Materiali compositi di Bosi Mario

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nell arte

mario bosi 1994 Copyright © 2004 PROCHIMA®


L espressione materiale composito indica il prodotto ottenuto dalla associazione di materiali diversi. Con questo termine vengono comunemente designate le materie plastiche rinforzate, come la vetroresina, costituita da una matrice, resina, che impregna e aggrega una fibra di rinforzo. Si ottiene così un materiale strutturale leggero e resistente, che assume facilmente le forme più complesse conferitegli da uno stampo sul quale il materiale viene modellato, nel modo più semplice dei modi, manualmente. I materiali compositi, grazie alle loro eccezionali caratteristiche, e alla grande capacità di adattarsi a diverse tecnologie applicative, costituiscono una grande famiglia di materiali strutturali di alto interesse progettuale e tecnologico, e hanno aperto nuove prospettive di sviluppo in numerosi settori, in alternativa ai materiali tradizionali. Con l avvento di questi nuovi materiali, in pochi decenni è cambiato radicalmente il modo di costruire, e ci troviamo integrati con queste nuove tecnologie. Ci si accorge ora di come tanti oggetti che ci circondano siano realizzati in materiale composito: la barca in vetroresina, l auto di Formula 1 e le nuove biciclette sono in fibra di carbonio, così come alcuni componenti di aerei e missili. Ma anche le cose più comuni, come il casco da motociclista, gli sci, il wind surf, il cassonetto per i rifiuti e un infinità di altri oggetti fanno parte di questa famiglia. Materiali all avanguardia per eccellenza, sono divenuti indispensabili alle esigenze dell industria moderna, ben conosciuti da progettisti e ingegneri per le loro eccellenti doti e molteplici applicazioni. Senza dubbio la grande diffusione di questi materiali si deve alle loro notevoli doti di resistenza meccanica, leggerezza e inalterabilità, ma la principale ragione del grande successo che hanno ottenuto sta nel fatto che offrono la più ampia libertà progettuale, nel design e nelle dimensioni. Non si è più legati alle dimensioni e agli spessori prestabiliti dei materiali tradizionali, non occorrono stampi complessi e costosi, ne impianti o macchinari. Le fibre sono duttili, si adattano alla volontà dell artista; quando la resina polimerizza ecco che la forma assume una struttura propria che è irreversibile. Si ottengono pezzi unici, inimitabili, che mantengono l aspetto inalterato nel tempo. La famiglia dei compositi è assai vasta. Conoscendo meglio le proprietà dei vari materiali si rimane stupiti dalle infinite combinazioni possibili. Può essere ad esempio definito materiale composito anche una mescola di resina e inerti da colare in uno stampo per ottenere oggetti massicci, o per inglobare mosaici, pietre o vetro, oppure per incollare strutturalmente materiali eterogenei. Ora per addentrarsi in questo argomento è bene conoscere le proprietà e le caratteristiche dei vari componenti, ed in primo luogo dell elemento fondamentale che è la resina.


LE RESINE

Nel settore dei compositi si utilizzano resine termoindurenti, polimeri sintetici di aspetto liquido più o meno viscoso, che induriscono a freddo, con l aggiunta di un catalizzatore, e mantengono in permanenza questo stato. Dei molteplici sistemi esistenti, per usi e applicazioni specifiche nel settore industriale, focalizzeremo i due tipi di resina più adatti agli impieghi che ci interessano, che sono le resine poliesteri e le epossidiche. Entrambi i sistemi vengono manipolati e applicati con modalità pressoché analoghe, ma si differenziano notevolmente sia per comportamento che per caratteristiche finali. La scelta va quindi fatta in funzione di ciò che si vuole ottenere e del procedimento di esecuzione che si deve seguire. Le resine non possono essere utilizzate come sono allo stato puro, per cui vengono fornite all utilizzatore già additivate con particolari sostanze che conferiscono le proprietà e caratteristiche necessarie per ogni specifica applicazione. E quindi meglio definirle con il termine formulati. Ogni formulato è contraddistinto da una sigla che lo identifica, che è evidenziata nell etichetta insieme alle indicazioni principali; inoltre nella rispettiva scheda tecnica sono riportate tutte le caratteristiche e modalità d uso.

RESINE POLIESTERI Iniziamo dalla famiglia delle resine poliesteri, che sono le più comuni e maggiormente impiegate nel settore dei compositi. Questa famiglia comprende diversi tipi, tra cui le ortoftaliche e le isoftaliche che si differenziano per alcune caratteristiche fisiche finali. Le resine poliesteri sono sostanze liquide con una viscosità relativamente bassa, il cui aspetto varia a seconda dei tipi e degli additivi che contiene, dal limpido incolore al roseo leggermente opalescente. Il loro indurimento avviene con l aggiunta di un catalizzatore: perossido di metiletylketone, abbreviato con il simbolo MEKP , che reagisce con un agente accelerante ottoato di cobalto, già presente nella resina come additivo. Tra queste sostanze, dopo la miscela, avviene una reazione esotermica, cioè con sviluppo di


calore, che fa polimerizzare la resina. L indurimento inizia però dopo un certo periodo di tempo, detto POT LIFE che può variare da 15 a 20 minuti, che consente l applicazione del prodotto. Il dosaggio di questi reagenti determina la velocità di reazione, che può essere variata entro certi limiti.

CARATTERISTICHE Le resine poliesteri sono sostanze infiammabili e quindi vanno manipolate con le dovute precauzioni. Contengono stirene, una sostanza volatile che emette un odore penetrante, e che permane per qualche giorno dopo la polimerizzazione, pertanto gli ambienti di lavoro dovranno essere ben areati. Trattandosi di un solvente, lo stirene riesce a sciogliere alcune sostanze, per questa ragione le resine poliesteri non devono mai andare a contatto, ad esempio con il polistirolo espanso, altrimenti lo fonderebbero all istante Tutte le resine poliesteri quando polimerizzano subiscono un ritiro dell 1% circa riferito sul volume di resina pura. Questo ritiro viene sensibilmente ridotto quando la resina è caricata con inerti o aggregata alle fibre, perché questi corpi, occupando uno spazio riducono la quantità di resina nel volume.

Con le resine ortoftaliche si ottengono manufatti dotati di elevata rigidità e resistenza meccanica; hanno inoltre un minore ritiro, il che offre un grande vantaggio nei sistemi per colata. Le resine isoftaliche sono invece più elastiche, quindi indicate per strutture soggette a flessione. Altre qualità di rilievo delle isoftaliche sono la migliore resistenza agli aggressivi chimici e il basso assorbimento d acqua, che le rendono più adatte per le opere esposte alle intemperie o immerse in acqua. CATALISI Le variazioni termiche ambientali provocano sensibili alterazioni sul processo di catalisi: il caldo agevola e accelera la reazione, viceversa il freddo e l umidità la inibiscono. Normalmente le resine poliesteri per stratificazione con fibre di vetro, sono preaccelerate nella dose ottimale in modo che quando si aggiunge il catalizzatore, la miscela avrà una vita utile per l utilizzo di 15 - 20 minuti, prima che inizi la fase di indurimento, che si manifesta con la comparsa di un gel, e sviluppo di calore. Con temperature medie attorno ai 20°C la resina, così come è accelerata, va


catalizzata con il 2% di MEKP. Con il variare della temperatura occorre correggere la dose del catalizzatore: 1,5 - 2% in estate; 2,5 massimo 3% in inverno, in modo da mantenere il pot life entro valori normali. Evitare catalisi troppo veloci, perché provocano un eccessivo sviluppo di calore, con la conseguenza di deformazioni, ritiri anomali e cricche interne.

PREPARAZIONE DELLE MISCELE PER STRATIFICAZIONI CON FIBRE DI VETRO E utile ricordare che nella resina catalizzata avviene una reazione esotermica, quindi maggiore è la quantità della miscela, più sono le calorie prodotte e non dissipate, di conseguenza avviene una reazione molto veloce. Viceversa quando la resina viene applicata su una superficie estesa, reagisce molto più lentamente perché il calore viene dissipato, ciò consente di operare nell impregnazione delle fibre con tutta tranquillità. Questa è una regola che vale per ogni tipo di resina, sia poliestere che epossidica. Nel preparare le miscele occorre valutare progressivamente le varie difficoltà applicative che potrebbero rallentare il lavoro, e catalizzare solamente la quantità di resina che si è in grado di applicare agevolmente prima che inizi ad indurire. Indicativamente per impregnare 1 Kg di MAT in fibra di vetro occorrono circa 3 Kg di resina poliestere. Per preparare le miscele occorre un recipiente in cui possa entrare un rullo da vernice. Ottimi i secchi da muratore in polietilene, perché la resina indurita non aderisce e si recuperano facilmente. Pesare la quantità di resina desiderata, non più di 3 Kg alla volta, salvo per lavori di grossa mole dove operano più persone; quindi aggiungere la dose di catalizzatore MEKP e mescolare con una stecca. Per dosare il catalizzatore si possono usare provette graduate o siringhe; ogni cc. corrisponde a circa 1 grammo. ad esempio, con temperature medie, 20 cc di MEKP per ogni Kg di resina. STRATIFICAZIONE La tecnica di costruzione dei manufatti in vetroresina si chiama stratificazione perché si procede applicando vari strati di fibra sovrapposti, impregnati uno alla volta, fino a raggiungere lo spessore desiderato. L impregnazione consiste nel bagnare e imbibire le fibre con della resina. Quando le fibre sono completamente impregnate assumono un aspetto traslucido più o meno trasparente; eventuali macchie biancastre indicano una carenza di resina.


Gli utensili necessari sono un rullo in pelo sintetico da 10 a 20 cm. e un pennello. Il rullo serve per distribuire la resina e impregnare su superfici piane, ed il pennello come aiuto negli angoli, cavità e punti difficili. Con il rullo si applica uno strato di resina su una porzione dello stampo. Vi si adagia un telo della fibra di rinforzo prescelta, e si impregna passando ripetutamente il rullo imbevuto di resina, fino alla completa saturazione delle fibre. Il rullo è il sistema di impregnazione più veloce ed efficace, e assicura la distribuzione uniforme della resina. Il pennello viene usato nei punti non raggiunti dal rullo, oppure per i piccoli lavori dove non vale la pena sporcare un rullo. L impregnazione con il pennello è più lenta perché si procede picchiettando perpendicolarmente le fibre, imprimendo la resina e aggiungendola man mano dove occorra Per una corretta impregnazione la resina dovrà colmare tutti gli interstizi tra le fibre, senza però affiorare eccessivamente in superficie; si dovrà notare il rilievo dell intreccio delle fibre bagnate di resina. Quando si inizia a stratificare è necessario avere a portata di mano un secchiello con dell acetone, per lavare periodicamente pennelli e rulli ogni volta che si prepara una miscela, altrimenti potrebbero indurirsi durante il lavoro, anche se si sta usando una nuova miscela, perché sono imbevuti dalle precedenti, già in fase di indurimento.

RESINE EPOSSIDICHE I sistemi epossidici, grazie alle loro eccellenti qualità, vengono impiegati con grande successo e sempre con maggior diffusione nel settore dei compositi. Abbinati sia alle fibre di vetro, ma specialmente a quelle ad alto modulo, come carbonio e Kevlar, soddisfano le esigenze di elevate prestazioni meccaniche. Questi sistemi hanno proprietà e caratteristiche di comportamento tali che in molti casi il loro impiego si rivela indispensabile nelle opere la cui realizzazione richieda particolari procedimenti. La differenza sostanziale dei sistemi epossidici sta nel processo di indurimento. Contrariamente alle resine poliesteri che catalizzano con l aggiunta di un reagente, il cui solo compito è innescare una reazione, nei sistemi epossidici invece l indurimento avviene quando si associa la resina ad un indurente; le molecole semplici dei due componenti si combinano, formando nuovi complessi molecolari a


catena lunga, cioè polimerizzano. L indurente diventa parte integrante del prodotto finito e ne determina le caratteristiche come: qualità fisico meccaniche, viscosità e pot life. Quindi per ogni tipo di impiego si deve scegliere e utilizzare uno specifico formulato che abbia le caratteristiche richieste. Ogni formulato è identificato come un insieme di due componenti: una resina e un determinato indurente, chiamati anche componente A e componente B In pratica ogni formulato è contenuto in due recipienti separati, uno con la resina e l altro con l induritore. Quando i due componenti vengono riuniti e mescolati intimamente si ha la disponibilità di un periodo, più o meno lungo, a seconda del pot life del formulato, che permette l utilizzo della miscela. Dopo di che inizia la reazione esotermica con sviluppo di calore, segno che la miscela sta polimerizzando, e in breve tempo non è più utilizzabile. La velocità di reazione nei sistemi epossidici non è più regolata dalla quantità di reagente che si aggiunge, ma dal tipo di indurente che si utilizza. Ogni indurente ha un diverso potere reattivo che determina il pot life, e le dosi di impiego devono essere sempre rispettate come prescritto in ogni formulato. La velocità di reazione dei formulati è adeguata al tipo di impiego, e può variare da 5-15 minuti per le colle rapide, fino a 40 min - 1 ora, per i sistemi da stratificazione o da colata, che richiedono tempi di lavorabilità più lunghi o polimerizzazioni più lente per contenere lo sviluppo di calore. Il pot life dei formulati è riferito a una miscela campione di 200 grammi, ad una temperatura di 20°C. Anche in questo caso la velocità di reazione varia sensibilmente sia in relazione alla temperatura ambiente, che alla quantità di miscela preparata. Le proprietà principali dei sistemi epossidici sono: Stabilità dimensionale, nessun ritiro dopo la polimerizzazione Non contengono sostanze volatili ed emanano un odore appena percettibile Ottimo potere adesivo tra materiali eterogenei, non eguagliato da nessuna altra resina o collante Non contengono solventi, quindi possono essere applicate direttamente sul polistirolo espanso senza rischio di scioglierlo


FIBRE DI RINFORZO

La fibra di rinforzo è l elemento complementare della resina nei materiali compositi, in quanto ne costituisce l armatura , e i suoi requisiti principali sono: elevata resistenza alla trazione e flessibilità. La resina, come singolo elemento, non ha valori pratici sufficienti a garantire la necessaria resistenza meccanica richiesti per una struttura, quindi necessita di un rinforzo, costituito dalle fibre, per raggiungere i valori desiderati. Ogni singolo filamento della fibra possiede un determinato carico di rottura; la resina che li ingloba agisce da coesivo, trasferisce il carico da un filamento all altro e ne impedisce lo scorrimento. In questo modo tutte le fibre lavorano congiuntamente e il carico di rottura dello stratificato raggiunge valori molto elevati. La fibra di vetro è il rinforzo per eccellenza, e maggiormente impiegata nei compositi. Vi sono anche altre fibre, come il carbonio e il Kevlar che vengono classificate come fibre ad alto modulo, poiché posseggono caratteristiche meccaniche decisamente superiori al vetro, però il loro alto costo ne limita l impiego solamente a quelle applicazioni che richiedono elevate prestazioni e pesi contenuti.


