzo e controllo; separazione tra proprietà delle infrastrutture e servizio idrico; obblighi di efficienza e produttività; copertura dei costi ed investimenti. Come nella migliore italianità, molti di questi assunti sono stati clamorosamente non rispettati. Il 16 giugno 2003, l’Acar fu dunque scissa in Ruzzo Servizi s.p.a. – avente per oggetto la gestione del servizio idrico- e Ruzzo Reti s.p.a.- con oggetto sociale l’amministrazione delle reti, degli im-
pianti e delle altre dotazioni patrimoniali destinate alla gestione del servizio idrico. Ci si accorse ben presto che la spesa aveva di gran lunga superato l’impresa. I due consigli d’amministrazione, doppia gestione delle scadenze che la legge impone ad ogni azienda, per non parlare di una lunga teoria di assunzioni a volte senza concorso, consulenze esterne non necessarie quando tecnici e professionisti sarebbero stati reperibili già all’interno dell’azienda, sprechi, assenza di collegamento tra centro e periferia, la sempre crescente diminuzione dei contributi dall’alto per ripianare i debiti, la mancanza di liquidità, corresponsabilità di altri enti, bilanci ovviamente deficitari. Tutto questo si rifletteva e si riflette ancora sui cittadini: tempi chilometrici per un allaccio alla rete- 150 impiegati e solo 25 fontanieri-, invio di bollette con avviso di mora a distanza di anni, scarsa manutenzione dei depuratori e delle fogne, riparazioni spesso compiute fuori tempo massimo. C’ è però da dire che il grande malato sta un po’ meglio ed attende di essere trasferito dalla rianimazione ad un normale reparto. Tutte queste cose saranno oggetto di analisi nei prossimi numeri del nostro giornale. IVAN DI NINO
16 dic. / 2010
Differenziata ridateci i cassonetti… Se i responsabili non sembrano ascoltare le richieste dei cittadini, nemmeno gli utenti fanno il massimo. Sono così sorte piccole discariche dinanzi ai palazzi eno servizi, più costi. E’ passato ormai qualche tempo da quando i teramani hanno imparato a fare la raccolta differenziata dei rifiuti. Il problema, però, non è diversificare i vari tipi di sporcizia prodotta, ma quello di tenerli giorni in casa. I nuovi “immondezzai” sono diventati gli appartamenti: buste e recipienti in ogni angolo del nostro focolare. Oggi non ci sono più nemmeno le immense cucine di una volta, anzi spesso non sono nemmeno previste, perché tanto si mangia sempre fuori. Così non tutti hanno la possibilità di mettere il sudiciume in un retrocucina o in un balcone coperto, e ci si deve, quindi, attrezzare alla bisogna. Si va da traballanti trespoli a due o tre “vasconi” a recipienti più ampi e stabili, ma mai sotto una ventina di euro. Altro problema è l’impossibilità di buttare i rifiuti organici dal giovedì sera fino alla
fine della settimana. Forse non tutti lo sanno, ma un tempo il pesce si cucinava il venerdì. Ora, o si cambia minestra, oppure bisogna tenersi la “puzza” per tre giorni. Certo, una volta messo il sacchetto nel cassonetto marrone grande non ‘olezza’ più di tanto, ma quando si apre… Stesso discorso per l’indifferenziato, che spesso al suo interno contiene impurità liquide e solide di poppanti e persone anziane e che viene raccolto solo due volte a settimana. Chi abita nel centro storico e non sempre gode di spazio per mettere in strada l’immondizia, ha spesso la disavventura di ritrovare vetri triturati da qualche veloce suv di passaggio. Per quanto riguarda l’olio esausto, Teramo non si è ancora dotata di quei bidoni di raccolta già presenti sulla costa per il loro smaltimento.
Se i responsabili non sembrano ascoltare le richieste dei cittadini, nemmeno gli utenti fanno il massimo. Sono così sorte piccole discariche dinanzi ai palazzi, per non dire di quei “previdenti” che, sbagliando clamorosamente giorno, depositano in strada gli scarti tre-quattro giorni prima della raccolta. Certo, anche il Comune ha dovuto sopportare costi per la fornitura di buste e pattumiere per il porta a porta, ma dovrebbe recuperare presto, perché riciclando ogni tipo di scarto… Così siamo alle solite. Se da una parte i cittadini affermano che fanno tutto loro e vogliono un abbassamento delle tariffe, gli amministratori rispondono che “non abbiamo diminuito i tributi, ma nemmeno li abbiamo aumentati”. Ci mancherebbe pure… IVAN DI NINOI
17 dic. / 2010
Atr di Colonnella un po’ di respiro è stato un tempo in cui la Bonifica del Tronto non era nota soltanto per l’imperante meretricio, ma anche come trait d’union tra le più avanzate ed industrializzate Marche e il nostro Abruzzo, che fino a qualche anno fa era ancora parte della Cassa del Mezzogiorno. Il periodo risale ai vituperati decenni ’70 –’80, ma la spinta propulsiva dell’epoca è andata esaurendosi. Un po’ sotto i colpi di continue crisi, un po’ per l’infelice idea di eliminare tale istituto. Bandiera del rinascimento economico è stata per molto l’Atr di Colonnella, che lavorava il carbonio quando molti non sa-
a chiudere i battenti. Il sito è attualmente gestito da un commissario che ha inoltrato la richiesta di proroga di amministrazione straordinaria. Davvero un gran peccato, ma ogni tanto si riaccende la fiammella della speranza. E’ notizia recente che l’Atr ha siglato un accordo biennale con la Lexus, il marchio di lusso della Toyota per la fornitura esclusiva delle componenti di carbonio per la prossima supercar Lfa, che dovrebbe far concorrenza a Porsche, Ferrari e Lamborghini. Meglio di niente. Spesso si sente parlare anche di “concreto interesse” per l’affitto di rami d’azienda o l’acquisto dell’impresa intera da parte di non meglio specificate ‘cordate’, stavolta confermate anche dalla direzione. Si spera sia la volta buona dopo innumerevoli falsi allarmi. Non sarebbe davvero male se l’Atr diventasse il primo stabilimento produttivo della provincia rilevato da un consorzio d’imprenditori nostrani di buona volontà, dacché la ditta è già proiettata nel futuro e produce qualcosa di unico nel misero panorama industriale abruzzese che attualmente sembra un castello di sabbia abbattuto da un calcio prevedibile –la crisi-, ma per molti inatteso.
Non sarebbe davvero male se l’Atr diventasse il primo stabilimento produttivo della provincia pevano neanche cosa fosse. Poi l’ennesimo declino di mercato in scala occidentale, e anche una certa miopia di prevedere il futuro, hanno fatto sì che quell’impresa eccezionale, che riforniva di tubi la Colnago per le sue costosissime bici da professionista e diverse scuderie di Formula 1, dovesse pian piano ridursi fino
N. VIANDI
focus on w w w. L i 8 L i . c o m
2.2405
Terra di badanti Siamo veramente “il paese delle badanti”, come scrive l’antropologo Francesco Vietti? Sembrerebbe di sì se guardiamo i numeri. Uno studio della Caritas, portato a termine in collaborazione con il ministero dell’Interno, evidenzia che le badanti in Italia sono 700mila. Quelle “ufficiali”, naturalmente. Oltre il doppio, se si considera la metà che pare lavori in nero. L’Inps registra che quattro donne straniere su dieci è inserita in questo tipo di impiego familiare. Ma se ci si allarga al mondo delle collaboratrici domestiche, in genere, ci si rende conto che il numero lievita prepotentemente. Quasi irrilevante il numero delle badanti “nostrane”, che comunque costano alle famiglie italiane oltre 9 miliardi (per l’indennità di accompagnamento, lo Stato spende “solo” 6,3 miliardi). Per restringere il campo al nostro territorio, utile collegarsi al
sito www.badantiabruzzo.it e al progetto Equal “I Mestieri Invisibili” (soggetto referente nella regione è il Comune di San Salvo, in provincia di Chieti), che “ha l’obiettivo di offrire formazione ed opportunità di impiego stabile e regolare alle/agli assistenti familiari (badanti), italiane/i e immigrate/i, che prestano, o intendono prestare, la loro attività nei servizi privati di cura alla persona in Abruzzo. Ad oggi, la crescente richiesta di badanti, pur avendo creato opportunità occupazionali nel settore dei servizi alla persona, ha prodotto la moltiplicazione delle professioni invisibili operanti nel sommerso, con rapporti di lavoro precari e mal retribuiti ed il cui rovescio della medaglia è l’offerta di prestazioni lavorative ‘approssimate’. I partners del progetto stanno lavorando per favorire l’emersione del lavoro nero, per rendere ‘dignitoso’ ed ‘universalmente
apprezzato’ il lavoro delle/dei badanti, per qualificare i servizi di cura privati a domicilio”. Uno di essi è l’ Osservatorio permanente della Regione Abruzzo (costituito tre anni fa) che ha il compito di “monitorare l’evoluzione nel tempo del fenomeno del badantato nel territorio provinciale (Chieti) e regionale (Abruzzo), di analizzare i fattori che ne determinano l’evoluzione e di osservare l’impatto che i cambiamenti del fenomeno producono sulle collettività locali”. Insomma, “il paese delle badanti” ci coinvolge in pieno. Tanto da stravolgere, per certi aspetti, la famiglia italiana da qualche tempo. Per questo ne parliamo. Pensando ai nostri genitori e ai nostri nonni. E ai sentimenti. Che non invecchiano, se sono profondi, al contrario di tutto il resto. T. M.
C’era una volta…
Vittime di
questo mondo Chissà se è vero quello che diceva Fabrizio De Andrè su chi compie reati efferati: “Se tu penserai, se giudicherai/ da buon borghese/li condannerai a cinquemila anni più le spese/ ma se capirai, se li cercherai fino in fondo/se non sono gigli son pur sempre figli/vittime di questo mondo.” In un’altra composizione, con una certa dose di cinismo ed ironia, il compianto genovese cantava: “Non tutti nella capitale/ sbocciano i fiori del male/ qualche omicidio senza pretese/ abbiamo anche noi qui in paese”. Succede ovunque: crimini e misfatti di ogni tipo sono all’ordine del giorno nella cronaca nera. Anche la nostra provincia ha contato, a partire dal giugno del 2006, ben undici omicidi, non tutti –come avviene nei films gialli- risolti con l’individuazione del colpevole. L’ultimo è avvenuto a fine ottobre: Gabriella Baire, eritrea di 62 anni, a Teramo dal 1975, è stata barbaramente uccisa con almeno dodici sprangate in testa, in un condominio di via Pannella. La donna è stata definita come “più italiana di tanti italiani” vista la sua lunga permanenza nella nostra città. La sospettata è una sua connazionale, A.L. Tereke, 56 anni, attualmente in
C’era una volta la famiglia allargata, polinucleare, nella quale convivevano generazioni diverse, esperienze e risorse differenti. La famiglia era, allora, una vera e propria società nella società, un frammento autosufficiente, capace di proteggere e tutelare la dimensione privata dell’individuo, promuovendone le facoltà e le aspirazioni esogene. La famiglia, in tale contesto, esplicava certamente il ruolo di ammortizzatore sociale primario, di clearing house affettivo, relazionale ed economico. Prima l’industrializzazione, poi la globalizzazione hanno ridisegnato i tratti sistemici delle famiglie, oggi intese come sistemi nucleari, il cui numero di componenti medi raramente supera le tre unità. Una famiglia diversa, più flessibile, sia nel tempo, sia nello spazio che, se da una parte ha incrementato le sue potenzialità di penetrazione del tessuto sociale, dall’altra ha indebolito la sua capacità di risposta ai bisogni primari e propri: l’assistenza di persone anziane o diversamente abili, l’educazione e l’accudimento degli infanti, la stabilità generale quale agenzia di socializzazione primaria. Il fenomeno del badantato è paradigmatico degli avvenuti cambiamenti sociali e culturali. Fino ad alcuni decenni fa, era impensabile che un familiare delegasse a terzi l’assistenza di un proprio caro, tanto più di un anziano, un genitore, un padre, una madre. Tale possibilità avrebbe pure potuto suscitare la disapprovazione del gruppo famiglia, delle reti amicali, del gruppo di vicinato. Perché ? Perché dedicarsi ad una familiare in stato di disagio e bisogno, rappresentava – nell’ambito di un’ipotetica scala di utilità ed etica individuale - una priorità indifferibile. La famiglia e gli individui, nel corso degli anni, hanno sempre più somatizzato le mete extrarelazionali, appannaggio dei condivisi obiettivi di sistema (lavoro, denaro, carriera, realizzazione, ecc), il cui costo sociale si è spostato dall’asse familiare a quello collettivo. Forse,
è proprio per questo, seppure in ritardo rispetto ad altri Paesi, che l’Italia ha concretizzato una legge quadro sull’assistenza solo nel 2000, con la legge 328. Da quella data, in tutto il territorio nazionale, anche nei comprensori più angusti, è attiva una rete di welfare, nel cui contesto i servizi di assistenza domiciliare a soggetti anziani e disabili rappresentano livelli essenziali di assistenza sociale. Il badantato, nell’accezione più tecnica del termine, in realtà è un complemento dei servizi di welfare. La sua diffusione è certamente legata ai mutamenti di composizione demografica delle famiglie, ma anche indotta dalla crescente disponibilità di soggetti disponibili al suo assolvimento. La crescente domanda proveniente dalle badanti è in buona parte riconducibile al fenomeno migratorio, in piccola parte anche alla profonda crisi del tessuto produttivo nazionale, i cui espulsi – non di rado – provano a riallocarsi nel settore dell’assistenza. E’ necessario, comunque, asserire che né i processi di ridimensionamento del welfare, né l’incrementale disponibilità di badantato potranno soppiantare le funzioni primitive delle unità familiari. Così come è opportuno ricordare che dal fenomeno del badantato – talvolta – possono scaturire effetti rebound , che producono ulteriori carichi sociali per la collettività. Non a caso, le istituzioni territoriali sovraordinate (regioni e province), di recente hanno avviato una serie di percorsi progettuali volti ad offrire una qualificazione professionale minima, ma necessaria a chi si appresta a svolgere un lavoro così delicato, oltre che finalizzati a far emergere le numerose condizioni di lavoro sommerso. GIANNI DI GIACOMANTONIO (SOCIOLOGO)
Terra di Badanti
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Vittime di
questo mondo carcere. Quest’ultima avrebbe ucciso per motivi economico-lavorativi, temendo di essere licenziata dal suo incarico di badante e sostituita da Gabriella. Sembra che l’intenzione di togliere la vita alla Baire fosse stata confidata ad alcuni conoscenti. La Tereke avrebbe – anche se le prove a suo carico sembrano schiaccianti, il condizionale è sempre d’obbligo prima di una sentenza- cercato di nascondere il cadavere in una soffitta e provocato un incendio per eliminare, un po’ maldestramente, le prove. Fra i criminologi gira una sorta di favola, secondo la quale quando si commette un delitto si fanno almeno trentasei errori, ed è già tanto se si riesce a ricordarne almeno cinque. La possibile colpevole, dopo il delitto, è stata ritrovata a Giulianova, dove aveva shakespearianamente tentato il suicidio ingerendo della candeggina. Quello che più rende perplessi, in questi casi, è che non ci sia quasi mai una parola di conforto o d’amore nei confronti della vittima. Se lo si fa, è sempre un tentativo strappalacrime per alzare l’audience in maniera un po’ banale. Non a caso, nel gergo giornalistico, quando muore una persona famosa il suo ricordo si chiama “coccodrillo”. Allora, senza falsi moralismi, la speranza è che Gabriella possa riposare in pace e chi ha ucciso abbia tempo e modo di scontare la sua pena e pentirsi amaramente di ciò che ha fatto. IVAN DI NINO
Un’anagrafe per cominciare DI
MIRA CARPINETA
A proposito del fenomeno badanti, Giampaolo Di Odoardo, segretario generale della Camera del lavoro di Teramo (Cgil) spiega la relazione tra la grave situazione del lavoro precario nel teramano e il fenomeno dell’immigrazione dai paesi dell’est che caratterizza principalmente il mercato dell’assistenza domiciliare. Un settore questo, che dopo anni di continua crescita, con assunzioni regolari, comincia a registrare una significativa flessione a causa della crisi e allo stesso tempo rischia di alimentare la presenza clandestina, nel nostro paese, di queste pur preziose lavoratrici. Per questo motivo, già da qualche tempo Giampaolo Di Odoardo aveva proposto una regolamentazione del settore con l’istituzione di un’anagrafe, o una sorta di albo professionale, in cui censire, anche in base alle competenze e professionalità, le badanti extra comunitarie. “L’idea è stata poi ripresa e parzialmente realizzata - spiega Di Odoardo- in altre forme e da altre istituzioni, anche se non proprio come noi l’avevamo pensata, ma in questo particolare momento di crisi, mentre prima erano le persone a venire da noi per informarsi su come fare per avere una badante, adesso sono le badanti che vengono a chiederci lavoro. In termini economici siamo al massacro sociale, se si pensa che il 77,4% di pensionati vive con meno di 750 euro mensili, a fronte del costo di una badante che di aggira oltre i 1000 euro più vitto e alloggio”.Fino a quando la famiglia ha funzionato come ammortizzatore sociale, quindi con più di un occupato in
casa, la spesa per l’assistenza dell’anziano o del disabile poteva essere meglio gestita, ma con la precarietà della maggior parte dei lavori, la cassa integrazione, per non parlare dei licenziamenti a seguito della chiusura di molte aziende, questa spesa si è fortemente contratta e a rimanere senza lavoro adesso sono anche loro, le badanti. “L’istituzione di un’anagrafe strutturata come utile database in cui attingere a specifiche competenze- continua il segretario generale della Cgil teramana – porterebbe alla compilazione di un apposito libretto identificativo e personale, in cui sono registrate le loro conoscenze e le loro specifiche professionalità. Ciò consentirebbe alle famiglie di poter fare scelte accurate in base alle esigenze delle persone da assistere, di poter organizzare corsi di formazione in base alla tipologia di professionalità richieste. Ci sono situazioni in cui è sufficiente fare un po’ di compagnia al badato, ma in molti altri casi ci sono da gestire gravi patologie o handicap. Con le regole che ci sono oggi è molto probabile che la badante che perde il lavoro, non è detto che torni nel suo paese, ma potrebbe rimanere come clandestina. Allora avere un’anagrafe consentirebbe di avere una precisa cognizione dei flussi. D’altra parte anche se si hanno lavori precari, pur di non perderli o di maturare i tempi di occupazione necessari, molti sono costretti a ricorrere all’assunzione regolare della badante, spendendo praticamente quasi tutto il loro stipendio pur di assicurare l’assistenza al familiare disabile”.
