VeDrò 2008 - Future in the past(a)?

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FUTURE IN THE PAST(A)? L’Italia dai luoghi comuni ai luoghi futuri.

working group


FUTURE IN THE PAST(A)? L’Italia dai luoghi comuni ai luoghi futuri.


working group

sommario

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VED-RETE

La rete logora chi non la fa.

coordinatore

Alberto Castelvecchi editore

relatori

Lelio Alfonso docente di Informatica applicata al giornalismo, UniversitĂ di Parma Fabiana Cutrano Relazioni Esterne e Business Developer Rai Trade Alex Giordano docente di Marketing Creativo e fondatore di Ninjamarketing.it Marco Pancini European Policy counsel, Google Italia Giuseppe Riva professore di Psicologia e di Nuove tecnologie della comunicazione, UniversitĂ Cattolica di Milano


Le nuove dinamiche di circolazione delle esperienze e delle conoscenze, e l’espansione rapidissima di reti di interazione orizzontali a danno di catene di comando piramidali, ci portano a dire che oggi la rete non è solo uno strumento di scambio e di crescita, ma anche la principale matrice di nuovi comportamenti/orientamenti, e forse il nuovo luogo di creazione di élites e leadership. La vertiginosa ascesa politica di Barack Obama è solo uno degli eventi più visibili per le cronache, ma ci dà un ottimo spunto per riflettere. Ai vecchi meccanismi di selezione per merito/cooptazione-per-appartenenza, si affianca e si amalgama la capacità di scambio e fertilizzazione di conoscenze, la dinamica rapidissima di circolazione di nuovi passaparola, la reinvenzione stessa di un’idea di coesione sociale e responsabilità politica. Per quanto ne sappiamo adesso, le nuove forme della conoscenza “liquida” sfuggono alle vecchie arti di manipolazione e propaganda. Non è detto che questo “vuoto di potere” durerà per sempre. Centinaia di aziende e istituti di ricerca sono già all’opera per capire come sia possibile “indirizzare” i flussi di informazione e di visibilità in rete. Ma per adesso, quel che sappiamo è che: a) nessun leader può prescindere ormai da una nuova strumentazione delle conoscenze qual è quella fornita dalle reti; b) la predicibilità dei comportamenti collettivi si è ridotta, e sempre più le comunità appaiono auto-dirette; c) ciononostante, la rete non affossa, bensì esalta nuove leadership carismatiche, performanti sul piano comunicativo/ empatico, capaci di aggregare interazione e nubi di scambio, piuttosto che consenso; d) non vi sarà delega senza partecipazione, intesa come scambio comunicativo; e) il leader si muove in una costellazione di reticolati semantici, aggregati di senso, stimoli comunicativi. La metafora della leadership come meta-motore di ricerca è forse la più efficace: una nuova abilità di interpretare non solo i dati politici e macro-economici, ma di leggere le reti di comportamenti comunicativi e le aggregazioni tematiche intorno a “issues” che le comunità creano ed aggregano in continuazione (social networking come nuovo territorio di elaborazione del dibattito politico); f) la circolazione di conoscenze e la co-generazione dei saperi è il nuovo modello di etica sociale in formazione; g) le reazioni polemiche assomigliano sempre più ad improvvise aggregazioni di anticorpi intorno a zone critiche della conoscenza. Vengono attaccati collettivamente tutti coloro che non mostrano alcun rispetto per l’etichetta, per l’etica sostenibile, per la libertà di scambio di idee ed esperienze, tutti coloro che cercano di “vendere” piuttosto che di “comunicare”; h) l’enfasi è sulla “generosità e disponibilità di contenuti”; i) comportamenti premianti vanno verso che è aperto allo scambio; j) le reti e le comunità funzionano in modo delicatissimo e complesso, ma presentano sempre visioni di sintesi estremamente stringate;

k) la tematica globale / locale è superata: oggi il drive è rappresentato dalla qualità e dalla continuità della connessione; l) la connessione è prevalentemente orientata a favorire ed accompagnare la mobilità di soggetti, idee, simboli, merci. La rete fissa tramonta a favore del wireless; m) ogni individuo è un “mobile hub”, un crocevia di scambio comunicativo in movimento; n) la stessa progettazione di spazi pubblici e privati viene completamente ridisegnata da questa nuova comunicazione per “flussi”; Insomma: la capacità di stabilire “connessioni di flusso”, e di aggregare “costellazioni di significato”, che potremmo definire nuovo carisma della leadership, è divenuta la vera nuova tematica in discussione, e peserà non poco sul ricambio, non solo generazionale ma cognitivo, delle classi dirigenti. di Alberto Castelvecchi


Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del primo working group VED-RETE Alberto Castelvecchi

Marco Pancini

Alberto Castelvecchi (Roma, 1962), linguista, filologo per formazione, è un editore italiano. Cresciuto a Bangkok, ha compiuto studi di filologia e linguistica. Dopo il servizio militare nei Carabinieri, ha lavorato alla RAI, occupandosi di programmi culturali per Radio Tre e Radio Due. Ha collaborato al Messaggero e a la Repubblica. Ora scrive su Panorama. Nel 1993 fonda, sull’onda di Internet, dei cibernauti e della nuova cultura giovanile che si muove tra il Web e i centri sociali, la casa editrice che porta il suo nome, specializzata in nuove tendenze e culture emergenti. Insegna storia dell’editoria all’Università della Tuscia di Viterbo.

Marco Pancini è European policy Counsel per Google Italia. Nato a Roma, si è laureato presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, con una tesi sulla Pubblicità comparativa (Diritto Industriale). Avvocato dal 2000, ha svolto l’attività forense per quattro anni ed è stato consulente legale - dal 1998 al 2001 - dell’Agenzia di pubblicità Milano & Gray (Gray Advertsing Group). In eBay dal 2001, ha partecipato alla start-up di iBazar, il primo sito di aste online lanciato in Italia, come consulente legale, per poi entrare a far parte del team di eBay Italia dopo l’acquisizione di iBazar, diventandone Legal manager dal 2002.

Lelio Alfonso

Giuseppe Riva

Lelio Alfonso, giornalista, è docente di Informatica applicata al giornalismo presso l’Università di Parma. Si è laureato in Scienze politiche all’Università di Genova. È stato vicedirettore della Gazzetta di Parma. Dal 2006 al 2008 è stato il responsabile per la comunicazione istituzionale della Presidenza del Consiglio.

Fabiana Cutrano

Fabiana Cutrano è Business Developer e responsabile Relazioni Esterne di Rai Trade. Svolge da circa 10 anni attività di consulenza in Comunicazione e Organizzazione per numerose società italiane, ideando e sviluppando in particolar modo progetti di brand communication, piani di change management, iniziative di co-marketing e partnership strategiche. Ha fondato e coordinato per 4 anni il Master in Comunicazione e Organizzazione Master.Cor della Sapienza Università di Roma, dove attualmente insegna come Professore a contratto Gestione delle dinamiche di gruppo e comunicazione interpersonale.

Alex Giordano

Alex Giordano, salernitano, è strategic planner e docente di marketing creativo presso numerose scuole di formazione pubbliche e private, tra cui l’Accademia di Comunicazione, l’Università Bocconi, Il Sole 24 Ore, l’Università di Salerno, l’Uninettuno, l’Universidad de la Habana. Pionere della Rete, è tra gli autori - con lo pseudonimo di Luther Blissett - di molte “malefatte mediatiche” degli anni novanta. Organizzatore di eventi culturali, autore e speaker radiofonico, ispettore di produzione (Rai, Telemontecarlo e Mediaset), direttore artistico di etichette musicali, giornalista, esperto di comunicazione, formatore. Completata la sua formazione con il Master in Marketing e Comunicazione d’Impresa, come strategic planner si dedica alla pianificazione strategica di eventi e campagne pubblicitarie per agenzie ed istituzioni, privilegiando progetti legati alla solidarietà ed allo sviluppo sostenibile. Nel 2005 ha creato NinjaMarketing.it, il primo osservatorio italiano sul marketing non-convenzionale.

Giuseppe Riva (Milano, 1967) è professore di Psicologia della Comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano e docente di Psicologia Sociale dei Media, di Psicologia e Nuove Tecnologie della Comunicazione presso la stessa università. Coodinatore del progetto di ricerca europeo “Vepsy Updated - Virtual Environments in Clinical Psychology”, e coordinatore dei progetti di ricerca europei Vrepar “Virtual Reality Environments in Psycho-Neuro-Physiological Assessment and Rehabilitation” e Vrepar 2. Associate Editor della rivista internazionale “CyberPsychology and Behavior” e Content Editor della rivista internazionale “International Journal of Virtual Reality”. Membro dell’American Psycholgical Association e della New York Academy of Sciences. È inoltre ricercatore presso il laboratorio di Neuropsicologia applicata dell’Istituto Auxologico Italiano, a Milano.



LEGAMI SLEGATI

L’individuo tra amore, mercato ed etica.

coordinatore

Patrizia Ravaioli direttore generale Lilt

relatori

Barbara Carfagna giornalista TG1 Emanuele Caroppo psichiatra, professore di Psicopatologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma Paola Concia deputato della Repubblica Roberto Marchionni direttore generale di Saatchi & Saatchi per l’Italia Andrea Olivero presidente nazionale Acli Francesco Russo professore di Storia dell’Educazione, Università di Udine


La famiglia è uno degli istituti sociali più discussi e controversi, soggetta continuamente a un alternarsi di spinte innovative e disgregatrici che ne hanno spesso modificato la struttura e la natura. Negli ultimi venti anni nel nostro Paese le seconde nozze sono più che raddoppiate, con la conseguenza che la società italiana, ancora molto ancorata al concetto tradizionale di famiglia, è chiamata a fare i conti con i cambiamenti che questo comporta. Aumentano le cosiddette famiglie allargate, nuclei familiari che nascono dall’unione di due persone adulte che portano con loro figli avuti da precedenti relazioni. Secondo i dati Censis presentati alla Conferenza sulla Famiglia, nel maggio 2007, la famiglia italiana è passata per diverse fasi: • Anni ’60: Baby boom – anni di ricostruzione post-bellica, rincorsa a modelli economici di stampo occidentale. Forte distinzione dei ruoli maschili e femminili. Divieto di divorzio e di aborto, una società familiocentrica. • 1975: inizio delle diminuzione della nascite. Effetto correlato alla legalizzazione del divorzio e all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. • Ultimi 20 anni: prevalenza della “dimensione esterna” rispetto alla vita familiare. Matrimoni e figli in età sempre più avanzata. Aumento dei divorzi. Secondo dati Istat, presentati nella medesima conferenza, il numero di matrimoni (250.979 nel 2005) è in diminuzione dal 1972. È in aumento la quota dei matrimoni successivi al primo, il 12,2%. Il numero medio dei figli per donna è di 1,3 e da venti anni l’Italia presenta valori non superiori a 1,4. Separazioni e divorzi sono in crescita, nel 2004 le separazioni legali sono state 83.179 mila e i divorzi 45.097 mila. Le famiglie di uno o due componenti sono il 53,3% del totale. Il 26% sono persone sole, il 27,2% ha due componenti, il 21,3% ha tre componenti, il 18,4% ha quattro componenti e solo il 6,5% ne ha cinque o più. In dieci anni le coppie con figli sono passate da 10 milioni 100 mila a 9 milioni 600 mila. A seguito del divorzio o della separazione, la famiglia cessa di essere mononucleare e diventa plurinucleare. Ai genitori biologici si affiancano i genitori acquisiti attraverso i nuovi legami affettivi del padre o della madre. Oggi sono sempre più diffuse quelle che vengono definite famiglie “a genitore unico”, per indicare il nucleo formato dal genitore affidatario e dal figlio dopo un divorzio, e la cosiddetta “famiglia ricostituita”. Un nucleo in cui almeno uno dei coniugi, con o senza figli, è al suo secondo matrimonio. Si tratta quindi di un tipo di famiglia che strutturalmente può essere più o meno complesso, e che raggiunge la massima complessità quando entrambi i coniugi hanno alle spalle precedenti matrimoni con figli, e mettono al mondo altri figli nati dalla nuova unione. I rapporti di parentela diventano allora molto intricati, e molto diversi da quelli della famiglia nucleare tradizionale. Aumento anche dei single. Dieci anni fa i single non vedovi erano 2 milioni 138 mila, oggi sono arrivati a 3 milioni 310 mila. Allo stesso modo è in crescita il numero dei monogenitori che da 667 mila di dieci anni fa sono oggi 995 mila. Riflettendo su questi mutamenti, possiamo arrivare a delineare, estremizzando ironicamente alcune tendenze, nuovi profili comportamentali figli della destrutturazione dei legami tradizionali.

1. Sindrome della chioccia Il trasferimento su un vasto numero di relazioni personali dell’attitudine genetica all’allevamento. Piuttosto che dei figli si occupano dell’amica, della madre dell’ amico e del cane della vicina. 2. Sindrome bachelor Sono single sclerotizzati. Eccesso di irritabilità, di autodifesa. Un atteggiamento geloso della propria solitudine e una sostanziale misantropia. Non sopporta il cane del vicino e ucciderebbe il gatto dell’amica e soprattutto non dorme mai a casa del suo amante. 3. Padre/madre seriali Dallo sconvolgimento della famiglia tradizionale fanno derivare l’ansia di avere più famiglie. Sono soggetti che si risposano sempre. Sono quelli che cenano in due case la stessa sera. Persone che stoicamente credono sia possibile riunire il giorno di Natale tutte le loro famiglie intorno allo stesso tavolo e, sfidando il buon senso, cercano di organizzare improbabili vacanze con i figli di più madri ed ex compagne. 4. Famiglia Mulino Bianco Coppie che si sposano e fanno almeno 4 figli (due biologici e 2 adottati) e ne adottano almeno 3 a distanza . La donna molto spesso non lavora, ma si dedica ai figli e alla casa e a qualche attività non profit/volontariato. Siedono felici intorno al tavolo, credono nel dialogo e riescono resistere nel tempo. 5. Single part-time Molto spesso si tratta di uomini. Soggetti che decidono di emanciparsi andando a vivere da soli. La loro nuova casa si trova al piano superiore di quella dei genitori. Il loro frigo è sempre vuoto visto che colazione, pranzo e cena sono preparati dalla mamma. Ovviamente non hanno bisogno di lavatrice e ferro da stiro. 6. Coppie del week-end Coppie che prima di tutto tengono a preservare gli spazi individuali. Ognuno vive a casa sua, durante la settimana entrambi si dedicano a lavoro, amici e hobbies. Il venerdì sera uno dei due prepara la sua borsa e si trasferisce per il week-end a casa del partner per tornare poi, rigorosamente, il lunedì ciascuno alla propria vita. 7. Donna maratoneta Donne sempre di corsa, in ritardo per il lavoro, per la casa, per i figli. Molto spesso vivono da sole e da sole devono occuparsi di tutto. Imparano a convivere con il senso di colpa per il tempo che non riescono a dedicare ai figli e non ricordano più l’ultima volta che sono andate dal parrucchiere. 8. Work a holic single Parola d’ordine carriera-carriera-carriera!!! Uomini e donne che mettono in secondo piano gli affetti. Donne che ignorano l’orologio biologico per quanto riguarda la maternità. Considerano un privilegio non avere legami e hanno un atteggiamento di sfida continua nei confronti della vita. 9. Coppie children-free Coppie di conviventi o anche sposate che decidono di non avere figli. Preferiscono dedicarsi a loro stessi e non sono disposti a fare sacrifici. Hanno apprezzato e condiviso il testo della psicanalista francese Maier “No kids”, poiché i figli costano e uccidono il desiderio.


