ARRIVANO I BULLS!

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ARRIVANO I BULLS! di Lilly Rossetti

Le avventure della squadra alla scoperta del gioco del baseball

Illustrazioni a cura di Stefano D’Odorico e Martina Sogni


PREMESSA

Questo primo volumetto è dedicato ai BULLS di tutte le età, e in modo speciale ai nostri ragazzi che rappresentano la nostra speranza e che ci regalano ogni giorno momenti unici che arricchiscono la nostra vita di allenatori e dirigenti. Doveroso è il ringraziamento a tutti i tecnici della famiglia dei Bulls e a tutti i dirigenti. La vostra costante e operosa presenza rende possibile l'incontro tra i ragazzi e lo sport e facilita la loro crescita attraverso valori che non tramontano mai, i valori che solo lo sport vero e vissuto con generosità e dedizione può trasmettere. Un ringraziamento speciale va a Riccardo, il nostro Coach, un modello di cuore e intelligenza a servizio dei più piccoli.

Lilly Rossetti


La squadra Nonno < Matteo

RICEVITORE

Scheggia < Mattia

PRIMABASE

Lalla < Laura

ESTERNO CENTRO

Burghy < Giacomo

ESTERNO SINISTRO

Chicco < Riccardo

SECONDABASE

Genio < Samuele

UTILITY

Luna < Luana

ESTERNO DESTRO

Cina < Chen

TERZABASE

Fulmine < Aziz

INTERBASE

Molla < Andrea

PITCHER

Il coach Doc La signora Aurora


1. L’avventura comincia " Bene, ragazzi, sedetevi tutti un momento, un momento solo, poi vi lascio andare ". I bambini sentivano nella voce del coach un tono diverso dal solito. Si sistemarono comunque piuttosto velocemente sulla prima fila dei gradoni del campetto da pallone dove si erano allenati. Lalla guardava il loro allenatore con i suoi occhioni blu e provava ad indovinare cosa avrebbe detto loro di lì a poco. " Dunque, ormai ci siamo... Sabato avremo la nostra prima partita di campionato! ", disse il coach. " Wow! Una partita.... vera?! ", chiese sgranando gli occhi Andrea, che chiamavano Molla. " Ma non siamo pronti! " , obiettò il Nonno che era il più grande e sapeva come stavano davvero le cose con questa squadra. " Beh, in fondo non si è mai veramente pronti ", replicò il coach. " Ci siamo allenati e ora è il momento di misurarci con degli avversari veri ". " Ma con che divise giochiamo? ", chiese Scheggia con aria preoccupata. Nessuno aveva mai visto una divisa se non i pantaloncini e le magliette della squadra di calcio dell'oratorio. Lalla e Luna, le uniche due ragazze del gruppo, aspettavano impazienti la risposta del coach. " Abbiamo pensato anche a quelle ", disse il coach. " Doc e io ci abbiamo lavorato su e con l'aiuto di un paio di amici e della signora Aurora... Eccola qui: la prima divisa dei BULLS! " " Ohhh.... " fecero tutti in una specie di coro. Una casacca nera con un grande numero arancione sulla schiena pendeva dalle mani del coach. Davanti la scritta BULLS in lettere simpatiche, quasi come quelle di un fumetto. Chicco ci mise un attimo a leggere tutto (era il più piccolo e la lettura non era proprio il suo forte), poi esclamò: " Ma... che significa BULLS?" A questo punto era il turno di Genio. Lo chiamavano così perché era sempre a leggere, studiare e smanettare con l'Ipad. Sapeva tutto (o diceva di saperlo) e aveva sempre le risposte pronte. Preferiva di gran lunga studiare che correre e sudare ma suo padre da giovane era stato uno sportivo di discreto livello e non si rassegnava all'idea che suo figlio non facesse sport. Non potendo puntare sul calcio e sul basket - i suoi sport preferiti - il padre di Genio aveva trovato nel baseball un gioco dove si tira, si batte, si corre ma si pensa anche molto. Il coach era suo amico da tempo, così si era lasciato convincere a farlo provare. Genio amava il baseball ma si era messo in testa che avrebbe aiutato di più la squadra diventando l'assistente del coach. Aveva, per così dire, una visione scientifica del gioco e lo interessavano moltissimo statistiche, probabilità, percentuali. Fin troppo per il povero coach, che spesso arrivava al campo già stanco e cercava di sopravvivere all'energia dei ragazzi fino a fine allenamento.


" BULLS è una parola inglese e significa ' tori ' " , sentenziò Genio illuminando l'assemblea dei piccoli giocatori. " E noi saremmo dei tori? " chiese perplesso Burghy, che di solito la carne di manzo la vedeva più volentieri in un succulento panino. " Cosa vi viene in mente se pensate ad un toro, come questo qui sul nostro simbolo? ", chiese Doc che fino a quel momento era stato un po' in disparte ma aveva seguito tutto il discorso. " I tori sono grossi e forti! Sono i " capi " nella fattoria! ", esclamò il Nonno, che era andato in gita con la scuola in campagna l'anno precedente. " A me sembrano sempre arrabbiati ", commentò Luna, che ancora non riusciva a vedersi nella figura di un toro. " Sono pronti a combattere, anche contro l'uomo! Quindi non hanno paura ", disse Scheggia. " Vedo che ci stiamo andando vicino. Forza, coraggio, grinta, determinazione, ma anche lealtà ed onestà: questi sono i valori che vogliamo far crescere nella nostra squadra, i BULLS ", disse il coach. " Che ve ne pare? " " Si! Bello! Abbiamo quindi una mascotte? ", chiese Lalla, a cui piacevano tanto i pupazzi e gli animali. " Beh, la troveremo. Cercatela anche voi, noi non ci abbiamo ancora pensato ", rispose il coach. " E ora a ciascuno la sua maglia. Le distribuiamo noi, così non litigate, ok? " I ragazzi erano emozionatissimi. Si misero in fila ma a fatica riuscivano a tenere i loro posti. " Calma, calma! ", disse Doc mentre guardava le taglie delle maglie e dei pantaloni grigi da consegnare ad ognuno. " Ecco fatto. E ora manca il tocco finale ". Tutti i componenti della squadra si sedettero di nuovo tenendo tra le mani la loro nuova divisa, impazienti di farla vedere alle mamme a casa. Guardavano il coach e aspettavano di capire cosa mancasse ancora da distribuire. Il coach aprì un sacchetto che era passato inosservato in un'altra borsa e tirò fuori una serie di cappellini neri con una grossa B in colore arancione al centro della fronte. " Ecco. Insieme al guantone, questa è la cosa più preziosa per un giocatore di baseball: il suo cappellino. Lo porterete sempre quando venite al campo e durante le partite, ok? " Tutti i ragazzi fecero di sì con la testa mentre allungavano la mano per avere il loro cappellino. Subito le loro testoline diventarono di un solo colore, come quelle del coach e di Doc che sostituirono i loro vecchi cappelli NY con i nuovi cappellini neri fiammanti. " Adesso sembriamo una vera squadra ", disse il coach. " Ma ricordate che dobbiamo dimostrarlo dentro e fuori dal campo. In una vera squadra tutti si aiutano e si rispettano sempre ".


" E ora dovete andare a casa, che è già tardi. Appuntamento sabato al campo alle h. 13. Fulmine, Cina, vengo io a prendervi. Andremo a giocare in un'altra città. Arrivate già pronti con la vostra divisa indosso, ok? A sabato ! "


2. Aspettando la partita

" Mamma! Sveglia! Devo prepararmi per la partita! " " Lalla, cosa c'è adesso? L'unico giorno che possiamo dormire ti svegli alle 7.00?! " Lalla era letteralmente saltata a cavalcioni sulla sua mamma che ancora dormiva nel lettone. " Lauretta! E' prestissimo! E la partita è questo pomeriggio! ", disse il papà di Lalla girandosi dall'altro lato del letto e chiudendosi le orecchie nel cuscino. " Sì, va bene, però... io devo prepararmi! Non possiamo fare tardi alla prima partita del campionato! ". Detto questo Lalla saltò giù dal lettone e tornò nella sua cameretta, un po' delusa che mamma e papà non capissero quanto era importante quella giornata. Cercò di convincersi di poter dormire ancora un po' ma prendere sonno era impossibile. L'emozione era troppo forte. " Dove giocherò? " , si chiedeva. " Sicuramente all'esterno ". Il coach l'aveva allenata spesso all'esterno. Diceva che i giocatori più importanti di una squadra di baseball sono gli esterni perché devono difendere il campo e prendere tutte le palline battute lunghe. " Se gli esterni dormono, perdiamo di sicuro! ", tuonava sempre quando facevano allenamento con i guantoni e lui batteva la palla per vedere se i ragazzi riuscivano a prenderla. Ma a Lalla sembrava di essere un po' dimenticata quando il coach le diceva di giocare all'esterno centro. E tante volte, quando giocavano delle partite per divertirsi tra di loro, non arrivava nemmeno una battuta laggiù. Per fortuna di solito alla sua sinistra - all'esterno destro il coach mandava la sua amica Luna, e così almeno si poteva parlare un po'. Chissà se oggi, con degli avversari veri, c'era qualcosa in più da fare. Comunque una cosa era sicura: Lalla non voleva mica far perdere la partita alla squadra. Perciò doveva essere pronta e non dormire. Non tutti i Bulls fremevano per l'agitazione da non riuscire a dormire. Giacomo, ad esempio, che tutti chiamavano Burghy per la sua passione per i panini del fast food del paese vicino, dormiva ancora sonni tranquilli quando alle 10.00 sua madre lo svegliò di soprassalto.


" Allora, pigrone! Vuoi scendere da quel letto? Devo pulire la tua stanza prima di mangiare. E poi lo sai che dobbiamo andare alla partita! ". Giacomo ci mise un attimo a finire il suo sogno di una grande festa a scuola con un buffet pieno di cose da mangiare meravigliose. Aprì gli occhi ancora frastornato e la prima cosa che vide fu la sua divisa nuova appoggiata sulla spalliera della sua poltrona. Subito sorrise, pensando che era un giorno speciale. Gli piacevano i colori dei Bulls - il nero e l'arancione della scritta - e gli piaceva anche il suo numero, 8. Aveva un che di simpatico, diciamo quasi che gli somigliava. Giacomo si alzò con voglia di giocare e, prima di tutto, di fare una abbondante colazione. Alle 12.30 il coach si presentò a casa di Aziz per dargli un passaggio fino al campo. Aziz era un ragazzo di colore di 11 anni, veniva dalla Costa d'Avorio. La sua famiglia - lui era il più grande di quattro fratelli - si era trasferita da poco in città e ancora non conosceva molte persone. I genitori di Aziz parlavano francese, ma il padre sapeva spiegarsi abbastanza bene in italiano perché erano già tre anni che lavorava in Italia. Aziz aveva conosciuto il baseball tre mesi prima, quando a scuola il coach era venuto a far giocare i bambini un paio di pomeriggi. Gli era piaciuto subito, questo gioco, specialmente quando doveva prendere la mazza di gomma e battere la palla. Ci riusciva quasi sempre al primo colpo e poi via come il vento a correre intorno alle basi. Il coach l'aveva chiamato Fulmine ( infatti non sapeva nemmeno il suo vero nome! ) ma quando tornava a scuola e incontrava la classe di Aziz era proprio contento di vederlo giocare. Un giorno il coach decise di aspettare e vedere se qualcuno della famiglia di Aziz veniva a prenderlo alla fine delle lezioni. Arrivò la mamma, che teneva per mano due fratellini e spingeva un terzo nella carrozzina. Il coach decise di presentarsi alla signora e cercò di recuperare il suo francese delle superiori per farsi capire. Non sembrò avere molto successo quel giorno, ma la signora sorrise e il coach sperò che Aziz facesse il resto. Il sabato successivo Aziz comparve sul campetto dell'oratorio dove si allenavano i ragazzi. Era accompagnato da suo padre. Il coach gli andò incontro e invitò ufficialmente Aziz a far parte della squadra. In un attimo il ragazzo si unì alla fila dei giocatori in battuta e mostrò subito la sua bravura come battitore , e ancora di più come corridore sulle basi! Un gran sorriso si stampò allo stesso momento sul viso del coach e del padre di Aziz. Era già un membro della squadra. E arrivò il grande giorno. Sabato. La prima partita del campionato. Anche Fulmine era pronto per la sua prima partita. Scese i gradini dell'ingresso di corsa e si mostrò al suo allenatore nella sua divisa nuova: sembrava proprio un vero giocatore di baseball! Aziz salì in macchina con il coach e insieme andarono a prendere anche Chan, il secondo ragazzo straniero del gruppo. I suoi genitori non potevano portarlo alla partita perché lavoravano tutto il giorno, e così il coach si era offerto di passare regolarmente da casa sua e di riaccompagnarlo a fine giornata.


Il coach arrivò con i ragazzi al punto di ritrovo della squadra, il parcheggio dietro il campo dell'oratorio. Da qui sarebbero partiti per le partite in trasferta, vale a dire tutte, visto che il campetto in cui si allenavano non andava bene per le partite vere. " Ciao! ", " Ciao! " , " Ciao! " dissero praticamente tutti insieme i piccoli Bulls. I ragazzi, scendendo dalle auto, si avvicinarono tutti al loro coach e si fermarono intorno a lui con i loro nasi sospesi, in attesa di istruzioni. " Avete voglia di giocare ragazzi? Ci siamo tutti? " " Sìììì! ", fu la pronta risposta dei giocatori in nero - arancio sventolando il cappellino. " Allora, tutti in macchina: si parte! "


3. La nuova mascotte

Verso le 14.30 l'allegra carovana dei Bulls arrivò al campo della loro prima squadra avversaria. Anche i genitori dei ragazzi erano visibilmente emozionati e avevano portato con sé la tipica attrezzatura dei tifosi del cuore: sedia pieghevole, ombrelli vari (con il passare delle settimane li avrebbero sostituiti con degli ombrelloni per ripararsi dal sole cocente), merenda per i bambini in quantità industriale. Ancora non si erano organizzati perché non si conoscevano bene ma di lì a poco avrebbero formato un plotone invincibile di sostenitori e individuato i loro " capi ultrà ". " Nervosi? ", chiese il padre di Andrea a Doc e al coach che erano alle prese con i borsoni del materiale da trasportare. " Beh, è innanzitutto una bella soddisfazione vedere la squadra prendere forma ", disse Doc, che aveva sempre un atteggiamento positivo. " Il campo ha sempre l'ultima parola ", sentenziò il coach, " e sicuramente oggi ci dirà quanto dobbiamo ancora lavorare ". E con un sorriso si voltò per contare ancora una volta i ragazzi. " Andiamo, Bulls! Ognuno prenda la sua borsa in spalla e ci segua. Presentiamoci compatti ai nostri avversari. Capiranno subito con chi hanno a che fare ". Un moto di orgoglio gonfiò il petto dei piccoli Bulls - e ancor più, forse, dei loro papà, che lasciate le borse che avevano già preso in mano, salutarono i figli con il fare di chi saluta l'eroe prima della battaglia. Leggermente in ritardo sul gruppo dei piccoli atleti che si preparavano al loro primo ingresso ufficiale in un campo da baseball era Lalla. Ma non era sola. "Uh, guarda! Che carino!! " esclamò Luna appena vide la sua amica.