La vita si assapora lentamente Parla la psicoterapeuta Valeria Valiante
Integrazione e sacrifici Le storie delle bandanti, sono di integrazione, speranze, sacrifici, tanta dignità. Certo non sempre è così. Molte sono le cronache di rapporti lavorativi finiti male, a causa della loro imperizia. Ma altre volte, sono gli italiani stessi a non essere corretti con queste lavoratrici. Spesso non vi è un contratto che regolarizzi l’assunzione, e ne specifichi mansioni e orari. Quindi, non di rado, alcune di loro sono dovute sottostare all’arbitraggio dei propri datori di lavoro. Ci sono stati anche casi eclatanti di avances e molestie nei loro confronti. Una signora rumena, ad esempio, qui nella nostra città, a seguito delle ripetute e sempre più insistenti “attenzioni” del proprio datore di lavoro, figlio dell’assistita, ha avuto un forte esaurimento ed è dovuta tornare in patria, per riprendersi dalla brutta esperienza. Però, quelle che vogliamo riportare qui sono esperienze positive di due donne, anch’esse rumene. Giovani e molto determinate. La prima è la storia di Doina. Nel 2002, conosce un operaio teramano, e si sposa. Il marito la ha aiutata a inserirsi. Le difficoltà iniziali, date dalla scarsa conoscenza della lingua, non le hanno impedito di starsene con le mani in mano. Anche
perché lei, dice, proprio non ci riesce. Allora subito a impegnarsi con piccoli lavori, prima in cucina in un ristorante, poi anche pulizie e infine l’assistenza, come badante, appunto. Il lavoro è duro, ma sente che non le manca niente. Ha un marito che le vuole bene e le dà sostegno. L’altra storia è quella di Anna, anche lei arrivata giovane madre, in Italia, nel 2004. La sua famiglia, però, rimane in Romania. Forte è il dolore per il distacco, specie dal figlio. Ma qui è venuta per lavorare e offrirgli un futuro. La sua determinazione la porta sin da subito ad avere i primi ingaggi, anche impegnativi. Racconta della difficile assistenza presso un’anziana signora, ancora abbastanza autosufficiente, alla quale ha voluto anche bene. L’esperienza lavorativa presso di lei, per tutta la giornata, era a dir poco spartana, per l’atteggiamento autoritario dell’anziana. Da lei però ha avuto modo di imparare molto e questo, poi, l’ha aiutata per i lavori che ha ottenuto in seguito. Ora, dopo tanti altri sacrifici, è riuscita a far arrivare la sua famiglia qui, e il suo caro figlio è studente presso la nostra università. VALERIO VINÒD SILVERII
Come l’anziano vive il presente? L’anziano è la persona che è abituata e vuole fare le stesse cose ogni giorno. Il fatto di vivere e di ripetere gli stessi gesti non è altro che un meccanismo di difesa. Il suo stile di vita metodico diventa uno schema tranquillizzante che lo protegge dall’ansia. Mancando la progettualità del futuro egli si vede al termine della vita e si sente limitato. La sensazione di solitudine che ne scaturisce è data dalle modifiche a livello biologico miscelata ad una paura di quello che sta per arrivare. L’anziano, oggi. L’anziano si sente solo, non riveste più il ruolo del saggio e punto di riferimento della famiglia come poteva essere trent’anni fa. Oggi, cambiando lo stile di vita, cambia anche il modo di approcciarsi alla famiglia con differenze per quanto riguarda diritti e doveri. Questo tipo di società tende ad allontanare l’anziano che non riesce ad inserirsi nei nuovi meccanismi sociali. Chi, all’interno della famiglia, propone per primo l’aiuto di una badante? Spontaneamente un anziano non dirà mai “voglio una badante”, è chiaro che preferirebbe avere l’affetto e l’amore di un figlio che si prende cura di lui. Perché questa scelta? Perché è il minore dei mali. Far sentire un anziano genitore isolato ed allontanato, come in una casa di riposo, dove non sviluppa relazioni affettive e si trova a vivere in una stanza anonima, non è l’interesse di un figlio. Il discorso delle badanti è migliore perché fa rimanere l’anziano con quelle che sono le sue abitudini, spazi ed esigenze di vita. Chiaramente una badante rappresenta per l’anziano una persona che non riguarda il suo passato e di conseguenza
Terra di Badanti
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Assistenti non rappresenta un legame affettivo, questo all’inizio può risultare traumatizzante. Se poi la badante viene anche da un paese straniero le difficoltà aumentano perché l’anziano ha bisogno di una persona che sta ad ascoltarlo nei suoi racconti del passato, in quanto conserva una memoria a lungo termine molto più sviluppata rispetto ad un giovane. Trovarsi davanti una persona che non sa ascoltarlo e non lo capisce, anche a livello culturale, contribuisce ad uno stato di isolamento. L’aspetto psicologico di una badante straniera? Si hanno delle difficoltà se una persona emigra dal proprio paese sentendosi costretta ad allontanarsi dalla propria famiglia per poi ritrovarsi ad avere come unica possibilità, per vivere, quella di dover fare come lavoro la badante. Questo tipo di lavoro è molto pesante, perché l’individuo si ritrova a dover organizzare e gestire un’altra persona sconosciuta e per di più in un ambiente che non conosce affatto. Possono venire fuori tutta una serie di difficoltà che portano una persona ad agire male, ma questo accade spesso anche in determinate situazioni familiari. Credo che le difficoltà possano essere maggiori, ma credo anche che dipenda tutto dal fattore personale e dalla relazione che si riesce ad instaurare tra gli interessati. Personalmente ho avuto modo di vedere delle relazioni che si sono instaurare nonostante la badante non conoscesse bene la lingua, l’importante è avere voglia di comunicare e non sentire questo lavoro come un peso. Un giusto approccio al “tempo che corre”? Dovremmo fermarci un attimo tutti quanti per goderci i piccoli momenti che abbiamo. Anche un anziano che ha alle spalle un lungo trascorso, se si ferma a pensare non a quello che ha fatto di male ma a quello che ha costruito, credo che la qualità della vita possa essere migliore. Oggi siamo sempre troppo alla ricerca frenetica di qualcosa, di un desiderio, non ci fermiamo a pensare a quello che abbiamo di bello davanti. Poi, ti ritrovi ad ottant’anni che ti domandi :“che ho fatto?”. Io la vita la assaporerei lentamente. DANIELA MANTINI
Non solo assistenza A volte ad incontrarsi possono essere storie lontanissime, ed è difficile da credere. Cinquant’anni fa il vostro vicino di casa partì da Teramo per raggiungere la Germania con la famosa valigia di cartone. Abbandonò la famiglia per calarsi nelle miniere e lì, finì per lasciarci i suoi anni migliori; giornate fatte di picconate, di martellate, buone solo per sfogare la rabbia per una vita di stenti. Negli stessi anni Dora è appena una bambina e anche per lei, in Romania, la vita non è tenera. Forse è questo il segreto di certi incontri. Forse due individui così lontani possono incontrarsi e capirsi perché entrambi induriti dagli eventi. Non solo, quindi, problemi di deambulazione da un lato e soldi da spedire a casa dall’altro. Che poi si finisce sempre per ridurre tutto a una questione di denaro: beato lui che ha i soldi per pagare la badante; beata lei che con vitto e alloggio assicurati può mandare quasi tutto a casa. Ma andate a vedere cos’è non aver più una moglie, avere dei figli che se ne infischiano, o vivere lontani da casa, lontani da un ragazzo che sta crescendo, lontani da amici e famigliari. Forse saranno proprio loro, i protagonisti di questa storia, i primi a dirvi che non è proprio il massimo farsi assistere da una sconosciuta o vivere con un anziano che non sa più badare a se stesso. Ma il vostro vicino di casa, ora che c’è Dora, può permettersi una passeggiata al parco e respirare quell’aria che gli è mancata nelle miniere e può farlo anche se i figli preferiscono lo shopping del centro commerciale; e Dora, emigrata, perché per costruire una casa c’è bisogno semplicemente di soldi, può alleviare la sua nostalgia raccontando al vostro vicino di casa che il proprio figlio è il più bravo e da grande vuol fare il medico. Certo, potrebbe essere una storia verosimile, ma senza dubbio, perché è così che va il mondo, ci sarà anche un altro vicino, quello che avete dimenticato perché da tanto vive rintanato in casa, per il quale la solitudine
mano tesa DI
DANIELA PALANTRANI
L’assistente sociale è il professionista che può svolgere la propria attività in forma autonoma e/o nell’ambito del sistema organizzato delle risorse sociali, secondo principi, conoscenze e metodi specifici della professione. Massimiliano Ettorre, responsabile in ambito della tutela minorile ci aiuta a rispondere alle domande più comuni su un lavoro talvolta poco chiaro a molti. “Ogni residente del Comune di Teramo può rivolgersi ai servizi sociali dell’ente situati in via d’Annunzio, 120. Il territorio è operativamente diviso per ‘aree di intervento’. Attualmente, nel comune di Teramo siamo in cinque. Lavoriamo in équipe, anche se ognuno ha operativamente alcune specifiche aree di intervento. Attualmente, l’apertura al pubblico dei nostri uffici è garantito tutte le mattine dalle 11 alle 13 e nei pomeriggi di martedì e giovedì dalle 16 alle 17 (per info: tel. 08613241 Centralino dell’Ente; www.comune.teramo.it; Ufficio URP). Negli orari di apertura al pubblico viene ricevuto ed ascoltato chiunque chieda informazioni: tecnicamente tale tipologia di servizio viene chiamato segretariato sociale professionale.” E se si tratta di un
della vecchiaia è semplicemente insanabile e a cui non può bastare una semplice Dora, la quale allora diventa solo una donna che per denaro si prenderà cura di lui. Basta fare due domande in giro e di storie di badanti se ne troveranno a non finire. Non mancherà la storia della rumena poco seria, della russa che riceve amici in casa dell’assistito o dell’ucraina che in fondo tra stipendio e contributi non se la passa poi tanto male (se è così comodo perché non siamo noi a fare questo lavoro?). In questi aneddoti, a ben vedere, c’è un particolare che tra disabilità e retribuzioni viene sempre dimenticato: “ma sai, anche per non farlo sentire solo…”. Come se fosse poco. FABIO ROCCI
Sociali a tutti
residente di un altro comune? “Lo ascoltiamo comunque e poi lo indirizziamo ai servizi di competenza territoriale. Le situazioni problematiche possono essere le più disparate: da un problema economico ad abuso di sostanze, da un anziano non autosufficiente ad una situazione di disabilità, da minori stranieri non accompagnati a donne vittime della tratta, da problematiche relazionali a situazioni di maltrattamento infantile, dall’affido familiare all’adozione. Le tematiche trattate sono vastissime, ed a ognuno cerchiamo di dare risposte individualizzate”. Nell’ambito dei servizi domiciliari, attualmente si offrono diverse tipologie di servizi, ma solo in forma totalmente gratuita. Il problema di questo sistema è che, come da normativa, sono stati stabiliti dei limiti di reddito di accesso (misurati tramite il modello del parametro ISEE). In pratica, alcuni servizi (domiciliari ed integrazione rette) possono essere erogati, previa valutazione sociale, solo sotto una determinata soglia ISEE, stabilita in base al tipo di servizio richiesto”. Esistono altri Comuni che invece hanno deliberato un sistema diverso, prevedendo la proporzionale compartecipazione dei cittadini ai costi, con la conseguente possibilità di estendere l’offerta del servizio anche a chi non rientra nelle fasce di reddito più basse. “Quello che noi facciamo è la presa in carico di singoli, coppie e famiglie tramite la predisposizione di progetti di aiuto socio-assistenziali e psico-sociali, specifici per ogni singolo utente.In particolare, per anziani e disabili offriamo diversi servizi di sostegno domiciliare a spettro molto ampio, che spaziano da interventi puramente socio-assistenziali (microambiente, accompagnamento quotidiano, socializzazione), ad interventi più ampi, anche in collaborazione con la Asl (servizi socio-sanitari
Casa o istituto? intergrati). Anche per i disabili esistono diverse tipologie di intervento: ad esempio, se il disabile è in età scolare è prevista l’assistenza di una figura specialistica (l’assistente educativo scolastico) che affianca gli insegnanti e l’insegnante di sostegno (le cui ore di intervento vengono drammaticamente ridotte ogni anno), fino ad un massimo di 21 ore settimanali. Tale tipologia di servizio pesa in modo importante sul bilancio del Comune, ma viene garantito da molti anni. Anche in questo ambito sociale abbiamo proposto, ormai da anni, il passaggio alla compartecipazione, per ampliare l’offerta dei servizi domiciliari anche ad altre fasce reddituali. La figura dell’assistente sociale è presente anche negli ospedali, nei servizi specialistici e/o territoriali (Sert; centro di salute mentale; servizio psichiatrico di diagnosi e cura.), in Provincia ed in prefettura. Quotidianamente noi assistenti sociali del comune ci interfacciamo con i nostri colleghi e/o con altri professionisti per un lavoro congiunto”. La popolazione si rivolge a voi? “Abbiamo un’utenza vastissima. Inoltre, l’attuale congiuntura economica ha determinato un aumento delle richieste di sostegno economico, contestualmente alla riduzione dei nostri interventi: in regime di carenza di fondi l’amministrazione comunale è obbligata a stabilire delle priorità”. Importantissimo il piano di zona dei servizi sociali che è l’atto di programmazione triennale dei servizi offerti, e che viene predisposto in base alle linee-guida contenute nel piano sociale regionale. Ai tavoli di preparazione dei piani di zona partecipano anche i cittadini del territorio tramite associazioni di volontariato e/o di rappresentanza sociale.
Alcuni giorni fa mi sono recato alla casa di riposo “G. De Benedictis” di Teramo, per salutare alcuni amici ospiti, conosciuti durante il servizio civile all’interno dell’Ipab, circa tre anni fa. Varcato il cancello d’entrata, sembra quasi di entrare in contatto con un microcosmo dove i ritmi quotidiani di vita differiscono dai nostri sotto molteplici aspetti: negli spazi, che per una persona con problemi motori hanno una valenza soggettiva e non oggettiva, nel tempo, che sembra scorrere molto più lentamente e in altre tantissime piccole differenze che rendono questi luoghi unici nel loro genere. Enrica mi scorge da lontano, il suo posto preferito è vicino la finestra, e la sento che mi chiama a gran voce, chiedendomi se mi sono ricordato di portarle la pizza con le alici. Le dico che stavolta ho davvero dimenticato di prenderla, ma lei mi saluta ugualmente nel suo gesto affettuoso di cingermi il collo con le braccia, seduta sulla sua carrozzina. La saluto ed entro nell’ampio salone del residence, ripensando al periodo in cui lo facevo ogni giorno e agli sguardi teneri che ci scambiavamo io e Francesca, la volontaria, che riempiva di cotone le bambole di pezza, poi diventata la mia ragazza. La vita nella casa di riposo purtroppo può cambiare velocemente, e ad ogni visita è facile conoscere visi nuovi e non incontrare gli ospiti di sempre … Prendo l’ascensore e salgo da Dora, una simpatica signora che passa tutto il giorno a creare lavori di découpage. La sua camera si può ritrovare facilmente, perché la musica di Elvis è una costante che non manca mai. Sulle pareti e sulle mensole ci sono poster, audiocassette e videocassette che testimoniano la smodata passione per questo cantante. Mi regala i suoi ultimi disegni e poi, dispiaciuta, mi saluta quando devo andare via. Questi attimi portano a riflettere tanto, quindi ho pensato alla mia vecchiaia, a come sarà … In una residenza per anziani o a casa mia, magari con una assistente accanto? Quest’estate ho avuto modo di visitare un paese nel bel mezzo
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Piacere nel dare di una sagra, e in questo stesso centro abita un’amica di famiglia che, da diverso tempo, è costretta a vivere in condizione di infermità. In questa occasione ho conosciuto una signora, la sua badante. Non so dire se sia meglio avere al proprio fianco la squadra specializzata di una struttura o un’assistente privata, tutto è relativo e bisogna analizzare il caso specifico. Tante volte si sentono cose poco piacevoli sul trattamento riservato ai nostri nonni, ma come sempre, non si può generalizzare, ed è la persona in sé a fare la differenza. Maria si prende cura della sua “amica” da anni, e quando mi ha raccontato del giorno in cui l’ha conosciuta, sono rimasto scosso. Aveva piaghe da decubito molto profonde, non mangiava e non parlava. Ora è diverso e con soddisfazione mi fa vedere come l’anziana sia rifiorita, come un fiorellino, sempre lavata e profumata, cosparsa di creme e ben nutrita. E non posso non darle ragione. L’anziana donna sta davvero meglio. Maria ha fatto suo un fondamento importante della nostra società, quello di rispettarsi sempre e soprattutto, di non offendere mai la dignità del proprio prossimo. Tante volte la strada più facile e veloce non risulta poi essere quella migliore, sicuramente è difficile stare vicino a una persona malata. Ma la forza … quella arriva solo da cuore, e Maria ne ha dato una dimostrazione più che concreta. VINCENZO CASTALDO
Tutta la vita spesa a dare, dare, dare, lavorare senza sosta, fare sacrifici. Poi un giorno suona inesorabile la campanella della pensione e per i più attivi comincia qui un lento declino, l’ultimo prima della definitiva dipartita. I figli, per cui si è dato tanto, non riescono a stare dietro ai loro vecchi genitori. La vista cala, gli acciacchi aumentano. Tutte quelle medicine sul comodino “che mamma non vuole prendere perché dice che sono troppe”. Sempre più persone in avanti con l’età, lo Stato non è in grado di far fronte alle richieste di assistenza. La soluzione si chiama “badante”. In Abruzzo ce ne sono moltissime, spesso dell’est europeo, ma anche cinesi, filippine, africane. Maria è polacca e vive quasi stabilmente a Teramo da dieci anni: “Mi trovo bene, contrariamente ad altre colleghe – dice in un italiano neanche troppo stenta-
Nella nostra società aumenta il numero di persone che hanno bisogno di assistenza, di compagnia, di piccoli gesti quotidiani. Frequentemente si ricorre a importanti risorse umane: le badanti. Adalgisa Marsilii è una donna dinamica e socievole che svolge questa attività in ospedale e domiciliare diurna e notturna. Attualmente lavora presso l’ospedale “G. Mazzini” di Teramo. Sin da ragazzina, Adalgisa ha puntato sulle sue doti: l’ottimismo, la forza di volontà, lo spirito di sacrificio. Prodigandosi per accudire i familiari (nonna e zii), ha continuato a dedicare il proprio tempo per aiutare tanti, giovani e anziani. Il suo spiccato senso di responsabilità, l’essere ordinata e attenta, la voglia di dare, di comunicare e di coinvolgere, da sempre si sono bene coniugate con la professione di badante, per la quale si sente portata. Forte di tutto questo, puntualmente si aggiorna e frequenta corsi regionali professionalizzanti. Adalgisa spiega che
è dando che si riceve quel piacevole senso di gratificazione per “rimettere in circolo la grinta ed essere un valido sostegno”. Di riflesso la vita acquisisce bellezza. La sua figura è a contatto con persone che soffrono per malattia, solitudine o per altri disagi. Così ogni giorno entra in relazione con la condizione sociale, psichica e culturale delle persone che assiste, e a seconda delle esigenze, si occupa di garantire loro l’igiene personale, sprone alla riabilitazione, compagnia durante i pasti, provando a moderare le preoccupazioni e le angosce. Adalgisa è una persona amata nel suo lavoro, ma sa mettere a disposizione tutte le sue attitudini: dalla passione per l’uncinetto e per la musica, al piacere di raccontare barzellette e filastrocche, offrendo il meglio di sé. Per stabilire uno scambio d’interessi con il proprio assistito, mentre il tempo viene trascorso con più leggerezza e con meno difficoltà. GIUSEPPINA MICHINI
Una biblioteca che brucia
to- non ho mai avuto problemi nella famiglia in cui presto servizio. Certo il lavoro che facciamo noi le italiane non vogliono farlo. Ci vuole stomaco! Non tutti sono disposti a cambiare i pannoloni sporchi… Qui in Italia parlate sempre dei cani e dei gatti, ma dei vecchi ce ne occupiamo solo noi. I figli vengono cinque minuti, fanno qualche carezza, poi se ne vanno. Con gli anziani ci vuole grande pazienza, non sempre sanno bene cosa vogliono”. Quest’ultima affermazione ha del vero se riferita non soltanto a persone malate, ma anche agli ultra ottantacinquenni. E’normale, secondo studi medici accettati dalla comunità internazionale, che dopo questa soglia di età il cervello cominci a funzionare male; demenza senile ed arteriosclerosi non sono parolacce. E’ come un motore molto usato che comincia a carburare male.