10. Spurmo Uomini sopra i trenta, rigorosamente single con orgoglio. Hanno raggiunto una certa sicurezza economica ma vedono piano piano scomparire i loro compagni di “merende” che capitolano davanti al matrimonio. Questa improvvisa solitudine li costringe a porsi davanti ad un bivio: arrendersi o resistere. MODALITÀ DI LAVORO Il WG avrà due momenti di discussione: 1. DALL’INDIVIDUO AL MERCATO: centrato sulle implicazioni che questo cambiamento della società ha sull’individuo e sul mercato. Discussant: Barbara Carfagna, giornalista TG1 Roberto Marchionni, Direttore Generale Saatchi&Saatchi 2. DALLA POLITICA ALLE POLITICHE: risvolti etico-normativi. Discussant: Emanuele Caroppo, medico psichiatra Paola Concia, Deputata Pd Andrea Oliviero, Presidente ACLI Francesco Russo, professore di Storia dell’educazione, Università di Udine Prima parte: MEDIA, MERCATO E FAMIGLIA Abstract Roberto Marchionni Comunicazione segmentazione di mercato

Dunque ci chiediamo: In che modo si relazionano le aziende con i nuovi target emersi? Quali sono oggi le macrotendenze che si riscontrano nella nostra società e in che modo si conquistano e fidelizzano? Quanto il mercato influenza i comportamenti? Sono soltanto i modelli presenti nel tessuto sociale a determinare le scelte di mercato o, viceversa, è anche il mercato che determina e rafforza certi target e comportamenti? Seconda parte: DALLA POLITICA ALLE POLITICHE Nella seconda parte Emanuele Caroppo, Paola Concia, Andrea Oliviero e Francesco Russo discutono delle scelte politiche e dei risvolti etici che questo nuovo scenario impone. Come ci si pone di fronte alla scelta di nuove normative che sappiano riconoscere la pluralità degli stili di vita, andando oltre i canoni della famiglia tradizionale? I governi devono assolvere il delicato, ma fondamentale compito di lettura e interpretazione dei nuovi modelli presenti nella società civile. Devono essere in grado di attuare leggi che promuovano e difendano i diritti personali e sociali dei loro cittadini, mettendoli nella condizione di poter perseguire la loro felicità, riconoscendo la centralità dei legami affettivi. • Quali sono le cause che hanno portato a questa situazione? Cosa ci ha portato a non concepire più la famiglia come nucleo sociale di riferimento? L’individuo sembra essere più importante di tutto. È un dato di fatto o nelle condizioni date e l’unica strategia per sopravvivere? • Confrontare la condizione dei 25/35 enni di oggi con quella della generazione dei nostri genitori. Si vive un’adolescenza perenne. Tanti sono i pregi di questa condizione, ma c’è anche qualche difetto. Sembra mancare un orizzonte temporale di riferimento.

Il cambiamento della famiglia e la nascita di nuovi modelli sociali e comportamentali, impone anche al mercato di mutare la sua offerta modellandola sui nuovi bisogni emergenti. Ogni azienda che desidera immettere un prodotto sul mercato deve prima di tutto procedere a una segmentazione del mercato stesso. Una delle variabili da considerare è proprio la tipologia di consumatore: teen ager, terza età, donna incinta, famiglie, single, etc. L’azienda deve capire chi sono i suoi consumatori, cosa vogliono, cosa desiderano acquistare e saper anticipare perfino i loro bisogni.

• Il ruolo dello Stato. Cosa deve fare? Rinunciare alla pretesa di sostenere un modello sociale di riferimento? Adeguare lo Stato sociale alla situazione attuale per creare nuove reti di protezione? Lo Stato deve agire per favorire qualcosa o per attenuare gli squilibri che si creano nella società?

• La pubblicità è comunicazione commerciale a pagamento e cioè ha come unico scopo vendere prodotti e servizi e/o migliorare l’immagine di aziende e marche.

• In che contesto vivranno i nostri figli? Che genitori avranno? Quali saranno i corpi intermedi della società che influenzeranno di più il loro percorso di formazione?

Per questo la pubblicità deve essere apolitica, apartitica e laica. La pubblicità non crea tendenze, mode, modelli di consumo e comportamento: fotografa la realtà e i cambiamenti in atto cercando interpretarli commercialmente. Le aziende non investirebbero mai decine, talvolta centinaia, di milioni di euro per raccontare una propria visione della società: rischioso e non utile sotto il punto di vista del ritorno dell’investimento.

di Patrizia Ravaioli

• Quale realtà stiamo fotografando quando parliamo di una delle più grandi protagoniste della pubblicità, la famiglia? Un progressivo e inesorabile smottamento di quella che fino pochi anni fa sembrava una realtà immutabile: la famiglia Mulino Bianco. Non che questa sia morta ma sempre più, e ce lo dicono gli stessi consumatori di Mulino Bianco, inadeguata a raccontare i cambiamenti ormai in atto nella società reale. Ed ecco comparire, cominciando a seguire quanto ormai in Europa è sempre più comune, famiglie di “dinks” (double incombe no kids), di separati, gay.

Abstract di Emanuele Caroppo Acqua, ossigeno e bombe a idrogeno ovvero gli effetti “personali” di un legame slegato. Un legame interpersonale che si scioglie produce effetti psicologici che soltanto dopo un’attenta valutazione, anche prolungata nel tempo, ci potranno informare circa la loro natura benigna o maligna. E lo stesso varrà per un nuovo legame che si crea. Ma sia nel primo che nel secondo caso, permanendo a riflettere sul proprio sfondo emotivo, si potrebbero avere chiare indicazioni del futuro che verrà in modo da attuare scelte consapevoli. Ma si ha tempo di fermarsi? E la voglia di caricarsi di un inteso lavoro psicologico di elaborazione di stati problematici? Riusciamo a decifrare i codici affettivi ed emotivi che pervadono il nostro esserci? Conosciamo noi


stessi o ci sforziamo di assomigliare a quello che “dobbiamo” essere? Siamo in grado di non temere di conoscere e farci conoscere dall’altro? Quando il legame interpersonale diadico diventa triangolo con l’arrivo di un figlio gli effetti saranno su tre. La pratica clinica spesso pone in evidenza come un legame slegato possa essere paragonato all’esplosione di Kripton per un neonato che se vorrà continuare a esistere non potrà farlo se non come un Superman. Ogni legame si crea, ogni legame si scioglie, ma la difficoltà odierna è quella di arrivare ad un “vero” legame dove ogni monade, rinunciando al pro-

prio narcisismo esistenziale, sappia annientarsi per rinascere trasformata in molecola: non più idrogeno o ossigeno ma acqua. Difficile veramente, ma così difficile che rapidamente si è allettati dal dire “così fan tutti”, annientando ogni possibilità di critica costruttiva; non ci si interroga in quale direzione ci muove il futuro e che contributo ci è concesso di dare. E domani il sole splenderà alto ma avrà i colori della chimica psicofarmacologica per molti. Ma anche questo ormai forse è routine.

Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del secondo working group LEGAMI SLEGATI Patrizia Ravaioli

Patrizia Ravaioli è direttore generale della Lega Italiana per la Lotta contro i tumor, presidente dell’Associazione Pimby e membro del Comitato Nazionale del Forum Italiano di Europa Donna. Laureata in Economia e Commerci, già docente in Economia Aziendale presso le Università di Firenze e Pisa, si occupa da 17 anni di Innovazione nella Pubblica Amministrazione. Inizia la propria attività come consulente e formatore alla Scuola di Pubblica Amministrazione di Lucca. Dirigente al Comune di Cascina (PI) torna ad occuparsi di Management Consulting in CONSIEL (Gruppo Finsiel-Telecom Italia) in cui prende la responsabilità della Business Unit della Pubblica Amministrazione Locale. Fino all’ottobre 2006 lavora Enterprise Digital Architects, società nata da una riorganizzazione del gruppo Ericsson. È autrice di numerosi articoli apparsi su Il Sole 24 Ore e di diverse pubblicazioni tra cui ricordiamo l’ultima sulla “Balanced Scorecard e democrazia partecipata negli enti locali”, (editore Franco Angeli,2007). Ha condotto la trasmissione Radio 3 Mondo.

Barbara Carfagna

Barbara Carfagna, giornalista del TG1, lavora nelle redazioni cronaca, TV7 e Speciale TG1 dal 1998. In Rai dal 1995, ha collaborato con diversi quotidiani e settimanali tra cui la cronaca di Roma de “Il Giornale”, “Diario della settimana” di Enrico Deaglio, “Sette” del Corriere della Sera. Laureata in Lettere e Filosofia, diploma di ottavo anno di violino al Conservatorio di S.Cecilia in Roma, ha cominciato a svolgere la professione giornalistica nei giornali locali. Ha svolto attività concertistica e insegnato violino e musica. Dal 1995 lavora in Rai. Nella redazione di Rai due “L’altra Edicola”, e in varie redazioni di “Format” (Mixer e Mixer giovani) diretto da Giovanni Minoli. Dal 1998 al tg1 ha collaborato con la redazione “Prima”-TG1, rotocalco quotidiano condotto da David Sassoli, TV7, Frontiere, Speciale TG1. Dal 2004 è nella redazione cronaca. Dal 2007 conduce l’edizione notturna del TG1 e la rubrica “Italia Italie” sull’immigrazione.

Emanuele Caroppo

Emanuele Caroppo, Ph.D, è medico chirurgo, psichiatra, professore di Psicopatologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, referente del Day Hospital di Psichiatria ASL Roma H2, coordinatore scientifico del Master Universitario di II livello “Migrazione, Cultura e Psicopatologia” dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Tesoriere della sezione regionale laziale della Società Italiana di Psichiatria, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali.

Paola Concia

Paola Concia è deputato della Repubblica tra le file del PD e membro della Commissione Giustizia. Abruzzese, 44 anni, è insegnante di educazione fisica e laureata in scienze motorie. Nel 1994 ha cominciato a lavorare alla Camera come assistente parlamentare, poi nel 1996 è stata consulente al Ministero per le Pari Opportunità con Anna Finocchiaro. Nel 1998 è stata consulente per lo sport con Giovanna Melandri ed è tra le fondatrici di EMILY in Italia, associazione che promuove la presenza delle donne nella vita pubblica. Nel 2001 è tornata all’attività di manager sportiva lavorando per anni all’organizzazione degli Internazionali di tennis e poi dal 2006 fino all’elezione in Parlamento è stata presidente dell’Agenzia Regionale dello Sport della Regione Lazio. È attualmente vice presidente di D52, un’associazione che promuove un maggiore protagonismo delle donne nella vita pubblica e del mondo del lavoro. In Parlamento si occupa di diritti civili e della presenza delle donne nelle istituzioni, di sport e di giovani, e della Puglia, la regione dove è stata eletta.

Roberto Marchionni

Roberto Marchionni, è il direttore generale di Saatchi & Saatchi per l’Italia. In Saatchi & Saatchi dal 1986, è stato vice direttore generale della sede di Milano e Direttore Generale della sede romana.

Andrea Olivero

Andrea Olivero (Cuneo nel 1970). È presidente nazionale Acli. Laureato in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Torino, è insegnante di ruolo di latino e greco. Dopo un percorso nell’ambito del volontariato e dell’associazionismo cattolico, all’inizio degli anni ‘90 entra nel mondo delle Acli. Nel 1992 è stato tra i promotori di Ipsia (Istituto pace, sviluppo e innovazione Acli) di Cuneo, seguendo un importante progetto di cooperazione internazionale in Bosnia Erzegovina e alcuni progetti in Kenya e Brasile. È stato presidente provinciale delle Acli di Cuneo dal 1997 al 2004 e nel biennio 2003-2005 è stato presidente dell’Enaip del Piemonte, uno tra i più importanti enti formativi della regione. A maggio 2006 è stato eletto presidente nazionale delle Acli, dopo circa due anni da vice presidente con delega al welfare. Sempre nel 2006 è diventato Presidente del Patronato Acli e Presidente della FAI (Federazione Acli Internazionali). Attualmente è anche membro del Forum del Progetto Culturale della Cei, oltre che componente dell’Osservatorio nazionale sull’Associazionismo promosso dal Ministero della Solidarietà sociale.

Francesco Russo

Francesco Russo (Trieste, 1969), è professore associato di Storia dell’Educazione e Politiche Internazionali della Formazione presso l’Università degli Studi di Udine e direttore dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain, Sezione Friuli-Venezia Giulia. Giornalista pubblicista, è stato consulente della Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche dell’istruzione e della formazione. Laureato in Scienze Politiche, è membro del Consiglio di Amministrazione del Trieste Science Center, membro del Consiglio di Amministrazione del Consorzio per lo sviluppo internazionale dell’Università degli Studi di Trieste, membro del Consiglio di Amministrazione dell’AREA Science Park, Trieste e membro del Consiglio di Amministrazione dell’Università di Trieste.


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FELICI AD OGNI COSTO Dal PIL alle relazioni umane: una nuova lettura dell’economia.

coordinatori

Luca De Biase giornalista e scrittore, responsabile di Nòva24 del Sole 24 Ore Monica Fabris sociologa, presidente di GPF

relatori

Francesco Boccia economista, deputato della Repubblica Paride De Masi presidente Italgest Giovanni Pizza professore di Antropologia, Università degli Studi di Perugia Renata Polverini segretario generale UGL Alessandro Schiesaro professore di Letteratura latina, Sapienza Università di Roma


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L’idea di questo working group nasce da una constatazione ormai diffusa: nell’economia post-industriale (economia dell’informazione, della conoscenza, della globalizzazione) la crescita economica di una società non può più essere misurata con indicatori come il Pil, che registrano solo “ciò che ha un prezzo” e che si rivelano all’analisi quantitativa. Nuove dimensioni emergenti a carattere qualitativo e inerenti sfere non monetizzabili o non monetizzate stanno assumendo un rilievo sempre maggiore.

2. si riconoscono i fallimenti del modello: dal tema ambientale all’aumento delle disuguaglianze al venir meno dell’equazione concorrenza = libertà di mercato ecc. Qui lo spettro di tematiche da valutare si amplia, mettendo in discussione l’intero modello di sviluppo sociale ed economico adottato fino ad ora per abbozzare i lineamenti di un paradigma nuovo e dai contorni ancora incerti.

Il problema è che fino ad ora i legislatori e l’intero sistema hanno adottato un modello di lettura economico che oggi si lascia sfuggire importanti fenomeni. Di fatto il compito più urgente, che ha assorbito il lavoro teorico di economisti come Sen, Easterling, Kahneman, è una ridefinizione critica della scienza economica.

D’altra parte il contesto storico è radicalmente cambiato rispetto a quello in cui era stato definito lo statuto epistemologico della scienza economica. Se un tempo si partiva dall’assunto per cui ‘il compito dell’economista è quello di indagare sulla scarsità dei beni materiali e sui modi di moltiplicarli’ oggi l’esubero delle merci e la saturazione dei consumi riporta a tutt’altra finalità. I nuovi beni scarsi sono immateriali: tempo, attenzione, creatività ed eccellenza.

Allo studio di nuovi indicatori e nuove metriche e all’integrazione di nuove tassonomie e nuovi indicatori (distribuzione delle risorse, speranza di vita, sicurezza, livello di istruzione e così via) si associa una riflessione più radicale e profonda.

Ci sono limiti fisici, ambientali, tecnologici, culturali e sociali che mettono in discussione l’idea di crescita illimitata: lavorare sempre di più, avere utili in costante crescita, consumare all’infinito.