Tutti si voltarono lasciando il coach senza truppa dietro di sé. L'attenzione di tutto il gruppo si era irrimediabilmente spostata verso il nuovo componente. " E questo chi è? ", chiese il coach con uno sguardo che esprimeva perplessità e disappunto insieme. Lalla moriva dalla voglia di spiegarglielo. " Questa è la nostra nuova mascotte. Ti presento Isotta ", rispose fiera la ragazzina. Doc e il coach si guardarono con aria sbalordita, cercando le parole per poter rispondere. " Ma ... quando parlavo di mascotte, non pensavo certo ad una…. viva! " " Ma Isotta è perfetta! Vedessi come è brava a prendere la palla! Io e lei giochiamo sempre in giardino! E poi guarda, ha la nostra maglietta! La nonna ci ha lavorato due giorni ed è riuscita a farne una proprio uguale alla nostra divisa! Possiamo tenerla con noi? Isotta non abbaia mai! " I ragazzi intanto si erano avvicinati al cagnolone che guardava tutta quella gente intorno con occhi languidi. Sembrava capisse anche lui ( lei, pardon! ) di essere in attesa di un verdetto. Avrebbe potuto far parte della squadra? Il coach, che conosceva bene il regolamento, doveva ora risolvere un bel problema e cercare di non deludere i ragazzi i quali sembravano aver già familiarizzato con il grazioso basset hound dal pelo chiaro che aveva polarizzato l'attenzione di tutti. " Direi che dobbiamo innanzitutto prendere una decisione di squadra. Chi è favorevole ad adottare Isotta come mascotte ufficiale della squadra alzi la mano ". In un istante tutte le mani si alzarono entusiaste. Una votazione unanime. " Ok, non ci sono contrari. Quindi Isotta diventa parte del gruppo ". " Sìììììììì !!!! " " MA... ". E con questo ' ma ' il coach bloccò sul nascere l'entusiasmo dei ragazzi che si erano precipitati a fare le coccole all'ignaro cagnolone. " Ripeto, MA, il regolamento parla chiaro. I cani in campo non sono ammessi. Pertanto dovremo sempre chiedere all'arbitro se sarà d'accordo e se ci dirà di no, dovremo accettare la sua decisione senza proteste di nessun tipo, sono stato chiaro? " . I ragazzi fecero di sì con la testa, vedendo lo sguardo serio del loro allenatore. " Lalla, Isotta può stare con qualcun altro se tu devi giocare e lei non può stare in panchina? " Lalla si girò con occhi supplichevoli e incontrò il sorriso della sua mamma che fece un cenno di assenso al coach. " D'accordo. E' deciso, allora. Vediamo se adesso riusciamo a giocare ". Ripresero armi e bagagli e con passo allegro entrarono finalmente nel campo sportivo. Il tempo del pre-partita passò rapidamente. Doc e il coach organizzarono un breve riscaldamento con un po' di corsa e qualche esercizio, poi dei passaggi della palla e un po' di allenamento in battuta.


La partita iniziò in orario. Gli avversari giocavano da più tempo e per loro non fu difficile battere i lanci di Andrea e fare i punti. Ma anche i Bulls riuscirono a segnare due volte e fu una grande festa. All'inizio giocare a baseball può non essere facilissimo: bisogna imparare a usare il guantone, tirare e battere la palla. Ma con l'esercizio si migliora continuamente e i risultati arrivano di sicuro. " Forza Burghy, mettici un po' più di energia in quel giro della mazza, ok? " , disse il coach a Giacomo che per tutta la partita non aveva battuto una palla. Era l'ultimo turno di battuta. " Cos'hai? Non stai bene? " " No, niente... E' che... quelli tirano forte! " , esclamò Burghy con aria desolata, quasi pronto ad arrendersi. " Ah, è questo il problema! ", disse il coach abbozzando una smorfia. " Ricorda che ' forte ' non sempre vuol dire ' preciso '. Sono sicuro che le palle che tira quel lanciatore non sono tutte buone. Se lasci i ball - cioè le palle alte e quelle lontano dal piatto - dovrà tirare strike, altrimenti con quattro ball ti manderà in base ". Gli occhi di Giacomo si illuminarono. Prese la mazza e si avviò a casa base per il suo turno in battuta con un passo più deciso. Si sistemò nel box - il rettangolo a sinistra e a destra del piatto di casa base dove può stare il battitore - e cercò di guardare la palla tirata dal lanciatore avversario. Era un ragazzino dai capelli rossi, pieno di lentiggini che gli ricordava un compagno di scuola particolarmente antipatico. Eccolo scagliare la prima palla, veloce ma alta agli occhi di Giacomo. Ball. Giacomo si girò verso il coach con un sorriso sornione. Aveva guardato la palla e l'aveva lasciata passare perché era alta. Il coach batteva le mani, incitandolo a stare concentrato. La seconda palla fece un rimbalzo sul piatto di casa base. Un altro ball. Burghy abbassò le mani, rilassandosi un po'. Il coach continuava ad agitarsi e a dirgli di restare pronto ma questo lanciatore non sembrava davvero più un problema. Aveva capito come fare: bastava lasciar passare la palla! Ancora due lanci e sarebbe arrivato in prima base. Mentre il pensiero di Burghy volava verso il momento in cui avrebbe fatto punto e tutti si sarebbero congratulati con lui, sentì l'arbitro chiamare STRIKE! Una palla era passata in mezzo al piatto di casa base. Pensò che si fosse trattato di un caso, ma la cosa lo innervosiva un po'. Cercò di sistemarsi bene nel box mentre sentiva ancora la voce e l'agitazione del coach dietro le sue spalle. Il lancio successivo era un po' alto....ma forse non così alto, forse si poteva battere.... magari era un altro ball, e... se fosse stato uno strike? Alla fine Giacomo girò la mazza per battere la palla ma riuscì solo a sfiorarla e a mandarla fuori dalle linee che delimitano il campo. FOUL BALL!


Cioè un altro strike. Ora aveva 2 strike e 2 ball. Il nervosismo aumentava. Adesso doveva battere per forza, al terzo strike sarebbe stato eliminato! Ci teneva tanto a far vedere ai suoi genitori quanto era bravo! E i suoi compagni, cosa avrebbero detto? La sua testa era piena di pensieri, e ora sentiva le voci di tutti fuori che urlavano il suo nome e gli davano consigli... e poi c'erano anche i genitori dell'altra squadra, che sostenevano l'antipatico lanciatore dai capelli rossi pieno di lentiggini! Giacomo cercò di prepararsi al lancio ma quando la palla arrivò non riuscì nemmeno a vederla. Girò con una tal furia che il suo giro era finito prima che la palla arrivasse nel guanto del ricevitore. " Strike 3. Out! ", sentenziò impietoso l'arbitro. La partita era finita. " Forza ragazzi, salutiamo gli avversari! ", disse il coach indicando la terza base perché entrassero per il saluto. " Dai, Burghy, non te la prendere! Ci rifacciamo alla prossima, non preoccuparti! "


4. Un litigio in squadra

" Finalmente andiamo al campo! ", esclamò Andrea chiudendo in fretta e furia il libro di storia. Erano le 16.45, ora di andare all'allenamento. Dopo due giorni di pioggia non vedeva l'ora di correre un po' e tirare qualche palla con i suoi amici. " Sono pronto, mamma! ". Prese la borsa nera che lo aspettava a lato della scrivania in cameretta, afferrò al volo una merendina dal portapane sul tavolo della cucina e si precipitò alla porta mettendo fretta alla mamma. " Ti sei ricordato di prendere il guanto e le scarpe da campo? ", chiese la mamma iniziando la solita serie di domande prima di uscire di casa. " Sì, sì, ho tutto! Ma adesso andiamo! " Saltò in macchina in un lampo e in meno di dieci minuti arrivarono al campetto dell'oratorio dove si sarebbe svolto l'allenamento dei Bulls. Il coach era già arrivato e aspettava i ragazzi mentre sistemava le basi per costruire il campo. " Ciao, Andrea! " " Ciao, coach! " " Buongiorno, signora " " Buongiorno. A che ora finite oggi? " " Alle sette ". " Ok, allora ci vediamo più tardi. Mi raccomando, Andrea! " A dire il vero l'allenamento finiva sempre alle 19 ma la domanda della mamma di Andrea arrivava puntualmente, come per una buona abitudine. Il coach sorrise tra sé e continuò a contare i passi per disporre la terza base.


Uno dopo l'altro arrivarono tutti i componenti della squadra con il loro allegro chiacchiericcio. Erano le 17, ora di inizio degli allenamenti. " Ok ragazzi, ci siamo tutti e siamo in orario. Questo è già un buon inizio. Prima di tutto facciamo, come sempre, un po' di riscaldamento ". " Oh no! " , implorò Burghy che non amava molto correre. " Eh, sì, quello ci vuole sempre. Però per ora fatemi solo un giro di corsa disposti bene in fila. Poi faremo un gioco, e credo lo troverete più divertente ": Pensando al gioco i ragazzi si allungarono in una fila indiana e cominciarono a correre. Quel pomeriggio c'era un insolito numero di persone intorno al campetto di allenamento dei ragazzi, probabilmente per via di un incontro in oratorio. Su una panchina erano sedute tre ragazzine, una di queste, con i capelli biondi e gli occhi chiari, era una compagna di classe di Andrea e Matteo. Era arrivata solo quest'anno e subito era stata notata da tutti. Andrea e Matteo andavano a scuola insieme sin dal primo anno di asilo e si raccontavano sempre tutto. Avevano iniziato insieme a giocare a baseball e formavano una coppia imbattibile come lanciatore e ricevitore. Subito si erano scambiati dei commenti su questa nuova compagna che tutti e due trovavano decisamente carina. Il serpentone dei piccoli Bulls alle prese con il loro unico ma pur sempre faticoso giro di corsa stava proprio per passare davanti alla panchina delle tre ragazzine che, peraltro, sembravano essere davvero poco interessate a quanto succedeva nel campetto e ridendo parlottavano allegramente per i fatti loro. " Ciao, Clarissa! " gridò Andrea nel cercare di attirare l'attenzione della compagna, rallentando un po' il passo della corsa. Essendosi distratto andò però a schiacciare i piedi di Matteo, che correva immediatamente dietro di lui e che reagì malamente, sentendo che stava facendo proprio la figura dell'imbranato davanti alle ragazze. Matteo diede un urlo e uno spintone in avanti ad Andrea per avere di nuovo spazio per correre. Le tre spettatrici ora avevano qualcosa di interessante da guardare. " Ma vedi dove corri, o no? ", gridò il Nonno con l'aria del capo che deve mettere ordine nel gruppo. " E tu, sei capace di stare in piedi? Ma guardati, sembri una foca! " e con la coda dell'occhio si girò a guardare la ragazzina che sembrava divertita alla sua battuta. Matteo si sentì montare una rabbia mai provata prima, ma per non peggiorare la situazione anche davanti agli altri compagni accelerò semplicemente la corsa e raggiunse il coach a casa base. L'allenatore aveva intuito che qualcosa era successo tra i due ma aveva deciso di aspettare un attimo e osservare l'evolversi della situazione. In fondo è questo il compito dell'allenatore, guidare i ragazzi facendo loro prendere la responsabilità dei loro comportamenti. Avrebbe tenuto gli occhi aperti e, se necessario, sarebbe intervenuto.


" Eccovi qui. Bene. E ora il gioco di cui parlavo all'inizio. Dovete lavorare a coppie. Scegliete un compagno, direi uno più o meno con le vostre caratteristiche ". Lalla e Luna si trovarono immediatamente, e così Chen e Aziz che non avevano bisogno di tante parole. Chicco, il più piccolo, scelse Genio, che era sì più grande di lui ma non era troppo forte. Il coach osservava gli ultimi abbinamenti. Normalmente Andrea e Matteo si sarebbero presentati subito insieme, oggi però non era così. Matteo prese Burghy di sorpresa e lo trascinò davanti al coach. " Ok, sembra che ci siamo. Faremo una corsa ad inseguimento sulle basi. Partirete da casa base, uno davanti all'altro. Il compagno davanti darà il via alla corsa con un colpo della mano sulla mano di quello dietro. Vince chi arriva per primo al piatto. Attenzione però: dovete toccare le basi mentre correte ". I ragazzi si disposero a lato della linea di foul di terza aspettando il loro turno. Il coach chiamò le coppie una per una, iniziando da Chen e Aziz che diedero vita ad una bella gara tra gli incitamenti dei compagni. Quando arrivò il turno di Matteo e Burghy la gara non ebbe storia e Matteo arrivò al traguardo molto prima del compagno. Anche Andrea, che gareggiava con Mattia, non sembrava divertirsi molto, sebbene non fosse così semplice battere Scheggia su uno sprint. Ad un certo punto Matteo si girò verso il coach e con aria di sfida disse: " Così non funziona! La gara deve essere una gara vera! Dobbiamo capire chi è davvero il migliore. " Si girò verso Andrea e gli fece un cenno della mano, sfidandolo a raggiungerlo a casa base. " Ora ti faccio vedere io, sbruffone! ", disse Matteo, che si posizionò in posizione di inseguitore, convinto di poter dimostrare la sua superiorità. " Non c'è problema, non ho certo paura di te ", rispose deciso ma insieme anche un po' preoccupato Andrea. Non aveva mai visto il suo amico parlargli così. La cosa si faceva seria. I compagni guardavano i due con aria sorpresa. Era davvero una situazione nuova. Come sarebbe finita? Lalla e Luna avevano capito di chi era la colpa, però, e tramavano già come far passare a Clarissa la voglia di fare la guastafeste con i loro amici. Il coach acconsentì a questa sfida fuori programma. " Ok, vi lascerò correre uno contro l'altro. Ma mi raccomando, niente colpi bassi, ok? Gareggiate lealmente ". I due ragazzi si posizionarono a casa base. Andrea doveva dare il segnale di inizio. Era teso ma anche deciso a mettere fine a questa storia dimostrando di essere il migliore. Cercò di trovare tutte le sue energie in quell'attimo importante prima del VIA. Era pronto. VIA! Batté con energia la sua mano su quella del Nonno e scattò in direzione della prima base. Il Nonno reagì bene e fece un buon primo passo all'inseguimento di Andrea. Macinavano passi insieme, quasi allo stesso tempo, uno davanti e uno dietro e girarono la prima base in rapida successione. A metà tra la prima e la seconda base Matteo sembrava avvicinarsi e farsi più pericoloso. Cercò di affiancare Andrea preparando il sorpasso che avrebbe completato tra la seconda e la terza.


Sentiva di avere in pugno la gara perché la sua tattica era sicuramente vincente e perché lui era senza dubbio il più forte. Ne era convinto. Andrea cercava di resistergli ma sentiva l'avversario avvicinarsi pericolosamente. Non era più così sicuro che lo avrebbe battuto ma non poteva certo cedere. La posta in gioco era altissima. Tutti guardavano, anche LEI, e quello era il momento della verità. Matteo sentì che era arrivato il punto in cui superare l'avversario e lanciarsi verso la gloria dei vincitori. Aprì la corsa ulteriormente verso l'esterno per poterlo passare ma si trovò la base tra i piedi. Si sa che la base va toccata sull'angolo interno per non scivolare ma Matteo ora era nella posizione sbagliata, distante dal punto di leva del piede sul sacchetto. Il suo piede infatti scivolò sulla base facendolo ruzzolare. Disastro! Era a terra. Da tutti i ragazzi si alzò un OHHH, mentre Andrea continuava la sua corsa tra la seconda e la terza base. Era solo, avrebbe trionfato e concluso da vincitore. Ma subito pensò che il suo amico forse si era fatto male e si girò per vedere dov'era. Matteo era ancora a terra dolorante e si teneva la caviglia. Forse era rotta? Non poteva pensare di vincere così, che vittoria sarebbe stata? Si fermò e invertì la corsa per andare a vedere come stava il suo amico. Tutti i compagni lo raggiunsero con l'allenatore. " Ehi, che hai fatto? " " La caviglia... ahiahiahi!!! " " Accidenti, ti avevo preso... " " Prima cosa, non mi avevi ancora preso... secondo, ma chi se ne importa? E pensare che stavamo litigando per una stupidaggine! " " Per una stupidina, vorrai dire ", puntualizzò Lalla. Tutti i compagni risero sollevati. La bufera era passata. Andrea e Matteo erano di nuovo amici.