Il mercato di queste novelle collaboratrici domestiche, senza le quali moltissime famiglie avrebbero serissimi contrasti al loro interno, ha un’elevatissima percentuale di lavoro nero –si stima che la metà di queste lavori irregolarmente. Sarebbe quindi necessario semplificare le procedure per l’assunzione, aumentare le detrazioni per i datori di lavoro. Di solito la ricerca della badante è affidata al passaparola tra conoscenti. Pochi i comuni che tengono una sorta di albo a loro dedicato, pochissime le inserzioni on-line. Un mercato tanto ampio quanto strano, un sottobosco che andrebbe meglio regolamentato. Secondo un vecchio proverbio “quando muore una persona anziana è come se bruciasse una biblioteca intera”. Qualcuno, che ‘non ha tempo’, ci pensi. IVAN DI NINO
Sos nonni DI
ROPEL
Una ‘figura’ che nel tempo ha avuto un insostituibile ruolo sociale è quella del nonno/a, di cui sociologi, psicologi,economisti ecc. si sono impegnati a scrivere o affermare l’importanza. Non voglio unirmi al coro. Desidero fare solo alcune riflessioni da…. parte in causa. Essere nonni è l’altra faccia della medaglia, rispetto a chi ‘usufruisce’ di tali figure nell’economia domestica quotidiana, per una corretta auxologia dei bambini, per risolvere spesso i problemi che affliggono le giovani coppie o creano disagi organizzativi a tanti genitori. Certo. E’ bella anche l’altra faccia della ‘medaglia’. Ed è raro che accada. Entrambe le facce della medaglia sono belle. E mentre tanti sono consapevoli del beneficio di avere dei nonni disponibili ed affettuosi, pazienti e ‘pronti all’uso’, solo i nonni sanno quanto è bello esserlo. Ci si sente più giovani (…è un modo valido per non avvertire su se stessi che il tempo sta passando), si rinnova l’affetto per i piccoli verso cui si è più dolci e comprensivi, forse, e, spesso, in maggior misura di quanto manifestato verso i propri figli. Ma lasciatemi confessare o meglio, sottolineare, il privilegio di essere nonni oggigiorno. Questa è la generazione di nonni nati a cavallo o subito dopo la 2^ guerra mondiale. Provate ad immaginare che ‘film’ sarebbe quello che mettesse – in rigorosa sequenza – gli avvenimenti ma, ancor di più, le scoperte, le innovazioni tecnologiche che hanno modificato la vita di ciascuno dei nonni che hanno potuto assistere ‘in diretta’ a tanti cambiamenti! Ricordiamo e pensiamo, per un attimo, all’evoluzione della scrittura e della comunicazione. Oggi le mail e ieri le lettere scritte a mano o con la vecchia macchina da scrivere. Addirittura a fronte degli sms –che i ragazzi oggi sanno inviare da quando nascono- alle pagine di aste e letterine che i bambini di ieri dovevano riempire. Dalla radio alla TV, al digitale terrestre, dai primi frigoriferi all’attuale ‘linea del freddo’, dai medicamenti di una volta alla moderna farmacologia ed ai progressi della sanità (per un esempio, dalla radiografia di una volta alla Tac o alla risonanza magnetica), dall’uso delle mappe o carte stradali al ‘navigatore satellitare’, e così via. Ritengo
Quando cade la maschera Non avrei potuto realizzare la mia prima intervista, senza la disponibilità e l’aiuto di una donna per me davvero speciale, che ha sempre tanto tempo da dedicarmi: la mia nonna. Non è stata solo una lunga e piacevole chiacchierata. In un’atmosfera intrisa di tenera intimità, mi ha svelato le paure più profonde, le sensazioni e le preoccupazioni con cui convive da qualche anno. Commossa, non solo ha risposto alle mie domande, ma mi ha donato i suoi occhi per capire ciò che ora non posso neppure immaginare. Occhi che magari saranno un po’ appannati, ma la visione rimane nitida e fresca. I nonni sanno interpretare i sogni, possiedono un patrimonio che non si trova nei libri, mantengono vive le tradizioni, forniscono un terreno sicuro per noi giovani, ingenui e inesperti.Ancora una volta, dalle sue parole ho tratto un grande insegnamento: trascurando ciò che è “vecchio” impediamo l’evoluzione della specie umana. “Verso la fine della vita avviene come verso le fine di un ballo mascherato, quando tutti si tolgono la maschera. Allora si vede chi erano veramente coloro i quali si è venuti a contatto durante la vita”. ( A. Schopenhauer ). Ma diceva anche Pasolini: “Invecchiando si diventa più allegri, perché si ha meno futuro e quindi meno speranze. E questo per me è un grande sollievo.” Nonna, tu che idea hai della vecchiaia? La nonna scuote il capo e accenna un sorriso malinconico... “Forse Pasolini aveva ragione. Ma per quanto mi riguarda non è così. La vecchiaia non è allegra, la definirei piuttosto l’età dei conflitti, tra gli istinti e i desideri, e la possibilità sempre più ridotta di soddisfarli. E’ non potersi più allacciare le scarpe da soli, è confondere i nomi dei propri nipoti, parlare e non essere capiti, è temere di non esserci il giorno in cui vi poseranno sul capo una corona d’alloro. La vecchiaia è quando fa fatica anche una lacrima a scendere giù, perché le emozioni sono sempre più rare. Una volta eravamo giù dalle scale e fuori dalla porta prima ancora delle nostre gambe. Adesso, chi lo sa quando quel ginocchio matto potrà cedere o il piede mancare il gradino?” Negli ultimi cinque decenni la vita media è più lunga in virtù delle migliori condizioni di vita e dello sviluppo tecnologico. Come è avvertita oggi la terza età rispetto a prima? “Indubbiamente il progresso ha reso la vita più lunga e meno usurante; oggi c’è maggiore disponibilità di denaro, il cibo non manca mai in tavola e il bucato non si lava a mano nel-
le gelide acque delle fontane del paese. Per alcuni aspetti però, come recita un proverbio, ‘si stava meglio quando si stava peggio’! Sono madre, nonna e bisnonna; penso sempre al futuro dei miei cari, in un mondo che mi fa paura, constatando la continua violenza tra gli uomini e la ribellione della natura (terremoti, vulcani, straripamenti). Gli uomini sono sempre più vittime di un’insaziabile frenesia”. Ti senti esclusa da una società narcisistica come la nostra? “Non mi sento esclusa, ormai è un problema che interesserà le nuove generazioni. Per quanto mi riguarda, dopo aver cresciuto i miei figli, quando avevo 48 anni, ho ricominciato a lavorare. Purtroppo credo che una donna nel 2010 non potrebbe più farlo; oggi superata una certa età, si rischia di essere relegati ai margini della società...ma perché poi? Rughe e capelli bianchi non son mica una malattia! E pensare che ai miei tempi l’età era fonte di autorità, un binomio indissolubile. C’era un codice familiare da rispettare, dettato dal componente più anziano, e infrangerlo significava trasgredire le regole, o ancor meglio, violare una saggia e intoccabile morale”. Hai paura di essere di essere indicata come inadeguata? “No, non mi sento inadeguata. Il sopraggiungere degli anni lo vedo solo allo specchio, ma non lo sento: lavoro in casa, cucino, bado ai miei nipotini quando i genitori sono impegnati al lavoro. Leggo molto, mi diletto con le parole crociate, per non parlare dell’uncinetto! Il tempo scorre senza che io me ne accorga. Si ha un’idea sbagliata dell’aggettivo ‘vecchio’, che implica il processo di invecchiamento e l’approssimarsi della morte. L’essere ‘vecchio’, in realtà, è solo una condizione visibile che non dipende dall’età. Se alla categoria ‘vecchio’, si contrappongono, per indicarne il contrario, aggettivi come ‘nuovo’, ‘fresco’, ‘giovane’, è difficile immaginare la vecchiaia come qualcosa di semprevivo, una fase in cui si ha il massimo delle energie creative. Basti pensare a molti artisti, che nell’ultimo periodo della loro carriera, hanno avuto picchi di originalità, eccellenza e fama”. Percorrendo le strade della città è ormai consuetudine incontrare anziani, spesso ammalati, che passeggiano accompagnati dalle rispettive badanti. Credi che sia un cambiamento positi-
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– con scarse possibilità di essere smentito – che essere nonni ( o nipoti ) oggi sia una vera fortuna. Quanta esperienza ha un nonno, quali evoluzioni sociali ha registrato – e può quindi raccontare per esperienza vissuta –, ma ha anche la memoria di ciò che si era, di come si viveva, cioè, e può ammonire, istruire o semplicemente informare i nipotini che hanno il bene di apprendere tante cose senza dover trovare su internet. Allora è forse giusto festeggiare i nonni, apprezzare bene non solo il loro affetto o l’essere impagabili ‘babysitter’, ma anche una preziosa fonte del sapere. Nonni si diventa, ovviamente, ma non tutti sanno farlo benissimo
vo nel costume sociale? E come vedi la possibilità, in futuro, di essere accudita e seguita da una badante? “Non trovo che sia un cambiamento positivo. Nella mia famiglia abbiamo sempre assistito fino all’ultimo giorno gli anziani di casa: zie, prozie, nonni. Non si è mai pensato di affidarli a gente estranea. E’ vero che le esigenze di oggi non permettono più ai nostri familiari di assisterci e di prendersi cura di noi, ma essere messi completamente nelle mani di un’altra persona significherebbe adattarsi al trattamento di estraneo, magari onesto e magnanime, ma pur sempre un estraneo. Qualche anno fa, ho fatto da badante ad una persona squisita, cercando sempre di fare del mio meglio. Mi sentivo parte della famiglia, lavoravo con sentimento e devozione, non solo per soldi. Ho sofferto molto quando la persona che accudivo è venuta a mancare, e per qualche mese ho mantenuto anche rapporti con i parenti più stretti. Personalmente, non vorrei una badante ad assistermi, ma se un giorno ne avrò bisogno, sono consapevole del fatto che in quel momento non sarò più in grado di capire o decidere per la mia vita. E’ molto difficile accettare cambiamenti alla nostra età, abituarsi ad una nuova voce, a un odore diverso, a occhi che non ti leggeranno nel pensiero e non trasmetteranno mai fiducia e dolcezza come lo sguardo di un figlio. Inoltre, credo che si crei nei familiari un’ indifferenza verso il malato: ‘tanto c’è la badante!’, come se l’anziano fosse già spacciato”. Sulla tua risposta influisce il fatto che spesso a praticare questo mestiere siano cittadine immigrate in Italia, bisognose di procurare un sostentamento
anche se, con l’affetto che si nutre per i propri nipotini, si può riuscire abbastanza bene. Mi viene in mente allora, più che chiedere di innalzare un monumento ai nonni (a chi lo è stato, a chi lo è ma anche a chi lo sarà), di auspicare un servizio televisivo analogo a quello, ben noto, intitolato “Sos Tata”. C’è tanto da apprendere, tante testimonianze da raccogliere e, quindi, spero che si arrivi a vedere presto in TV una sorta di “Sos Nonni”. In conclusione. L’essere nonni fa bene al proprio spirito ed al proprio corpo, oltre che alla propria famiglia. Quindi è un vero beneficio per la società!