FIBRE DI VETRO Il tipo di vetro con il quale si producono le fibre di rinforzo, per la sua composizione chimica, è denominato Vetro E. La fibra di vetro originaria è un filato non ritorto costituito da numerosi e sottilissimi filamenti, detti anche bave, che hanno un diametro da 5 a 25 micron e sono tenuti insieme da un appretto. Per effetto della rifrazione della luce, le fibre di vetro sono di colore bianco, con riflessi argentei, ma dopo l impregnazione diventano trasparenti o traslucide. Non provocano irritazioni come la lana di vetro per isolamenti, quindi si possono maneggiare senza fastidi. Il filato ha un diametro, che varia a seconda del titolo, da pochi decimi a 1,5 mm. ed è l elemento base con il quale, dopo successive trasformazioni si ottengono i vari prodotti, definiti genericamente fibre di vetro e commercializzati con i termini tecnici di: mat, stuoia, tessuto, roving, chopped strands e milled fibre. Questi prodotti possono essere classificati per grandi linee in due categorie, quelli derivati da fibre le cui bave hanno diametri compresi tra i 15 e i 25 micron, come i mat, i roving e le stuoie, più economici e impiegati generalmente con resine poliesteri; e quelli ottenuti da filati con bave più sottili, da 5 a 13 micron, come i tessuti, che sono prodotti più pregiati e usati in prevalenza con resine epossidiche. Durante le fasi di trasformazione le fibre ricevono dei trattamenti superficiali, chiamati appretto, con sostanze filmogene che servono a conferire coesione tra i filamenti, a incrementare l aderenza della resina al vetro e a migliorare la bagnabilità delle fibre per facilitarne l impregnazione. Per ottimizzarne il comportamento, le fibre vengono trattate con sostanze diverse, specifiche per il tipo di resina con la quale verranno impiegate. I tessuti, che sono più adatti ad essere abbinati alle resine epossidiche ricevono un appretto silanico; mentre gli altri prodotti, come i mat o le stuoie, vengono apprettati con sostanze che ne migliorano il comportamento con le resine poliesteri.

MAT A FILI TAGLIATI

Trattasi di feltri costituiti da fibre di vetro tagliate in lunghezza di 5 cm. e distribuite uniformemente in piano, senza un orientamento preferenziale. Le fibre sono tenute


da un legante che conferisce al feltro la necessaria coesione per poter essere arrotolato e maneggiato senza sfilacciarsi. I mat sono disponibili in diversi spessori o pesantezze, espresse in grammi per metro quadro, che è la regola valida per tutte le fibre di rinforzo. Infatti per indicare lo spessore o la pesantezza di qualsiasi tipo di fibra, si esprime la grammatura, ossia il peso in grammi di 1 m2 di prodotto, sia esso un mat o una stuoia, che un tessuto di vetro o di carbonio. I mat vengono forniti in rotoli o in pezze di varia lunghezza, con altezze standard di cm. 100 e 125. Le grammature commerciali dei mat sono: gr/m2 150

225

300

375

450

600

Il mat è il tipo di rinforzo più pratico e comunemente usato per stratificazioni con resina poliestere. L orientamento multi direzionale delle fibre crea un rinforzo isotropo, cioè con uguale resistenza in tutte le direzioni. Per ottenere lo spessore desiderato si sovrappongono più strati di mat, impregnandoli uno alla volta, ossia bagnato su bagnato. Il mat si taglia facilmente con le forbici o se ne possono strappare dei frammenti da applicare nei punti più difficili, come angoli o forti avvallamenti. Anche se il mat viene frammentato in piccoli pezzi, lo stratificato non perde di resistenza poiché le fibre mantengono sempre la lunghezza di 5 cm. Di norma per i primi strati si utilizza un mat più leggero, o meglio ancora un mat di superficie, del quale parleremo più avanti, perché si adattano meglio alle forme dello stampo. Poi si prosegue con gli altri strati più pesanti. Durante l impregnazione, la resina scioglie l appretto che lega le fibre, così il mat assume una maggior deformabilità che gli consente di adattarsi alle forme più complesse. Lo spessore dello stratificato deve essere rapportato alle dimensioni dell opera, comunque non inferiore a 2 mm. Per i manufatti autoportanti di grossa mole, si può arrivare a spessori di 4 - 5 mm. Con ogni strato di mat impregnato si raggiunge uno spessore che va da 0,4 a 1 mm. a seconda della grammatura.


Nel determinare lo spessore di uno stratificato emerge uno dei grandi vantaggi dei materiali compositi: poter variare gli spessori secondo le esigenze, aumentandoli nelle zone più sollecitate, semplicemente sovrapponendo più strati di fibra dove si ritiene opportuno.

MAT DI SUPERFICIE

Il mat di superficie appartiene alla categoria dei tessuti non tessuti . E un velo molto leggero di circa 30 gr/m2 composto da sottili filamenti in vetro C, ed è caratterizzato da un ottima adattabilità alle superfici complesse. Il mat di superficie non ha una funzione di rinforzo, ma viene impiegato a vari scopi per migliorare la finitura dei manufatti. Quando si deve stratificare su uno stampo molto operato, le fibre di rinforzo come il mat o le stuoie talvolta non riescono ad adattarsi perfettamente alla sua superficie, specialmente negli avvallamenti più profondi, con il rischio che vi rimangano delle zone vuote o delle bolle d aria. In questi casi occorre applicare come primo strato a contatto dello stampo un mat di superficie, che grazie alla notevole deformabilità che assume quando è bagnato di resina, riesce a penetrare anche nei minimi dettagli riproducendoli fedelmente. Il mat di superficie è prodotto con fibre di vetro C, il quale si distingue per una maggiore resistenza agli aggressivi chimici. Quando viene impregnato aumenta di spessore creando uno strato compatto e senza porosità. Questi fattori contribuiscono a rendere il mat di superficie particolarmente adatto come strato di finitura, sia per regolarizzare le superfici e celare le fibre più grossolane del mat sottostante, che per creare un ottima barriera di protezione contro le intemperie e all atmosfera corrosiva.

ROVING

Il roving è un cordone non ritorto composto da numerosissimi filamenti, simile al filato originario, ma con diametri ben maggiori, da 1,5 a 2,5 mm. Questo tipo di fibra trova la sua principale applicazione nel settore industriale, nella costruzione di corpi cilindrici, tubi e serbatoi, realizzati con la tecnica dell avvolgimento, oppure per ottenere profilati continui, canne da pesca, ecc.


Il roving non ha, salvo particolari esigenze, uno specifico utilizzo nel nostro settore, ma lo abbiamo citato perché è il filato con cui si tessono le stuoie, che vengono utilizzate, singolarmente o accoppiate al mat, nella stratificazione a mano.

STUOIE

Le stuoie sono veri tessuti a grossa trama, simili alla tela di iuta per sacchi. Variando il titolo, cioè il diametro o pesantezza del roving e le battute del telaio si ottengono stuoie con grammature da 280 a 600 gr/m2. Le più usate sono quelle da 300 e 400 gr. e vengono fornite in rotoli con altezza standard di cm. 100 e 125. Contrariamente al mat che è un rinforzo isotropo, le stuoie hanno le fibre disposte in due direzioni ortogonali: trama e ordito. Verso queste direzioni hanno quindi la loro maggior resistenza, che però è ben superiore a quella del mat perché il roving è una fibra lunga e ininterrotta. Le stuoie sono apprettate per resine poliesteri, ma poiché hanno buone qualità meccaniche, è possibile usarle anche con i sistemi epossidici senza pregiudicare le caratteristiche del manufatto, in quanto le resine epossidiche possiedono un elevato potere bagnante e ottima aderenza su qualsiasi tipo di fibra. Abitualmente le stuoie vengono accoppiate e interposte agli strati di mat, per aumentare la resistenza in determinate direzioni, principalmente nelle opere di grosse dimensioni. E sconsigliato l uso nei manufatti di configurazione molto complessa, perché trattandosi di un tessuto con tramatura a tela, che ha scarsa deformabilità, l adattamento alle superfici molto operate è più difficoltoso e richiede tagli e sovrapposizioni.

FIBRE TAGLIATE

(CHOPPED STRANDS)

I chopped strands sono fibrette tagliate, derivate dal filato originario, e disponibili in diverse lunghezze da 3 a 12 mm. Vengono impiegate principalmente come rinforzo nelle masse da colata, stucchi e conglomerati. Si aggiungono alla resina nella quantità desiderata singolarmente, oppure mescolate insieme agli inerti nelle masse da colata, dove si dispongono orientate in tutte le direzioni creando un reticolo tridimensionale che conferisce una maggior resilienza ai manufatti.


I tipi più lunghi, da 6 a 12 mm. possono anche essere incorporati agli impasti di gesso nella costruzione di stampi, per aumentarne la resistenza all urto. Quando si aggiungono le fibrette negli impasti, occorre tener conto che ognuna di queste è composta da numerosi filamenti tenuti da un appretto. Quando vengono mescolate alla resina, l appretto si scioglie e i filamenti che si disperdono nell impasto aumentano enormemente di numero. Quindi è consigliabile aggiungere le fibrette poco alla volta man mano che si mescola per evitare di addensare eccessivamente l impasto rendendolo gelatinoso e poco scorrevole.

FIBRE MACINATE

(MILLED FIBRES)

Questo tipo di rinforzo è ottenuto per macinazione delle bave, ridotte in minute fibrette con pezzatura media di 0,2 mm. quasi invisibili a occhio nudo. Si presentano come un ammasso di fiocchi raggrumati che si disperdono rapidamente nella resina. Il loro impiego è simile a quello delle fibre tagliate, ma hanno un diverso comportamento negli impasti. Benché conferiscono una minor resistenza meccanica rispetto alle fibre tagliate, che sono più lunghe, consentono di ottenere impasti molto più scorrevoli. Vengono utilizzare principalmente per rinforzare stucchi che vengono applicati in forte spessore. Quando occorre eseguire dei riporti di materiale su un manufatto per correggerne le forme, si può preparare uno stucco a base di resina con inerti in polvere e fibre macinate, in parti uguali. Le fibre nell impasto fanno aumentare la resistenza all urto e riducono la tendenza alla fessurazione dello stucco.

I TESSUTI

Come materiale di rinforzo, i tessuti, sia in fibra di vetro, che di carbonio o Kevlar, rientrano in una categoria superiore e vengono utilizzati per realizzare manufatti che richiedono elevate prestazioni meccaniche, peso contenuto e finiture accurate. Sono veri e propri prodotti tessili, con trama e ordito. Vengono ottenuti da filati più pregiati, composti da bave sottili con diametri compresi tra i 5 e i 13 micron che conferiscono al tessuto morbidezza, drappeggiabilità e un elevato carico di rottura.


Il titolo del filato è espresso in TEX, il numero di tex indica il peso in grammi di 1000 ml. di filato. La gamma dei titoli è molto ampia, a partire da 5 tex, usato per i tessuti più leggeri da 25 gr/mq. simili a una calza di nylon, e via via fino ad arrivare oltre i 200 tex per i tessuti più pesanti, da 300 gr/mq. paragonabili a una stoffa per cappotti. I tessuti ricevono un appretto specifico per epossidici perché generalmente vengono impiegati con questo tipo di formulato, e questo per due validi motivi: Le resine poliesteri hanno un minore potere bagnante delle fibre rispetto alle epossidiche, quindi non riuscirebbero a penetrare e impregnare perfettamente le fibre più sottili dei tessuti. Ma la ragione principale sta nel fatto che i tessuti hanno una resistenza meccanica, a parità di grammatura, ben superiore a quella degli altri materiali come il mat e le stuoie: quindi non vi sarebbe nessun vantaggio ne convenienza impiegare questi tessuti con una resina poliestere, che è più fragile e meno resistente dell epossidica. I vantaggi che offrono i tessuti nella realizzazione di manufatti in composito ad alta tecnologia sono molteplici: Riduzione del peso, uno stratificato in tessuto di 1 mm di spessore ha la stessa resistenza di uno da 3 mm. rinforzato con mat. Regolarità della grammatura e dello spessore; continuità del rinforzo. Possibilità di ottenere stratificati dotati di buona trasparenza e ottima finitura superficiale. Un altro vantaggio offerto dai tessuti di vetro è la possibilità di ottenere degli stratificati con una elevata percentuale di rinforzo, quindi più leggeri e resistenti. Impregnando manualmente un tessuto con resina epossidica si riesce ad avere un rapporto fibra/legante di 1/1, mentre con altri materiali, come il mat o la stuoia occorrono dai 2 ai 3 Kg di resina per ogni Kg. di fibra. I tessuti sono identificati da tre elementi fondamentali, che sono: grammatura, composizione e armatura , i quali dovranno essere valutati nella scelta in funzione all impiego e alle varie esigenze. GRAMMATURA Come per tutte le fibre di rinforzo, questo valore si esprime direttamente con il peso in grammi di 1 mq. di tessuto. Nelle schede tecniche con le caratteristiche dei tessuti, accanto alla grammatura


viene riportato anche lo spessore ottenuto dopo l impregnazione. La disponibilità delle grammature è molto ampia, e va da 25 a 300 gr/mq,

COMPOSIZIONE La composizione definisce il numero dei fili in un centimetro, sia in ordito che in trama. I tessuti possono essere bilanciati, cioè con la stessa quantità di fili nei due sensi, oppure unidirezionali, con più fili ad esempio in ordito e meno in trama. Questo tipo di tessuto viene impiegato quando si vuole aumentare la resistenza dello stratificato verso una determinata direzione. Unitamente al numero dei fili, viene anche indicato il TEX dei filati che compaiono nei due sensi, il quale generalmente è uguale nei tessuti bilanciati, e può essere diverso negli unidirezionali. Per visualizzare e confrontare la composizione di un tessuto si usa una lente contafili, che generalmente focalizza un quadrato di 2 cm. di lato. I tessuti destinati a normali impieghi vengono prodotti con un buon equilibrio tra numero di fili e tex. Una tramatura troppo serrata rende più difficoltosa l impregnazione; mentre un tessuto a maglie molto larghe trattiene della resina in eccesso, senza alcun vantaggio. ARMATURA L armatura di un tessuto è il modo come viene realizzato l intreccio trama/ordito. Le armature principali sono: tela; twill; raso e unidirezionale. Il tipo di armatura non influisce sulla resistenza meccanica di un tessuto, ma gli conferisce un diverso comportamento per quanto riguarda rigidità e deformabilità. ARMATURA A TELA E l armatura più semplice e diffusa, in cui ogni filo di trama intreccia un filo di ordito e viceversa.


Questo tipo di armatura conferisce al tessuto ottima planarità e stabilità dei fili, ma è poco deformabile, quindi prevalentemente si utilizza per stratificazioni in piano.

ARMATURA TWILL Nelle armature twill un filo di ordito scavalca almeno due fili di trama e viceversa, quindi presentano un intreccio più sciolto che conferiscono al tessuto maggior deformabilità e drappeggiabilità rispetto alla tela, però hanno una minor stabilità dimensionale quando si maneggiano. I tessuti con armatura twill vengono impropriamente chiamati anche diagonali, perché la tramatura crea un disegno a linee diagonali spigate, Fra le armature twill le più usate per i tessuti di rinforzo sono la twill 3/1, detta anche saia da 4, e la twill 2/2, chiamata batavia da 4

twill 3/1 - saia da 4

twill 2/2 - batavia da 4

UNIDIREZIONALI Con questo termine, che si abbrevia con la sigla ud , vengono indicati tutti i tessuti che non sono bilanciati, ossia quelli che hanno la prevalenza dei fili in una


direzione, generalmente in ordito. La composizione unidirezionale può essere ottenuta, sia con un minor numero di fili in uno dei sensi, oppure con un filato di titolo piÚ basso. La disparità della composizione viene indicata in percentuale sulla grammatura del tessuto, ad esempio un tessuto da 100 gr/mq. "ud" 80% significa che ha 80 gr. di filato in un senso e 20 nell altro. L esempio qui riportato mostra un tessuto UD 90% in ordito. In questo caso il filo di trama ha una scarsa partecipazione come rinforzo, ma solo il compito di tenere unite le fibre dell ordito.