5. Tutti per una!

Giovedì mattina verso le 7.30 suonò improvvisamente il telefono a casa di Doc. Si stava preparando per andare al lavoro, aveva il caffè bollente in mano e cercava come sempre le chiavi dell'auto, quando, appunto, ci si mise anche il telefono a fargli perdere ancora più tempo. " Pronto?! ", rispose un po' sorpreso che qualcuno lo chiamasse a quell'ora. Chi poteva mai essere? " Sì, ... buongiorno, sono Aurora ", rispose una voce roca dall'altra parte del telefono. " Mi scusi, volevo avvisare di una cosa ". " Buongiorno, signora Aurora! Mi dica, c'è qualche problema? " " Volevo dirle che sabato non posso preparare la torta per la partita dei bambini perché... sono a letto, mi sono fatta male. " " O santo cielo, mi dispiace tanto! Cosa è successo? " " Sono scivolata in bagno e sono caduta. Mi sono rotta un piede, per fortuna il femore è a posto, ma non posso stare in piedi, e quindi nemmeno cucinare! " " Ma la torta è sicuramente il problema minore! Non si preoccupi. Senta, facciamo così, ora devo correre al lavoro ma a mezzogiorno, quando abbiamo la pausa, vengo un salto a trovarla, ok? Così mi racconta tutto. " " Ah, va bene. La porta è sempre aperta, entri pure. Grazie, a dopo, allora ". Doc chiuse il telefono e pensò alla signora Aurora con affetto. " Ma guarda, è bloccata a letto con un piede rotto e pensa alla torta per i ragazzi di sabato! Che persona incredibile! "


Uscì di casa cercando di ricordare quando aveva conosciuto la signora Aurora per la prima volta. Era stato lo scorso anno nel mese di maggio. Ricordava infatti che era comparsa al campetto accompagnando un ragazzino nuovo, Simone, che voleva provare a giocare a baseball. Aveva subito colpito tutti con il suo sorriso dolce e i suoi modi di fare affabili, quelli di una nonna perfetta. E ai ragazzi della squadra era risultata subito simpatica. Per qualche settimana era venuta al campo con il nipotino regolarmente. Lo salutava con un bacione e lo lasciava andare a raggiungere i compagni sul campetto di allenamento. Poi salutava gli allenatori e tornava alle sue faccende. Ma dopo tornava sempre, si sedeva sulla panchina a bordo del campo e guardava i bambini giocare. E' probabile che non capisse bene cosa facevano o come funzionava il gioco del baseball ma questo non era importante. Lì, non lontano da loro e dai loro sorrisi, dalle grida e dalle loro corse, sembrava felice e in fondo era questo che contava. Un giorno però arrivò al campo da sola. Si avvicinò all'allenatore e spiegò che Simone non sarebbe più venuto perché era dovuto partire con i genitori. Si erano trasferiti per il lavoro del padre che ora era in un'altra città. Il coach si dichiarò dispiaciuto ma non poteva pensare di non vedere più al campo la signora Aurora. Non disse nulla sul momento, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato un addio. Infatti la signora Aurora tornò regolarmente al campo a vedere gli allenamenti. Passava in momenti diversi, a volte all'inizio, a volte un salto a metà oppure poco prima che finissero e spesso portava con sé qualcosa per i bambini che aveva preparato con le sue mani, dei biscotti o una torta, sempre cose buonissime che i ragazzi (e i coach) apprezzavano molto. Quando la stagione iniziò, la signora Aurora cominciò una tradizione particolarmente gradita a tutti i componenti della squadra. Non poteva finire una giornata di partite senza la squisita torta della signora Aurora. Era particolarmente orgogliosa di questa abitudine che la faceva sentire parte del gruppo e le dava l'impressione di potersi prendere cura ancora del suo piccolo Simone che le mancava tanto. Alle 12.20 Doc bussò alla porta della casa della signora Aurora. Non aveva moltissimo tempo ma le aveva promesso di farle visita, così era uscito rapidamente dall'ufficio e ora voleva cercare di capire se la signora avesse bisogno di qualche cosa in particolare. Viveva da sola e sicuramente avere un piede rotto non era una cosa semplice da gestire per una donna anziana. " Permesso? ", chiese Doc a voce alta aprendo la porta. " Venga, venga pure ", disse una vocina dalla direzione del divano in soggiorno. " Buongiorno, signora! Ma cosa mi combina? Come sta? ", salutò Doc avvicinandosi e mostrandole un affettuoso sorriso. " Oh, mamma mia! C'è che sono imbranata, ecco! Ho combinato un bel pasticcio! " " Poteva anche andare peggio. Dobbiamo cercare di vedere il lato positivo delle cose! " " Sì, sì, ha ragione. Ma il problema adesso è che non vogliono che resti qui da sola. Dicono che non posso farcela ". " Chi lo dice esattamente? " " I miei figli, che vivono tutti e due lontano da qui con le loro famiglie. Stanno pensando di portarmi da qualche parte finché non guarisce il mio piede. Ma io non voglio! "


" Capisco il suo punto di vista, signora, ma anche le loro ragioni non sono poi così assurde ". " Sì, sì, posso capirlo anche io, però... Le mie cose sono qui, la mia casa, le persone che conosco vivono in questo quartiere, i bambini... Non voglio andare dove non conosco nessuno! In fondo io sto bene, è solo il piede che mi blocca. Se solo potessi restare qui... " " Quanto tempo dovrà tenere il gesso? Cosa dicono i medici? " " Hanno parlato di tre settimane. E poi mi faranno fare della ginnastica per tornare a camminare ". " Tre settimane... Mi lasci pensare un po'. Ci risentiamo entro stasera, ok? Voglio parlare con un paio di persone prima. Passo a trovarla verso le 19. Ha mangiato oggi? " " Sì... qualcosa... mi hanno portato qualcosa delle vicine ". " Mi raccomando, tenga il mio numero di telefono a portata di mano. Le scrivo anche su questo foglio il mio numero di cellulare. Per qualsiasi cosa mi chiami, d'accordo? " " Lei è molto gentile, grazie. " " E ora cerchi di stare tranquilla e di riposare. Troveremo una soluzione. A dopo. " " A dopo ". Doc uscì in volata dalla casa della signora Aurora. Come sempre doveva correre per rientrare al lavoro ma aveva cominciato a rimuginare sulle parole dell'anziana. Non si poteva lasciarla da sola. In fondo lei era un membro della squadra, a cosa serve una squadra se non per aiutarsi nel bisogno? Era il momento per tutti di fare la propria parte. Nel pomeriggio Doc fece un paio di telefonate. Prima di tutto chiamò il coach e gli spiegò la situazione. Insieme decisero che alcune famiglie, in particolare le madri di Matteo e di Riccardo, sarebbero state le persone più adatte per organizzare un po' di supporto alla signora Aurora. Si diedero tutti appuntamento alle 19 a casa della donna. " Si può? ", chiese Doc facendosi sentire dalla signora Aurora. " Entri, entri pure ". " Ho portato un paio di persone con me, spero non le dispiaccia ". " Oh, ma è tutto in disordine, e non posso alzarmi a salutarvi o ad offrirvi nulla, scusate ". " Ma si figuri! Buonasera, signora Aurora, io sono Daniela, la madre di Matteo ". " E io sono Gisella, la madre di Riccardo ". " Buonasera, piacere di conoscervi ". " Signora Aurora, il coach e io abbiamo valutato la situazione e abbiamo deciso, se lei è d'accordo, di coinvolgere queste due mamme per cercare di darle un aiuto in queste tre settimane in cui sarà costretta a non muoversi per il suo piede rotto. Daniela è infermiera professionale e lavora su turni. Gisella è a casa dal lavoro in questi mesi e sarebbe felice di darle una mano ".


La signora Aurora guardava Doc e le mamme presenti con grande stupore. " Potremmo organizzarci per passare al mattino, a mezzogiorno e alla sera per vedere come sta, aiutarla a lavarsi e cambiarsi e preparare da mangiare. Che ne dice ? " " Io non so che dire... ma sarà un bel disturbo per voi! Avete le vostre famiglie, i bambini... " " Non si preoccupi. Riusciremo a far tutto. E magari non saremo da sole... Quando una comunità si muove, succedono tante cose... ", disse Daniela con un sorriso rassicurante che scaldò il cuore della signora Aurora. " Allora... possiamo provare. Ma se non ci riusciremo per qualche motivo, non importa. E' già molto bello che abbiate pensato a me e che vogliate fare questo per una povera vecchia! " " Bene, allora cominciamo subito ". Le due mamme si attivarono per alzare in piedi la signora Aurora e sostenerla fino al bagno, dove iniziarono ad aiutarla e a spiegarle come avrebbero fatto nei giorni successivi. Doc guardò il coach con l'aria di chi sa di aver fatto una cosa giusta. Si intesero subito: mancava un tassello importante. Il giorno dopo avrebbero parlato alla squadra. Venerdì agli allenamenti tutti i ragazzi erano presenti. Probabilmente Matteo aveva già informato la maggior parte dei ragazzi, quindi non c'era motivo di aspettare oltre per parlare di quanto era accaduto alla signora Aurora. Il coach radunò i ragazzi nell'angolo del campo destinato alle riunioni di squadra e parlò loro prima di iniziare l'allenamento. " Credo che la maggior parte di voi sappia già che la signora Aurora è caduta e si è rotta un piede. Per questo non la vedremo al campo per un po' ". " Oh no!, niente torte?? ", esclamò Burghy inorridito. Tutti lo guardarono subito con aria di rimprovero. " Eh sì, per la torta dovremo aspettare un po'. Ma chiaramente ci dispiace molto per la signora, che deve restare bloccata in casa per tre settimane con il piede ingessato. Stiamo cercando di aiutarla, altrimenti non potrà restare nella sua casa e dovrà essere portata in un ospedale o qualcosa di simile. Secondo noi una squadra è sempre capace di aiutarsi e di trovare una soluzione ai problemi. Voi che ne dite? Perché la signora Aurora è parte della nostra squadra, vero? " " Ma certo! Viene sempre agli allenamenti! ", disse Lalla. " E poi ci porta sempre qualcosa di buono! ", esclamò Andrea. " E' come una nonna! E' la nonna dei BULLS! ", disse Scheggia. Tutti i ragazzi erano d'accordo. La nonna non sarebbe rimasta sola. Il coach, contento della reazione dei ragazzi, riprese la parola. " Cosa potreste fare voi ragazzi per la signora Aurora? Ci sono cose che possono fare i grandi e cose che potete fare anche voi. Cosa vi viene in mente? "


" Potremmo portarle qualcosa di cui ha bisogno ", disse Luna. " Oppure guardare insieme la TV ", disse Matteo. " Magari raccontarle quello che studiamo a scuola ", aggiunse Samuele, per cui lo studio era sempre la cosa più interessante. " Bene, direi che avete capito. Ognuno di voi può rendersi utile, anche solo per fare compagnia alla signora Aurora. Naturalmente parliamo del pomeriggio, al mattino avete la scuola " " Ah, ma io posso anche andare da lei al mattino ", interruppe Burghy provocando una risata collettiva. " Sono sicuro che saresti così generoso da sacrificare il tuo tempo della scuola al mattino, Giacomo. Ma basterà qualche pomeriggio. Faremo delle squadre di tre persone e inventeremo una rotazione così ci sarà sempre qualcuno con la signora per qualche ora al giorno. Che ne dite? " " Ok! " "A fine allenamento arriverà Daniela, la mamma di Matteo, e con lei prepareremo bene i turni. Bravi ragazzi, siamo fieri di voi. Questo è lo spirito di una vera squadra! E ora... partiamo con il riscaldamento! "


6. Possiamo giocare?

I bei giorni di primavera erano finalmente arrivati. I primi raggi di sole invogliavano tutti a lasciare le stanze piene di giochi elettronici e ad andare al campo a tirare due palline con gli amici della squadra. Era bello vedere animarsi l'oratorio anche con gente che veniva semplicemente a fare due passi e a salutare qualcuno. Ogni tanto arrivava anche qualche bambino incuriosito dal movimento e dai rumori che venivano dall'angolo di campo riservato per gli allenamenti dei Bulls. Faceva capolino all'improvviso, guardando dalla bicicletta con aria a metà tra il perplesso e il furtivo, quasi volesse portare via un segreto. Il coach si accorgeva sempre di questi nuovi ospiti e cercava di trovare il momento per salutarli, per invitarli a giocare o anche solo per conoscerli. Quel pomeriggio arrivò al campetto un gruppetto di quattro ragazzini dall'aria impertinente. Erano vestiti con maglie colorate, jeans e cappellini da baseball portati in tutte le maniere tranne che in quella giusta. Il coach notò subito la loro presenza. Stava sistemando il materiale e costruendo il campo, come faceva sempre prima di iniziare l'allenamento. Arrivò Doc tutto di corsa, era sempre di corsa perché arrivava direttamente dal lavoro. " Ciao! " " Ciao, come va? ", chiese il coach. " Bene, dai. A parte le corse che mi tocca sempre fare! Il traffico è sempre peggio a quest'ora! " " Eh, già… ", rispose il coach come avvolto nei suoi pensieri. I suoi occhi seguivano i movimenti dei ragazzi fuori dalla rete. " E questi chi sono? Belle facce... ", commentò Doc.


" Non so, sono arrivati qui oggi, ma non si fermano di sicuro ". " Sembrano proprio dei bei tipi. Questi portano guai, te lo dico io! " " I ragazzi sono ragazzi. Sicuramente con alcuni è più difficile che con altri. Ma aspettiamo di capire che intenzioni hanno ". Intanto i membri della squadra dei Bulls erano arrivati al campo. C'erano quasi tutti, e il coach, contandoli, chiese notizie degli assenti. " Manca Scheggia, come mai? Viene sempre agli allenamenti ". " E' ammalato! “ , disse Lalla, che era in classe con lui e sapeva sempre tutto. " Sì, oggi mi ha chiamato la sua mamma e mi ha avvisato, ha detto di dirti che ha le placche in gola e dovrà stare a letto finché non sarà guarito ". " Ah, ok. E Burghy? " " E' dal dentista! Dovrebbe arrivare più tardi ", disse il Nonno.