La concezione di economia che ha accompagnato l’epoca industriale si è radicata su un’idea originaria non più attuale: • l’economia come spazio intellettuale assolutamente indipendente dal sociale e dal culturale; • una linea di riflessione che separa i mezzi dai fini (non occupandosi dei fini); • un’idea di persona scomposta nei suoi aspetti funzionali: consumatore, lavoratore, risparmiatore (…): una ‘sezione’ che distacca la razionalità (e la logica dell’utilità da essa promossa) dal resto delle tensioni umane; La crescita economica così come fino a poco tempo fa veniva intesa secondo questo modello teorico di fatto produce evidenti contraddizioni: • la parte più povera della popolazione mondiale è cresciuta dal 1994 al 2005 di 700 milioni di persone. Due miliardi e 800 milioni di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno; • anche l’aumento del reddito pro capite, la dove presente, è assorbito dall’aumento dei bisogni (es. 10 anni fa la sostituzione di un cellulare avveniva ogni 24 mesi, 5 anni fa ogni 18, oggi ogni 12); • si assiste a nuove forme di povertà ‘occulta’, pervasiva e letale: • i lavoratori del bergamasco secondo un’inchiesta di Paolo Berizzi su Repubblica lavorano 15 ore al giorno per guadagnare 8 euro all’ora e si aiutano con la cocaina; • i ragazzi maschi del Bangladesh hanno una speranza di vita comunque superiore a quella dei loro coetanei neri che vivono nelle periferie americane. Potremmo trovare altri innumerevoli esempi che testimoniano l’evidenza di una nuova dimensione: la povertà dell’opulenza. Questo percorso si scontra inevitabilmente con il mito della crescita, l’ultima delle grandi ideologie messe in discussione dall’evoluzione storica e socioeconomica: 1. si affermano le “aspettative decrescenti”: nostalgia della crescita diventa il mito del declino;

Highlight Nell’economia post-industriale la persona deve tornare a essere considerata in una visione integrata e nel dominio dell’economia dovranno rientrare la sfera sociale e culturale. In una nuova prospettiva la dimensione della crescita va accompagnata a quella della sostenibilità (non solo dell’ambiente, ma anche della socialità e della cultura), la competizione alla cooperazione. È necessario inoltre un confronto teorico stretto con i mutamenti prodotti dalla terza rivoluzione tecnologica. L’economia post industriale deve essere vista in stretta associazione con la crisi dei media di massa. La sua essenza sta nell’affermazione di media personali in cui il pubblico partecipa in modo attivo costruendo nuove relazioni orizzontali e gratuite: l’economia del dono: tempo in cambio di relazioni. Nell’economia dell’informazione il sistema organizzato intorno alla massimizzazione del profitto si trova a confrontarsi con il sistema organizzato intorno all’obiettivo dell’arricchimento delle relazioni. Il valore dei beni che sono oggetto di scambio monetario si ridefinisce spingendo alla trasformazione dei modelli di business tradizionali. Questo è il terreno della nuova cultura emergente della felicità. Il percorso della felicità si situa nel punto in cui si incrociano le storie dell’economia, dei media e della dimensione pubblica. È un orizzonte di riferimento qualitativo, sociale e culturale. Highlight La ricchezza per eccellenza si configura come il tempo gratuito dedicato alle relazioni con le persone. Le relazioni con le persone e la qualità gratuita della bellezza, della verità e dell’equità, del rapporto con il mondo e con gli oggetti sono gli elementi del processo che più di ogni altro sembra legato alla felicità. di Monica Fabris


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Bibliografia Yochai Benkler, The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, Creative Commons, 2006 Daniel Kahneman, Economia della felicità, Il sole 24 Ore, 2007 Castells Manuel, The raise of the network society, Blackwell, 1997 Amartya Sen, Risorse, valori e sviluppo, Bollati Boringhieri, 1992 Etica ed economia, Laterza, 2003 Identità e violenza, Laterza, 2006

Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del terzo working group FELICI AD OGNI COSTO Luca De Biase

Luca De Biase, 46 anni, è giornalista e responsabile di Nòva24 del Sole 24 Ore. Collabora con La Stampa e Panorama, è professore a contratto all’Università di Padova, dove insegna Giornalismo online, e allo Iulm di Milano, dove tiene il corso avanzato di Giornalismo. È amministratore di Walue, società di consulenza creativa per progetti editoriali che utilizzano i nuovi media digitali interattivi. È partner di Walueurope, content provider e società di progettazione focalizzata sull’Europa. È presidente e amministratore delegato di Skillpass, società di formazione.

Monica Fabris

Monica Fabris, sociologa, è presidente di GPF. Laureata in Filosofia all’Università Statale di Milano, nel ‘96 ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Morale all’Università di Vienna e nel ‘98 una specializzazione in Psicologia all’Università di Milano. Dal 1992 è diventata responsabile dell’area qualitativa di GPF, l’istituto di ricerca e consulenza strategica fondato da Giampaolo Fabris nel 1982. Dal 1998 al 2007 è stata membro del board direttivo e responsabile area di ricerche sul Brand (Brand care System) della società. Nel 2007 è diventata presidente di GPF, che di recente è entrata a far parte del gruppo Reti. Esperta di Psicologia dinamica applicata alla metodologia della ricerca sociale, ha collaborato con la cattedra di Teoria e Tecniche della pubblicità allo Iulm e tenuto seminari all’Università Statale di Milano. Si è occupata dei temi della convergenza ed è stata tra la prime ad interessarsi ai consumi in India/Oriente, quando ancora non si intuivano le potenzialità di crescita dei nuovi mercati.

Francesco Boccia

Francesco Boccia dal 2008 è deputato della Repubblica. Laureato in Scienze Politiche con indirizzo economico all’Università di Bari, dopo il master in Business Administration all’università Bocconi di Milano diventa ricercatore alla London School of economics dove si è occupa di Local Government Financing System. Nel 1998 rientra in Italia all’Univesrità Cattaneo di castellanza (Varese) dove dirige fino al 2004 il CERST, Centro di ricerca per lo sviluppo del territorio e insegna come professore associato Economia delle Amministrazioni pubbliche. Nel 2002 è visiting professor presso la University of Illinois di Chicago. Dal 2004 al 2006 è assessore all’Economia del Comune di Bari. Dal 2006 al 2008 è capo del Dipartimento economico della Presidenza del Consiglio dei Ministri; nello stesso periodo è commissario liquidatore della Città di Taranto.

Paride De Masi

Paride De Masi è presidente e amministratore delegato di Italgest. Laureato honoris causa in Economia e Commercio, è esperto di energia da fonti rinnovabili. È vice presidente operativo con delega allo sviluppo di Actelios S.p.A. – Gruppo Falck, presidente del Consiglio di Amministrazione di E.t.a. s.r.l. – Gruppo Marcegaglia, coordinatore nazionale Energia da fonti rinnovabili Confindustria, presidente Comitato Energia Confindustria Puglia. È inoltre docente di Economia dell’Ambiente presso l’Università Europea di Roma.

Giovanni Pizza

Giovanni Pizza è ricercatore presso la Sezione Antropologica del Dipartimento Uomo & Territorio della Università degli studi di Perugia e docente di Antropologia Medica e di Migrazioni: processi e dinamiche culturali. Ha svolto ricerche sul campo in Campania e attualmente ha due terreni di ricerca in Puglia e in Romania. In Puglia sta svolgendo una ricerca sulla reinvenzione del tarantismo e le politiche culturali del Salento. In Romania sta svolgendo una ricerca sui rituali connessi allo sciamanismo e alla possessione. Ha svolto presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi il D.E.A (diplome d’études approfondies) in Anthropologie Sociale et Ethnologie e presso la Sapienza Università di Roma, Dipartimento di studi glottoantropologici, il dottorato di ricerca e il postdottorato in Scienze Etnoantropologiche. È stato per due anni docente presso il Dipartimento di studi glottoantropologici e discipline musicali della Sapienza Università di Roma.

Renata Polverini

Renata Polverini è segretario generale dell’Unione Generale del Lavoro (UGL). Fin da giovanissima si è dedicata all’impegno sindacale nella CISNAL e poi nell’UGL. Nel 1996, è divenuta responsabile delle relazioni internazionali e comunitarie e dal settembre 1998 rappresenta l’UGL nel gruppo II del CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo). Nello stesso anno entra in Segreteria Confederale ed assume la carica di segretario generale della Federazione del Terziario. Dal 1999 al 2005 ha ricoperto l’incarico di vice segretario generale della Confederazione, occupandosi, fra l’altro, delle principali vertenze unitarie degli ultimi anni, dall’Alitalia alla Fiat di Melfi, dalla Thyssen-Krupp di Terni al rinnovo del contratto per il pubblico impiego.

Alessandro Schiesaro

Alessandro Schiesaro è ordinario di Scienze Umanistiche presso la Sapienza Università di Roma, si è formato alla Scuola Normale di Pisa, a Berkeley e a Oxford. È stato professore ordinario di Letteratura latina nelle Università di Princeton e Londra, dove ha diretto per quattro anni il Department of Classico del King’s College. Fa parte del comitato scientifico degli Studi Italiani di Filologia Classica e di Dyctinna - Revue de poétique latine. Dal 2000 è editorialista del Sole-24 ore.


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CREDONO, OBBEDISCONO, COMBATTONO Religioni, identità, politica. coordinatori

Giorgio Benigni funzionario Camera dei deputati Roberto Menotti senior research fellow, International Programs Aspen Institute Italia e consulente editoriale di Aspenia

relatori

Federico Eichberg funzionario Presidenza del Consiglio dei ministri Maurizio Lupi vice presidente della Camera dei deputati Eugenio Mazzarella preside Facoltà di Lettere, Università Federico II di Napoli Marco Scalvini New York University, Ufficio Sherpa G8 Presidenza del Consiglio


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La religione e la politica, le religioni e la politica. A muovere il mondo ci sono anche loro: i valori, le fedi, le ideologie. Sembravano seppelliti una volta per sempre dal pragmatismo razionale e regolatore, dal materialismo consumistico, dalle magnifiche e immanenti sorti e progressive, e invece stanno prendendo di nuovo il sopravvento. La politica incapace di produrre senso si appella alla religione: ecco allora tornare in auge un concetto della modernità come quello di “religione civile” ma totalmente capovolto nel significato. Chi oggi chiede a gran voce l’avvento di una nuova religione civile non lo fa contro il cattolicesimo, come nel ‘900, ma d’intesa con la Chiesa cattolica e sopratutto con le sue gerarchie. Non si tratta allora per il nostro Paese di “esportare la democrazia” ma di importare, per quanto riguarda i rapporti tra religione e politica, il “modello americano”. Quali possibilità di successo per un’operazione di questo genere? I nemici della civiltà occidentale sono i fondamentalismi religiosi o invece il materialismo e relativismo etico? Esiste o no una “questione antropologica” ovvero una mutazione antropologica per cui il mondo contemporaneo avrebbe tradito le sue origini e l’Occidente starebbe negando se stesso? Che fine ha fatto l’idea di progresso? Che fine ha fatto l’idea di modernità? L’occidente è uno solo oppure ne esistono diversi? I destini tra Europa e Stati Uniti sono destinati a divergere? Tony Blair, New York, Maggio 2008: “La fede religiosa sarà per il XXI secolo quello che l’ideologia è stato per il XX” Settembre 1974, Pier Paolo Pasolini scrive: “Dicendo che il recente discorsetto di Paolo VI è storico, intendo riferirmi all’intero corso della storia della Chiesa cattolica, cioè della storia umana (eurocentrica e culturocentrica, almeno). Paolo VI ha ammesso infatti esplicitamente che la Chiesa è stata superata dal mondo; che il ruolo della Chiesa è divenuto di colpo incerto e superfluo; che il Potere reale non ha più bisogno della Chiesa, e l’abbandona quindi a se stessa; che i problemi sociali vengono risolti all’interno di una società in cui la Chiesa non più prestigio; che non esiste più il problema dei “poveri”, cioè il problema principe della Chiesa”. Trent’anni dopo: Sembra Babilonia, è l’Europa di oggi. Quella che predica l’idea relativistica che non esistono valori universali, neppure quei suoi grandi princìpi che hanno civilizzato il mondo. Quella che manifesta per la pace anche quando è fatta segno della “guerra santa” del fanatismo islamico. Quella che per non chiamare i problemi per nome usa il “linguaggio politicamente corretto”. Quella che si dice laica mentre pratica una forma dogmatica e arrogante di ideologia laicista. Un uomo di Stato e un uomo di Chiesa confrontano le proprie analisi sulla situazione spirituale, culturale e politica dell’Occidente e in particolare dell’Europa. E, pur partendo da posizioni diverse, scoprono una sostanziale convergenza circa le cause di questa crisi e i rimedi che potrebbero correggerla. Marcello Pera e Joseph Ratzinger – un pensatore laico e un pensatore religioso – concordano sulla necessità di un rinnovamento spirituale prima che politico: una crescita morale che dia senso allo sviluppo tecnologico, economico, sociale. (da Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam, di Marcello Pera e Joseph Ratzinger, Mondadori)

La politica è ormai incapace di produrre senso e con il senso le parole forti, le parole che mobilitano, le parole che interpretano, le parole che ti interrogano e ti danno speranza. Il pendolo dell’analisi e della speranza che sembrava aver abbandonato la Chiesa ora ritorna a bussare prepotentemente ai suoi portoni: ci si appella alla religione, l’unica riserva di senso che è sopravvissuta. Trent’anni fa il mondo sembrava andare da solo, fare a meno della Chiesa e delle religioni, ora sembra non riuscire a starne senza. I politici non vedono l’ora di andare all’udienza. Torna allora in auge un concetto forte della modernità come quello di “religione civile” ma totalmente capovolto nel significato. È un concetto che nasce con la Rivoluzione Francese allorché ci si rende conto che una nazione non può esistere senza un forte legame spirituale tra i cittadini, che per l’appunto sono cittadini ormai e non più sudditi. A tenere buoni i sudditi aveva provveduto fino ad allora la Chiesa cattolica, ma ora con i cittadini serviva un legame diverso, una diversa religione, la religione della Repubblica: “L’idea dell’Essere Supremo e dell’immortalità dell’anima è un continuo richiamo alla giustizia: essa è quindi sociale e repubblicana” (Massimiliano Robespierre, maggio 1794). Chi oggi invece chiede a gran voce l’avvento di una nuova religione civile non lo fa contro il Cattolicesimo, o in sostituzione di esso, ma invece d’intesa con la Chiesa cattolica e sopratutto con le sue gerarchie. Sono i nuovi “intellettuali organici” del Cattolicesimo, del Cattolicesimo senza aggettivi, del Cattolicesimo Vaticano tout court. Si condanna la Rivoluzione Francese e si guarda con ammirazione a quella Americana, dove la Nazione non è nata contro la Religione ma dalla Religione. Non si tratta allora per il nostro Paese di “esportare la democrazia” ma di importare, per quanto riguarda i rapporti tra religione e politica, il “modello americano”. Quali possibilità di successo per un’operazione di questo genere? E soprattutto: la Chiesa Cattolica rinuncerebbe al regime concordatario, come per coerenza dovrebbe essere portata a fare sposando il “modello americano”? Dall’inizio degli anni ’90 qualcuno ha pensato che la civiltà occidentale avesse dei nemici... Ora noi ci domandiamo chi siano questi nemici se esterni come il fondamentalismo islamico o la civiltà dei Mandarini, oppure interni riassunti e descritti da concetti come il materialismo e relativismo etico, il laicismo. Esiste o no una “questione antropologica” ovvero una mutazione antropologica per cui il mondo contemporaneo occidentale avrebbe tradito le sue origini e l’occidente starebbe negando se stesso? Un segno evidente di questa crisi è la scomparsa dal lessico politico culturale della parola progresso. Già, che fine ha fatto l’idea di progresso? E che fine ha fatto l’idea di modernità? Ma pure il concetto di Occidente non è oggi tanto pacifico. L’Occidente è uno solo oppure ne esistono diversi? È vero come sostiene Kagan che ci siano due principi vitali diametral-


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mente opposti a governare i destini di America ed Europa? I destini di quelli di Marte, gli Usa e di quelli di Venere, gli Europei sono destinati a divergere? Con la crescita della Cina e dell’India il testimone della civiltà ha compiuto il ciclo, ha terminato il giro del mondo, è tornato alle origini, là dove era partito. Se il XX secolo è stato quello americano, il XXI secolo sarà cinese? Ma se la Cina è il futuro non si vede quale futuro possa avere la religione in Cina. I fatti del Tibet sono solo un epifenomeno. La religione sembra inutile al potere cinese. Là forse ancora vale quanto diceva Pasolini. di Giorgio Benigni

Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del quarto working group CREDONO, OBBEDISCONO, COMBATTONO Giorgio Benigni

Giorgio Benigni collabora con la Camera dei deputati, lavora nella comunicazione politica e istituzionale, svolge analisi e studi sui sistemi politici ed economici anche in chiave comparata. È impegnato nell’associazionismo politico specialmente sui temi della cultura e della laicità. Laureato in Scienze Politiche, ha conseguito un Master in Sviluppo Locale. È sposato con Silvia e ha un figlio.

