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Riceviamo e pubblichiamo : “Precisazioni sulla risposta della segretaria del circolo PD di Colleatterrato – Nepezzano” “Sicuramente la frase “Il Comitato di Quartiere come una struttura di supporto alle amministrazioni di Centrodestra alla guida del Comune e Provincia di Teramo” infama e forse non certo involontariamente il Comitato di Quartiere Villa Pavone - Colleatterrato e i residenti (sempre più di 800) che puntualmente eleggono i propri rappresentati all’interno di questa struttura che per democrazia e partecipazione fa invidia di certo alle strutture di partito del Centrodestra e del Centrosinistra. Non ci sentiamo un supporto politico a qualcuno, ma certamente siamo un supporto amministrativo per chi governa. Detta prerogativa ci è riconosciuta anche dal segretario del PD, il cui nome non ci sovviene, nel descrivere l’attività svolta dal Comitato nella programmazione del Contratto di Quartiere. Alle contrapposizioni di natura politica anzi partitica siamo culturalmente distanti in quanto convinti che queste non fanno bene al territorio e agli amministrati. Sicuramente in merito alle “rotonde” presenti nel quartiere e in programmazione dobbiamo dare atto che i problemi tecnici che costituivano un ostacolo insormontabile per gli amministratori del centrosinistra sono stati risolti in pochissimo tempo dagli attuali amministratori. Di nuovo si vede che il segretario non è del quartiere e non conosce gli strumenti che regolano le aree del quartiere stesso, il quale non si basa tanto sul PRG, ma soprattutto sul PEEP, infatti se si prendesse in esame quest’ultimo si noterebbe come la chiesa non sorge più nell’area destinata al parco giochi adiacente al campetto di calcetto. Si continua ad evincere che si cerca più visibilità e scontro politico che non un dialogo per la risoluzione delle problematiche reali dei residenti. Invitiamo comunque tutti i “politici” di confrontarsi con il Comitato di Quartiere Villa Pavone - Colleatterrato che da anni è più attento ai problemi del territorio e popolazione rispetto a chi è attento solo a fare demagogia e proclami politici”. Antonio Di Paolo (Presidente del Comitato di Quartiere Villa Pavone Colleatterrato)
“Gentile direttore, giocare può comportare i suoi pericoli. Lo sanno bene i bambini che frequentano il parco di Scerne di Pineto, area verde a ridosso del Villaggio Hapimag. Uno spazio pieno zeppo di trappole e tranelli: da quello che rimane di un trenino in legno ormai putrefatto, dove spuntano chiodi arrugginiti di ogni dimensione, a puntute piazzole in cemento al termine dello scivolo, o resti indefiniti di alcuni vecchi giochi, ormai distrutti a causa di una mancata manutenzione. L’area tra l’ altro è stata invasa da una folta vegetazione che ospita solo zanzare e insetti di ogni specie. Un parco che gioca, è proprio il caso di dire, bruttissimi scherzi. Lo stato di abbandono, hanno commentato alcuni genitori, stona con la politica dell’ amministrazione comunale che si è sempre vantata di dedicare particolare attenzione all’ ambiente e alla cura del verde pubblico, così come alle problematiche dell’ infanzia. Lo stato in cui versa il parco giochi di Scerne non ha nulla a che vedere con la tanto decantata Bandiera Blu o con la “Registrazione EMAS». In particolare dello stato igienico dell’area, infestata di insetti, è stata avvertita anche la Polizia municipale, ma al momento ancora non sono state prese iniziative. Grazie per l’ospitalità Mauro Gentile lettore, giriamo la sua denuncia a chi, in questo periodo, si è “distratto”. Chissà che da ruggine e insetti non rinasca un vero giardino. Un po’ meno “blu”, magari, ma molto più verde. Qualche volta, è solo una questione di colori.
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“ Rapporto dalle zone calde” di Mira Carpineta
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Martinsicuro, turismo e non solo
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Vigili del fuoco, amici del territorio
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Università: la prola ai ricercatori
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Tu chiamale ... se vuoi affissioni
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Semplicemente Edea
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Il centro Nutrizione di Teramo c’è ...
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Ego batte empatia 1-0
di Manolo Ciprietti di Daniela Palantrani di Daniela Mantini di Ivan di Nino di Vicenzo Lisciani Petrini di Francesco De Cristofaro di Francesca Alcinii
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Focus on La Famiglia “Se un albero dovesse scrivere la sua autobiografia, questa non sarebbe molto diversa da quella di una famiglia” Gibran
Sminuzzata, sezionata, superata, elasticizzata, sintetizzata, scoperchiata, rivoluzionata, massmediata, dimenticata, annullata. La famiglia duemiladieci, osservata da vicino, scoraggia, incoraggia, addolora, sorprende. Tra brutte, anzi, orribili notizie di cronaca che sfiancano, sfiduciano, incolleriscono, disarmano. Prima Pagina agguanta questa famiglia e la fa diventare “teramana” attraverso i numeri, le storie, l’analisi degli esperti. Ne viene fuori quella che è. Oggi. Uno spaccato di tempo molto incerto, con moltissime nuvole e un sole talmente timido, da sembrare la controfigura della luna. Una sorta di satellite, insomma, di sentimenti e regole. Dove le “belle” storie sono tenute nascoste, al riparo dall’incursione dei curiosi. Al contrario delle “brutte”, paniere ricolmo di intere pagine di giornali. Abbiamo provato a scovarle, queste storie, rubando le parole a Goethe: “Il diavolo si nasconde nel dettaglio”. E la famiglia è, da sempre, il “dettaglio” della nostra società. Come la politica. Sarà per questo che entrambe, famiglia e politica, si dànno la mano. Senza un ruolo e una risposta, alleate nell’assenza e nel vuoto a perdere. Tiziana Mattia
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Cortocircuito della politica nel “Sistema Abruzzo” Dalle scosse giudiziarie alla crisi dei partiti: analisi a tutto campo di Francesco Bonini direttore del dipartimento di storia e critica della politica dell’Università di Teramo Francesco Bonini. è stato consigliere del Ministro per le Riforme istituzionali del Governo Ciampi, Leopoldo Elia, dall’aprile 1993 al maggio 1994. E’ direttore del CARE, Centro abruzzese ricerche elettorali ed inoltre è socio dell’Association Française de Science Politique, della Società italiana di storia delle istituzioni e dell’International Commission for the History of Representation & Parliamentary Institutions. Chi meglio di lui può, dunque, ricordarci come il nostro passato abbia costruito il nostro futuro prossimo? Come mai questo stato di confusione nel nostro sistema politico? Bisogna partire dalla crisi della politica italiana degli anni ‘90 e l’emergere della leadership di Berlusconi che ha raggiunto consensi tali da riuscire a federare una serie di spezzoni di classe politica. Le forze politiche della Repubblica proporzionale sono andate in crisi: per via di una serie di fattori debolezza intrinseca, situazione internazionale che, con la caduta del muro di Berlino, ha fatto crollare tutte le rendite che si erano costruite. Una forte iniziativa della magistratura, in quegli anni, che non è stata stoppata da nessun potere politico perché indebolito, ha generato una crisi dei partiti che ha avuto il suo quadro istituzionale nel referendum del 18 aprile 1993. Si è dunque realizzato quello che Occhetto ha scritto nel suo libro di memorie, ov-
vero: “far cadere la prima repubblica senza curarsi di costruire la Seconda”.Tutto questo ha permesso di arrivare alle elezioni del 1994 con una proposta bipolare gobba perchè il polo progressista si era occupato di prendere la successione del sistema politico senza aver maturato un progetto istituzionale ed il polo intermedio era convinto di perdere in quanto sapeva di non
È necessario un riassetto dei servizi pubblici, perché sono la cosa che è gestita dalla politica e che ricade direttamente sui cittadini avere alcun appeal per l’elettorato. Nel frattempo l’ imprenditore Silvio Berlusconi è riuscito a federare spezzoni di classe politica che i due precedenti poli avevano
lasciato libero. Tutto questo ha permesso la vittoria del polo di Berlusconi. Il Pdl, tuttavia, continua ad avere consensi. Perché non sono cambiate le condizioni. Vincendo, Berlusconi, ha imposto il bipolarismo tra la sua ipotesi di intrapresa politica e il resto, che ha trovato come unico collante quello dell’anti-berlusconismo. Per questo il filone berlusconiano è durato venti anni. I partiti continuano ad essere frammentati in entrambi i poli. La classe politica è tornata ad essere quello che era nel periodo dell’Italia liberale. I partiti non strutturano più la propria leadership, ma sono il risultato dell’aggregazione di potentati personali, ovvero spezzoni di elettorato, organizzati come leader in determinati territori; così si spiega anche la loro capacità di scomporsi e ricomporsi. Sono partiti “mosaico” che si spostano da partito in partito e che continuano a tutelare i propri interessi senza favorire nessuna costruzione di forti organizzazioni partitiche. Il sistema politico si è sviluppato per 20 anni su berlusconiani e anti-berlusconiani, il punto è che il collante fra l’uno e l’altra cosa è moralistico, cioè l’anti-berlusconismo è moralistico e dunque tutta l’opposizione fa leva sulla degenerazione. Perché il popolo preferisce votare per
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l’anti-moralismo? Perché il popolo se ne “strafotte” del moralismo. Tra l’altro il gioco delle campagne stampa è quello di mostrare che anche i moralisti sono a loro volta immorali, generando così una retroazione di ulteriore disaffezione del corpo elettorale anche da parte di persone per bene che disorientate, si sentono scoraggiate nell’andare a votare. In questo sistema si è insinuata la corruttibilità? La corruttibilità è sempre esistita, ma ha assunto un ruolo importante in questo ventennio. Si sono aboliti sempre più i meccanismi che dovrebbero controllare qualità e gestione dell’operato politico. Il controllo di qualità e di gestione sono principi che appartengono alla scienza dell’amministrazione ma che paradossalmente non vengono applicati in politica. L’Abruzzo? L’Abruzzo di per sé è una regione molto difficile da governare, ha una lunga storia fatta di inquisizioni e denunce, anche tutta la prima giunta fu inquisita dalla magistratura. Ci sono state solo due o tre legislature che hanno avuto un solo Presidente di consiglio regionale, situazione questa che va avanti da 40 anni. La difficoltà del governo regionale di gestire la legalità è data dal carattere accentuatamente pluralistico dell’Abruzzo. L’instabilità di governo, però, non è necessariamente un disvalore anzi, può rappresentare una risorsa per il sistema perché se gli assetti sono stabili permette, come dicono i politologi, di evacuare le questioni urgenti. Questa condizione ha caratterizzato l’Abruzzo e tutta l’Italia fino agli anni ‘90, ma quando il rapporto costi benefici non è stato più in grado di supportarsi il rischio è stato quello di mandare in cortocircuito il sistema. Come fare per restituire la legalità alla “Regione dei parchi”? L’accentuato localismo blocca il sistema della decisione. Sono presenti nel territorio delle reti molto forti che condizionano tutti coloro che hanno responsabilità decisionali. Il vero problema è quello dell’autonomizzazione del momento istituzionale che probabilmente è sempre stata molto difficile. Qual è la sua definizione di politica? Il buon governo per il bene comune Come i politici percepiscono il loro lavoro, oggi? Come un mestiere con una sua dimensione professionale e dunque, vale per la
politica quello che vale per tutte le altre professioni. E’ anche vero però che un buon professionista è colui che fa eticamente bene il proprio mestiere, arrivando a buoni risultati con corrette metodologie e con un’ispirazione eticamente alta. Il mestiere del politico è molto difficile rispetto alle altre professioni in quanto è facile intersecare aspetti culturali, psicologici ed emotivi che dovrebbero essere alle volte emarginati. Rapporto costi -prestazioni della politica? Io sono cittadino romano, e sono a conoscenza dell’uscita di una normativa che vieta la possibilità di avere retribuzioni più alte, da parte di dipendenti del comune di Roma, rispetto al primo cittadino. Questo perché si è scoperto che diversi capi di aziende municipalizzate guadagnano il doppio del sindaco. I politici sostengono di essere sottopagati perché i loro parametri sono i capi azienda. Ad esempio, l’amministratore dell’Unicredit, Alessan-
La politica è una forma esigente di carità (Papa Pio XI) dro Profumo, ha avuto una liquidazione di 40.000 di euro, il presidente della provincia di Bolzano ha uno stipendio molto più alto rispetto al cancelliere della Germania federale; dunque ci troviamo di fronte ad una giungla retributiva dove ognuno ha i suoi parametri. In Italia, c’è una classe politica che è percepita, in questo momento, come sovra pagata rispetto alla proporzione nazionale. Purtroppo, abbiamo avuto un ventennio dove si è creata un evidente disuguaglianza nelle retribuzioni. Il rapporto all’interno delle aziende fra dirigenti e lavoratori si è spaventosamente alterato rispetto ad un periodo di benessere generalizzato quale quello degli anni ‘70 e ‘80. Questo processo è partito in primis dalle aziende private e poi si è ripercosso anche nella pubblica amministrazione con una crescita esponenziale delle retribuzioni dei dirigenti che si differenzia dall’altra restante fetta dei lavoratori. Processi questi che hanno raggiunto dei livelli patologici sui quali si comincia ad intervenire già nel set-
tore privato, perché il rischio è quello della demotivizzazione con una conseguenziale scarsa volontà produttiva nelle altre fasce lavorative. E dunque? Da parte dell’opinione pubblica ci deve essere una presa di coscienza del fatto che se la forchetta si apre troppo, e le retribuzioni diventano eccessive rispetto alle prestazioni, la nostra richiesta non deve essere quella di abbattere i costi della politica, invece dobbiamo esigere semplicemente una riduzione dei costi. In questo modo, noi non facciamo un discorso moralistico, ma facciamo il discorso che sosteneva San Tommaso, ovvero quello dell’incitare alla prudenza. No al moralismo sì alla “prudentia”: capacità di mettere insieme mezzi e fini. La politica è inefficiente e quindi deve essere ridimensionata nel numero e nei costi, applicando quei parametri di efficienza che cerchiamo di mettere in pratica nella nostra vita domestica e nelle aziende “sane” che non vivono alle spalle del mercato o a debito. Il problema è che noi abbiamo perso i parametri di riferimento e non abbiamo più nessuno che ce li ricordi. Chi dovrebbe controllare cosa? Il controllo è imputato al sovrano, e il sovrano della democrazia è il popolo. Il popolo si esprime direttamente attraverso i mass media e i suoi rappresentanti. Solo dopo subentrano tutte quelle realtà istituzionali e sociali attraverso cui il popolo si manifesta. Quali settori hanno il compito di veicolare il controllo? Ci sono due responsabilità fondamentali: quella dei mass media e il sistema della formazione. Entrambe paradossalmente, nel tempo, hanno subito un destino opposto. In questi anni abbiamo avuto un ipertrofia del sistema della comunicazione, e un’ atrofia del sistema della formazione, processi opposti che hanno avuto uno speculare risultato: la sostanziale assenza di una discussione critica. Avere eroso fino ad eliminare il prestigio sociale degli insegnanti e l’organizzazione scolastica, avviatasi negli anni 60, ha avuto degli effetti drammatici sul tono complessivo della vita sociale e sulla costruzione di meccanismi di contrappeso e critici nei confronti della realtà. Il discorso opposto è rivolto ai mezzi di comunicazione che hanno rischiato di diventare semplicemente dei megafoni di una politica debole con un abbassamento drastico dei tassi qualitativi. Proprio agli inizia degli anni ‘90 sono cambiati i para-
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metri dei linguaggi comunicativi, all’interno di un più generale scivolamento di attenzione. Abbiamo sostituito alla qualità la quantità di carne esibita, ascolti e urla. Proviamo a dare delle soluzioni. Il punto di partenza dovrebbe essere quello relativo al pubblico servizio al livello corrispondente di governo. È necessario un riassetto dei servizi pubblici, perché sono la cosa che è gestita dalla politica e che ricade direttamente sui cittadini. Il problema sarebbe quello di riuscire settore per settore a parametrare i sevizi pubblici in ordine della loro responsabilità, perché le responsabilità sono ripartite tra regioni, Stato e comuni. Tra i pubblici servizi, la sanità, che tutto sommato in Italia funziona bene, è la prima struttura da riorganizzare, per via dei suoi costi fuori parametro per varie questioni tra cui principalmente quelle morali. Poi i trasporti e le grandi infrastrutture. L’altra priorità, si trova all’interno del sistema politico, ed è quella relativa alla rappresentanza. Il sistema maggioritario non ha portato dei frutti particolarmente significativi, ma allo stesso tempo era stato voluto per ovviare i problemi che aveva posto il precedente sistema di carattere proporzionale. Il problema della rappresentanza è quello che lascia poco spazio alle prospettive dei giovani. Proprio loro, quali prospettive hanno?
Alcide De Gasperi ( presidente del Consiglio 1945/53 )
Recentemente, ho fatto uno studio sulla presenza dei giovani, al di sotto dei 30 anni, alla Camera dei Deputati, ed il risultato è sconfortante.Analizzando il periodo che va dal ‘46 ad oggi il problema è stato progressivo. I giovani sono consapevoli che esiste una questione generazionale che diverrà critica quando scomparirà la generazione
dei nonni, i quali hanno delle buone pensioni per via del sistema retributivo. Questa nuova generazione si troverà davanti a genitori che saranno dei pensionati poveri al contrario di oggi. Avremo quello che c’era nell’Italia della prima metà del ‘900, ovvero dei pensionati poveri che interagiranno con degli adulti precarizzati tanto da formulare un’ origine sociale esplosiva. Il precariato è sinonimo di povertà? Non necessariamente. Il problema è che fino ad ora ci siamo interessati di costruire tutto a debito, dunque abbiamo generato un sistema di previdenza che ha favorito solo determinate generazioni, e prima o poi questo conto verrà presentato a chi ci succede. Perché i giovani incontrano difficoltà a entrare nel mondo del lavoro? I giovani possono farsi strada in due modi: o entrano per cooptazione o devono essere in grado di affermare qualcosa di nuovo. Il problema è che affermare qualcosa di nuovo è molto difficile, non ci sono le condizioni adatte, in quanto paradossalmente bisogna avere “fame”. Nel corso degli ultimi decenni di grande abbondanza abbiamo smorzato questa fame, gli stessi giovani oggi, dopo aver avuto qualche guizzo, si accoccolano in una situazione di rendita e di conservazione. Tutto questo può anche essere un dato di fatto, non di per sé un aspetto negativo. Ci troviamo di fronte ad una società conservatrice che non presenta delle generazioni rivoluzionarie o in grande fermento e dall’altro lato non ci sono grandi condizioni sistemiche che permettono il cambiamento. In un quadro globalizzato, più che le rivoluzioni ci sono le rivolte, come quelle avvenute nei secoli del ‘600 e ‘700, momenti in cui ci si infiamma, ma che non riescono a cambiare situazioni grandemente cristallizzate. La sindrome dovrebbe essere più quella della rivolta di “Ancien Régime”, che non quella della rivoluzione, che nel bene o nel male entra prepotentemente nel meccanismo. La strada da percorrere continua ad essere quella del filone democratico, che resta il sistema migliore nelle due direzioni: di output, cioè quella dei servizi che i governi a vari livelli producono e, quella dell’input, ovvero quella del circuito della rappresentanza. Il concorso per la successione a questo Governo si è aperto da qualche anno, e dunque alla prossima elezione presidenziale, nel 2013, spetta il compito di giocare la vera partita. Quando è che l’ Italia stava meglio?