" Ah già, è vero! La mamma aveva avvisato la settimana scorsa. Bene, se tutti hanno avvisato e gli altri sono presenti, vuol dire che possiamo cominciare! " " Cosa facciamo oggi? ", chiese Luna con aria un po' annoiata. Era sempre così all'inizio dell'allenamento, ma poi quando si cominciava a giocare iniziava a divertirsi sul serio. " Giocheremo sicuramente, non preoccuparti. Ma come sapete, prima dobbiamo scaldarci e fare anche qualche esercizio per imparare cose nuove. L'argomento di oggi è la presa della palla al volo. " " Io lo so fare ", disse il piccolo Ricky, che sapeva sempre fare tutto. " Ne sono sicuro, " rispose il coach," ma dobbiamo allenarci bene tutti quanti. Prendere una palla al volo nel gioco del baseball è estremamente importante. Qualcuno di voi sa dirmi perché? " Subito si alzarono un sacco di mani per chiedere di poter rispondere. Il coach incontrò gli occhi di Aziz che avevano seguito il discorso e sembravano chiedere la parola. " Aziz, prendere una palla al volo è importante perché ... " e intanto con le mani l'allenatore faceva il gesto di prendere la palla sopra la testa. " Al volo ...OUT! " " Esatto!, bravo Aziz! Una presa al volo è sempre un out, un eliminato. E quindi è importantissimo saperla fare ", disse il coach dando una pacca sulla spalla ad Aziz. " Attenzione però a capire bene questa regola. Innanzitutto cosa è una palla al volo? " " Una palla che non cade ", rispose Genio senza esitazioni. I quiz erano la sua passione e aveva sempre la risposta pronta.


" Ancora una volta esatto. La palla non deve toccare terra per essere ' presa al volo ', quindi voi capite che può essere anche qui, a 10 centimetri da terra, qui, davanti al mio naso oppure qui, sopra la testa, giusto? " " Giusto! " , risposero in coro i ragazzi. " Benissimo. Ed ora una seconda cosa molto importante. La presa al volo di una palla battuta vale sempre, in qualsiasi momento e in qualsiasi parte del campo. Questo vuol dire che... " " Che se battono fuori dal campo ma la prendiamo sono eliminati lo stesso! ", disse Andrea, che faceva il lanciatore e cercava sempre il modo più veloce per eliminare i battitori. " Corretto. Questo è davvero importantissimo. Quindi, quando una palla può essere presa al volo bisogna provare a farlo a tutti i costi. Dovete correre decisi, senza paura. Questa è un'azione spettacolare, che può cambiare il corso di una intera partita ". I ragazzi ascoltavano il coach e davanti ai loro occhi si apriva la scena di tante partite, tutte uguali e sempre diverse, con tante palle battute, alcune facili, alcune difficili. Che bello sarebbe stato avere un mantello da supereroe e prenderle tutte... " Ci insegnerai a prenderle tutte? ", chiese Lalla sgranando gli occhioni blu. " Sicuramente miglioreremo, se lavoriamo, se ci alleniamo bene, se diventiamo più veloci, ne prenderemo molte di più di quello che sappiamo fare oggi. Bene, è ora di muoversi. Doc, a te il riscaldamento e poi iniziamo a lavorare ". I ragazzi partirono a correre come di abitudine con Doc alla testa del gruppo. Il coach cercava, però, con la coda dell'occhio i ragazzi sulle biciclette, che intanto si erano spostati verso l'angolo opposto del campo dove qualcuno dava dei calci ad un pallone. Chissà, pensava, sicuramente non sarebbe stato facile avvicinarli. Eppure l'allenatore sapeva che i ragazzi bisogna conoscerli, e che in ognuno di loro c'è il bisogno di giocare e di stare insieme. Sarebbe stato lì, pronto ad incontrarli, se loro si fossero avvicinati ancora. Passò qualche allenamento. La squadra continuava a lavorare, le partite andavano più o meno bene, l'importante era giocare e migliorare ogni giorno. Quel mercoledì i ragazzi erano un po' pochi all'allenamento. Una nuova febbre primaverile aveva decimato le classi a scuola e di conseguenza anche la squadra al pomeriggio. Era difficile parlare di cose nuove per il coach. Con tanti assenti avrebbe dovuto rifare tutto da capo un'altra volta. Forse era meglio provare a giocare. Ma con così pochi giocatori come poteva fare? Mentre stava studiando la situazione, arrivarono di colpo i quattro ragazzi delle biciclette. Con aria sempre impertinente si avvicinarono alla rete e chiesero bruscamente: " Possiamo giocare? " " Certo ", rispose il coach senza esitare. Doc lo guardò con aria interrogativa. " Conoscete le regole? " " Sì, insomma, ma non è mica così difficile. Vi abbiamo guardato. Sicuramente sappiamo fare meglio di queste schiappe ".


Doc era già pronto a scattare e a mandarli via. Il coach avvertì la sua agitazione e lo tenne per un braccio. " Questo da noi non è il modo di parlare. Comunque, se ti credi tanto bravo, entra pure. Abbiamo bisogno di giocatori in più oggi ". " Come vi chiamate? " " Ci chiamiamo come ci chiamiamo. Per voi siamo Rambo, Batman, Hulk e Flash ". " E il capo dei supereroi chi è? ", disse il coach stando al gioco. " Flash ". " Bene, Flash. Visto che siete dei supereroi formerete una squadra invincibile. Voi quattro siete una squadra. Noi siamo l'altra. Si gioca ". " Ok, dateci una mazza e vi facciamo vedere noi ". " Ricordatevi che battiamo alternativamente. Iniziate pure voi, non c'è problema. Al momento in cui farete massimo quattro punti oppure avremo tre eliminati, voi andrete in campo e i Bulls andranno in attacco ". " I Bulls, e chi sono i Bulls ?" " Siamo noi, stupido! " , saltò fuori Andrea che voleva già fargli capire come stavano le cose. " Basta, basta così. Non è con le parole, tantomeno con gli insulti, che si dimostrano le cose. Vediamo di iniziare a giocare ". Il coach si posizionò in mezzo al campo come lanciatore per entrambe le squadre e dispose i sei giocatori presenti nelle posizioni del campo interno. Matteo si vestì da ricevitore e si mise in posizione dietro il piatto di casa base. Il primo battitore era naturalmente Flash. Si presentò con il cappellino girato dietro, pronto a sventolare più forte che poteva e a dimostrare la sua abilità in battuta. Dopo i primi due lanci non presi il ragazzo batté la palla che raggiunse l'esterno centro. Velocemente si portò in seconda base e si fermò lì perché la palla era già stata recuperata. Era davvero veloce, niente male. " Forza Hulk, tocca a te! Facciamo vedere a 'sti signorini che questo è un gioco per femminucce! " Luna e Lalla si guardarono da un capo all'altro del campo con gli occhi pieni di veleno. Che razza di presuntuoso arrogante! Ma chi si credeva di essere?? Il gioco proseguì con battute ed eliminazioni e arrivò il momento del cambio. Ora, sul punteggio di 2 a 0, i Supereroi andavano in difesa e i Bulls avevano l'opportunità di segnare i loro primi punti. " Se prendo la palla la distruggo! ", disse pieno di rabbia Burghy, che non era mai stato così attivo in una partita.


" Sì, fammi andare in battuta che faccio vedere io a questi cosa sappiamo fare! ", disse il Nonno, che li aveva già visti fin troppo da vicino per i suoi gusti. " Attenzione, ragazzi ", disse Doc. " Ricordatevi che dobbiamo giocare insieme e giocare con la testa, non con la rabbia. Guardate bene la palla e ricordatevi di divertirvi. E' per questo che giochiamo ". Le prime battute non furono molto efficaci. La tensione nelle braccia e nel collo dei ragazzi era fin troppa. I loro pensieri erano tutti rivolti a dimostrare ai quattro sbruffoncelli che non avevano il diritto di entrare nel loro campo e vincere. Ma la palla non sembrava volerli aiutare e le loro mazze riuscivano solo a sfiorarla. I Supereroi intanto erano decisamente soddisfatti. Conducevano per 3 a 0 e mancava solo un attacco dei Bulls a finire quella disastrosa partita. " Allenatore, " disse Flash con aria canzonatoria, " ma se vinciamo contro la tua squadra che premio abbiamo? " " Ci devo ancora pensare. Ma qualcosa ci sarà di sicuro. Prima però dovete vincere, e vi ricordo che manca ancora un attacco. La partita non è finita finché non è finita ". " Eh sì, ma non vedi che ormai abbiamo stravinto? Lascia perdere, questa è una squadra di schiappe. Con questi non vinci proprio niente! " I Supereroi risero di gusto con il loro capo. " Genio, tocca a te! ", chiamò Doc alla battuta. Samuele, detto Genio, prese la sua mazza - la più leggera - e si avvicinò al piatto di casa base con aria determinata. I compagni non l'avevano mai visto così. Sembrava meditare qualcosa. Si posizionò sul piatto e guardò l'allenatore con decisione. Questi sorrise e tirò la prima palla. Samuele girò con forza la sua mazza e colpì la palla. Ne uscì una battuta rotolante piuttosto insidiosa. La palla viaggiava in direzione della seconda base ma era abbastanza lenta. Batman era posizionato più o meno da quelle parti ma stava parlando con Hulk e quando si accorse della palla iniziò a correre in avanti convinto di riuscire a controllarla facilmente. Senza equilibrio, tentò di prenderla in fretta e furia ma non riuscì a coordinare gambe, braccia, guanto. Intanto Genio era arrivato sulla prima base tra le grida dei suoi compagni di squadra. " Hai solo avuto fortuna! Se passava di qui la palla mica arrivavi salvo! Batti su di me la prossima volta! ", gridò Flash, dando dello stupido agli altri due. Era la volta di Lalla in battuta. Strinse forte la mazza e sferrò un colpo deciso. La palla fece un piccolo arco e volò in direzione della prima base, dietro la testa di Hulk che giocava lì. Impietrito, Hulk non si mosse mentre la palla cadeva dietro di lui e Genio raggiungeva la seconda base. Quando raccolse la palla Lalla era sul sacchetto di prima base ad aspettarlo con un sorriso beffardo. " Ancora fortuna.", disse il capo. " Ma non ce n'è uno che sa battere qui dentro? " Era il turno di Burghy. Quanto gli stava antipatico quel tipo! Doveva fargli vedere cosa sapeva fare. Anche prima aveva battuto su di lui, ma quel Flash era davvero veloce e aveva preso la sua palla battuta in direzione della terza base. Ora doveva fare di meglio. I compagni erano tutti con lui. Poteva farcela. La prima palla arrivò esattamente dove voleva lui, un po' altina e bella centrale. Via! Un bel giro di mazza. Colpì la palla abbastanza bene e partì


una battuta diretta in bocca... a Flash! No!! Proprio a lui no! Nessuno fece in tempo a muoversi, per fortuna. Ma Burghy era eliminato al volo. Primo out. Flash iniziò una irritante danza del vincitore per la sua presa al volo. Era assolutamente insopportabile, ma che fare? I ragazzi guardavano il coach arrabbiati e allo stesso tempo impotenti. Non poteva fermare questo disastro? E se avessero perso? Sarebbero stati presi in giro per tutta la vita! L'allenatore capì cosa passava per la loro mente e si avvicinò alla squadra. " Ragazzi, il campo ha la sua legge. Bisogna passare da qui, bisogna vincere insieme, sul campo. State uniti e pensate a voi, alla squadra e alla vostra forza. Non fatevi distrarre dagli avversari. E dopo aver dato il vostro meglio, vedremo quale verdetto il campo vorrà darvi ". La risposta del coach non era così facile da capire. Ma qualcuno provò a convincersi e ad incitare anche gli altri. " Forza, Nonno! Fagli vedere! ". Matteo prese bene la mira e sferrò un colpo fortissimo che tagliò in due il campo, arrivando fino al muro di cinta che delimitava l'esterno. Samuele e Lalla ebbero il tempo di arrivare a casa base e segnare i primi due punti mentre Matteo dovette fermarsi in terza base perché il velocissimo Flash aveva recuperato la palla ed era pronto a tirarla a Rambo a casa base. I ragazzi erano in visibilio. 3 - 2 il punteggio, un eliminato e un corridore in terza base. Il pareggio era vicino. Toccava a Chicco, il più piccolo. Flash, ancora ansimante per la grande corsa, si avvicinò moltissimo a casa base. Era sbruffone, sì, ma era decisamente intelligente. Aveva capito quale era l'obiettivo adesso: non fare arrivare a punto il Nonno. " Vieni avanti, Batman, questo è piccolo e non combina niente! " Il piccolo Ricky strinse i denti, deciso a fare la sua parte. Toccò debolmente la palla che cominciò a rotolare in direzione di Flash. Lasciata la mazza cominciò la sua lunga corsa verso la prima base. Sarebbe stato sufficiente per far segnare il punto? Ma sia Flash sia Matteo sapevano qual era la posta in gioco. Flash si avventò sulla palla, pronto a giocare a casa. Matteo, non obbligato ad avanzare, fece finta di muoversi ma poi restò dov'era. Con la palla in mano curando il corridore in terza, Flash si dimenticò di Chicco che arrivò finalmente in prima tutto trionfante. I Bulls ora si facevano sentire. Sempre 3 - 2 , sempre un eliminato, ma due corridori in base. " Questo non va da nessuna parte, te lo dico io ", disse Flash a denti stretti guardando il Nonno. " Poi guarda chi arriva adesso: una femmina! Questa nemmeno la prende la palla ". Luna aveva lo sguardo di un combattente pronto alla battaglia. Era ora di finirla. Ci avrebbe pensato lei. La palla viaggiava verso di lei ma questa volta non aveva paura di nulla. Le sembrava più grande, più rotonda e ancora più bianca. Era la sua palla. La battuta si alzò sopra le teste degli avversari e volò in direzione del muro un'altra volta. Matteo arrivò a punto, mentre Chicco macinava passi su passi, superando la seconda base e correndo verso la terza. Nessuno copriva la terza base e Flash con la palla in mano doveva arrivare da solo fino al sacchetto. Ma era tardi. Il piccolo Ricky con le braccia alzate aspettava sulla terza base.