I tessuti di vetro vengono forniti in rotoli, generalmente in altezza di 1 m. Sono disponibili anche in nastri, con una vasta gamma di altezze e composizione. I nastri sono molto utili quando si debbono realizzare lunghe strutture tubolari, profilati di piccola sezione, o per eseguire fasciature di rinforzo. Si avvolgono a spirale, ad esempio attorno ad una anima in polistirolo o a un tubo in plastica, e si impregnano con resina epossidica. A seconda dello sforzo che la struttura deve resistere, si aumenta il numero delle spire, cambiando ogni volta il senso dell avvolgimento in modo da incrociare le fasciature. I nastri con armatura a tela hanno grammature di 170 - 200 gr/mq, quelli unidirezionali vanno da 100 a 200 gr/mq. Tutti i nastri hanno la cimosa e sono disponibili in varie altezze, a partire da 2 cm fino a 15 cm. Vi sono anche dei nastri unidirezionali al 100%, denominati a fibre collimate. Non hanno l armatura dei tessuti, ma sono composti da filamenti disposti parallelamente in senso longitudinale, e tenuti insieme da sottilissime strisce trasversali di adesivo, intervallate di qualche centimetro, il quale poi resta compenetrato nella resina.


FIBRE DI CARBONIO

La fibra di carbonio è ottenuta mediante un processo di pirolisi a 2000° C che trasforma un polimero organico, detto precursore, in carbonio sotto forma di sottilissimi filamenti di colore nero, con una catena molecolare molto lunga e ordinata. Questi filamenti sono raggruppati in cordoni, roving, il cui titolo é indicato da un unità K, che corrisponde 1000 filamenti; il titolo 3K significa che il roving, o filato è composto da 3000 filamenti primari. Con i roving di carbonio vengono prodotti dei tessuti di varia grammatura, caratterizzati da una eccezionale resistenza meccanica . Con le fibre di carbonio di norma vengono impiegate matrici epossidiche, e si ottengono stratificati dotati di estrema rigidità e leggerezza, con un modulo elastico molto vicino all acciaio, un elevato carico di rottura e bassissima percentuale di allungamento. In virtù di queste qualità le fibre di carbonio, definite fibre ad alto modulo, vengono impiegate con grande successo nella costruzione di componenti per l industria aeronautica e aerospaziale, di telai per auto di F1, e di un gran numero di attrezzi sportivi di alta classe, come attrezzature per barche da regata, mazze da golf, racchette da tennis, canne da pesca e tanti altri oggetti, con una risposta in termini di rendimento ben superiore a quello dei materiali tradizionali, Il carbonio si distingue da ogni altro materiale anche per il singolare aspetto estetico superficiale. Uno stratificato in tessuto di carbonio rifinito con una superficie lucida, rivela nitidamente la sua tramatura, con l intreccio evidenziato da diverse tonalità di nero, e con un particolare effetto di profondità dovuto alla rifrazione che non può essere ottenuto con nessun altro materiale. Nel settore artistico la fibra di carbonio sta acquistando una posizione rilevante, non tanto per le sue qualità meccaniche, ma soprattutto è recepito per ciò che rappresenta. Il carbonio è sinonimo di alta tecnologia e qualità, espressione delle tecnologie avanzate ; è un materiale visto con riverenza. Queste connotazioni, e il peculiare aspetto elevano il carbonio al rango dei materiali nobili.


KEVLAR

Trattasi di una fibra aramidica, però universalmente conosciuta con il nome commerciale Kevlar, che è un marchio della Du Pont, l azienda che ha lanciato questa nuova fibra di rinforzo. Il Kevlar rientra tra le fibre ad alto modulo per le eccellenti caratteristiche meccaniche. Rispetto al carbonio questa fibra ha un maggior allungamento, ma un carico di rottura molto superiore, quindi più adatta per manufatti soggetti a flessione o a impatti. Anche le fibre originarie di Kevlar sono filamenti sottilissimi raggruppati in roving, con i quali si ottengono tessuti di varia grammatura e composizione. Queste fibre sono di colore giallo vivo e si utilizzano come rinforzo di matrici epossidiche. Il Kevlar è una fibra estremamente tenace, per questa ragione oltre ad essere impiegata come fibra di rinforzo nei compositi, viene utilizzata tal quale in molteplici e interessanti applicazioni, come ad esempio per l imbottitura dei giubbotti antiproiettile, in quanto le fibre riescono a smorzare la forza d urto di un proiettile; nei tessuti per vele destinate a imbarcazioni da regata di alta classe; in Kevlar è anche il cavo di sicurezza, detto cordone ombelicale" che trattiene l astronauta nelle uscite fuori dalla navicella spaziale. Il filato di Kevlar è talmente tenace che non si riesce a tagliare con normali forbici, occorrono cesoie da lamiera ben affilate, oppure speciali forbici con lame in acciaio al tungsteno. Anche le operazioni di sbavatura e rifinitura sono difficoltose se non si dispone di utensili adatti. Abbiamo citato il Kevlar a titolo informativo, dal momento che questa fibra non ha applicazioni particolarmente interessanti nel settore artistico, non ha la bellezza del carbonio ed è difficile lavorarla. Vi è un tipo di tessuto, un ibrido carbonio/Kevlar, che vale la pena conoscere: trattasi di un tessuto composto filati di Kevlar e di carbonio alternati sia in trama che in ordito. A seconda del tipo di armatura, le fibre di colore diverso, giallo e nero, formano un disegno a scacchiera o pied de poule, che identificano a prima vista un composito molto tecnico e di gran pregio.


MASSE DA COLATA

Con le resine epossidiche o poliesteri, mescolate a delle cariche inerti, si possono preparare masse da colare su stampi per ottenere pezzi massicci in conglomerato o per riempitivi e inglobamenti di oggetti vari. Gli inerti comunemente impiegati sono polveri o graniglie minerali di varia granulometria oppure microsfere sia cave che piene in vetro o in allumina. Gli impasti si preparano al momento dell uso mescolando la resina, che è il legante, con le cariche. Lo scopo principale dell inerte è quello di aumentare il volume dell impasto e di conseguenza ridurre la percentuale di resina nella massa. La necessità di caricare l impasto si avverte soprattutto nelle colate di grossa mole, per abbassare il picco esotermico, ossia per ridurre e contenere entro limiti accettabili il calore che si sviluppa nell indurimento della resina. Occorre ricordare che aumentando la quantità di resina, il picco esotermico cresce in maniera esponenziale, perché non vi è un rapporto tra volume e superficie di dissipazione: raddoppiando il volume di un solido, la sua superficie aumenta in maniera irrilevante.

L impasto ottimale deve avere un alto contenuto di inerti che occupino buona parte dello spazio. Così la resina, presente in minor quantità e distribuita uniformemente negli interstizi, sviluppa meno calore, parte del quale è assorbito dall inerte stesso. In questo modo la velocità di reazione è più controllata, senza il rischio che avvengano cricche interne e deformazioni, altrimenti causate da un eccessivo sviluppo di calore. Tuttavia la quantità di legante deve essere sufficiente ad ottenere un impasto abbastanza scorrevole da poter essere agevolmente colato in uno stampo e che permetta inoltre la fuoriuscita delle bolle d aria inglobate durante la miscelazione. Oltre all esigenza sopra esposta, la presenza dell inerte offre numerosi altri vantaggi: Si riducono notevolmente i ritiri qualora si utilizzi una resina poliestere come legante; quindi aumenta la stabilità dimensionale. Il prezzo dell inerte è di regola molto più basso rispetto a quello del legante, il che riduce sensibilmente il costo dell impasto.


I manufatti acquistano una maggior resistenza all urto e alla compressione. Variando il tipo di carica si possono ottenere manufatti molto leggeri o viceversa pesanti, con la possibilità di creare una infinità di effetti superficiali e cromatici molto attrattivi.

LE CARICHE INERTI Le cariche sono corpi di riempimento con requisiti di elevata durezza e bassa friabilità, debbono essere insolubili nelle resine e non contenere impurità. Sono in genere particelle di varia origine e pezzatura, come sabbie, polveri o microsfere. Le polveri e le graniglie derivano da minerali macinati, come quarzo, carbonato di calcio (marmo), ardesia, alabastro, ecc. Le microsfere sono minuscole sferette in vetro o allumina, con diametro di pochi micron. Le microsfere in vetro sono disponibili sia piene che vuote internamente, in questo caso molto leggere. Ogni tipo di carica ha un diverso comportamento nei riguardi del legante e ciò determina le caratteristiche dell impasto ottenuto. Le singole particelle degli inerti hanno strutture diverse, possono essere sferiche, lamellari, poliedriche o amorfe e di conseguenza sviluppare una superficie specifica più o meno estesa. Le particelle che hanno una superficie più estesa assorbono più resina, in altre parole necessitano di una maggiore quantità di legante per essere completamente avvolte da uno strato sufficiente a permettere il buon scorrimento dell impasto.


MICROSFERE Le microsfere sono gli inerti ideali grazie all ottimo rapporto superficie/volume, poiché la sfera è il solido che in assoluto ha la minor superficie rispetto al volume; inoltre la forma sferica agevola notevolmente la scorrevolezza dell impasto. Con le microsfere si possono ottenere impasti molto caricati, fino ad aumentare di 2 o 3 volte il volume del legante, pur mantenendo una buona scorrevolezza. Le microsfere cave sono corpi di riempimento molto leggeri e voluminosi, con un peso specifico apparente, secondo i tipi, da 145 a 400 gr. per litro, con le quali si ottengono masse da colata molto leggere. Mentre le microsfere piene sono molto più pesanti, quelle in vetro pesano circa 2 Kg/litro, e quelle in allumina, più economiche circa 1,8 Kg/lt. Questi tipi sono indicati per ottenere pezzi pesanti che simulano la pietra. Si possono anche preparare impasti mescolando microsfere cave e piene per agevolare la fuoriuscita delle bolle d aria che vengono inglobate durante la miscela: un corpo pesante esercita una maggior spinta, che espelle più rapidamente le inclusioni d aria. CARATTERISTICHE DELLE MICROSFERE

PRODOTTO

GRANULOMETRIA MICRON

PESO APPARENTE

TIPO A

40/70

2,1

TIPO B

70/100

2

TIPO C

100/200

1,9

In allumina piene MARTINAL

20/40

1,7

VETROCEL

15/25

0,180

MICROBALLS

20/50

0,400

SI-CELL

10/40

0,145

In vetro piene


Le microsfere piene, tipo A; B e C si diversificano solo per il diametro delle sferette, le quali sono trasparenti, con un aspetto opalescente dovuto alla rifrazione. Sono cariche abbastanza pregiate e vengono usate per ottenere pezzi per colata molto pesanti, che possono imitare la giada o l alabastro: Il Martinal è una carica sferoidale pesante in allumina di colore bianco, molto economica. E il prodotto normalmente usato per ottenere oggetti pesanti, dove non è richiesta la trasparenza. Con il Martinal si possono preparare impasti molto caricati, pur mantenendo una ottima scorrevolezza. Le Microballs sono microsfere cave in boro-silicato di colore grigio, ed è la carica leggera più economica in assoluto, perché ha il miglior rapporto prezzo/volume; vengono vendute a peso e 1 Kg. di carica ha un volume apparente di 2,4 litri. Il Vetrocel sono microsfere cave in vetro ultra leggere di colore bianco; 1 Kg. ha un volume apparente di circa 6 litri. E una carica molto pregiata e abbastanza costosa; le sue particelle sono perfettamente sferiche, di granulometria uniforme e prive di impurità. Il SI-Cel è una carica simile al Vetrocel, sempre con l aspetto di una polvere bianca molto leggera, ma di costo nettamente inferiore; le sue sferette hanno una granulometria più variata, e contiene anche delle fibrette. Trattandosi di una carica con particelle più eterogenee ha un potere addensante leggermente superiore al Vetrocel, ma la differenza è appena percettibile. Ciò non influisce sul risultato finale, perché la leggera riduzione di carica aggiunta per mantenere la scorrevolezza dell impasto è ampiamente compensata dal grande apporto di volume che si ottiene. Questo comportamento inoltre offre dei vantaggi quando si debbono preparare impasti molto caricati per eseguire stuccature in verticale, o per applicazioni su stampi, come vedremo più avanti.


GRANIGLIE MINERALI Le sabbie e le graniglie minerali sono disponibili in varie granulometrie indicate in millimetri oppure in mesh: maglie. Le loro particelle hanno generalmente una forma irregolare con superficie frastagliata, perciò offrono minori vantaggi in termini di rendimento e apporto di volume rispetto alle microsfere. Queste cariche hanno il vantaggio di un costo relativamente basso, e danno la possibilità di ottenere particolari effetti cromatici, come ad esempio il granito, mescolando inerti di varia natura, colore e pezzatura. L inerte più comune è la sabbia di quarzo. La sua granulometria è indicata in millimetri, e va da 0,1 fino a 2 mm, è privo di impurità ed ha generalmente una pezzatura abbastanza uniforme. Il quarzo ha un colore neutro, non molto coprente, quindi non influisce sulle eventuali colorazioni che si vogliono conferire all impasto. Altri inerti sono le graniglie di marmo. Hanno un colore biancastro e un assorbimento di resina leggermente superiore al quarzo. Vengono usate nei casi in cui occorra intervenire sul pezzo finito perché trattandosi di un materiale più tenero rispetto al quarzo è facilmente lavorabile. Con la polvere di marmo mista alla graniglia e ad una piccola percentuale di Si-cel, si possono preparare impasti plasmabili altamente caricati, con 10 parti di inerte e 1 di legante, i quali risultano molto pastosi da essere modellati a mano, come fosse argilla. Dopo l indurimento si ottiene un conglomerato di aspetto, peso e consistenza simile alla pietra, con una forma già abbozzata, dove si può intervenire con scalpelli, levigare e lucidare. Altre cariche come l ardesia o l'alabastro vengono impiegate, con minor frequenza, specialmente per ottenere diversi effetti cromatici. Sono inerti abbastanza teneri e quindi facilmente lavorabili. La carica ideale di una massa da colata deve avere una granulometria varia e frazionata, in modo da ridurre al minimo gli interstizi; anche se ciò comporta un leggero addensamento dell impasto, conferisce però maggior compattezza al conglomerato. Indicativamente il rapporto granulometrico dovrebbe essere il seguente: Inerte in polvere: Graniglia 0,1 - 0,3 mm. Graniglia 0,3 - 0,7 mm. Graniglia 0,5 - 1 mm.

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La dimensione dell inerte non influisce sulla finitura di un oggetto ottenuto per colata. Se la superficie dello stampo è lucida, il pezzo risulterà altrettanto lucido anche se contiene della graniglia grossolana, perché la resina che avvolge le particelle ricopia comunque la finitura dello stampo. Se si vuole ottenere una superficie più opaca o evidenziare la scabrosità della graniglia, è sufficiente passare dell acetone con un pennello sul pezzo appena tolto dallo stampo. In questo modo il solvente riesce a sciogliere la patina di resina superficiale che non è ancora completamente stagionata, facendo così risaltare la graniglia. CARICHE IN POLVERE Le cariche in polvere, come il carbonato di calcio, il talco o la mica hanno un elevato assorbimento di resina in quanto le loro particelle, che sono finissime e spesso lamellari, sviluppano una superficie molto estesa rispetto al volume specifico, che è minimo. Quindi per caricare masse da colata non è consigliabile usare solo inerti in polvere perché addensano eccessivamente l impasto senza un apprezzabile apporto di volume. Mentre mescolate insieme alle graniglie servono a diversificarne la granulometria e colmare gli interstizi troppo aperti. L effetto addensante conferito dalle cariche in polvere, si rivela però utile in altre applicazioni. Mescolate con resine epossidiche si ottengono masse spatolabili molto resistenti, per stuccature in verticale; per maltine da incastonare tessere da mosaico, o per incollaggi strutturali di pietre, cotto, legno, ecc. senza il rischio di colature.