economico per sé e per le proprie famiglie? “In parte influisce, perché credo che ogni popolo abbia la propria cultura e usanze differenti. Ho lavorato con una badante straniera e più volte abbiamo discusso. Non perché agisse in male fede, anzi era una donna onesta, in maniera quasi esagerata, proprio perché consapevole che, il fatto di essere un’immigrata, potesse rappresentare un pregiudizio per i nostri datori di lavoro. Avevamo diversi modi di pensare, ma anche di agire...a volte addirittura opposti. Spesso, inoltre, ci sono stati fraintendimenti per la poca comprensione,dovuta al fatto di parlare due lingue differenti”. ”Non v’è giornata senza il crepuscolo della sera”... Hai paura della morte? “Domanda da un milione di dollari! Che cos’è la morte? E’ un’incognita e l’incognito spaventa. Ora, anche se spesso sono sola, le mie giornate sono piene di vita: ho una cagnetta che è la mia ombra, due gattini che mi divertono tanto e il mio uncinetto. Cerco di non pensare alla morte e accettare quel che verrà. Le paure maggiori sono altre. Ho paura di soffrire. Ho paura di non essere in grado di sopportare il dolore, quello fisico, per intenderci. Ho paura di rassegnarmi all’inaridimento della vita interiore. Al mattino quando mi alzo e sento di essere ancora autosufficiente ringrazio sempre il Signore”. Per i giovani spesso la senilità è un argomento lontano e difficile da affrontare, forse perché ne hanno paura. Eppure la vecchiaia è una nuova infanzia, un’infanzia piena di ricordi, di errori già commessi,di esperienze. Una fase della
vita consapevole, ricca di gioie e di dolori. Te la senti di dare qualche consiglio, da anziana saggia, ai tuoi numerosi nipoti e ma anche ai giovani che hanno ancora tutto da vivere? “I giovani vedono la vecchiaia con timore, proprio, secondo me, per i motivi sopraesposti, ossia perché oggi il termine ‘vecchio’ richiama altrettante parole, come emarginazione, rassegnazione, intolleranza, perdita di identità, abbandono. Certo che mi sento di dare consigli! Ma chissà se li ascolterete?! Proverò a non essere troppo ‘bacchettona!Oggi i giovani sono bombardati da ogni fonte di informazione. Stampa, televisione e internet, condizionano in maniera esagerata la loro vita, influenzandone scelte e pensieri. Non condanno il progresso, ma l’uso che se ne fa. Ragazzi non adagiatevi troppo nel benessere e divertitevi in modo sano! Non mancate mai alle tante responsabilità che vi si presenteranno nelle vita. Non date troppa importanza ai beni materiali. Io non ero ricca, ricordo che avevo solo un vestito adatto alle occasioni speciali e a Natale, sotto l’albero per me, solo frutta secca e caramelle. Ma era bello cosi, non desideravo altro. Erano cose ben più importanti a fare la felicità. Oggi invece contano le apparenze, il denaro, la visibilità. Non lasciatevi plagiare da falsi modelli, accettatevi per quello che siete. É priva di senso una vita vissuta calpestando la propria identità”. FEDERICA MAZZONI
Terra di Badanti
29 dic. / 2010
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La giusta informazione : comincia anche dai piedi Isabella Merlini e le calzature per bambini Esistono settori di mercato che mostrano di avere nella propria essenza gli “anticorpi” necessari per affrontare una crisi economica come quella attuale. Piazze di nicchia, che puntano su prodotti necessari in assoluto. Isabella Merlini, titolare del negozio di calzature per bambini Catysa, definisce il proprio un “mercato fortunato”. Una fortuna costruita con le armi della professionalità e della qualità dei prodotti su cui puntare. “E’ vero, in una famiglia il bambino viene prima di tutto, le scarpe indossate cambiano in continuazione a causa dello sviluppo, ma non ci si può cimentare in questa attività improvvisando”. La signora Merlini parla con orgoglio dei trent’anni di presenza nel campo, della discendenza da nonno calzolaio e da padre direttore di fabbrica di calzature all’estero. “Vivevo in negozio, come tutti i bambini figli di commercianti, e ho imparato il rapporto coi clienti e quello con gli articoli da vendere”. C’è uno strumento presente nello store, un ‘trucco del mestiere’ che sembra ereditato dagli esperti del passato. “Le famiglie che si presentano con richieste per bimbi ai loro primi passi cercano dei consigli. Noi utilizziamo quindi il “misurapiedi”, un barra in plastica su cui si posa il piede, e sul quale si studia la corporatura, in base a lunghezza e larghezza della pianta e altre accortezze”. Il risultato è un prodotto finale diverso da quelle che presenterebbe una macchina distributrice di scarpe, posta lungo i marciapiedi. Dando preferenza alle aziende che hanno investito nella produzione in territorio nazionale. E’ questa la risposta pratica alla crisi economica e allo spopolamento che la città di Teramo ha subito in seugito alla scossa del 6 aprile dell’anno passato, grazie anche al lavoro combinato di manager e distributori. “Noi partecipiamo ogni anno a una riunione di una settimana con una azienda no-
stra associata, durante la quale andiamo in vacanza in un bel posto e facciamo i precampionari, insieme a loro. Di ogni prototipo ci viene chiesto cosa piace e cosa invece si vorrebbe cambiare” . Il lavoro sulle materie prime, dai tipi di coloranti utilizzati alla chimica presente nei pellami, è una dichiarazione d’intenti. La valorizzazione del territorio avviene anche mediante il corretto uso dell’informazione, riguardante ad esempio il Paese di origine del prodotto, e una possibilità di scelta il più possibile ampia. “Dovrebbe essere così per tutti i negozi. Solo in questo modo si ha modo di portare tutto a Teramo, senza la necessità che il cittadino debba andare fuori a trovare quello che cerca. Teramo ha tutto”
30 dic. / 2010
Teatro romano occasioni mancate Con Alberto Melarangelo ripercorriamo le vicende di un’ area, area scoperta ai primi del 1900, in balia balia, secondo l’esponente del Pd, “dei capricci della Sovrintendenza e delle cattive scelte della politica locale”
DI
VINCENZO LISCIANI PETRINI
entre dalla tv impazzano gol e risse calcistiche, in una fredda serata teramana con Alberto Melarangelo si approfondisce un problema annoso di Teramo: il teatro romano. “Si tratta di una vicenda che parte già dai primi del 1900 quando cominciarono ad affiorarne i resti. Ovviamente era attorniato da palazzi e occorrevano interventi. Cominciarono, infatti, i primi progetti di messa in luce. Si capiva che era un’opportunità da non perdere, allora come oggi!” Una piccola pausa, riprendiamo: “Come puoi immaginare, avere un teatro romano è un vanto che non capita a tutte le città e può innescare tutta una strategia di rilancio culturale. Anche il grande Francesco Savini (archeologo teramano, ndr) se n’era occupato. Nell’era fascista, cultrice della romanità, ci fu la demolizione di molti abitati di quella zona proprio per mettere tutto in luce. Negli anni ’60, Gambacorta sindaco, il quartiere del teatro subì ulteriori modifiche. Furono scoperte le pietre delle arcate, inglobate dai caseggiati. Quelle pietre furono smontate e catalogate dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali.” Alberto addita: “Tieni bene a mente queste pietre ché tra poco torneranno protagoniste della vicenda… Comunque, dicevamo, negli anni ’90 il problema torna di attualità e qui Teramo Nostra ha giocato un ruolo importante per la sensibilizzazione della cittadinanza e delle parti politiche. Come sai, erano due i palazzi sorti
sull’area: Palazzo Adamoli e Palazzo Salvoni. L’allora centro-sinistra, sindaco Sperandio, fece malauguratamente scadere i termini della prelazione, ovvero il diritto di acquisto degli stabili a prezzo anche ribassato. Una cosa indecente: ecco i primi risvolti inquietanti della vicenda. Stiamo parlando del 1998. La giustificazione fu l’aver consegnato la domanda con un’ora di ritardo: roba da non credere… il teatro romano è la storia delle occasioni mancate. Neanche a dirlo quei palazzi furono acquistati da privati e di lì rivenduti alla Regione per tre volte il prezzo precedente. Acquisirli fu, tuttavia, un bene non da poco: merito alla Regione.” Quindi, era di nuovo tecnicamente possibile recuperare il teatro? “A questo punto -risponde il consigliere -torna a farsi sentire la Sovrintendenza, autrice di scempi nella nostra città, si veda la copertura di piazza Sant’Anna che ha letteralmente umiliato l’antica cattedrale teramana. Tra l’altro alla Sovrintendenza lavorano persone del tutto incompetenti e senza i necessari titoli di studio. Le assunzioni sono bloccate ormai da anni e professionisti meritevoli non possono assolutamente entrarvi. Davvero in Italia ci vorrebbe una rivoluzione liberale. Ma non perdiamoci: la Sovrintendenza torna alla carica, il progetto è proprio quello di smontare i palazzi (e non demolirli brutalmente) proprio per non recare danno alcuno alla struttura romana. Ebbene che cosa fanno? Smontano metà palazzo Adamoli, restaurano
Il Sindaco Brucchi con i rappresentanti di “Teramo Nostra”
31 dic. / 2010
La miccia della protesta dell’associazione “Teramo Nostra”
l’altro palazzo e bloccano i lavori. Si può credere? Deviano completamente dal progetto con un’arroganza che rasenta l’assurdo! Nessuno sa dare risposte e la Sovrintendenza addirittura rifiuta di darne. Cioè, hanno usato soldi pubblici per fare una cosa estranea al progetto e oltretutto estranea alla volontà popolare espressa dal sindaco. Un’altra occasione mancata. E siamo a due.” Oggi com’è la situazione? “Negli ultimi tempi Brucchi aveva ribadito più volte la volontà di recuperare l’area per rimetterla in funzione. Si era addirittura creato un tavolo tecnico che coinvolgeva tutte le parti in causa. A disposizione da parte della Sovrintendenza c’erano circa 1.600.000 euro. Questa volta esige di visionare il progetto e si scopre che la demolizione dei palazzi non è più una priorità e 500.000 euro sono destinati unicamente al trasferimento delle antiche pietre (quelle di prima) dal sito del teatro fino al sito archeologico della Cona, che tra l’altro è abbandonato. A questo punto è evidente che qualcosa non va, tanto più che l’appalto viene dato con il 50% di ribasso… sicura premessa all’interruzione dei lavori e quindi non è assolutamente certo (anzi!) che quel luogo torni ad essere usato come teatro. Le premesse dicono chiaramente il contrario. È chiaro che quelle pietre una volta spostate non torneranno più.
Per questo con Teramo Nostra si è chiesto di poter fare una variante del progetto ed evitare lo spreco di quei soldi pubblici. Quelle pietre devono essere lasciate lì e anzi occorre riutilizzarle per il restauro, come si fa in qualsiasi altra parte d’Italia. Sembrava che fosse stata accolta positivamente questa richiesta, appoggiata e caldeggiata dallo stesso Sindaco alla Sovrintendenza. Ma all’inizio dei lavori, iniziati guarda caso di notte, la prima mossa è stata proprio lo spostamento delle pietre. A quel punto alcuni si sono messi di fronte ai camion, in protesta.” “Ah dimenticavo -soggiunge Melarangelo - La fine dei lavori sarà giugno 2012… tu ci credi? Io credo che dovremo tenerci quello scempio di barricate ben oltre due anni…” Concludiamo con le parole del grande Mario Monicelli che ha appena scelto di chiudere la sua partita con l’esistenza. Sono rivolte ai giovani: “La cultura è l’unica attività della nostra penisola che ha ancora una sua validità all’estero. I giovani non devono rassegnarsi, non devono limitarsi a protestare. Protestare sì, ma scendere, muoversi, spingere e anche usare la nostra forza giovanile e la vostra, perché io non ce l’ho, per sovvertire le cose come stanno andando a casa nostra e in tutto il nostro occidente.”
La protesta di bloccare i mezzi che asportano le pietre del Teatro
33 dic. / 2010
Stalking: la molestia non ha sesso l termine stalking (dal verbo to stalk) deriva dalla terminologia inglese della caccia e significa “fare la posta, braccare la preda”. Viene utilizzato per indicare il reato di “atti persecutori”, in vigore dal 23.02.2009. Si tratta di un reato abituale, che si concretizza solo con la reiterazione nel tempo della condotta di minaccia o di molestia. La minaccia consiste nella prospettazione di un male futuro e ingiusto, come la minaccia di morte o di atti lesivi dell’incolumità personale. La molestia si realizza attraverso comportamenti che determinano un’insistente e fastidiosa intromissione nella vita privata della vittima, come pedinamenti, appostamenti sotto casa o al luogo di lavoro, ripetute telefonate mute o minacciose, invio di numerosi sms, e-mail o messaggi sui social network. Lo stalking si configura quando la condotta di minaccia o molestia provoca nella vittima, alternativamente: - grave stato di ansia o di paura; - fondato timore per l’incolumità fisica propria, di un prossimo congiunto o di terzi soggetti legati da un rapporto affettivo; - alterazione delle proprie abitudini di vita, come il mutamento del percorso che conduce al luogo di lavoro o alla casa familiare, la modifica delle utenze telefoniche, l’essere costretto a non uscire nelle ore serali, il farsi accompagnare sul luogo di lavoro. Quando la condotta supera i limiti della minaccia o della molestia, e presenta i caratteri della violenza, lo stalking si considera assorbito nel reato più grave (maltrattamenti in famiglia, percosse, lesioni, omicidio tentato o consumato).
A tutela della vittima di atti persecutori sono previste, quale misura di prevenzione, l’istanza al questore di procedere all’ammonimento verbale dell’interessato, e, quale misura cautelare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima. Lo stalker è punito a querela della persona offesa, da proporre nel termine di 6 mesi dalla commissione del fatto, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. La pena è aumentata se lo stalker è il coniuge legalmente separato o divorziato o una persona legata alla vittima da una relazione affettiva. Sia nella prevenzione che nella repressione del reato di stalking, un ruolo decisivo è svolto dallo psicologo. Nella prevenzione lo psicologo può attuare misure terapeutiche o di supporto psicologico rivolte al persecutore con la possibilità di prevenire l’escalation di violenza verso episodi drammaticamente irrimediabili. Per quanto riguarda la repressione, lo psicologo può fornire, ai fini dell’accertamento del reato, una valutazione psicologico-giuridica dello stato patologico di ansia o di paura da cui risulta affetta la vittima degli atti persecutori. Inoltre, qualora la vittima chieda il risarcimento del “danno da stalking”, assume importanza fondamentale la collaborazione tra la figura dell’avvocato e quella dello psicologo: infatti, nella prova della sussistenza degli elementi costitutivi del reato, toccherà allo psicologo dimostrare che proprio quel fatto ha determinato nella persona i pregiudizi esistenziali ed il danno psichico lamentati. LORENA DI GIAMBATTISTA (AVVOCATO) WWW.DIGIAMBATTISTASTUDIOLEGALE.IT
Il profilo
dello stalker La ricerca criminologica e psicopatologica analizzando la componente motivazionale ha individuato cinque tipologie di stalkers: -il risentito: generalmente sono expartner che desiderano vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale. Pieni di risentimento, poiché ritengono di aver subito un torto, si sentono autorizzati a contraccambiare l’offesa tentando di ledere sia l’immagine della persona (pubblicazioni sul web di foto osé, ecc.) sia la persona stessa che le cose di sua proprietà (rigando l’auto, ecc.). -il bisognoso di affetto: si tratta di molestatori il cui comportamento è innescato dal desiderio di instaurare una relazione d’amore o di amicizia di cui son convinti di aver un gran bisogno. Il rifiuto della vittima di stabilire una relazione viene reinterpretato come momentanea difficoltà della stessa a lasciarsi andare a ciò che veramente desidera (ovvero la relazione con lo stalker), questo tipo di molestatori sono frequenti nell’ambito dei rapporti professionali centrati sulla relazione di aiuto come quello tra paziente-psicoterapeuta, pazientemedico, allievo-maestro, pazienteeducatore. In questi casi il paziente
34 dic. / 2010
Nelle relazioni di stalking inizialmente è presente un elemento ambiguo che può far nascere un malinteso, [...] che può essere equivocato dal molestatore
Il parere dello psicologo on è possibile studiare il fenomeno “stalking” senza analizzare le dinamiche relazionali fra il molestatore e la vittima. Eccetto i casi in cui è presente una psicopatologia conclamata del persecutore, lo stalking può essere considerato come una patologia della relazione e della comunicazione sotto due aspetti: – è presente un malinteso sul significato della relazione;
Il cellulare diventa un arma di pressione psicologica
– è presente un malinteso sui limiti della relazione. Nelle relazioni di stalking inizialmente è presente un elemento ambiguo che può far nascere un malinteso, ad esempio gli attuali mezzi di comunicazione (e-mail, chat, network) creano un falso senso di intimità che può essere equivocato dal molestatore. All’equivoco originario segue, di solito, il
malinteso sui limiti della relazione, poiché il molestatore invade, in modo intrusivo ed assillante, la sfera privata della vittima. Le vittime di stalking non sono certamente responsabili delle vessazioni persecutorie, ma certi comportamenti inappropriati possono moltiplicare la pericolosità di certe situazioni innescando una spirale dalle tonalità sempre più violente. Per contrastare in modo efficace questo fenomeno è necessario tener sempre presenti gli elementi relazionali che caratterizzano tali dinamiche e la natura graduale della loro evoluzione, in cui vanno colti e valorizzati tutti quei segnali di pericolo utili ad identificare tempestivamente le distorsioni comunicative e talora a scongiurare possibili degenerazioni nei diversi contesti interpersonali. Prima di concludere apro una piccola parentesi riguardante le ricadute dello stalking sulla vittima: chi è oggetto di molestie assillanti vive un’esperienza fortemente lesiva della propria sfera intima e privata. Il fatto di sentirsi continuamente sotto assedio e sotto il controllo del molestatore produce un forte stress psicologico che può avere ripercussioni importanti anche nell’ambito professionale con calo della concentrazione e riduzioni delle performances lavorative. In diverse vittime viene diagnosticato un Disturbo dell’adattamento e, nei casi più severi un disturbo acuto da stress o un disturbo post-traumatico da stress. E’ importante, specialmente nei casi più gravi, non trascurare il proprio disagio e cercare un valido sostegno psicoterapeutico. EMANUELA TORBIDONE (PSICOLOGA – PSICOTERAPEUTA) STUDIOPSI.TORBIDONE@LIBERO.IT
Il profilo
dello stalker fraintende l’empatia e l’offerta di aiuto come segno di un interesse sentimentale.. -il corteggiatore incompetente: si tratta di corteggiatori che hanno una scarsa abilità relazionale e corteggiano in modo rozzo, ripetitivo, insistente e fastidioso. La condotta persecutoria di solito è di breve durata. -il respinto: si tratta di solitamente di ex-partner che sono stati lasciati ed oscillano tra il desiderio di ricongiungimento e quello di vendetta per la ferita narcisistica. Solitamente presentano comportamenti insistenti e di lunga durata poiché il controllo sulla vittima garantisce, anche se in forma patologica, di tenere in vita la relazione. La perdita della persona amata è considerata da queste persone una condizione insopportabile che li costringe a mettere in atto qualsiasi comportamento, anche criminale, pur di non rischiare di perderla. -predatore: si tratta di stalker che desiderano avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La logica di questo comportamento è perversa poiché è la paura della vittima che lo eccita e lo fa sentire potente.
