C’era una volta una bambina chiamata Anna che aveva un gravissimo problema. S’infuriava sempre. Molto in fretta e molto più spesso degli altri bambini. Terribilmente furiosa. Quando si arrabbiava, le sue guance diventavano rosse come pomodori, i capelli si rizzavano, frusciavano e lanciavano scintille, e i suoi occhi grigio chiaro brillavano, neri come corvi. Quando Anna era furiosa, doveva gridare e strillare, doveva pestare i piedi per terra. A volte si buttava per terra e dava colpi tutt’intorno. Anna non poteva fare nulla per evitare quelle arrabbiature. Ma nessuno ci credeva. Né sua madre, né suo padre, e neppure gli altri bambini. Ridevano di lei e dicevano: - È impossibile giocare con Anna!
E il peggio era che, quando Anna s’infuriava, se la prendeva con tutti quelli che le stavano vicino. Compresi quelli che non le avevano fatto niente. Quando inciampava e cadeva mentre stava pattinando, s’infuriava. E se Berti si avvicinava per aiutarla a rialzarsi, Anna gridava: Lasciami in pace! Se voleva fare le trecce alla sua bambola Anita e non riusciva, perché i capelli della bambola erano troppi corti, s’infuriava e scagliava Anita contro la parete. Se chiedeva una caramella a sua madre e lei non gliela dava, s’infuriava e magari pestava i piedi al papà. Se Anna costruiva una torre e questa cadeva, prima che fosse terminata, s’infuriava e lanciava i pezzi dalla finestra. Non le importava di colpire il gatto sulla testa.
Furiosa più che mai diventava quando ridevano di lei. Arrivava persino a lanciarsi contro i bambini più grandi. I più grandi, però, erano molto più forti di lei! Un giorno, due l’afferrarono per le braccia e due per le gambe. Corsero per tutto il parco mentre Anna strillava e diceva le parolacce e loro gridavano: -Aiuto, aiuto, esplode dalla rabbia! Gli altri bambini ridevano come matti.
A volte si faceva male da sola, quando s’infuriava. Una volta diede un calcio alla gamba del tavolo e si slogò la caviglia. Un’altra volta picchiò contro la porta e le venne un livido sul gomito. In un’occasione, si morse un dito con così tanta forza, che le uscì sangue. Dovette stare due settimane con il pollice bendato.
- Non si può andare avanti così!- disse sua madre. -Anna, devi imparare a mandare giù le tue arrabbiature. Anna ce la mise tutta. Ogni volta che sentiva la furia impossessarsi di lei, la mandava giù. Per poterla mandare giù meglio, si bevve litri e litri di acqua. Ma riuscì solo a farsi venire il singhiozzo e la pancia gonfia. E s’infuriò ancora di più.
- Non si può andare avanti così- disse suo padre. - Anna, se non riesci a mandarla giù evita semplicemente che compaia. Anna s’impegnò molto, e siccome non voleva che apparisse la furia, scansò i bambini più grandi e anche i piccoli. Così nessuno avrebbe riso di lei. Non andò più a pattinare. Non giocò più con Anita. Non chiese caramelle a sua madre. Non costruì più torri. E neppure ritornò al parco. Rimase a casa, seduta nella sua stanza su una poltrona di vimini, con le mani sui braccioli della poltrona, guardando fissamente davanti. -Non si può andare avanti così! – dissero i genitori. -Sì che si può!- affermò Anna. -Se rimango seduta qui, niente mi farà infuriare. -Non vuoi lavorare a maglia?- chiese sua madre. -No- rispose Anna. -Se mi salterà un punto, diventerò furiosa. - Non vuoi guardare fuori dalla finestra?- chiese suo padre. - No!- rispose Anna. - Potrei vedere qualcosa che mi farebbe infuriare.
E rimase seduta sulla poltrona di vimini finché, la domenica, non venne a trovarla il nonno. Portava un tamburo e due bacchette per sua nipote. Disse: -Anna, con il tamburo scaccerai la furia. All’inizio la bambina non ci credette. Ma poiché il nonno non le aveva mai mentito decise di provare. Per prima cosa doveva infuriasi tantissimo. Così tirò fuori i pezzi, costruì una e torre disse al nonno: - Se non arriva a misurare due metri, mi verrà un attacco di furia! Non raggiungeva il metro di altezza, quando cadde. -Uffa!- brontolò Anna. Il nonno le mise le bacchette in mano, le assicurò il tamburo con una cintura, e Anna iniziò a suonare. Il nonno non l'aveva ingannata. Il tamburo scacciava la furia! E ad Anna veniva quasi da ridere a vedere la torre caduta. Per tutta la domenica Anna fece cose che la facevano sempre arrabbiare. Voleva infuriarsi immediatamente. Così cominciò a cucire un bottone. All’istante, si formarono quattro nodi nel filo e lei sentì che si rizzavano i capelli. Ruppe il filo e cominciò a suonare il tamburo. I suoi capelli ritornarono ad essere morbidi come seta. La sua furia era scomparsa! Subito corse in sala e accese il televisore. Davano un film poliziesco. Sua madre che non glieli lasciava vedere spense il televisore. Le guance di Anna divennero rosse per la furia. Dovette suonare il tamburo a lungo, ma riuscì a farcela. Il rosso scomparve, ed era del tutto calma quando, alla fine, posò il tamburo.
Il lunedì, Anna andò al parco con il tamburo. - Ecco che arriva la bambina furiosa! – gridò un ragazzo, e gli altri risero. Gli occhi di Anna brillavano neri, come corvi, mentre colpiva il tamburo e sfilava davanti ai ragazzi. I bambini spalancavano stupiti gli occhi e la bocca e iniziarono a camminare dietro ad Anna. Anna fece tre volte il giro del parco. Poi, lasciò cadere le bacchette del tamburo. I bambini applaudirono e gridarono: - Come suona bene il tamburo!- e lo pensavano davvero. Da quel momento, Anna porta sempre, dalla mattina alla sera il tamburo allacciato alla vita. Le bacchette pendono dalla cintura e nessuno dice più: - Anna è matta da legare! Tutti vogliono giocare con lei. Le dicono sempre: - Dai fai la brava, suona un po’ il tamburo! Anna è contenta di comportarsi bene. E a poco a poco, sta dimenticando quando diventava furiosa.
Testo di Christine Nöstlinger © Il battello a vapore edizioni