AVVERTENZE Nel preparare un impasto occorre in primo luogo mescolare bene la resina con l indurente, o il catalizzatore nella giusta proporzione, dopo di che aggiungere l inerte un po alla volta, mescolando di continuo fino a raggiungere la consistenza desiderata. L inerte non partecipa alla reazione che avviene tra la resina e il catalizzatore, quindi può essere aggiunto a volontà senza dover rispettare alcuna dose. La quantità di inerte però influisce sulla velocità di reazione, perciò a parità di volume un impasto più caricato ha un tempo di indurimento più lungo. Qualora si debba realizzare un oggetto per colata di grosse dimensioni e con una struttura massiccia, è opportuno inserire all interno un tassello in legno o altro materiale, come anima, in modo da ridurre il volume della massa colata. Oltre un certo limite le masse da colata, anche se molto caricate non riescono a smaltire il calore prodotto dalla reazione, che inizia e si diffonde da un nucleo interno. Quindi un oggetto massiccio con un volume superiore a 5 lt. deve avere un anima interna che occupa uno spazio al centro e riduce la quantità dell'impasto, che va a colmare solo la periferia dove può dissipare il calore, altrimenti la quantità che si sviluppa è tale da causare danni, e addirittura far bollire l impasto. Questi sistemi, con i quali si ottengono le masse da colata caricate con inerti, offrono infinite possibilità di creazione e innovazione. L ampia scelta tra i diversi tipi di cariche e la sperimentazione di vari altri materiali da poter aggregare, permettono di ottenere nuove forme diversamente inimmaginabili.


COLORANTI

Le masse da colata e gli impasti in genere possono essere colorati aggiungendo pigmenti in polvere, ossidi, terre o polveri metalliche, i quali si disperdono facilmente durante la miscelazione con le cariche. Oppure si possono usare paste coloranti specifiche per resine, le quali hanno una resa molto elevata, e sono disponibili anche in colori trasparenti. Non si debbono mai usare coloranti all acqua o qualsiasi tipo di vernice, perchĂŠ non sono compatibili con le resine. Nel scegliere la tinta o stabilire l effetto desiderato, occorre tenere conto del colore delle cariche che si utilizzano, il quale naturalmente influisce sul risultato finale. I leganti sono di norma trasparenti, leggermente paglierini, quindi non alterano la colorazione dell impasto, che assume il colore naturale della carica. Gli inerti di origine minerale solitamente sono di colore neutro o grigio sabbia, e hanno poco potere coprente, tranne l ardesia o altri inerti derivati da rocce che hanno il proprio colore naturale. La quantitĂ e il tipo di colorante che si aggiunge all impasto, fa risaltare in diversa misura la graniglia e permette di accentuare l effetto di profonditĂ . Si possono anche ottenere effetti marmorizzati con la seguente tecnica: Si prepara un impasto aggiungendo del pigmento, ad esempio bianco e rosso, per ottenere una tinta di fondo color rosa pallido, uniformemente dispersa. Vi si aggiunge una punta di spatola di pasta colorante marrone o rosso scuro, senza disperderla completamente, solo un paio di giri di spatola, e quindi si versa nello stampo. In questo modo il colore non disperso formerĂ delle venature tipiche dell effetto marmo, percettibili anche in profonditĂ . Occorre tener conto che i pigmenti in polvere si comportano come un inerte, non partecipano alla catalisi del legante. Lo stesso vale per le paste coloranti, che sono dei pigmenti predispersi in un liquido inerte, il quale non polimerizza. Quando queste sostanze vengono disperse uniformemente nell impasto rimangono inglobate e si stabilizzano nel conglomerato. Usando la tecnica sopra indicata, la pasta colorante deve essere aggiunta solo in


piccole quantità altrimenti se rimane molto concentrata in alcuni punti, specie in superficie, potrebbe macchiare. Qualora si desideri ottenere una chiazzatura più marcata, sono consigliabili alcuni accorgimenti: Si versa in uno o più recipienti a parte delle piccole quantità dell impasto con il colore di fondo già disperso; Vi si stempera in ognuno del pigmento in polvere o della pasta del colore desiderato, fino ad ottenere una tinta base più carica (In questo modo il colorante rimane inglobato e fissato nel legante). A questo punto si possono reinserire le tinte basi nell impasto senza disperderle, oppure per ottenere venature con effetto stratificato si possono versare nello stampo direttamente dai loro contenitori le tinte basi contemporaneamente all impasto. Naturalmente gli accostamenti di colore sono infiniti, ed è molto vasta quindi la possibilità creativa. Le paste coloranti trasparenti sono disponibili nei colori: verde; azzurro; rosso e ambra. Il loro effetto viene esaltato specialmente con i leganti più limpidi. Disperdendo ad esempio una punta di verde in una resina poliestere Cristallo non caricata, si ottiene un oggetto di colore smeraldo. Con l ambra, che è una pasta marrone scuro, si ottengono effetti simili alla tartaruga o all ambra. Naturalmente con questo sistema, che non è caricato, si possono solo eseguire pezzi di piccole dimensioni. I colori trasparenti sono inoltre molto utili anche nei sistemi caricati, perché danno un buon effetto di profondità come ad esempio per le venature del marmo, oppure, un impasto caricato solo con microsfere di vetro piene, il quale risulta traslucido, con il colorante verde trasparente acquista l aspetto della giada. Se si aggiungono poi anche delle venature di bianco e di altri colori, si ottiene l alabastro. Tra le sostanze coloranti si possono inserire numerosi altri prodotti che conferiscono particolari effetti superficiali, come i pigmenti perlescenti, i quali danno un effetto perlato che uguaglia la lucentezza delle perle, della madreperla e delle ali di farfalla. I pigmenti metallici: bronzo, oro e alluminio; e quelli ad effetto ottico: fluorescenti e fosforescenti. Sono disponibili inoltre una serie di chips e di flake, minuscole scagliette o frammenti di varia natura e colore. I flake sono delle scagliette sottilissime a forma quadrata o esagonale, da 0,3 fino a 3 mm di lato, di vari colori metallici. I chips sono piccoli frammenti irregolari in plastica, sempre molto sottili, con pezzatura da 1 a 4 mm. disponibili in vari colori.


Questi prodotti vengono usati prevalentemente nella preparazione dei gel coat, per ottenere particolari effetti superficiali nei sistemi di stratificazione.

GEL COAT

Il gel coat è lo strato di finitura esterna dei manufatti in vetroresina, che viene però applicato nello stampo come prima fase nel procedimento di stratificazione. È un prodotto bicomponente con l aspetto di una vernice densa; si applica a pennello o a spruzzo in spessori di 0,5 - 1 mm, direttamente sullo stampo precedentemente trattato con cere distaccanti. Il gel coat quindi riproduce fedelmente la superficie dello stampo sul quale è stato applicato; se lo stampo è lucido, il pezzo ne risulterà altrettanto. Quando lo strato di gel coat è indurito si procede con la stratificazione, iniziando con un mat di superficie o un tessuto leggero, per poi proseguire con gli altri strati fino a raggiungere lo spessore desiderato. Lo stratificato si lega saldamente al gel coat formando un corpo unico, così il pezzo finito che esce dallo stampo ha già la sua finitura esterna, che è appunto il gel coat. I gel coat possono essere sia a base epossidica che poliestere e debbono essere impiegati ognuno con il rispettivo sistema di stratificazione. Sono tutti prodotti bicomponenti, quindi prima dell uso vanno miscelati con il relativo reagente. A cosa serve il gel coat: Durante l impregnazione le fibre inglobano un gran numero di piccole bolle d aria, molte delle quali comunicano con la superficie. In uno stratificato senza gel coat, la superficie a contatto dello stampo risulterà molto alveolata, con tantissimi pori e piccole bolle, principalmente in corrispondenza degli intrecci delle fibre. Sarà poi molto difficile rimediare a questo inconveniente con la semplice applicazione anche di più mani di finitura, in quanto occorrerà provvedere prima ad una paziente e laboriosa operazione di stuccatura di tutta la superficie. Inoltre il colore traslucido naturale dello stratificato rende difficile l individuazione di questi difetti. Il gel coat evita tutti questi problemi, crea uno strato superficiale compatto che


elimina tutti i difetti, sul quale poi volendo si può intervenire più facilmente per apportare modifiche, o con ulteriori lavori di finitura. Nella produzione industriale di serie, il gel coat costituisce la finitura definitiva dei manufatti in composito. Le barche in vetroresina, ad esempio, vengono ottenute da stampi perfettamente lucidi; quando vengono estratte dallo stampo sono già pronte e rifinite, con il colore definitivo e non richiedono ulteriori interventi. Nel settore artistico sorge invece spesso la necessità di dover intervenire successivamente sull opera, ad esempio per creare gli effetti desiderati come colorazioni policrome, patinature, collage, ecc. Anche in questo caso è sempre necessario avere uno strato di gel coat, se non altro per disporre di un buon supporto e una superficie regolare sulla quale operare, In questo caso il gel coat ha solo una funzione di fondo, quindi si sceglierà il colore più adatto allo scopo finale. I gel coat in commercio sono in genere disponibili nelle tinte basi, con colori coprenti. Qualora vi siano delle particolari esigenze è possibile preparare espressamente un gel coat che renda l effetto desiderato. La formulazione è semplice: occorre una resina base, che è poi la stessa che verrà utilizzata per l impregnazione; Vi si aggiunge dell inerte in polvere, i coloranti desiderati e un agente tissotropizzante che è l aerosil. Questo prodotto è una polvere leggerissima e incolore, che serve a non far colare lo strato di gel coat quando viene applicato in verticale. Nell'aggiungere i componenti si deve regolare la consistenza dell impasto in modo che questo risulti sufficientemente fluido da poter essere applicata a pennello, ma allo stesso tempo abbastanza corposo da non colare. Allo stesso modo si possono preparare anche gel coat per simulare la pietra, caricando la resina con graniglie di varia granulometria, fino ad ottenere un impasto denso e corposo da essere applicato a spatola o plasmato a mano. Si stende uno strato di ca. 5 mm. sullo stampo e poi si stratifica. Ne risulterà una superficie granulosa, con alcune discontinuità nelle giunzioni delle spatolate che imiteranno perfettamente le fenditure naturali della pietra. Sono anche molto frequenti le realizzazioni che richiedono un gel coat trasparente. In questo caso si aggiunge alla resina solo una piccola quantità di aerosil da conferirle la necessaria corposità per evitare colature, senza perdere la trasparenza. Il gel coat trasparente viene usato quando ad esempio si vuole mantenere l aspetto traslucido della vetroresina, oppure per le finiture con effetto marmorizzato. Con la tecnica della marmorizzazione si raggiungono risultati molto interessanti,


perché oltre a riprodurre vari tipi di marmo, offre la possibilità di creare nuovi aspetti, policromi e variegati.

MARMORIZZAZIONE

L effetto marmorizzato si ottiene con gli inchiostri MARBLECOLOR . Si può eseguire sia in positivo , direttamente sulla superficie esterna di un oggetto finito, oppure nel gel coat, durante la stratificazione su stampo Gli inchiostri Marblecolor sono come delle vernici molto fluide, solubili in acetone, e disponibili in vari colori. Essiccano in pochi secondi senza lasciare spessore, ma solo un velo di colore. Quando si deve lavorare in positivo, cioè sul pezzo finito, è necessario che questo abbia in superficie un gel coat liscio e compatto, con un colore da fondo per le tinte della marmorizzazione. Si possono marmorizzare in positivo anche pannelli ricoperti in laminato, che hanno già una superficie liscia e compatta, oppure altri oggetti, purché siano preparati con una vernice di fondo resistente all acetone, compatta e non assorbente come ad esempio una poliuretanica o epossidica. La marmorizzazione può essere eseguita con diverse tecniche, a seconda del risultato che si vuole ottenere; uno dei sistemi è il seguente: Con un aerografo si applica un leggerissimo velo di inchiostro diluito con acetone. Il velo che rimane sulla superficie deve essere appena percettibile, specialmente con i colori scuri. Poi si interviene con un tampone di ovatta intriso di acetone, e con movimenti circolari, o picchiettando si rimuove o si fa espandere il colore in modo da creare aloni, chiazze o striature, con i contorni di varia intensità. A questo punto lo schema è abbozzato; si applica quindi un altro leggero velo di colore diverso, e si prosegue con un nuovo tampone imbevuto di acetone. In questo modo i colori in alcuni punti si mescolano, e in altri si sovrappongono, creando un gioco di chiazze e venature. Agendo con un tampone più o meno intriso di acetone, e con movimenti studiati si può variare a piacimento sia il disegno delle venature che l effetto policromo. Come variante a questo sistema, si possono applicare i vari colori uno di seguito


all altro, e tamponare alla fine. Cambiando la successione dei colori si ottengono risultati diversi. Un altra tecnica consiste nell applicare l inchiostro direttamente con il tampone, cospargendo la superficie di piccole chiazze. Poi con dell altro cotone pulito imbevuto di acetone si diffonde il colore in modo da ottenere la figurazione voluta. A lavoro ultimato si deve ricoprire il tutto con una vernice trasparente di protezione, che serve anche a conferire lucentezza, in quanto gli inchiostri lasciano una superficie opaca. GEL COAT MARMORIZZATO L effetto marmorizzato può essere ottenuto anche con il gel coat in fase di stratificazione, ma in questo caso il procedimento è inverso. E utile ricordare che la costruzione di un opera su stampo inizia sempre con l applicazione dello strato che risulterà poi la finitura esterna, e si procede con le altre fasi verso l interno fino al completamento. Per cui la superficie visibile del pezzo finito sarà quella che sta a contatto dello stampo. Il procedimento quindi è il seguente: Si applica prima una mano di gel coat trasparente sullo stampo, che sarà poi lo strato di protezione. Quando il gel coat è ben indurito si esegue la marmorizzazione con la tecnica desiderata. A questo punto si applica un atra mano di gel coat con il colore di fondo per dar risalto alla marmorizzazione, che può essere coprente oppure semi coprente, qualora si voglia accentuare l effetto di profondità. Quindi si procede con la stratificazione. Prima di cimentarsi con questa tecnica direttamente sull opera originale, è consigliabile eseguire delle prove su un vetro, sia per trovare l accostamento dei colori, che per prender mano con il tampone e saggiare le proprie capacità. La lastra di vetro è la superficie ideale, perché si pulisce facilmente con l acetone e consente di eseguire ripetute prove e correzioni. Inoltre il lavoro è visibile anche dal retro, proprio come apparirebbe attraverso un gel coat trasparente.