EMANUELA TORBIDONE
35 dic. / 2010
Storia di Mario Quando il persecutore ha la gonna… uando si parla di stalking, in genere si immagina una vittima al femminile. Scopriamo, ascoltando il racconto di Mario, teramano, che le donne possono essere soggetti perseguitati ma anche molestatori. L’esperienza del nostro protagonista è ormai relativamente lontana nel tempo, ma il c’è ancora tanta emozione, nel parlarne. “La mia esperienza di ‘persecuzione’ inizia con l’ingresso nel mio ambiente di lavoro di una nuova collega. Sembrava, dico sembrava, perché poi ho scoperto non essere così, competente, volenterosa e piena di idee per attivare nuove sinergie lavorative.” E’ proprio questo il tasto dolente, Mario voleva lavorare, e gli avvicinamenti a questa donna erano sempre professionali. Ma lei fraintende ed inizia ad aspettarsi di più. Mario, felicemente sposato da diversi anni, con un figlio, professionista quotato, non ha interesse ad una relazione extra coniugale e respinge chiaramente le avances della donna, quando questa si dichiara apertamente. “Credevo di aver chiuso la questione, invece è iniziato l’incubo”. All’inizio, telefonate ‘pretestuose’ anche in orari che nulla avevano a che fare con la sfera lavorativa. Il passo successivo, telefonate anonime, anche in piena notte, e passo passo, sms, decine di messaggi, nei momenti più impensati e con le argomentazioni più assurde. “Debbo dire - prosegue Mario - che gli ultimi, deliranti, raggiungevano limiti offensivi e violenze psicologiche da film dell’orrore”. La donna vuole attirare l’attenzione e non si ferma. “La mattina, recarmi al lavoro era diventato un incubo. Ogni pretesto era lecito per litigare e tormentarmi. La mia concentrazione e il mio rendimento lavorativo ne risen-
tirono pesantemente”. Mario, tuttavia, pensava sarebbe passata. L’orgoglio della donna era stato ferito dall’essere stata respinta, si era tutti grandi e ragionevoli, si sarebbe ristabilito l’equilibrio. Non è così: “Può sembrare ridicolo, ma avevo paura a recarmi in ufficio. Non vivevo più serenamente, anche il mio atteggiamento in famiglia era peggiorato. Avevo il terrore di essere sempre spiato e controllato. Senza trascurare che l’attività di (marcamento) sfociava nella denigrazione
Non vivevo più serenamente, anche il mio atteggiamento in famiglia era peggiorato della mia persona verso altri colleghi”. Come si è risolta la situazione? Come è tornato a vivere normalmente e ad essere la persona che è oggi? “Riassumo: denuncia, consulenza legale ed allontanamento dal posto di lavoro. E non meno importante avere sempre intorno persone. Sì, un forte (inconsapevole) aiuto è arrivato dal ritrovarmi (dopo aver intensificato le relazioni sociali) sempre circondato da persone”. Cosa le è rimasto di questa esperienza? “Adesso sono più’ attento a valutare il prossimo, mantengo un forte distacco con collaboratori, colleghi e subalterni. Direi che sono tornato all’utilizzo del ‘lei’. Non so se sarà sufficiente, spero solo non si ripeta mai più.”. ANTONELLA LORENZI
36 dic. / 2010
Dove corre la fantasia Incontro nella sede di via Diaz, a Teramo, con Annamaria Ponziani, Incontro, Ponziani presidente dell’ associazione italiana persone down Aidp di Teramo è una realtà che continua ad operare nel nostro territorio e che continua a contraddistinguersi con le sue molteplici e stimolanti attività. Chi non ricorda i simpaticissimi calendari, in cui gli associati hanno dato un’ eccellente prova di fotogenia e professionalità? O dei clamorosi spettacoli che puntualmente hanno incantato il pubblico e hanno fatto sì che emergessero le potenzialità artistiche di questi ragazzi? La passeggiata all’interno del centro molto piacevole. Annamaria Ponziani mostra le diverse sale ricreative e, in particolar modo, il laboratorio di cuoio, dove un gruppo di ragazzi si sono organizzati come in una vera e propria catena di montaggio, per dar vita a unici e preziosi manufatti. Nutrito il programma settimanale e l’intensa vita sociale che gira intorno a questa vivace famiglia: oltre alla lavorazione del cuoio, i soci si cimentano nel laboratorio di ceramica e di découpage e il giovedì pomeriggio ci si può scatenare in fantasiose coreografie di ballo latino americano. C’è anche una vincente squadra di nuoto che ha saputo distinguersi a livello nazionale, con i suoi esaltanti risultati. Insomma, non esiste il tempo per annoiarsi con i professionisti e i volontari che aiutano in
modo encomiabile i ragazzi, che sono gioiosamente stimolati a far emergere le proprie potenzialità. La dott.ssa Ponziani parla del lodevole progetto volto a sviluppare l’autonomia delle persone affette dalla sindrome di Down e spiega che bisogna assicurare ai ragazzi un buon livello di indipendenza, stimolandoli anche nelle azioni quotidiane di carattere strettamente pratico, come fare la spesa, dare il giusto valore al denaro, mettere in ordine la propria camera e aiutare in cucina, preparando un pasto. L’ambiente intimo e gioviale e la voglia di divertirsi e crescere insieme sono i fattori che fanno dell’Aidp di Teramo un’ associazione di volontariato longeva e dalle basi solide. E da questa realtà non è difficile imparare, traendo grandi benefici per l’ anima. Lo scambio d’amore può essere definito simbiotico, è difficile da spiegare a parole, ma un pomeriggio nel centro regala davvero una grande carica vitale, capace di aiutare tutti noi ad abbattere quell’inutile e stupido muro invisibile che spesso si erge di fronte alle minime diversità. VINCENZO CASTALDO
37 dic. / 2010
Disabilità non siamo piu’ soli Per iniziativa di Federconsumatori provinciale al via osservatorio e sportello per aiutare a superare le numerose difficoltà delle famiglie famiglie. Una mamma racconta…
n osservatorio provinciale e uno sportello per i disabili. Dopo aver ascoltato la protesta e l’indignazione di alcuni genitori, il presidente di Federconsumatori, Pasquale Di Ferdinando, interviene in loro soccorso. La diversabilità cavalca le cronache anche in situazioni normali. Decine i casi di blocco in ascensore che si verificano, e che fanno notizia per la sola presenza del disabile.. Le famiglie che vivono quotidianamente questa realtà ne hanno la giusta misura e sensibilità. L’associazione alla quale si sono rivolti i genitori non ha potuto che mettersi a disposizione, con le proprie capacità, alla richiesta di uno spazio per dare compiutezza all’essere cittadino. L’umiliazione di andare in gita scolastica e non poter entrare nel sito archeologico insieme ai compagni per via delle barriere architettoniche, le difficoltà nel poter usufruire del trasporto scolastico per assenza di mezzi adeguati e di risorse, l’isolamento sociale nel quale vivono le persone affette da disabilità, la scarsa integrazione sociale, la carenza di strutture sanitarie specialistiche, la solitudine delle famiglie dove spesso uno dei due genitori deve rinunciare a lavorare per seguire il figlio disabile costituiscono un piccolo spaccato delle tante
difficoltà che si trovano ad incontrare le famiglie che vivono le problematiche legate alla diversabilità. “Per questo abbiamo deciso di dare vita ad un osservatorio che operi un monitoraggio della situazione su base provinciale – sottolinea Di Ferdinando-. Sono responsabile dell’iniziativa, in prima persona, insieme a Federconsumatori, che sarà affiancata da altri genitori – per aprire uno sportello che garantisca un’assistenza per la tutela dei diritti dei ragazzi disabili e delle loro famiglie”. Ho deciso di rivolgermi alla Federconsumatori nel momento in cui è stato negato a mio figlio il trasporto scolastico e c’è stata la riduzione delle ore di sostegno in classe a causa dei tagli previsti dalla riforma Gelmini. E’ arrivato il momento di fare qualcosa. Anche noi siamo consumatori, di una vita però degna di essere vissuta, non vogliamo più mendicare diritti perché siamo uguali agli altri cittadini, solo con caratteristiche e problematiche diverse. Siamo stanchi di vivere in questo mondo “parallelo”, stanchi di entrare dalla porta posteriore. Questi problemi li ho vissuti e li vivo ogni giorno, so come ci si sente. So che il genitore di un bambino con problemi di disabilità, fisica o mentale che sia, non può am-
malarsi perché altrimenti il figlio non può andare alle terapie o a scuola, so che dovrà fare viaggi nella speranza di veder curare il figlio, ma so anche che un genitore non può e non deve arrendersi. Il nostro obiettivo è quello di mettere nero su bianco le difficoltà che ci sono sul territorio, dando voce alle famiglie sperando che qualcosa possa cambiare, soprattutto l’idea e il preconcetto comune sulla diversabilità. L’osservatorio attuerà un monitoraggio sulla legge 104 e le sue applicazioni, sulle barriere architettoniche, sul sostegno scolastico, il trasporto, l’integrazione sociale e l’inserimento nel mondo del lavoro. Lo sportello si propone di essere una presenza attiva sul territorio, a disposizione per segnalare le ingiustizie a danno dei disabili. Nella fase di avvio lo sportello sarà aperto ogni mercoledì dalle ore 9,30 alle 12,30, presso la sede della Federconsumatori in via Flajani 6 a Teramo. Per informazioni contattare i numeri di telefono 0861.213920 oppure 0861.282488. E-mail diversabilitateramo@gmail.com.
BARBARA MONACO
38 dic. / 2010
Fotovoltaico luci e ombre DI
MIRA CARPINETA
ra la sempre crescente domanda di energia e le alternative a cui attingere per la sua produzione, molte sono le variabili da considerare. Il fabbisogno di un paese industriale e la necessaria (e ormai non più ignorabile) attenzione all’ambiente devono necessariamente condurre a riflessioni ponderate sulle scelte da compiere. Abbiamo chiesto all’ing. Maurizio Paolini, esperto nel campo dell’energia, qualche importante considerazione sull’argomento. Il dibattito sulle energie pulite è sempre molto vivace, ma secondo alcuni il fotovoltaico potrebbe rivelarsi una bufala. “In generale direi proprio di no. Ovviamente tutto dipende dalle aspettative che ognuno di noi, per il proprio ruolo, ha verso questa tecnologia. Di sicuro il fotovoltaico è oggi una tecnologia consolidata e referenziata, in continua evoluzione, che nei confronti delle problematiche ambientali ed energetiche si pone come una soluzione e che, nel suo complesso, è in grado di mitigare l’impatto verso l’ambiente se confrontata con produzione convenzionale di energia”. Quali i limiti e le false informazioni a riguardo? “Ci sono diverse forme di limitazione che contrastano e rallentano uno sviluppo strutturato di impianti fotovoltaici. Provo a citare quelle che più di frequente vengono oggi prese in considerazione:
Un percorso autorizzativo mediamente più lungo rispetto ai benchmark dei paesi europei, tale da far saltare l’intero progetto alla luce del fatto che il meccanismo di incentivazione nazionale prevede riduzioni sostanziali degli incentivi su scaglioni quadrimestrali. Una estesa informazione di base, quasi fosse una moda, accompagnata però da una carenza di conoscenze specifiche di settore tali da non permettere di cogliere opportunità di impiego del fotovoltaico come soluzione integrata in molti settori dove ad oggi c’è scarso impiego. Un mercato dei principali componenti (moduli ed inverter) che risente ancora troppo delle fluttuazioni di prezzo speculative legate ai picchi di domanda e ai tempi di consegna di questi componenti Basse performance delle tecnologie mediamente usate e tempi di ritorno degli investimenti insostenibili se pensati senza l’incentivo del conto energia (vale in prima approssimazione il 70% della redditività che un impianto genera, figuriamoci se non ci fosse)”. E’ vero che sono tecnologie a impatto zero oppure inquinano anche gli impianti cosiddetti ecologici? “Parlare di tecnologie a impatto zero nel senso generale del termine non è così scontato, di sicuro producono energia sfruttando
Un traguardo notevole sarebbe già incontrare i target dettati dai protocolli Internazionali
39 dic. / 2010
alcune proprietà di certi materiali di generare corrente come l’irraggiamento solare. Ovviamente questi moduli vanno prodotti e assemblati, questo implica che ci sia un processo industriale dietro che impatta potenzialmente l’ambiente per produrli. Infine la dismissione: questi impianti prima o poi cessano il loro ciclo di vita. Su questo non mi allarmerei più di tanto, sono dispositivi elettronici e vanno trattati in quanto tali, nulla di nuovo di fatto rispetto a quanto già facciamo per apparecchiature simili. Diversi discorsi possono nascere su tecnologie innovative (ex. Thin film) dove
ci sono elementi aggiuntivi al silicio (ex. Telluro di Cadmio) che vanno trattati e gestiti opportunament”e. L’energia prodotta da queste tecnologie è sufficiente al fabbisogno del paese? “Assolutamente no! Questa tecnologia (ed altre come ad esempio l’energia eolica, le biomasse, ect) sono integrative e possono coprire una percentuale molto bassa dei fabbisogni di un paese. Un traguardo notevole sarebbe già incontrare i target dettati dai protocolli Internazionali e recepiti dai vari paesi (Protocollo di Kyoto)”.
CHI È Di origine teramana, lavora per multinazionali americane nell’ambito della produzione di energia per grandi industrie. 1999 – 2000 Energy Manager (ENEA). Dal 2001 iscritto all’Elenco Nazionale Energy Manager F.I.RA. (Federazione Italiana Responsabili per l’Energia) 2004 – 2005 Master in “Ingegneria e Gestione della Manutenzione Responsabile Manutenzione e Gestione Impianti ed Infrastrutture Responsabile Ingegnerizzazione e realizzazione Impianti ed Infrastrutture Responsabile Area Ambiente (suolo, aria, acqua), Sicurezza, Prevenzione e Protezione Responsabile dell’efficienza globale di centrale cogenerativa Coordinatore di gruppi di lavoro Internazionali (Energy Conservation Team) il cui obiettivo e’ la razionalizzazione dei flussi energetici nei principali impianti di produzione.
40 dic. / 2010
Astrofisica domande imbarazzanti i trovo spesso a raccontare l’astrofisica ai “i non addetti ai lavori” e posso assicurarvi che queste sono le domande più ricorrenti: “esistono gli extraterrestri? Hai mai visto un ufo? Cosa c’entra Dio con tutto questo? Sei credente? Credi all’astrologia? Mi fai l’oroscopo?” Non senza imbarazzo e con molta pazienza, cerco sempre di dare risposte sensate. Ma c’è una domanda, in particolare, alla quale fatico ancora a trovare risposte convincenti. E’ la stessa che mi fece mio padre quando gli dissi che avevo vinto una borsa di studio della Scuola Normale di Pisa per fare l’astrofisico. E’ la stessa domanda che ci rivolgono coloro che devono decidere se finanziare le nostre ricerche. Una domanda semplice, apparentemente banale, ma proprio per questo disarmante: “A cosa serve l’Astrofisica?”. Per inciso, non ho alcun dubbio sulla risposta. Il mio problema è convincere coloro che sentono il bisogno di farti questa domanda, quelli a cui non è ovvio quale sia lo scopo della scienza pura, quella che non necessariamente ha come obiettivo (primario) l’invenzione di qualcosa che abbia una qualche utilità pratica. Il problema può essere affrontato in modi molto diversi. Ci sono, ad esempio, le cosiddette “risposte profetiche”, come quella che diede Michael Faraday al vittoriano ministro del Tesoro in visita ai suoi laboratori. Alla fatidica domanda, il fisico inglese, padre dell’elettromagnetismo, rispose che non sapeva a cosa sarebbe servito tutto quello che aveva scoperto, ma di una cosa era certo: il governo, primo o poi, ci avrebbe sicuramente riscosso una tassa. Chiunque può certificare quanto vera fosse tale profezia, ogni volta che ricevete la bolletta della luce. Personalmente, non sono altrettanto bravo con le profezie. Forse è per questo che il tipo di risposta che preferisco, anche se devo ammettere non sempre apprezzata dal malcapitato interlocutore, è quella che definirei “del girare intorno all’ostacolo”. Perché dobbiamo chiederci a cosa serva studiare l’universo, le galassie o le stelle? Non ce lo chiediamo dopo aver
Il Sole
ascoltato una sinfonia di Beethoven e neanche davanti ad un’opera d’arte, come la Gioconda di Leonardo o una tauromachia di Picasso. Che senso avrebbe chiedersi a cosa sia servita la Divina Commedia o un poema dannunziano. La verità è che la ricerca pura della conoscenza, sia essa arte o scienza, ci aiuta a guardare il mondo da prospettive nuove, differenti, e ci stimola ad essere creativi. La creatività è una caratteristica unica della specie umana, ma deve essere coltivata, se ne vogliamo sfruttare l’enorme potenziale, altrimenti si
41 dic. / 2010
avvizzisce. La creatività è la base di ogni innovazione, sia essa culturale, sociale o tecnologica. L’umanità è progredita grazie agli uomini che hanno saputo sfruttare la loro creatività, come Dante, Picasso o Faraday. Chiedersi a cosa sia servito quello che hanno scritto, dipinto o descritto è come chiedere ad un costruttore di automobili perché le macchine hanno le ruote. O ad uno zoologo perché gli asini non volano. Ricordo una conversazione che ho avuto qualche tempo fa con il mio amico Claus Rolf, fisico di fama mondiale, già collaboratore e successore del premio Nobel William Fowler, da me invitato a Teramo in occasione del congresso della Società Astronomica. Si discuteva del sole e delle fusioni nucleari che lo hanno fatto brillare per miliardi di anni. Si ragionava su come riprodurle in laborato-
Faraay Cochran Pickersgill
rio, per studiarle e carpire il segreto di tanta potenza naturale. Siamo finiti ad immaginare di imbrigliare le scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari. Claus e i suoi collaboratori avevano scoperto che anche nel loro laboratorio, come nel sole, si possono accelerare o ritardare le interazioni tra i nuclei. Il “segreto” consiste nel riempire l’ambiente con un opportuno materiale, conduttore oppure isolante. Non so se mai si arriverà a sviluppare una tale tecnologia, ma questo aneddoto dimostra di come, ragionando di stelle, si sia intravista la possibilità di risolvere uno dei più grandi problemi della nostra era. OSCAR STRANIERO DIRETTORE OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI TERAMO
L’uomo e lo spazio
42 dic. / 2010
Per farcela solo talento w w w. L i 8 L i . c o m
Intervista al giovanissimo attore teramano Marco Cassini, tra lavoro, passione Cassini e temperamento artistico
2.2414 DI
VINCENZO LISCIANI PETRINI
arco Cassini, giovane attore dal multiforme talento, diviso tra piccolo e grande schermo, si racconta per la prima volta alla città. Ha passato un lungo periodo a Torino per girare una nuova fiction con Luciana Littizzetto. Di passaggio a Teramo per qualche giorno, ecco l’occasione di poter scambiare qualche battuta su quanto sta vivendo al livello professionale e artistico. Come te la stai cavando nel mondo dello spettacolo? Viene spesso rappresentato come un mondo spietato. “È vero. Ma prima o poi, se non demordi, nel business ci entri. Il problema è che spesso la raccomandazione ti scavalca, arriva dove non credevi potesse arrivare. Sono stato otto mesi a Torino a girare la fiction Fuoriclasse con Luciana Littizzetto e Neri Marcorè: è tutto accaduto così, in modo naturale e non essendo un raccomandato la cosa mi riempie di gioia. Io conto, per forza di cose, solo su quello che ho studiato e che so.” Ecco, all’improvviso ti ritrovi a dare la battuta a un’attrice come la Littizzetto. Come hai affrontato questo salto di livello? “Naturalmente bisogna
studiare ancora di più. Luciana è di un talento straordinario, come Neri, che è un folle. Per poter ‘reggere’ mi sono chiuso ore ed ore nella camera d’albergo a provare accenti, pronunce, pose, gesti, etc., poi ti butti e cerchi di concentrarci sul momento in cui metti a frutto il lavoro fatto. Come sempre, insomma, ma in modo più profondo.” Cristian De Mattheis, regista con cui tra l’altro hai lavorato, in una recente intervista ha detto di sentirsi a disagio con quegli attori italiani che sono in
scena come nella vita reale, senza modificarsi e interpretando poco. Faceva invece l’esempio positivo degli americani che interpretano molto… tu che ne pensi? “Sono d’accordo: l’interpretazione è importantissima, spesso ce ne dimentichiamo e i personaggi diventano poco definiti. La giusta dimensione è comunque sul proprio vissuto: poi l’originalità.” Qual è stato uno dei momenti più significativi del tuo studiare? “L’Actor Studios. Ho dovuto interpretare un giovane Ayrton Senna, da ragazzino, quando guidava i kart. In una gara importante venne sconfitto: ho dovuto interpretare questo fallimento. Mi sono spogliato e poi cosparso di borotalco – immaginavo il borotalco come un simbolo dell’infanzia – e poi ogni movimento, ogni convulsione era come dirsi di non essere mai cresciuti. È stato un vortice di emozioni, culminato con un pianto bellissimo e puro.” Hai lavorato anche con Terence Hill in Don Matteo. Come è fuori e dentro la scena? Gli hai mai chiesto qualcosa dei suoi spaghetti-western? “Terence è un attore straordinario: a volte io mi spremevo tanto per riuscire a dare qualcosa in scena. A lui bastava un semplice sguardo. Ha un’espressività estremamente intensa. Dei suoi western abbiamo certamente parlato: me ne ha raccontato spesso e farebbe di tutto per farne ancora un altro… solo che l’età è l’età.”