Uno dei migliori periodi fu quello dell’età Giolittiana, nei primi decenni del secolo, momento di grande espansione anche se gli intellettuali si lamentavano che il Paese era “un’ Italietta” troppo modesta. Successivamente scoppiò la prima guerra mondiale. Si stava bene anche nella metà degli anni ‘30, con una certa assuefazione alla dittatura fasciata, che ha portato a generare nel fascismo la presunzione di completare quei meccanismi di carattere totalitario, che era nel suo germe. Mi fanno ridere però quelli che dicono che Mussolini è stato un “grandissimo” fino a quando non ha deciso di entrare in guerra. Lui è partito con questi presupposti e non poteva far altro che seguirli. Anche il periodo della ricostruzione fu un bel periodo, fino agli anni ‘60, poi tutto cambiò con la crisi petrolifera del ‘73. Un altro periodo di “vacche grasse” è stata la metà degli anni ‘80, ma fu proprio allora che si smise di investire, decidendo di vivere di rendita. Ecco il motivo per cui adesso ci troviamo in queste condizioni. Un messaggio ai politici? Devono fare scrupolosamente il loro dovere. Andreotti racconta che quando De Gasperi uscì dal colloquio con il re Umberto II, di cui si doveva decidere l’ abdicazione, De Gasperi disse: “A me personalmente non interessa nulla, quello che conta è l’unità morale del paese”. Credo che questo possa essere un messaggio rivolto ai politici: ci vuole un certo disinteresse personale per svolgere questo lavoro. Ciò non significa non esigere la remunerazione che un buon professionista può avere, ma ci deve essere una certa assenza di interessi personali. Credo che questo, in linea generale, debba essere un principio utile per tutte le professioni. Una citazione che le è rimasta impressa riguardo la politica “La politica è una forma esigente di carità” (Papa Pio XI). Devono essere presenti delle forti motivazioni ideali, in quanto la politica non è solo pragmatismo, ma è investita anche di energie spirituali e morali che fanno sì che un popolo si senta coinvolto in obiettivi di crescita. E’ fondamentale una forte dimensione valoriale. Ma di questi tempi credo che il rischio sia quello di corrompere questa componente morale anche sovraesponendola troppo. In questo momento, accontentiamoci di raggiungere obiettivi minimi. DANIELA MANTINI
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Rapporto dalle “zone calde” Roberto Ricci funzionario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani porta le sue testimonianze dalle regioni al centro dei conflitti mondiali DI
MIRA CARPINETA
“Nato e cresciuto a Teramo”. Roberto Ricci, laureato in legge, esperto in diritto internazionale, inizia così il racconto della sua vita che lo ha portato a ricoprire l’incarico di funzionario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani: “Come spesso accade, sono finito all’ONU un po’ per sbaglio, perché la vita ti sorprende, ti fa prendere strade diverse da ciò che sembra apparentemente prestabilito”. “Dopo la laurea in giurisprudenza, - prosegue nel racconto - andai a Edimburgo per imparare l’inglese , lì conobbi una ragazza olandese di cui mi innamorai e sono rimasto invece di andare in Spagna per imparare anche lo spagnolo. In quel periodo frequentai anche un Master in Diritto Internazionale e Diritti Umani. La mia aspirazione era il volontariato nel campo dell’aiuto umanitario, ma quando mi proposi alle organizzazioni, mi dissero che il mio curriculum non era propriamente adatto ‘a scavare pozzi, dove invece è necessario saper scavare’. Quindi, facendo buon viso a cattivo gioco, ho cercato di sfruttare al meglio il master in diritto internazionale specializzandomi e frequentando altri corsi, anche perché, tornato in Italia, mi scontrai con quella che è purtroppo una brutta caratteristica italiana, e cioè che tutto ciò che fatto all’estero non vale. La delusione delle mie aspettative derivata soprattutto dalla logica delle ‘raccomandazioni’ che spopolava in quegli anni e a cui non sono mai riuscito a piegarmi mi spinsero addirit-
tura a chiedere di rinunciare al passaporto italiano. Nel frattempo ero senza lavoro, affiancai Gigi Montauti nel suo progetto della Coppa Interamnia, esperienza di cui ho un bellissimo ricordo. Bellissima persona lui, bellissima l’idea dietro al progetto. Il valore del messaggio dello scambio e dell’incontro di diverse culture. Comunque, grazie agli studi e alle lingue, riuscii all’inizio degli anni ‘80 a incontrare delle persone che lavoravano in organizzazioni non governative e con il Centro Volontari Marchigiani andai a lavorare due anni a Hong Kong sempre nell’ambito dei dirit-
ti umani. Anche quella fu una bellissima esperienza. Successivamente, lavorai alla campagna internazionale contro le mine. In quella occasione ebbi modo di incontrare Gino Strada. Lui è stato un po’ il mio tutore. Stava fondando Emergency e con lui si aprirono tante porte e cominciammo a lavorare e parlare di diritti umani a livello internazionale. Poi la crisi economica del ‘94 portò ad una drastica riduzione di fondi per le ONG, perché in genere quando ci sono momenti di crisi si taglia soprattutto sulla società civile e nonostante il mio fosse un lavoro di volontariato, rimasi
la vita ti sorprende ti fa prendere strade diverse da ciò che sembra apparentemente prestabilito
Sede delle Nazioni Unite (ONU) a Ginevra
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w w w. L i 8 L i . c o m
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comunque fermo e per un breve periodo tornai a Teramo dove lavorai per il fotografo Lagalla.” Ma l’obiettivo di Roberto Ricci è tornare ad occuparsi di volontariato così continua a frequentare corsi di preparazione e in occasione di un convegno internazionale a Strasburgo, sulla via del ritorno, a Ginevra, incontra una persona che lavora alle Nazioni Unite: “Questa persona visionò il mio curriculum- riprende a raccontare Roberto - e mi propose di partire per il Rwanda. Accettai e nel settembre del ‘94 partii per il paese africano, dove un terribile conflitto interetnico, finito in genocidio, aveva lasciato un paese che definire devastato è un eufemismo”. Cosa può raccontare di quella esperienza? “È stato traumatizzante prendere atto della terribile situazione. Ho visto gli effetti della violenza più aberrante sia sulle vittime che sui soccorritori. Nelle situazioni di estrema emergenza, come quelle in cui ho lavorato, non è possibile definire o prevedere i comportamenti delle persone per quanto esse siano preparate. Parlo di volontari, militari, soccorritori, che seppur preparati all’orrore che dovevano affrontare, ne hanno portato i traumi per molto tempo. Ho visto uomini forti come i militari crollare, perdere il controllo, traumatizzati in modo definitivo ma anche giovani infermiere, ragazze apparentemente fragili che invece si sono rivelate estremamente efficienti. Di zone “calde” nel mondo ce sono an-
cora tante… “Sì, da allora sono entrato nell’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani e ho continuato a lavorare in altre zone ‘calde’: in Iugoslavia dal ‘96 al ‘98, a Vukovar, a Zagabria, in Bosnia, ovunque ho assistito a scene molto cruente”. Cosa è cambiato nel suo lavoro, dopo l’11 settembre? “Il diritto internazionale si ispira al principio che l’essenza umana debba assolutamente essere rispettata. Nel dopoguerra le nazioni agivano in ossequio a questo principio e c’era una uniformità di comportamento internazionale, ma dopo l’11 settembre questo principio sembra sempre più spesso ignorato, in nome di una lotta che non riconosce più regole, ma deroghe”. Oggi sembra ci sia una forte mobilitazione di aiuti, organizzazioni, agenzie che si muovono in risposta di eventi sia naturali che bellici. Secondo lei, va tutto a buon fine? “Ci sono organizzazioni, come la Croce Rossa, Emergency, Medici Senza frontiere (che ho visto personalmente all’opera) estremamente efficienti e spesso risolutive in questi casi. Sono strutture che conoscono perfettamente come agire nel modo più utile possibile e a volte sono anche l’unico presidio di aiuto, ma non c’è dubbio che l’intervento internazionale è diventato un business e anche se nel nostro settore (dei diritti Umani) non ci sono soldi, ci sono tantissimi sciacalli che approfittano di queste organizzazioni. A mio avviso sono troppe e spesso fanno solo riunioni dove non si parla di nulla”.
L’ONU
e i diritti umani L’Organizzazione delle Nazioni Unite è la più importante ed estesa organizzazione intergovernativa, sono infatti suoi membri 192 Stati del mondo su un totale di 201. Le Nazioni Unite hanno come fine il conseguimento della cooperazione internazionale in materia di sviluppo economico, progresso socioculturale, diritti umani e sicurezza internazionale. La sede centrale delle Nazioni Unite si trova a New York (USA). L’attuale Segretario Generale è Ban Ki-Moon che ha sostituito Kofi Annan il 1º gennaio 2007. Documento storico, molto importante, prodotto dall’ONU, sull’onda dell’indignazione per le atrocità commesse nella Seconda guerra mondiale, è la Dichiarazione Univesale dei Diritti Umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.“ (art. 1)
www.un.org www.onuitalia.it
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13 nov. / 2010
Martinsicuro il turismo e non solo Il sindaco Abramo Di Salvatore lancia le sue sfide senza dimenticare l’ospedale di Sant’Omero da salvare
Abramo Di Salvatore, avvocato, dopo quindici anni di assenza dalla scena politica e venti passati a ricoprire i ruoli di consigliere e assessore a Martinsicuro nonché assessore alla Provincia dal 1980 al 1985 con la giunta Salini, dal maggio 2007 è primo cittadino di Martinsicuro. Nonostante la “bella vittoria” però, “ci si trova ad affrontare una dura realtà”, sostiene, in un paese eterogeneo che conta ben 17500 abitanti, tra sicurezza ai cittadini, ambiente e turismo. Sindaco, quali misure sono state prese in àmbito sicurezza, tema sempre d’attualità, per Martinsicuro? “Da quando sono stato eletto, abbiamo senza dubbio messo mano alla sicurezza del paese. Qualcosa di concreto è stato fatto con l’impiego, l’anno scorso, di forze della Polizia di Stato per tutta la stagione estiva e l’impiego quest’anno di alcuni uomini della polizia supportata dai carabinieri, a seguito dell’accordo con i comuni di Alba Adriatica,Tortoreto e Giulianova. Hanno operato in maniera meritevole e di plauso e si è percepito di fatto un maggior senso di sicurezza tra i cittadini e i turisti soprattutto, di cui quest’anno si è registrata una elevata affluenza”. Una questione di cui si sente spesso parlare, ultimamente balzata alla cronaca quotidiana dopo il taglio di alberi nella zona del Tronto, è senza dubbio quella della prostituzione. “Personalmente ho partecipato a tutti gli incontri della commissione provinciale sull’ordine della sicurezza e devo dire che ci si sta muovendo ad ampio raggio. Io stesso ho emesso delle ordinanze per arginare l’attività della prostituzione nei condomini. Per quanto riguarda gli articoli critici che sono usciti sulla pulizia di un’area verde del lungo Tronto, anche se l’area ‘colpita’ non fa parte del Comune di Martinsicuro, credo che si sia ridicolizzato un po’ l’affare dicendo che ‘per combattere la prostituzione si tagliano gli alberi’. Non è così. Mettere in ridicolo un’operazione di pulizia e taglio di sterpaglie anche per far fronte in qualche modo al problema prostituzione è poco produttivo.
Dopotutto una tale questione, per la sua complessità, deve essere affrontata principalmente da un legislatore perché poco possono fare i sindaci in tal senso. L’attività della prostituzione può e deve essere regolamentata”. Quali sfide affronta Martinsicuro per il turismo? “Stiamo innanzitutto cercando di allacciare un discorso con gli operatori del settore e sensibilizzare chi affitta appartamenti ad operare nel migliore dei modi. Esiste un nuovo piano spiaggia da portare in consiglio comunale entro l’anno che darà la possibilità di creare belle strutture otre a quelle sorte di recente. Il turismo resta un discorso comunque complesso, ma credo che se riuscissimo a garantire a Martinsicuro una migliore sicurezza sociale sarebbe una importante passo avanti. Inoltre, educando i cittadini alla collaborazione e ad una maggior sensibilità nei confronti dell’ambiente possiamo raggiungere dei buoni risultati”. Come state sfidando il fenomeno dell’erosione della costa? “Siamo intervenuti con un ripascimento morbido tra la zone centrale di Martinsicuro e la frazione di Villa Rosa, grazie a un finanziamento da parte della Regione. Alla stessa Regione abbiamo chiesto 200 mila euro di finanziamento per intervenire urgentemente e rafforzare le barriere lungo la costa o altrimenti la nostra città rischia di essere inghiottita dall’acqua”. La sua opinione sulla privatizzazione dell’ospedale di Sant’Omero. “Credo che l’ospedale vada salvato per mille motivi e per evitare questa osmosi che vede l’utenza abruzzese sconfinare nelle Marche. Se la privatizzazione parziale rappresenta uno dei modi per poter salvare la struttura, a me sta bene. L’importante è che la Regione si muova in questo senso. Dobbiamo accorciare i tempi se vogliamo che l’ospedale non perda, oltre all’utenza, la sua validità”. MANOLO CIPRIETTI
14 nov. / 2010
Pietracamela “residenziale” No al turismo mordi e fuggi. Le iniziative del sindaco Di Giustino DI
ROPEL
Antonio Di Giustino è sindaco di Pietracamela, cioè di uno dei borghi più belli d’Italia. Ma è anche medico chirurgo (ha “posato” il bisturi da pochi anni) nonché presidente della Piccola Casa S. Maria Aprutina di Teramo, realtà sociale e religiosa attiva nel cuore della città. Uomo molto impegnato, quindi, ma molto disponibile e cordiale. Forse un po’ decisionista, ma anche amministratore prudente e attento. Lo incontriamo nell’ operosa sede della Piccola Casa, la cui conduzione è affidata ad una decina di suore coadiuvate da ben 22 dipendenti, distribuiti tra le varie mansioni. La struttura – per statuto- ha ampliato negli anni le proprie finalità di Fondazione di religione. Di Giustino sottolinea che, con i componenti del consiglio di amministrazione, agisce nel più completo volontariato. E’ grato alla Fondazione Tercas che, con un significativo intervento finanziario, ha permesso l’ esecuzione dei lavori (in corso) di ottimizzazione dei servizi. Come primo cittadino di Pietracamela è fiero per alcune realizzazioni (la digitalizzazione del paese) e per una serie di attività distribuite sul territorio (esteso per ben 44 km quadrati ) evidenziate dai 38 cantieri aperti. Subito, però, esterna la sua attenzione per le necessità legate al dopo-sisma che
vede anche gli uffici comunali “trasferiti” nella vecchia sede. A parte i problemi e le soddisfazioni di ogni sindaco, sono le peculiarità del territorio che fanno concentrare energie e programmi verso il turismo e il sociale (302 gli abitanti, non tutti dimoranti, mentre d’estate e nel periodo dello sci non bastano i 1000 posti letto che le strutture alberghiere offrono, fra paese e Prati di Tivo, a parte le tante seconde case). Questi i principali programmi ‘in cantiere’ che, in sintesi, elenca: -trasformare il turismo ‘mordi e fuggi’ in turismo residenziale; -attuare pienamente il nuovo PRG (approvato dopo 45 anni rispetto al precedente); -collegare (un sogno ?) l’autostrada dei Parchi con i Prati di Tivo; -intensificare il già stretto rapporto con l’ente Parco Gran Sasso-Monti della Laga. Prima di salutarci, sottolinea la soddisfazione di ricordare che Pietracamela ha una farmacia aperta tutto l’anno, l’ufficio postale, un medico di base ed una filiale di banca. E che registra una elevata longevità di chi vi abita, grazie all’aria pura che si respira sotto lo “sguardo” del Gran Sasso, la cui cima più elevata (2914 metri slm) ricade in territorio del “suo” Comune.
15 nov. / 2010
Ma il mulino non macina… Eppure sono stati compiuti lavori di ristrutturazione. Una pagina di storia a rischio DI
DANIELA PALANTRANI
Un vecchissimo mulino, in località Nuovo Molino San Nicola, acquistato negli anni ‘80 da Giancarlo Mariani e successivamente ristrutturato, rischia di deteriorarsi e non essere più patrimonio storico culturale del nostro territorio. Con una torre merlata e un portico ad otto colonne sul davanti, con una parte che probabilmente risale al periodo romano, prima dei lavori presentava la torre crollata ed il portico chiuso. Ci racconta Mariani che a guardarla sembrava una comune casa colonica, invece, nel corso dei lavori di restauro si è scoperto questo piccolo gioiello nostrano. La torre è stata ricostruita ed autorizzata dagli organi competenti anche grazie a prove fotografiche dell’epoca. Il mulino a pian terreno una volta restaurato è stato anche meta di visite scolastiche ma, adesso, tutto questo si sta perdendo. Da tempo non è più fruibile neanche dallo stesso proprietario, perché si allaga ogni volta che scendono piogge copiose. A seguito di lavori di manutenzione stradale effettuata da operai della provincia, risalenti al 2003, l’acqua
che defluiva da un passaggio sotto la strada adesso ha la via di fuga ostruita. Lavori probabilmente necessari, che da una parte arrecano giovamento alla viabilità e permettono di superare il passaggio a livello agevolmente, dall’altra provocano danno a un patrimonio di tutti. La struttura presenta allo stato attuale un pavimento in cotto, non più riconoscibile sotto lo strato di fango. “Il mulino - racconta Mariani - subisce dai 10 ai 15 allagamenti all’anno”. Tinteggiatura ed intonaci risultano vistosamente danneggiati dall’umidità. Ad accrescere il problema scopriamo la presenza una sorgente naturale proprio vicino al mulino. In passato, forse proprio questa sorgente perenne di acqua potabile, permetteva al mulino di funzionare e fungeva da fonte per gli abitanti del posto. L’ostruzione dell’antica predisposizione creata appositamente per far defluire le acque, ancora visibile da un lato della strada, ad ogni pioggia aumenta i danni all’antica costruzione. Se si continua così potremo solo perdere un pezzo della nostra storia.
Pessime condizioni della strada
Particolare della torre del mulino
16 nov. / 2010
Vino al vino La Val Vibrata presenta scenari bellissimi, riassumendo in sé le dolci colline marchigiane e la “terra buona” abruzzese. I borghi medievali sono stupendi anche se visti dal rutilante mondo della strada provinciale del Tronto, sì proprio quella: con la loro posizione in cima al monte sembrano delle donne ammiccanti girate di tre-quarti, di grande fascino e magnetismo. Altrettanto eccezionali anche i vigneti da cui ammirare da un lato il Gran Sasso, dall’altro i Simbruini ed il mare Adriatico. Controguerra è uno di questi paesi, autodefinitasi negli ultimi tempi “città del vino”. In molti sapranno che in tv c’è un grande andirivieni di sommelier i quali, assaporando una qualunque bottiglia, sentono sapori di “fruttato e lamponi”, ma così si rischia di far credere ai più semplici che bere sia una cosa sacrosanta. Un produttore di vini, a chi gli chiedeva come contrastare il fenomeno devastante dell’alcolismo, è arrivato a dire: “Non m’interessa se la gente beve il mio vino, l’importante è che lo compri”. Chi è dipendente dall’alcol –secondo l’OMS è sufficiente mezzo litro al giorno - non sente i sapori di rose alpine, ma lo fa inizialmente per affogare nella bottiglia i suoi problemi, e pian piano non sa più farne a meno.
Infanzia difficile, timidezza e paure contribuiscono all’avvicinamento al vizio. Questi soggetti diventano smemorati, bugiardi, egoisti, sempre meno pronti di riflessi, disonesti con se stessi e gli altri. Andando avanti, si diventa sempre più dipendenti –come il cane che si morde la coda- perché la voglia è causata dai residui tossici che restano nel corpo. L’alcolismo è una malattia a tutti gli effetti ed una minaccia per la vita. Diecimila morti l’anno solo di cirrosi, disfunzioni renali, cardiache, retinopatie proliferanti agli occhi sono informazioni sufficienti per far smettere chiunque. Spesso, inoltre, questo nemico mortale è utilizzato per “scaldarsi” se fa freddo: effettivamente la sensazione di calore c’è, ma in realtà la temperatura corporea scende. Gli altri rischi indiretti sono gl’incidenti sul lavoro, stradali, domestici, comportamenti violenti e suicidi. I sintomi fisici di astinenza dalla bottiglia possono essere peggiori di quelli sperimentati nell’astinenza dalla droga, da cui non si differenzia. Qualcuno dovrebbe quindi ripensare a certe definizioni che contribuiscono a giustificare comportamenti non proprio ortodossi. IVAN DI NINO
17 nov. / 2010
Commemorati i martiri di Rocca S. Maria DI
foto ( CARBONI)
ROPEL
Una cerimonia, semplice ma pur sempre solenne, partecipata con serietà e commozione, ha visto –per la decima volta – militari dell’Arma dei Carabinieri (in servizio e, molto numerosi, in congedo) e rappresentanze di altri Corpi, autorità locali e provinciali, civili, militari e religiose, riuniti per un evento molto importante. Infatti, si è rievocata una brutta pagina della storia locale allorché, coinvolgendo anche la vicina Valle Castellana, truppe tedesche fucilarono tre carabinieri ed un sergente degli Alpini. L’incontro, organizzato dalla
sezione di Teramo dell’Associazione Nazionale Carabinieri - intitolata proprio ai martiri di Sella Ciarelli- ha visto una massiccia partecipazione di cittadini (oltre 1000 le persone presenti) a testimonianza ulteriore che il dolore di quei giorni, di 67 anni fa, è memoria viva e ammonimento per le nuove generazioni. Con grande solennità si è proceduto all’alza bandiera, alla celebrazione di una S. Messa in suffragio, all’esecuzione dell’inno di Mameli e alla deposizione di corone di alloro. Il sacrificio dei quattro giovani non sarà mai dimenticato.
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( CARBONI) deposizione della corona commemorativa
18 nov. / 2010
Vigili del fuoco amici del territorio Parla il comandante Daniele Centi che fa anche alcune previsioni DI
DANIELA PALANTRANI
Recente il settantesimo anniversario della fondazione del corpo mare come discontinui? dei Vigili del Fuoco così come l’insediamento a Teramo del nuovo “Vengono fatte delle disposizioni di servizio e periodicamente comandante, ing. Daniele Centi. I Vigili del Fuoco sono da sempre vengono richiamati i Vigili Discontinui di cui il comando ha un uno dei corpi più “vicini” alla popolazione proprio in virtù del elenco con una graduatoria. Le chiamate sono funzione della gratipo di interventi che attuano. Il comandante spiega che “compito duatoria stessa”. istituzionale dei Vigili del Fuoco è proprio fare soccorso tecnico Ci sono donne nel personale? “Si, da poco è stato chiuso un corso per cui avremo 3 donne Vigili urgente”. Avete un territorio molto vasto da coprire, dal mare alla del Fuoco discontinue”. Come si diventa Vigili? montagna. “Il comando di Teramo è costituito da sede centrale, Distacca- “Attraverso un concorso. C’è stato in particolare un Bando che mento permanente di Roseto degli Abruzzi, nell’ambito del quale ha consentito l’immissione di Vigili del Fuoco discontinui in base a si trova anche il nucleo sommozzatori, e distaccamento di Ne- certi requisiti. Di norma non è così, sono delle eccezioni. Si tratta reto. Un’area da coprire molto estesa, cerchiamo di far fronte di momenti storici, che dipendono dall’insieme di tanti fattori: i Governi, l’economia, la carenza di personale alle necessità al meglio, con quello che è il in quel determinato periodo. Normalmente, nostro organico. Organico che dovrebbe essi entra per concorso pubblico e le prove da sere rinforzato, sia con un prossimo invio di superare sono tante, la selezione è severa, sommozzatori che andranno a rimpinguare ci sono anche dei requisiti fisici e sanitari da il nucleo di Roseto, e a gennaio auspichiamo rispettare”. un’assegnazione cospicua di personale, a seVengono fatti aggiornamenti a personale guito dell’ultimazione dei corsi che si stanno ed ai mezzi? effettuando. Il comando si avvale anche di “Nel nostro corpo la formazione è conticollaborazione di Vigili del Fuoco volontari nua. Per poter stare al passo con i tempi discontinui che vengono richiamati seconed essere in grado di affrontare al meglio do le esigenze. L’utilizzo di tale strumento qualsiasi evenienza, si fanno aggiornamenti a consente di sopperire a carenze di persotutti i livelli: nella prevenzione, corsi per connale, perché è possibile integrare una unità seguimento patenti, corsi per TAS una nuodiscontinua in una squadra. Normalmente va disciplina: topografia applicata al soccorc’è una squadra al distaccamento di Roseso. L’abbiamo visto operare nell’emergenza to, una al distaccamento di Nereto e due al aquilana lo scorso anno e si è visto quanto Comando di Teramo, fermo restando che in può essere utile un sistema di questo tipo, caso di calamità di una certa consistenza è con cartografia, fondamentale per il soccorpossibile fare il richiamo di personale libero so, tanto che anche altri enti venivano da noi dal servizio o addirittura chiamare i comandi Daniele Centi per acquisire le informazioni necessarie. I VF limitrofi in appoggio”. (comandante VF sezione Teramo) sono una entità in divenire, mai statico. Anzi, Come vengono scelte le persone da chia-
19 nov. / 2010
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Lo staff di Teramo durante una pianificazione di intervento
Vigili del Fuoco Teramo www.vigilfuoco.it/sitiVVF/teramo/
Simulazione di intervento di incidenti in galleria
Non solo interventi a terra con mezzi su quattro ruote
sorgono nuove discipline, nuovi nuclei specialistici. I mezzi, alla stessa stregua di quelli civili, periodicamente vengono sottoposti a revisioni ed aggiornamenti per mantenerli funzionali”. C’è grande cameratismo tra i VF, vero? “Più che di cameratismo parlerei di forte spirito di squadra, spirito di corpo, che è un aspetto direi fondamentale. Ogni squadra è composta da 5 unità e se anche nel quotidiano o nella vita extra lavorativa non si è amici, durante il lavoro questo aspetto viene annullato. Si lavora insieme ed affiatati per raggiungere un unico fine, durante un intervento c’è bisogno dell’aiuto e dell’apporto di ciascuno dei componenti, si è appunto una squadra”. Per il trasferimento completo nella sede ex Caserma Grue? “Ho fatto una previsione in merito a quello che erano le situazioni poco più di un
mese fa, dicendo gennaio febbraio 2011. E’ chiaro che questo dipende anche da altri fattori, che sono legati a finanziamenti, contratti e tutta una serie questioni che si stanno definendo in questi giorni. Poi bisogna formare il personale per le sale operative di nuova concezione e generazione. Non è semplice, ma il mio impegno per risolvere al più presto la questione è massimo. Comunque tutto il personale si potrà trasferire non appena sarà funzionante la nuova sala operativa. Esistono ancora due o tre edifici della vecchia caserma Grue che meriterebbero di essere ristrutturati, ma anche qui è una questione di fondi. Il primo obiettivo è la sala operativa, poi cercheremo di reperire risorse per fare anche il resto. Probabilmente, a breve inizieranno i lavori di sistemazione del piazzale, rifacimento del manto di asfalto e segnaletica”.