La situazione aveva cambiato faccia. Ora erano i Supereroi a sperare che finisse in fretta. " Genio, tocca di nuovo a te ", chiamò Doc. Nonostante tutto c'era speranza, pensò Flash. I giocatori forti sono passati, la sfortuna finirà di colpire, prima o poi, diceva tra sé, e questo battitore non ci fa certo paura. " Dai ragazzi, finora abbiamo scherzato. Adesso la chiudiamo qui, la storia. Ehi, BULLS, con questo qui non andate da nessuna parte. E la fortuna non può girare sempre per voi! " Genio si trovava in una di quelle situazioni che non gli piacevano proprio. Dipendeva tutto da lui. Si voltò un po' spaurito ma vide le facce di tutti i suoi compagni che lo incitavano. Si fidavano di lui. Ci avrebbe provato. Ricky aspettava prontissimo sulla terza base. Luna non vedeva l'ora di passare di fianco a Flash e sorridergli mentre sfrecciava verso la terza. Genio strinse bene la mazza e si sforzò di guardare ancora meglio la palla attraverso i suoi occhiali neri. Eccola, ed ecco la sventolata. La palla partì con una velocità decisa dirigendosi a metà tra Batman e Hulk. Flash gridava come un matto di eliminare il battitore e i due si precipitarono contemporaneamente a prendere la palla, quasi litigando per decidere chi la dovesse tirare. Nessuno aveva pensato alla prima base e per tirare a casa base era tardi. Ricky era arrivato in scivolata a casa base segnando il punto della vittoria. I BULLS lo portarono in trionfo, quasi avessero vinto la Coppa del Mondo. Era stata una partita più importante della Coppa del Mondo. Flash e i suoi supereroi lasciarono il campo senza dire una parola e inforcate le biciclette scapparono via. Il coach li guardò dispiaciuto. Chissà, forse si sarebbero rivisti. I ragazzi si avvicinarono ai loro coach saltando ed esultando. Aspettavano di sentire le sue parole. " Bravi ragazzi, ricordatevelo sempre. Il campo ha l'ultima parola. Ma la partita non è finita finché non è finita. E ora... gelato per tutti! "


7. Il fratellino

" Mamma, mi spieghi una cosa? ", chiese Lalla con aria pensierosa alla sua mamma mentre finiva di fare colazione. " Dimmi, cosa vuoi sapere? ". " Quando la zia Marisa aspettava la Betty non aveva il pancione? " " Sì, certo ", rispose la mamma guardando Lalla e pensando a cosa avrebbe tirato fuori questa volta da chiedere. Ne aveva sempre una, era imprevedibile e curiosissima. " Perché me lo chiedi? " " Perché ieri Luna mi ha detto che Andrea non era a scuola perché è arrivato in casa sua un fratellino. Ma io ho visto la sua mamma l'altro giorno all'allenamento e stava benissimo! " " Ah, capisco qual è il tuo dubbio. C'è sicuramente una spiegazione. Oggi la chiamo per sapere come sta e quando torni da scuola ti racconto tutto, ok? " " Ok! ", rispose Lalla sollevata e abbracciò la mamma con gratitudine. Aveva sempre una soluzione per ogni problema. Quella mattina Lalla non riusciva a pensare ad altro. Aveva incrociato un paio di compagni di squadra all'ingresso della scuola e aveva chiesto anche a loro se sapevano qualcosa di più sulla vicenda. Nessuno aveva notizia, ma ormai sempre più persone sapevano che Andrea ora aveva un fratellino. La curiosità della squadra fu soddisfatta all'inizio dell'allenamento del pomeriggio. Anche il coach era stato informato ed era pronto a parlare ai ragazzi. I piccoli Bulls erano già arrivati tutti al campo quando anche Andrea entrò dal cancello dell'oratorio con la mamma. " Eccoli! " , esclamò Lalla, che già sapeva qualcosa in più degli altri e non vedeva l'ora di dirlo a tutti. " C'è anche... il fratellino! ", disse.


Con loro, infatti, camminava per mano alla mamma di Andrea un altro bambino dai capelli chiari. Il suo passo era piuttosto lento e stava in silenzio. Arrivarono al punto del campetto dove il coach e i ragazzi stavano aspettando. " Buongiorno a tutti! ", esclamò la mamma di Andrea sorridendo. " Buongiorno! " , risposero in coro i ragazzi. Il coach si avvicinò, accarezzò la testa di Andrea, che era più tranquillo del solito, e strinse la mano alla signora. " Ben arrivati. E ben arrivato anche a te ", disse chinandosi verso il bambino nuovo e tendendogli una mano in segno di benvenuto. Il bambino non osò rispondere subito a questo saluto da grandi ma incrociò i suoi occhi chiarissimi con quelli del coach. Si incontrarono così e per ora andava benissimo. " Ragazzi, questo è Boris. Ha nove anni e viene dalla Bielorussia. Ora Boris è parte della nostra famiglia ed è il nuovo fratellino di Andrea ", disse la signora, rispondendo agli sguardi dei bambini. " Spero che diventi presto vostro amico e che lo aiuterete ad abituarsi a vivere qui ". " Ma... parla? ", chiese Burghy incuriosito. " Sì, certo, parla. Ma un'altra lingua, non la nostra. Dovrà fare un grande sforzo per imparare tutto, siate gentili e pazienti con lui, per favore ", rispose la mamma di Andrea mostrando un po' di preoccupazione. Non sarebbe stato facile per nessuno, lo sapeva bene. Ma Boris avrebbe avuto sicuramente tanto affetto e questa per ora era la medicina più potente che conosceva. La signora poi aggiunse: " Non so se a Boris piacerà il baseball, noi lo speriamo, però oggi vorrei fare una prova e vedere come reagisce ". " Certo che gli piacerà il baseball! ", esclamò Matteo che sentiva già di avere una missione da svolgere per la squadra. " A tutti piace il baseball e giocare è facile! " Il coach sorrise con soddisfazione. " Non si preoccupi, faremo del nostro meglio. Ne riparliamo a fine allenamento. L'importante è che Boris stia bene, si diverta e incontri nuovi amici. E' a questo che serve lo sport ". " Bene, mi fido di voi. Ora vado a fare la spesa e poi torno, non ci metterò molto ", disse la signora sollevata. " A dopo, allora ". La mamma abbracciò Boris e Andrea velocemente e se ne andò salutando i ragazzi. Il coach cercò di dare qualche suggerimento alla squadra per affrontare questa nuova sfida. " Bene, ragazzi, ora tocca a noi. Vorrei dire un paio di cose semplici semplici. Innanzitutto ricordate che Boris non capisce quello che dite. Quindi se vi fermate a parlare tra di voi, lui si sentirà isolato e dimenticato ".


" Non possiamo più parlare? ", esclamò Genio preoccupato. " Certo che potete parlare, ma ricordatevi quello che vi ho detto. Seconda cosa, troviamo dei modi per far capire le cose più importanti senza le parole. Qualcuno ha un'idea? " " Usiamo le mani! ", propose Mattia. " Il gioco dei mimi! ", disse Lalla. A lei piaceva tanto questo gioco, lo faceva sempre con le sue amiche. " Ecco, può essere una buona idea. Voi fate vedere a Boris come si fa a fare le cose e lui vi seguirà. Ma attenzione: dovete essere buoni esempi! D'accordo? " " Sìììììì! ", risposero in coro i ragazzi. " Bene, ora cominciamo l'allenamento, altrimenti parliamo e basta. Partiamo a correre, formiamo una bella fila e teniamo Boris in fondo dietro ad Andrea, ok? Via! " L'allegra truppa dei piccoli Bulls si mise in movimento e Andrea prese per mano Boris per portarlo in direzione della fila dei compagni. Il coach guardò pensoso i due bambini. Sapeva che non sarebbe stato tutto facile, nemmeno per Andrea. I primi giri di corsa filarono via lisci, poi fecero qualche esercizio di allungamento tutti in cerchio. Matteo si mise al centro e guidò gli esercizi. C'era uno strano silenzio. Tutti i ragazzi cercavano di svolgere il loro compito nel migliore dei modi e controllavano se Boris li seguiva. Il bambino, seppur un po' magrino all'apparenza, era molto abile nella corsa e negli esercizi, rapido e scattante e capiva al volo le istruzioni di Nonno, passando da un esercizio all'altro con facilità. Avrebbe trovato facile anche prendere, tirare e battere la palla? Il coach era ansioso di scoprirlo. Arrivò il momento di usare i guantoni e palleggiare. Il coach cercò nella sua borsa piena di sorprese un guanto per Boris. Con quale mano avrebbe tirato la palla? La domanda era comparsa anche sul viso di Andrea, che con il suo guanto in mano si era avvicinato al coach per chiedergli come fare. " Aspetta un attimo, Andrea. Cerchiamo di scoprire con che mano tira il nostro Boris ". Chiamò i due fratelli davanti a sé ed indicò tre palline da tennis che aveva messo per terra a 10 - 15 passi di distanza dalla rete di recinzione del campo. " Fai come me ", disse ad Andrea. Il coach si avvicinò alle palline, ne raccolse una e la tirò contro la rete con un bel movimento sopramano. Poi invitò Andrea a fare lo stesso e successivamente fece lo stesso segno di procedere a Boris. Questi raccolse l'ultima pallina con la mano sinistra e la tirò deciso contro la rete. Non era niente male.


" Sembra mancino ", disse il coach. " Per ora gli diamo un guanto sinistro ma continuerò ad osservarlo ". Il coach diede il guanto a Boris e lasciò che i ragazzi si organizzassero per aiutarlo e capire come indossarlo. All'inizio ci fu un po' di confusione perché tutti volevano dire la loro. Boris li guardava perplesso ma non impaurito. Ad un certo punto Genio prese in mano la situazione. " Fermi! Qui non si capisce niente. Deve parlare uno solo alla vol..." Non aveva ancora finito la frase che il piccolo Ricky si mise accanto al bambino nuovo con il suo guantone in mano e mostrate le cinque dita bene aperte le infilò nel guanto con un gesto lento e preciso. Poi toccò la mano destra di Boris e gli fece un breve cenno di fare lo stesso anche lui. E in un attimo Boris aveva indossato il suo guantone. " Sìììììì! " Un'esplosione di soddisfazione accolse la prima vittoria dei Bulls nella loro nuova avventura. E quella fu davvero la prima di molte altre. Boris imparò velocemente tutte le cose importanti del gioco del baseball. Era davvero portato per questo sport e quello che gli piaceva di più era battere la palla e correre sulle basi. Non capiva certamente cosa diceva il coach e cosa dicevano i ragazzi ma giorno per giorno imparò a conoscerli e a comunicare con loro. La squadra lo aiutò anche a imparare le prime parole di italiano - quelle che si riferivano al cibo e naturalmente al baseball. Quel primo giorno fu davvero speciale per lui e quando la mamma tornò a prenderlo non fu necessario spiegarle nulla. Vedendo sul suo volto il primo vero sorriso lei capì che aveva fatto centro. Boris avrebbe avuto una nuova grande famiglia.


8. La festa al campo " Siamo già oltre la metà del campionato e ci sono genitori di alcuni dei nostri ragazzi che non abbiamo mai visto! ", disse Doc, mentre, come sempre, riponeva basi, guanti e palline al termine dell'allenamento. " Eh sì, è un bel problema. Per tante cose avremmo proprio bisogno di parlare con loro e non li vediamo mai. " " Troppo comodo così, pensando che tanto qualcuno che apre e chiude il campo c'è sempre... ", aggiunse Doc con un tono che non voleva suonare polemico ma allo stesso tempo rivelava anche una certa stanchezza. Fare l'allenatore non è semplice. Infatti l'allenatore di baseball di una squadra giovanile è un volontario che dopo il lavoro corre al campo dai ragazzi e che appena ha un attimo libero si ritrova a pensare agli esercizi degli allenamenti o alla formazione che scenderà in campo sabato. " Sì, ma a volte non è per cattiveria. Tante persone non hanno tempo e sono sempre di corsa. Forse dovremmo conoscerci un po' di più. In questo modo sarebbe più semplice pensare agli allenatori come persone e non come ai custodi del campo ". " Hai un bel dire tu, conoscerci. Ma se la gente non si vede nemmeno per accompagnare i figli? " " Potremmo farci venire un'idea. Magari chiederlo direttamente ai ragazzi ". Il giorno seguente il coach aveva appuntamento con la coordinatrice della scuola primaria per programmare la festa del baseball a scuola. Dopo essersi messi d'accordo sulla data della festa, il coach decise di fare una domanda diretta alla coordinatrice. " Posso chiederle se qui a scuola voi vedete regolarmente i genitori degli alunni? Noi abbiamo ragazzi dei quali non conosciamo affatto la famiglia perché nessuno dei genitori si fa vedere al campo. Mi chiedevo se fosse solo un problema nostro, magari perché l'attività pomeridiana del baseball non è considerata molto importante ". La coordinatrice non esitò a rispondere: " Certo che no. Le famiglie che vediamo sono sempre le stesse. Sono tutti molto occupati, sa. Ma poi quando ci sono i problemi, tutti sono presi di sorpresa e vengono a lamentarsi. Abbiamo fatto tanti esperimenti, forse quello che funziona di più è creare un'occasione speciale, in cui le persone abbiano un interesse a venire. Allora lì si vede più gente ". Il coach cominciò a pensare e ripensare. Cosa si poteva fare? Mercoledì pomeriggio all'allenamento non mancava nessuno. Il coach aveva deciso di lavorare sulla battuta e soprattutto di far fare ai ragazzi un po' di esercizio nel valutare bene la palla prima di batterla. " Vi ricordate che la palla che chiamiamo ' strike ' o ' palla buona ' deve passare sul piatto e ad una altezza tra la scritta sulla vostra maglietta e le ginocchia? "


" Ma se giriamo una palla che batte per terra cosa succede? " , chiese Lalla, che voleva sempre sapere tutto con precisione. " Ogni volta che giriamo la mazza, il lancio diventa strike, non importa dove è tirato. Guardate bene la palla e cercate di battere forte ogni volta. Solo ricordate che se la palla vi passa alta sopra la testa o cade per terra potete aspettare il prossimo lancio. Sarebbero comunque lanci difficili da battere ". Il coach divise i ragazzi in due squadre e con Doc in mezzo al campo come lanciatore giocarono una partitella di allenamento molto divertente. Alla fine della partita il coach radunò a sé la squadra per il solito riepilogo delle cose nuove imparate quel giorno. Tutti erano stati molto bravi. L'allenatore pensò che era arrivato il momento giusto per chiedere un parere alla squadra. " Voglio chiedervi una cosa prima di lasciarvi andare a casa. Sapete, Doc e io ci chiedevamo come possiamo fare per cercare di conoscerci un po' di più e incontrare anche le vostre famiglie. Siamo sempre di corsa, non si riesce mai a parlare, sarebbe bello potersi fermare un attimo, non credete anche voi? " " Sì, ma mia mamma non può fermarsi, dobbiamo andare a prendere mia sorella che esce dalla piscina ", disse Giacomo. " Anche noi dobbiamo andare perché il papà poi deve uscire e la mamma deve cucinare ", aggiunse Mattia. In un attimo si diffuse un brulicare di commenti che suonavano tutti più o meno alla stessa maniera. In disparte nel discorso erano Chen e Aziz. I loro genitori non venivano al campo comunque, per loro il problema di restare più a lungo non si poneva nemmeno. " Non parliamo di fermarsi adesso o un altro giorno dopo gli allenamenti, quello è sempre molto difficile, lo sappiamo. Stiamo cercando un'altra idea, soprattutto perché ci sono delle mamme e dei papà che non abbiamo praticamente mai visto. Sarebbe bello che potessero vedervi giocare e capire quanto siete migliorati ". Le ragazze si guardarono negli occhi e si voltarono verso l'allenatore con un'idea dipinta sul volto: " Facciamo una partita! " " Come una partita? Quando? Sabato dobbiamo giocare, con chi vuoi fare la partita? " , chiese allarmato Matteo. " In che senso una partita? Spiegati ", disse Doc, invitando Luna a spiegarsi meglio. " Facciamo due squadre! Una noi e una le nostre mamme e i nostri papà! ", spiegò Lalla, a cui l'idea sembrava chiarissima. " Li invitiamo tutti, non potranno mancare! ", aggiunse Chicco. " Facciamolo domenica! La domenica non si lavora ", suggerì Genio. " Questo lo dici tu: Mio papà spesso lavora anche la domenica ", replicò Andrea con un'aria un po' triste.