43 dic. / 2010
Pensieri in libertà… Succede sempre. Le gambe ti tremano, l’adrenalina cresce. Ripassi la parte, un sussurro appena per non deconcentrare gli altri tuoi colleghi che aspettano, come te, di essere chiamati dal regista per l’ultima scena della
CHI È DATA DI NASCITA :17/05/1986 CITTÀ: Teramo!!! Forz combà! STUDI: MESSNER ACTING CLASS Los Angeles CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA Roma SPAZIO TRE Teramo COLLABORAZIONI con Luciana Littizzetto, Giancarlo Giannini, Mark Cherry,Terence Hill, Marco Bellocchio, PROSSIMI PROGETTI: Un medico in famiglia 7, Fuoriclasse, Provaci ancora prof. UN SOGNO NEL CASSETTO: viaggiare nel tempo, un giorno. UN AGGETTIVO PER DESCRIVERSI: mmm...
giornata, la più difficile. Luciana si avvicina e mi fa: “Che dici, ce la proviamo un secondo insieme?” “Certo!” dico io. Era una scena molto difficile, avevo una paura matta di non riuscire a farcela. La paura. Succede sempre. Come quella volta, a 14 anni, al teatro comunale di Teramo. La mia prima volta. La platea era piena zeppa di amici che erano venuti a vedermi. A due minuti dall’inizio ebbi una crisi. “Non ce la faccio... se sbaglio è la fine...” Stefania era accanto a me, mi sentì dire quelle parole, mi prese per il braccio, mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “Se tu credi in quello che dici, ci crederà anche il pubblico. In prova lo hai sempre fatto. Coraggio!” Fu il mio primo premio. Fuori dal teatro vidi i miei amici emozionantissimi: - O Marc, brav’, vi’ furt!- Sono passati 10 anni. Ho vissuto a Roma, Torino, Milano e addirittura a Los Angeles. Teramo, però, era nel cuore. Qui ho imparato che il vanto è un difetto e gli arrosticini sono buoni. A Roma, al centro sperimentale di cinema, conobbi molti concorrenti che pensavo potessero diventare miei grandi amici. Un bel giorno una mia compagna di classe mi disse: “Tu non sei nessuno, e non sarai mai nessuno. Io sono qualcuno perché ho una
laurea in psicologia!” Un altro mio compagno diceva in giro che io, per piangere in scena, usavo la cipolla. Gli dimostrai il contrario. A Los Angeles ho conosciuto importanti personalità del mondo della televisione, ma lì nessuno si vantava mai di niente. Un giorno Mark Cherry, creatore di ‘Desperate Housewives’, mi disse: “E’ l’impegno che ci metti, la passione e la preparazione, che ti rendono speciale. Non preoccuparti del percorso degli altri, pensa al tuo.” Quando tornai in Italia decisi di perfezionarmi sempre di più, studiando dizione, i dialetti italiani, i monologhi, e i grandi film di sempre. Se non mi fossi impegnato tanto non avrei mai preso un ruolo in ‘Fuoriclasse’ (fiction in uscita a gennaio), perché cercavano un ragazzo che non avesse inflessioni di nessun tipo. Ora ho Luciana Littizzetto davanti a me, sta aspettando che gli dia la battuta, per provare la scena insieme. Chi lo avrebbe mai immaginato? Le gambe mi tremano come la prima volta, l’adrenalina cresce... “Marco ci sei? Hai paura?” “No. Stavo solo pensando che gli arrosticini sono buoni, Lucia’… dovresti venire a Teramo a provarli.” Marco
44 dic. / 2010
mostra
Gente d’Abruzzo alla Pinacoteca Civica un anno e mezzo dal terribile sisma del 6 aprile 2009 si riparte anche con l’arte, e per mezzo dell’arte, che si pone come antidoto contro la morte per riaffermare la vita. Nelle sale della Pinacoteca Civica di Teramo è stata allestita una magnifica mostra: “Gente d’Abruzzo. Ve-
a trasmettere scorci e raccontare immagini della realtà sociale dell’Abruzzo di quell’ epoca. Sono presenti opere pittoriche di Teofilo Patini, Francesco Paolo Michetti, Filippo e Nicola Palizzi, Valerio Laccetti, Gennaro della Monica, Carlo Patrignani, Pasquale Celommi, Basilio e Tommaso
PinacotecaCivica Gente d’Abruzzo. Verismo sociale nella pittura abruzzese del XIX secolo in Pinacoteca CIvica dal 30 ottobre 2010 al 10 gennaio 2011
Teofilo Patini, Vanga e latte 1884, olio su tela.
rismo sociale nella Pittura abruzzese del XIX secolo”, fruibile da tutti con ingresso gratuito. E’ un’occasione che risveglia nella coscienza del popolo l’identità nella terra d’Abruzzo. I capolavori presentati provengono dalla Fortezza spagnola de L’Aquila, sede del Museo Nazionale d’Abruzzo, e dalle principali raccolte pubbliche e private della regione. Si possono ammirare oltre 50 opere dei principali artisti abruzzesi dell’Ottocento, protagonisti del verismo impegnati
Cascella, e anche le sculture di Costantino Barbella e di Raffaello Pagliaccetti. Una rassegna artistica importante caratterizzata dalla sinergia delle arti per far riscoprire e rivivere il panorama storico dell’Ottocento abruzzese, che si coglie rarefatto e allo stesso tempo eloquente nella pittura, scultura, poesia, letteratura. A tale scopo, nell’aula didattica della pinacoteca vengono proiettati gli audiovisivi “Arte salvata” e “Poesia e colori dell’Abruzzo”. Un percorso nel quale si descrive una società
La mostra intende focalizzare l’attenzione sui beni culturali danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009 invitando, nel contempo, a non spegnere i riflettori su quello che è stato il dramma di una comunità e del suo patrimonio artistico. Realizzata con l’obiettivo di consolidare il progetto culturale legato alla valorizzazione del patrimonio storico artistico locale, è stata curata da Luciana Arbace, Soprintendente ai Beni Storici, Artistici e Demoetnoantropologici dell’Abruzzo e dal Direttore dei Civici Musei, Paola Di Felice.
info:
www.
teramomusei.it .it
45 dic. / 2010
Lo spazio espositivo della mostra alla Pinacoteca
Pasquale Celommi, Uno sposalizio abruzzese, 1884/1886 olio su tela.
segnata dal faticoso lavoro nei campi, dagli stenti, dalla sofferenza, ma anche da una fervida forza d’animo e da un’intima conoscenza della terra. Di quei sassi, di quel mare, di quegli ulivi che ci appartengono. La drammaticità e la crudezza del “vero” traspaiono pure dai colori vividi e assolati dei musicanti, dei cori e dagli occhi diafani delle bestie e delle carni delle donne. Attraverso questa iniziativa si fa forte il messaggio di solidarietà per la ricostruzione, il recupero e la valorizzazione del
patrimonio storico-artistico abruzzese. L’arte è conservazione dell’umanità e durante la mostra, che si terrà fino al 10 gennaio 2011, è possibile partecipare a questa missione contribuendo liberamente alla realizzazione del restauro del dipinto “Madonna col bambino” di Andrea Delitio appartenente alla chiesa madre di Castelli. Con molta probabilità questi barlumi di speranza racchiudono il valore della vita. GIUSEPPINA MICHINI
46 dic. / 2010
Oltre la risata La compagnia di teatro dialettale “Giuliesi in scena” taglia il traguardo del decimo anno di attività DI
VINCENZO LISCIANI PETRINI
l teatro dialettale ‘di commedia’ è una realtà molto florida nella nostra regione, perché a tutti, in fondo, piace ridere alla vecchia maniera, attingendo a persone e personaggi del nostro quotidiano. Eppure non sarei così superficiale, specie con un genere che se ben usato può affrontare con disincanto e leggerezza qualsiasi tipo di argomento. “Giuliesi in scena” è una rodata compagnia di teatro dialettale che propone qualcosa di innovativo nel genere. Abbiamo così incontrato Marco Luciani, regista e autore dei testi, insieme ad una delle attrici, Maria Teresa Di Giovanni. Marco, regista e scrittore. Come mai la scelta della commedia dialettale? “Commedia dialettale brillante, tengo a precisare. La scelta è nata dalla mia grande passione per la lingua viva, il dialetto appunto, che si mostra come più densa di significato anche se per un’unità territoriale più ristretta, in questo caso di Giulianova. Ormai sono dieci anni che andiamo in scena con regolarità. Ti faccio qualche nome dei nostri spettacoli: Contro TV, Scuolanti, Giustizia e Sanità…” Ho l’impressione che i temi delle tue commedie ricalchino problematiche molto profonde della nostra società. Ma la commedia dialettale quindi non è solo quella orientata alla
ruralità e al passato della nostra terra. Sembra, dai titoli, che tu parli del nostro quotidiano e dei nostri problemi. “Esattamente. La commedia dialettale ha, secondo me, delle potenzialità incredibili. Ti permette di affrontare temi anche scabrosi e che risultano dei tabù della nostra società. No, ci tengo a dirlo: le mie commedie (pensate prima in italiano e poi tradotte in dialetto) sono orientate alle problematiche del presente. Nell’ultima mia commedia, ad esempio, parlo di un ragazzo che muore di overdose…” Come si fa a fare di un argomento così tragico spunto per una commedia? Si può ridere di questo? “È difficile, ma si può se l’obiettivo è calarsi nel paradosso della vita. Qui sta il bello: la risata può modulare attraverso le vicissitudini, diventare grassa, malinconica, amara… sono certo però che aiuti a comprendere il problema nel profondo e a farlo proprio”. Ma che cos’è per te allora la risata? “Bella domanda. La risata, credo, sia vivere in pienezza un momento di verità”. Maria Teresa, a te invece chiedo il rapporto della compagnia con il regista e con il pubblico… “Un ottimo rapporto direi! Marco è un vero dittatore, ma alla fine
47 dic. / 2010
Gli incassi degli spettacoli sono devoluti in benificenza
Gli attori all’opera in uno dei loro spettacoli
riusciamo sempre a trovare una bella intesa. Con il pubblico ormai c’è un rapporto costruito nel tempo: alla gente vedo che piace molto il nostro lavoro”. Parlatemi della compagnia. Note tecniche! “ Allora: la compagnia teatrale “Giuliesi in scena” si compone di dodici membri, che per passione hanno scelto questo meraviglioso hobby. Le prove durano quattro o cinque mesi e sono prove ‘serie’, nel senso: memoria, gesto, espressione… nulla è lasciato al caso. per gli allestimenti abbiamo
anche il nostro scenografo, il parrucchiere, il service… a un passo dal professionismo, insomma”. È molto bello vedere una realtà così interessante e variegata, di controtendenza rispetto a molte compagnie di teatro dialettali. A proposito di controtendenza… Verrete mai a Teramo? “Credo che niente come la rivalità calcistica abbia peggiorato i rapporti tra le nostre due cittadine. Ci piacerebbe tantissimo venire a Teramo. Chissà, magari al Comunale!”
La compagnia Regista: Marco Luciani. Scenografo: Stefano Minelli. Fotografia: Dario Di Giampaolo. Service: New Italia Music. Parrucchiere: Pino. Costumi: auto-prodotti.
info:
www.
giuliesinscena.it
48 dic. / 2010
Tributo alla libertà
Nel 67° anniversario della scomparsa di Ercole Vincenzo Orsini martire della resistenza teramana
l 13 dicembre 2010 ricorre il 67° anniversario della scomparsa di Ercole Vincenzo Orsini, eroe della Resistenza teramana, medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Nella motivazione è scritto: “... in uno scontro con gli oppressori della Patria e della libertà, li attaccava di sorpresa, pur essendo superiori in numero e mezzi, riuscendo ad infliggere dure e gravi perdite…”. Orsini nacque a Teramo nel 1901. Il padre, falegname, lo avviò all’arte del disegno, dell’intaglio e della scultura. Un apprendistato di qualità che gli consentì di affermarsi come esperto ebanista liutaio. Erano gli anni in Abruzzo degli scioperi agrari nel Fucino e delle proteste sociali contro i caroviveri, che vedeva la nascita del movimento cooperativistico e lo sviluppo delle organizzazioni sindacali. In quel contesto il diciottenne Orsini scelse di entrare nella Federazione Giovanile Socialista. Dimostrò entusiasmo e buone capacità politiche, guadagnando così la stima dei compagni più anziani. Si oppose in maniera attiva al fascismo, partecipando al gruppo degli “Arditi del popolo” maturando l’adesione al Partito Comunista. Una militanza convinta come organizzatore tra gli antifascisti cittadini e propagandista tenace nel clima di repressione e violenza del Ventennio.