Vigili del Fuoco info utili Il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, prima frammentato nei vari corpi comunali, nasce come tale con il Regio Decreto Legge del 27 febbraio 1939, successivamente convertito in Legge 1570 del 27 dicembre 1941, ed è chiamato inizialmente “a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di servizi tecnici in genere, anche ai fini della protezione antiaerea”. Comando Provinciale Teramo Via Cadorna 47 - 64100 (TE) TEL: 0861.32341 FAX: 0861.3234234
tel.
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comunicazione aziendale
La famiglia al centro dell’azienda Cura e competenza rivolte al cliente Paterna Patrizio avvia nel 1978 un’ attività specializzata in impianti elettrici e tecnologici, allarmi, automazione e condizionamento, operando nel settore civile ed industriale. Anni dopo entrano in azienda i due figli Alessandro e Andrea: nasce la Electric Power srl. La ditta cresce, fino ad arrivare ad avere dipendenti specializzati in tutti i settori. Negli anni di attività l’esperienza dell’ azienda la porta a lavorare per musei, questure, prefetture, banche, ospedali, chiese,centri commerciali, negozi di griff e tanti altri enti publici e privati. Alcuni esempi tra questi sono: Palazzo Venezia (Roma), Museo Crocetti (Roma), Pinacoteca Civica di Teramo, Banca di Teramo.
Oltre a continuare a lavorare nel campo degli impianti elettrici la Electric Power srl si orienta, al passo con i tempi verso le energie rinnovabili, in particolare approfondisce la conoscenza del fotovoltaico, divenendo in breve tempo riferimento di eccellenza nella realizzazione di impianti sia a terra che su lastrico solare. Le referenze ad oggi contano oltre 61 impianti realizzati. Un incontro nel mondo del fotovoltaico fa si che Electric power srl definisca un accordo di collaborazione con Energy Business spa con sede in Trento, general contractor che si avvale di partners del calibro di BP Solar (di cui è installatore certificato) Kaco, Grisenti, Conecon, Rodogas e Grekor.
focus on
LA FAMIGLIA preziosa e dimenticata I numeri delle famiglie teramane
Separazioni consensuali
Separazioni giudiziali
351 157
2007
385 2007
152
412
2009
2008
163
2009
2008
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Statistiche divorzi 2.2405
Mentre il governo fissa “l’equiparazione tra figli legittimi e naturali” “odiosa e anacronistica discriminazione che andava a colpire i più piccoli”come ha commentato il Ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, eccoci a parlare di famiglia. Un nucleo complesso, minuscolo o dilatatissimo che condiziona, nel bene e nel male, la vita di ciascuno. Abbiamo sentito gli studiosi della materia, ma raccolto anche le storie private di teramani che dichiarandosi apertamente o scegliendo pseudonimi, raccontano i loro giorni. Passati e presenti, facili, difficili, complessi o armonici. In ogni caso alla ricerca dell’amore. Fondamento, è inutile tentare di negar-
lo, di ogni famiglia. E se ancora il governo afferma che è dovere dei genitori “amare i propri figli” così è vero il contrario. Anche se sembra tutto scontato. “Se un albero dovesse scrivere – dice il poeta Gibran- la sua autobiografia, questa non sarebbe molto diversa da quella di una famiglia”. Con rami che talvolta seccano e scivolano malamente a terra, ma spesso rispuntano più vigorosamente. Basta avere pazienza. Aspettando con fiducia quella “gemma” che arriverà, prima o poi, a rinverdire il tronco. Scontata anche la speranza. Ma ben poco ci resta, girando lo sguardo. T.M.
Scioglimenti e cessazioni effetti civili del matrimonio su ricorso congiunto:
180 (2007) 200 (2008) 205 (2009) Scioglimenti e cessazioni effetti civili del matrimonio giudiziali:
67 (2007) 87 (2008) 79 (2009)
focus on
Forti e felici verso il futuro In Italia in 20 anni siamo passati da circa 317 mila matrimoni all’anno a 258 mila. Chi si sposa sceglie sempre meno il rito religioso (dall’87 al 71,5%), a favore del rito civile (dal 13 al 28,5%). Le coppie conviventi in dieci anni sono più che raddoppiate (dall’1,6 al 3,9%). Le separazioni sono in crescita (da 30.899 nel 1981 a 81.744 nel 2003), così come i divorzi (da 12.606 a 43.856). Aumentano le famiglie monogenitoriali (da 1.546.000 a 1.972.000) e quelle di genitori separati o divorziati (da 372 mila a 653 mila), i nuclei composti da una sola persona (dal 10,6 al 25,4%) e quelli di due componenti (dal 19,6 al 25,8%). Restano stabili le famiglie ricostituite (dal 4,2 al 4,8%). L’Italia è agli ultimi posti in Europa come numero di figli per donna (la media italiana è di 1,32 contro quella europea dell’1,52). La nascita del primo figlio è sempre più posticipata (33,3 anni per gli uomini, 28,7 per le donne) e nascono sempre più figli fuori dal matrimonio (nel 1981 erano il 4,4 nel 2003 il 13,6%). I dati presentati dal Rapporto “Evoluzione della famiglia in Europa” pubblicato dall’Istituto di Politica Familiare (Ipf) due anni fa sono ancora attualissimi: L’aborto è diventato – si legge nel rapporto – “la
principale causa di mortalità in Europa, ben al di là delle altre cause di mortalità ‘esterne’ come suicidi, incidenti stradali, droga, alcolismo, aids, come pure delle malattie”. Un bambino su tre nasce ormai fuori del matrimonio, e nel 2005 è stato questo il caso di 1.893.000 nascite. La percentuale dei bambini nati da genitori non sposati varia da un 55% in Svezia al 45% in Francia e al 14,9% in Italia fino al 4,9% della Grecia. Nel medesimo tempo l’età media della prima maternità è aumentata fino a sfiorare i 30 anni; in questo l’Italia è vicina alla media mentre la Spagna (30,9) registra la maternità più tardiva e tra i grandi Paesi la Polonia (27,9) la più precoce. L’aumento della popolazione è ormai dovuto quasi esclusivamente all’immigrazione nell’insieme dell’Ue, e in quasi tutti i Ventisette è diventato la base della (modesta) crescita demografica. Sull’aumento di 19 milioni di cittadini registrato nell’Ue tra il 1994 e il 2006 quasi 15 milioni – pari al 69% – sono immigrati. Questa sproporzione è aumentata negli ultimi anni quando nel 2000-2006 l’89% dell’aumento demografico di 13,2 milioni è stato dovuto all’immigrazione. Italia e Germania hanno potuto evitare il calo demografico unicamente ricorrendo all’immigrazione mentre
solo Francia e Olanda hanno accresciuto la loro popolazione anche a prescindere dall’afflusso di immigrati. La tendenza – se non si correrà ai ripari – indica una stagnazione demografica fino al 2025, anno in cui l’Europa comincerà lentamente a spopolarsi. L’invecchiamento della popolazione dell’Ue procede inesorabile. Nel 1980, su 100 europei 22 avevano meno di 14 anni mentre 13 avevano superato i 65. Nel 2004 le due classi d’età hanno raggiunto il pareggio al 16,5%. Dal 2005 la proporzione si è invertita e continua ad aggravarsi. L’Italia, con il 14,2% di giovani, è il Paese che ne ha meno e si trova a molte lunghezze dall’Irlanda, il Paese che ne ha di più (20,7%). Un italiano su cinque ha più di 65 anni e davanti a Germania e Grecia l’Italia ha la più alta percentuale di anziani (19,4% della popolazione). Nonostante tutto però – e a fronte della violenza nelle famiglie, così sovraesposta nei massmedia - noi siamo convinti che “il futuro dell’umanità passa per la famiglia”. In un’epoca che conosce la precarietà e l’anonimato. cos’altro se non la famiglia può offrire fiducia e stabilità affettiva? Ce lo hanno confermato i ragazzi dagli 11 ai 14 anni intervistati per conto dell’UNICEF(maggio 2010): la famiglia “tie-
ne” nell’immaginario di adolescenti che per l’82% la considerano la istituzione più affidabile, la vorrebbero più unita e felice, la programmano per il loro futuro (benché in subordine all’incontro con qualcuno che sia veramente “la persona giusta”). Questi giorni ci regalano altre due buone notizie per la famiglia: il Parlamento Europeo ha bloccato i finanziamenti per le associazioni che promuovono aborto e sterilizzazioni, mentre negli Stati Uniti l’autorevole rivista Foreign Policy afferma che la vera bomba che minaccia il Pianeta è il crollo demografico, e per evitarla bisogna tornare a far nascere tanti bambini e bambine. Il 24 ottobre, nell’ambito del voto per il bilancio generale 2011, il Parlamento di Strasburgo ha confermato a maggioranza il rifiuto dell’Unione Europea a finanziare programmi di sviluppo, in cui sono coinvol-
te ONG e governi che promuovono piani di controllo demografico con aborti forzati, sterilizzazioni e infanticidi. E’ evidente che il Parlamento europeo non parte da principi religiosi o astratti, ma fa di necessità virtù perché risulta a tutti oggi più chiaro che i figli costituiscono il capitale per eccellenza di una nazione. Chi mette al mondo i figli, chi investe il meglio dei beni e dei risparmi sui figli, chi li cura con continuità che oggi si prolunga anche fino a 40 anni è solo la famiglia. Sì, perché l’essere umano non ha bisogno solo di essere nutrito, difeso, vestito, ma soprattutto di un ambiente caldo in cui nascere e crescere sicuri e soddisfatti di sé. Il futuro di una nazione dipende dall’esistenza nel suo tessuto sociale di famiglie forti e felici. GIULIA PAOLA DI NICOLA E ATTILIO DANESE
Sette figli 25 Anni insieme Siamo sposati da un quarto di secolo e genitori di sette figli. Nell’estate appena passata abbiamo festeggiato con tanta allegria il nostro 25° anniversario di nozze, ma la nostra storia è iniziata 32 anni fa! Due adolescenti alla ricerca della nostra identità, con tante domande sulla vita, con dubbi e paure e aspettavamo che qualcuno ci desse risposte concrete. Un giorno, in una chiesa di Teramo, ci siamo conosciuti e abbiamo ascoltato un annuncio meraviglioso: “Dio esiste. Ti ama così come sei e nel suo figlio Gesù Cristo può donarti la capacità di rompere ogni barriera,può vincere ogni angoscia,ogni ‘morte’…”. Abbiamo solo creduto che questa “buona notizia” fosse la verità, ci siamo messi in cammino insieme ad una comunità di persone come noi (giovani, anziani, ricchi e meno ricchi, colti e non) e, nel cammino neocatecumenale, abbiamo sperimentato la bellezza dell’amore di Dio nella Chiesa.
Questo ci ha spinti subito a vedere quale fosse la nostra missione e abbiamo sentito che la nostra strada era quella del matrimonio. Ci siamo sposati giovanissimi (Roberto 24 anni e io 22) con tanto entusiasmo, tanti sogni, con la meravigliosa immaturità dei vent’anni, convinti che non saremmo stati soli. E così è stato! Dopo venticinque anni di vita insieme e sette figli stupendi il nostro bilancio è questo: Dio è stato veramente fedele! Mai nelle nostre crisi, piccole o grandi, ci ha lasciati soli. All’inizio, tutto sembra facile. Ma quando ti rendi conto che l’altro è diverso da te e non può capirti fino in fondo; quando vedi le sue debolezze e non riesci ad accettarle; quando con i figli tu la pensi in un modo e lui in un altro, senza un punto di incontro; quando ti senti criticato, offeso; quando non sai come fare per aiutare un figlio in crisi, due sono le strade: o mandi tutto all’aria e te ne vai, o cerchi il dialogo,
il chiarimento, praticamente…il perdono. Su questa parola si basa la vita della nostra numerosa e rumorosa famiglia. Ogni giorno possiamo rimetterci in discussione e dire: “ Ho sbagliato, perdonami”. Non è semplice vedere quando sbagliamo, è più facile accorgersi dei peccati degli altri. Ma se hai una luce che viene dalla preghiera quotidiana, dall’ascolto della parola di Dio, dall’Eucarestia, dal perdono che per primo Cristo dona a te, e vivi tutto questo in una comunità concreta che ti incoraggia, ti rimprovera, ti accompagna, non è impossibile. Dio è stato fedele anche perché ci ha aiutato ad accogliere e crescere i nostri figli.
La Famiglia
focus on Pur con i nostri limiti ci siamo aperti alla vita senza calcoli, sapendo che la vita stessa non ci appartiene e che è un mistero grande. Ogni figlio è diverso, unico, e con ognuno ci vuole pazienza, rispetto, desiderio di correggere per amore. Tante volte ci siamo sentiti falliti, inadeguati; altre volte la stanchezza, la routine, la paura di sapere cose che non ci piacciono, ci farebbero desiderare di mettere i remi in barca e di lasciarci andare. Ma abbiamo imparato che, insieme a Cristo, i problemi vanno affron-
tati e che per amore ai nostri figli dobbiamo combattere per renderli forti. Contro la droga, la violenza, scelte insensate. Tutto questo sapendo che sono liberi, che non ci appartengono, ma ci sono solo affidati. Educarli alla fede è stata una grande sfida. Li abbiamo spinti a fare un’esperienza vera e personale di Dio, e adesso vediamo che, almeno i più grandi, non “vanno in chiesa” per noi genitori, ma perché hanno fatto esperienza che Dio li ama veramente. Due di loro sono in seminario per vedere se la
loro è una vera vocazione al sacerdozio. Abbiamo sperimentato anche che, nonostante vivessimo con un solo stipendio, non ci è mancato mai nulla. Dio ha sempre provveduto e ci ha insegnato a vivere con semplicità e gratitudine per tutto quello che ci viene dato. Insomma, che dire? Vivere la famiglia cristiana è una grande gioia, è allegria, nonostante i problemi e le difficoltà di ogni giorno. ROBERTO E ANTONELLA MARINUCCI
Psicoterapia di un cambiamento Psicologo e psicoterapeuta, Ernesto Albaniello spiega com’è concepita oggi la famiglia e come le dinamiche familiari siano in continuo mutamento. Negli ultimi anni c’è stato un cambiamento del concetto di nucleo familiare? Penso che in tutti i periodi storici la famiglia sia stata soggetta a costanti e continue trasformazioni. In questo momento i riflettori dei media considerano spesso la famiglia la struttura responsabile di molte cose che nella società non funzionano. Si dovrebbe però valutare se le patologie sociali si riflettono sulla famiglia che è una cellula debole, o se la famiglia non riesce a tutelarsi e salvaguardarsi in questo contesto sociale. I ragazzi, in questo particolare momento storico, vivono l’appartenenza alla famiglia in un duplice modo. Da un lato la famiglia rappresenta una “realtà rifugio”, perché la situazione critica che attraversiamo oggi non lascia soluzioni alternative se non quelle del nucleo familiare e dunque funge da grande contenitore protettivo. Dall’altro la famiglia “sta stretta” perché non è sufficientemente interprete dei vari processi di cambiamento per i quali gli adolescenti sono molto più sensibili. Reputo giusto che il giovane confligga con la generazione precedente per andare verso equilibri più avanzati, ma nelle nostre circostanze, si trova di fronte ad una realtà
sociale che è meno recettiva di un tempo a quelle che sono le istanze giovanili. La famiglia, dunque, diventa una sorta di realtà da cui prendere le distanze e verso la quale ritornare per avere un rifugio. Le violenze familiari sono un fenomeno in espansione? L’idea diffusa di perdita di valori non è che mi appassioni molto, di fatto le più svariate generazioni continuano a contenere gli stessi valori. Il valore familistico di per sé non lo vedo messo in crisi. Se dovessi invece, individuare una vera emergenza dal punto di vista educativo direi che è la sfera emotiva dell’individuo quella che mi preoccupa. I media hanno una qualche responsabilità in questo processo perché sbattono in prima pagina certe informazioni che portano poi a dare inevitabilmente un quadro razionalizzato dell’accaduto. L’affievolimento delle emozioni è dato dal fatto che facciamo retrocedere la parte emotiva che ci appartiene ancor prima che determinate reazioni ci pervadano. L’analfabetismo emozionale è una malattia portata agli onori dei cenacoli scientifici. ma non riesce ancora a bucare molto il circo massmediologico. Il così detto villaggio globale finisce per creare tante schegge impazzite che tutto hanno fuorché un rapporto solidale con il prossimo. La “alessitimia”, assenza di un quoziente emotivo, si vede suffragare nei nostri rapporti umani. Quali sono le patologie che potrebbero
insinuarsi all’interno delle famiglie? Un adolescente che conosce ancora poco la società esterna è chiaro che si affidi alla famiglia. Le situazioni non basate su retti principi lasciano l’adolescente attonito, perché le sue coordinate, che pensava fossero basate su principi di fiducia, cadono. Non dobbiamo affidarci solo a fatti eclatanti, ci sono tanti altri fenomeni di anomalia. Ciò è dato da un momento critico che l’economia sta attraversando e che le famiglie fanno difficoltà a gestire. L’adolescente non ha una perfetta concezione del restringimento del potere di acquisto della famiglia e questo è causa di moltissimi conflitti di carattere economico. Oggi bisognerebbe più che mai sostenere la famiglia perché abbiano un supporto sociale per attrezzarsi a recuperare una serie di rapporti relazionali che è andata dimenticando. La famiglia non viene supportata dalle istituzioni? No. L’economia anche al livello alimentare si sta prodigando per fare prodotti monoporzione perché il single, condizione sempre più diffusa, non ha un particolare gravame di tipo contributivo e tutto sommato deve badare solo a se stesso. Due persone che gestiscono una famiglia si trovano, invece, a dover fronteggiare un costo enormemente superiore per cui c’è una decentivazione a mettere su famiglia. Per esempio, Teramo, qualche anno fa, era
la prima città, insieme a Genova, che aveva il maggior numeri di divorzi e separazioni con una crescente evoluzione. Teramo è una città con le sue luci e ombre né più e né meno delle altre città del nostro sistema paese. Come potrebbe essere la formazione di un bambino all’interno di una famiglia allargata? I ragazzi percepiscono e si identificano in quella che è la realtà in cui gli è dato crescere e si modulano nel loro contesto. Nella famiglia allargata la trasmigrazione tra un abitazione e l’altra non penso sia
una difficoltà presente nei ragazzi, quanto una complessa articolazione organizzativa che va a determinarsi. Questo perché i ragazzi, crescendo, cominciano ad avere interessi di tipo extra familiare, lì le diverse programmazioni, date dal tribunale, vanno a farsi benedire. I figli non possono essere gestiti secondo i canoni di un tribunale che ti porta a dover trovare nuove soluzioni sempre più spesso. Per quanto riguarda le coppie omosessuali? Il discorso si fa molto più delicato e complesso, ritengo che in ogni caso il ragaz-
zo che si trova a vivere con una famiglia eterosessuale riceve delle indicazioni che più facilmente ritrova nella società. Io non starei tanto a deplorare o biasimare una coppia omosessuale, anche se di fatto presenta una sua delicatezza intrinseca, quanto perché poi, nell’ambito sociale questo genere di esperienza non trova un riscontro o ne trova pochissimi.
DANIELA MANTINI
Quando la domenica è “allargata” Ho sempre desiderato vivere nella cosiddetta “famiglia Mulino Bianco”: un papà tenero e disponibile, una mamma bella e competente, i ragazzi sempre pronti a fare ciò che i genitori chiedono e perché no, un cane fedele. ...”E tutti vissero felici e contenti”! Mi chiamo Emma, ho 23 anni, vivo con mia madre, il suo compagno Alberto e il nostro gatto. Papà abita non molto lontano da me, con sua moglie e Jacopo, il loro figlio. Son passati vent’anni dalla separazione dei miei genitori, eppure ogni volta che racconto la mia storia e le sensazioni vissute, tutti i ricordi e i rancori che credevo essermi lasciata alle spalle, tornano ad affollare la mia mente. Il ricordo più ingombrante, forse anche il più doloroso, è quello di una bambina un po’diversa rispetto ai suoi coetanei. Alcuni compagni mi definivano strana, altri bizzarra. Non potevano capire che avevo perso la spensieratezza propria dell’infanzia; perché avevo fatto troppo presto i conti con una realtà difficile. I bambini si nutrono di fantasia, di favole e di sogni che, se vengono prepotentemente infranti, possono trasformarsi in un graffio indelebile nell’anima. Dico questo perché se anche quest’ esperienza di vita mi ha
resa forte, indipendente e determinata, paradossalmente sono una fragile donna dall’animo inquieto e malinconico, alla ricerca di un rifugio dal mondo esterno, il caro e dolce luogo degli affetti. Tutte le volte che parlo di mio padre mi manca il fiato. Dimentico il mondo che respira. Da bambina lo vedevo solo nel fine settimana, e mi portava dove non serviva sognare, perché il mio sogno era addormentarmi vicino a lui e vederlo ancora al risveglio. Avevo nove anni quando si è sposato con Sonia, tredici quando è nato Jacopo. Credo sia stato uno dei momenti più difficili della mia adolescenza. Avevo paura di essere privata anche di quei pochi momenti che trascorrevo con lui, pensavo che avrebbe ricostruito una “vera” famiglia senza di noi. Impazzivo all’idea di loro tre insieme e felici, e invidiavo il mio fratellastro. Perché lui solo poteva godere ogni istante delle attenzioni e dell’affetto di quell’uomo, che io e mio fratello aspettavamo scalpitanti il sabato, dopo pranzo, davanti alla porta di casa. Ero persino gelosa che Jacopo potesse assomigliare a lui, e che un giorno avrebbe ascoltato le stesse favole che qualche anno prima mio padre aveva inventato per me.