" Sicuramente è più facile che la domenica i genitori possano trovare un po' più di tempo per venire al campo che non negli altri giorni. Se li invitiamo sono sicuro che faranno il possibile per non mancare ", intervenne Doc con un tono incoraggiante che risollevò un po' il morale dei bambini. " Dividiamoci i compiti, dunque. Chi sa disegnare? " " Io! ", fece subito Luna. " Benissimo. Tu pensi ad un bel disegno. Chi sa scrivere bene? " " Lui! ", Burghy indicò Samuele. " Bene, allora Samuele si incaricherà di scrivere l'invito, poi ci mettiamo d'accordo bene su cosa scrivere nel testo ". " Ma dopo la partita si mangia? ", non mancò di chiedere Burghy che aveva già una gran fame. " Beh... a quello pensiamo noi. Stabiliamo anche una data, ok? Fra due settimane non abbiamo la partita al sabato. Possiamo dedicarci ai preparativi, e domenica facciamo la nostra partita qui al campo, che ne dite? " " Sììììì! ", risposero in coro i ragazzi entusiasti. Solo Chen e Aziz non sembravano essere molto interessati all'argomento. " Bene, ora potete andare. Ognuno svolga il suo compito per il prossimo allenamento. Poi prepareremo un bigliettino con disegni e testo in tante copie e distribuiremo gli inviti alle famiglie. Sabato raduno alle 14.00 al solito posto! " Quando tutti i ragazzi uscirono dal campo per raggiungere i genitori e i parenti che erano venuti a prenderli, Fulmine e Cina si avvicinarono quasi allo stesso tempo all'allenatore con uno sguardo serio. Il coach non ebbe bisogno di sentire cosa volevano cercare di dire, poiché aveva capito la loro preoccupazione. " Non ci sono problemi, capito? Ci penserò io, vedrete che anche i vostri genitori verranno alla nostra festa ". I ragazzi lavorarono con impegno e fantasia per preparare i disegni e i bigliettini. Le ragazze si incontrarono un paio di volte al pomeriggio per fare merenda insieme ma soprattutto per decidere il soggetto del loro disegno, mentre Samuele lavorava alla sua calligrafia e Matteo e Andrea studiavano il testo dell'invito. Doc realizzò un bel collage dei lavori dei ragazzi e ne uscì un bigliettino molto carino che fu fotocopiato e ricolorato per ogni famiglia della squadra. Mentre mostrava il risultato dei loro lavori ai ragazzi, il coach pensò che ancora mancava qualcosa di fondamentale: qualcuno non avrebbe potuto leggere l'invito, perché era semplicemente scritto nella lingua sbagliata! " Ci manca una cosa importantissima, se vogliamo provare a vedere i genitori di Fulmine e Cina ", disse il coach a Doc. " Dobbiamo recapitare il messaggio nella loro lingua. Altrimenti nemmeno i ragazzi riusciranno a spiegare loro cosa vogliamo fare e non riusciremo ad averli con noi neanche stavolta ". " E in che lingua scriviamo?? Io mica so il cinese! ", esclamò Doc.


" Nemmeno io, ma conosco qualcuno che è qui ormai da molto tempo e capisce bene l'italiano. Ci aiuterà a tradurre la parte essenziale del testo. L'altra lingua è il francese. La mia vicina di casa è francese, andrò da lei e le chiederò un favore ". " Hai sempre una soluzione per tutto ", rispose Doc sorridendo. Il coach aveva davvero tutte le risposte. Il mercoledì seguente l'allenatore riuscì a liberarsi prima del solito nel pomeriggio e decise di fare visita alle due famiglie di Fulmine e Chen. Incontrò al primo colpo la madre di Aziz e le consegnò l'invito. Fare visita ai genitori di Chen era invece piuttosto problematico. L'allenatore decise di passare dal ristorante cinese in cui lavoravano e di cercare di parlare con la madre del ragazzo. Al suo arrivo al ristorante, Chen gli andò incontro. " Ciao, Chen ". " Ciao! ", rispose allegro il ragazzo. Scandendo bene le parole il coach chiese a Chen se la sua mamma fosse lì e il ragazzo indicò la signora alla cassa del ristorante. Il coach invitò Chen a seguirlo per aiutarlo a comunicare con lei ed estrasse il biglietto di invito dalla tasca del giubbino. Chen presentò l'allenatore alla mamma e le porse l'invito da parte sua. La signora rispose con un timido sorriso. La domenica della partita con i genitori il tempo era bellissimo e faceva già caldo quasi come in estate. L'aria era piena di profumi e i ragazzi arrivarono al campo anche prima dell'orario stabilito per godersi lo spazio e il tempo con i loro genitori. Il coach, non avendo ricevuto alcuna comunicazione dalle famiglie di Aziz e Chen, si recò come al solito da loro per portarli al campo. Era un po' preoccupato perché i ragazzi non avrebbero avuto genitori vicino, mentre tutti gli altri sì. Mentre scendeva dalla macchina, vide uscire di casa Aziz con il padre. Portava anche lui un cappellino da baseball e Aziz aveva un sorriso che l'allenatore non aveva mai visto prima sul suo viso. " Papà viene con noi ", disse timidamente Aziz, chiedendo con lo sguardo il permesso di farlo salire in macchina con loro. " Ma certamente! Bonjour! Bienvenu! " , si affrettò a dire il coach, rispolverando ancora una volta il suo francese sgangherato. Girato l'angolo, arrivarono alla fine del viale ad una fila di case tutte uguali. Lì abitava Chen con la sua famiglia. Chen aspettava sempre il coach in strada perché sarebbe stato difficile trovare la sua casa per un estraneo. Anche questa volta era già lì, ma non da solo. La madre di Chen era con lui. Il coach capì che avrebbe dovuto fare posto in macchina e si affrettò a schiacciare nel bagagliaio la sua borsa e altre cose sparse sul sedile posteriore. Parlando a sorrisi il coach fece segno alla signora di salire con i due ragazzi dietro e l'insolita carovana partì per il campo.


Quella giornata fu davvero speciale. Tutti si divertirono molto e mangiarono insieme le salamelle che Doc e alcuni genitori avevano preparato per tutti. Non poteva mancare la signora Aurora, che aveva cucinato tutto il sabato per poter sfamare la truppa dei Bulls. Soprattutto non mancava l'allegria e la voglia di passare del tempo insieme. Un'esperienza da ripetere presto.


9. Non voglio più giocare

" Pronto? Parlo con l'allenatore di baseball? " " Sì, signora, buongiorno, mi dica ". " Ah, buongiorno, sono la mamma di Samuele. Volevo avvisarla che non si sente bene e che non verrà agli allenamenti oggi ". " Oh, mi spiace davvero. Ma cosa si sente? Ha l'influenza? " " Guardi, non so, è davvero strano in questi giorni. Non parla nemmeno più in casa - e lei sa bene quanto sia chiacchierone di solito. E' sempre lì da solo in camera sua, con un faccino triste. Ieri mi sembrava addirittura che gli venisse da piangere. Devo dire la verità, sono un po' preoccupata ". " Uhm, bisogna cercare di capire meglio. Lei intanto senta un medico, vediamo se c'entra comunque qualche problema di salute. Nel frattempo io cercherò di parlare con i suoi compagni e di vederci più chiaro. Ci risentiamo presto ". " Grazie per l'interessamento. A presto ". Il coach spense il telefono. Davvero strano, pensò. Non è proprio da Genio comportarsi così. Era necessario saperne di più.


Quel pomeriggio all'allenamento i ragazzi erano particolarmente distratti. Il coach aveva dovuto richiamarli più volte ad uscire dallo spogliatoio e anche durante il riscaldamento non ascoltavano le indicazioni di Doc, tanto che l'allenatore per punizione aveva fatto raccogliere loro tutte le cartacce lasciate in giro dai bambini dell'oratorio sul campo e vicino alle panchine. Ma anche questo non era sembrato un problema. C'era qualche altra cosa che catturava la loro attenzione e li teneva impegnati in strani discorsi. Nei giorni successivi il coach e Doc si erano prefissati l'obiettivo di osservare da vicino il comportamento dei ragazzi, mentre era arrivata la notizia che Samuele non era ancora rientrato a scuola. Il fatto era davvero insolito, soprattutto pensando che Samuele viveva per lo studio e che non avrebbe mai perso delle ore di lezione con leggerezza. Doveva essere successo qualcosa di particolare, il coach se lo sentiva. Ripensando agli ultimi allenamenti, l'allenatore cercava di ricordare un fatto, un episodio o un dettaglio che potessero aiutarlo a fare luce sulla vicenda di Samuele. Ma nulla era direttamente legato a lui e l'unica " novità " che poteva ricordare era il fatto che Mattia era arrivato con un telefonino nuovo di zecca che aveva subito attirato l'attenzione di tutti i ragazzi. La regola degli allenamenti però parlava chiaro: niente telefoni accesi durante il lavoro in campo e le riunioni con il coach. Pertanto gli unici momenti in cui Mattia poteva utilizzare il suo cellulare e mostrarlo agli altri erano prima e dopo gli allenamenti. Tutto però sembrava filare liscio e la soluzione del problema era ancora lontana. All'allenamento di mercoledì il coach ebbe occasione di accorgersi di una cosa che non aveva notato fino a quel momento. I ragazzi andavano nello spogliatoio a cambiare le scarpe e lasciare la borsa ma ci mettevano molto più tempo del solito ad uscire e presentarsi per l'inizio dell'allenamento. Avvicinandosi alla porta dello spogliatoio, l'allenatore si accorse di un gran movimento tra i ragazzi che lo avevano visto arrivare e che velocemente si sistemavano seduti come se nulla fosse per non mostrare cosa stavano facendo. In particolare Mattia si preoccupava di nascondere il suo cellulare, cosa che non faceva di solito perché sfruttava ogni occasione per mostrarlo al mondo intero. Decise di lasciar correre in quel momento. Avrebbe trovato la situazione giusta per confrontarsi con i ragazzi appena possibile. Ormai sapeva che non sarebbe passato troppo tempo. Se era successo qualcosa bisognava sistemare le cose subito, prima che diventasse tardi, forse tardi anche per Samuele. Samuele, detto Genio per il suo amore per la risposta pronta e il suo interesse per tutto ciò che era scritto nei libri, non aveva molti veri amici in squadra. Infatti era difficile andare d'accordo con lui e qualche volta l'impressione era che gli altri sopportassero, non sempre con pazienza, peraltro, le sue frequenti uscite " da professore ". Però fino a quel momento Samuele non aveva mostrato alcun problema a stare con gli altri. Era fatto così, e sembrava avere comunque il suo posto nella squadra. Ma se invece c'era qualcos'altro e l'allenatore non se ne era accorto? Il coach si confrontò con Doc per decidere il da farsi. " Questa storia non mi convince ", disse fermandosi davanti alla sua macchina sulla quale doveva caricare le borse del materiale da gioco. " Quale storia? ", rispose Doc aiutandolo a mettere tutto nel bagagliaio.


" Il fatto che Samuele non si fa vedere da una settimana. Pare che non sia nemmeno andato a scuola. Ti rendi conto? Lui, che va a scuola anche con la febbre per non perdere un minuto di lezione! " " Mah, sarà ammalato sul serio ". " La mamma non mi ha parlato di malattia. Ha detto invece che se ne sta sempre da solo in camera con un muso lungo e gli occhi tristi. Ma ti sembra possibile?? Non è da lui! " " Forse gli hanno fatto qualcosa ", disse Doc, a cui erano venute in mente tante storie brutte sentite in televisione. " Già, comincio a pensarlo anche io. Ma chi? Forse ci sono dei bulli a scuola e lui non vuole dire niente ". " Senti, bisogna provare a parlargli. Se la cosa è seria come pensiamo, non resisterà alla tentazione di dircelo. In fondo è sempre il chiacchierone che conosciamo bene! " , disse Doc, pensando già di andare a trovarlo il giorno seguente. " D'accordo, allora prova tu a parlare con lui domani. Voi due avete sempre avuto un buon rapporto. Io, invece, andrò a fare una visita alle sue insegnanti a scuola. Chi sa che non ci aiutino a capire ". " D'accordo. Ci sentiamo domani sera ". Il giorno seguente Doc si presentò a casa di Samuele, come d'accordo. Arrivando dalla strada Doc guardava le finestre della casa e nell'ultima a sinistra al primo piano vide il volto del ragazzo che subito scappò via dalla sua vista. Ma era già tardi. Doc era proprio deciso a parlare con lui. La madre di Samuele fece entrare l'ospite e andò a chiamare il figlio ma lasciò i due da soli a parlare in salotto. Forse Doc sarebbe riuscito a strappare qualche parola a Samuele e finalmente la situazione si sarebbe sbloccata. " Ciao, Samuele, come stai? " Doc cercò di iniziare un discorso con il ragazzo che però non sembrava avere molta voglia di fermarsi ad ascoltarlo. " Non ti vediamo da una settimana, i compagni sentono la tua mancanza ". " Non credo proprio ", disse Samuele a mezza voce girandosi verso il tavolino accanto al divano e prendendo in mano il telecomando della televisione, quasi per giocarci un po'. " Perché dici così? Hai litigato con qualcuno recentemente? " " No, no... Io non litigo mai. " " Lo sappiamo bene, ma non sei nemmeno mai stato così... silenzioso e triste, mi sembra. Sei sicuro che non c'entrino i tuoi compagni? Magari qualcuno a scuola... " " No, no, nessuno... Solo… non voglio più giocare a baseball ". Doc lo guardò meravigliato. " Davvero? Mi hai sempre detto che ti piaceva il baseball! Che era un gioco non solo di muscoli ma anche di intelligenza, come la tua! "


" Beh... non mi piace più. Non voglio più venire al campo ". " Capisco. Se proprio sei convinto. Però tu sai quali sono le nostre regole: si parla sempre direttamente dei problemi con le persone. Dovrai venire al campo a dirlo al coach e anche alla squadra, direi ". " Sì, lo so... Quando starò meglio passerò dal campo con la mamma ", rispose Samuele senza però guardare negli occhi Doc. Era un discorso difficile per lui e sapeva che Doc aveva visto giusto. Doc si alzò, accarezzò la testa di Samuele che abbassò ancora una volta gli occhi, e facendo un rapido cenno alla madre che lo guardava dal fondo del corridoio, aprì la porta per uscire. La situazione era più brutta del previsto. Doveva dirlo al coach. Nel frattempo l'allenatore aveva raggiunto la maestra di Genio con la quale aveva preso un appuntamento. " Buongiorno, coach " " Buongiorno Signora Rossi " " Voleva parlarmi? ", chiese l'insegnante. " Sì, la ringrazio di avermi ricevuto. Si tratta di Samuele. Non viene agli allenamenti da una settimana, ormai, ma mi risulta che manca anche da scuola da parecchi giorni. Considerato quanto Samuele ama la scuola mi è sembrato una cosa piuttosto strana. Premetto che abbiamo accertato che non è malato nel normale senso del termine. Deve essere successo qualcosa e sono qui per chiederle se non ha riscontrato nulla di strano ultimamente ". " La situazione è parsa assai strana anche a noi. Abbiamo parlato con la madre e ci ha detto che Samuele è sempre silenzioso e vuole stare da solo in camera sua. Siamo d'accordo di aspettare ancora qualche giorno mentre lei avrebbe sentito un medico e poi di rivederci per capire cosa fare ". " Ha osservato qualcosa di strano tra i compagni, qualcuno che ha mostrato un atteggiamento aggressivo verso di lui? Un bullo magari, di cui può aver paura? " " No, non abbiamo questo problema al momento. Però ho sicuramente notato un cambiamento nel suo modo di stare vicino ai compagni più o meno alla fine dell'altra settimana... diciamo venerdì, quando abbiamo avuto educazione motoria a scuola ". " Mi spieghi meglio, per favore. Potrebbe essere importante ". " All'inizio non ci avevamo fatto caso. A lezione abbiamo fatto un gioco con la palla, un gioco simile al baseball. I ragazzi, divisi in squadre dovevano tirare la palla facendo dei passaggi e poi colpire un bersaglio facendo a gara tra loro. La squadra di Samuele ha perso tre partite di fila. Lui era sempre l'ultimo a dover tirare la palla e non riusciva a centrare il bersaglio, una volta ha anche perso la palla tirata da un compagno. Ricordo che ho dovuto richiamare più volte gli altri ragazzi che ridevano di lui, soprattutto un paio di persone che non facevano lezione perché non avevano portato il materiale per cambiarsi e davano molto fastidio ". " Chi sono questi ragazzi? "