Una volontà concreta di riconquistare la libertà che il fascismo aveva annullato. Orsini fu arrestato nel 1932 per riorganizzazione del Partito Comunista e deferito al Tribunale Speciale. Negli anni a seguire fu diffidato e tenuto sotto stretta vigilanza, sottoposto a limitazioni temporali negli orari di uscita e nelle frequentazioni. Ciò nonostante riuscì a trasformare la sua bottega di ebanista in via Vittorio Veneto in un luogo d’incontro dei democratici teramani. Dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943 Orsini partecipò alla riunione dei maggiori esponenti dell’antifascismo locale presso lo studio medico di Mario Capuani. Pochi giorni dopo, partecipò attivamente alla battaglia di Bosco Martese, ritrovandosi poi nella clandestinità a Montorio al Vomano, dopo l’uccisione di Capuani e l’eccidio di Pascellata. Il pomeriggio del 13 dicembre 1943 fu riconosciuto da militi del Battaglione M di Teramo mentre si trovava nella piazza centrale di Montorio, che oggi porta il suo nome. Inseguito ed accerchiato, si difese con gli ultimi colpi rimasti. Esalò l’ultimo respiro sotto una scarica di fucileria. Ercole Vincenzo Orsini, con il suo pensiero e le sue gesta è l’espressione della libertà, simbolo della Resistenza. MIRKO DE BERARDINIS
Targa commemorativa di Orsini
49 dic. / 2010
Consigli anti-stress “natalizio” Lettera ai teramani per un dicembre ricco di “rilassanti” appuntamenti aro teramano, il Natale 2010 è ormai alle porte e come di consueto arriva il momento più “caloroso” dell’anno e più ricco di aspettative. Dicembre: tempo di regali e di febbrili code alle casse dei supermercati, file chilometriche in auto per raggiungere negozi, corse e lotte estenuanti per accaparrarsi le offerte migliori. “Signora, c’ero prima io!”. “Ma cosa dice? Sono qui da mezz’ora prima di lei!”. “Ma mi faccia il piacere!”. “Si sposti, per cortesia!”. “Neanche per sogno!”…, e giù con zuffe ed insulti. Chiusi nella nostra solitudine siamo divorati dall’ansia, risucchiati nel vortice del consumismo, attanagliati dalla stretta ed implacabile morsa dello stress. E poi il solito dilemma: avere del tempo libero e come trascorrerlo. Allora, prendi subito carta e penna e segnati gli appuntamenti della Riccitelli che in questo intenso mese di dicembre non sono davvero pochi. L’1 e il 2 dicembre al Teatro Comunale, via all’incanto delle notti arabe: c’è “Aladin”, il musical che ti farà volare con un inedito Roberto Ciufoli nei panni del Genio della Lampada, e Manuel Frattini, fantastico Aladin, sulle strade della magica Baghdad.Tutto siglato dalle inconfondibili musiche dei Pooh! La danza è la tua passione ed esulti alla vista di corpi libranti che volteggiano nell’aria? C’è “La bella addormentata”, il balletto in programma il 10 dicembre al Comunale, proprio
quello che fa al tuo caso. Sarà la compagnia Moscow Ballet “La classique”, nella sua prima rappresentazione teramana, a portarti al centro del Giardino incantato per farti trascorrere una serata “da favola”. Sei un amante della buona musica? Qui c’è da scegliere tra l’Orchestra filarmonica di Sofia, il 13 dicembre, diretta da Alexei Kornienko, e momenti di intensa spiritualità e grande condivisione mistica con il New York State Gospel Choir. Il gruppo, 33 elementi tra cantanti e musicisti professionisti, sarà diretto da David Bratton, il 20 dicembre sempre al Comunale. Adori la commedia, con quella sua irresistibile vena comica e quasi farsesca e quel filo sottile di malinconia e realtà? Il 15, 16 e 17 dicembre andrà in scena Luca De Filippo, protagonista de “Le bugie con le gambe lunghe”, con una storia di reciproci intrighi all’insegna dell’allegria e della saggezza. Infine, se ami lasciarti trascinare nel tripudio di emozioni che il dramma della lirica suscita, non puoi assolutamente perdere “La Bohème” di Giacomo Puccini, per il ciclo “Fondazioni all’opera 2010”. Dopo i successi di Teramo, Pescara e Fermo, ancora due occasioni per vivere la storia di Mimì e Rodolfo il 4 dicembre al Teatro Comunale di Atri e l’8 dicembre al Teatro “F.P.Tosti” di Ortona. Insomma, caro teramano, ce n’è per tutti i gusti, c’è solo l’imbarazzo della scelta. È tempo di emozionarsi! Con gli auguri di tutto lo staff. EMANUELA DI GAETANO
50 dic. / 2010
Una raccolta anti-depressione Liberato Coccagna apre le porte del suo Museo Etnografico e racconta quando, andando dal medico… iberato Coccagna, usciere del convitto Melchiorre Delfico a Teramo, è l’appassionato antiquario che apre a Prima Pagina le porte del “Museo Etnografico” da lui presieduto, in zona Villa Pavone. All’interno di un’ abitazione secolare ha accumulato ogni sorta di ‘antichità’ che il territorio abruzzese ha lasciato. Mostra entusiasta una serie di utensili, ‘lu strascine’, ad esempio, sorta di slitta per la trebbiatura, ma anche rudimentali pentole a pressione, biciclette con tanto di bollo per la circolazione, scaldacollo da passeggio e quaderni a righe per le classi elementari del Ventennio, con l’effige del duce in copertina. Una passione cominciata all’incirca vent’anni fa, che ha avuto il beneficio di una cura terapeutica. “Ero incappato in uno di quei periodi di depressione dove nulla girava bene, il lavoro come la famiglia, e andavo avanti a forza di medicine. Un giorno, parlando col mio medico, ho scoperto questa sua passione per l’antiquariato, e da quel momento ho lasciato i medicinali”. Il risultato di maggior evidenza di tanti anni di impegni economici e di lavoro è la serie di riconoscimenti ufficiali e non, avvenuti su più livelli. Del gennaio 2004, infatti, è il “riconoscimento di interesse locale” a firma dell’allora sindaco Angelo Sperandio, e di poco successivo l’assegnazione ministeriale
del titolo di “museo di quarta categoria” . Come spesso succede, anche in questo caso non tutto è sempre andato per il meglio, e il signor Coccagna ha dovuto anche attraversare momenti di inattività forzata dovuta alla chiusura del museo. Nei periodi difficili, sono state le soddisfazioni personali ad aver mandato avanti la battaglia per la partecipazione alla conoscenza della vita degli ‘antenati’. La ricollocazione dell’ensemble in zona più edificante è l’obiettivo futuro della nostra guida. “Il mio intento principale è quello di spostare il tutto, entro il prossimo anno, a Piano D’Accio, presso l’Istituto Agrario. Sono necessari custodi e segretari. Ora come ora, ad esempio, mancano ancora le porte anti-panico e la zona non è immediatamente raggiungibile”. La presenza di ripidi scalini che collegano i due piani dell’archivio sembra complicare le cose. “Sono arrivate classi di scolaresche da Roma, Firenze e altre città non della nostra regione” ricorda infine Coccagna, intento ad appellarsi alle autorità, per proteggere un simile centro di cultura: “Ho ascoltato molte promesse, specialmente nei periodi di campagna elettorale. Mai nessuna è stata mantenuta” MATTEO LUPI
52 dic. / 2010
a cura di Ivan di Nino
53 dic. / 2010
Torball mondiali a Teramo uio completo. Niente. Un bastone o un cane che fa le veci di occhi che rifiutano il loro lavoro. Questo è il mondo dei ciechi, da qualche anno chiamati non vedenti, come se il cambio di denominazione portasse qualche beneficio. Fra queste persone in molte non si perdono d’animo e si danno da fare in ogni modo, nella politica, nella cultura, nell’associazionismo e nello sport. A Teramo esiste una realtà consolidata del Torball, attività agonistica a metà fra calcio e pallamano, che prevede l’impiego di un pallone sferico di 500 grammi al cui interno vi sono dei campanelli in modo che la traiettoria sia sentita e intuita dai giocatori. Il campo di gioco è diviso in due metà da tre
cordicelle dotate anch’esse di campanelli.I giocatori ipovedenti devono portare una benda che impedisca completamente la vista. Punto di riferimento un tappetino in terra che ne guida l’orientamento. Dietro i giocatori di ogni squadra vi è una porta. Scopo è tirare con le mani la palla verso la rete avversaria per fare goal. Ovviamente vince chi ne fa di più. La partita dura dieci minuti ed è divisa in due tempi. La nostra città ha ospitato da poco il mondiale e l’europeo di questo sport. Teatro della bella iniziativa il Palacquaviva del centro sportivo comunale e il Palazzetto di S.Nicolò. Tra le 17 squadre di clubs partecipanti, ha vinto il Tirol Austria in campo maschile, battendo 4-3 i belgi del
Waasland; tra le donne il successo è andato al Vorarlberg che ha vinto per 5-1 sui francesi del Paris. I padroni di casa si sono fermati soltanto al settimo posto.Peccato davvero, perché la compagine aprutina è una sorta di Real Madrid del Torball. Ha infatti già vinto quattro scudetti nel campionato della massima serie, quattro coppe Italia e due supercoppe, oltre a vari tornei nazionali ed internazionali. Sandro Di Girolamo, giocatore, presidente e coordinatore dell’organizzazione, è soddisfatto a metà: «E’ andata benissimo a livello organizzativo e logistico. Peccato per il Teramo e per il mio problema alla cervicale che mi ha fatto uscire di scena nel momento IVAN DI NINO decisivo».
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Partite Teramo calcio mese di dicembre
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Teramo-Martina 3-1 stagione 1973-1974
pproda in biancorosso il “bomber” Giancarlo Pulitelli. Il campionato non si rileverà però cosi agevole,per la presenza dell’ostico Nardò e per buona parte della stagione del Termoli. Così si arriva alla vigilia dell’ultima gara di campionato,la classifica vede capeggiare il Teramo con 46 punti tallonato dal Nardò con 44. Per l’ultimo e decisivo impegno di campionato al Teramo tocca affrontare il Martina. Potrebbe bastare il pari,ma la città per l’intera settimana si era preparata per l’evento decisivo. Drappi e bandiere Biancorosse a pieno vento sventolavano sui balconi di tutta la città che sentiva vicino l’obbiettivo. Nulla può il Martina contro un motivato undici biancorosso. 3-1 il risultato finale ed apoteosi. Dopo tanti anni il Teramo torna in serie C,la sua ultima apparizione nella
terza serie nazionale risaliva al campionato 1959/60 Gioiosa invasione di campo e caroselli di auto imbandierate,la festa è solo all’inizio ... I Protagonisti in campo: TERAMO: Di Mascio,De Berardinis,Iuso,Diodati (51°Pica),Pala ntrani,Camaioni,Zuppa,Poggiali,Vecchi, Capuazno,Pulitelli. Allenatore: Orazi. MARTINA FRANCA:Vannucci,Iuso II°,Fedi,Paulon,Bernardi,Zezzi,Ferri,Fu marola,Somma,Ruini,Stampe (46Servidio). Allenatore: Carapellese. Arbitro:D’Elia di Salerno. Reti:15°Poggiali,35°Pulitelli,48°Somma ,63°Pica.
fansteramoblog@gmail.com Questa mail è disponibile per info e richieste specifiche di alcuni match passati
stagione 2010/2011
55 dic. / 2010
Aquilotti in braccio al gigante Incontro con Paolo De Laurentis giovane guida alpina teramana bbiamo scambiato due parole con Paolo De Laurentis, giovane teramano, guida alpina dal 2008.Tra le varie attività che la montagna concede di svolgere agli amanti del contatto con la natura, è l’arrampicata (praticata sia dentro che fuori dal territorio nazionale) la vera passione di Paolo, da alcuni anni componente dello storico gruppo alpinistico di Pietracamela “Aquilotti del Gran Sasso”. De Laurentis ha anche sposato il progetto Mountain Evolution, che chiama a sé tutti i praticanti e i simpatizzanti del genere in città, per condividere le proprie emozioni. “La guida alpina – spiega De Laurentis - è una figura professionale riconosciuta a livello nazionale e internazionale come unica competente e in grado di garantire una corretta frequentazione della montagna in tutte le sue attività: dall’ arrampicata sportiva all’ alpinismo, allo sci alpinismo, al trekking, al canyoning, ai lavori in forte esposizione, alla formazione nell’ambito sicurezza nei lavori a rischio caduta, fino al soccorso alpino come tecnico di elisoccorso 118. Per diventare guida alpina ho affrontato, nel 2002, una selezione che mi ha permesso di accedere al corso di formazione a livello nazionale; dopo due anni ho iniziato l’attività da aspirante guida alpina e infine, nel 2008, dopo un lungo iter formativo durato circa 5 anni, ho conseguito il titolo finale di guida alpina”. Come ci si avvicina a questo tipo di attività sportiva, così lontana dai classici “amati” da televisioni e giornali, come calcio o basket? “Sin da quando avevo dieci anni ho iniziato ad andare in montagna con mio padre che, dopo le prime facili escursioni, mi ha iniziato alla roccia percorrendo itinerari piuttosto semplici, ma che hanno stimolato in me una grande curiosità verso questo sport. Successivamente, a circa sedici anni, ho frequentato un corso di alpinismo con il Cai”. In realtà ho un po’ di difficoltà a considerare l’alpinismo un vero e proprio sport: sebbene io viva la montagna in tutte le sue forme
(dall’arrampicata allo sci alpinismo fino al trekking), quello che essenzialmente più mi stimola è il contatto con l’ambiente, spesso la prestazione sportiva è puramente secondaria. Quali sono le difficoltà che un ragazzo potrebbe incontrare? “Teoricamente alcun problema. Viviamo ai piedi della montagna più dolomitica dell’Appennino che non ha nulla da invidiare alle sorelle alpine ed in meno di un’ora ci si può immergere in questo ambiente unico. La nostra attività è considerata da molti estrema e pericolosa. In realtà, se si rispettano alcune semplici regole, ogni rischio può essere ridimensionato. Naturalmente per apprendere le nozioni basilari bisogna essere avviati alle diverse attività legate alla montagna da professionisti che periodicamente propongono corsi per principianti ed esperti. È questo il lavoro che svolgo assieme ai miei colleghi della scuola di montagna Mountain Evolution”. In Abruzzo e, più in generale, nel nostro Paese come siamo messi a finanziamenti e infrastrutture? “La Regione Abruzzo, fino a qualche anno fa, ha dato la possibilità di partecipare ai corsi di formazione per guida alpina in maniera quasi del tutto gratuita. Peccato che l’Abruzzo, terra meravigliosa e ad alta densità montuosa, dopo uno sforzo economico così notevole (la formazione di una guida alpina alla regione costa circa 20.000 euro) non spinga di più su un certo tipo di turismo, per far conoscere meglio le figure legate alla montagna e puntare sulle risorse turistiche della nostra terra. Nelle Dolomiti e sulle Alpi in genere, la guida alpina non ha bisogno di presentazioni, è ben radicata nella cultura popolare e il turismo montano ne è il fiore all’occhiello. Inoltre, gettando uno sguardo sulla situazione d’oltralpe, in Francia, nelle ore di educazione fisica viene regolarmente praticata la disciplina dell’arrampicata, alla stregua di una partita di calcio, basket o altro”. MATTEO LUPI
57 dic. / 2010
Educazione alimentare: la famiglia non va lasciata sola A CURA DI
PAOLO DE CRISTOFARO*
la famiglia che trasmette la cultura alimentare e il processo che conduce all’acquisizione di un modello alimentare è simile all’apprendimento del linguaggio. Esso è fatto di tante piccole acquisizioni sensoriali, che creano rassicurazione rispetto all’inserimento di nuovi alimenti che pian pianino entrano a far parte del back ground alimentare di ogni bambino. Ogni nuovo alimento acquisito è un vocabolo in più che arricchisce il lessico alimentare del piccolo, dandogli la possibilità di esercitare una più ampia opportunità di gestione delle scelte alimentari. La scuola e l’educazione alimentare possono sinergizzare e direzionare verso la consapevolezza e l’equilibrio. In altre parole possono influire sulla grammatica e sulla sintassi dell’alimentazione, contribuendo a definire l’appropriatezza e la qualità delle scelte, ma poco effetto sortiscono relativamente alla capacità di modificare abitudini acquisite e rinforzate dai rispettivi contesti familiari. La difficoltà odierna nei confronti del cibo e la conseguente patologia del comportamento alimentare fanno da specchio alle problematiche relazionali intrafamiliari e alla crescente complessità del nostro vi-
vere sociale, che non ha ancora acquisito validi modelli di riferimento. E’ notorio che ognuno di noi per avventurarsi nella vita ha bisogno di passare attraverso stadi rassicuranti. Il luogo più sicuro e rassicurante è stato certamente il grembo materno nel quale l’energia vitale fluiva direttamente dal sangue materno, ma questa purtroppo rappresenta quella fase di passività verso la quale regrediamo ogni volta che ci troviamo ad affrontare importanti difficoltà. Già da lattanti, abbiamo iniziato a sforzarci un po’ succhiando l’energia vitale dal seno materno. Ma che fatica alimentarsi senza una madre garante della trasmissione di una scala di valori e di un sistema alimentare all’interno di una cornice stabile e conosciuta mediata da un sistema familiare efficiente! Ancora più faticoso prendere fiducia nel cibo, quando intorno a noi, invece di una comunità promuovente ed egosintonica, ci si vede circondati da gente rassegnata all’obesità che ne fa un uso tossico o, al contrario, da gente che sta sempre a dieta o che rifiuta il cibo come se fosse un nemico da combattere. Occorre, dunque, avere la fortuna di imparare a mangiare in un contesto armonioso
per avere un rapporto equilibrato e ponderato con il cibo. Altrimenti ci si perde e si ha bisogno di lunghi percorsi riabilitativi per riacquistare una relazione armonica con il cibo e con il proprio corpo. La riabilitazione psiconutrizionale attuata presso il centro di riferimento regionale di fisiopatologia della nutrizione di Giulianova interviene proprio per ristabilire il giusto equilibrio relazionale con il cibo, con il corpo, con gli altri, e per ripartire rispetto al percorso di crescita che si è bloccato e che si esprime in un corpo che attraverso obesità o deperimento ha perso la sintonia e l’armonia con l’ambiente sociale circostante. Spesso non riflettiamo sul fatto che, nella nostra troppo rapida evoluzione socioculturale, abbiamo stravolto molte usanze e abbiamo perso molti strumenti che prima avevamo per poter conoscere e costruire relazioni stabili e costruttive. La proverbiale ospitalità del nostro popolo aveva un fine ben preciso che era quello di analizzare e di vagliare, prima di entrare
58 dic. / 2010
in confidenza con chicchessia, punti di vista, sentimenti, pensieri, ideali, intenzioni e azioni. In questo contesto relazionale il cibo costituiva una parte molto importante perché diventava il fulcro della relazione e consentiva un osservatorio privilegiato che offriva particolare attenzione all’ospite, verificandone tutti gli aspetti della sua identità e autenticità. Inoltre il cibo “buono” non era sempre disponibile, ma era anche atteso in occasioni importanti e suscitava l’attivismo e la partecipazione di madri, nonne, zie e vicine di casa. La cucina che rappresentava il grande laboratorio della manipolazione dei cibi diventava il luogo in cui avvenivano scambi di esperienze e riproduceva uno scenario quasi teatrale in cui le donne si esprimevano con gesti ampi, rassicuranti e generosi e evocavano baliatiche nostalgie. I bambini stessi partecipavano divertiti al teatrino e non erano scacciati né distratti e impegnati dalla televisione, ma giocando sotto i tavoli delle odorose cucine, aspettavano magari di poter rubare con gesti fulminei qualche leccornia. Qui avveniva magicamente la trasmissione dell’energia vitale del sapere e della conoscenza che è il motore che spinge ad avventurarci nella nostra personale ricerca: il cibo attraverso questa via entrava nella memoria perché rimaneva legato alla mente dall’esperienza olfattoria che incide molto più profondamente di qualsiasi altra esperienza sensoriale. Oggi, la disponibilità quotidiana di ogni cosa e di qualsiasi alimento, la mancanza del tempo da dedicare alla conoscenza dell’altro e alla elaborazione del cibo “buono”, la mancanza dell’apprezzamento olfattorio del cibo e delle sue complesse elaborazioni, alimentano superficialità, diffidenza, squilibrio e disgusto, così frequenti tra i ragazzi. L’occasione, l’attesa, la curiosità, animano il gusto, mentre l’eccesso del cibo e la mortificazione della sensorialità producono disgusto. Il cibo, inoltre, non ha più connotazioni affettive perché non è più identificato come l’anima e il collante delle relazioni. La mancanza di gusto, scriveva Guy De Maupassant, “significa possedere una bocca stupida, così come si può avere una mente sciocca”. Ne deriva che, a causa dell’invadenza e dello strapotere dell’informazione e della tecnologia, rischiamo di diventare idioti e saccenti, senza esserne coscienti, perché tutto appare indispensabile e inevitabile. Tuttavia nulla passa al vaglio attento della nostra sensorialità, per cui ci troviamo costretti
ad ingurgitare senza assaporare, a sentirci spiacevolmente sazi senza aver apprezzato il piacere di mangiare. Si sa tutto, si è informati di tutto, ma al tempo stesso, per effetto della sovraesposizione a dati e immagini, non si è più in grado di assimilare e di riflettere su nulla. Tutto scorre, ma in cervelli saturi di informazioni e vuoti di pensiero, in corpi grassi, ma ancora affamati. Tutti hanno tutto o aspirano ad avere tutto, ma il consumo ha consumato il consumatore. Si scivola insensibilmente in una condizione in cui non c’è più tempo per desiderare, degustare, conoscere, integrare, ma possiamo solo ingurgitare, rifiutare, emarginare, vomitare. Questa nuova condizione sta producendo una generazione di ragazzi che tendono ad una semplificazione gustativa e olfattiva e che sono maggiormente influenzati dall’immagine dell’alimento, in opposizione alle lungaggini della preparazione del cibo e in opposizione alle regole della sana alimentazione che richiedono l’uso indispensabile ed appropriato della cucina “laboratorio” . Oggi la cucina è arricchita di nuove tecnologie che rendono molto più facile l’elaborazione del cibo, ma questa possibilità è praticata solo da chi da il giusto valore a questo aspetto. All’alimento cucinato, di cui i ragazzi non sono più abituati a condividere i processi di produzione, si preferisce l’alimento assemblato, di cui i giovani riescono più facilmente ad influenzarne la composizione, attraverso la scelta dei vari alimenti che possono essere inseriti in un panino o in una pizza, come in un puzzle; in fondo la società stessa spinge verso soluzioni alimentari semplificate. Poco può l’educazione alimentare, intesa come ragionamento scientifico o dimostrazione pratica per convincere il bambino a mangiare il giusto; i ragazzi hanno maggior fiducia di ciò che vedono e vivono (e quindi di ciò che artatamente gli vien dato di vedere e vivere) che non di ciò che sentono. Per concludere l’educazione alimentare non può essere efficace ove non si lavori, in modo coerente ed unanime, al risveglio di un orgoglio identitario e di modalità tipicamente abruzzesi, non solo gastronomiche, di saper vivere come spazio emotivo e di memoria il nostro territorio, pur nel suo complesso percorso di trasformazione e di modernizzazione. Per far ciò è necessaria la famiglia, ma è indispensabile anche la presenza e la coerenza della società civile. * DIRETTORE CENTRO REGIONALE DI FISIOPATOLOGIA DELLA NUTRIZIONE ASL TERAMO
59 dic. / 2010
Pilates per tornare in forma
A CURA DEL PROF.