Sono passati nove anni da allora, oggi Jacopo è un bambino meraviglioso, che amo non solo come una sorella ama un fratello, ma come una madre ama un figlio, perché per la prima volta, grazie a lui, mi sono arresa all’amore. In lui rivedo l’immagine di mio padre, e ciò rende il nostro legame ancora più speciale. Dall’amore nasce solo Amore, questa è la regola. Non avevo fatto nulla per lui, eppure mi regalava attenzioni, sorrisi, disegnava su un foglio il mio ritratto, attento a non sbagliare il colore dei miei capelli e degli occhi. Con un’unica arma, il suo amore incondizionato, giorno dopo giorno abbatteva l’insormontabile barriera che io, un’adolescente confusa, avevo innalzato. Jacopo non solo ha vinto tutte le mie paure, ma ora non potrei mai immaginare una vita senza di lui, e senza tutte quelle persone che intimamente ne fanno parte. Alberto e Sonia sono adorabili, e nel momento del bisogno mi hanno sostenuta e aiutata alla pari dei miei genitori. Spesso passiamo del tempo tutti insieme. A molti sembrerà assurdo. Per me che da sempre sono stata contro corrente, è un
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gran sintomo di intelligenza, e ancor di più la prova, che anche in una “famiglia allargata”, possa regnare l’amore reciproco tra tutti i componenti, oltre al rispetto e alla fiducia . Nonostante ormai non mi sfiori nessun pregiudizio, aver accettato una condizione e convivere con un dolore non vuol dire averlo superato. E’ un fardello quotidiano, rimbomba come un’eco fastidiosa, un rumore impossibile da soffocare. Ha ragione la mia saggia nonna, quando dice che le famiglie di un tempo sono scomparse, che è svanito quello spirito di sacrificio e di devozione indispensabile per tenere unita una famiglia. Oggi nel giro di pochi anni le coppie si sposano, procreano, divorziano, si risposano e procreano di nuovo. Ci si lamenta delle nuove generazioni, spesso accostando ai giovani aggettivi come “irrispettosi”, “maleducati”, “incivili”,”superficiali”. Indubbiamente, pur “non facendo di tutta l’erba un fascio”, è un dato oggettivo. Ritengo che la causa sia da ricercare nella perdita dei valori insiti da sempre nell’istituzione “famiglia”. Vorrei concludere il mio racconto con le parole della mia amica Amelia, affinché possano essere un augurio speciale per tutti i ragazzi che come noi hanno vissuto quest’ esperienza di vita; affinché tutti i figli delle “famiglie allargate”, memori della loro condizione, abbiano in futuro la forza di creare “famiglie”degne della “Mulino Bianco”, pur senza una colazione pantagruelica sulla tavola, in un casolare circondato da spighe di grano che si muovono accarezzate dal vento: “Tra poco sarà Natale, nella Santa Messa verrà riesumata l’immagine del presepio: Giuseppe, Maria e il bambinello. Certo, a noi “strani” figli di separati, piangerà il cuore. Ma come ogni anno dobbiamo stringere i denti, e magari pensare che un giorno, perché no, la metteremo su noi una bella famiglia. Ora però lasciamo i ricordi e i rimpianti di un Natale passato insieme a “tutti e due”, pensando che ciò ci ha fatto crescere con un non so che di speciale, che ha permesso alle nostre anime di elevarsi e imparare ad amare anche altre persone come veri e propri familiari”. EMMA M., TERAMO
Mura domestiche e psicopatologie La Costituzione italiana con l’articolo 29, riconoscendo e definendo la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ne riconosce i diritti. E’ un’istituzione, ma anche un gruppo che ha subito molti cambiamenti durante il corso della storia, trasformandosi progressivamente da quella che era la cosiddetta famiglia “tradizionale”. L’istituto familiare è oggi meno protetto dalle leggi e meno ancorato alla tradizione, alla cultura e ai valori religiosi, per cui va incontro a svariati cambiamenti nel proprio modo di comunicare e di interagire. Sono germogliate così alcune configurazioni, in alcuni casi foriere di disagio psichico, quali le organizzazioni statiche, quelle deleganti, quelle paranoidi, quelle con falso spontaneismo, quelle stereotipe che obbediscono ai modelli proposti dai mass media, quelle incapaci di trasmettere sentimenti che sostituiscono gli affetti con gli oggetti materiali, quelle iperprotettive oppure quelle eccessivamente permissive. Si riscontrano quadri psicopatologici in aumento riconducibili causalmente ad un nucleo familiare disturbato nei suoi principali rapporti: basta considerare i disturbi border-line, narcisistici, gli evitanti oppure i dipendenti, gli antisociali, le tossicodipendenze e i disorientamenti in merito all’identità di genere per risalire a famiglie di provenienza disunite, affettivamente instabili, in taluni casi violente, indifferenti o incapaci di comunicare. In ogni caso, anche
senza riferirsi a situazioni di franche psicopatologie, si ritrova uno strisciante disagio psichico piuttosto diffuso. Uno dei mali della società contemporanea è sicuramente l’alterazione dei rapporti interpersonali all’interno della famiglia con il suo sgretolamento e la trasformazione in luoghi in cui si convive, ma dove non si condivide. Il nucleo primordiale dell’esperienza umana, quella famiglia che dovrebbe accogliere ed elaborare, capire e sostenere, oggi non è più in grado di svolgere una tale funzione, essendo divenuta una sorta di contenitore del malessere conseguente al benessere. Una devianza intra-familiare sviluppatasi con l’accentuarsi della crisi della famiglia, che trova riscontro nel vertiginoso aumento di separazioni coniugali e interruzioni di convivenze di fatto, nella pluralità di modelli familiari, nei maltrattamenti e negli abusi e nei ripetuti omicidi familiari che fanno parlare di “figlicidi”. Il riscontro di famiglie insospettabili che tengono gelosamente celate tra le mura domestiche vistose carenze, drammi e reati. Come in “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman, tutto viene celato, tenuto nascosto sino all’inevitabile esplosione della tragedia. Con tanto di circo mediatico pronto a rappresentare l’irrazionale e a dare in pasto al telespettatore la tragica esperienza del mondo. GABRIELE SALINI (PSICHIATRA)
Un aguzzino per marito Ha bisogno di parlare perché chissà da quanto tempo non è stata capace di farlo. Le sue parole paiono rassegnate, nascoste in un tono sommesso di chi forse ha perso la forza di reagire. L. D., quarantacinquenne teramana, confida come la sua vita sia cambiata nell’ultimo anno. Improvvisamente divenuta un incubo per via del marito, un uomo che quando lo si incontra a passeggio per le vie del centro sa essere cordiale e dispensare sorrisi. Uno dei tanti (chissà quanti…) casi sottaciuti di violenza domestica. Un male che esiste, ma non si vede. Le sue mani affusolate si contraggono febbrili mentre racconta. “In questi casi, il nemico più grande diviene la paura. Negli ultimi mesi, anche quando sono in casa da sola, non riesco più a svolgere serenamente le mie cose come un tempo: l’ansia mi condiziona e mi sento controllata. Tutto questo da quando, una sera, lui è rientrato
e mi ha afferrato alle spalle mentre ero al computer… “. La violenza fisica diviene solo una parte dolente di un problema ben più complesso. “In questo periodo il mio stato d’ansia sento che si sta ripercuotendo sul mio fisico. Sono dimagrita di 10 kg dalla fine dell’estate, anche per via del sonno, sempre più raro e tormentato. Il rapporto con il cibo sta diventando problematico, visto che salto quando posso i pasti mentre, in alcuni particolari momenti, mangio a più non posso, per compensare una mancanza di stima in me stessa che sento crescere giorno dopo giorno”. Un legame di forte dipendenza si crea tra la vittima e colui che una volta era l’amore di una vita, a tal punto da portare L., paradossalmente, a temere di non saper compiacere più quello che ormai è diventato un aguzzino, non più un marito. Una
Tre donne una tragedia Fata e strega contemporaneamente, una novella Calamity Jane secondo la procura che chiese 24 anni; una donna da perdonare secondo la difesa. Come spesso accade chi giudica si mise nel mezzo condannandola a dieci anni riconoscendole le attenuanti. Sono passati tanti anni da quel dicembre del 1994 quando la giovane Mascia Torelli assassinò il padre Dalmarino, noto industriale giuliese dei caminetti. Nel leggere gli atti del processo si manifestano evidenti atrocità di riduzione in schiavitù: Katiuscia, la prima figlia, aveva subito una malformazione alla schiena perché il genitore l’aveva legata al soffitto per una gamba ed un braccio per essere stata rimandata in matematica. Mascia era talmente terrorizzata che tentò il suicidio per un brutto voto. Una volta il padre l’aveva gettata a terra e calpestata per punirla della fuga del cane. Dopo l’ennesima dose di botte per un mandarino avvizzito capitato nel cesto della frutta, la ragazza uccise il padre con la pistola di quest’ultimo, un po’ per liberazione, parecchio per proteggere sua madre e sua sorella. Dopo questo momento temuto quanto atteso, lei avrebbe voluto uccidersi, ma non l’ha fatto e si è costituita. Nessuno, durante il processo, ha avuto parole d’affetto per questo padre-padrone
mostruoso. Anche la sorella Maria ha parlato durante la deposizione di un “clima di terrore” instaurato dal fratello che comandava moglie e figlie con gesti delle dita, se non delle sopracciglia. In un momento di pessimismo euripideo la stessa Mascia disse che sarebbe stato meglio “non essere mai nata”. Nelle motivazioni della sentenza fu definita “una ragazza rimasta ancora allo stato adolescenziale, perché cresciuta in una gabbia psicologica”. Cosa possa spingere una persona mite –non una criminale, ma una persona che commette un crimine, direbbe Franca Leosini, giornalista di “Storie maledette”- a commettere un delitto è difficile capirlo e spiegarlo: ci si rimette così sempre a concetti vaghi e generalissimi, come la rabbia, la frustrazione, i complessi, la bassa autostima, il solito conflitto generazionale genitori-figli, la sofferenza quotidiana sottaciuta che si vive in una famiglia apparentemente normale. Si sopporta sempre più sperando che le cose cambino, fintantoché l’istinto di protezione ed autosopravvivenza prevale quasi animalescamente sul raziocinio, a fronte dell’episodio che rappresenta la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso. IVAN DI NINO
terribile sensazione di dipendenza e di impotenza che blocca il respiro. “La quotidianità è divenuta pian piano un tunnel asfissiante dentro il quale io mi muovo a malapena e di cui non vedo l’uscita. Ogni mio gesto viene osservato, criticato, spesso senza alcun motivo. Non posso navigare né chattare liberamente, così come per il cellulare: i messaggi sulla mia rubrica telefonica vengono letti giornalmente. Sento di non avere più una mia vita, ogni forma di privacy è stata cancellata”. Una gelosia, quella del marito, che si ripercuote soprattutto sulla vita sociale di L., rinchiudendola in una sottile pellicola di solitudine.“Molti dei miei colleghi di lavoro hanno capito la mia situazione ed ora evitano persino di salutarmi se mi incontrano al di fuori dell’orario di ufficio. Le mie amiche, soprattutto se single, per lui sono diventate ‘un problema’, tanto da proibirmi in più di una occasione di uscire con loro anche solo per mangiare una pizza. Una gelosia compulsiva è emersa in mio marito da tempo, ed un semplice taglio di capelli è divenuta una scusa per prendermi di forza e schiaffeggiarmi”. Verrebbe spontaneo domandarle perché continuare a subire questa follia, ma le sue parole anticipano e riassumono tutto in una semplice, grande parola: figli. “Fino ad ora ho cercato di sopportare per non sconvolgere la vita dei miei due bambini. La più grande in particolar modo inizia ad entrare nella fase delicata dell’adolescenza e non voglio che subisca ripercussioni psicologiche. O almeno così pensavo, fino a qualche tempo fa. Mi sento una sopravvissuta che per il senso del dovere verso i propri figli tace di fronte alle piccole e grandi violenze di ogni giorno. Per questo lotto con me stessa e continuo a condividere il letto con quello che considero il mio aguzzino”. Le mani finiscono ad asciugare il volto che si copre di lacrime. L. si sfoga, poi mi sorride. “E’ da qualche giorno che ho deciso di liberarmi di questo peso. Credo sia giunto il momento di riprendere la mia vita, così come la mia dignità. A breve chiederò la separazione, per troncare una volta per tutte una violenza fisica e psicologica che mi sta annullando. Ora io dico basta”. RAUL RICCI
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“Da Da Nuova Delhi a Teramo con i miei genitori adottivi”
Una scuola per i genitori Oggi la scuola non vive momenti di alta considerazione all’esterno: le cause sono tante e di diversa natura. Un aspetto, però, è di fondamentale importanza, prima di qualsiasi analisi e di qualsiasi giudizio: fortunatamente dal ’63 in poi, con percentuale sempre crescente, si è debellato totalmente l’analfabetismo e tutti i cittadini, di ambo i sessi, si sono obbligatoriamente seduti sui banchi di scuola. Se, da una parte, questo fenomeno è altamente positivo, dall’altra, disparate implicazioni, soprattutto di carattere sociologico, apportano a novità e a cambiamenti da richiedere valutazioni molto attente. E’ vero pure che la società è in continua trasformazione cui non corrisponde l’adeguamento da parte della scuola. La famiglia stessa si è evoluta all’insegna della parità dei diritti dei suoi membri e, forse, dell’eccessivo garantismo verso questi ultimi. I genitori assolvono il proprio ruolo con maggiore responsabilità e collaborazione. Il coinvolgimento emotivo, tuttavia, spesso non permette quel contributo necessario alla formazione e ad una crescita meno condizionata dei propri figli. L’iperprotezionismo è di ostacolo ad un rapporto finalizzato alla corretta educazione e istruzione dei ragazzi. Un breve excursus storico potrebbe evidenziare l’apporto dei genitori alla vita della scuola, a cominciare dall’istituzione della scuola media unica del ’63 ai decreti delegati del ’74 con la presenza e la partecipazione agli organi collegiali, dalla 517 del ’77 alla riforma dei programmi della scuola elementare e all’introduzione del team di docenti, fino alle riforme dei ministri Berlinguer, Moratti, Fioroni e Gelmini. Tutti questi interventi hanno formato in modo diverso gli attuali genitori che, quasi sempre laudatores temporis acti, eludono le necessità incombenti per un futuro di certezze. Ciò premesso, al di là di eclatanti episodi assurti all’onore della cronaca nazionale, la quotidianità registra fatti di continua opposizione e di scontro tra genitori e scuola, tra alunni e docenti. Da una parte, gioca un ruolo fondamentale la sfiducia verso le istituzioni e, dall’altra, la cultura del suc-
Quella che provo a riportare qui è la mia testimonianza di famiglia adottiva. Non so bene da dove iniziare. Certo è, che sono chiamato a trattare dell’evento che segna la mia vita. Non credo di avere avuto mai occasione di riflettere circa questa cosa. La mia adozione è un’esperienza che proprio in questi giorni ha compiuto 25 anni. Un percorso, una vita, nella sua quotidianità come tante altre. Fatta di casa, affetti, passioni. Una vita normale in tutti gli aspetti, in una famiglia come tutte. Il vero tratto distintivo credo vada ricercato nella
cesso, diffusa, anche a livello di propaganda e di pubblicità occulte, dai mass-media e dalle attività di tempo libero da cui è, in toto, bandita l’accettazione della sconfitta. Per un genitore è disfatta anche il 7 in una disciplina, preso dal proprio figlio, solo perché il compagno ha meritato 8! Ecco, allora, è autorizzato a protestare e a mettere in discussione tutto l’impianto dell’offerta formativa dell’istituto: i docenti sono definiti ignoranti, poiché si accaniscono contro i figli e l’istituzione è un fallimento in quanto incapace di realizzare modelli cristallizzati come una volta. Queste prese di posizione, vero danno irreparabile, vengono inculcate nella mente dei figli che, così protetti, si sentono autorizzati a trasgredite su tutto. Il declino delle istituzioni è frutto di un decadimento morale dell’uomo, ormai paradigma di comportamenti deviati e devianti imposti da pseudo e negativi contraddittori. Compito della scuola è formare il cittadino a un nuovo umanesimo, che la stessa crisi globalizzata sta suggerendo, basato sull’etica del sapere, del saper fare, del saper essere e del saper essere insieme. DI
MICHELE CILIBERTI (DIRIGENTE SCOLASTICO)
sua origine. Un padre e una madre nuovi: e con quel “nuovi” non intendo tanto due genitori diversi da quelli naturali - loro neanche li ho conosciuti probabilmente. Ufficialmente ero orfano presso uno degli istituti di Madre Teresa di Calcutta, a Delhi (India). “Nuovi” perché aperti alla novità. Con uno sguardo e un amore che andava un po’ oltre il comune sentire. Certo, trent’anni fa non esisteva, credo, la procreazione assistita e tutte quelle nuove tecniche che possono aiutare nell’avere una prole propria. Questa roba poi, non la posso sentire. Perdonatemi ma, nella mia posizione, proprio non riesco a comprendere questa ostinazione nel volere un figlio proprio a tutti i costi, forzando anche la natura, ricorrendo a provette e a giochetti poco etici. Il mondo è già pieno di bambini bisognosi di genitori. Perché “crearne” di nuovi? E torno al mio caso: quale sorte mi sarebbe toccata nel Paese delle Caste, degli intoccabili, degli ultimi? I miei genitori adottivi, probabilmente mi hanno salvato la vita. Lo hanno fatto desiderandomi come qualsiasi altro genitore, ma con uno slancio di amore in più che li ha portati praticamente a cercarmi. Due sconosciuti hanno affrontato prima se stessi e poi un lungo iter burocratico per venire a prendermi dall’altra parte del mondo. La mia vita è segnata da questo: da un amore incondizionato che sin dall’inizio mi ha portato a essere quello che sono oggi. Dal non avere nulla, sono cresciuto senza che mi fosse mancato mai qualcosa. Ho avuto la possibilità di avere una vita normale, tanto che a volte quasi dimentico questa mia “diversità”. Che mi rende un po’ speciale. E allora tutto assume un senso diverso. Amici, studio, lavoro, amore, gioie e sofferenze non appaiono più come cose tanto scontate. Tutto questo è stato un dono. Un dono enorme offertomi da due semplici persone: mio padre e mia madre. VALERIO VINÒD SILVERII
“Sono omoaffettivo e adotto un figlio” Il premiato spot dell’Ikea mostra una coppia gay insieme alla figlia e al cane. Un papà è nero, l’altro bianco, la bambina asiatica e la voce fuori campo recita: “Perché i divani non possono essere di mille tonalità diverse come le famiglie?”. Questo spot ha fatto il giro del mondo, ma non è giunto in italia dove sull’argomento famiglia omosessuale c’è davvero ancora molta strada da fare. Diritti non riconosciuti e una chiesa cattolica che combatte forse l’ultima crociata contro questo genere di unioni, hanno relegato l’Italia ad essere uno dei paesi più arretrati dal punto di vista delle unioni omosessuali. Abbiamo incontrato un cittadino teramano, che alla luce del giorno ha costruito una vita affettiva insieme al suo compagno e che ci ha parlato della sua esperienza. La città, secondo lei, risponde bene a questi tipi di cambiamenti della società? Ha mai incontrato difficoltà nell’essere dichiaratamente omosessuale? La città risponde benissimo secondo quella che è la mia esperienza. Teramo è una città che non ha pregiudizi nella maniera più assoluta, è una città discreta che valuta la persona come individuo. Invece a livello nazionale, qual è la situazione? Il quadro nazionale attuale è un quadro in evoluzione, giuridicamente, ci stiamo adeguando a quelle che sono le normative europee, ma molto lentamente. Il concetto di famiglia omosessuale o comunque omoaffettiva è una realtà che esiste qui a Teramo come esiste in tutta Italia e in Europa, ed è assurdo che ancora non si voglia garantire un minimo di tutela al partner o ai bambini che sono all’interno della coppia. A chi o a cosa imputa la lentezza dell’adeguamento del nostro paese alle normative europee? La chiesa cattolica, cerca di far passare un messaggio negativo degli omosessuali e delle unioni tra omosessuali, che non possono dare vita a una famiglia perché non può esserci la riproduzione. Oggi basta andare all’estero e si può concepire un bambino, che è biologicamente vostro. Questo in Italia è impensabile. In realtà le coppie omoaffettive, come nel mio caso, sono coppie durevolissime, che esistono da anni, la mia da ben venti. Siamo, inoltre, gli unici a volersi sposare, in un quadro generale di coppie eterosessuali che sembrano rifuggire sempre più dal matrimonio. A differenza di quello che i luoghi comuni amano definire, siamo nella maggior parte dei casi monogamici. Ovviamente non generalizzerei, ma in linea di massima crediamo molto nei nostri rapporti affettivi. Ci manca ogni forma di tutela, dal momento in cui non ci vengono riconosciuti diritti come coppia e per questo motivo ci tuteliamo da soli quotidianamente. Nel campo delle adozioni, cosa prevede l’Italia per le coppie omoaffettive? Noi siamo l’unico paese europeo insieme alla Polonia che vive con grande arretratezza questa situazione, per la presenza dello Stato pontificio in Italia. A mio avviso, la Chiesa non è vicina alla vita concreta delle persone e non può imporre allo Stato di non fare leggi che l’adeguino alla comunità europea. Noi omosessuali siamo molto legati. Come comunità che ha subìto da sempre discriminazioni, ci supportiamo, ci scambiamo informazioni, portiamo avanti le nostre battaglie. Siamo tanti e non identificabili
perché lontani dai cliché che tanti film scherzosamente propongono. Siamo ottimamente rappresentati in parlamento da Nichi Vendola e da Maria Paola Concia che cercano di portare avanti l’opportunità di adeguare il Paese. Mi auguro al più presto che l’Italia recuperi il gap con gli altri paesi. Io lavoro molto all’estero e le differenze sono enormi. Pensate che a Londra organizzano veri e propri corsi per i papà gay. La società nonostante i giganteschi passi avanti, non sembra essere sempre pronta ad affrontare il tema dell’omosessualità e di una famiglia non “tradizionale”. Lei non ha paura che suo figlio possa incontrare delle difficoltà nel rapportarsi con questa società? Nel mio caso il bambino è ben inserito nell’ambiente scolastico, poi avendo l’opportunità di viaggiare spesso per lavoro ha la possibilità di costruirsi una formazione culturale differente. Esistono comunque delle associazioni, come Arcobaleno, che tutela le famiglie omoaffettive, organizza meeting e incontri dove i bambini vengono relazionati fra loro e hanno alle spalle famiglie perfettamente equilibrate. Con i bambini basta essere sinceri, dir loro la verità, raccontare loro dell’esistenza di una madre surrogata con la quale può rimanere in rapporti costanti. L’amore verso il nostro bambino è un amore centuplicato per mille. Ci sottoponiamo a percorsi di psicoterapia analitica, comportamentale, cosa che spesso le famiglie tradizionali non fanno. Siamo preparati per crescere bene un bambino e integrarlo bene nella società,senza paure. I bambini delle coppie omoaffettive, nati né più né meno che da un atto d’amore, hanno una famiglia esattamente come quella tradizionale, con zii, zie, cugini. Basta aprirsi concettualmente per imparare ad accettare quel diverso che fa tanto paura e genera confusione. L’omosessuale non è pedofilo, è cosciente del proprio orientamento sessuale e condanna qualsiasi tipo di atto contro i bambini Quindi si può affermare che nonostante la Chiesa, qualcosa stia cambiando? Assolutamente sì. La paura del diverso nasce dall’ignoranza. Quando la paura viene colmata con la conoscenza e ci si accorge che la persona omosessuale fa una vita ordinaria e organizzata come gli altri, ha delle passioni, degli interessi comuni a tutti, è possibile rendersi conto che il pregiudizio iniziale, non c’è più. In questo senso oggi c’è sicuramente un atteggiamento più intelligente nella comunità omosessuale rispetto agli anni cruciali in cui si voleva uscire fuori con violenza,quasi imponendoci come con i gay pride. Ora l’omosessuale ha un’immagine rassicurante, si confonde tra la gente, potrebbe essere chiunque insomma. Vista la lentezza del nostro Paese che ancora fatica a stare al passo con i tempi, lei non ha mai pensato di trasferirsi all’estero? No, sono italiano, e a Teramo ho la mia famiglia. Mi piace stare qui, per quello che tradizionalmente ha di bello l’Italia. Non esiste che me ne debba andare.Anzi, se serve per dare un esempio e per fare crescere la mia nazione, ben venga! VALENTINA DI SIMONE