STAMPI

Per realizzare qualsiasi oggetto in materiale composito, sia per colata sia per stratificazione, occorre uno stampo sul quale modellare ciò che si vuole ottenere. Il punto di partenza per la costruzione di uno stampo è un modello originale, in grandezza naturale, identico in ogni dettaglio all opera definitiva. Sul modello originale si costruisce lo stampo femmina, realizzato con vari sistemi, salvo in alcuni casi in cui si esegue l opera direttamente su un modello a perdere, oppure che rimarrà come parte integrante dell opera. Per ottenere il modello si possono usare diversi materiali, purché abbiano una discreta solidità e una superficie compatta. Nel decidere come costruire un modello bisogna tener conto delle dimensioni dell opera, della sua configurazione e della complessità dei dettagli e, in base a questi elementi, scegliere il materiale più adatto, che allo stesso tempo sia facile da lavorare. I materiali normalmente usati sono: legno, argilla, gesso, polistirolo espanso, o poliuretano espanso rigido. Si possono usare anche tecniche miste, come ad esempio una struttura in legno o in rete metallica, ricoperte di gesso. Il modello ottenuto dovrà essere rifinito con una vernice turapori in modo da rendere la sua superficie impermeabile, compatta e levigata, in modo da consentire una efficace azione degli agenti distaccanti, dei quali parleremo in seguito. Sui modelli in argilla umida si possono costruire solo stampi in gesso con i sistemi tradizionali, oppure in gomma siliconica, come vedremo più avanti. Mentre i modelli in gesso dovranno essere completamente asciutti per consentire l aggrappaggio delle vernici turapori necessarie nel trattamento superficiale. E consigliabile in questo caso usare una vernice a base epossidica, che ha buona aderenza anche sulle superfici leggermente umide. Il polistirolo espanso è forse il materiale più comodo e facile da modellare, perché è leggero ed economico; però ha l inconveniente di sciogliersi a contatto con i solventi generalmente contenuti nelle normali vernici turapori. Quindi per la finitura superficiale si dovranno usare prodotti all acqua o comunque esenti da solventi, come lo stucco da muri o idropitture a base di emulsioni acetoviniliche.


Le vernici epossidiche sono ottime, non contengono solventi e lasciano una superficie liscia e compatta, ma sono molto dure da carteggiare, quindi meglio applicarle come ultimo strato del trattamento. Il poliuretano espanso è altrettanto facile da lavorare, non teme i solventi quindi si più stuccare e verniciare con qualsiasi prodotto; ma normalmente è venduto in lastre ed è difficile reperirlo in blocchi. Nel settore industriale gli stampi vengono realizzati generalmente in vetroresina, con uno specifico gel coat da stampi nella superficie interna, e una robusta struttura in vetroresina, opportunamente rinforzata da una intelaiatura per assicurarne la stabilità ed evitare deformazioni. La costruzione di uno stampo del genere richiede impegno, perizia e molte ore di lavoro e si giustifica solo se viene sfruttato per una grande produzione. Non è così nel campo artistico, dove lo stampo deve servire quasi sempre per trarre un solo esemplare, allora si ricorre a sistemi più semplici e a materiali che consentono una rapida esecuzione. Per costruire uno stampo di medie dimensioni si ricorre al gesso, che è il sistema più semplice, oppure alle gomme siliconiche qualora i modelli fossero molto dettagliati, con sottosquadro. Per le opere di grosse dimensioni occorre utilizzare la vetroresina, che è un sistema più laborioso, ma consente stampi leggeri, resistenti e maneggevoli. Non sempre però per realizzare un opera in composito occorre costruire uno stampo su un modello; eccezioni alla regola sono le tecniche del modello a perdere o con struttura integrante. Si può ricoprire un modello in polistirolo espanso con un sistema epossidico rinforzato con tessuti di vetro. A lavoro ultimato si versa dell acetone all interno che scioglierà rapidamente l anima in polistirolo, lasciando intatto l involucro esterno, sul quale si potrà poi intervenire con svariate finiture. Un altra tecnica consiste nel modellare una rete metallica e ricoprirla in vetroresina seguendone le forme; la rete rimarrà imprigionata nello stratificato, che lascerà intravedere la sua struttura come parte integrante dell opera, oppure potrà essere celata da una finitura opaca.


PREPARAZIONE DEL MODELLO Il modello va fissato su un basamento piano, con una superficie liscia e regolare, e deve debordare per almeno 15 cm. dalla base del modello stesso; si possono usare pannelli in truciolare o multistrato ricoperti da laminato plastico. I modelli in gesso, in argilla o in polistirolo possono essere costruiti direttamente sul basamento. La base del modello a contatto del pianetto non verrà riprodotta dallo stampo, vi rimarrà l apertura dalla quale accedere per la stratificazione o la colata del pezzo. Il modello dovrà essere preparato in maniera adeguata, compatibile con il sistema costruttivo dello stampo. Se si costruisce uno stampo in vetroresina, il modello deve essere rifinito con una superficie perfettamente liscia e priva di asperità. In questo caso si dovrà ricoprire il modello con una vernice epossidica come il DURALOID. Sono sufficienti due mani applicate a pennello, intervallate di 12 ore, per ottenere una superficie liscia e compatta. Eventuali asperità o colature si eliminano con successive passate di carta abrasiva, utilizzando per ultimo una grana 400, lucidando poi con polish da carrozzeria. Il Duraloid è un prodotto bicomponente, a base epossidica, simile ad uno smalto abbastanza denso, che non contiene solventi: si applica a pennello e con una mano si riesce ad ottenere uno spessore di circa 0,2 mm. che essicca in 8 - 10 ore. Ne risulta uno strato compatto resistente e con una superficie molto lucida. Il Duraloid va quindi applicato su tutti i modelli che non hanno una superficie compatta e levigata, come ad esempio quelli in legno, in gesso o in polistirolo. I modelli in polistirolo dovranno essere previamente stuccati con prodotti a base acquosa e carteggiati fino ad ottenere una superficie abbastanza regolare; poi si ricopre il tutto con almeno due mani di Duraloid, che deve essere applicato in maniera continua anche sul piano di appoggio, in modo da sigillare la fessura tra il modello e il basamento. Anche per i modelli in legno, come per quelli ottenuti con tecniche miste, è richiesta una preparazione altrettanto adeguata: occorre stuccare accuratamente ogni giunzione, arrotondare gli angoli o spigoli vivi, trattare la superficie con una vernice turapori o epossidica. In definitiva il modello pronto non deve presentare irregolarità che potrebbero rivelarsi degli appigli e ostacolare poi il distacco dello stampo. Se invece si decide di costruire lo stampo in gesso, il modello in questo caso richiede una finitura meno accurata. E sufficiente che questo abbia una superficie


regolare e non friabile. Sui modelli in polistirolo è comunque consigliabile applicare una mano di vernice epossidica per isolare le stuccature eseguite con prodotti solubili in acqua, perché potrebbero ammorbidirsi a contatto del gesso, ed essere asportati nel disarmare lo stampo. Sui modelli in argilla si possono costruire solamente stampi in gesso, con le varie tecniche conosciute, oppure se si vuole riprodurre una superficie scabra o molto dettagliata, si ricorre agli stampi in gomma siliconica. I modelli in polistirolo espanso a perdere, sui quali si costruisce direttamente l opera definitiva in stratificato, non necessitano del previo trattamento con vernice epossidica. Con questa tecnica si possono ottenere due diverse soluzioni: lasciare il polistirolo definitivamente all interno dell opera, oppure toglierlo con l acetone. In quest ultimo caso occorre applicare sul polistirolo una o due mani di idropittura per regolarizzarne la superficie, e poi una mano di POLIVINOL, in modo da creare una barriera tra il polistirolo e lo stratificato e ottenere una netta separazione quando si estrae l anima dall interno. Mentre se il modello dovrà rimanere racchiuso nell'opera, non occorre alcun trattamento. In questo caso vi è inoltre la possibilità di dipingere o decorare il modello in polistirolo con colori acrilici all acqua prima di ricoprirlo. Lo stratificato in tessuto di vetro e resina epossidica che è trasparente farà apparire le decorazioni sottostanti nitidamente. Per esaltare l aspetto dell opera si deve rifinire poi lo stratificato con una superficie lucida. Lo stampo deve staccarsi facilmente dal modello, possibilmente senza danneggiarlo; per un errore di costruzione, o per altri motivi, potrebbe sorgere la necessità di dover rifare lo stampo, in questo caso occorre che il modello sia integro. Alcune tecniche però prevedono comunque la distruzione del modello, in questo caso è necessario avere molta cura nella costruzione dello stampo. E utile ricordare che la superficie dello stampo a contatto del modello, sulla quale poi verrà eseguita l opera, deve risultare liscia, compatta e priva di asperità altrimenti si creerebbero degli appigli, e sarebbe poi molto difficile, se non impossibile, staccare il pezzo finito nonostante il trattamento con le cere distaccanti


AGENTI

DISTACCANTI

Il trattamento delle superfici con agenti distaccanti è un operazione assolutamente necessaria quando si utilizzano le resine, e deve essere eseguita con la massima cura, altrimenti non si riuscirà poi a separare le parti a contatto. Il trattamento è necessario sia sui modelli per poter costruire lo stampo in resina, che nello stampo stesso prima di stratificare l opera definitiva. I prodotti utilizzati sono delle particolari cere e il Polivinol, che è un alcool polivinilico. La cera crea uno strato antiaderente e sigilla tutte le porosità della superficie; il Polivinol svolge una azione complementare, come vedremo più avanti. Sono disponibili tre tipi di cera distaccante, con caratteristiche diverse, ognuna adatta per un determinato tipo di superficie. CERA MIRROR Cera in pasta di alta qualità, adatta sia per trattamenti sul modello che per lo stampaggio. Viene usata quando si vogliono ottenere manufatti con superficie perfettamente lucida, ma la sua applicazione è lunga e laboriosa. La cera Mirror si applica con un panno di cotone, agendo con movimenti circolari e una modica pressione per far penetrare la cera nei pori. La ceratura va eseguita a zone; trascorsi 5 minuti si lucida con un panno di cotone pulito (mai usare della lana, che con l attrito produce calore e asporta la cera). Si prosegue allo stesso modo fino a ricoprire tutta la superficie. Dovranno essere effettuate almeno 4 passate di cera, con un intervallo minimo di 3 ore una dall altra, per permettere l essiccazione del precedente strato. Il trattamento deve essere eseguito sul modello, per poter disarmare lo stampo, e poi ripetuto sullo stampo stesso prima di iniziare la stratificazione. La cera Mirror lascia una patina molto tenace, ed ha un alto punto di fusione, può quindi essere lucidata a specchio senza il rischio di essere asportata. E inoltre adatta per il trattamento di stampi per colate, in quanto resiste meglio al calore che si sviluppa durante la polimerizzazione.


CERA GLOSS Cera in pasta molto scorrevole, ma con un punto di fusione più basso rispetto alla Mirror; non è adatta per essere lucidata a specchio. Può essere applicata direttamente sui modelli in gesso, legno o polistirolo non ricoperti con vernici epossidiche, solo quando si deve costruire uno stampo in gesso. La cera Gloss penetra bene nelle porosità e lascia uno strato compatto che assicura il distacco del gesso. Questa cera può anche essere usata come agente distaccante su superfici trattate con vernici turapori o epossidiche, quando non è richiesta una superficie lucida. La cera Gloss si applica con un panno o tampone, in due o tre riprese intervallate di un ora. Si attende qualche minuto e si regolarizza con un panno pulito.

CERA LIQUIDA Questo è l agente distaccante che nel nostro caso verrà usata in prevalenza. E facile da usare e allo stesso tempo assicura un buon distacco. Con la cera liquida non si ottengono superfici lucide, e occorre ripetere il trattamento ad ogni stampata, ma ciò non costituisce un problema perché nel settore artistico raramente è richiesta una finitura lucida, la quale poi si può sempre ottenere lucidando il pezzo finito, e inoltre di regola si deve trarre un solo esemplare. La cera liquida è un prodotto in soluzione con ragia minerale, molto fluido, che si asciuga in brevissimo tempo. Si può applicare a pennello, a spruzzo o con un tampone. Occorrono due o tre passate, intervallate di 10 minuti, e poi si regolarizza la superficie (le righe del pennello o la buccia d arancia dello spruzzo) strofinando leggermente con un panno di cotone morbido. Si attende circa 30 minuti che il solvente contenuto nella cera sia completamente evaporato, e vi si applica un velo leggero di Polivinol a pennello o con una spugna morbida. Il Polivinol crea una sottile pellicola resistente ai solventi sopra lo strato di cera. Questa pellicola ha due importanti funzioni: come barriera allo stirolo contenuto nelle resine e nei gel coat poliesteri, il quale potrebbe, come solvente, intaccare lo strato di cera riducendone l efficienza; inoltre impedisce alla cera di trasferirsi sul pezzo finito, che ostacolerebbe poi eventuali interventi sulla superficie dell opera.


POLIVINOL Polivinol: nome commerciale dell alcool polivinilico, che è una complementare nel trattamento distaccante delle superfici.

sostanza

E un liquido di colore azzurro, solubile in acqua o in alcool etilico; dopo essiccato crea una pellicola che ha la proprietà di resistere ai solventi. Si applica con una spugna o un pennello morbido, oppure si può spruzzare con un atomizzatore a mano o un aerografo; in questo caso destinare una vecchia pistola solo per questo uso. Il Polivinol va di norma applicato sopra lo strato di cera gloss o di quella liquida, quindi il suo spessore deve essere molto sottile altrimenti tende a formare delle schivature: Se si applica a spruzzo è consigliabile eseguire l operazione in più riprese intervallate di qualche minuto. La colorazione azzurra è un rivelatore per regolarsi con lo spessore ed evitare di eccedere. Se si verificassero delle schivature o qualche colatura, si può togliere il Polivinol con una spugna imbevuta d acqua, attendere che la superficie sia asciutta e ripetere l operazione. Quando il velo di Polivinol è essiccato, vi si può applicare il gel coat e quindi proseguire con la stratificazione dello stampo. Lo stesso trattamento: cera e Polivinol, deve essere poi eseguito anche nello stampo prima di stratificare l opera definitiva. Lo scopo del Polivinol è quello di impedire che lo stirolo contenuto nel gel coat poliestere vada a sciogliere la cera, e che questa si trasferisca sul pezzo finito. Quando si estrae il pezzo dallo stampo, la pellicola di Polivinol ne rimane attaccata, e si toglie facilmente con una spugna imbevuta d acqua. Il Polivinol può anche essere usato per creare una barriera di sicurezza, ad esempio nei modelli rifiniti con vernici turapori comuni, non epossidici, sui quali viene applicata la cera mirror. Questa non va ricoperta dal Polivinol perché altrimenti perderebbe la sua brillantezza, però un velo di Polivinol, applicato direttamente sul modello prima della cera, andrà ad isolare completamente la vernice turapori, proteggendola dai vapori dello stirolo che potrebbero intaccarla e ammorbidirla, attraverso lo strato di cera, danneggiando il modello. Non usare il Polivinol su materiali umidi, ne sopra la cera quando si costruisce lo stampo in gesso. L acqua contenuta nell'impasto scioglierebbe la pellicola del Polivinol.