VALTER DI MATTIA E SARA DI MATTIA
l Pilates è un sistema di allenamento molto efficace che fa bene sia al corpo che alla mente. Non richiede un grande dispendio di energie e consente di raggiungere una maggiore consapevolezza del proprio corpo: aiuta a migliorare il proprio fisico, ad avere movimenti più fluidi e rilassati e di conseguenza a migliorare la qualità della vita. Grazie al metodo Pilates si potrà: • Tonificare muscoli dorsali e addominali efficacemente • Attivare la muscolatura profonda • Assumere una postura corretta • Modellare tutto il corpo • Prevenire e contrastare dolori e contrazioni muscolari alla schiena Come nasce? Joseph Pilates iniziò a sviluppare il suo metodo nella prima metà del XX secolo. Scontento ed insoddisfatto degli esistenti approcci di allenamento fisico, studiò sia i metodi utilizzati in Oriente che enfatizzano il rilassamento mentale, la respirazione e la scioltezza del corpo, sia i metodi dell’Occidente, che generalmente tendono
a far prevalere la forza competitiva a discapito della resistenza. Egli inventò un sistema originale creando più di 500 esercizi ed attrezzature uniche nel loro genere. Con il suo metodo, Pilates ha unito le qualità migliori di entrambe le discipline per formare un programma di allenamento fisico ideale. Questo metodo inizialmente ha attratto ballerini ed atleti, restando per molti anni un allenamento riservato solo a questa ristretta categoria di persone. Ora questo programma di allenamento sta vivendo una rinascita come alternativa o complemento di altri regimi di esercizi ed attività atletiche. Esso si fonda sul controllo cosciente di tutti i movimenti finalizzato alla tonificazione muscolare, al miglioramento della forma fisica e alla correzione della postura. Tutto ciò rafforza la consapevolezza del proprio corpo e rinfranca la mente. Il Pilates può essere considerato come un percorso per raggiungere il benessere psicofisico e si fonda su sei principi basilari. I sei princìpi 1. Respirazione: il Pilates allena anche i polmoni, oltre che i muscoli; la respirazione profonda tipica del Pilates ossigena il sangue, aiuta a rilassarsi e attiva la muscolatura profonda (la muscola-
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l’allungamento ed il controllo di tutto tura profonda comprende una serie il corpo. Non è terapia fisica, non è di muscoli che svolgono un’azione un massaggio, non è yoga, non è mecostante di sostegno dello scheleditazione: è sudore, è duro esercizio! tro, permettendoci di mantenere Joe Pilates capì che il corpo ripara se la stazione eretta e l’equilibrio. Ma stesso e si rafforza attraverso il movise questi muscoli si trovano in uno mento. Il Pilates è un allenamento che stato di “malessere”, il corpo rimemantiene il corpo giovane e funziona dia chiedendo aiuto alla muscolatura come un anti-età. Permette di fare superficiale che, però, non essendo quello che più piace nella vita riscofatta per un lavoro costante e di soprendo tutta la propria energia vitale. stegno, genera con il tempo contratPerché c’è così tanta enfasi ed attenture e dolori). zione sulla zona centrale dell’addome 2.Baricentro- Powerhouse: ogni mo“ Il Powerhouse”? I più forti muscoli vimento deve partire dal centro del un possibile esercizio sotto la del corpo (i posturali profondi) sono corpo, la zona intorno all’ombelico, guida dell’istruttore come una cintura attorno allo stomache è vista come centro di forza e di co e all’addome. Tutta la forza e il movimento ha origine qui! Un controllo di tutto il corpo. 3. Precisione: un unico movimento accurato è meglio di dieci mo- allenamento equilibrato Pilates utilizza tutti i muscoli ma, con una maggiore attenzione sulla fascia degli addominali e dei paravertevimenti imprecisi: la qualità viene prima della quantità! 4.Concentrazione: eseguire ogni esercizio in modo corretto, con- brali. La forza cresce in maniera bilanciata e la flessibilità migliora centrandosi su se stessi e dimenticando il mondo esterno, è un notevolmente , così da avere un nuovo senso di libertà motoria ed un benessere generale. ottimo modo per rilassarsi. 5.Controllo: tutti i movimenti devono essere eseguiti con un con- Per chi è indicato? trollo assoluto di tutto il corpo. In questo modo si allena il fisico E’ un bene per chiunque sia interessato a migliorare la sua forma fisica, postura, coordinazione, equilibrio, libertà di movimento e in maniera intensiva proteggendolo dalle lesioni. 6. Fluidità: tutti gli esercizi vanno eseguiti con una precisa fluidità benessere generale. Il metodo Pilates può essere adatto a qualsiasi livello di forma fisica; tuttavia chi è afflitto da specifici problemi e musicalità! di salute, lesioni o dolore cronico deve consultare il proprio meCos’è? Il Pilates è un metodo di esercizio che esalta l’equilibrio e la forza, dico prima di iniziare qualsiasi nuovo programma di allenamento.
61 dic. / 2010
Cuore sotto l’albero A CURA DI
FRANCESCA ALCINII*
l freddo inizia ad essere pungente, la notte anticipa le ore, le luci della città si accendono e le vetrine si addobbano. Tutto ci parla del Natale. Festa diventata più consumistica che religiosa, il pensiero che tutti hanno in mente è: “Cosa regalo?”. Il mercato offre infinite idee, l’offerta è tra le più vaste e c’è chi si orienta sugli animali. Donare un essere vivente: giusto o sbagliato? Dipende. È una scelta che non può e non deve essere presa con leggerezza. Di una vita non ci si può disfare come di un regalo poco gradito, non è un maglione che tra qualche anno si butterà perché la moda sarà cambiata. Significa affidare una responsabilità, regalare un impegno, una relazione e, alla fine della vita, un dolore. Siamo sicuri che la persona alla quale vorremmo donare l’animale sia disposta e preparata nel riceverlo? Siamo sicuri che preferisca quella specie piuttosto di un’altra? Quali risvolti psicologici e biologici ci possono essere per l’animale? E per il proprietario? Tante domande devono pervadere la mente di chi pensa di donare un essere vivente. La scelta migliore da fare è quella di informare la persona alla quale pensiamo di donare un animale delle nostre intenzioni ed andare insieme a scegliere il nuovo compagno per la vita. Spesso è un feeling, un’alchimia, una relazione che si instaura a prima vista
tra proprietario ed animale, per questo è sconsigliato far scegliere a terzi una creatura che dovrà dividere la vita con un’altra persona. Chi ha serie intenzioni di prendere un animale deve sapere moltissime cose, tra le quali che è un essere dipendente da lui, da educare, da non farlo trattare come un peluche dai figli, che ne ha responsabilità civile, che dovrà impegnarsi ad affidarlo quando lui non ci sarà, da curare quando starà male, da accompagnare nel suo ultimo respiro e molte altre cose ancora. Queste sono solo alcune delle responsabilità da assumere in seguito all’acquisto dell’animale. E prima? Dove trovare la creatura? Quali informazioni possedere? Quali certificati richiedere? Quali nozioni mediche di base della sua salute bisogna avere? Scelta saggia è quella di affidarsi e lasciarsi consigliare da un esperto della specie che si intende prendere ed ad un esperto in leggi e diritti degli animali. Evitare di comprare gli animali e di seguire le mode, soprattutto se i soggetti interessati sono cani e gatti, ed indirizzarsi nei canili e nei gattili è uno dei più grandi gesti d’amore che potremmo fare. L’animale ci donerà sempre il suo amore ed il suo affetto, per tutta la vita ed anche oltre. Così non sarà più qualcuno a regalare una vita a noi, ma noi a regalare una vita a qualcuno. Il Natale tornerà almeno in parte al suo spirito originale: la gioia di donare incondizionatamente senza la pretesa o l’aspettativa di essere ricambiati. La magia del Natale stupirà ancora una volta quando i proprietari si accorgeranno con il passare del tempo che, in cambio dal loro nuovo membro della famiglia, staranno ricevendo un dono inestimabile: l’amore incondizionato e la fedeltà eterna. *DOTT.SSA IN TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE
62 dic. / 2010
A CURA DI
Abuso del diritto tributario
ROBERTO SANTORO *
on sentenza n. 10981 del 13 maggio 2009, la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha definitivamente affermato l’orientamento antielusivo secondo cui è precluso al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali mediante l’utilizzo distorto – pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione – di strumenti giuridici idonei ad ottenere una mera agevolazione fiscale o un risparmio d’imposta, in assenza di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione. Si tratta del c.d. abuso del diritto tributario - che trova il proprio fondamento nei princìpi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposta (art. 53 Cost.) – e determina l’inopponibilità (ossia, l’inefficacia) dell’operazione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di illegittimo vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dal comportamento elusivo. L’aggiramento della norma fiscale, precisamente, può riguardare tutti “… gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra di loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimen-
ti indebiti …” (art.37 bis, 1°comma, D.P.R. 600/’73). La teoria dell’abuso del diritto tributario è tutt’oggi consolidata non solo nella giurisprudenza, ma anche nelle risoluzioni adottate dall’Agenzie delle Entrate, secondo cui l’obiettivo principale del fisco è quello di raggiungere il massimo possibile di tax compliance, e cioè il più alto livello di adesione spontanea agli obblighi tributari, anche mediante la repressione di pratiche fraudolente. A livello comunitario, inoltre, si registra l’adozione di provvedimenti normativi che, sempre più spesso, presentano norme di chiusura di caratte-
* MAGISTRATO
A tutela dei più deboli a capacità di agire si acquisisce con la maggiore età, e rappresenta la possibilità di compiere atti giuridici validi (l’acquisto di un bene, la firma di un contratto, l’apertura di un conto corrente...); vi sono tre istituti che incidono sulla capacità di agire: l’interdizione, la inabilitazione, e la nomina di un amministratore di sostegno. Con l’interdizione la capacità di agire viene limitata in modo totale; il Giudice nomina il tutore che, in sostanza, sostituisce la persona inabilitata in tutti gli atti giuridici. La inabilitazione è prevista per condizioni di parziale infermità, come la dipendenza da droghe o alcol; il curatore di nomina giudiziale non sostituisce il soggetto tutelato, ma lo assiste in tutti quegli atti eccedenti la ordinaria amministrazione. L’amministrazione di soste-
re antielusivo e, d’altro canto, è la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea a censurare tutte quelle operazioni, poste in essere da intermediari o operatori economici, dirette a conseguire, in via principale, un mero vantaggio tributario, in contrasto con l’obiettivo fiscale perseguito dal legislatore. Occorre, tuttavia, sottolineare come il concetto di abuso non s’identifichi automaticamente con l’ottenimento di un vantaggio fiscale, dal momento che è assolutamente legittimo scegliere, tra diverse operazioni lecite, quella meno onerosa per il contribuente. Ed infatti, è la stessa Corte di Cassazione ad avere recentemente precisato – nella sentenza n.20030 dello scorso 22 settembre – come l’esistenza di valide ragioni economiche, anche illecite, non consentono, per ciò solo, la configurazione di un abuso del diritto in materia tributaria: l’abuso sussiste, segnatamente, solo in presenza di un vantaggio predominante in riferimento all’operazione oggetto di verifica, con la conseguenza che sarà onere dell’amministrazione finanziaria provare e documentare il raggiungimento di tale beneficio economico.
A CURA DI
AVV. GIANFRANCO PUCA
gno è una figura introdotta con la legge 6/2009, ed ha lo scopo di tutelare chi, pur avendo delle oggettive difficoltà nel provvedere ai propri interessi, non necessita comunque di ricorrere all’interdizione o all’inabilitazione. L’amministratore di sostegno è un tutore delle persone dichiarate non autonome, anziane o disabili, e viene scelto dal giudice tutelare spesso, ove è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito. Possono diventare quindi amministratori di sostegno il coniuge, purché non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, e comunque il parente entro il quarto grado. Un aspetto importante è la possibilità di proporre il ricorso concessa anche al convivente stabile, in tal modo conferendo rilievo anche alle cd coppie di fatto. Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere precise indicazioni sull’oggetto dell’incarico, sugli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto
avvocato@studiolegalepuca.it
del beneficiario, sugli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Potenziali fruitori dell’istituto sono gli anziani o i disabili, gli alcolisti, i tossicodipendenti, i malati terminali, i ciechi; tali soggetti potranno ottenere la nomina di un tutore che si prenda cura del loro patrimonio e della loro persona. Altra nota rilevante: l’amministratore di sostegno può essere designato anche dallo stesso interessato, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, in previsione della propria eventuale futura incapacità. L’amministratore di sostegno non può percepire alcun compenso per la sua attività, e deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario nell’adottare le proprie decisioni; deve presentare periodicamente al giudice tutelare una relazione sulla attività svolta e sulle condizioni di vita del beneficiario; può essere revocato, come la stessa amministrazione di sostegno, in caso di sopravvenuta carenza dei motivi che l’hanno determinata.
63 dic. / 2010
Brodo di natale con cardo e scrippelle “’mbusse” INGREDIENTI: (per 6-7 persone): Kg 1,5 di tacchino (femmina), 1 carota, 1 costa di sedano, 1 “crosta” di parmigiano, Kg 1,5 cardone + 1 limone, 200 gr. di parmigiano grattugiato, 4 uova intere. PREPARAZIONE: Mettere il tacchino (pulito) in una pentola (molto capace e alta) con tutti gli odori e riempire di acqua (fredda). Mettere sul fuoco (lento) per tre ore circa, schiumando di tanto in tanto. Mentre si forma il brodo, bisogna pulire bene il cardone (eliminando in particolare tutti i filamenti) e tagliando a tocchetti piccoli che si metteranno in un contenitore con acqua e il limone tagliato in 3-4 parti. Mettere a bollire il cardone in nuova acqua fredda per almeno 20-25 minuti (senza
sale). Scolare il cardone e “strizzarlo” prima di versarlo nel brodo. Intanto, terminata la cottura del brodo, togliere il tacchino e filtrare il brodo e versarlo in una pentola capace, ove verseremo il cardone a pezzetti con l’aggiunta delle uova sbattute a parte con un po di parmigiano grattugiato (o secondo la tradizione, con pecorino dolce e polpettine di carne da preparare a parte). Tenere sul fuoco per 5-6 minuti. Servire caldo. N.B.Al posto del cardone si utilizzano molto le “scrippelle ‘mbusse”, preparate come per il timballo, ma con l’accortezza di realizzarle molto sottili. Quindi si arrotolano “farcendole” un pò con polpettine di carne e rigaglie di pollo (cotte solo con il vino bianco, a parte). Aggiungere una spruzzata di parmigiano.
Dal volume “Una ricca...cucina povera” di Roberto Pelillo
“Li caggiunitte” INGREDIENTI: Per impasto: 2 bicchieri di olio di oliva, 2 bicchieri di acqua, 2 bicchieri di vino bianco, 700 gr. di farina. Per ripieno: 500 gr. di ceci (ammollati e lessati a parte), 600 gr. di castagne (lessate a parte e “passate” con lo schiacciapatate), 4 bicchieri di rhum, 300 gr. di cioccolato fondente (grattugiato), 150gr. di cedro candito (spezzato finemente), 1 bustina scarsa di cannella (tritata finemente), 2 bicchierini di liquore dolce (tipo Aurum), buccia grattugiata di 2 limoni, 1/2 bicchiere di olio di oliva, 1/2 bicchiere di vino bianco, 200gr di mandorle (tostate a parte e tritate finemente), 1 tazzina piena di caffè,
zucchero a velo q.b. (per “tocco” finale). PREPARAZIONE: A parte realizzare un impasto omogeneo da ridurre poi a sfoglia molto sottile. Amalgamare, con dolcezza, tutti gli ingredienti del ripieno fino a rendere il composto morbido. Se necessario aggiungere del liquore. A pari distanza l’una dall’altra, mettere sulla sfoglia delle “polpette” di ripieno. Ricoprire sempre con la sfoglia e friggere i “ravioli” in abbondate olio caldo senza farli dorare. Scolarli su carta assorbente da cucina. Disporli su piatti, coprirli con zucchero a velo.