La Famiglia
La Famiglia
Convivere senza sesso Aspettando il giorno del si’ Alcuni pensano che siamo matti e ci additano quasi fossimo una specie rarissima. Del resto, anche quando mettiamo al primo posto, di domenica, la Messa piuttosto che una gita in montagna, non è che ci comprendano fino in fondo. In verità, io e Mario ci sentiamo una coppia che “ha scelto”, e questa nostra scelta ci fa sentire, in verità, liberi. Di offrire anche le difficoltà, le tentazioni, i momenti di crisi, a un essere superiore che non ci impone nulla. Ma andiamo per gradi. Quando ci siamo incontrati e piaciuti, otto anni fa, i primi tre li abbiamo vissuti in pieno, come tutti i fidanzati di oggi. Fino a decidere di andare a convivere. Pur desiderando il matrimonio, rimandavamo per le solite incertezze economiche che accomunano, purtroppo, moltissime coppie, oggigiorno. Poi è successa una cosa non
prevista. Forse già scritta da qualche parte, però. Un amico comune ci ha invitati a un incontro che, in un certo senso, ha cambiato il nostro modo di vedere la vita. In meglio, naturalmente. E’ iniziato un percorso di fede, nel quale -e lo sottolineiamo con forza- nessuno ci ha costretto a nulla. La castità è entrata spontaneamente nella nostra casa. Per molti questa scelta può apparire assurda -in particolar modo nei tempi che viviamo, dove il sesso è sbandierato ai quattro venti e in tutte le salse. Invece, nulla è complicato se lo si fa in piena libertà, appunto. Come è capitato, e succede ogni giorno, a noi due. Certo non sarebbe giusto dire che va tutto benissimo, che non abbiamo tentennamenti, che le tentazioni non si presentano regolarmente. Ma riusciamo a “sfuggirle” con qualche stratagemma, an-
dando avanti nel nostro cammino. Dio non chiede la nostra rinuncia, ma siamo noi che gliela offriamo, sapendo, tra l’altro, che ci sono molte coppie in castità come noi. E altrettanto libere. Quando potremo sposarci, allora vivremo pienamente il nostro rapporto. Il matrimonio è un obiettivo condiviso, che arriverà. L’unica cosa che ci dispiace sottolineare è l’incredibile controsenso di questi anni. Nei quali vizi e disordini familiari sembrano “naturali”, mentre le virtù sono guardate con sospetto. Non sarebbe male leggere, ogni tanto, sui giornali di belle azioni e vicende a lieto fine. Io e Mario, così come le altre coppie che seguono lo stesso percorso, forse facciamo notizia a rovescio. Ma siamo contenti così. MARIO E MARIA, TERAMO
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Problema Ateneo Ateneo? Il piatto piange “Bisogna avere coraggio di cambiare l’Università, non difendendo lo status quo ma premiando i giovani meritevoli, i nuovi ricercatori e le Università che puntano sulla qualità eliminando gli sprechi e i corsi inutili”. Parole del ministro Gelmini. La riforma universitaria tiene banco nelle università italiane dove la protesta incalza soprattutto tra i ricercatori che chiedono la regolarizzazione di una categoria fondamentale per il tutto il sistema universitario. Gli atenei ritardano l’inizio delle lezioni del nuovo anno, con alcune eccezioni, e scendono in strada per contrastare una riforma che per molti mette definitivamente in ginocchio l’istruzione italiana. Abbiamo intervistato su questo tema Giovanni Di Bartolomeo, professore associato di politica economica presso la facoltà di Scienze della Comunicazione a Teramo. Quali le sue impressioni su questa riforma che tanto fa discutere? La mia impressione generale è che la riforma non affronti quello che è il vero problema dell’università italiana, ovvero la mancanza di risorse. I problemi dell’istruzione italiana, ci metto anche quelli della scuola, non si possono risolvere con una riforma a costo zero, e se si vuole importare quello che funziona dall’estero, come sembra, forse bisognerebbe andare a guardare la spesa sul Pil dei paesi esteri cosiddetti virtuosi in termini di istruzione. Secondo il ddl non tutti gli atenei riceveranno gli stessi fondi, quelli migliori ne riceveranno di più; non tutti i professori riceveranno lo stesso stipendio, ma quelli migliori avranno di più. In questo senso secondo la Gelmini si creerebbero incentivi a migliorare… Per ora sono stati bloccati gli scatti agli stipendi dei docenti, che di fatto pagheranno l’istruzione degli studenti rinunciando a circa centomila euro ciascuno sul loro reddito totale, un po’ come avviene quando si crea lavoro con gli stage a pagamento, chi lavora paga. Ad ogni modo, la maggior parte dei docenti è d’accordo sulla meritocrazia, il pro-
blema è che i seri sistemi di valutazione ex ante ed ex post sono costosi e ovviamente non contemplabili all’interno di una riforma a costo zero. L’unico punto positivo è il ritorno del concorso nazionale, che garantisce più pubblicità e trasparenza alle procedure di selezione. Si può parlare di riforma contro il potere dei cosiddetti “baroni” ? Questa idea che viene spacciata in giro secondo cui questa riforma avrà l’effetto di eliminare i cosiddetti “baroni” dal sistema universitario fa abbastanza ridere, basta notare che la riforma è supportata dalla CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, e osteggiata in primis da ricercatori e studenti. Per non parlare della norma salva rettori e del fatto che nei concorsi per associati e ricercatori ora delle commissioni fanno parte solo i cosiddetti “baroni”, mi sembra un ragionamento un po’ incoerente. A proposito dei ricercatori, che idea si è fatto della loro protesta? Qui occorre chiarire un’ambiguità, i ricercatori sono una categoria di persone che lavorano nell’università a tempo indeterminato, pagate poco, come tutte le categorie docenti, almeno in termini comparativi rispetto gli altri paesi sviluppati. La loro protesta è articolata su posizioni diverse; in parte si protesta per i problemi del sistema dell’istruzione e in parte per la loro posizione. Sulla prima sono d’accordo, sulla seconda si tratta di una protesta legittima, ma una protesta che riguarda una categoria che non si risolve certamente “regalando” avanzamenti di carriera, ma garantendoli ai meritevoli. Questa, credo, sia la posizione non solo mia, ma anche dei più bravi; occorre notare che non tutti i ricercatori, come non tutti i gli altri docenti, sono cervelli in fuga, molti in un’università straniera non sarebbero mai assunti. Quindi i ricercatori di adesso non sono precari?
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In senso lato ricercatori sono i precari (dottorandi ed assegnisti), i ricercatori, i professori associati e gli ordinari (i “baroni”), ma in senso stretto chi protesta sono i ricercatori a tempo indeterminato che chiedono legittime garanzie sul loro avanzamento di carriera, ma come detto non solo questo. A mio avviso, il vero problema non è tanto quello dei ricercatori attuali, quanto quello di coloro (i veri precari) che vorranno in futuro intraprendere un percorso che li porterà a diventare ricercatori. La normativa prevede un periodo di massimo 6 anni a tempo determinato durante il quale il ricercatore a tempo determinato, conseguita un’idoneità nazionale, potrà diventare professore associato di ruolo; questo sistema di reclutamento potrebbe anche funzionare bene se si stanziassero i fondi per l’eventuale assunzione a tempo indeterminato al momento del bando di ricercatore e si creassero gli incentivi per le università per chiamare ricercatori di una certa bravura. Se i fondi e gli incentivi fossero definiti all’inizio, i ricercatori a tempo determinato andrebbero benissimo, ma così non è. Questo punto della riforma potrebbe funzionare se ci fossero fondi sicuri destinati all’assunzione dei ricercatori/futuri professori associati? Esatto, con fondi per l’eventuale passaggio a tempo indeterminato ed incentivi per le università a chiamare i bravi fissati prima; garantendo comunque risorse anche per le progressioni di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato (e i professori associati), vincolate a seri criteri di valutazione. Ma i fondi devono essere veri, altrimenti continuiamo a giocare il gioco delle tre carte.
E ci ricolleghiamo alla sua affermazione iniziale. Il vero problema del sistema universitario italiano, ma dell’istruzione più in generale è la mancanza di fondi da destinare alla formazione? Certo, noti che non parlo di carenza di fondi per la ricerca, ma di fondi che mancano per il riscaldamento. La riforma teoricamente contiene dei punti molto interessanti, ma nella pratica è uno specchietto per le allodole. Si fonda su una campagna giornalistica che evidenzia parentopoli, concorsi truccati, vecchi baroni che sfruttano giovani ricercatori. La realtà non è questa, anche se il sistema può essere migliorato. In Italia credo sia molto più facile diventare professore ordinario piuttosto che autista di un ministro e di parenti di politici sono zeppe le varie authority pubbliche. In realtà il sogno dei politici è quello di mettere in mano le università (con la riforma della governance) a manager pubblici, lottizzandole, per creare posti a persone che non lo trovano nella politica con il risultato di trasformare le università e le scuole in qualcosa di simile alle Asl, che mi sembra non siano un esempio di efficienza. L’università per funzionare ha bisogno solo di maggiori fondi, personale amministrativo qualificato ed efficiente e di un sistema serio di valutazione ed incentivi per i docenti, tutto questo è ciò che la riforma promette, ma tutto questo costa e la riforma rimane, per ora, una riforma a costo zero anzi sottozero visto che con il blocco degli scatti stipendiali la pagano i docenti stessi. VALENTINA DI SIMONE
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Università: la parola ai ricercatori Intervista a Stefano Traini, ricercatore presso la facoltà di Scienze della Comunicazione, e a Chiara Palmieri, ricercatrice nella facoltà di Veterinaria. Entrambi hanno aderito alla lettera dei ricercatori degli studi di Teramo inviata al Rettore dell’Ateneo. Entrambi, nei diversi settori, umanistico e scientifico, continuano a lottare per migliorare le cose in un sistema che deve essere efficiente sì ma non con obiettivi fini a se stessi. Come giudicate la riforma Gelmini? Chiara Palmieri: “A parte le questioni sulla carriera che sono marginali, mi preoccuperei di più di approfondire il problema che riguarda i fondi alla ricerca. Noi adesso stiamo trovando nuovi canali per averne, ma è difficile rientrare nelle graduatorie concorsuali, perché ci vogliono delle buone strutture. Senza queste possibilità, però, non è più possibile lavorare. Stefano Traini: Il cambiamento dei meccanismi concorsuali con reclutamento di idoneità al livello nazionale, è positivo, in quanto elimina il “meccanismo locale” che è, a mio dire, opaco. L’aspetto negativo è che ci sono attualmente 25.000 di ricercatori a tempo indeterminato, che non avranno più una collocazione. L’obiettivo a cui tende la Riforma è ridurre gli sprechi. Questo va bene, ma tagliare tutto è un altro conto. Non è facile, ma bisogna razionalizzare i tagli senza arrivare a strozzare gli atenei. Le proteste quando si fanno potrebbero funzionare.
Perché bloccare la didattica? C.P.: Teoricamente fino ad ora abbiamo fatto lezione per volontariato. Abbiamo deciso di bloccare la didattica per fare un atto di protesta. Inoltre, con la nuova riforma, diventa obbligatorio fare lezione, e ciò porta a sminuire la figura del ricercatore. Fare lezio-
Università di Teramo (Colleparco) studenti usciti dalle lezioni
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ne, significa sacrificare tempo. S.T.: Per far capire la nostra importanza. Per il momento però, abbiamo deciso di ripartire con le lezioni e di prendere tempo perché il disegno di legge si è arenato. Per i prossimi due o tre mesi consentiremo a pochi ricercatori di andare in aula, mantenendo il pacchetto di maggioranza, che verrà rilanciato al secondo semestre. Da noi c’è massima disponibilità nel trovare dei compromessi. Cosa pensate del concetto di meritocrazia ribadito più volte nella Riforma? C.P.: Non sono contraria, purché le valutazioni siano obiettive. Temo però che se verrà applicato questo criterio ci sarà comunque l’influenza di qualche “barone”. Sono stata a Praga ed in California, lì trovi l’ottimizzazione del lavoro, ognuno fa quello per cui è stato assunto, ed in più il sistema è efficiente, se chiedi delle cose il giorno dopo arrivano; non si perde nella burocrazia o mancanza di fondi. S.T.: È un aspetto indubbiamente positivo, speriamo vada ad intaccare la “gerarchia baronale”. Temete l’ accorpamento con altre facoltà? C.P.: Si parlava di un accorpamento con la facoltà di Pescara, ma sinceramente non credo sia un problema, l’importante è avere la possibilità di lavorare bene. S.T.: Per il momento non abbiamo la necessità di doverci accorpare. In realtà, credo che i piccoli atenei si dovrebbero organizzare per accogliere delle nicchie di specializzazione, in modo da mantenere una certa competitività. Bisogna giocare su servizi o progetti di ricerca specifici. Solo così riusciremo a tene- Università di Teramo re testa a realtà più grandi. ricerca nei laboratori Perché proprio i ricercatori si sono fatti carico di questa battaglia? C.P. : Si è spostata l’attenzione sulla nostra categoria, ma i primi ad essere realmente discriminati sono gli studenti, perché questa è una riforma globale. Noi forse non siamo riusciti a farci capire oppure non siamo stati supportati a sufficienza dall’inizio.
Adesso però, vediamo solidarietà da parte di molti. S.T.: I primi a muoversi sono stati i ricercatori perché non hanno più visto davanti a loro una prospettiva. Il problema dei ricercatori va avanti da 30 anni ormai, e l’urgenza grave ha portato a concentrare l’attenzione su di noi. I professori ordinari ed associati ci hanno dato tanta solidarietà, però poi ognuno ha il suo ruolo. Anche il preside di facoltà ci capisce, ma la sua prima preoccupazione e far sì che il sistema vada avanti e funzioni. Quale è il fulcro della vostra protesta? C.P.: Vogliamo che sia riconosciuto il nostro ruolo giuridico, che si dia più importanza alla ricerca e che ci vengano erogati fondi e strutture per continuare. S.T.: Se la riforma dovesse passare chiediamo che tra 5 anni ci siano dei concorsi che permettano, almeno ad alcuni ricercatori, di avere la possibilità di passare a contratti da ricercatore associato. Sono stati promessi 9.000 concorsi, ma questo è un dibattito aperto, perché comunque ci vogliono fondi che non ci sono. Perché è importante la ricerca? C.P: Non saprei neanche spiegare perché uno si entusiasma per una determinata cosa. Secondo me il fatto di scoprire nuove cose oppure di poter raggiungere alcuni obiettivi, ha sempre un fine alto e dunque va eseguito. S.T.: Il progresso è legato alla ricerca. Alcuni settori, come quelli in campo scientifico, portano dei risultati immediati con riscontri pratici evidenti. L’evoluzione passa però anche attraverso quella ricerca non finalizzata, di alcune materie umanistiche, che comunque deve essere preservata. Questo tipo di ricerca però, non avendo effetti immediati, la si rilega a ruolo marginale. Se ci si aspetta un miglioramento del vivere civile e si desidera un progresso culturale, anche in un momento di difficoltà, non bisogna smettere di investire sulla cultura. L’istruzione è un elemento fondamentale per la crescita del plurale. Alzare il livello culturale del paese porta benefici, anche economici. DANIELA MANTINI
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S.O.S. Universita’ di Teramo Lo scorso 5 ottobre si è svolto a Teramo un consiglio comunale straordinario, per affrontare i problemi e le prospettive dell’ateneo teramano.Tanti i disagi e le difficoltà discusse nella seduta, ma il Rettore nel suo intervento ha voluto rassicurare la cittadinanza. Dati alla mano, le presenze continuano a scendere. Si respira aria di crisi tra i corridoi e le aule di Colleparco, archiviando le certezze del passato. Si abbatte anche su Teramo la scure del Governo con il drastico taglio dei fondi di finanziamento. Per mantenere in piedi strutture e didattica è arrivato il “regalo” per le famiglie: l’aumento delle tasse. Gli studenti quest’anno pagheranno da 40 euro in più per la fascia di reddito più bassa a 80 euro per quella più alta. E non finisce qui. Al rientro dalle vacanze sono emerse alcune interessanti novità. L’orario di apertura delle sedi è stato ridotto, con chiusura anticipata alle 14 del venerdì. Con buona pace degli studenti che non potranno più usufruire delle aule di studio nel pomeriggio del venerdì e il sabato mattina. Stessa sorte per la biblioteca. Con il nuovo orario le porte si
chiudono in anticipo, alle 17 anziché alle 19:30. Riaperto da poco il bar della facoltà di scienze politiche, ma solo per tre giorni a settimana. Restano almeno i distributori automatici come punto di ristoro. Per mancanza di personale, chiuse le aule di informatica, benché fornite di computer e rete internet. Senza dubbio un biglietto da visita carente anche per gli studenti europei che l’ateneo accoglie con l’Erasmus. Il sistema dei trasporti resta inadeguato per i pendolari, costretti al travaglio del traffico cittadino per raggiungere il sito di Colleparco, sempre più cattedrale nel deserto. Invariate le difficoltà connesse alla collocazione della mensa. Una struttura lontana dal centro cittadino e separata dal complesso delle facoltà. Ancora assente la casa dello studente, con la rinnovata promessa di finanziamenti in arrivo. L’università di Teramo è al bivio. Tra voci ricorrenti di nuove ristrutturazioni milionarie per i vetusti edifici di viale Crucioli e la certezza dei tagli. Sos, salviamo l’UniTe. MIRKO DE BERARDINIS
Le richieste del comitato di quartiere
Problemi a San Berardo Dopo l’incontro con Sandro De Angelis, rappresentante e portavoce del comitato del quartiere San Berardo, di 3000 abitanti, sono venute alla luce varie problematiche da sottoporre all’amministrazione comunale. Gli abitanti in Via Tevere richiedono la realizzazione di tre minirotonde con relativi attraversamenti pedonali per eliminare la velocità veicolare e sorpassi del centro abitato, vista anche la presenza della Scuola dell’Infanzia; la messa in funzione della fontanella con acqua potabile su parco giochi e verde pubblico; realizzazione di un marciapiede su un lato. In via F.Crispi, dall’ incrocio di via Roma all’incrocio di via Fonte Regina, viene richiesto il potenziamento dell’illuminazione pubblica di color giallo.
I marciapiedi rovinati dall’incuria
All’incrocio di via Roma con viale F. Crispi i vari marciapiedi pedonali sono maltenuti, ovunque buche cementate o mattonelle sconnesse, causa di disagi per i pedoni. In via Po si richiede la sostituzione delle attuali lampadine bianche, con potenziamento di illuminazione pubblica su attraversamenti pedonali e notturna nei due sensi di marcia; lo scivolo per facilitare il passaggio ai disabili sulla rampa scala già esistente per accedere da via Po a via Piave e viceversa. Infine, in via Arno, via Piave e in via Celommi si richiede una nuova viabilità e sicurezza stradale; ulteriore richiesta, un vigile ecologico nei quartieri Gammarana, Stazione, S.Berardo, via Arno e via Piave. ERICA VERZIERI
Uno degli incroci problematici del quartiere
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Elogio alle acque A Teramo una scritta su pietra di epoca medioevale celebra ancora il bene più prezioso C’è bisogno di immettersi sulle tracce del passato per non sradicare il senso di appartenenza a quei fontanili tanto amati dai nostri avi. Presso la chiesa di San Giuseppe, a Teramo, è conservato un elogio in versi di commovente bellezza che dà lustro alla preziosità dell’acqua. Si tratta di un’ iscrizione in pietra scolpita, nel lontano 1270, da Luca di Manoppello e ubicata in origine presso la fonte Graziana. Le parole di lode incise sulla pietra celebrano le acque ridondanti del fontanile e riconducono la memoria del lettore agli antichi riti pagani legati al culto di Venere. Oggi questa fontana getta ancora acqua, nonostante lo stato di degrado e abbandono. A Teramo, in epoca medievale, fluivano numerose fontane, alcune scaturivano presso ciascuna porta della città e nelle aree vicinali, altre erano poste dentro le mura cittadine. Dalla lettura delle fonti archivistiche e storico-documentarie si apprende che la fonte Graziana, la fonte Bencivega, la fonte del ponte Vezzola, la fonte del Buonfiglio, la fonte di sant’Eleuterio, la fonte Adoglia, la fonte Gensana, la fonte della Noce erano tutte alimentate da un canale di adduzione e dotate di abbeveratoio. Inoltre, i documenti ci portano a conoscenza degli ordinamenti che regolavano, la cura e la gestione delle fontane e delle rue
acquarie. Le fontane e i canali erano beni di comune utilità e per questo si facevano costruire, riparare o riedificare dagli stessi cittadini con l’utilizzo di arena, calce e pietre. Le rue acquarie o canali delle vie pubbliche erano destinate ad accogliere l’acqua piovana che, a sua volta, scorreva in piazza e contribuiva ad alimentare le fontane. Al fine di evitare che quest’ultime si prosciugassero era vietato derivare o raccogliere l’acqua dai canali. In prossimità dei fontanili vigilava un custode il quale aveva il compito di denunciare i guasti della struttura idraulica e il cattivo uso dell’acqua. Inoltre era vietato inquinare, gettare pietre o lavare panni, e chiunque deturpasse qualche fontana pubblica o vicinale veniva punito con il pagamento di venti soldi. Tuttavia, l’approvvigionamento idrico cittadino non era garantito solo dalle fontane pubbliche. ma anche dalla possibilità di captare acqua dal Vezzola per mezzo di un piccolo condotto. Nella città tra i due fiumi l’acqua ha da sempre ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’economia e della vita sociale cittadina. L’acqua era ed è a tutt’oggi simbolo di ricchezza, prosperità, fertilità della nostra terra; è un dono della natura che merita di essere rispettato, curato e gestito come la risorsa più preziosa del nostro territorio.