RIEPILOGO

Trattamento dei modelli in legno, gesso costruzione di stampi in RESINA

e

polistirolo per la

Per ottenere pezzi con superficie lucida MODELLO Legno, gesso o polistirolo Legno Gesso o polistirolo

TIPO DI FINITURA Duraloid Vernice turapori Vernice turapori

TRATTAMENTO Solo cera MIRROR Polivinol + cera MIRROR Non consigliato

Per ottenere pezzi con superficie semi-lucida MODELLO Legno, gesso o polistirolo Legno Gesso e polistirolo

TIPO DI FINITURA Duraloid Vernice turapori Vernice turapori

TRATTAMENTO Cera LIQUIDA + Polivinol Cera GLOSS + Polivinol Non consigliato

Per la costruzione di stampi in GESSO MODELLO Legno Gesso Gesso Argilla

TIPO DI FINITURA Vernice turapori Grezzo Duraloid nessuna

TRATTAMENTO Cera LIQUIDA o GLOSS Cera GLOSS Cera LIQUIDA Sapone

Trattamento dei modelli in POLISTIROLO A PERDERE MODELLO Sistema con anima inglobata permanente Sistema che prevede l estrazione dell anima con acetone

TRATTAMENTO Nessun trattamento tranne eventuali stuccature per regolarizzare Stuccatura + idropittura + Polivinol


COSTRUZIONE DELLO STAMPO Gli stampi per le sculture a tutto tondo debbono essere composti da almeno due parti complementari, dette gusci oppure valve. In molti casi, per la complessità o configurazione del modello, è necessario suddividere lo stampo in più parti per consentirne la sformatura, mentre per i bassorilievi è sufficiente talvolta un solo guscio. Esaminando la figura del modello si stabiliscono le linee ideali di divisione, dei due o più elementi dello stampo, in modo che possano liberarsi dal modello senza incontrare ostacoli dovuti a sottosquadro, e si tracciano con un pennarello. Questo procedimento è necessario per costruire stampi rigidi in gesso o in vetroresina. Non occorre una così complessa suddivisione dello stampo quando si utilizza la gomma siliconica, la cui elasticità consente una facile sformatura anche in presenza di sottosquadro. STAMPI IN GESSO Il gesso è il materiale che consente di realizzare stampi di piccole e medie dimensioni in maniera semplice ed economica. Per ottenere la separazione dei gusci, in modo che poi vadano a combaciare perfettamente, si possono adottare due diversi sistemi: taglio con filo, oppure con dei divisori temporanei. Il sistema con il filo è più semplice, ed è indicato per stampi di piccole dimensioni, ma permette solo la divisione in due valve. Dopo il trattamento del modello con cere distaccanti, si colloca un filo di nylon in corrispondenza della linea tracciata nella mezzeria, e si fa proseguire per almeno 10 cm. oltre la base del modello; per evitare che si sposti dalla linea, si può fissare con un pò di cera in pasta o con del Vinavil. Si ricopre il modello con uno strato di scagliola, di spessore adeguato, comunque non inferiore a 3 cm; nel momento in cui il gesso inizia a rapprendersi si tira il filo perpendicolarmente al modello. In questo modo si otterrà un taglio netto senza asporto di materiale, ma è una operazione che richiede tempismo: se si tira il filo troppo presto, il gesso si risalda; se troppo tardi, il gesso indurisce e il filo non riesce più a tagliarlo. Prima di staccare le due valve dal modello si debbono predisporre dei riferimenti per farle poi ricombaciare nel riassemblaggio. Il sistema dei divisori temporanei è più laborioso e si adotta generalmente per le opere di maggior dimensione, ma è soprattutto indispensabile quando si debbono realizzare stampi suddivisi in più parti.


Con questo procedimento i vari elementi vengono eseguiti uno alla volta. In corrispondenza della linea tracciata si posiziona una lamina divisoria, perpendicolare al modello, per delimitare una porzione dello stampo. Come divisorio si può utilizzare un lamierino di alluminio, o in altro materiale rigido che si possa tagliare e piegare facilmente. Si ritagliano delle strisce alte circa 5 cm, seguendo perfettamente il profilo del modello, e si posizionano seguendo la linea, fino a contornare la prima porzione di stampo che si deve costruire. La lamina divisoria si fissa con un cordone di plastilina o di creta, premuto con le dita, dalla parte esterna della zona delimitata. Ricordarsi di cerare anche il lamierino dal lato interno per non fare aderire il gesso.

Si prepara un impasto di scagliola abbastanza fluido da poter essere applicato a pennello, e si ricopre la parte interessata con uno strato sottile, di qualche millimetro, così la superficie nell interfaccia risulterà compatta e senza bolle. Si attende che la scagliola rapprenda, e poi si colma con gesso comune fino ad arrivare all altezza del lamierino. Quando il tutto è indurito si toglie il lamierino da uno dei lati e si posizionano degli altri fino a delimitare la zona adiacente. Ricordare di applicare della cera Gloss anche nella parete verticale del gesso, dove si è tolto il lamierino, per non fare aderire il nuovo getto, perchè la seconda porzione dello stampo va costruita direttamente a ridosso della precedente, quindi vi combacerà perfettamente, senza lo spessore del lamierino. Si procede con lo stesso sistema fino a ricoprire tutto il modello, tranne la base, dove rimarrà l apertura per poter stratificare.


A lavoro ultimato si dovranno tracciare dei segni di riferimento, o meglio ancora creare delle chiavi nel gesso, per far combaciare le varie parti nella giusta posizione quando si dovrà ricomporre lo stampo. Dopo di ciò si può iniziare a staccare i vari pezzi dello stampo, per permettere al gesso di asciugare completamente, avendo cura di non danneggiare gli spigoli vivi, ne la superficie interna degli elementi. Quando il gesso sarà ben secco, si ricopre la parte interna dei vari elementi con una mano di Duraloid, che serve ad eliminare la porosità del gesso e a favorire l azione degli agenti distaccanti. E consigliabile stendere la vernice epossidica anche nelle battute laterali, cioè nello spessore del gesso di ogni elemento, per proteggere lo spigolo vivo e per evitare che eventuali colature di resina, che potrebbero verificarsi durante la stratificazione vadano ad aderire al gesso nudo. Qualora per vari motivi non si possa applicare il Duraloid, è necessario saturare la porosità del gesso con ripetute passate di cera Gloss, in modo da ottenere una superficie completamente ricoperta da uno strato di cera; poi si applica un velo di Polivinol.

A questo punto i vari elementi sono pronti per essere riassemblati; questa operazione però deve essere eseguita compatibilmente con il sistema di stratificazione che si dovrà seguire, che è determinato dalla complessità dello stampo. Come vedremo più avanti, negli stampi più complessi è necessario


talvolta stratificare su i vari elementi separatamente su prima di assemblarli. Per tenere uniti poi i vari elementi, si spalma uno strato di gesso in corrispondenza dei giunti, o si può costruire una cappa che li racchiude completamente. STAMPI IN VETRORESINA La costruzione di uno stampo in vetroresina è più laboriosa, però si ottengono manufatti molto più leggeri e resistenti rispetto al gesso. Per la divisione delle varie parti dello stampo si utilizza il sistema dei lamierini divisori, come per il gesso. Occorre però una maggior cura nel cerare le superfici di distacco perchè la resina ha un maggior potere di aggrappaggio rispetto al gesso. Inoltre bisogna fissare bene il lamierino, con una maggior quantità di plastilina, altrimenti si potrebbe spostare premendo con il pennello durante la stratificazione. Quando si è delimitata una parte del modello, già trattato con gli agenti distaccanti, vi si applica una mano di gel coat poliestere da stampi, fino a ricoprirne tutta la superficie, compreso il lato interno del lamierino. Se il modello presenta delle rientranze con angoli vivi, o parti più operate, occorre regolarizzare la superficie e arrotondare gli angoli con una maltina che si prepara al momento, usando della resina caricata con microsfere o inerti in polvere, da applicare sul gel coat appena indurito. Altrimenti quando si stratifica, le fibre del mat non riusciranno a seguire le forme più complesse o gli angoli, e quindi vi rimarranno delle zone vuote o delle bolle d aria racchiuse dietro il leggero strato di gel coat, il quale potrebbe cedere poi con la minima pressione. Quando il tutto è sufficientemente indurito, si inizia a stratificare con mat e resina poliestere, fino a raggiungere uno spessore di 2 o 3 mm. o comunque sufficiente a garantire la necessaria stabilità allo stampo. Nei gusci di grosse dimensioni è consigliabile applicare dei rinforzi esterni per irrigidire lo stampo, evitando così di aumentare eccessivamente lo spessore dello stratificato. Come rinforzo si possono applicare nell estradosso del guscio alcuni listelli in legno opportunamente sagomati, i quali poi si ricoprono con strisce di mat in modo da creare delle nervature a omega, collegate allo stratificato.


Nel risvolto sul lamierino è bene aumentare lo spessore dello stratificato aggiungendo alcune strisce di mat, per creare una robusta flangia, che servirà per la congiunzione dei vari elementi dello stampo; questa flangia perimetrale contribuirà inoltre all irrigidimento di ogni singolo guscio. Quando il primo guscio è indurito, si toglie il lamierino da uno dei lati, e si delimita la zona adiacente, ricordando di cerare la flangia in resina che si è creata nel precedente elemento, la quale era coperta dal divisorio. Si procede quindi con l applicazione del gel coat e dell eventuale maltina, per concludere poi con la stratificazione.

Quando lo stampo è completato in tutte le sue parti, prima di disarmare si praticano dei fori attraverso le due flange accoppiate, che serviranno alle viti di collegamento dei vari elementi nel riassemblaggio, che così avverrà con perfetta corrispondenza.


Dopo aver staccato lo stampo dal modello, si controlla che non vi siano bolle o difetti, altrimenti si stucca la parte difettosa, poi si carteggia e si lucida fino ad accompagnare la finitura della superficie circostante.

STRATIFICAZIONE In base alle dimensioni e alla conformazione dello stampo, si decide il metodo più adeguato per la stratificazione dell opera definitiva, che può essere eseguita sullo stampo chiuso, cioè già assemblato, oppure a stampo aperto, e quindi su ogni elemento separatamente. Negli stampi di ridotte dimensioni, o comunque con una apertura alla base abbastanza ampia che permette di operare dall esterno, si può stratificare sullo stampo già chiuso, con il vantaggio di ottenere così l opera a tutto tondo in un solo pezzo. Mentre negli stampi di grossa mole, o con una apertura alla base molto piccola, si dovrà stratificare ogni singolo pezzo separatamente, e poi assemblare il tutto. E consigliabile in ogni caso applicare il gel coat sui gusci prima di assemblarli, perché così è più facile controllarne l uniformità dello strato. Fare attenzione però a non imbrattare le battute degli elementi, altrimenti si incollano; per evitare ciò, prima di applicare il gel coat si ricopre la flangia, o lo spessore del gesso con della carta gommata fino all angolo con la superficie dello stampo, e poi si toglie prima di assemblare. L opera definitiva può essere ottenuta sia con un sistema epossidico che poliestere. Salvo particolari esigenze prevale lo stratificato in poliestere perché è più economico e semplice da eseguire; non richiede accurati dosaggi e indurisce rapidamente.


La stratificazione nello stampo chiuso è molto sbrigativa. Quando il gel coat è indurito, si dispone lo stampo in orizzontale o con l apertura verso l alto, nella posizione più comoda da lavorare. Si applica una mano di resina nella parte inferiore, e vi si adagia un mat di superficie, meglio se tagliato in piccoli pezzi per facilitarne l adattamento alla superficie e si impregna con la stessa resina. Poi si fa ruotare lo stampo e si prosegue fino a ricoprire tutta la superficie. Appena ultimata questa operazione, prima che la resina indurisca, si prosegue la stratificazione con un mat più pesante, sempre frammentato in piccoli pezzi per facilitare l impregnazione e accompagnare fedelmente le forme dello stampo. I vari frammenti dovranno essere sormontati e sovrapposti in modo da ottenere uno stratificato di spessore uniforme. E possibile inoltre applicare dei rinforzi all interno, inserendo delle costolature supplementari, o aumentare lo spessore dello stratificato, come ad esempio attorno alla apertura, applicando ulteriori strisce di mat per irrigidire la base de dell opera. Il procedimento di stratificazione a stampo aperto è più laborioso, ma è necessario negli stampi di maggiore complessità, composti da molti elementi, o con piccole aperture. Si stratifica su ogni singolo elemento in piano, con il solito procedimento: gel coat; mat di superficie e per finire il mat pesante. Prima che la resina indurisca completamente si tagliano le sfrangiature delle fibre eccedenti con un cutter a filo con l angolo della battuta. Dopo di ciò si può iniziare la fase di assemblaggio, che va eseguita per gradi. Si riuniscono due o tre elementi in modo da farli combaciare perfettamente con i relativi riferimenti. Se lo stampo è in resina, si fissano con dei bulloni attraverso i fori delle flange. Mentre gli elementi in gesso vengono saldati spalmando dell altro gesso in corrispondenza delle giunzioni nell estradosso.


A questo punto si procede alla cucitura dello stratificato, sovrapponendo e impregnando delle strisce di mat in corrispondenza delle giunzioni. Si prosegue con lo stesso sistema fino a ricomporre tutti i pezzi, lasciando per ultimo quelli in prossimitĂ dell apertura. Le ultime saldature vengono eseguite dall esterno.

Negli stampi in gesso è consigliabile talvolta rinforzare l unione dei vari elementi, costruendovi all esterno una cappa di gesso, man mano che si procede con l assemblaggio, per assicurare la loro coesione durante il successivo lavoro di stratificazione. Questa cappa verrà poi rotta e smantellata nell apertura dello stampo.


Le sfrangiature del mat che sporgono dall apertura, si eliminano facilmente tagliando con un cutter a filo dello stampo quando la resina è ancora in fase di indurimento. Le successive operazioni di rifinitura vanno eseguite con una smerigliatrice. Per l apertura dello stampo bisogna attendere come minimo 12 ore affinchè lo stratificato abbia raggiunto sufficiente rigidità. Se l estrazione del pezzo dovesse presentare qualche difficoltà, si può facilitare il distacco inserendo dei cunei in legno tra lo stampo e il pezzo nei punti opportuni; si fanno penetrare a piccoli colpi per non danneggiare il gel coat, finché non si avverte il distacco delle due superfici. Quando il pezzo esce dallo stampo occorre talvolta ripulirlo delle eventuali bave che si possono essere formate in corrispondenza delle giunzioni dei gusci. Questa operazione deve essere eseguita con molta cura per non rovinare lo strato superficiale di gel coat. Lo strumento ideale è una smerigliatrice con flessibile, tipo quelle che si impugnano come una penna per eseguire incisioni, altrimenti si possono usare delle piccole lime di sagoma appropriata, carta abrasiva, ecc. Se la superficie dell opera deve rimanere lucida, si carteggia la zona smerigliata con una grana 400 e poi si lucida con pasta abrasiva da carrozzeria. Se rimangono dei difetti molto evidenti, si possono correggere con delle piccole stuccature usando lo stesso gel coat, magari addensato con dell Aerosil.