Roberto Menotti

Roberto Menotti è Senior Research Fellow, International Programs, presso Aspen Institute Italia (Roma) e consulente editoriale della rivista Aspenia. Fino a luglio 2002 è stato vice direttore del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI). È membro del comitato editoriale di Limes e The International Spectator. Ha insegnato alla LUISS Guido Carli, John Cabot University, e la Sapienza Università di Roma, oltre ad aver svolto lectures per centri accademici e di ricerca, tra i quali il NATO Defence College e Wilton Park. Dal 2003 ha svolto regolarmente incarichi di consulenza per il CeMiSS (Centro Militare di Studi Strategici). È Membro del “Gruppo di riflessione strategica” istituito dal Ministro degli Affari Esteri nel 2007. Tra le pubblicazioni, Mediatori in armi (Guerini 1999) e XXI secolo: fine della sicurezza? (Laterza 2003). Ha pubblicato su Politica Internazionale, Rivista Italiana di Scienza Politica, Teoria Politica, Limes, Turkish Policy Quarterly, Middle East Quarterly, Journal of International Relations and Development (con Sonia Lucarelli), Survival e Europe’s World (con Marta Dassù).

Federico Eichberg

Federico Eichberg, 37 anni, è dirigente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento analisi strategica). Laureato in Scienze Politiche (indirizzo politico-internazionale) presso la Sapienza Università di Roma, ha conseguito la Specializzazione cum laude in “Advanced Studies in political, economical and social sciences” presso la Notre Dame University (USA) ed il Dottorato di ricerca in Storia e politica dell’età contemporanea presso l’Università di Bologna. Ha ricoperto l’incarico di Capo della Segreteria tecnica del Dipartimento per l’internazionalizzazione (Ministero delle Attività produttive). Ha diretto la fondazione “Fare futuro” e presieduto l’Istituto “Osservatorio Parlamentare”. È autore di numerosi saggi sul tema della S.Sede nelle relazioni internazionali e sul ruolo della religione nell’età contemporanea. È membro del “Gruppo di riflessione strategica” istituito dal Ministro degli Affari Esteri finalizzato all’individuazione degli interessi italiani di medio e lungo periodo negli ambiti internazionali.

Maurizio Lupi

Maurizio Lupi è vice presidente della Camera dei deputati. Giornalista pubblicista, è stato capogruppo di Forza Italia nella VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) e ha in seguito assunto il ruolo di responsabile nazionale del Dipartimento Lavori Pubblici e Territorio.

Eugenio Mazzarella

Eugenio Mozzarella è titolare della cattedra di Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Federico II di Napoli, di cui è stato preside dal 2005 al 2008. Laureato in filosofia, ha insegnato dal 1977 nelle Università de L’Aquila (Estetica), di Catania (Filosofia Teoretica), di Salerno (Storia della filosofia), dal 1993 Socio ordinario dell’Accademia Pontaniana e della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti. Editorialista dal 1976 di varie testate nazionali quali “Il Roma”, “La Repubblica”,”La Voce di Montanelli”,”Il Corriere del mezzogiorno”, attualmente è editorialista de “Il Mattino”; fa parte dei comitati direttivi di numerose riviste scientifiche, di alcune ne è direttore, così come di diverse collane editoriali. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche di rilievo internazionale, tra cui numerosi libri, e nel 1998 ha ricevuto il Premio Capri-San Michele per la saggistica. È inoltre apprezzato poeta, con all’attivo tre raccolte di versi. È deputato al Parlamento e fa parte della Commissione cultura ed istruzione, università e ricerca della Camera.

Marco Scalvini

Marco Scalvini, trent’ anni, collabora con il Dipartimento di Studi Italiani e il Centro di Studi Europei e Mediterranei della New York University dove insegna e lavora alla sua tesi di dottorato su globalizzazione e processi di democratizzazione. Precedentemente ha insegnato al Politecnico di Milano e all’Università di Montreal. I suoi attuali temi di ricerca riguardano i conflitti religiosi e culturali nell’area europea. Ha recentemente pubblicato: “What’s wrong with Muslims? Screening conflict and identity within France and Britain’s suburbia” in Urban Identity and the Challenge of Globalization (Cambridge Scholars Publishing). Sullo stesso tema sono in corso di pubblicazione: “Italian Islamophobia: the Church, the Media and the Xenophobic Right” (Journal of Modern Italian Studies) e “Islamophobia and Elite Discourses: An Italian Specificity in Europe?” (Dutch Journal for Sociology). Inoltre ha svolto l’attività di consulente per l’UNESCO a Parigi e in Palestina, per l’OSCE e l’ONU in Kosovo e attualmente lavora con l’Ufficio Sherpa G8 alla Presidenza del Consiglio.


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ROVINE D’ITALIA

Un Paese ostaggio di un grande passato che non cerca il suo riscatto nel futuro.

coordinatore

Luca Josi Presidente Einstein Multimedia Group

relatori

Francesca Cavallin attrice ed esperta di storia dell’arte Marco Lombardi giornalista Il Sole 24 Ore, critico cinematografico Gianluigi Paragone giornalista, vicedirettore di Libero Jeffrey Schnapp fondatore e direttore dello Stanford Humanities Lab Antonio Scurati scrittore


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Questo gruppo di lavoro non vuole intercettare percorsi salvifici per la nostra società. Non è un seminario operaio impegnato a produrre qualcosa di concreto. Vuole solo approfittare

delle tante riflessioni che persone curiose, disponibili e aperte possono regalare a questo incontro.

Queste stelle sono testimoni di due viaggi, non casuali, dell’uomo.

A destra sono le dieci cinquantasei minuti e quarantatre secondi. È il 20 luglio del 1969, longitudine 23° 42’28’’, latitudine 0° 04’04’’ (2). Questa è la fetta di universo che si riflette sul casco di Neil Armstrong. Siamo sulla luna.

A sinistra: due del mattino, siamo a Guanahani, Bahamas; longitudine 74° 32’00’’, latitudine 24° 00’00’’ (1). È il 12 ottobre del 1492. Il cielo sopra il feltro di Cristoforo Colombo è questo.

Due viaggi verso l’ignoto. Un uomo guida nel nulla l’età moderna. L’altro, quella contemporanea. E, sotto, ne traggono le loro conclusioni: due piante della realtà, distanti meno di 500 anni tra loro.


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Adesso due strade.

A sinistra, una “Quinta strada” del Rinascimento: via Garibaldi, Genova, 1550. A destra, quella di oggi: New York, 2008. E due visioni del mondo loro contemporanee.

Che cosa è successo nella testa del primo popolo? Mentre un tempo disegnavamo e sognavamo terre nuove, oggi Stati Uniti, Russia, Cina e India scrivono le mappe del futuro. Gutenberg consenziente, Il Corriere della Sera del 1550 avrebbe riportato una didascalia con gonfaloni di comuni a noi noti.

La Francia di Sarkozy vuole Marte, vogliono la luna. Noi la guardiamo. Rifuggiamo lo sciovinismo per abbracciare il sordismo. Godiamo delle nostre difficoltà, ci impaniamo nel disincanto discettandoci in lamenti e rivendicazioni. Dello spirito dei naviganti nel mondo sembra essere rimasto solo il mugugno.

Cosa è accaduto tra queste due epoche? Perché economie come l’India e la Cina guardano oltre il mondo e chi ha scoperto quello Nuovo, assiste impotente e depresso? Cosa è successo ai condottieri? Hanno perso il coraggio o vivono della loro auto commiserazione?

Una cultura ha attecchito radici nei nostri pensieri. È quella del catastrofismo comparato. La formula è semplice: si prende l’aspetto peggiore della nostra nazione in un certo settore e lo si paragona con quello di una nazione che in quello stesso campo eccelle. Si ripete l’operazione enne volte confrontando

le nostre mancanze con le eccellenze altrui. Non importa se queste saranno distribuite tra diverse paesi e se quegli stessi, in altri ambiti, risulteranno meno capaci del nostro. Si fotografa così una costellazione di disgrazie che potrebbe, da sola, scongiurare qualunque immigrazione.


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“Mi può parlare della mafia più potente del mondo?”. E Giovanni Falcone deluse la sua interlocutrice: “Mi dispiace signorina, ma purtroppo siamo solamente settimi”. Poi il giudice diede conforto alla giovane giornalista spiegandole le ragioni della sua falsata interpretazione: “vede, il mistero è che la nostra mafia è l’unica che gode di letteratura”. In effetti da Tomasi da Lampedusa a Mario Puzo non ci siamo risparmiati nulla. Cannes 2008, mostra cinematografica. In gara per l’Italia, Gomorra e Il Divo. Due racconti d’Italia: il primo di un’Italia putrida, fuori, nella spazzatura, e l’altra marcia, dentro, nelle istituzioni. Entrambi difendono, a modo loro, un talento. L’Italia torna vincitrice, conquista la palma della disgrazia, della violenza e della capacità di autodenuncia.

Aveva ragione l’Andreotti, quando sottosegretario del Turismo e dello Spettacolo, di fronte al neorealismo di De Sica, Germi, Rossellini sentenziava che “i panni sporchi si lavano in famiglia”? (4)

Gomorra poi, che è non è scrittura ma musica di parole, concede anche speranza: la Campania nasconde una sua operosità, criminale si, ma efficiente; mercatista, globale, concorrenziale. Eversiva ma aziendale. È neorealismo di denuncia. Così come Il Divo. La Francia, con “Entre les mures”, si premia raccontandosi, sempre, per come vorrebbe disperatamente essere. E ci premia, sciovinisticamente, per come, sempre, vorrebbe noi fossimo. (3)

Perché l’Italia, si pensa, sarà sporca ma è sempre bella e gli italiani, meno capaci ma sempre creativi. Ma tutti insieme confidiamo che esista sempre un terzo tempo in cui la nostra superbia genetica, dormiente, riveli quei talenti di condottieri, artisti e fantasisti della storia momentaneamente in congedo.

Ma se questa frase, 50 anni dopo, è ancora politicamente scorretta quale guadagno ottiene una nazione dal contemplare i suoi mali in pubblico o ancor più dall’esportarli se tutto ciò non è strumento di una retorica della speranza, della rivalsa, del lieto fine? (5)

È davvero così o è solo retorica? Cosa ci lega realmente a quel passato e a quella gloria? Non siamo, semplicemente, i musei di noi stessi?

Roma (e l’Italia) mi fanno pensare a quel giovanotto che vive mostrando il cadavere della nonna ai turisti (James Joyce).

di attrarre talenti per raccontare, vestire e tramandare i successi del tempo.

E i giacimenti culturali non sono forse l’immagine più sincera della nostra condizione? Siamo petrolio, non per ricchezza ma per stato di decomposizione storica, oleosamente ricchi dei nostri frammenti e dei nostri saperi.

Oggi siamo conservatori di memorie non nostre, impegnati a tralasciare i segni contemporanei. E chi non coltiva un presente non consegna al futuro un passato ma un trapassato.

Eppure la storia è sempre contemporanea. Gli splendori del passato ricordano una centralità economica, finanziaria e militare ormai svanita. Quel passato ci consentiva

Abbiamo paura di toccare ogni cosa non fidandoci del nostro essere. Blocchiamo la nostra vita di fronte ad ogni reperto senza distinguere, scegliere, rinunciare.


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Ogni nuova opera è una polemica, ogni nuovo tratto, tentativo, affermazione è vissuta come una provocazione, un’ingiuria, un insulto, un’offesa. E allora: abbattere, rimuovere, addrizzare. (6)

Non ricostruiamo il passato per paura di violentarlo e ammiriamo rovine che i loro creatori disprezzerebbero, lasciando al potere dell’oblio la distruzione di tutto ciò che perdendo senso, fascinazione, funzione prima o poi la storia dimenticherà.

Aborriamo nuove sfide per timori d’inadeguatezza, perché non è mai il momento, perché occorre ben altro.

Eppure non esiste avventura architettonica e sfida umana che sia nata sapendo come raggiungere l’altra sponda. La meta. Non lo sapeva Brunelleschi a Firenze prima di iniziare Santa Maria del Fiore, non lo sapeva Joseph Strauss quando comin-

ciò a pensare di scavalcare il Golden Gate, non lo sapevano Wenher Von Braun e gli ingegneri del Saturno V quando John Kennedy lanciò la sfida a graffiare la luna. (7)


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Troviamo coraggio per modellare noi stessi, i nostri corpi, per ricondurli ad un’Idea estetica, ad un’astrazione temporale. Camuffando, alzando, tagliando. Vogliamo fermare il tempo. Anche nella storia. Nasce un conservatorismo del nulla che si offende a pensare un’Italia, non più viaggiatrice, ma solo buon ospite. Venezia lo è da almeno tre secoli. Canaletto ferma su tela una Disneyland del ‘700 già priva di commercio che per sopravvivere commercia sé stessa. Ma se quei governanti, spericolatissimi, che ci consegnarono questo sogno sbiadito si fossero fermati come noi, cosa esisterebbe di questo patchwork di culture, saccheggi, commistioni che è Venezia? E non avrebbero preso coraggio di fronte alle orde del futuro turismo, al mondo intero che vuole la sua notte d’amore in gondola provando a duplicarsi, rinnovando l’arte affidandola ai talenti contemporanei? E i pragmatici antichi romani si sarebbero comportati ugualmente, evi-

Per non parlare dell’inno nazionale. (9) Abbiamo deciso di non inseguire il bello perché ci siamo incaricati di spiegarlo al mondo. Spesso si cresce cercando avversari e stimoli fuori di noi. Oppure si decide di rinunciarci cercandoli al nostro interno. È quello che sostiene Umberto Eco, in una sorta di autodenuncia.