GIUSEPPINA MICHINI
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Tu chiamale se vuoi … affissioni Alcuni lo fanno di notte, altri sfacciatamente alla luce del sole. Lungi dal voler alludere a piccanti provocazioni : è la guerra delle affissioni abusive, una porcheria che troppo spesso passa silenziosamente davanti ai nostri occhi. Sono circa centocinquanta le leggi che fanno capo alla regolamentazione dei manifesti. Tra le “basi” di questo mondo si trova il decreto legislativo 15 novembre 1993 n.507 il quale afferma all’articolo 1 che “la pubblicità esterna e le pubbliche affissioni sono soggette(…)ad una imposta(…)a favore del comune nel cui territorio sono effettuate”. Sono quindi i Comuni che fissano tempi, modi e tributi dovuti. C’è poi il codice della strada il quale, all’articolo 23 dispone che “lungo le strade (…) è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, (…), che(…) possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, (…) ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione(…)”. Queste norme vengono quotidianamente messe sotto i piedi. Ancora, la Finanziaria 2007 ha reintrodotto la responsabilità solidale tra chi affigge i manifesti abusivi e chi li commissiona che la Finanziaria 2005 aveva eliminato: la norma suscitò indignazione visto che venne considerata da molti un abuso da parte dei partiti
che nelle elezioni del 2004 avevano tappezzato l’Italia intera. Anche Teramo ha un suo regolamento. Sono infatti disciplinate le applicazioni delle imposte, tempi e divieti d’affissione, in particolare vicino scuole, ospedali ed alberghi che non valgono in campagna elettorale, la pubblicità sonora –gli “strilloni”- è consentita solo se con volume basso ed in certi orari. E’ inoltre vietato il ‘volantinaggio a mano’, ad eccezione del recapito domiciliare. Non manca un articolo dedicato alle multe per chi viola tali norme, fermo ancora alla vecchia valuta: da £ 200.000 a 2 milioni. Purtroppo la realtà è ben diversa. Ogni muro è buono per incollare una pubblicità per la quale non vengono pagati i dovuti tributi, e se il manifesto è sgradito è sufficiente strapparlo e lasciarlo a terra. Una nuova e stravagante moda prevede, inoltre manifestini approssimativi per quella tale festa o matrimonio, indicazioni estemporanee, stupidaggini di ogni tipo. Al solito, manca chi applica le sanzioni. Forse il pentolone è talmente grande e profondo che anche se qualcuno di buona volontà volesse scoperchiarlo rischierebbe di scottarsi malamente. IVAN DI NINO
39 nov. / 2010
Parcheggi … ... incivili Si discute spesso, in città, sul fatto che i teramani utilizzino poco gli stalli a disposizione di motorini – che il codice definisce ancora ciclomotori- e motociclette. Certo, questo avviene anche per pigrizia, lasciando i mezzi a due ruote fra un’auto e l’altra, oppure davanti a qualche portone, ma “solo per cinque minuti, tanto proprio adesso deve uscire qualcuno?” E’ altresì vero che molti parcheggi per moto vengano impropriamente utilizzati dalle auto. Tantissime volte questi prepotenti la fanno franca. Certo, anche su questo ci sarebbe da questionare a lungo: solo alcuni capitano nella “morsa” della contravvenzione mentre altri,
che magari sostano dove non è consentito giornate intere, non subiscono lo stesso trattamento. Inutile chiedere agli organi preposti alla vigilanza: la litania è arciconosciuta. Mancanza di uomini e mezzi. E’ quindi quasi un piacere vedere un’iniezione di civiltà verso questi automobilisti che illegittimamente si appropriano di posti ad altre categorie riservati. Un maggior controllo sarebbe però cosa graditissima da parte dei cittadini onesti e non arroganti come altri, i quali pensano di essere essi stessi la legge, se non superiori a quest’ultima. IVAN DI NINO
40 nov. / 2010
Il corso dimenticato della città al minuzioso esame della nostra “guida”, Alberto Melarangelo
Porta Romana analisi di un degrado DI
VINCENZO LISCIANI PETRINI
Se vi trovate a passeggiare per Porta Romana, cercate da voi con gli occhi se quanto scritto in questo articolo vi risulti vero. Vedrete come, purtroppo, sia una delle zone più degradate di Teramo e, badate, non si sta parlando di periferia (ammesso e non concesso che le periferie, nell’immaginario comune, possano essere più suscettibili di degrado). Porta Romana è uno dei corsi della nostra città, nonché uno dei quartieri potenzialmente più suggestivi. Come sempre da qualche tempo a questa parte, Alberto Melarangelo fa da guida. Appuntamento in un sabato mattina di mercato. Non appena cominciamo il giro subito qualche curioso del quartiere insospettito si avvicina e comincia a farci notare le vistose buche nei sampietrini. “Cosa vogliamo fare?” ci chiedono irritati. “Intanto un articolo”, rispondo pur sapendo che di fronte alla stampa sono in molti (specie i diretti interessati) a fare orecchie da mercante. Si avvicina un altro signore, sempre per lo stesso motivo: “L’inclinazione della strada è fatta malissimo: il drenaggio è completamente sbagliato. Ogni volta si creano pericolose pozze d’acqua!” Prendo nota e Melarangelo prosegue sull’argomento: “Porta Romana è davvero una delle zone di Teramo che versa in maggiore abbandono, dato che tutti gli investimenti si stanno spostando verso altre parti della città. Dei lavori sono stati fatti alcuni anni fa ma, come sempre, non in modo esaustivo. Per esempio, guarda quei due vicoli:
delle Rose e del Garofano che si ricongiungono a via Trento e Trieste. La loro pavimentazione (in asfalto, completamente fuori stile rispetto al corso e alla via) è in stato pietoso. Mettere anche qui dei sampietrini e (almeno) tinteggiare i muri incrostati costerebbe cifre esorbitanti? Non credo proprio.” Effettivamente quelle che potrebbero essere due viuzze molto pittoresche, da antica borgata, risultano di una tristezza indicibile. Prosegue Melarangelo: “Credo che si potrebbero creare con facilità situazioni simili a quelle di corso Manthoné a Pescara: piccole librerie, locali, osterie. Occorre, però, aiutare i cittadini a scommettere sulle potenzialità di questo corso: combattendone il degrado, per prima cosa. Invece anche le poche cose belle che c’erano sono state tolte. Il mercato dei fiori, per esempio, è stato spostato a piazza San Francesco scontentando tutti quanti. La zona mercato del sabato poteva essere invece estesa di altri metri.” Ci avviciniamo infine a quello che voleva essere l’argomento principale: l’ex-Ravasco o l’exorfanotrofio. Melarangelo ironizza: “Questo edificio è stato ‘ex’ di molte cose!” E prosegue: “L’ex-Ravasco è un edificio immenso, come vedi, ed è proprietà dalla Asl. Ora è abbandonato dai primi anni ’90 e nessuno sa cosa voglia farsene. Stanno aspettando che cada giù probabilmente… una vera bomba di degrado nel cuore di Teramo.” Eppure, viene da pensare, a farlo cadere neanche il terremoto ci è riuscito.
41 nov. / 2010
La condizione del manto stradale
Lo stato di un palazzo lungo Porta Romana
E neanche il lotto zero che ha martoriato nel profondo la stabilità di tutto il quartiere. Alcuni piccioni appollaiati sulle ringhiere ci guardano con sussiego e indifferenza: l’edificio è ormai loro esclusiva proprietà insieme ai topi, ai cani, ai gatti… e agli animali peggiori: i vandali. Sono infatti diverse le aperture incustodite: finestre, porte, brecce, da cui si intravede l’interno dello stabile gravemente compromesso. “È gravissimo che l’Asl, principale azienda del nostro territorio, tenga nel più biasimevole abbandono un simile edificio. È qualcosa di assolutamente inammissibile e di cui deve rispondere pubblicamente alla cittadinanza dato che contribuisce in modo decisivo al degrado di questo quartiere che invece potrebbe essere tra i più belli di Teramo.” Anche il giardino antistante l’edificio fa parte del medesimo complesso ed è allo stesso modo abbandonato pur essendo tra i pochi spazi verdi del centro storico. Al suo posto un parcheggio incustodito, accanto a un campetto dove alcuni ragazzini si intrufolano attraverso pericolanti ringhiere arrugginite. “Si dice sempre più che Teramo stia guardando al futuro: se il futuro è lasciarsi dietro con approssimazione le proprie risorse per seguire opi-
nabili chimere, be’… direi che siamo messi male. Di fronte a questo degrado urbano ci vuole coraggio per lanciarsi in simili slogan. Se mancano le idee come fa ad esserci futuro? Tra l’altro se pensiamo a quanti bravi giovani teramani ogni anno si laureino in architettura ma, dico, è possibile che non vengano coinvolti dall’amministrazione in bandi e progetti anche di livello europeo? Questi ragazzi sono poi costretti a fare le valigie e ad andarsene via…” Giriamo dietro l’edificio mentre alcune auto restano incagliate nel parcheggio: scene di ordinaria teramanità. La parte dello stabile sulla circonvallazione (quest’ultima ancora senza dissuasori) è ancora più triste. Eppure esempi positivi, dice Melarangelo, ci sono: l’istituto Ventili un progetto ben riuscito e ormai prossimo al coronamento. Ecco di cosa si è capaci in positivo quando ci si mette a lavorare con intelligenza, e non occupando con arroganza e superficialità un’oziosa scrivania che dovrebbe invece trasudare di lavoro”. Il giro finisce, con un amaro sentimento dato che si toccano le ferite della nostra Teramo. Dagli addetti ai lavori Porta Romana aspetta una risposta al suo degrado e intanto fa sentire la sua voce.
42 nov. / 2010
Con il Collurania di Teramo
Un’ Amica sull’Antartide le basse temperature e la rarefazione dell’atmosfera mettono a Amica è partita! Non è il titolo dell’ultimo best seller che sta spopolando tra i dura prova il funzionamento dei macchinari e limitano le attivigiovani teenager o del film italiano candidato al prossimo premio tà umane. Per studiare il comportamento di materiali e apparati Oscar. Amica è l’acronimo di Antarctic MultibandInfrared Camera, sottoposti alle estreme condizioni antartiche, i ricercatori e i lo strumento che prossimamente verrà portato alla base antartica tecnici teramani hanno costruito una camera climatica dove tali “Concordia” per essere montato nel fuoco del telescopio “Maf- condizioni sono riprodotte nei minimi dettagli. Anche se il suo fei”. Il 30 settembre è cominciato il lungo viaggio che porterà aspetto è molto differente dalla comune immagine che abbiamo Amica da Teramo fino ai 3200 m di Dome C, la terza vetta tra dei robot, umanoidi con tanto di testa, braccia e gambe, Amica è quelle più alte del plateau antartico. L’arrivo è previsto per i primi un vero e proprio automa, capace di lavorare senza l’intervento giorni di dicembre. A riceverla, la squadra incaricata del montaggio umano. Un complesso sistema di controllo automatico è in grado di Maffei e Amica. Quattro persone in tutto, due italiani, tra cui il di regolare le condizioni climatiche nei box dove sono contenute le varie componenti sensibili, accendere (o spegnere) i computer nostro Angelo Valentini, e due francesi. Ma cosa è esattamente Amica? Un telescopio è essenzialmente un di bordo,comandare la pompa per il vuoto nel criostato, avviare il sistema ottico, fatto di lenti e specchi, che intercetta la debole luce raffreddamento criogenico. Infine, il sistema ordina al telescopio emessa da stelle, pianeti o nebulose, concentrandola sul piano fo- di puntare la porzione di cielo che si intende osservare. Hanno cale, dove si forma l’immagine astronomica. Amica è una sorta di così inizio le danze: le immagini astronomiche sono acquisite ad camera fotografica, dove l’immagine viene “catturata” e trasmessa un ritmo di 500 al secondo. L’astronomo, deve solo preoccuparsi a un computer. Si tratta, però, di una camera molto particolare, di inviare al computer di bordo una scheda con le coordinate sensibile alla luce infrarossa, altrimenti invisibile all’occhio umano astronomiche degli oggetti da osservare. Alla fine, troverà sul suo o alle comuni camere usate in astronomia. La luce infrarossa è computer le immagini e potrà cominciare ad analizzarle. caratterizzata da lunghezze d’onda maggiori di quella visibile, e Ci vorranno ancora un paio d’anni per ultimare tutti i montaggi e per vederla occorre una tecnologia molto sofisticata. Per svilup- i test. Poi, Maffei e Amica apriranno la finestra su un universo mai visto prima. Potremo studiare le stelle oscuparla, i ricercatori di Collurania sono volarate dal materiale da loro stesse espulso, i ti in California, nella famosa Silicon Valley, e resti delle esplosioni di supernova o vedere poi a Tucson in Arizona, dove di trovano le le fredde regioni della Via Lattea dove nuove poche industrie al mondo specializzate nella stelle si stanno formando. Andremo a caccia produzione di sensori bidimensionali sensibidi pianeti orbitanti intorno ad altre stelle e li alla luce IR.Per ridurne il rumore termico, potremo individuare nuovi asteroidi e coquesti sensori devono essere raffreddati a mete, i cosiddetti corpi minori del sistema temperature di appena 4 gradi Kelvin (ossia solare. Maffei, già IRAIT, è nato da un’idea del -269 gradi centigradi). Dopo circa 5 anni di prof. Paolo Maffei, pioniere della moderna lavoro, l’équipe tecnologica guidata dal dott. ricerca astronomica, recentemente scomMauro Dolci ha raggiunto il difficile obiettivo parso. E’ frutto di una collaborazione tra di realizzare il criostato di Amica, dove sono l’Università di Perugia, i laboratori del CEA alloggiati il sistema ottico, i due rivelatori IR (Francia), l’Università di Granada (Spagna) e e l’elettronica di prossimità. l’Istituto Nazionale di Astrofisica. L’équipe di Le particolarità che rendono Amicaun ogAmica è composta da ricercatori e tecnici getto di altissima tecnologia non sono finiprovenienti, oltre che da Collurania, dagli te qui. In Antartide, le temperature minime Osservatori di Padova, Torino e Milano. possono scendere fino a 90 gradi sotto zero. E proprio questo clima estremo a rendere il continente di ghiaccio il miglior sito al Oscar Straniero OSCAR STRANIERO mondo per l’astronomia infrarossa. Tuttavia, (direttore astronomico di Collurania) DIR. OSS. ASTRONOMICO DI COLLURANIA
43 nov. / 2010
Immigrazione: “Per una cultura dell’Altro” In concomitanza con la presentazione nazionale, anche a Teramo è stato presentato il rapporto annuale sull’immigrazione. Un dossier statistico che dal 1991 aiuta le associazioni e gli enti sociali a tracciare una mappa del fenomeno delle migrazioni nel nostro Paese, contribuendo a studiarne dinamiche e sviluppi. Una raccolta di dati e informazioni, quindi, realizzata annualmente da Caritas Italiana e dalla fondazione Migrantes, che spesso non coincide con i dati Istat, ma che fornisce tuttavia un quadro più realistico. Il rapporto di questo anno è stato presentato, per tutto l’Abruzzo, nella nostra città, presso la sede della facoltà di Scienze della comunicazione. Ogni anno il dossier è accompagnato da uno slogan. Quello di quest’anno recita: “Per una cultura dell’altro”. E su questa frase i relatori hanno battuto molto, perché si smetta di parlare di questo fenomeno come “problema” dell’immigrazione. Gli immigrati sono un’opportunità socio- economica fondamentale per l’Italia dei nostri tempi. Il loro apporto alla crescita demografica e all’economia sono più di aiuto che di ostacolo per le complesse dinamiche del nostro Paese. Anche nella nostra Regione il loro contributo rende meno difficile il fronteggiare questi anni di crisi. Padre Gianromano Gnesotto, direttore nazionale Migrantes, in-
tervenuto al convegno, spiega come da 20 anni si stia cercando di presentare il fenomeno per quello che è realmente, in una continua lotta contro il pregiudizio e l’immaginario collettivo errato. Parlano i dati. La presenza di stranieri negli ultimi due decenni in Italia è cresciuta di quasi 20 volte: si è passati dal mezzo milione di presenze nel 1990 ai quasi 5 milioni di oggi. La loro incidenza sul Prodotto interno lordo è pari all’11,1%, con un versamento alle casse pubbliche di quasi 11 miliardi di euro, tra contributi previdenziali e fiscali. Gli immigrati non sono solo lavoratori dipendenti un po’ in tutti i campi, ma sono anche in aumento le loro iniziative imprenditoriali, che danno lavoro anche a noi italiani. La nostra provincia, a livello regionale, è la più accogliente e offre lavoro a quasi 19 mila stranieri. Padre Gnesotto ribadisce, inoltre, come debba cambiare la percezione che abbiamo di questi stranieri. Quelli che decidono di emigrare sono sì quelli più disperati, ma sono anche e soprattutto quelli che maggiormente cercano un riscatto. Bisogna vederli come il frutto di un riequilibrio naturale, a livello mondiale, per fronteggiare le disparità che affliggono il nostro pianeta. VALERIO VINÒD SILVERII
44 nov. / 2010
Kairos centro giovani Da qualche mese in via San Berardo, accanto al Duomo, è facile osservare una maggiore presenza di ragazzi. Proprio in quella via è ormai nato un nuovo spazio dedicato ai giovani. Non un normale luogo di aggregazione, come un bar o una sala giochi, ma un vero e proprio centro in cui lo stare insieme mira a superare il semplice intrattenimento ludico e ricreativo. Kairòs, questo è il nome del centro giovanile, è un locale che si sviluppa su due piani. Al piano terra vi sono due spazi di accoglienza, dove alcuni volontari ricevono gli utenti e quanti volessero entrare per conoscere meglio l’iniziativa o molto più semplicemente per dare uno sguardo. Il secondo piano è lo spazio principale su cui punta l’intero centro, una sala di discreta ampiezza con funzioni polivalenti, più altre due stanze per l’intrattenimento e per le riunioni. Il nome, preso dal greco, indica un tempo personale, affettivo, opportuno; il momento atteso dell’incontro tra persone che si cercano. In questo senso il centro vuole essere uno spazio concreto, un luogo dove il tempo ordinario e anonimo possa diventare opportunità di progetto in modo che lo stare insieme diventi occasione di confronto e conoscenza, premiando curiosità e talenti dei ragazzi. Infatti, nei primi mesi di vita del centro, sono già state realizzate alcune iniziative come mostre, presentazioni musicali (il cd del rapper teramano T-Mat), concerti che hanno spaziato dalla musica “ambient” contemporanea (serata di inediti del DEEA) fino alla classica (due
saggi finali del Braga). Notevoli poi sono stati gli incontri tematici sull’ecologia, curati da Felice Reggimenti. Per il futuro si prevede un cineforum, la realizzazione di svariati corsi e laboratori quali fotografia, lingue straniere, dizione pittura, clowneria e altri ancora. Al Kairòs vengono inoltre ospitate le opere di giovani artisti teramani che creando una sorta di museo permanente. Molte quindi le iniziative: provare per credere! Il Kairòs si rivolge prevalentemente a un pubblico giovane, che rientri in una fascia di età compresa tra i 15 e i 30 anni, ma tutti i cittadini sono invitati, nessuno escluso Il centro giovani sta ultimando la fase di partenza e cerca altri volontari che aiutino quelli già presenti a ordinare e organizzare le tante idee proposte e i progetti in atto. L’obiettivo è quello di poter arrivare per prima cosa a coprire orari di apertura più ampli. Per ora infatti il Centro Giovani Kairòs rispetta i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, 9:00 alle 12:30, adibito soprattutto a sala lettura e sala studio (circa 50 posti, wireless gratuito); giovedì, venerdì; sabato dalle 16:00 alle 20:00 attività ricreative ed eventi. Pertanto l’invito dei kairossiani è questo: “Ragazzi, non lasciamoci sfuggire questa opportunità! Il Kairòs è nostro e di tutti voi”. VALERIO VINÒD SILVERII
45 nov. / 2010
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Semplicemente Edea Dai primi timidi tentativi fino alla vittoria di Sanremolab 2008 e al caso Modà: l’escalation della giovane cantante teramana DI
VINCENZO LISCIANI PETRINI
Conoscerete di sicuro Antonietta “Edea” Menegatti, cantante pop, che negli ultimi tempi ha fatto parlare di sé anche a livello nazionale. In centro storico, se c’è, la si può notare subito grazie alla sua bella carnagione scura e all’inconfondibile chioma di capelli ricci. Attendo col taccuino in mano mentre i minuti passano. Eccola che arriva, appena in ritardo. Qualche battuta per presentarsi e di fronte a un buon caffè nasce questa intervista. Edea, di sicuro hai scoperto il tuo talento canoro molto presto. Più o meno a che età? “Ho cominciato quando ero molto piccola, circa a 3 o 4 anni, e nel modo più normale, dal momento che ero una fan sfegatata di Cristina D’Avena! A sedici anni ho cominciato a fare le prime serate, a cantare ai matrimoni, e con il crescere delle richieste pensai di poter lavorare in questo campo. Le cose sono andate bene per cui, passo dopo passo, gli ingaggi sono diventati sempre più frequenti ed è stato necessario capire anche come preservare la voce. Ormai da cinque anni sono seguita dal maestro Pierpaolo
Salvucci che mi ha insegnato l’uso indispensabile del diaframma, come migliorare il respiro e soprattutto come mettere a frutto la mia musicalità.” Oltre a dei maestri, spesso ci sono anche dei modelli. Specie durante l’adolescenza diventano i nostri miti e rappresentano un nostro ideale. Quale cantante ti ha maggiormente influenzata? “Sono molte le cantanti che mi piacciono, ma una che mi ha veramente influenzata, come dici tu, è Mia Martini, per me un
vero modello di artista. In seconda battuta metterei Giorgia, la Oxa, Anastacia, e anche Gianna Nannini.” Il momento più bello della tua giovane carriera? “La vittoria a Sanremolab (2008), di certo. Anche se, purtroppo, il manager che avevo allora non seppe cavalcare l’onda di quell’importante risultato. Un altro momento bellissimo è stato il mio concerto live a Barletta, nell’estate scorsa. Una serata dove tutto è stato perfetto: musica, pubblico… tutto.” Ma qualcuno ti hai mai detto di “lasciar perdere”? “Mm… una domanda piuttosto insolita! Comunque no: sono stata sempre incoraggiata ad andare avanti, soprattutto dalla mia famiglia”. Recentemente sei stata a X-Factor, in molti ti hanno vista al provino. “È stata un’esperienza importante, l’ambiente e la situazione erano interessanti anche se odio i provini. Mettono sempre una grande ansia ed hai l’impressione di sbagliare o di subire un torto. Alla fine entri, canti e devi accettare che qualcuno ti giudichi così, su due piedi. Ci vuole fortuna. E forse anche qualcos’altro.” Ti va invece di parlare del “caso Modà? “Ti dico come sono davvero andate le cose. A Sanremolab avevo presentato la canzone ‘Anima Nera’, protetta dalla Siae e in giro sui canali nazionali. I Modà oggi
46 nov. / 2010
CHI È
Edea durante uno dei su0i concerti
(2 anni dopo),presentano come singolo di punta del loro nuovo album una canzone molto, troppo simile alla mia: grosso modo risultavano solo invertite le strofe con i ritornelli. La canzone è ‘Sono Già Solo’ : un chiaro caso di plagio, messo in luce anche da un video su youtube che evidenziava le parti identiche. Neanche a dirlo i fans dei Modà si sono scagliati contro di me, calunniandomi in tutti i modi. Poi un giorno sul web tutto era scomparso, compreso il video che
comparava le due canzoni. Mistero…o forse no. E credetemi , ancora oggi non so che cosa sia successo. La verità non la conosco, purtroppo.” Chiudere l’intervista su questo episodio spiacevole davvero è un peccato. Ma ecco che all’improvviso un ragazzina che passava in bicicletta riconosce subito Edea. Dice di essere una sua fan e le fa i complimenti, l’ha vista in tv. Edea sorride contentissima, per un’artista non c’è gioia più grande del fare breccia nel cuore dei più giovani.