LE GOMME SILICONICHE PER LA COSTRUZIONE DI STAMPI ELASTICI

Le gomme siliconiche sono prodotti liquidi o in pasta che vulcanizzano a freddo mediante un catalizzatore, dai quali si ottengono composti stabili, dotati di elevata elasticità. Grazie alle loro peculiari caratteristiche, le gomme siliconiche (d ora in avanti abbreviate gs.) offrono dei grandi vantaggi nella costruzione di stampi, specialmente nel settore artistico, del modellismo e dell oggettistica, dove in alcuni casi si rivelano veramente insostituibili. Una delle proprietà fondamentali delle gs. è l eccellente effetto antiaderente nei confronti dei materiali cui vanno a contatto. Ciò significa che queste gomme non aderiscono al modello sul quale sono state applicate, e a loro volta le resine, o altri materiali come il gesso o la cera non aderiscono allo stampo in gomma. Quindi non occorre alcun trattamento distaccante, sia sul modello che nello stampo. Le gs. hanno inoltre un ottima fedeltà di riproduzione sin dei minimi dettagli, e una buona stabilità dimensionale. La loro elasticità e resistenza alla lacerazione consentono di sformare agevolmente anche oggetti con forte sottosquadro, rilievi pronunciati e intagli particolareggiati. Sono disponibili in commercio diversi tipi di gomma, ognuna con la sua caratteristica, e possono essere classificate in due principali categorie: colabili e plasmabili; la scelta del tipo più indicato va fatta in base alle modalità di impiego e alle esigenze specifiche. Per realizzare il calco di un bassorilievo, o lo stampo di un oggetto di piccole dimensioni, si usa il tipo colabile, che si versa sull originale da riprodurre, contornato da un argine di contenimento. Nei modelli di grosse dimensioni conviene usare il tipo plasmabile, che si applica con le dita sul modello fino a ricoprirlo con uno strato uniforme. Oppure in alcuni casi si può ricorrere al tipo pennellabile, che è una variante delle gomme plasmabili, la quale ha una buona fedeltà di riproduzione ed è più semplice da applicare, ma si ottengono strati sottili, quindi occorrono più passate per raggiungere lo spessore desiderato. Un altro tipo: la RTV-530, è una gomma plasmabile atossica che vulcanizza in brevissimo tempo, si può quindi applicare direttamente sulla pelle per trarre calchi ad esempio delle mani o del viso. Normalmente negli stampi in gomme siliconiche si traggono le copie per colata. Il materiale utilizzato per il getto può essere una resina poliestere, poliuretanica o


epossidica; così come il gesso o la cera, molto utili quindi nelle tecniche di fusione a cera persa. Vi è anche una gomma che resiste fino a temperature di 300° C, nella quale si possono colare metalli e leghe basso fondenti. Con gli stampi in gomme siliconiche ad esempio usando il tipo plasmabile, si possono ottenere calchi anche oggetti di grosse dimensioni e inamovibili, come statue o rocce, per poi riprodurli in vetroresina, gesso o cemento. Si possono inoltre costruire stampi direttamente su modelli in argilla o in gesso ancora umidi, senza pregiudicare il processo di vulcanizzazione, in quanto i siliconi sono assolutamente idrorepellenti e insolubili in acqua. Le gs. sono prodotti a due componenti: base + catalizzatore. Prima dell uso si prepara la miscela nella proporzione indicata; dopo un certo periodo, che varia a seconda dei tipi, l impasto vulcanizza trasformandosi in un composto, elastico stabile e irreversibile. TIPO Modalità di impiego Viscosità in m Pas. Durezza shore del vulcanizzato

GLS-50

GSP-400

Per colata Plasmabil e 30.000 Pasta

RTV-530

RTV-TIXO

RTV-589

Plasmabile

Pennellabile

Per colata

Pasta

Cremosa

45.000

22

40

45

35

75

350%

150%

70%

250%

20%

T-30 al 5% 90 minuti

C-2 al 4%

A+B = 1/1

C-3 al 4%

1 ora

2 minuti

Tixo blu al 5% 1 ora

Indurimento completo a 20° C

18 ore

8 ore

5 minuti

8 ore

12 ore

Colore

Beige

Verde

Rosa

Celeste

Rossa

Allungamento a rottura Tipo di catalizzatore e dosi Tempo di lavorabilità

1 ora


CARATTERISTICHE GLS

50

La GLS-50 è una gomma liquida da usare per colata. Ha una viscosità apparente elevata, ma lentamente riesce a penetrare ovunque e a riprodurre ogni minimo dettaglio. E adatta per costruire stampi a pozzo, cioè monovalva, di piccoli oggetti molto dettagliati, come figurini, statuette, modelli di aerei e auto in scala, ecc. oltre ad ottenere calchi di bassorilievi e oggetti in piano. Con alcuni accorgimenti però si può utilizzare anche per riprodurre modelli di maggiori dimensioni con sviluppo verticale o di struttura complessa, costruendo ad esempio uno stampo bivalve o a intercapedine, come vedremo più avanti. La GLS-50 va catalizzata con 5% di T-30 , che è un liquido incolore. E consigliabile dosare i componenti sempre in peso; non disponendo però di una bilancia di precisione per dosare le piccole quantità di catalizzatore, si può ricorrere ad una siringa graduata e dosarlo in volume, dal momento che il suo peso specifico è circa 1, quindi 1 cc. equivale a 1 gr. Mentre la gomma, che è la quantità maggiore va necessariamente pesata, anche perché ha un peso specifico diverso, pari a 1,2. Riuniti i due componenti in un recipiente a tutta apertura, si amalgama con una spatola a lama stretta e allungata per circa un minuto, avendo cura di raschiare bene le pareti e il fondo del recipiente, in modo da ottenere una miscela omogenea in tutta la massa. Mescolare lentamente onde evitare un eccessivo inglobamento di bolle d aria, Prima di colare è bene far riposare l impasto almeno 10 minuti per permettere la deaerazione. Questo tipo di gomma ha un pot life molto lungo: circa 3 ore, e ciò permette la quasi totale sbollatura dell aria inglobata. La vulcanizzazione completa si ha dopo circa 18 ore a 20° C. Se si vuole accelerare la reazione si può far vulcanizzare l impasto in un ambiente alla temperatura di 30 40° o vicino a una fonte di calore. Una reazione troppo veloce però non permette la completa fuoriuscita delle bolle d aria. Se lo stampo deve essere utilizzato per trarre molte copie consecutive, è consigliabile ritempralo, ogni 20 o 30 stampate, tenendolo in forno, per circa un ora a 100° C, per permettere l evaporazione dei solventi o di altre sostanze assorbite dalla gomma. In questo modo lo stampo avrà una lunga durata in perfetta efficienza. Al termine del lavoro non occorre lavare i recipienti e le spatole imbrattate di gomma; dopo che questa ha vulcanizzato si stacca facilmente dagli attrezzi, lasciando le superfici pulite e senza residui.


GSP

400

La GSP-400 è una gomma plasmabile, adatta per riprodurre grossi modelli o particolari inamovibili. Viene applicata direttamente sul modello fino a ricoprirlo interamente con uno strato uniforme. La gomma base è una pasta color grigio perla, con una consistenza più morbida rispetto alla plastilina. Il suo catalizzatore: C2 è un gel di colore giallo, confezionato in tubetti da gr. 40, che è la dose giusta per 1 Kg. di pasta base, infatti il rapporto di catalisi è del 3 -4%. L amalgama con il catalizzatore può essere eseguita solo con le mani. Il prodotto è innocuo e non causa irritazioni, però è meglio inumidire le mani per evitare che l impasto vi aderisca durante la manipolazione. Si preleva dal contenitore la quantità desiderata, non più di 300 grammi però, altrimenti sarebbe faticoso impastare; vi si pratica una cavità per accogliere il catalizzatore, del quale si aggiunge circa un terzo del tubetto. Si dovrà quindi impastare, lavorando il panetto con le mani fino ad ottenere una massa di colore omogeneo senza venature, segno che il catalizzatore si è completamente incorporato nell impasto. Si inizia ad applicare in una estremità dell originale da riprodurre, premendo e modellando con le dita, in modo da lasciare uno strato di circa 1 cm. Terminato il primo panetto, si prepara un altro impasto e si prosegue. Per evitare segni di ripresa è consigliabile adagiare il nuovo panetto sull orlo dello strato già steso e premere in modo da proseguire facendo avanzare lo strato inferiore. Occorre fare molta attenzione nelle superfici molto incise affinché la gomma penetri bene nelle rientranze senza lasciare vuoti o bolle d aria. La superficie esterna dello strato in gomma deve essere rifinita in modo abbastanza regolare, senza sottosquadro, per non creare appigli alla cappa di sostegno che verrà costruita in seguito, come vedremo più avanti. L impasto ha un tempo di lavorabilità di circa 1 ora e impiega dalle 8 alle 10 ore per completare la vulcanizzazione. Se si è costretti a interrompere la posa, si può riprendere senza problemi anche se il primo strato è già vulcanizzato, però è bene non attendere eccessivamente, perché la polvere che inevitabilmente si deposita sullo strato già vulcanizzato agisce da separatore, e quindi può causare dei distacchi in corrispondenza delle riprese.


RTV 530 E una gomma plasmabile di consistenza scorrevole. Ha una reazione molto veloce: fa presa in 3 minuti , e dopo pochi secondi si può già staccare dal modello. E quindi adatta per realizzare velocemente piccoli stampi, o per trarre calchi di parti del corpo, a contatto della pelle, in quanto è assolutamente atossica e anallergica. Il vulcanizzato che ne risulta è più rigido e possiede un minor potere di allungamento rispetto a quello della gomma GSP-400 I due componenti A e B sono entrambi in pasta e vanno miscelati nel rapporto di 1/1 in volume. Il componente A è bianco; il componente B che è il catalizzatore è rosso. Si prelevano dai rispettivi contenitori quantità di uguale volume, e si amalgamano con le dita fino ad ottenere una pasta di colore rosa uniforme. Il sistema di applicazione è identico a quello della gomma plasmabile GSP-400, ma bisogna preparare piccoli impasti alla volta, altrimenti non si ha il tempo di applicarli con la dovuta cura perché iniziano ad indurire. RTV

TIXO

Gomma tissotropica applicabile a pennello. Questo tipo viene usato in alternativa alle gomme plasmabili. Si ottengono dei calchi più sottili, cosiddetti a pelle , con il vantaggio di un minor consumo di materiale e una buona penetrazione nei dettagli profondi. E caratterizzata da una buona scorrevolezza e tissotropia, che è la proprietà di non colare dalle superfici verticali, anche se applicata a spessore. L applicazione viene fatta a pennello, che è un sistema pratico e veloce. Con una mano si raggiungono 1 - 2 mm. Se si vuole ottenere uno spessore maggiore, occorrono più passate. Il componente base è una pasta cremosa di colore grigio perla; il catalizzatore TIXO BLU è un liquido denso e va aggiunto nella dose del 5%. Si amalgama con una spatola fino che l impasto assuma un colore azzurro chiaro omogeneo. Il pot life della miscela è di circa un ora. Si applica come prima fase un leggero strato di gomma con un pennello a setole corte e si imprime per far penetrare bene il prodotto nei dettagli, facendo attenzione a non lasciare bolle d aria. Quando una porzione del modello è stata


accuratamente ricoperta, si rinforza lo strato con l apporto di altro materiale fino a raggiungere uno spessore di ca. 2 mm. Si prosegue allo stesso modo fino a ricoprire tutto il modello. Se si vuole ottenere una pelle di maggior spessore, occorrono più passate, attendendo che la precedente abbia vulcanizzato. Oppure si può usare la Tixo come primo strato a contatto del modello, in modo da copiarne bene tutti i dettagli e poi completare il calco con la gomma plasmabile. In questo modo si ottiene subito lo spessore desiderato, si riesce a regolarizzare meglio la superficie esterna della pelle, colmando tutte le rientranze che poterebbero creare degli appigli alla cappa. Non vi è alcun pericolo di delaminazione tra le due gomme, se il riporto viene eseguito entro le 48 ore I calchi a pelle ottenuti con la gomma TIXO o con la plasmabile, necessitano di un controstampo, una cappa in gesso o altro materiale per mantenere poi lo stampo nella giusta posizione durante l utilizzo. RTV

589

Gomma liquida resistente alle alte temperature. Le gomme siliconiche resistono in genere fino a temperature oltre i 200°; la RTV589 è una gomma liquida colabile appositamente formulata per resistere fino a 300°. Con questo tipo si ottengono vulcanizzati molto duri, caratterizzati da un buon potere di dissipazione del calore, stabilità dimensionale e basso coefficiente di allungamento. E quindi adatta per realizzare piccoli stampi sui quali si possono colare leghe e metalli basso fondenti, come stagno e piombo. La base è un liquido viscoso di colore rosso; prima di prelevarla dal contenitore deve essere mescolata con una spatola perché le sostanze contenute tendono a sedimentarsi. Il catalizzatore C3 è una pasta bianca, e va aggiunto nella dose del 4%. La miscela ottenuta va colata direttamente sul modello da riprodurre, con lo stesso procedimento della gomma liquida. L elevata durezza e lo scarsa proprietà di allungamento di questa gomma non consentono di sformare pezzi con eccessivi sottosquadro; in tal caso è necessario costruire lo stampo in due valve. Prima di colare il metallo è consigliabile cospargere la superficie interna dello stampo con del talco o della grafite in polvere; questo accorgimento serve ad aumentare la scorrevolezza del metallo fuso a contatto della superficie dello stampo.


Qualora sorgesse la necessità di dover incollare le gomme siliconiche già vulcanizzate, ad esempio per fissarle ad un supporto, oppure unirne due parti, si può usare il normale silicone da vetri. Trattandosi di un prodotto siliconico aderisce anche nelle gomme.

PREPARAZIONE DEL MODELLO I modelli originali nei materiali comuni, come legno, metallo, materia plastica, gesso, argilla o cera, si prestano facilmente ad essere riprodotti con le gomme siliconiche (gs) e non richiedono particolari preparazioni. Le gs non danneggiano ne alterano il modello, è necessario però che questo abbia una superficie consistente e priva di frammenti facili a staccarsi: le gomme riproducono qualsiasi traccia di sporco o di particelle aderenti al modello. Le gomme vulcanizzano anche a contatto di superfici umide, quindi si possono eseguire calchi direttamente su modelli in argilla non essiccata, o in gesso ancora umido. Si possono anche creare modelli in plastilina, pongo o das oppure apportare delle modifiche a un modello già esistente, aggiungendo del materiale, purché il tipo di prodotto usato non inibisca la reazione del catalizzatore della gomma I modelli in polistirolo espanso devono essere ricoperti da una vernice turapori all acqua o epossidica, altrimenti la gomma insinuandosi negli alveoli tende ad aderire al modello, ricopiandone poi tutte le irregolarità e porosità.

SCELTA DELLA TECNICA PER LA COSTRUZIONE DELLO STAMPO E DEL TIPO DI GOMMA Esistono due sistemi fondamentali per la costruzione di uno stampo: a pozzo, monovalva o bivalva, per i quali si utilizza una gomma colabile; e il sistema a pelle, con le gomme plasmabili. La scelta dipende da vari fattori, quali: dimensione e conformazione dell originale da riprodurre; qualità di dettaglio richiesta; numero di riproduzioni da effettuare e tipo di materiale da utilizzare per eseguire le copie.