Note: (1) Guanahani, Bahamas, Longitude: 74° 32’00’’ – Latitude: 24° 00’00’’; 10/12/1492 – 2:00 AM (Local); Gaze: Az: 69° 15.573’ – Alt: 90° 0.000’ (2) Moon, 2001, Longitude: 23° 42’28’’ – Latitude: 0° 04’04’’ ; 07/20/1969 – 10:56:43 UT (Local); Gaze: Az: 272° 22.968’ – Alt: 90° 0.000’ (3) “Dopo il Sessantotto la sinistra si è “”ammalata” di irrealtà, di narcisismo, si è creduta moralmente infallibile e ha negato i fatti per difendere le astrazioni: anche in Francia hanno cercato di curare il disagio delle balie con la pedagogia e il buonismo, ma non hanno risolto niente”. Giulia Calligaro per iO 17 maggio 2008. “Io ero orientato verso facce dai contorni forti, facce contadine. Lei invece mi ha spiegato la differenza tra la realtà e l’idea che noi ci facciamo dei camorristi: “Guarda che loro erano così come li immagini tu vent’anni fa. Oggi sembrano figli della De Filippi, si depilano, portano l’orecchino, vogliono assomigliare a Cannavaro”. Così ho cambiato il cast”. Matteo Garrone parla della fidanzata Nunzia a Michela Tamburrino, La Stampa 27 maggio 2008 (il giorno prima, sempre su La Stampa, titolo: “Gomorra” e “Il Divo” trionfa il Malpaese) (4) Intercettata sul lungomare di Cannes, la signora Afef ha manifestato il suo disappunto per la trasposizione cinematografica di «Gomorra» e la biografia andreottiana «Il Divo», che avrebbero il difetto imperdonabile di parlare di mafia e camorra, anziché di rose violini e putipù. I panni sporchi si lavano in

tando di mostrare allo sconsolato turista giapponese quel disperato abuso edilizio della storia che sono le loro rovine? Amerebbero il frigido restauro conservativo vero rebus per illuminati? E perché in Italia non si completa quello che l’arte e la storia hanno lasciato in sospeso (come ogni epoca ha fatto)? (8) Zapatero vive la sua politica nel minimalismo dei suoi giorni affiancato da Picasso, Bush tra le sue aquile continuazione dell’Impero; l’Eliseo si riplasmò con il design di Pierre Paulin e le tele di Delaunay. La nostra Repubblica abita, invece, un palazzo di papi, poi di Re, occupato e presidiato nell’incertezza che qualcuno, dopo il Referendum su monarchia e repubblica, cadesse in confusione. Valletti con divise ottocentesche e cerimoniale curiale fissano l’ibrido incerto del nostro presente. Padroni delle archistar, domini della moda, preferiamo alloggiare ospiti della storia. Meglio se non nostra.

Sarebbe una rivoluzione consegnare e far nascere le istituzioni contemporanee in architetture pensate oggi, per l’oggi, nell’oggi anziché accomodare la democrazia in un comodo trumeau di un’epopea da Oriente Express?

famiglia, ha detto la signora, facendo inconsapevolmente il verso ad Andreotti, quello vero, che commentò con le stesse parole il capolavoro del neorealismo «Ladri di biciclette». È curiosa questa tendenza a considerare i film alla stregua di dépliant turistici. Gli stranieri non scappano dal Belpaese perché gli italiani esportano la loro sporcizia al cinema. Semmai perché non riescono a smaltirla negli appositi cassonetti. Intendiamoci. Trovo insopportabili quei film che raccontano il male per puro compiacimento, mostrando una serie sconclusionata di sbudellamenti al finto scopo di denunciare la violenza, in realtà per attizzare la parte sadica dello spettatore. Ma «Gomorra» e «Il Divo» non sono macellerie gratuite. Rielaborando l’orrore attraverso il filtro dell’arte, producono consapevolezza in chi li guarda (almeno, si spera). Non è compito loro esportare le meraviglie italiane. A quelle dovrebbe dedicarsi un altro genere di film - commedie brillanti e romantiche, ambientate in scenari suggestivi - che purtroppo gli italiani non sanno fare, perché da noi l’unica alternativa al film impegnato resta il film sboccato. O Gomorra o Suburra: sempre panni sporchi, ma i secondi puzzano molto di più. Massimo Gramellini, La Stampa 23 maggio 2008 (5) “Europa è militarmente sguarnita, rinunciataria. Ha un bel ripetersi che “ripudia la guerra”, che ha scelto la “pace”. Dietro questo sospetto partito preso per la “pace” c’è non tanto (non solo) la voglia di risparmiarsi sacrifici: c’è la perdita della convinzione che la propria civiltà merita di essere proposta,


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e persino imposta, al resto del mondo. Noi crediamo di essere superiori, più colti, di aver a che fare con dei semplicioni: e intanto vediamo film americani, ci muoviamo nel mondo su aerei che volano con sicurezza grazie a standard fissati dagli Stati Uniti, in uno spazio mondiale giuridico e politico forgiato dagli americani e reso relativamente sicuro dagli USA, in un mondo in cui i gusti, le mode, i modi di pensare, le credenze sociali, le istituzioni, persino le architetture sono “americane” o cercano di esserlo. La filmografia, forma d’arte assoluta del secolo, e tipicamente americana, è vivace in USA. I francesi se ne adontano, gridano che è un monopolio sleale; e, loro, fanno film semplicemente inguardabili, piccole storie, microscopiche vicende “intime” o narcisistiche che non interessano, non danno speranze, non fanno discutere. Non è un caso: il cinema come forma d’arte è un’epica, o favola epica; e l’Europa ha rinunciato all’epica.” Maurizio Blondet (6) L’Italia delle demonizzazioni: contro le autostrade, le metropolitane, i grattacieli, la tv a colori e negli anni ’80 contro i telefoni cellulari. Filippo Facci, Il Giornale 27 maggio 2008

(8) Carlo Aymonino e il Colosso

Gino De Dominicis e la ricostruzione del Colosseo

Acrolito della centrale Montemartini originariamente eretto in largo Argentina

L’acrolito di Costantino un tempo posizionato nella basilica di Massenzio

Ricostruzione tempio di Venere e Roma

(7) Camilleri: e facimulu, ‘stu ponti. Camilleri e il ponte sullo stretto di Messina. Quando l’idea iniziò a circolare con il governo Berlusconi ci furono reazioni assurde, come quella di chi vedeva nel ponte una fonte di lavoro per la mafia. Un riflesso paralizzante e castrante. Sarebbe come a dire che non bisogna aprire un negozio perché poi c’è il rischio di pagare il pizzo. Non è importante poi ricordare chi ha sostenuto che il Ponte sullo Stretto sarebbe stato “un ponte tra due deserti”. Gioia Tauro, oggi considerato uno snodo fondamentale dalla Cina, all’inizio era considerato una “cattedrale nel deserto”. La verità è che le cattedrali nel deserto servono. Se costruisci qualcosa, poi, è un po’ meno deserto. Un’opera del genere, finché non c’è, non è utile. Ma se c’è diventa subito utile … C’è questa idea tutta romantica e tormentata di prendere il ferry boat, mangiare gli arancini … c’è un vero e proprio tabù ancestrale, questo volere non violare la sacralità dell’acqua con lo stupro del ponte. Ma allora chi non vuole il ponte prenda una bella barca a remi, con una bella “femminota”, come nel romanzo di Stefano D’Arrigo”. il Riformista, 14 dicembre 2006


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Ares Ludovisi e intervento Bernini.

(9) “Il mio sogno è sempre stato reinterpretare l’inno di Mameli. L’ho realizzato per Cefalonia, il film per la tv: una versione più lenta, solenne. Ma quando diressi al Quirinale il cerimoniale mi bloccò. Tempo prima un consigliere di Ciampi era venuto a chiedermi un parere sull’inno. Risposi che musicalmente non vale l’inno francese, tedesco, russo; anche se per noi ha un valore

simbolico che riguarda il nostro Risorgimento. E proposi un concorso tra compositori per scrivere uno nuovo; ma precisai che ci sarebbero volute tre commissioni per selezionare testi e musiche. Non se ne fece nulla. L’Inno di Mameli by Morricone, intervista a Ennio Morricone di Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 3 dicembre 2007


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FOCUS Il nuovo racconto dell’Italia di Antonio Scurati Il modo in cui raccontiamo la realtà sociale contribuisce a modificarla. E non solo perché influisce sulle rappresentazioni collettive ma anche perché orienta l’agire collettivo. Per un verso, al livello della percezione di realtà, nella tarda modernità la possibilità di percepire i processi di vasta portata, temporale o spaziale, si sottrae sempre più all’esperienza diretta dell’individuo – il quale può dunque percepirsi come membro di una società, o come parte della Storia, soltanto grazie alla mediazione di un racconto o di una rappresentazione artistica; per altro verso, la stessa azione sociale viene informata e orientata da schemi narrativi: da sempre, infatti, gli uomini agiscono in forme consone al modo in cui immaginano che la loro storia verrà raccontata. I regimi di rappresentazione della realtà sociale non devono, dunque, esser pensati come residuali, secondari, derivati ma come costitutivi della cosa stessa. La società, insegnava Landowsky, si costituisce nell’atto stesso di offrirsi in spettacolo a se stessa. Questa premessa teorica rende particolarmente importante il fatto che stia emergendo un “nuovo racconto dell’Italia”. Espressione da intendersi, dunque, nel duplice senso del genitivo, oggettivo e soggettivo. l’Italia è sia il soggetto sia l’oggetto di questa narrazione; si appartengono reciprocamente: ciò che ci viene narrato dal nuovo cinema, dal nuovo teatro, dalla nuova letteratura, è certamente e prevalentemente la storia recente del nostro Paese ma, al tempo stesso, queste narrazioni appartengono a quella storia nella misura in cui contribuiscono a farla (e, forse, con un po’ di fortuna, anche a modificarla). La principale novità è proprio un ritorno alla narrazione. La narrazione, quale forma di rappresentazione del reale e conoscenza del mondo, durante tutti gli anni ’60 e ’70 era stata sottoposta a una dura censura dalla cultura egemone di derivazione marxista per motivi politico-ideologici. Per reazione, il ritorno alla narrazione in letteratura, nelle arti ma anche nei linguaggi dell’informazione e dei nuovi media, avvenuto a partire dagli anni ’80, assunse forme prevalentemente giocose, sia sul versante intellettuale che su quello frivolo. Soltanto dalla fine degli anni ’90 comincia rifiorire un nuovo racconto dell’Italia finalmente libero dalle ipoteche riduttive o negative dei decenni precedenti. Il narrare torna ad assumere una forte valenza d’ingaggio cognitivo rispetto alla realtà e d’impegno nella società: il teatro civile, il nuovo romanzo epico, le feconde ibridazioni tra linguaggi letterari e giornalistici, tra narrativa d’inchiesta e d’invenzione e, ultimo ma non ultimo, il nuovo formidabile cinema italiano che si è imposto internazionalmente con i due capolavori di Garrone e Sorrentino all’ultimo festival di Cannes. Un ultimo aspetto da non trascurare: questa ritrovata capacità di raccontare criticamente l’Italia da parte dei linguaggi artistici e letterari coincide con il momento storico in cui la politica di tradizione socialista, o comunque progressista, sembra averla definitivamente smarrita. Forse anche in politica si è liquidata troppo in fretta l’importanza delle “grandi narrazioni”. Forse anche la sinistra politica, se vuole tornare “a parlare al Paese”, più che stare ad ascoltarlo, deve di nuovo imparare a raccontarlo.

Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del quinto working group ROVINE D’ITALIA Luca Josi

Luca Josi, classe 1966, è presidente di Einstein Multimedia Group. Nel 1991 diventa segretario dei Giovani Socialisti ed entra nella direzione del PSI. È giornalista professionista dal 1994. Nello stesso anno, con Andrea Olcese, fonda la Einstein Multimedia (poi Einstein Multimedia Group: produzioni televisive, contenuti per la telefonia mobile ed eventi).

Francesca Cavallin

Francesca Cavallin attrice ed esperta di storia dell’arte, lavora principalmente come interprete dividendosi spesso tra cinema e tv.

Marco Lombardi

Marco Lombardi, è critico cinematografico, scrittore e sceneggiatore. Scrive su Il Sole24Ore/Job24 ed è stato autore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi per la RAI. Seleziona le opere prime alla Mostra del Cinema di Venezia sezione “La Settimana della Critica” e tiene corsi all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, alla Scuola Nazionale di Cinema di Milano e all’Università di Scienze Gastronomiche. Di recente ha pubblicato con Etas RCS “Il grande libro del cinema per manager” ed “Il grande libro della letteratura per manager”. È critico gastronomico e collabora con il “Gambero rosso” in qualità d’ispettore per la Guida ai ristoranti d’Italia e giornalista per l’omonima rivista.

Gianluigi Paragone

Gianluigi Paragone (Varese, 1971), giornalista, è vicedirettore di Libero. Si forma al quotidiano di Varese, La Prealpina, scrivendo prima di spettacoli, poi di cronaca e politica. Dopo circa dieci anni, passa alla direzione di Rete55, prima emittente di Varese: è il più giovane direttore di una testata giornalistica televisiva. Ha collaborato con il Giornale di Maurizio Belpietro, scrivendo di politica. Nel 2004 assume la guida di un nuovo progetto digitale di AdnKronos, che lascerà l’anno successivo per dirigere La Padania. Firma il primo numero il 2 marzo 2005, diventando così il più giovane direttore di un quotidiano nazionale.

Jeffrey T. Schnapp

Jeffrey T. Schnapp (New York, USA, 1954) è direttore-fondatore del noto Stanford Humanities Lab (http://shl.stanford.edu) e occupa la Pierotti Chair in Italian Literature all’università di Stanford negli USA, dove è professore ordinario di francesistica, italianistica, letterature comparate, e germanistica. Celebre come storico sia del medioevo che del Novecento italiano, è stato un precursore in diversi campi della ricerca transdisciplinare, tra cui il campo emergente delle cosiddette digital humanities (i nuovi approcci digitali alle scienze umane). Le sue ricerche ricoprono un terreno ampio, dall’antichità classica fino alla contemporaneità, e comprendono la storia materiale della letteratura, l’architettura e il design, e la storia della scienza e della tecnica.

Antonio Scurati

Antonio Scurati (Napoli, 1969), scrittore, è docente e ricercatore all’Università di Bergamo e coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Sempre presso l’Università di Bergamo insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo. Ha pubblicato il saggio Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale (2003, finalista al Premio Viareggio). Il suo romanzo Il Sopravvissuto (Bompiani, 2005) ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello. Nel 2006 è stato pubblicato in una nuova versione il suo romanzo d’esordio, Il rumore sordo della battaglia. Nel 2006, presso Bompiani, è uscito il saggio “La letteratura dell’inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione”: una riflessione su media, letteratura e umanesimo. Collabora con il settimanale Internazionale. Nel 2007 viene pubblicato Una storia romantica. Nello stesso anno realizza per Fandango il documentario La stagione dell’amore, un film che indaga sul tema dell’amore nell’Italia contemporanea riprendendo l’inchiesta realizzata nel 1965 da Pier Paolo Pasolini in Comizi d’amore.