NOME :Antonietta (d’arte... Edea!) COGNOME Menegatti SOPRANNOME ..Edea.. Anto.. boh. ormai ho raggiunto la crisi d’identità! DATA DI NASCITA : 13.02.83 CITTA’: Milano...ma sono teramana ormai! STUDI :Diploma ragioneria e studio canto leggero COLLABORAZIONI: aperture concerti di Donatella Rettore, Gatto Panceri, Baccini e Povia per l’IMD a Sanremo e Piero Pelu’ ...e con quasi tutti i bravissimi musicisti che vivono a Teramo!!! PROSSIMI PROGETTI: www. myspace.com/edealive ...stay tuned! UN SOGNO NEL CASSETTO: rendere felice la mia famiglia UN AGGETTIVO PER DESCRIVERTI (O UN MOTTO): meglio avere rimorsi che rimpianti! Vorrei ringraziare tutti gli amici di Facebook che mi sono stati e mi sono tuttora sempre vicini(Grazie!) e tutti gli iscritti a gruppo ‘’ tutti per Edea’’ sempre su FB... e gli iscritti alla mia pagina myspace, che ha superato le 42.000 visualizzazioni!
47 nov. / 2010
Leo Gullotta a Teramo
Divertirsi per divertire Una battuta, “Dammi del Leo”, per rompere l’imbarazzo iniziale. Il clima è quello sereno e gioviale di un incontro con un vecchio amico, già tre anni fa a Teramo con “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello. Leo Gullotta inaugura la nuova stagione di prosa 2010/2011 della “Primo Riccitelli”. La soddisfazione è grande per l’associazione: quest’anno si sfiora il record di 2300 abbonati (cento in più rispetto alla scorsa stagione). Gullotta è il protagonista de “Le allegre comari di Windsor”, che William Shakespeare scrisse in soli quattordici giorni su richiesta della regina Elisabetta I. Il tema è quello della diversità e della cattiveria di scherzi e intrighi che si abbattono contro chi è considerato un diverso per aspetto, indole e attitudini. Sir John, poderosa e goffa figura comica interpretata magistralmente dall’attore siciliano, è il bersaglio prescelto di una società borghese bieca e ipocrita; e il confronto con i tempi moderni è immediato. Leo Gullotta, che quest’anno festeggia i cinquant’anni di professione, presenta lo spettacolo prodotto dal Teatro dell’Eliseo assicurando un finale nel pieno rispetto della struttura voluta e ideata da Shakespeare. Sul palco si avvicendano sedici attori molto giovani, con particolare cura per i costumi e per la scenografia. La natura di attore-clown non viene celata in alcuna maniera: nessun passato da rinnegare, ma esperienza che diventa palestra di vita per andare avanti e crescere. “Ogni
sera mi porto dietro l’entusiasmo del pubblico, cerco il più possibile di divertirmi e di dare il mio meglio”. Parole che esprimono la travolgente passione per questo mestiere, fonte di ispirazione e di vita. Nato da genitori operai e ultimo di sei figli, inizia il mestiere per caso al “Cut” (Centro universitario teatrale) di Catania; poi è al Teatro Stabile della stessa città, dove rimane dieci anni ed entra in contatto con illustri personalità come Leonardo Sciascia, Giuseppe Fava, Salvo Randone. Un bagliore illumina i suoi occhi al ricordo degli anni della formazione quando, pur senza sapere nulla di teatro, con fatica e fervore imparava l’arte dell’attore, ma soprattutto l’arte di vivere rifiutando i compromessi per plasmare e conservare la propria integrità etica e professionale. Attore comico e drammatico, cabarettista, doppiatore: sono solo alcune delle maschere indossate da un artista poliedrico che non ha alcun timore a raccontarsi e a svelare il suo lato più umano. È una lezione di vita la sua che si conclude con un invito a coltivare e a lottare per le proprie idee. “Nessuno ha il diritto di toglierci i nostri sogni, bisogna crederci! Una mano serve per tenerli stretti, l’altra serve per combattere perché niente è facile”. E il teatro, inteso come momento di incontro, di sorriso, ma soprattutto di riflessione, si conferma come la migliore fabbrica per partorire sogni. EMANUELA DI GAETANO
Leo Gullotta in Le allegre comari di Windsor di William Shakespeare traduzione e adattamento di Fabio Grossi e Simonetta Traversetti con Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini, Rita Abela, Fabrizio Amicucci, Valentina Gristina, Cristina Capodicasa, Gerardo Fiorenzano, Gennaro Iaccarino, Federico Mancini, Giampiero Mannoni, Sante Paolacci, Sergio Petrella, Vincenzo Versari scene e costumi di Luigi Perego musiche di Germano Mazzocchetti coreografie di Monica Codena luci di Valerio Tiberi assistente alla regia Mimmo Verdesca.
info:
www.
primoriccitelli.it .it
48 nov. / 2010
Le “pittosculture” di Rossella Faraone La pittura incontra la scultura, l’oro si fonde con le pietre più belle e gli smalti più intensi, in un affascinante viaggio artistico tra cielo e terra. Un itinerario di “pittosculture” - originali tavole dove dal colore degli smalti e dell’oro si alzano sculture di pietre preziose - che l’artista Rossella Faraone propone con la mostra “Le Mappe Celesti e Terrestri”, fino al 17 novembre presso la sala “Carino Gambacorta” della Banca di Teramo di Credito Cooperativo, in via Crucioli n. 3 a Teramo. Le trenta opere in mostra sono state realizzate da Rossella Faraone a partire dal 2005 e, finora, sono rimaste in esposizione presso il suo atelier a Nereto, a disposizione di amici, conoscenti e appassionati. Con questo evento, l’artista intende ora portare all’attenzione del grande pubblico una forma espressiva assolutamente innovativa, che ha già avuto modo di convincere un critico
d’arte del calibro di Gérard-Georges Lemaire. Suo, infatti, il testo critico del catalogo, nel quale, tra le altre cose, afferma: “Dipingere con delle pietre, come in altri tempi si dipingeva con l’oro, per realizzare le superbe pale che hanno ornato gli altari dell’Europa del Rinascimento e dell’età barocca, dipingere delle pietre grezze o lavorate e con dell’oro è ciò che fa l’originalità di Rossella Faraone”. Gli fa da eco il presidente della Fondazione Michetti, Vincenzo Centorame, che nella presentazione del volume scrive: “Le opere della Faraone sarebbero da interpretare anche alla luce di quella mistica delle pietre preziose di cui parla Paul Claudel, il quale invita ad osservare le cose belle della terra pensando a quelle del cielo”. La mostra è aperta dal martedì al sabato con orario 10.00-13.00 e 16.00-19.00. Ingresso gratuito.
Biennale d’arte sacra contemporanea Santuario di San Gabriele dell’addolorata – Isola G.S. DI
MIRA CARPINETA
on la Messa dell’Artista, animata dall’esibizione di 100 cantori provenienti da diverse Corali, si è conclusa presso il Santuario di S. Gabriele, a Isola del Gran Sasso, la XIV Biennale d’Arte Sacra Contemporanea intitolata: “Le Beatitudini” . Organizzata dalla Fondazione Stauros ,il cui museo raccoglie opere d’arte sacra contemporanea sul tema della Passione e Resurrezione di Cristo, e inaugurata il 31 luglio scorso, nei tre mesi di esposizione ha registrato una numerosissima affluenza di pubblico stimata in circa dodicimila presenze. La Mostra ha visto il coinvolgimento di artisti storici, che hanno infuso un’aura di dignità all’esposizione,
Alcune delle opere esposte alla XIV Biennale
e rivitalizzata da qualificati artisti emergenti, che hanno saputo creare il senso della continuità e dello sviluppo. Articolata in cinque sezioni tematiche dedicate ai messaggi evangelici del “Discorso della Montagna” -Matteo (5,312), il Santuario ha ospitato oltre cento opere, in parte installazioni, create appositamente per l’occasione. Attraverso le loro opere , gli artisti hanno dischiuso la possibilità di percorsi spirituali che hanno assunto il valore di sequenze contenutistiche ed estetiche e si sono misurati con il suggestivo tema proposto, al fine di entrare in dialogo con la Chiesa e donare ai visitatori suggerimenti spirituali.
50 nov. / 2010
51 nov. / 2010
scherma
Rinascimento a un tiro di spada i novizi come lo eravamo io e i miei compagni, si cimentano con Scherma medievale e rinascimentale, ecco quello che faccio. L’anno scorso ho trovato un link di un’amica, su facebook, nel i “fratelli” delle altre sale sparse in Italia, in molte delle discipline quale si diceva che qui a Teramo era presente un corso di scher- proposte, tra cui spada sola o accompagnata da rotella (scudo), ma storica. Ho creduto all’inizio che fosse qualcosa di teatrale, di daga (pugnale) o brocchiero (piccolo scudo in ferro) e cose simili. È in eventi come questi che si ha la possibilità di incontrare altri finto, per essere sinceri. “marozziani”, fare amicizia, scambiarsi pareri Nonostante tutto la curiosità ha vinto i miei ed esperienze sulle discipline studiate o andubbi e mi sono decisa a chiedere qualche che solo avere la gioia di tirare e basta. informazione: luogo, attività, “come”. L’altro grande incontro è il mitico ValhalLa prima lezione è stata una scoperta: altro la, divertimento allo stato puro. Tre giorni che teatro o finzione, si apprendevano tecper stare in compagnia, giocare e duellare niche reali di scherma del 1500 che alcuni con tutte le armi possibili, singolarmente o maestri (di Bologna) avevano insegnato a in squadra. Lo porto dentro come un ricorallievi di quell’epoca, proprio come i nostri do caro, un modo per staccare un po’ dalistruttori fanno con noi in questa di epoca: la realtà e vivere semplicemente in allegria fantastico! con gli altri. Che dire ancora, la Marozzo è È uno sport a contatto pieno, ovvero ci si questo e tanto altro. L’anno scorso i ragazzi picchia sul serio, e sul serio bisogna imparare del mio corso ed io abbiamo superato con a difendersi e ad attaccare, per non riporsuccesso l’esame di spada sola (il corso base) tare a casa qualche livido di troppo (ne so e quest’anno abbiamo già iniziato le lezioni qualcosa). di spada e daga. Chissà come finirà. So solo, La Sala d’arme Achille Marozzo, l’associazioe lo so con certezza, che dopo aver pratine che dà vita a questi corsi e che prende il cato molti sport, ne ho trovato uno che mi nome da uno di questi maestri del passato, dà grande soddisfazione e altrettanto diverorganizza numerosi incontri durante l’anno, timento. ai quali ho avuto la gioia di partecipare. Uno Allenamenti di questi è il Torneo, dove ogni allievo, anche di scherma medievale DI VALENTINA TRIGNANI
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Partite Teramo calcio mese di novembre
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Teramo - L’Aquila Al Teramo tocca L’Aquila di Ola e Vidallè dopo il pareggio interno con il Paternò. Allo Stadio “Tommaso Fattori”si incontrano due squadre diverse sotto ogni punto di vista. Infatti il Teramo viaggia a gonfie vele contro ogni pronostico, mentre L’Aquila è nei bassifondi della classifica. Gli aquilani infatti nonostante avessero in rosa giocatori come Ola (futuro biancorosso) Contini (ora al R.Saragozza), Scardina ecc. arriveranno penultimi. Il diavolo si presenta con due record: miglior attacco tra i professionisti (46 goal a pari merito con l’Inter) e maggior numero di tifosi al seguito in una trasferta. (2000 presenti al “Fattori”). L’arbitro di quel match era Tagliavento di Terni, ora arbitro in Serie A. L’Aquila sfiora la vittoria per due volte grazie alle giocate di Vidallè. A portarsi in vantaggio sono i rossoblu con Rizzioli che viene agguantato da un penalty realizzato da Simone Motta. L’arbitro dà il via alla seconda frazione
fansteramoblog@gmailcom
stagione 2010/2011
di gioco e Vidallè riporta in vantaggio la formazione aquilana. Il Teramo non molla e crea azioni a ripetizione fin quando non riporta i conti alla pari. Alla fine le due squadre divideranno l’intera posta in palio. Protagonista assoluto del match l’attaccante biancorosso Simone Motta. L’AQUILA: S a s s a n e l l i , S c a rd i n a , M a r i n e l l i , G i ugliano,Ola,Contini,Rizzioli(13’ st Vincioni),Russo,Vidallè(39’ st Affuso),De Simone,Redavid(25’ st Drascek) All. Gentilini TERAMO: Mancinelli,Facci,Vitali(24’ st Arno),B agalini,Castelli,Molinari,Marchetti,Bi so(35’ st Manni),Pepe,Motta,De Angelis G.(10’ st Cavalli) All. Zecchini Arbitro: Tagliavento di Bari
53 nov. / 2010
Fans Teramo buon compleanno Tre anni fa è partito un piccolo progetto, forte di tante speranze e tanto impegno. Facciamo un piccolo bilancio con il promotore del blog “Fans Teramo”. Tre anni di blog, tifo e molte soddisfazioni. Raggiunti obiettivi impensabili, se si pensa che nel novembre 2007, quando è iniziato il progetto “blog”, la spinta era data da un solo motivo: il Teramo calcio 1913. Nell’arco di tre anni, le gratificazioni maggiori sono state rappresentate soprattutto dalla partecipazione registrata nell’attività e area discussioni dello spazio virtuale dedicato alla squadra ed in modo particolare ai tifosi, che fanno della loro passione superlativa il “biancorosso”. La passione appunto, ha permesso a tre ragazzi, Federico, resp. blog, Maurizio, per la parte statistica ed Anthony,
per la parte grafica, di garantire un’informazione continua, aggiornata, completa e trasparente, nessuna influenza, nessun vincolo, e come amano dire loro senza nessun “padrone”. Nell’anno 2010 si è riusciti ad aggiornare il blog quotidianamente, suscitando tanti apprezzamenti e qualche appunto. Ogni critica, però, è stata raccolta ed usata come spunto di riflessione per migliorare il blog. Oltre alla pregevole iniziativa della prima realizzazione di calendari tascabili da parte di “Fans Teramo”, in programma per il prossimo anniversario della fondazione, 23 novembre, una serie di interviste ad ex biancorossi con diversi nomi importanti. Il nuovo anno porterà una importante novità: il blog si trasformerà in un vero e proprio spazio web, un sito in tutto e per tutto.
54 nov. / 2010
a cura di Ivan di Nino
55 nov. / 2010
Antonietta Guidobaldi
La signora è … immobile DI
ROPEL
Ho conosciuto Antonietta Guidobaldi quando collaborava con il padre, notissimo notaio della Val Vibrata, e l’ho ritrovata impegnata e solerte titolare di un’importante agenzia immobiliare che porta il suo nome (e lo stemma di famiglia) in bella evidenza. Nel cordialissimo incontro sono venuti alla luce, aldilà delle parole, i principali aspetti della sua personalità. Cura per il particolare, innanzitutto, (eleganza dell’ambiente molto curato, pur nella funzionalità assicurata), giovialità, con cui mette subito a proprio agio l’interlocutore. A seguire, professionalità acquisita in tanti anni di operatività nel settore, arricchita dall’esperienza di lavoro iniziale, e sensibilità nel comprendere e cercare di risolvere le esigenze di chi le siede di fronte. In sintesi, Antonietta Guidobaldi coniuga felicemente gli aspetti ‘tecnici’ con il bagaglio umano e culturale che porta inevitabilmente con sé ed il risultato finale si traduce in fiducia da parte della gente. Durante la cordiale conversazione viene fuori il ‘profilo’ ideale di un agente immobiliare, che è caratterizzato da ottima conoscenza tecnica di settore, ivi compresa la conoscenza del mercato, ma anche dalla capacità di
ascolto e rapidità nel comprendere le reali esigenze delle persone. Ovviamente, il tutto ‘condito’ da una forte dose di pazienza. Attualmente, ricorda quasi sottovoce, l’offerta di case è certamente superiore alla corrispettiva domanda ed il mercato di settore non può non risentire della generale crisi. Le chiedo se, avendo idealmente un giovane avanti, lo spronerebbe ad intraprendere la sua stessa strada professionale. Dopo una breve pausa di riflessione, risponde che , non essendoci certezze, lo ammonirebbe cercando di renderlo edotto sui rischi e difficoltà professionali. Sulla concorrenza sostiene che “più che un problema è uno splendido stimolo ad agire sempre meglio”. Il suo sogno nel cassetto non è solo in campo professionale e chiaramente torna riemerge la donna e la mamma. Sogna di ritrovare valori e tradizioni e rispetto tra le persone, anche nell’ambito del lavoro. La lascio a coordinare il lavoro dei suoi quattro giovani collaboratori, con l’energia di una ragazza, ma con la decisione ammantata di dolcezza e lo sguardo bonario di chi comprende al volo le esigenze degli altri.