" Sono due che ci danno sempre un sacco di problemi perché non sanno cosa inventarsi per dare fastidio. Ma crede veramente che questo c'entri con la reazione di Samuele? E' vero che è un ragazzino riservato ma non pensavo che gli importasse di questi ragazzi ", disse la maestra sorpresa. " Neanche io, forse c'è dell'altro ma partiremo da qui a ricostruire i fatti. In classe con Samuele non c'è anche Mattia? ", chiese il coach a cui era venuta una intuizione. " Sì, sì. Anche lui quel giorno non faceva educazione motoria perché aveva mal di pancia ". " Ah. E dov'era mentre succedeva il tutto? " " Beh, era lì seduto anche lui sulla panca a bordo della palestra. Come sempre con il suo nuovo cellulare tra le mani. Non so quante volte gli avrò detto di metterlo via, ma lui niente, sempre a giochicchiare ". " I cellulari non sono certo strumenti da lasciare in mano ai ragazzi ", disse l'allenatore. " La tentazione di usarli, molto spesso in modo sbagliato, è irresistibile ". " Ha ragione. Ma questo è sicuramente un discorso da fare alle famiglie. Lo diciamo tante volte anche noi, ma ... ", rispose con aria rassegnata l'insegnante. " Bene, ora vado. Credo che potremmo avere trovato la chiave del mistero. Continuerò a lavorarci sopra e le farò sapere qualcosa appena possibile. Grazie per il suo aiuto. A presto ". " Grazie a lei, coach. A presto ". L'allenatore era sicuro: il cellulare di Mattia conteneva la risposta dell'enigma e lui doveva trovare il modo per avvicinarsi alla soluzione del mistero. Come fare? C'era bisogno di aiuto. Quel pomeriggio il coach si trovò con Doc per ragionare insieme su come intervenire. Decisero di rivolgersi a qualcuno fidato, qualcuno che avrebbe sicuramente voluto aiutare Samuele. " Luna, sei tu? ", disse il coach al telefono chiamando a casa della ragazza e riconoscendo la sua voce alla risposta. " Sì, coach, ciao! Vuoi parlare con la mamma? " " Sì, sicuramente, poi me la passi. Intanto volevo chiederti un favore. Abbiamo bisogno del tuo aiuto perché vogliamo capire cosa è successo a Samuele, che dice che non vuole più venire a giocare. Tu ne sai niente? " " Non lo vedo da più di una settimana, non ho parlato con lui ", rispose la ragazza un po' stupita di quella domanda. " Pare che sia successo qualcosa con dei compagni e vogliamo scoprire cosa. Se tu non ne sai nulla, non importa. Magari riesci a darci una mano anche in un altro modo ". " Se posso, volentieri. Cosa devo fare? " " Senti, tu hai visto il nuovo cellulare di Mattia? " " Tutti l'hanno visto! Non fa altro che parlarne e mostrare a tutti le foto e i video che fa ".


" Ah, e hai visto anche tu questi video? " " Io no, perché lui li fa vedere solo ai maschi della squadra, quando sono negli spogliatoi ". " Ah, capisco. Ok. " " Cosa devo fare, allora, coach? " , chiese Luna incuriosita. " Per adesso nulla, cara Luna. Ci hai già aiutato moltissimo. Ci vediamo al campo mercoledì, poi ti spiego ". Mercoledì pomeriggio il coach decise di andare al campo con un certo anticipo. Solo Andrea era già nello spogliatoio e aspettava gli altri. L'allenatore entrò, salutò Andrea, che sembrava un po' inquieto alla sua presenza, e si sedette su una panchina ad aspettare che arrivassero gli altri. Piano piano arrivarono tutti i maschi del gruppo, tra gli ultimi anche Mattia. Vedendo il coach Mattia fece una faccia stranita e si zittì subito. " Buongiorno a tutti ", salutò il coach con aria seria e decisa. " Ciao coach " , rispose qualcuno un po' frettolosamente. " Mi hanno detto che vi divertite molto insieme prima degli allenamenti, anzi sembra proprio che non vogliate mai uscire dallo spogliatoio! Ho pensato di farlo anche io insieme a voi. Dunque, di cosa parliamo? " Nessuno voleva rispondere, né guardare in faccia il coach che invece cercava gli sguardi di ognuno di loro. " Mattia, mi dicono anche che tu hai sempre delle cose divertenti da mostrare a tutti sul tuo cellulare. Dallo anche a me, così rido anche io ". Mattia, che aveva il cellulare in mano, era alle strette e non poteva più scappare. Allungò la mano e passò il cellulare al coach. " Non vorrai che sia io a guardare nel tuo cellulare? Questa è una cosa che non si fa mai senza il permesso del proprietario, lo sapete vero? No, no, vieni qui seduto di fianco a me. Mi mostrerai tu i video divertenti che hai fatto recentemente. Non è vero? " Mattia diventò rosso in viso come un peperone. Era proprio fritto. Si avvicinò rassegnato al coach e sedendosi di fianco a lui aprì la sezione dei video del telefonino. Il coach aveva visto giusto. Trovò subito il video che riprendeva Samuele mentre tirava male la palla e i compagni ridevano e lo prendevano in giro. Volutamente alzò il volume del telefono per far sentire a tutti ancora una volta le risate cattive dei ragazzi. Poi guardò serio e arrabbiato i suoi giocatori che lo avevano deluso profondamente. " Quello che fa tanto ridere voi, fa soffrire un vostro compagno al punto che non vuole più venire a giocare a baseball e non vuole più mettere piede a scuola. Dovete vergognarvi e basta. Siete forse perfetti voi? Forse tutti gli errori che fate, le cose che non sapete a scuola, i verbi sbagliati


che escono dalla vostra bocca, forse qualcuno li ha mai messi in piazza per farli vedere a tutti? Cosa dovrei fare io allora, ogni volta che non prendete una palla, che non battete, che vi eliminano? Dovrei gridare davanti a tutti e farvi sentire delle nullità? Perché questo è quello che hai fatto, Mattia, con questo stupido cellulare, che non è stato certo inventato per usarlo così. E voi altri siete uguali a lui, perché chi non dice di NO quando una cosa è sbagliata è peggio di chi la fa ". Il coach era veramente furioso e faceva fatica a non alzare troppo il tono di voce. Era una cosa seria, molto seria e i ragazzi dovevano capirlo. " Ma noi... non volevamo... ", tentò di balbettare Matteo. " Troppo tardi. Quando si spargono al vento le parole contro qualcuno, quando si mettono in circolazione le immagini con la tecnologia, non si può più tornare indietro. Il danno è fatto. Mattia, sono molto deluso. Dovrai essere punito. Innanzitutto ti scorderai di giocare per due settimane. Verrai a tutti gli allenamenti e alle partite resterai in panchina a guardare gli altri giocare. Adesso io chiamerò tua madre e le dirò di venire a prenderti. Le mostrerai il contenuto di quel video e poi andrai a casa. Deciderà lei come punirti, lì io non c'entro nulla. Naturalmente anche le tue insegnanti saranno informate di ciò che hai fatto. E questo ancora non è niente, perché è il minimo della punizione che puoi avere. Il problema più grosso è che devi riparare la situazione con il tuo compagno, che è la persona che hai fatto soffrire. Ora resterai qui finché arriverà tua madre e prima di andare via mi dirai cosa hai intenzione di fare con Samuele. E bada bene, potrebbe essere già troppo tardi ". " Usciamo di qui, oggi niente giochi, solo corsa ed esercizi. Il gioco del baseball è fatto per gente che vuole stare insieme in una squadra, non per chi fa del male ai compagni ". I ragazzi uscirono silenziosi dallo spogliatoio e senza parlare iniziarono a correre, mentre a Mattia venne da piangere ma si trattenne per non farsi vedere dagli altri. Quando arrivò la madre di Mattia il coach le spiegò tutto. Guardando il ragazzo negli occhi, gli chiese cosa aveva intenzione di fare. " Mi spiace, coach. Non volevo creare questi problemi. Mi sembrava solo una cosa divertente, per ridere un po'. Ora non so cosa fare, vorrei dirlo anche a Samuele ma se non viene a scuola non so... " " Se tornerà o meno a scuola dipenderà da te. Devi andare da lui, ora, subito. E chiedergli scusa. Ma non solo, tu dovrai convincerlo che tutti i suoi compagni non pensano che lui sia una nullità e che lo aspettano al campo. E' un'impresa quasi impossibile ma è l'unica cosa che puoi fare ", disse il coach. " E io mi scuserò con la sua famiglia ", disse la madre di Mattia. " E' il minimo che io mi aspetterei se fosse successo a noi. Quando i figli combinano qualcosa, mettono in cattiva luce anche le loro famiglie che dovrebbero dare loro la giusta educazione. Poi affronteremo la cosa con tuo padre questa sera ". E in un attimo uscirono dall'oratorio per andare verso la macchina. Dopo 10 minuti di corsa Matteo si avvicinò all'allenatore che stava palleggiando con le ragazze, le quali erano rimaste fuori da questa brutta storia. " Coach, posso parlarti un attimo a nome della squadra? "


" Vorrai dire a nome dei maschi della squadra ", precisò Lalla, a cui tutta questa faccenda non piaceva per niente. " Sì, ok. Senti, abbiamo capito di aver sbagliato tutti a ridere del video di Mattia. Siamo dispiaciuti che Samuele stia male per colpa di tutto questo. Vogliamo provare a convincerlo a tornare. Forse se ci vedrà tutti insieme potrà perdonarci e credere che la sua squadra ha bisogno di lui. Quando le nostre madri ci vengono a prendere, puoi spiegare loro la storia e convincerle a portarci a casa di Genio? Da soli non possiamo andarci ". Doc e il coach si guardarono con un mezzo sorriso sui loro volti. Forse il messaggio era passato, forse i ragazzi sarebbero riusciti a recuperare un po' la situazione. " D'accordo, lo farò. E' giusto che i vostri genitori sappiano e poi decidano come reagire a questa faccenda, ognuno come ritiene opportuno. Da parte vostra mi sembra un buon gesto. Speriamo sia sufficiente ". Quella sera Samuele vide la sua squadra al completo davanti alla porta di casa. Mattia era già passato e aveva spiegato il tutto alla madre di Genio, si era scusato e aveva chiesto a Samuele di tornare. Quando vide i suoi amici tutti insieme, il suo cuore Bulls si scaldò un po' e gli consigliò di perdonare la brutta azione dei compagni. Tutti avevano imparato una lezione importante, piccoli e grandi, ma le sfide non erano certo finite. Bisogna stare molto attenti a ciò che si dice e si fa e soprattutto riflettere sempre sulle conseguenze delle proprie azioni prima di farle.


10. Il torneo

Era terminata la scuola e l'estate era quasi nel pieno: tanto sole, un bel caldo, giornate lunghe e serate al campetto in cui anche i genitori si fermavano più volentieri a parlare dopo la fine degli allenamenti. Mancava solo una partita alla fine del campionato. Dopo di che i piccoli Bulls avrebbero cominciato uno a uno a partire per le vacanze con le loro famiglie e il campo dell'oratorio si sarebbe svuotato di mazze e palline che coloravano le sere degli allenamenti. " Devo dire che mi mancheranno ", sospirò Doc bevendo la sua coca-cola al bar dell'oratorio con il coach al termine dell'allenamento del mercoledì. " Eh sì, in un batter d'occhio è finito anche il campionato. Sembra ieri che eravamo preoccupati per la prima partita... ", rispose l'allenatore con aria pensosa. " E adesso? Non li vediamo più per tutta l'estate? Adesso che c'è bel tempo e si può giocare! ", aggiunse Doc. " Noi saremo qui ancora per un po' e gli allenamenti continueranno finché tutti non saranno pronti per partire per le vacanze. Hai ragione, l'estate è il momento migliore per giocare a baseball, e anche per fare nuove esperienze ", rispose il coach. " Cos'hai in mente? Hai l'aria di chi ha appena avuto una nuova idea! " , chiese Doc con un sorriso. Conosceva bene quello sguardo: qualcosa di nuovo stava arrivando. " Penso che sia il momento di fare un passo avanti. E nello stesso tempo di dare anche un premio a questi ragazzi che hanno lavorato bene tutto l'anno. Li porteremo ad un torneo ". " Un torneo? E dove? " " Un amico mi ha chiamato ieri. Cercano una squadra per un torneo a Verona. Si giocherà sabato e domenica, quattro partite ".


" Forte! Ma... a Verona sabato e domenica... vuol dire che dobbiamo dormire là! ", esclamò Doc già preoccupato di dover gestire i costi della prima trasferta lunga della squadra. " E qui sta il bello. Hanno organizzato una tendopoli al campo. Dormiremo lì e il costo sarà davvero bassissimo. Tutti potranno venire " , rispose il coach con soddisfazione. " Quando sarà? " " Tra due settimane. Dobbiamo solo assicurarci che tutti siano ancora a casa, ma mi pare che non ci siano problemi. In fondo è solo l'inizio di giugno! ", rispose il coach con aria soddisfatta. Una nuova avventura era all'orizzonte. Venerdì, al termine dell'allenamento, il coach radunò i ragazzi vicino alla rete di delimitazione esterna del campo per permettere anche ai genitori di sentire le sue comunicazioni. " Allora, ragazzi. Domenica abbiamo l'ultima partita di campionato in trasferta. Come d'accordo porteremo anche qualcosa da mangiare così che alla fine della partita potremo fare un bel picnic, vi piace l'idea? " " Sìììììììì ! ", risposero in coro i piccoli Bulls. " Molto bene, allora siamo d'accordo. Ma ora avrei da farvi una proposta ". " Quale proposta? " , chiese subito Lalla, che come sempre moriva dalla voglia di sapere subito tutto. " Sì, ecco... Doc e io pensiamo che abbiate lavorato davvero bene quest'anno ", iniziò il coach, ma fu subito interrotto dal commento di Matteo. " Ma se abbiamo perso tutte le partite! " " Beh, sì, il primo anno non è facile, ma siamo andati sempre meglio, vero? Abbiamo preso sempre meno punti e siamo stati capaci anche di chiudere delle riprese non subendo nemmeno un punto. Guardate che non è mica poco al primo anno! ", sottolineò il coach per spiegare il suo punto di vista. " Sì, e poi io sono riuscito a battere la palla in fondo al campo! ", esclamò Mattia. " E io ho eliminato tre corridori settimana scorsa ", fu la volta di Burghy. " E io ho fatto tre punti due domeniche fa! ", aggiunse Luna. " Vedete quante cose belle siete riusciti a fare? E ce ne sono molte di più che non ricordate subito ma che Doc e io abbiamo visto. Noi siamo davvero contenti e orgogliosi di voi, della squadra ragazzi dei Bulls. E abbiamo deciso di farvi un regalo ". " Cos'è? ", chiese Chicco curioso. " Si mangia? ", si udì la voce di Burghy. " No, è qualcosa di molto più importante di una torta, Giacomo! Vogliamo portarvi ad un torneo ". L'allenatore si fermò ad osservare lo stupore sui volti dei ragazzi, e dietro di loro delle loro madri.