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FACCIAMO SPAZIO

Nuova frontiera per lavoro e ricerca.

coordinatore

Roberto Vittori astronauta

relatori

Annamaria Barrile responsabile Business Development Eads Giovanni Gasparini responsabile dI ricerca Iai, Area Sicurezza e difesa Fabrizio Pagani consigliere giuridico senior presso l’Ufficio legale Ocse Marcello Spagnulo Direzione Coordinamento Attività Spaziali Finmeccanica


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Tanti i problemi, i temi, e gli argomenti che ci invadono in maniera sistematica la giornata, e prepotentemente invadono la quotidianità, lo Spazio cosa c’entra? Lo Spazio é quel luogo distante di cui magari a volte ci capita di leggere sui giornali o di sentire in televisione, quando. una sonda atterra sul pianeta Marte; oppure la navetta Spaziale americana Shuttle entra in orbita e si aggancia alla Stazione Spaziale Internazionale? E la conquista della Luna, nel lontano 1969, di cui appunto si festeggerà il prossimo anno il quarantennale, é solo una serie di immagini in bianco e nero ed un ricordo ormai lontano? Le immagini di possibili scenari di esplorazione di Marte, a parte battute scherzose, sono reali solo nei film di fantascienza? Ma allora spazio, in realta’, nel nostro mondo politico, istituzionale, industriale ed economico, cosa é? Solamente un approccio miope e superficiale potrebbe non capire che l’Italia, guardando al futuro, non puó non guardare allo Spazio che, piú che un luogo, é un vero e proprio nuovo ambiente di lavoro aprendo a tutta una serie di scenari specializzati. Nello specifico, il mondo aeronautico allarga (ed alza), in maniera graduale, i propri confini, per arrivare, attraverso le iniziative private oggi giá esistenti, a realizzare “voli sub-orbitali”, che arrivano a sfiorare il confine della nostra atmosfera, anticipando alcune delle problematiche connesse al trasporto di futura generazione. Velivoli capaci di volare a quote e velocitá di molto superiori a quelle attuali, trasfomeranno il nostro modo di viaggiare, spingendo sempre piú i giá oggi sottili confini tra il mondo aeronautico e quello dello spazio extra-atmosferico. Ma alzandoci ancora un po’ nello spazio e passando poi alle cosí dette “orbite basse”, ossia distanze dalla superficie terrestre dell’ordine di qualche centinaia di chilometri, troviamo una folta popolazione di satelliti specializzati nell’osservazione della Terra. Qui il concetto di territorialitá si perde ponendo il problema di una tecnologia che consente a chiunque di sorvolare (e fare foto) su tutti i punti di un pianeta ad una determinata orbita. Ed in questo settore l’Italia ha una posizione di primissimo piano avendo realizzato e messo in orbita la costellazione di satelliti “Cosmo Sky Med”, oggi in grado di fornire immagini indipendentemente dal tempo metereologico sul pianeta e dall’ora del giorno e della notte. Usciamo ancora piú verso l’esterno e troviamo i satelliti in orbita geostazionaria in grado di assicurare copertura per le telecomunicazioni globali, e poco sotto questi satelliti troviamo la fascia sub-geo per applicazioni di navigazione satellitare. La ricerca e l’esplorazione robotica continua: le sonde verso Luna, Marte, Mercurio, Plutone, ed ancora oltre continuano ad essere progettate ed a navigare nel nostro sistema solare. Per fare un esempio, tra i tanti, negli anni ’70 le sonde Pioneer and Voyager hanno iniziato un lungo percorso che oggi li porta ad essere addirittura oltre i dei confini del nostro sistema solare, portando con se un messaggio ed un desiderio (forse sogno) di progredire con la conoscenza e quindi con l’esplorazione ed il progresso. Infine, “catturando” immagini proveniendi da remote zone dell’universo, ci spingiamo verso concetti di universo primor-

diale, e ci poinamo domande sulla nostra vera natura, e sul nostro destino come esseri umani. Ma lo spazio é quindi, in ultima analisi, la “domenica della vita” (Out-out, S. Kierkegaard) e noi, distraendoci per qualche minuto dalla quotidianeitá, sedendoci a pensare e parlandone, guardiamo e riflettiamo sul futuro del nostro pianeta e della nostra civiltá prima di riprendere l’attivitá lavorativa? Il pianeta terra ha ospitato la specie umana sin dalla nascita, ma l’aumento esponenziale della popolazione, e la evidente erosione delle risorse del pianeta portano ormai alla certezza di un cambiamento degli equilibri dell’ecosistema terrestre. E nel momento in cui i problemi assumono una chiara caratterizzazione di fenomeni di natura globale, come impatto ed implicazioni, forse é lecito, e magari anche intuitivo, ipotizzare che risposte possono venire anche (forse soprattutto) da fuori. Lo “Spazio” passa quindi ad essere da un “settore” o “segmento” ad un nuovo ambiente di lavoro all’interno del quale sviluppare possibilitá ed interessi di natura commerciale, industriale, di sicurezza, quindi Difesa e di ricerca scientifica. di Roberto Vittori


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Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del sesto working group FACCIAMO SPAZIO Roberto Vittori

Roberto Vittori (Viterbo, 1964) è un astronauta italiano. Ha frequentato l’Accademia Aeronautica italiana nel 1989 e ha conseguito il brevetto di pilota militare negli Stati Uniti. Ha prestato servizio presso il Reparto sperimentale di volo di Pratica di Mare come pilota collaudatore per lo sviluppo della nuova piattaforma aerea europea, l’Eurofighter Typhoon. Ha al suo attivo oltre 1700 ore di volo in più di 40 diversi aeromobili. Dal 25 aprile al 5 maggio 2002, Roberto Vittori ha partecipato ad un volo taxi alla Stazione spaziale internazionale (ISS), nell’ambito di un accordo di programma tra l’agenzia russa Rosaviakosmos, l’Agenzia spaziale italiana, e l’ESA. Il 15 aprile 2005 partecipa ad un secondo volo-taxi pilotando la navetta Sojuz all’approccio con la ISS, dove effettua degli esperimenti per conto dell’Agenzia spaziale italiana. Vittori diviene il primo astronauta europeo a visitare due volte la ISS e ritorna a terra il 24 aprile dello stesso anno a bordo della capsula Sojuz TMA-5.

Anna Maria Barrile

Anna Maria Barrile è responsabile Business Development di Eads Italia. Ha lavorato presso il Project Office di Finmeccanica e in Alenia Aeronautica presso l’unità Rapporti Istituzionali. Ha inoltre svolto attività di Consulenza giuridicoamministrativa per la società Deloitte Consulting S.p.A. Laureata in Scienze politiche all’Università degli studi di Messina, ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto amministrativo presso l’Università di Catania e il Perfezionamento (con borsa di studio) presso l’Università di Firenze. Ha svolto attività di ricerca presso l’Università degli studi di Firenze e presso la Fondazione C.E.R.M. (sede di Roma) ed è stata professore a contratto di Diritto Amministrativo Europeo presso l’Università di Catania.

Giovanni Gasparini

Giovanni Gasparini è responsabile dell’Area Sicurezza e difesa presso lo Iai. Laureato in Economia, le sue principali aree di ricerca sono: PESD, NATO, industria della difesa e aerospaziale, economia della difesa e rapporti transatlantici. Ha prestato servizio presso l’Aeronautica Militare, lavorando come ricercatore presso il Centro Militare Studi Strategici (CeMiSS) del Ministero della Difesa. È consulente del CeMiSS, dove contribuisce mensilmente all’ “Osservatorio” sulla difesa e l’industria della difesa europea. È stato Visiting Fellow presso l’ European Union Institute for Security Studies (EU-ISS) a Parigi e presso il SIPRI a Stoccolma.

Fabrizio Pagani

Fabrizio Pagani è consigliere giuridico senior presso l’Ufficio legale Ocse e docente di Diritto internazionale presso l’Università di Pisa. Dal 1998 al 2000 è stato vice capo dell’Ufficio legale del Dipartimento delle Politiche comunitarie prima, e consigliere per gli Affari internazionali del ministro dell’Industria e del commercio con l’Estero poi. Dal 2006 al 2008 è stato il capo della segreteria tecnica del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Marcello Spagnulo

Marcello Spagnulo e dirigente presso Finmeccanica nella Direzione Coordinamento Attività Spaziali è dal 2005 assistente del Direttore, ed è Responsabile dell’Area Studi Generali e Sistemi di Lancio. Ricopre anche la carica di Consigliere di Amministrazione della società NGL Prime SpA. Ha ricoperto dal 1997 al 2005 presso Alenia Spazio SpA vari incarichi di responsabilità nella Direzione Programmi e Vendite, e nella Direzione Marketing e Sviluppo Business. Dal 1990 al 1997 ha lavorato nella società francese Arianespace mentre dal 1988 al 1990 ha lavorato al Centro Tecnologico ESTEC dell’ Agenzia Spaziale Europea ESA. Dal 1987 al 1988 ha lavorato a Roma presso il consorzio ItalSpazio. Laureato in Ingegneria Aeronautica presso la Sapienza Università di Roma, è specializzato in Economia Aziendale presso la Scuola IRI Management e la Scuola di Direzione Aziendale SDA dell’Università Bocconi di Milano. Autore di oltre quaranta pubblicazioni tecnico-scientifiche, è stato docente presso l’Istituto Superiore delle Telecomunicazioni del Ministero delle Comunicazioni, e svolge attività di docenza con seminari nei Master in Sistemi Spaziali sia della Scuola di Ingegneria Aerospaziale della Sapienza Università di Roma, che della Facoltà di Ingegneria della Università di Tor Vergata sempre a Roma.


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L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL BENESSERE I futuri possibili dell’economia internazionale. coordinatori

Jacopo Barigazzi giornalista, corrispondente italiano per Newsweek Isabella Falautano responsabile Corporate Communication & Research, Axa MPS

relatori

Arturo Artom imprenditore, presidente di Netsystem e Muvis Franco Baronio amministratore delegato della Banca Popolare di Verona Giuseppe Battaglia capo sezione Accordi Internazionali presso il Comando Generale dell’Arma - Ufficio Cooperazione Internazionale Antonello Lupo partner in Norton Rose Richard Szafranski partner in Toffler Associates


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1. Introdurre con spunti, provocazioni, domande aperte un gruppo di lavoro sui “costi del benessere” nell’estate del 2008 è compito non banale. Da una parte si deve partire dal tema di che cosa sia il benessere per noi, per la nostra società, per altre società, per la nostra generazione. Dall’altra si vuole riflettere sulla dimensione dei costi del benessere e, quindi, non si può prescindere dalla fase complessa in cui viviamo, con nuovi attori internazionali alla ribalta e, soprattutto, un intreccio di crisi economiche internazionali che possono ridisegnare gli assetti economici del futuro, a seconda di come verranno affrontate nell’oggi. È la stessa globalizzazione ad essere messa in discussione da più parti: il focus forte sarà quindi sugli elementi di rottura che stanno emergendo con forza, sui venti di crisi e scomposizione/ricomposizione dei rapporti di forza (finanza/produzione; geo-economici …), sulle nuove ripartizioni di benefici e costi globali ed i nuovi equilibri economici (identificando insieme alcuni scenari “faro”. I cambiamenti dei paradigmi e degli equilibri economici internazionali avranno un impatto dirompente sul benessere futuro e sulla sua distribuzione del tempo (tra generazioni) e nello spazio (tra aree). Ma partiamo ora con i primi spunti. 2. Spigolatura e riflessione a monte sulla parola da cui si parte per un viaggio negli scenari economici del futuro: benessere. Se si inserisce il termine su google, formidabile “termometro” degli interessi e percezioni della società, escono principalmente accezioni individuali (benessere come wellness) e poi animali (!) quale animal welfare. La dimensione sostanziale del wellbeing e quella collettiva (welfare) non sembrano poi così gettonate dagli internauti. Ampio spazio è dato invece dagli studiosi alla dimensione economica del benessere, con le sue misurazioni (Pil, ricchezza, etc), con rapporti che indicano gli anni del “sorpasso” della Cina dei vari paesi di testa del G8. Avanza gradualmente il filone dell’economia delle felicità, che vede in testa paesi come l’Islanda, non certo un gigante economico in termini tradizionali. • Ma porsi il problema del benessere e dei suoi costi, è porsi in un’ottica puramente occidentale visto che il resto del mondo ci sta, in alcuni casi, arrivando solo ora? • E se lo si pone solo in questi termini non è rassegnarsi da subito alla sconfitta? • Cosa si può dire all’indiano o al cinese che vogliono anche loro una macchina e un frigo? • È questo conflitto fra “benesseri” evitabile? Un primo problema aperto è come definire il benessere nella sfera che precede il puro dato economico, perché in questo modo si trovano più agilmente anche i suoi costi nascosti (e il confronto con l’Asia include questo aspetto). La letteratura sul tema mostra la distanza fra l’accezione corrente in Occidente e quella classica di “cura del sé”. Il benessere come inteso qui e ora ha più a che fare con il corpo e la sua percezione che con altre dimensioni della soggettivizzazione. E già qui si vedono i primi costi nascosti. A un cittadino del prossimo secolo la maniacalità che porta il soggetto occidentale ad esercitarsi in palestra tre – quattro volte alla setttimana potrà sembrare una costrizione inutile tanto quanto noi ci domandiamo come fosse possibile per le donne del settecento portare corpetti così stretti da svenire alle cene di corte. Anche questo è un costo del benessere. Come pure quanto disse l’assistente di Madre

Teresa di Calcutta quando annunciò che pensavano di aprire dei centri di cura in Europa. Le si chiese subito perché visto che non abbiamo la lebbra. Lei rispose che era “per curare la depressione che è la vera vostra lebbra, il costo del vostro sviluppo”. Definire cosa sia benessere da questo punto di vista si mostra immediatamente problematico e a seconda della risposta si aprono scenari di senso differenti accumulati da un unico punto ben espresso da Nietzsche: fino a quando il soggetto è capace di dare un senso al suo patire esso non sentirà il dolore. • È questo il benessere? • Qual è quindi il senso che ci permette di non sentire i costi del nostro benessere? • Hanno ragione coloro che vedono in questo tema del senso e del suo presunto venir meno la vera crisi del benessere occidentale? Oltre a questo aspetto del benessere, c’è quello della sua sostenibilità, ovvero della traslazione dei costi nel tempo e nello spazio. Un benessere sfrenato oggi, corredato da certi modelli di consumo e da una captatio dei benefici della globalizzazione, pone seri problemi di sostenibilità. Basti pensare alle fonti energetiche non rinnovabili, all’acqua, all’ambiente, ai beni storico-culturali. “Consumarli” e basta comporta una traslazione nello spazio (trasferendo i “costi” del benessere in altre aree geografiche: i.e. le catastrofi naturali, connesse ai cambiamenti climatici, colpiscono 2 miliardi di persone nei paesi emergenti e 25 milioni in quelli avanzati) o nel tempo (scaricando i “costi” sulle generazioni future: ogni anno le aree desertiche guadagnano un’area equivalente all’Austria, mentre le foreste pluviali perdono un’area pari alla Polonia, cosa resterà ai nostri figli tra 20 anni?). • Come trovare un nuovo paradigma di benessere sostenibile? • C’è ancora tempo considerando che da quando i tedeschi decisero di porre un freno all’inquinamento del fiume Reno a quando le sue acque sono tornate pulite sono passati vent’anni? 3. Il 2008 è un anno di forti turbolenze economiche, si parla di crisi, si agitano spettri nell’aria. Parole nuove, pane per gli anglofili ma orecchiate e terrorizzanti per i comuni cittadini: subprime, vulture funds, CDOs. Tradotto: file di cittadini di fronte alla propria banca (Northern Rock dice nulla?), sfiducia montante dei consumatori nelle istituzioni finanziarie, veli svelati e ondate di svalutazioni da miliardi di dollari da parte di banche blasonate, consessi internazionali in cui ci si fustiga per i mancati controlli e si discute di cifre di una crisi da 1,4 trilioni di dollari. Trilioni, ovvero una cifra seguita da 12 zeri. Una voragine finanziaria, innescata all’interno di un mondo finanziario in parte non regolato e “geneticamente modificato” grazie all’ingegneria finanziaria. I nuovi pompieri si chiamano fondi sovrani, ma fino a quando? L’impressione è che molti Paesi produttori di petrolio si stiano facendo delle riserve da spendere per governare il processo del passaggio a un mondo più energicamente indipendente e politicamente più multipolare. • E cosa comporterà questo massiccio intervento per gli scenari del futuro e per gli equilibri economici dei prossimi anni? • È vero che è questo il modo in cui la politica rimetterà il cappello sui mercati? E quale sarà il costo di questa politica?