I consigli dello psicoterapeuta
Il male del secolo si affronta cosi’
foto di “Breast Cancer Foudation” (Sidney, Australia)
La psicoterapeuta Emanuela Torbidone ci aiuta a capire quali meccanismi scattano in ognuno di noi quando si parla di una malattia importante come il cancro, che fondamentalmente ci pone davanti alla consapevolezza della morte. C’è chi affronta il tumore e tutte le sue conseguenze con uno “spirito combattivo”, ossia presenta una reazione caratterizzata da atteggiamenti fiduciosi e dalla accettazione della malattia come evento di vita drammatico, ma affrontabile. Questo permette di sostenere fiduciosamente il percorso di malattia. Purtroppo non tutte le persone reagiscono così. Si possono riscontrare nelle persone affette da carcinoma anche altre reazioni: - negazione-evitamento: la persona si mostra indifferenza verso la malattia, la minimizza e continua a vivere come se nulla fosse accaduto; - fatalismo: la persona con indifferenza “stoica” non mostra nessun desiderio di combattere la malattia, ciò è ben diverso dall’accettazione rassegnata e passiva della malattia; - preoccupazione ansiosa caratterizzata dalla non accettazione della malattia con intenso e costante timore dell’evoluzione della stessa; - disperazione: in cui la persona pre-
senta una accettazione della malattia ma sono presenti sensazioni di sconfitta irrimediabile, depressione, senso di inutilità e sopraffazione. Il modo in cui il paziente reagisce alla diagnosi influenza in modo positivo o negativo l’evoluzione della malattia. Infatti, le persone che reagiscono con uno “spirito combattivo” presentano una migliore prognosi rispetto ai possibili decorsi evolutivi della malattia. Alcuni studi hanno evidenziato che, a parità di determinate condizioni cliniche e di terapie effettuate, i meccanismi psicologici posti in atto dal paziente incidono in modo significativo sul decorso e quindi sulla prognosi della malattia, nonché sul reinserimento nella vita di tutti i giorni. Tali meccanismi inoltre entrano in gioco già nel momento della scoperta di eventuali segnali premonitori. La diagnosi di una malattia importante come il tumore, rappresenta un momento cruciale nelle vita del paziente? La diagnosi di carcinoma rappresenta il passaggio “dall’essere sani all’essere malati”, ossia si entra in una situazione caratterizzata da incertezza e minaccia di morte. Si tratta di un processo con elevati costi psicologici in cui ansia, depressione e rabbia possono essere considerate normali risposte adattive all’esperienza che la persona sta viven-
58 nov. / 2010
do. La presenza di queste emozioni, anche se in maniera massiccia, Rivolgersi ad uno psicoterapeuta può essere di aiuto? non va vista necessariamente come la presenza di un disturbo L’intervento psicologico e psicoterapeutico del paziente oncologico rappresenta ormai un aspetto significativo che si affianca agli psichiatrico. È possibile che la persona al fine di contenere le angosce metta in altri trattamenti medici a cui la persona si sottopone nel corso atto meccanismi di difesa che in altri contesti sarebbero indici di dell’evoluzione della malattia, infatti, non si può non tener conto struttura nevrotica o psicotica, ma che se utilizzati invece in ma- dei numerosi stress che il malato deve affrontare e dei cambiamenti, a volte inattesi, che si susseguono in niera transitoria gli permettano di affrontare ogni fase della malattia: dalla fase diagnostica la dolorosa realtà e di entrare in quella fase a quella terapeutica, a quella della remissiosuccessiva dell’ elaborazione in cui si viene ne, a quella di un’ eventuale aggravarsi della a trovare di fronte ad una situazione di vita malattia o di una recidiva. Nei casi oncologiobiettivamente cambiata. Il paziente cerca in ci l’’intervento psicoterapeutico può essere questa fase un senso a ciò che gli è accaduto strutturato a più livelli: e perché sia successo proprio a lui. È un mo“sostegno psicologico”, prevalentemente mento di riflessione che coinvolge le scelte mirato a contenere l’ansia e le emozioni che passate, i propositi, i desideri mai realizzati. scaturiscono dalla situazione oncologica; C’è da fare una riflessione su un aspetto “sostegno integrato” che unisce agli obietparticolare: la diagnosi di carcinoma pone le tivi del sostegno psicologico la possibilità persone di fronte alla propria morte, essedi limitare gli effetti collaterali delle terapie re posti in modo così “tangibile” davanti alla mediche e della malattia stessa; psicoteramorte fa emergere tutte le “domande impeutico, il quale oltre a comprendere gli portanti” ossia quelle domande che abbiamo obiettivi degl’altri due livelli, permette di spesso soffocato con l’idea di riproporcele mobilitare le risorse interne della persona dopo, quando saremo più vecchi e più saggi. al fine di favorire un nuovo adattamento e Il modo in cui si affrontano queste domande il “continuum” del progetto esistenziale del può trasformare l’avvento della malattia in paziente che includa l’evento cancro. una opportunità di crescita, ma si tratta di un foto di “Breast Cancer Foudation” processo che non è mai indolore. DI ANTONELLA LORENZI (Sidney, Australia)
59 nov. / 2010
Il Centro di Nutrizione c’è, ma di Teramo c’è la Regione di Chiodi non lo sa A CURA DI
PAOLO DE CRISTOFARO*
Il 2010 è stato un anno molto generoso per il Centro di Riferimento Regionale di Fisiopatologia della Nutrizione della ASL di Teramo con riconoscimento da parte del Ministero della Salute nella mappatura nazionale dei Centri per le buone pratiche (vedi sul WEB www.disturbialimentarionline.it), riconoscimenti accademici da parte dell’Accademia Piceno Aprutina dei Velati di Teramo, presenze prestigiose in numerosi eventi nazionali e infine, importanti premi alle nostre principali pubblicazioni. Infatti, dopo aver ricevuto nel maggio 2010 la menzione speciale al Premio di saggistica “Città delle Rose” di Roseto degli Abruzzi, per l’opera editoriale Vissuti di Anoressia di Paolo De Cristofaro e Natalina Ferrante, il 25 settembre scorso, anche la giuria del Premio Nazionale Histonium ha assegnato agli autori il Premio Speciale della sezione saggistica, apprezzando l’originalità del testo che parla, per l’appunto, della eccezionale esperienza del centro teramano nell’accoglienza e nella cura dell’ anoressia, a livello ambulatoriale e territoriale. Il testo, che si rivolge in particolare a genitori, insegnanti e operatori sanitari, in effetti, ha la particolarità di avere un contenuto prima letterario e poi scientifico. Inoltre, parte dall’analisi della società attuale e cerca di capire il linguaggio dell’anoressia che si contrappone alla sorda e sottile violenza del nostro tempo. Per questo motivo è stato anche, di recente, divulgato nelle edicole della nostra provincia. A fronte di tutto ciò ci dispiace apprendere che il presidente della Regione, Gianni Chiodi, commissario ad acta per il Piano di rientro della Sanità, intervenendo a Sulmona, al primo seminario sull’appropriatezza dell’assistenza sanitaria ha dichiarato che non c’è mai stata in Abruzzo una sanità territoriale. E’ molto grave che il presidente non conosca e non riconosca i buoni esempi di sanità territoriale che insistono, addirittura nel proprio territorio di vita e di lavoro, ma che faccia riferimento esclusivamente ad esempi fuori regione. Vorrei ricordare al Presidente che il Centro Regionale di Nutrizione, malgrado le difficoltà del momento, attrae ancora utenza da tutta la regione e dalle regioni limitrofe e riesce anche a dedicare una parte importante della sua attività alla didattica e alla ricerca. Vorrei aggiungere che il Centro Regionale di Nutrizione ha affrontato l’emergenza del terremoto di L’Aquila e della sospensione delle attività della Clinica privata di Villa Pini senza aver avuto alcun tipo di sostegno da parte della Regione.
Vorrei ricordare che nel corso dell’ultimo anno abbiamo evitato circa 80 ricoveri per disturbi alimentari gravi che la nostra Regione avrebbe dovuto pagare come mobilità passiva. Vorrei ricordare tutta la nostra disperazione per il sottodimensionamento del personale rispetto all’enorme richiesta di interventi per quella che è una vera emergenza sanitaria. Purtroppo la Regione Abruzzo continua ad ignorare non solo noi, ma anche la patologia che curiamo. La dedica del libro “Vissuti di Anoressia” a Olga Guaschino morta il 21 Aprile 2007 a soli 28 anni, mette immediatamente a contatto con la realtà drammatica di questa malattia che è ancora gravata da elevata mortalità (ben il 10% a 10 anni e il 20% a 20 anni). Purtroppo Olga è stata una delle tante vittime silenziose di questo male. E’ così che una parte importante della nostra migliore gioventù esce di scena senza clamore, in punta di piedi, togliendo lo scomodo, con modalità che solo raramente riconducono al problema vero, quali suicidi, incidenti stradali. Il nostro Centro, nei suoi 12 anni di attività, ha posto come priorità operativa l’accoglienza, l’ascolto e la comprensione del sintomo anoressico che sono alla base della diagnosi precoce del disturbo e della possibilità di ottenere moltissime guarigioni. L’approccio che è, per l’appunto, ambulatoriale e territoriale è economicamente vantaggioso perché evita i ricoveri impropri. Altre regioni, che sono partite molto dopo la nostra, stanno potenziando o creando nuovi centri di riabilitazione psico-nutrizionale perché è un’evidente e indiscutibile emergenza sanitaria del nostro paese. E’ per questo che chiediamo a gran voce anche dalle pagine di questo giornale di poter crescere, di poter accogliere più pazienti, di poter trasmettere i nostri saperi, di poter continuare ad esercitare una buona ed efficace sanità territoriale. E nello stesso tempo chiediamo al presidente Chiodi di conoscere e valorizzare le realtà sanitarie abruzzesi sane e funzionali, in particolare se appartengono al proprio territorio. * RESPONSABILE CENTRO REGIONALE NUTRIZIONE GIULIANOVA Asl TERAMO
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Respirazione essenza del movimento A CURA DEL PROF.
VALTER DI MATTIA
Respirare correttamente durante le fasi di attività motoria rappresenta il miglioramento del lavoro neuro-muscolare (“physiological work”). Il principale muscolo sollecitato a svolgere l’attività respiratoria è il diaframma . Nella fase embrionale è il secondo muscolo a formarsi, dopo il cuore (circa la quarta settimana) e si attiva dopo il primo vagito. E’ il principale muscolo inspiratorio (antagonista del muscolo trasverso). Il diaframma, muscolo largo, ma sottile e piatto, forma una chiusura trasversale fra il torace e l’addome. E’ la linea che separa il cuore e i polmoni dallo stomaco, fegato e intestini; ha la forma di un ombrello ed è attraversato dall’aorta, dalla vena cava, dall’esofago, tocca lo stomaco ed il fegato, la milza, i reni, va dalla pleura al peritoneo. Durante la inspirazione attiva, profonda, il diaframma, contraendosi con i suoi pilastri, facendo leva sul centro frenico, coadiuvato dai muscoli “elevatori delle coste” ed “intercostali esterni”, solleva le coste che aprendosi a ventaglio fanno immettere aria nei polmoni. Un addome tonico favorisce il punto di leva del diaframma e, migliorando la respirazione e normalizzando la curva fisiologica
lombare, aumenta la capacità vitale dei polmoni contribuendo ad aumentare il valore del “V O2 Max”. Da un punto di vista nervoso, la inspirazione profonda, addominale, viene determinata dagli impulsi nervosi elaborati nel centro respiratorio del “bulbo encefalico” trasmessi tramite la rete parasimpatica del nervo vago e da quella ortosimpatica toracoaddominale (plesso polmonare). Da un punto di vista circolatorio, si potrebbe pensare che l’azione diaframmatica rallenti il flusso arterioso del’aorta, ma ciò non accade poiché i pilastri del diaframma durante la contrazione incavano il letto fibroso dell’aorta, formando una semidoccia di protezione che non frena la sua gittata. All’altezza della 9a° vertebra dorsale si trova l’orifizio della “vena cava”: durante la contrazione, le fibre del diaframma allentano l’orifizio, che prendendo forma di un quadrilatero, facilita la risalita del flusso venoso. L’espirazione è un movimento meno attivo, viene eseguito con la contrazione del muscolo “trasverso” che, facendo leva sul pacchetto intestinale a “guisa di cinghia”, lo comprime verso la colonna vertebrale. Questo muscolo è coadiuvato nella sua azione dal
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“quadrato dei lombi”, dai “retti addominali” e dagli “obliqui interni ed esterni”. Nella fase espiratoria, prevale l’azione del “vago” (bronco-costrittore) e del “simpatico” (vaso-dilatatore). Da tutta questa analisi anatomica, si può dedurre che una buona respirazione è essenziale per migliorare la performance sportiva, visto che sono implicati molti aspetti del nostro sistema corporeo. Com’è la giusta respirazione durante l’esecuzione degli esercizi? Durante la fase di sforzo (fase concentrica del movimento) occorre ESPIRARE (si innesca involontariamente la manovra di Valsalva) aumentando la pressione nella cavità addominale, simile ad una struttura gonfiabile, che spingendo sulla colonna vertebrale diminuisce la compressione delle vertebre D12 - L1 e L5 - S1, di circa il 50%. La INSPIRAZIONE va fatta durante il rilassamento (fase eccentrica del movimento). Nella donna la respirazione è soprattutto di tipo costale superiore. Questa peculiarità si rende indispensabile durante la gravidanza, poiché il feto con la sua presenza non rende valido il lavoro del diaframma.
Nel bambino la respirazione è prettamente addominale. Nell’uomo è mista, cioè costale superiore ed inferiore. Nelle persone anziane la condizione respiratoria varia a causa dell’aumento della curvatura del “rachide dorsale” (cifosi dorsale) e dell’ipotonia muscolare. Di conseguenza le coste superiori perdono la loro mobilità e con essa la ventilazione polmonare del lobo superiore, rendendo la respirazione prettamente addominale. Molto spesso i principianti che si avvicinano all’attività fisica tendono durante l’esecuzione di un esercizio impegnativo a trattenere il respiro nel momento del massimo sforzo. Eseguendo l’esercizio in apnea, possono crearsi problemi a carico del cuore, procurando una eccessiva pressione toracica che agisce in modo negativo sulla “circolazione coronarica”, impedendo una corretta funzionalità del cuore. Questa situazione è pericolosa per il soggetto poco allenato, oppure avanti con l’età o con una patologia cardiaca. Tutto questo può essere evitato insegnando e puntualizzando dall’inizio una corretta respirazione, data l’innaturalezza dell’espirazione nella fase di sforzo.
Anatomia muscolare della cassa toracica (in particolare il muscolo del diframma)
62 nov. / 2010
A CURA DI
ROBERTO SANTORO *
Con la recente sentenza nr. 18477 dello scorso 9-08, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito il principio di diritto secondo il quale per la modifica delle tabelle millesimali di un condominio è sufficiente raggiungere la maggioranza prevista dall’art. 1136 del C.C., ossia un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del val. dell’edificio.Com’è noto, la tabella millesimale esprime il valore di ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale, commisurata al valore complessivo dell’int. edificio che si considera pari a 1000, e disciplina la misura del diritto e dell’onere di contribuzione di ciascun condòmino, stabilendo che questa sia proporzionale al val. del piano o della porzione di piano. Prima che le S. U. della Suprema Corte prendessero posizione sul punto, si riteneva che i val. proporzionali dei vari piani o porzioni di piano espressi dalle tabelle millesimali potessero essere riveduti o modificati con il consenso unanime di tutti i condòmini – e dunque con un voto che fosse espressione dei 1000/millesimi del valore dell’intero edificio – ovvero facendo ricorso all’aut.
Modifica delle tabelle millesimali Giudiz.. Riuscire ad ottenere una più equa ripartizione dell’onere di partecipazione alla spese era estremamente difficoltoso, a tutto vantaggio di coloro i quali avessero operato modifiche edilizie tali da alterare sensibilmente il rapporto di valore originario tra gli appartamenti. Si pensi, ad es., alle ipotesi di nuove unità immobiliari, realizzate sfruttando lo spazio sovrastante l’ultimo piano di un palazzo; o, ancora, ad un’opera di trasformazione di un sottotetto, in una mansarda abitabile. Interventi strutturali che, comportando un incremento di su-
perficie, volumetrìa e spese, richiedono una differente ripartizione degli oneri di contribuzione, e quindi dei millesimi. Sino all’intervento chiarificatore della Cassazione, le strade praticabili dai condòmini “dissenzienti” erano due: ottenere l’unanime approvazione di tutta l’assemblea (dove il veto o l’ostruzionismo di uno o più proprietari interessati sarebbe stato determinante), oppure ricorrere al giudice. Sempre che la richiesta di revisione delle tabelle fosse rientrata nella dettagliata casistica prevista dall’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che ammette l’azione in giudizio solo in caso di errore o variazioni rilevanti. La concreta operatività della sentenza 18477/’10 dovrà, tuttavia, superare il vaglio di alcuni dubbi operativi sollevati dagli esperti del settore già all’indomani della sua pubblicazione. Non è chiaro, infatti, se il principio di diritto in esame potrà essere applicato a tutte le tipologie di tabelle millesimali esistenti nella prassi o se, per ottenerne la revisione, sarà ancora necessario il ricorrere degli specifici requisiti richiesti dalla legge. * MAGISTRATO
Difendere il patrimonio della famiglia Difendere il patrimonio proprio e della famiglia (in particolare “la casa”) è esigenza molto sentita per chi è imprenditore o professionista. Questi ultimi, infatti, rispondono dei debiti della propria attività con tutti i loro beni, come il socio di una società di persone; il socio di una società di capitali (come una srl o una spa), anche se gode di una responsabilità limitata, spesso rilascia (specie su richiesta delle banche) fideiussioni e garanzia personali. Inoltre, i professionisti possono essere anche oggetto di richieste di risarcimento danni da parte dei propri clienti. Il patrimonio della famiglia può essere efficacemente difeso con l’istituto del fondo patrimoniale, regolato dagli artt. 167 – 171 del codice civile. Il fondo è un vincolo giuridico da costituire, con atto pubblico, su determinati
beni (beni immobili, mobili iscritti, titoli di credito). Tutti tali beni vengono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia. Il fondo può essere costituito anche ad opera di un terzo o per testamento. Fin qui nulla di particolarmente rilevante. In sostanza, viene costituito un insieme di beni per garantire alla famiglia un determinato tenore di vita. L’aspetto rilevante è indicato dall’art. 170 del codice civile: i beni oggetto del fondo, come i suoi frutti, non possono essere pignorati dai creditori in relazione ai debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Tra questa categoria di debiti (per i quali, giova ripetere, i beni del fondo non possono essere sottoposti a esecuzione forzata) rientrano senza dubbio i debiti contratti nell’esercizio di una impresa commerciale, di una attività professionale, ovvero derivanti da azioni risarcitorie. Il fondo, comunque, incontra dei limiti di legge ben precisi, tesi ad evitare lo “snaturamento” della sua funzione (tutela del patrimonio
A CURA DI
AVV. GIANFRANCO PUCA *
della famiglia). Esso non può essere mai utilizzato per evitare il pagamento di debiti già contratti; se utilizzato in tal modo non solo può essere reso inefficace (tramite un’azione revocatoria) ma può determinare responsabilità anche penali, se si cerca di eludere il pagamento di imposte e tasse. Inoltre il fondo, essendo finalizzato a tutelare il patrimonio della famiglia, può essere costituito solo da una coppia sposata, e non da una coppia di fatto. L’amministrazione ordinaria del fondo spetta a entrambi i coniugi disgiuntamente, secondo le regole della comunione legale. E’ necessario, però, il consenso di entrambi per per vendere o, comunque, vincolare (ad esempio con una ipoteca) i beni del fondo; in caso di presenza di figli minori, per le medesime operazioni di vendita o vincolo, è necessaria l’autorizzazione del Giudice tutelare. (Eventuali tematiche da trattare possono essere segnalate all’indirizzo avvocato@studiolegalepuca.it)
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PREMESSA: a) procedere, almeno 36-48 ore prima, all’ammollo dei ceci b) i quantitativi sono rapportati ad almeno 8/10 persone: - Ceci Kg 1,2; - Castagne Kg 0,3; - Mandorle Kg 0,150; c) durata complessiva della sola fase di cottura: non meno di 6 (sei) ore; d) durante la cottura: non toccare i ceci! 1° fase di cottura ( 2 ore ) Mettere in una pentola adeguata con non molta acqua i ceci ed un “tocco” di baccalà (di circa 2,5-3 etti). Fuoco lentissimo e niente sale. Dopo circa 40 minuti, cambiare acqua avendo l’accortezza di usare nuova acqua molto calda. Dopo ulteriori 40/45 min. nuovo cambio di acqua. N.B. sempre a fuoco lentissimo con molta acqua. Avere l’accortezza di usare un coperchio che copra a metà la pentola Preparare 4/5 foglie di alloro (meglio se fresco), 3 spicchi di aglio “vestito”, 1 “costa” grande di sedano, 4/5 pomodorini. Almeno 3 mestolini (non cucchiai) di olio extra vergine di oliva. 2° fase di cottura ( 2 ore ) Togliere il prezzo di baccalà. Mettere nella
pentola quanto preparato (alloro, sedano, aglio, pomodorini, olio ed un bel pugno di sale “grosso”). Lasciare il fuoco sempre “lentissimo” curando che l’acqua non sia abbondante. Non toccare i ceci. Preparare le castagne. (Inciderle con un coltello, lasciarle appena abbrustolire e spellarle) Preparare le mandorle (se non già “pronte”, spellarle) 3° ed ultima fasse di cottura ( 2,5 ore ) Aggiungere le mandorle a quanto in cottura, “affogandole” con un cucchiaio di legno e con molta delicatezza. Dopo un’ora aggiungere le castagne (si possono tagliare a metà). Solo alla sesta ora (anche per verificare il grado di cottura e di sapidità) si possono “rigirare” i ceci ad assaggiare. Preparare fette di pane abbrustolito e spezzettarlo minutamente mettendone in ogni piatto. Servire caldo. N.B. consiglio di un esperto: accompagnare con un ottimo Cerasuolo o giovane rosso (Montepulciano o Chianti) Il risultato è talmente entusiasmante (quindi, di sicuro successo tra i commensali) che si giustifica e sopporta l’elaborata fase di preparazione
Mandorle al fondente INGREDIENTI: 250 gr. di mandorle, 2 cucchiai di zucchero, 250 gr. di cioccolato fondente PREPARAZIONE: Mettere il cioccolato fondente con lo zucchero sul fuoco (non diretto, quindi a bagnomaria) mentre si è già proceduto a parte a tostare (fino a rosolatura) le mandorle sbucciate. Si mettono le mandorle nel cioccolato (mentre è sul fuoco) e si mette a raffreddare su un idoneo ripiano (o grandi piatti).
Dal volume “Una ricca...cucina povera” di Roberto Pelillo
Ceci con castagne e mandorle
64 nov. / 2010
Ego batte empatia 1-0 A CURA DI
FRANCESCA ALCINII
DOTT.SSA IN TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE
Ogni creatura è un essere unico ed irripetibile in un mondo dove tutto è diverso da lui. La difficile convivenza si basa infatti sul rapporto che si ha con il “diverso”, in particolar modo se questo si riferisce ad altri esseri viventi. Più queste creature sono diverse da noi più ci riesce difficile essere empatici verso di loro. La capacità di immedesimarsi in un altro uomo è maggiore rispetto a quella verso un animale. La socializzazione aumenta con l’aumentare dell’empatia. Infatti, possiamo misurare la qualità delle nostre relazioni in base alla capacità che abbiamo nell’immedesimarci negli altri. È importante capire questo concetto fin da bambini. La nostra cultura però non sembra adottare questa linea di pensiero, anzi si muove nella direzione opposta: l’egocentrismo. Abbiamo una visione antropocentrica: invece di comprendere gli altri, proiettiamo in loro noi stessi. La psicologa americana Norma Feshbach, per sviluppare l’empatia nei bambini delle scuole elementari, ha ideato tecniche che attivano nel bambino la capacità di immedesimarsi negli altri. E, dato che l’empatia tra due esseri è tanto maggiore quanto più questi si intuiscono come simili, emerge l’importanza di individuare negli altri tutte quelle caratteristiche che si hanno in comune. Gli animali, essendo esseri molto diversi da noi, ci aiutano moltissimo a potenziare la nostra capacità d’immedesimazione, ma a causa dell’antropomorfismo che ci fa attribuire agli animali caratteristiche umane, la nostra empatia diminuisce drasticamente. In altre parole, significa negare la loro diversità, e non comprenderla. Per i bambini è naturale attribuire agli animali i loro pensieri e sentimenti. Spesso li sentiamo parlare con loro come se stessero parlando con un amico. Intervenire nella relazione bambino-animale, e far comprendere al primo che gli animali sono esseri diversi da lui, significa anche fargli comprendere le loro reali esigenze, aumentando così le capacità empatiche del bambino verso gli animali, ma soprattutto verso le relazioni in generale, favorendo la socializzazione. Studi scientifici eseguiti su macachi hanno analizzato le conseguenze della separazione della madre dal piccolo poco dopo la nascita. Gli studiosi hanno avuto grande difficoltà nel separarli, in quanto la madre diventava feroce attaccando gli assistenti, ed il piccolo si aggrappava saldamente alla madre strillando per tutto il tempo della separazione. Uno scienziato presentò una proposta di ricerca al National Institute of Health sulle conseguenze dell’isolamento di 40 bambini dalla nascita fino ai due anni. La proposta fu respinta con decisione. Le successive ricerche effettuate sugli animali hanno fornito risposte su come potevano essere i risultati di un così inumano esperimento. Una simile ricerca è considerata inumana se eseguita su bambini, ma non inumana se eseguita sui macachi. È evidente la notevole differenza di empatia tra umani ed animali, anche se entrambi esseri viventi. Alla luce di queste ricerche possiamo comprendere che avere un buon rapporto empatico con gli animali, abituandoci fin da bambini, ci insegna ad avere relazioni positive con gli umani e ad aumentare la socializzazione. Inoltre, getta le fondamenta per altre ricerche, come il rapporto tra la violenza dei bambini e degli adolescenti verso gli animali e la violenza verso le persone.
di MattoMattia Pompei