COSTRUZIONE DEGLI STAMPI CON LA GOMMA GLS-50 COLABILE Con questa gomma si possono eseguire stampi a pozzo del tipo a cielo aperto,


semplici o bivalve oppure, per consumare meno gomma, con il sistema a intercapedine, supportati da una campana in gesso. La scelta dipende sia dalla configurazione che dalle dimensioni del modello da riprodurre. Per la riproduzione di un bassorilievo, di un oggetto piatto con poco rilievo oppure di un figurino si può eseguire uno stampo a cielo aperto semplice, senza la necessità di costruire poi un controstampo di supporto, perché con questo sistema il calco in gomma risulterà già abbastanza compatto da autosostenersi, e avrà anche una base di appoggio piana. Con lo stampo a cielo aperto però una delle facce del modello, la base, non verrà riprodotta. In alcuni casi, quando il modello è molto complesso, è conveniente sezionarlo in più parti e stamparle separatamente anziché costruire uno stampo bivalve, più laborioso. E il caso dei figurini nel settore del modellismo: si esegue un unico stampo a pozzo con varie impronte, che comprende il busto posto verticalmente, con a fianco gli arti e la testa. Poi si assemblano, con il vantaggio di poter variare l anatomia e l atteggiamento di ogni figurino se collocati in un diorama. Per riprodurre oggetti più complessi è necessario usare altre tecniche. Ad esempio nei modelli che presentano aperture passanti o anse, si deve necessariamente ricorrere ad uno stampo bivalva, altrimenti l estrazione del pezzo sarebbe impossibile. Gli stampi per modelli di maggior dimensione o con parti aggettanti, si possono realizzare con il sistema dell intercapedine, come vedremo più avanti.

STAMPO SEMPLICE A CIELO APERTO

1 - Fissare la base del modello su un pianetto, con della cera o del nastro biadesivo. 2 - Creare un bordo di contenimento attorno al modello con del cartoncino, del lamierino o un tubo in plastica; fissarlo al pianetto con la plastilina e accertarsi che tutte le fessure siano ben sigillate per evitare la fuoriuscita della gomma. L altezza del bordo deve superare di almeno 1 cm. il massimo rilievo del modello e distanziato di almeno 5 mm, lateralmente, seguendone possibilmente il contorno per ridurre il consumo di gomma. fig. 1 3 - Colare la miscela di gomma GLS-50 fino a coprire circa metà del modello; passare uno stecchino attorno alla base, nell angolo di unione con il pianetto, per favorire la fuoriuscita di eventuali bolle d aria che tendono a rimanere attaccate negli angoli. Colare la restante gomma fino a coprire abbondantemente il modello, ricordando di


passare man mano lo stecchino in corrispondenza delle zone molto operate, per favorire l affioramento delle bolle d aria trattenute dalle anfrattuosità. fig. 2 4 - Lasciare vulcanizzare per circa 18 ore ad una temperatura di almeno 20°¡. Dopo di che si può togliere il bordo, ed estrarre il modello dallo stampo, il quale risulterà perfettamente fedele all originale sul quale è stato colato.

STAMPO A INTERCAPEDINE CON CAMPANA IN GESSO Quando si deve realizzare lo stampo di un modello che si sviluppa in altezza o con prominenze accentuate, come ad esempio una statuetta, è conveniente usare una tecnica diversa dal precedente esempio, altrimenti si otterrebbe uno stampo troppo massiccio, con un eccessivo consumo di gomma. Procedimento:


Fissare il modello su un pianetto abbastanza ampio, e avvolgerlo con pellicola di alluminio (tipo per alimenti) in modo che ne segua le forme.

Ricoprire poi il tutto con uno strato di plastilina, creando uno spessore di ca. 2 cm. La superficie esterna deve essere ben regolarizzata, priva di asperitĂ e con gli spigoli arrotondati

Preparare una cassetta di contenimento; solo con le pareti, senza fondo ne coperchio, con una altezza che superi il modello di almeno 5 cm. L ampiezza della cassa deve essere tale da lasciare sufficiente spazio all interno tra la sporgenza massima del modello e le sue pareti. Posizionare il contenitore attorno al modello in modo che questo sia ben centrato, e tracciare con un pennarello il suo contorno sul pianetto di appoggio.

Togliere la cassa e tracciare una linea ideale di divisione sullo strato di plastilina; posizionarvi un filo di nylon (F) abbastanza lungo da risalire lungo le pareti e fuoriuscire dalla cassa. fig. (4)


Questo accorgimento servirà a dividere in due parti la campana in gesso che verrà gettata nella cassetta in modo da poter essere facilmente disarmata per l estrazione del modello in presenza di sottosquadro; inoltre agevola il riposizionamento della pelle in gomma. Avvitare due spinotti di guida conici in legno (A) sul pianetto di lato al modello nei punti dove c è più spazio, entro il perimetro della cassa. Nella parte alta del modello va fissato un imbutino modellato in plastilina, con la svasatura verso l alto (C). Questo servirà a creare il canale di colata per la gomma.Al suo fianco va fissato un tubetto di plastica più sottile per lo sfogo dell aria (B). Altri tubetti di sfiato dovranno essere posti degli eventuali punti culminanti del modello, per evitare che si formino sacche d aria. A tale scopo si possono usare delle cannucce da bibita, e debbono arrivare fino al bordo superiore della cassetta.

Riposizionare la cassetta al suo posto e sigillare la fessura alla base di appoggio con un cordone di plastilina (P). Far risalire de due estremità del filo di nylon verticalmente lungo le pareti della cassetta, prolungandoli almeno 10 cm. oltre il bordo superiore


Colare del gesso all interno fino a colmare la cassetta, facendo attenzione a non spostare l imbutino e i tubetti di sfiato. Il gesso dovrà ricoprire abbondantemente il modello, lasciando però sporgere l imbutino di e gli sfiati di qualche millimetro. .

Appena il gesso inizia a rapprendersi si tirano le due estremità del filo verso l alto. In questo modo si otterrà un taglio netto, senza asporto di materiale. Questa è una operazione che richiede tempismo: se si tira il filo troppo presto, il gesso si risalda; se troppo tardi, il gesso indurisce e il filo non riesce più a tagliarlo In questo modo si è creata la campana, già divisa in due parti, che servirà da controforma per ottenere un calco di spessore più sottile, poiché la gomma andrà a riempire lo spazio occupato dalla plastilina. Questa campana avrà poi anche la funzione di sostegno del calco in gomma, per mantenerlo nella giusta posizione ed evitare che si deformi durante l utilizzo dello stampo. Quando il gesso ha fatto presa, si disarma la cassetta, e si staccano le due semi campane, facendo attenzione a non danneggiare la sede degli spinotti di riferimento. Quindi si asporta tutta la plastilina che ricopre il modello, senza muoverlo dalla sua posizione nel pianetto.La pellicola di alluminio facilita la rimozione della plastilina, e non fa imbrattare il modello. Ricollocare le due parti in gesso nella loro posizione originale, facendo rientrare gli spinotti fissati al pianetto nelle rispettive sedi che si sono formate nel gesso. Controllare che le superfici esterne dei due elementi siano perfettamente allineate in corrispondenza del giunto; in questo modo la campana rispetterà la centratura con il modello. Sigillare bene con plastilina la fessura tra le due semi campane in gesso, e anche quella nella base di appoggio sul pianetto, per evitare fuoriuscite di gomma. Legare


le due parti in gesso con degli elastici o con alcuni giri di nastro adesivo. Colare lentamente la miscela di gomma GLS-50 attraverso il foro svasato nel gesso, fino a riempire l intercapedine, cioè nello spazio che prima occupava la plastilina. Durante questa operazione è consigliabile inclinare più volte tutto lo stampo in varie direzioni, in modo da permettere la fuoriuscita delle bolle d aria che potrebbero rimanere intrappolate nei sottosquadro o anfratti del modello. Si otterrà così uno stampo a pozzo , a cielo aperto, di spessore più sottile, il che, oltre a facilitare l estrazione comporta un minor consumo di gomma. Quando la gomma è vulcanizzata si aprono le due semi campane, e quindi si eliminano tutte le escrescenze, come le materozze dei condotti e le bave di gomma che si sono formate nella giuntura degli elementi in gesso.

Per facilitare la sformatura del calco in gomma, specialmente nei modelli con parti aggettanti, è consigliabile tagliarlo con una lametta, dalla sommità alla base. E sufficiente da un solo lato, però il taglio non deve coincidere con il giunto delle semi campane. Quando si ricolloca il calco in gomma nella sua sede in gesso per l utilizzo, i lembi tagliati di netto, combaceranno perfettamente per memoria, e non lasceranno alcun segno sul pezzo finito. Come accennato all inizio, lo strato di plastilina riportato all esterno del modello deve essere rifinito con la superficie esterna più regolare possibile, priva di asperità, con le cavità colmate e le sporgenze arrotondate, altrimenti M sarà assai difficile riposizionare la pelle in gomma nella campana in gesso perché occorrerà far combaciare tutte le irregolarità nelle rispettive nicchie che si sono riprodotte nel gesso.


STAMPO BIVALVE A CIELO APERTO Questo sistema, più complesso, consente di realizzare stampi che riproducono il modello completo in tutte le sue parti, a tutto tondo, oppure sformare pezzi che per la loro conformazione, come ad esempio aperture passanti, è impossibile estrarre da stampi monovalva semplici. Procedimento: Tracciare la linea ottimale per la divisione dello stampo, e incastonare per metà il modello nella plastilina (P) fino alla linea prestabilita, creandovi attorno un bordo di contenimento. Oppure collocare il modello in una cassettina e versare della cera fusa in modo da ricoprirne la metà inferiore, fino alla linea di divisione. In questo caso è consigliabile avvolgere la parte inferiore del modello con pellicola in alluminio o Domopak per non fare aderire la cera. Con questo sistema la divisione dello stampo risulta in linea retta, mentre con il metodo della plastilina si può ottenere un piano di divisione più complesso, in grado di seguire esattamente la morfologia della linea divisoria.

Regolarizzare la superficie della plastilina o della cera attorno al modello, e praticarvi due fori conici (A) diametralmente opposti, i quali serviranno a creare gli spinotti di riferimento per la seconda valva. Per creare il condotto di colata (C), attraverso il quale verrà versato il materiale


nello stampo, si prepara una sorta di imbutino in plastilina e si divide in due parti uguali. Si attacca metà imbuto sul piano di divisione in plastilina, con la parte più sottile collegata al modello in un punto prestabilito e la svasatura verso l esterno, aderente al bordo di contenimento. L altra metà dell imbutino verrà usata poi per completare il condotto nella seconda valva. Occorre anche predisporre un canale di sfogo per l aria (B) vicino a quello di colata. A tale scopo si può usare una cannuccia da bibita o un tondino annegato per metà nella plastilina, che collega il modello al bordo di contenimento. Eventuali altri canali di sfiato sono necessari in tutti i punti culminanti del modello, per evitare che si formino sacche d aria quando si cola il materiale nello stampo. A questo punto il modello è pronto per la costruzione della prima valva dello stampo, che si esegue con lo stesso procedimento dello stampo a cielo aperto, versando la gomma liquida.

Quando la gomma ha vulcanizzato, si capovolge lo stampo e si rimuove la plastilina o la cera che racchiude metà del modello, avendo cura di non far uscire la parte che è nella gomma, e nemmeno il mezzo imbutino che ne è racchiuso. Anche i tondini che sporgono, dalla gomma vanno lasciati al loro posto, perchè dovranno servire a creare l altra metà dei condotti di sfiato nella seconda valva. Si posiziona poi l altro mezzo imbutino in plastilina, facendolo combaciare con quello che è già nella gomma per completare il canale di colata. . Occorre ricordare che le gomme siliconiche hanno proprietà antiaderenti nei confronti di tutti gli altri materiali, però aderiscono fra loro. Quindi se si deve procedere con una colata di gomma su un elemento già vulcanizzato, e ottenere la separazione delle due parti, è necessario un trattamento con un agente distaccante.


Per evitare che le due valve aderiscano una con l altra è sufficiente talvolta cospargere la superficie vulcanizzata con del talco. Per maggior sicurezza è però consigliabile applicare prima un velo di cera liquida, e poi passare il talco con un pennello asciutto. Bisogna aver cura di trattare in questo modo tutta la superficie della gomma che andrà a contatto con la seconda valva, compresi gli spinotti. Dopo di ciò si posizionano le pareti di contenimento, sigillandone la base con plastilina, e quindi si può procedere con la colata della seconda valva.

Quando la gomma ha vulcanizzato si separano le due valve, e si estrae il modello, ottenendo così uno stampo completo dei canali di colata e degli spinotti di riferimento, che faranno combaciare perfettamente le due parti. Questi stampi risultano generalmente abbastanza massicci, per cui salvo eccezioni non richiedono controstampi di supporto; è sufficiente tenere unite le due parti con degli elastici.


STAMPI IN GOMMA PLASMABILE GSP-400 - RTV-530 - RTV-TIXO Gli stampi in gomma plasmabile o pennellabile, detti a pelle, necessitano di un controstampo di sostegno, chiamato cappa composta da due o più elementi, per mantenere la gomma in forma durante l utilizzo dello stampo. La cappa può essere realizzata in gesso oppure in vetroresina, che è più leggera, qualora lo stampo deve essere utilizzato per trarre molte copie. Negli stampi più complessi occorre preparare una cappa in più parti, dividendola con il sistema del filo o predisponendo delle spondine divisorie, in modo da poter sformare agevolmente i sottosquadro. Va ricordato che il vero stampo è la pelle in gomma, la quale riproduce fedelmente la superficie del modello; la cappa ha solo una funzione di sostegno, quindi può essere eseguita anche in maniera sbrigativa, dal momento che eventuali difetti superficiali, come bolle d aria o segni di ripresa non pregiudicano il risultato finale. La cappa deve seguire perfettamente la conformazione della pelle, dalla quale si dovrà staccare facilmente. L estradosso della pelle in gomma deve avere quindi una superficie abbastanza regolare da non creare appigli che potrebbero ostacolare il distacco della cappa. Nel plasmare la gomma bisogna aver cura di colmare le cavità profonde, e addolcire i rilievi più pronunciati del modello, aumentando dove occorra lo spessore della pelle. Questi accorgimenti serviranno anche a facilitare il riposizionamento della pelle nella rispettiva cappa, quando si dovrà utilizzare lo stampo. Le cappe in gesso vengono riassemblate riportando dell altro gesso nelle giunzioni delle varie parti, le quali poi si distruggono nell estrazione del pezzo finito. Quando è possibile si può tenere unita la cappa con degli elastici, e così si recuperano i pezzi. Le cappe in vetroresina vanno assemblate con delle viti nelle flange di unione predisposte perimetralmente negli elementi. Ultimato il lavoro si disarma la cappa, ma prima di staccare la pelle in gomma dal modello, specialmente se a tutto tondo, occorre praticarvi dei tagli per facilitarne la sformatura e il successivo riposizionamento nella cappa. I tagli debbono essere ridotti al minimo indispensabile da consentire tale operazione. Se l opera verrà eseguita per stratificazione, i tagli dovranno possibilmente coincidere con un giunto della cappa. Non è però necessario tagliare la pelle in tante parti quante sono la cappa. Nelle opere di semplice conformazione è sufficiente dividere il calco in gomma in sole due parti, anche se la cappa è composta da più elementi. Dopo di ciò si riassemblano le parti della cappa che serviranno ad accogliere la rispettiva parte di gomma, e si stratifica con lo stesso procedimento degli stampi


rigidi. Poi si completa l assemblaggio delle restanti parti stratificato.

e la cucitura dello

SUGGERIMENTI Qualora sorgesse la necessità di dover incollare la gomma siliconica già vulcanizzata, per fissarla ad un supporto, oppure unire due parti in gomma, si può usare il normale silicone da vetri, venduto in ferramenta in tubetti o cartucce, il quale, trattandosi di un prodotto siliconico aderisce bene anche nelle gomme. Non utilizzare mai i recipienti e le spatole usate con la gomma, per mescolare resine, gel coat o vernici, perché anche una minima traccia di silicone riesce a contaminare questi prodotti, e quando vengono applicati la superficie risulterà piena di schivature e occhi di pesce.

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