" Ma... come funziona un torneo di baseball? ", chiese Samuele, sempre preciso nei suoi commenti. " Vi spiego meglio. Un amico allenatore mi ha chiamato in questi giorni e mi ha spiegato che stanno organizzando un torneo a Verona. Sei squadre di ragazzi della vostra età giocheranno una serie di partite secondo un calendario preparato dagli organizzatori. I più bravi poi faranno una finale e la squadra vincitrice si aggiudicherà una coppa ". " Sì... la coppa! Ma che coppa possiamo vincere noi?? " , commentò sarcastico Mattia. " La coppa non è ciò che mi interessa veramente. Io vorrei che provassimo a stare insieme due giorni giocando a baseball e conoscendoci meglio ". " Due giorni? ", chiese Lalla con aria stupita. " Sì, dobbiamo giocare a Verona e non possiamo tornare a casa per poi viaggiare di nuovo il giorno dopo, così resteremo là a dormire ", spiegò l'allenatore alzando lo sguardo verso le madri che cominciavano ad avere bisogno di spiegazioni più precise. " Un attimo, vi spiego meglio. Al campo è stata organizzata una tendopoli, cioè un grande accampamento con delle belle tende confortevoli e ci viene data la possibilità di dormire lì, vicinissimi al campo di gioco. Poi organizzeranno la colazione e i pasti al campo. Non ci chiedono quasi nulla come quota di iscrizione, sanno anche che siamo una squadra nuova. Però a loro piacerebbe molto conoscerci e farci giocare insieme agli altri ragazzi. Che ne dite? Vi piace l'idea? E soprattutto, mamme: siete d'accordo? " La mamma di Andrea intervenne con una domanda fondamentale: " Quando sarebbe questo torneo? Dobbiamo partire per le vacanze fra non molto ". " Il torneo è fra due settimane. Siete tutti ancora a casa in quel fine settimana? " Le mamme presenti fecero un cenno con la testa, guardandosi l'un l'altra un po' stupite. I ragazzi si voltarono quasi simultaneamente cercando ognuno la sua mamma e cominciarono a supplicarle perché dicessero di sì. " Un attimo! " , disse la madre di Giacomo cercando di riportare un po' d'ordine. " Credo che valga per tutti il discorso per cui dobbiamo chiedere prima ai nostri mariti se sono d'accordo. E poi penso che ci sia bisogno anche di parlare di qualche dettaglio in più. Ad esempio trasporto e dotazione necessaria ". " Avete ragione. Facciamo così: ora andate a casa e cominciate a parlare con i papà di questa proposta. Da casa vi manderò per e-mail un riepilogo delle informazioni che avete bisogno di sapere e domenica alla partita mi date la vostra risposta definitiva, d'accordo? ", propose il coach. " Ok, domenica vi daremo una risposta ", rispose la madre di Andrea. I piccoli Bulls salutarono i coach e l'allegro gruppo si disperse per andare finalmente a cenare. La proposta del coach fu accettata all'unanimità. Quel sabato mattina di buon ora la truppa dei Bulls si trovò al solito punto di ritrovo e svegliò con il suo allegro vociare tutto il vicinato.


" Mamma, dov'è il mio zaino? " " Mamma, dove hai messo il mio sacco a pelo? " " Mamma, mi passi il cuscino? " " Ok, ragazzi, venite qui un momento ", richiamò tutti il coach. " Ho sentito fin troppe volte chiamare ' Mamma ' . Intendiamoci bene. Voi siete dei giocatori, e i giocatori si preoccupano delle proprie cose senza bisogno della mamma. Voi dovete sapere cosa avete portato, dove si trova ed esserne responsabili sempre. I più piccoli possono essere aiutati dai più grandi e la squadra deve imparare insieme a risolvere i problemi. Ma ognuno dovrà fare la sua parte, avete capito? " E senza attendere la risposta dei ragazzi si rivolse ai genitori presenti. " Vi prego di aiutarmi in questo compito. E' fondamentale che i ragazzi imparino a cavarsela da soli. Noi saremo sempre qui per loro, se ci sarà qualsiasi problema, qualsiasi dubbio, potranno chiedere a noi. Però devono imparare a diventare responsabili e autonomi. E lo sport è fondamentale in questo, soprattutto lo sport di squadra, dove fare squadra non significa solo giocare insieme. State tranquilli, andrà tutto benissimo e ci divertiremo molto. Vi aspettiamo domani a Verona per vedere le partite. Abbiamo bisogno del vostro tifo! " Il coach sorrise e le mamme si rilassarono un po'. Non sarebbe durato molto, le mamme si preoccupano sempre, ed è giusto così. Ma avevano due persone di cui fidarsi: questo era l'importante. " Ok, ora salite sui pullmini, dai! Ci vediamo a Verona dopo le partite! " , disse la mamma di Andrea abbracciando il figlio. " Ciao mamma! Ci vediamo domani! " , esclamarono uno a uno i piccoli Bulls, salendo sui pullmini e prendendo posto per iniziare la loro prima grande avventura con il baseball. Durante il viaggio il vociare dei ragazzi era quasi assordante. Doc e il coach cercarono invano di farli stare tranquilli ma spesso si trovavano a ridere di cuore alle loro storie e alle loro battute. Dopo circa due ore arrivarono a destinazione e trovarono una vera e propria città di tende ad aspettarli subito dopo l'ingresso principale del campo. " Wow! Ma sono grosse queste tende, quanta gente ci può stare lì dentro? ", chiese Mattia sbalordito. " C'è una tenda per ogni squadra. Dormiremo tutti insieme ". " Divertente! ", esclamò Lalla. " Ma io ho paura... " , disse Chicco. " Di cosa hai paura? ", chiese Doc. " Di tutto... se non c'è la mia mamma ", rispose Chicco rattristato. " Capisco, ma cercheremo di farti compagnia noi per questa sera. Saremo tutti insieme, non ci sarà problema. E vedrai che ci divertiremo moltissimo ", rispose Doc con aria rassicurante.


" Forza ragazzi, siamo arrivati. Tra un'ora si gioca la prima partita, dobbiamo fare in fretta a scaricare e sistemarci e iniziare il riscaldamento. Bulls, siete pronti? ", chiese il coach, prendendo in mano la situazione. " Sìììììììììì! ", risposero in coro i ragazzi, che avevano già caricato sulle spalle la borsa e preso sacco a pelo e cuscino per la notte. Le prime partite furono piuttosto difficili. I Bulls incontrarono avversari già esperti per la loro età, ma non si lasciarono abbattere e come sempre si impegnarono a fondo per cercare di fare meglio ogni ripresa. Tutti erano gentili con loro. L'organizzazione era davvero buona e il tempo splendido, con tanto sole e un bel cielo azzurro. La notte in tenda fu una esperienza davvero divertente. I coach avevano organizzato la tenda in modo da mettere le brande a due a due sui lati della grande tenda che era diventata per un giorno la nuova casa dei piccoli Bulls, mentre loro due si erano messi al centro, quasi a dividere i due lati dello schieramento. Non mancarono episodi e situazioni in cui tutti si fecero delle sonore risate e tante furono le cose da imparare in poco tempo, come gestire la mancanza di luce elettrica, organizzarsi per andare a lavarsi, o tenere le proprie cose in ordine in modo da non perderle. I coach aiutavano tutti, ma soprattutto era facile per i ragazzi chiedersi a vicenda un consiglio o una mano per fare qualcosa che non sapevano fare da soli. Alcuni scoprirono solo in quel momento qualcuno dei loro compagni, quelli con cui non parlavano mai perché non c'era mai tempo o perché non erano con loro a scuola. Giocavano insieme da un anno ma non sapevano nulla delle cose che preferivano mangiare o guardare in TV, la musica che sentivano di più, i videogiochi preferiti. Anche Aziz e Chen riuscirono a dire qualche parola in più, perché c'era più tempo per aspettare che parlassero e quando le parole non riuscivano a spiegare tutto si passava ai gesti o a tutto quello che poteva venire in mente di usare. E tutto questo era divertente e, finalmente, era un vero lavoro di squadra. Arrivò il momento dell'ultima partita del torneo. I Bulls giocavano la finalina 5 - 6 posto contro un'altra squadra giovane come loro e ai loro occhi quella era diventata improvvisamente la Finale della Coppa del Mondo. " Quelli li facciamo neri! ", disse Matteo con una grinta mai vista prima. " Sì, non sono capaci di giocare! ", aggiunse Andrea. " Sì, ma nemmeno noi siamo tanto capaci, perdiamo sempre! ", sottolineò Burghy, cercando di riportare la squadra alla realtà. " No, questa volta ci riusciremo, perché possiamo batterli! ", ribadì nuovamente Matteo, che come capitano aveva il compito di trascinare la squadra. " Bene, vedo che siete decisi a dare battaglia. E battaglia sia! ", rispose il coach. " Cercate solo di stare concentrati e soprattutto di giocare insieme. Ricordatevi: questa è la sola forza che abbiamo: essere una squadra unita ", disse l'allenatore porgendo una mano tesa in


mezzo al gruppo dei ragazzi. Era il segnale: tutte le mani si impilarono una sull'altra e al 3 esplosero tutte verso l'alto al grido di guerra " BULLS! ". La battaglia poteva cominciare. La partita dimostrò di essere molto equilibrata. Le due squadre si inseguivano continuamente nel segnare i punti, il risultato era sempre più o meno in pareggio. Erano davvero due squadre dalle caratteristiche simili. Alla quinta ripresa, sul punteggio di 8-8 i Bulls riuscirono a segnare ben due punti grazie ad una battuta valida di Matteo e ad un errore dell'esterno centro che lasciò passare dietro la palla. Chicco, che era già arrivato in base con una base per ball, poté dunque correre a casa per segnare il punto e Matteo fece in tempo a fare il giro delle basi prima che la palla fosse recuperata dal fondo del campo e tirata a casa base. Sul punteggio di 10 a 8 i Bulls iniziavano dunque l'ultima difesa con Mattia in pedana di lancio. Mattia era il secondo lanciatore, il primo era Andrea, ma aveva esaurito il numero di lanci che poteva fare in una partita e aveva dovuto essere sostituito da Mattia. Si sa che tra il lanciatore e il ricevitore deve esserci una buona intesa per poter riuscire a controllare bene i lanci e mettere in difficoltà i battitori. Mattia era un lanciatore meno preciso di Andrea e Matteo non era molto contento di questo, perché per lui significava dover fare molta più fatica e spesso dover correre dietro a prendere i lanci sbagliati di Mattia. Questa ripresa, però, era decisiva. Bisognava fare tre eliminati prima che gli avversari segnassero due punti e pareggiassero l'incontro. L'allenatore vide la tensione sul volto del suo ricevitore e chiamò l'arbitro: " Arbitro, tempo! ". L'arbitro sospese momentaneamente il gioco e il coach si avvicinò alla pedana di lancio chiamando a sé solo Mattia e Matteo per una breve comunicazione. " Ragazzi, cosa c'è? ", chiese l'allenatore con pazienza. " Niente... ", rispose Mattia guardando dappertutto tranne che negli occhi dell'allenatore. " Speriamo che tiri bene la palla! ", disse Matteo spazientito. " Matteo, ricordati che lanciare non è per niente facile, ancora di più quando ti guardano tutti e si aspettano tutti qualcosa da te, vero? ", chiese girandosi di scatto per incrociare gli occhi di Mattia. Questi, preso di sorpresa, non poteva che ammettere che era così: tutti lo guardavano, tutti volevano che lui finisse la partita, così avrebbero vinto. Ma lui sapeva di non essere molto bravo e aveva paura di sbagliare. " Ascoltate, la cosa più importante è che lavoriate insieme. Nessuno dei due può fare nulla senza l'altro. Ma soprattutto la squadra ha bisogno di voi, insieme. Non importa cosa succederà, giocate ogni lancio come se fosse quello più importante. E divertitevi a farlo, così non penserete ad altro. Conto su di voi, mettetecela tutta, andrà tutto bene ", disse il coach passando la mano sulla testa di Mattia e dando una pacca sulla spalla a Matteo. Ritornò poi alla panchina incrociando le dita che le sue parole potessero avere effetto sui due ragazzi. La ripresa fu ricca di colpi di scena e di belle azioni di gioco. I Bulls riuscirono a realizzare due eliminazioni ma nel frattempo gli avversari avevano segnato un punto e avevano portato il punto del pareggio e della vittoria rispettivamente in terza e seconda base. Mattia sentiva una grande pressione su di sé. Non poteva sbagliare, altrimenti sarebbe entrato il punto e poi sapeva che non sarebbe riuscito a impedire che segnassero anche quello successivo. Era davvero una situazione difficile.


Il battitore successivo era il ricevitore della squadra avversaria, che chiese tempo per togliersi gli schinieri. Matteo ne approfittò per fare tre passi verso il suo lanciatore. Guardandolo negli occhi gli disse: " Forza, che ce la facciamo. Metticela tutta, io sono qui ". Mattia si sentì rincuorato da queste parole e riprese la via della pedana con la testa un po' più alta. Forse ce l'avrebbero fatta. Insieme. Tutti i compagni gridavano, Doc dalla panchina ricordava il gioco in prima base, i genitori fuori gridavano FORZA BULLS! Sembrava di essere allo stadio, almeno così sembrava a Mattia. I primi due lanci arrivarono alti ed esterni. Matteo fece delle vere acrobazie per fermarli, riuscendo a non far passare la palla dietro di sé. Era determinato a fare tutto il possibile, ma quanto ancora avrebbe resistito? Il coach fece un passo fuori dalla panchina e cercò l'attenzione di Mattia: " Cerca di respirare, pensa bene. Comunque, stai sempre pronto a scattare a casa base se Matteo perde la palla. C'è un punto da fermare! ". Mattia sentiva le ginocchia cedere sotto di lui. Cercò di stringere la palla più forte nella mano e di ripetersi che poteva farcela. Iniziò il movimento di lancio, cercando di spingere bene per fare arrivare la palla veloce, ma la palla gli restò nella mano e prese una traiettoria altissima sopra la testa di Matteo. Oh no! Un lancio pazzo! Cercò subito di riparare correndo a casa base. Matteo intanto si era girato di scatto e si era lanciato all'inseguimento della palla impazzita. Raccolse la palla in fretta ed eseguì un tiro corto e veloce come gli aveva insegnato il coach. Mattia era lì, davanti al piatto e aspettava il corridore che stava tentando il tutto per tutto per segnare il punto del pareggio. La palla arrivò nel guanto un attimo prima del piede del corridore che Mattia riuscì a toccare a bruciapelo. " OUT! Ballgame! " esclamò l'arbitro esaltato dalla entusiasmante giocata dei Bulls. I Bulls avevano vinto la loro prima partita e la loro finale. Tutti corsero ad abbracciare Mattia e Matteo e fecero festa come per la vittoria della Coppa del Mondo. Doc e il coach si guardarono soddisfatti e si abbracciarono forte, ringraziando in cuor loro i piccoli Bulls per le emozioni che avevano vissuto in tutto quel primo incredibile anno di lavoro insieme. Dopo il saluto tra le squadre i Bulls si avvicinarono alla recinzione per salutare le mamme e i papà che non riuscivano a trattenere l'entusiasmo. Era finita la prima stagione, ma tutti erano certi di una cosa: era solo la prima di molte altre.


Dicembre 2014

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