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• In un recente libro il vice del ministro degli esteri cinese Li Zhaozing dice “noi cinesi vediamo le critiche che ci fate sul Sudan come vediamo cosa fate voi Americani in quel regime medioevale che è l’Arabia Saudita. Ma non diciamo nulla. Per ora”. Cosa diventerà quel “per ora”? Tutto sommato, “e allora?”, può pensare un Giovanni Rossi nostrano. Li Zhaozing è un nome a lui sconosciuto e la fila per ritirare i soldi del proprio conto l’ha fatta in un paese vicino Brighton il signor John Red, non lui. Poi non a Red è neanche andata così male, è intervenuto qualcuno (non si ricorda se Sua Maestà la Regina d’Inghilterra o la Bank of England) che ha messo tutto a posto. Buon per lui. Il suo lavoro di tecnico specializzato in una media impresa meccanica va bene. Rossi ha da poco ha vinto una scommessa da 100 euro con i suoi colleghi: è stato l’unico infatti a scommettere che tutta l’attività di impresa, dopo anni di produzione in Cina, sarebbe stata riportata in Italia. È quello che sta avvenendo, molte imprese si stanno “rilocalizzando” e riportano le attività in patria. Per patriottismo economico? No, le valutazioni sono prettamente economiche e di costo. Si sono alzati i costi di trasporto, energetici, di produzione. Conviene avvicinare produzione e distribuzione. E l’impresa dove lavora Giovanni Rossi ha quale mercato di sbocco l’Italia e l’Europa. • Cosa sta succedendo alla globalizzazione produttiva che conoscevamo? • Cosa significa la ri-localizzazione? • Il petrolio a $200 dollari renderà davvero più conveniente produrre e inviare le merci all’interno della propria macro-regione? • Cosa può comportare la nuova diffusione della parola “protezionismo”? La moglie di Giovanni Rossi, Filippa, a differenza di suo marito inizia ad essere preoccupata. Da alcuni mesi, tenendo la contabilità domestica, ha visto innalzare i costi della benzina e generi alimentari e ha tagliato molte spese considerate superflue. Filippa è preoccupata per l’erosione del suo potere d’acquisto. Ancora di più lo sono gli agricoltori in Tanzania che hanno visto aumentare di 6 volte il prezzo dei fertilizzanti. Ma allora cosa succede? Molti economisti ritengono che l’innalzamento dei prezzi delle materie prime non sia dovuto solo a tensioni speculative ma ad un mismatch tra domanda e offerta. • È auspicabile fermare la speculazione? • Se la risposta è positiva non è illiberale decidere per legge quando un profitto è eccessivo? • I biocarburanti non dovevano rappresentare la soluzione del futuro per i nostri problemi energetici? • Non è stata una follia pensare di fare andare le macchine con il cibo? • La guerra fra piedi e bocca non dimostra che in realtà non sappiamo come reagire al ricatto dei Paesi produttori di petrolio? Il figlio di Giovanni Rossi, Arturo, invece, è contento in questo periodo. A 28 anni ha terminato l’università ed i genitori gli hanno promesso un viaggio premio negli Stati Uniti. Con il dollaro così conveniente potrà tornare con le valigie belle pie-

ne. Dietro i momenti di benessere individuale da shopping di Arturo si nasconde una realtà di tensioni valutarie, che rendono ancora più complesso e nebuloso il quadro di riferimento. • Possono davvero i Paesi del Golfo abbandonare il dollaro? • Un provocatore potrebbe chiedersi chi proteggerà le loro acque in quel caso visto che ora la fa la Marina degli Stati Uniti. Non è già questo un esempio che il mondo multipolare è ben lontano dall’essere prossimo? 2008: una crisi o più faglie di tensione stratificate? Molti banchieri centrali parlano di questa crisi come di una crisi strutturale, come ci trovassimo di fronte ad una fase completamente nuova, di forte discontinuità dello scenario economico internazionale. Ma chi ricorda l’enfasi del pre- e post- crisi della new economy teme i toni siano esagerati. • Stiamo davvero davanti a un cambiamento di paradigma di sviluppo economico? • Cosa c’è di strutturale e cosa di contingente nelle tre crisi che stiamo affrontando (finanziaria, monetaria e delle materie prime)? • Quali sconvolgimenti potranno portare nel modo stesso in cui abbiamo sinora vissuto il “benessere” quantomeno nella sua accezione economica? • Se ad esempio i limiti che si vogliono porre alla speculazione dovessero davvero rendere più stabile la struttura finanziaria ma, come dicono i critici, anche meno produttiva, sarebbe davvero questa la direzione giusta? • Meno crescita ma più stabilità. È giusto? È la via al nuovo benessere? 4. 2018: anno di diversi scenari possibili, in futuri per i quali stiamo gettando oggi le basi. Dove va cercato ora il benessere? La risposta è sempre più sorprendente. I recenti sondaggi eseguiti a livello globale mostrano una sempre maggiore paura della globalizzazione. Addirittura nell’ultimo Eurobarometro gli italiani sono diventati euro-scettici come gli ungheresi, poco sopra gli inglesi. Mentre da un recentissimo sondaggio eseguito in più di 20 Paesi fra Usa, EU e Asia su 22.000 persone è emerso che i tre politici più apprezzati al mondo sono Hu Jintao, Vladimir Putin e Gordon Brown. Secondo alcuni dei tre uno solo eletto “democraticamente” ma che a casa gode di bassi consensi. • La paura di perdere benessere ci sta spingendo alla ricerca di figure forti? • Saranno loro la risposta giusta da dare alle nostre ansie? Il mondo sembra avere ora una struttura geo-emotiva completamente diversa. Volendo provocare e con rozze semplificazioni, se in Occidente l’emozione prevalente è la paura, in Medio Oriente a prevalere è la disperazione e in Asia la speranza. • Si può costruire una politica sulla paura? • Non è come in matematica dove qualsiasi numero moltiplicato per zero dà sempre zero? A partire da come verrà riformulato il concetto di benessere potranno emergere diversi scenari, con tre prime ipotesi, da


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discutere, rivedere, stravolgere, anche far sparire grazie alle discussioni del working group: a. I blocchi del benessere. La fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta e l’avvento di un mondo multipolare, con stumbling blocks come aveva prefigurato un indiano un ventennio prima e anche tensioni neoprotezionistiche. Lo spostamento progressivo del baricentro dell’economia globale da un asse transatlantico a più assi regionali. Con rischi di marginalizzazione dai benefici dell’appartenenza ai blocchi di parti del pianeta e costi ripartiti secondo i nuovi rapporti di forza. E… b. Lo spostamento del benessere. Nuovi attori, nuovi beneficiari della globalizzazione, si passa dall’interdipendenza alla dipendenza. La crescita dei mercati finanziari nei paesi emergenti e le interdipendenze con quelli dei paesi del G8. Anzi, da interdipendenze si sta passando a “dipendenze” di quello che una volta veniva definito il “Nord” del mondo dal “Sud”, dato il ruolo di pompiere giocato dai fondi sovrani di alcuni paesi nella crisi del primo decennio del 2000 e lo spostamento produttivo e di R&S già avvenuto. Per non parlare della nuova

classe/tribu’ creativa mobile che farà base in Asia e del peso politico giocato dalle nuove potenze e da nuovi “uomini forti” a livello internazionale. E un’Italia “in galleggiamento” tra costi e benefici del nuovo benessere, in una posizione di debolezza rispetto ai nuovi motori economici. E … c. Il benessere globalizzato e regolato. Dopo gli shock della fine del primo decennio del nuovo millennio, la globalizzazione ha ripreso il suo corso in maniera ordinata e irreversibile, con uno strabismo indotto e separazione netta tra produzione e finanza, soprattutto su spinta regolamentare, per impedire i disastri avvenuti con la hubris degli innovatori finanziari. Ruolo più forte degli organismi sopranazionali con una nuovo spinta alla redistribuzione del benessere e alla sostenibilità delle azioni nel tempo, con il contributo e la piena responsabilizzazione dei nuovi attori globali. E … d. … e. … (di Jacopo Barigazzi e Isabella Falautano)

Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del settimo working group L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL BENESSERE Jacopo Barigazzi

Jacopo Barigazzi (Milano, 1970), giornalista, è il corrispondente italiano per Newsweek e redattore per Adnkronos. Laureato in filosofia della scienza, studia giornalismo alla City University di Londra e dopo uno stage al Financial Times lavora per 3 anni alla CNBC di Londra per poi passare alla Reuters Italia.

Isabella Falautano

Isabella Falautano, è responsabile dell’Ufficio Corporate Communication & Research di AXA MPS, joint venture tra il gruppo assicurativo internazionale AXA e il gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena. Doppia cittadinanza italiana e austriaca, è una esperta di relazioni economiche internazionali, con un profilo di analista e al contempo di gestore di relazioni e progetti complessi. Ulteriori esperienze professionali maturate presso l’Istituto Affari Internazionali, la World Bank, la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Parte di numerose reti e think tank (GMF Marshall Memorial Fellow; Young Leader of the BMW/Quandt Foundation, Atlantik Bruecke, Bertelsmann Foundation, Council for United States and Italy; Amsterdam Circle of Chief Economists della Geneva Association), ha scritto vari articoli e saggi sul commercio internazionale, politica economica estera, finanza&assicurazioni, responsabilità sociale d’impresa.

Arturo Artom

Arturo Artom, ingegnere, è il fondatore e il presidente di Netsystem, l’azienda italiana dell’ADSL via satellite, e di Muvis , l’azienda che ha rivoluzionato la tecnologia dell’illuminazione tramite “Wi-Dom” che realizza la domotica wireless. Nel 1993 Artom ha fondato e guidato Telsystem, la prima azienda in Italia a fornire un servizio alternativo di fonia e dati per gruppi chiusi di utenti business. Negli anni successivi Artom è stato Direttore del servizio telefonico a lunga distanza di Infostrada, Direttore della Divisione Corporate di Omnitel (dove ha creato la RAM divenuta lo standard per le comunicazioni cellulari aziendali), Amministratore Delegato di Viasat. A fine 2004 crea Artom Innovazione Italia, fondo costituito per stimolare gli investimenti in iniziative imprenditoriali che coniughino made in Italy e tecnologia. Oggi si definisce un venture capitalist e vive tra Milano e la Silicon Valley.

Franco Baronio

Franco Baronio è amministratore delegato della Banca Popolare di Verona. Laureato in Bocconi, ex vicepresidente della società di consulenza Bain & Company. Baronio è un esperto del settore bancario, nel quale ha realizzato progetti di ristrutturazione, riorganizzazione e sviluppo di istituti di credito e società finanziarie nazionali e internazionali.

Giuseppe Battaglia

Giuseppe Battaglia è tenente colonnello e capo sezione Accordi Internazionali presso il Comando Generale dell’Arma - Ufficio Cooperazione Internazionale. Da diversi anni prende parte a numerosi gruppi di lavoro e progetti sviluppati dall’Unione europea e da varie organizzazioni internazionali (NATO, UN, OSCE, Org. Int. Per le Migrazioni, Org. Int. Del Lavoro) in materia di immigrazione, tratta di persone, protezione di persone vulnerabili e promozione degli standard internazionali sui diritti umani. Ha frequentato la Scuola Militare Nunziatella e i corsi regolari d’Accademia, nonché i corsi interforze di Analisi Criminale presso la Scuola di Perfezionamento Forze di Polizia. È docente a contratto presso la Luiss Guido Carli di Roma e relatore in master di università italiane e istituti di formazione esteri. Già membro dell’Aspen Institute Italia quale Junior Fellow, ha preso parte alla fellowship 2008 del German Marshall Fund of US, venendo ammesso a un viaggio studio di un mese negli USA sulle tematiche dell’ immigrazione e del lavoro.

Antonello Lupo

Antonello Lupo è partner di Norton Rose Studio Legale. Esperto in diritto tributario e societario, si occupa di m&a, finanza strutturata e riorganizzazioni. In precedenza ha collaborato con primari studi legali italiani ed è stato research associate presso l’International Bureau of Fiscal Documentation di Amsterdam. Si è laureato in giurisprudenza alla Sapienza Università di Roma.

Richard Szafranski

Richard (Dick) Szafranski è partner di Toffler Associates, la società americana che da più di quaranta anni offre ad aziende e organizzazioni internazionali analisi e scenari sul futuro applicati ai campo dell’economia internazionale, della società, della politica. Szafranski ha lavorato in SBS Technologies, Ceridian Corporation. Come Colonnello delle US Air Force (fino al 1996) è il Responsabile della strategia militare nazionale presso l’Air War College di Maxwell AFB, Alabama, e il direttore di Air Force 2025, uno studio per prevedere le capacità necessarie nel prossimo secolo nel settore aereo e aerospaziale e nel controllo dei flussi informativi. Ha un Master in Human Resources Management e ha completato la sua formazione presso la Harvard Business School.


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IL FONDO DEL BARILE Un mondo senza petrolio è possibile?

coordinatore relatori

Carlo Stagnaro direttore del dipartimento Ecologia di mercato dell’Istituto Bruno Leoni Ugo Bardi professore di Chimica, Università di Firenze e presidente della sezione italiana dell’ASPO

Massimo Nicolazzi amministratore delegato di Sources Consulting e presidente di Olt Offshore LNG Toscana Alessandro Politi analista strategico

(Association for the Study of Peak Oil & Gas Italian Section)


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“The Stone Age came to an end not for a lack of stone, and the oil age will end, but not for a lack of oil”. Certo se qualcuno avesse predetto allo Homo sapiens del 2.000 avanti Cristo che il neolitico sarebbe finito e il bronzo sarebbe stato il nuovo materiale hi-tech, avrebbe corso qualche rischio fisico in più del potente Ahmed Zaki Yamani, grande ministro del petrolio ed architetto dell’OPEC (anche lui. come Osama bin Laden, di origine yemenita e non saudita, creatore di cartelli globali). L’asciutta predizione di un uomo che fu licenziato per radio può essere interpretata come un tributo all’ottimismo del progresso, ma in realtà è l’osservazione di un pragmatico della generazione che ancora ricordava benissimo la penuria di risorse del deserto e decideva in materia di conservazione dell’energia già nel 1968, quando chi pensava sull’ambiente si occupava piuttosto di DDT e specie in estinzione. Un mondo senza petrolio può essere/sembrare ancora oggi impensabile, ma è semplicemente inevitabile perché da nessuna parte c’è quell’abbondanza di materia prima che c’era in passato a costi bassi e da tutte le parti si capisce che, nonostante la liquidità disponibile per tanti bei progetti di sfruttamento dei giacimenti a costi alti, il mondo così come lo abbiamo pensato è a risorse finite e non particolarmente rinnovabili. Il primo passo da fare è un ripensamento complessivo e sistematico dei modelli di consumo e produzione innanzitutto per ridurre lo spreco assurdo che di energia si fa tanto nei paesi ricchi quanto in quelli poveri o emergenti. Oggi usiamo ancora il petrolio come se fosse acqua anche quando cominicamo a capire (molto distrattamente) che l’acqua non è una roba perenne (quanti fiumi dei nostri sussidiari anni ’60 “un fiume è un corso d’acqua perenne”, sono oggi dei torrenti “a regime variabile”?). Lasciamo stare da parte il ritorno alle candele e simili “ecoballe”, c’è da fare un catalogo ragionato delle categorie di beni prodotti e del loro costo energetico complessivo per ridurre nel dettaglio e nella struttura quei costi. Ad esempio, siamo sicuri che una pala eolica prodotta oggi sia in grado di recuperare con la sua produzione i propri costi energetici complessivi? Lo stesso catalogo fa fatto per i beni alimentari, riducendo drasticamente le produzioni energivore ed i trasporti internazionali ad alto consumo energetico. Il movimento di navi perenne a container vuoti è, da questo punto di vista, una follia, così come molte tratte di trasporto aereo superflue. La costruzione di case che richiedano obbligatoriamente l’aria condizionata è un’altra stravaganza suicida da rivedere. Poi bisogna cominciare a pensare di restringere il perimetro del petrolio tanto in termini d’impiego quanto di consumi specifici. Un ritorno più massiccio alla trazione elettrica nelle città? È solo l’inizio. E le plastiche? Quante sono indispensabili, quali sono sostituibili, quanto sono riciclabili? Insieme a questo c’è una politica estera che deve unire i paesi consumatori d’energia (senza guardare in faccia al regime politico) in modo che queste tecnologie di prodotto e processo siano disponibili rapidamente a costi accettabili,

sussidiati e condivisi. Qui è necessario fare una proliferazione verticale ed orizzontale di tecnologie che risparmino qualunque tipo di energia, anche in Africa dove, a crescita del Pil corrisponde una crescita dei consumi energetici. Fin qui il lato nobile della politica internazionale “Grün e risparmiosa”, poi c’è largo campo per le eminenze grigie e le sezioni affari delicati in modo da evitare che qualche simpatico elettorato, adeguatamente pompato dal demagogo di turno ingrassato dalla qualche mafia trasversale, non s’inventi una guerra etnoenergetica che ci faccia bruciare allegramente altre risors in una bella guerra multilaterale. Infine, perché spesso l’orizzonte di queste tecnologie va oltre il formale quinquennio decisionale politico e perché l’investimento è comunque uno sforzo di lungo periodo, c’è da mettere in piedi una rete pubblico-privato di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie di produzione dell’energia. Il petrolio resterà ancora a farci compagnia per un po’, ma nulla ci autorizza a non pensare per tempo ad uno svezzamento collettivo (Bush la chiama disintossicazione, ma è il solito radicale bipartisan). Sia chiaro: o così oppure i fautori della politiche “e-e” si ritroveranno il cannone puntato addosso e derubati del burro che volevano distribuire al loro elettorato disabituato alla vita reale. di Alessandro Politi


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Ecco chi sono i coordinatori e i relatori dell’ottavo working group IL FONDO DEL BARILE Carlo Stagnaro

Carlo Stagnaro (Sestri Levante, 1977) è ingegnere e giornalista. Autore di saggi sulle implicazioni economico-scientifiche del Protocollo di Kyoto e del global warming (riscaldamento globale), è direttore del dipartimento Ecologia di mercato dell’Istituto Bruno Leoni. Ha collaborato con periodici tra cui The Wall Street Journal, Oil & Gas Journal, Tech Central Station, National Review, Il Riformista, Il Giornale, Libero, Il Tempo, Finanza & Mercati. È membro della Società Italiana di Fisica e dell’Associazione “Galileo 2001 - Per la libertà e la dignità della scienza”. È fellow dell’International Council for Capital Formation e dell’International Policy Network. È stato tra i fondatori della rivista Endore. Dal 2002 è coordinatore del Centro culturale “La Maona” di Genova. Collabora con il quotidiano Il Foglio, diretto da Giuliano Ferrara, con L’Occidentale ed Ideazione.

Ugo Bardi

Ugo Bardi (Firenze 1952) è professore di Chimica presso l’Università di Firenze e presidente della sezione italiana dell’ASPO, Association for the Study of Peak Oil & Gas Italian Section. Ha svolto attività di ricerca e docenza presso le università di Berkeley, Aix Marsiglia e Stony Brook New York. È autore di molteplici contributi in vari campi della scienza, noto soprattutto per la sua previsione sulle sorti dell’economia mondiale alla luce della crisi energetica in corso e sulle conseguenze umane e sociali che ne potrebbero risultare.

Massimo Nicolazzi

Massimo Nicolazzi è amministratore delegato di Sources Consulting, consigliere scientifico della rivista italiana di geopolitica Limes e autore di pubblicazioni in materia energetica e geopolitica. Ha operato per oltre vent’anni nel settore dell’esplorazione e produzione di idrocarburi, ricoprendo incarichi dirigenziali in Eni/Agip ed in Lukoil, e dedicandosi poi allo sviluppo di nuove iniziative ed a attività di consulenza nell’intero comparto energetico. È tra l’altro Presidente di Olt Offshore LNG Toscana, che sta realizzando un terminale di rigassificazione nel Mare Tirreno.

Alessandro Politi

Alessandro Politi è analista indipendente di problemi strategici e d’intelligence e si occupa di consulenza in affari internazionali e strategici. È direttore dell’Osservatorio Scenari Strategici e di Sicurezza di Nomisma dove si occupa di analisi strategico-economica ed è responsabile per il rapporto annuale Prospettive economiche e strategiche Nomos & Khaos. Dal 1994 al 1997 lavora come ricercatore presso l’Institut d’Etudes de Sécurité dell’Unione dell’Europa Occidentale (IES-UEO). Dal 1997 al 2001 è consulente del Ministero della Difesa. Commentatore strategico per importanti testate giornalistiche, tra cui il Messaggero e Il Sole 24 Ore, è autore di numerosi libri e saggi. Laureatosi in Storia Militare presso l’Università di Pisa è diplomato alla Scuola Normale Superiore di Pisa.


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IN NOME DEL POPOLO SUDDITO Potere, demagogia e consenso. coordinatori

Francesco DelzĂŹo direttore Affari istituzionali e relazioni esterne Piaggio Marco Meloni ricercatore Arel

relatori

Anna Maria Artoni presidente Confindustria Emilia Romagna Giulia Bongiorno presidente Commissione giustizia Camera dei deputati Filippo Facci giornalista Mediaset Giovanni Floris giornalista Rai Massimo Garavaglia senatore della Repubblica Simonetta Giordani responsabile Rapporti Istituzionali, nazionali ed internazionali, di Autostrade per l’Italia SpA Francesco Sanna senatore della Repubblica


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La democrazia rappresentativa sembra essere al tramonto, in ogni angolo del mondo. Siamo entrati in una fase nuova: in Occidente contano le lobbies, i leader populisti e i sondaggi di opinione. In Oriente le Repubbliche autoritarie, lo sviluppo pianificato dall’alto, le leadership sostanzialmente svincolate dal consenso democratico. In Occidente le elezioni e il dibattito elettorale che dovrebbe accompagnarle appaiono come processi già pre-definiti, da gestire e condurre esclusivamente sulla base di indicazioni che provengono da professionisti esperti nelle tecniche di persuasione. La massa dei cittadini – il “popolo sovrano” – svolge di fatto un ruolo più passivo, quello di destinataria di sondaggi che apparentemente servono a rilevare i gradimenti dell’elettorato, ma che in realtà diventano lo strumento per “dominare il consenso”, senza rappresentarlo. Mentre la politica – quella vera, finalizzata alla gestione della cosa pubblica e alla progettazione del futuro - viene decisa in privato e si risolve nell’interazione tra chi risulterà eletto e le èlites che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici. Assistiamo, quindi, ad una duplice crisi: da una parte la crisi della rappresentanza politica, in quanto il mandato a rappresentare il cittadino prescinde dal contenuto e, per le stesse modalità di voto, è un mandato “in bianco”. Dall’altra parte, essendo comunque necessario “interrogare” la volontà del cittadino, si fa leva proprio sugli aspetti più emotivi e meno ragionati, per assecondare – quanto meno in sede di campagna elettorale – le istanze più “viscerali”, quale ad esempio la sicurezza o gli interessi particolari, venendo meno al ruolo proprio della politica, che è quello del perseguimento del “bene comune” e della sintesi virtuosa degli interessi in gioco. Si tratta, in effetti, di una tendenza che non si limita al nostro Paese, ma che ritroviamo – in modo più o meno visibile - in tutte le democrazie occidentali. L’elemento comune che può essere individuato è l’incapacità della politica di dire qualcosa di nuovo: non è più portatrice di valori o di una visione del mondo, ma è solo il veicolo su cui far viaggiare visioni e interessi elaborati altrove. In Oriente la corsa allo sviluppo sta lasciando indietro, pericolosamente, le esigenze della democrazia e della rappresentanza dei cittadini. Il boom duraturo delle grandi e medie economie dell’Asia sta sfatando l’antico mito del binomio democrazia-sviluppo: nel nuovo mondo guidato dalla travolgente forza di Pechino le due variabili non sono più collegate. La carenza di processi democratici e il controllo autoritario sulla libertà dei cittadini sembrano, paradossalmente, favorire la crescita economica, la pianificazione lineare dello sviluppo, la conquista del mondo da parte del gigante cinese, che entro 15 anni diventerà la prima potenza economica planetaria, ma anche l’affermazione di medie potenze come il Vietnam, la Thailandia e la Malesia. Infine, la politica e la democrazia rappresentativa sono costrette a misurarsi con un altro difficilissimo fronte: il rapporto con la finanza. Le crisi planetarie dei mutui subprime e dell’escalation del prezzo delle materie prime gettano una luce abbagliante sull’inadeguatezza della politica – ancora, tendenzialmente, organizzata su base nazionale – incapace

di tenere il passo di una finanza fortemente globalizzata, che nella più totale assenza di regole e di controlli estremizza le forme di speculazione su scala planetaria. I cittadini di New York, di Roma o di Bombay sono costretti a pagare il salatissimo conto di decisioni prese da altri. Lontano dal loro consenso, lontano dalla politica, lontano da ogni interesse collettivo. di Francesco Delzìo e Simonetta Giordani


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Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del nono working group IN NOME DEL POPOLO SUDDITO Francesco Delzio

Francesco Delzìo, 33 anni, è direttore degli affari istituzionali e delle relazioni esterne del gruppo Piaggio, presidente dell’Associazione Laureati Luiss e consigliere d’amministrazione dell’Università, vice presidente dell’Ancma, membro del Direttivo di Federmeccanica e dell’Unione Industriali di Pisa. Nato a Bari ed “emigrato” a Roma subito dopo la maturità, si è laureato con lode in giurisprudenza, master in giornalismo presso la Scuola Rai di Perugia, Italian Young Leader secondo il Dipartimento di Stato Usa. Ha lavorato come giornalista professionista in Rai (Radio Rai, Rai International) e come analista economico e sociale in Luiss Guido Carli, dove ha coordinato il Laboratorio per le Modernizzazioni. Componente dei comitati scientifici di Glocus e di Symbola-Fondazione delle qualità italiane. Per sette anni direttore dei Giovani Imprenditori di Confindustria, è autore del libro “Generazione Tuareg. Giovani, flessibili e felici”.

Marco Meloni

Marco Meloni, 37 anni, avvocato, è consigliere regionale della Sardegna per il Partito democratico. Laurea in Giurisprudenza a Cagliari, Master in Studi Europei all’Università di Firenze e Dottorato di ricerca in Diritto dell’Unione europea all’Università di Trieste. È ricercatore all’Ufficio studi dell’Arel, Agenzia di Ricerca e Legislazione fondata da Nino Andreatta. È segretario generale dell’associazione TrecentoSessanta e tesoriere dell’associazione veDrò.

Anna Maria Artoni

Anna Maria Artoni, imprenditrice, è vice presidente e consigliere delegato di Artoni Group, azienda di famiglia operante nel settore dei trasporti e della logistica. È Presidente di Network Extension srl società operante nel settore ICT. È membro indipendente del consiglio di amministrazione di Saipem spa, di RCS Quotidiani spa, della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Da maggio 2005 è presidente di Confindustria Emilia Romagna, membro del Direttivo e della Giunta Nazionale. È componente del consiglio direttivo di Assonime. Inoltre è consigliere di amministrazione della Luiss Guido Carli e fa parte dell’advisory board di Alma Graduate School di Bologna. Dopo aver ricoperto diversi incarichi nel movimento dei Giovani Imprenditori, è stata eletta presidente nazionale Giovani Imprenditori e vice presidente di Confindustria per il triennio 2002- 2005.

Giulia Bongiorno

Giulia Bongiorno è avvocato penalista patrocinante in Cassazione. Parlamentare dal 2006 per Il Popolo della Libertà, è presidente della Commissione Giustizia e Componente del Consiglio di Giurisdizione.

Filippo Facci

Filippo Facci è giornalista e scrittore. Ha iniziato la sua attività professionale collaborando giovanissimo a L’Unità, a La Repubblica e poi approdando a L’Avanti, quotidiano del Partito Socialista Italiano, dove si occupò di seguire l’inchiesta su Tangentopoli. Dal 1994 ha scritto per Il Giornale, per L’Opinione, per Il Tempo sino a tornare a Il Giornale nel 1998 con una rubrica quotidiana sulla prima pagina (“Appunto”). Collabora attualmente anche con Il Riformista e con Grazia, mentre in passato ha collaborato con Il Foglio. Per qualche anno, su Il Giornale e sul Foglio, ha scritto anche critiche e reportage di musica classica poi raccolti in un libro. Ha partecipato alle trasmissioni Parlamento In, L’antipatico e dal marzo 2008 tiene una rubrica politica nel programma Mattino Cinque su Canale 5. È spesso ospite di trasmissioni e talk show di argomento politico.

Giovanni Floris

Giovanni Floris (Roma, 1967) laureato in Scienze Politiche, frequenta la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia e nel 1996 viene assunto dal Giornale Radio Rai dove lavora come inviato e conduttore. Dopo le cronache da New York dei fatti dell’11 settembre 2001, viene nominato corrispondente per la RAI dagli USA. Dal 2002 conduce la trasmissione televisiva Ballarò.

Massimo Garavaglia

Massimo Garavaglia, nato a Cuggiono (MI) nel 1968, dal 2008 è senatore nelle file della LNP. È vice presidente della Commissione Bilancio e membro della Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione. Laureato in Economia e Commercio e in Scienze Politiche, tiene corsi di formazione soprattutto nella Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. Come consulente aziendale si specializza in controllo di gestione, qualità e sistemi informativi. È tra i primi in Italia a occuparsi con successo di “Energy Management”. Eletto per la prima volta deputato della Lega Nord nel 2006.

Simonetta Giordani

Simonetta Giordani è responsabile Rapporti Istituzionali, Nazionali e Internazionali di Autostrade per l’Italia S.p.A., con il compito di gestire le relazioni con governo, Parlamento, enti locali, associazioni di categorie, authorities di settore e Unione europea. Dal 1999 al 2006 è responsabile delle Relazioni Istituzionali Nazionali e Internazionali di Wind Telecomunicazioni SpA. Dal 1998 al 1999 assistente del presidente della Commissione Affari Costituzionali Camera dei deputati. Dal 1996 al 1998 è capo segreteria del ministro delle Comunicazioni. Direttore dell’Associazione per la tutela del patrimonio artistico e naturale Civita. Giornalista, iscritta all’Albo dei Pubblicisti dal 1990. Laureata in Filosofia.

Francesco Sanna

Francesco Sanna (Iglesias, 1965) è avvocato amministrativista d’impresa e consulente giuridico-amministrativo. È stato consigliere regionale della Sardegna fino alla nomina a Senatore della Repubblica per il Gruppo PD nell’aprile del 2008. È membro della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, della Commissione permanente Affari Costituzionali e del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa.


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TUTTO INTORNO È PAESE Governare le città senza territorio.

coordinatore

Luca Scandale coordinatore piano strategico Metropoli Terra di Bari

relatori

Giuseppe Bettoni professore di Geografia, Università di Roma Tor Vergata Francesco Gastaldi docente di Analisi e rappresentazione del territorio presso l’Università degli studi IUAV di Venezia Gianluca Peluffo architetto, socio e fondatore dello Studio 5+1


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Troppo spesso si pensa che governare una città sia legato o all’aspetto politico (sindaco o attori politici) o all’urbanistica. In questo caso si è sempre pensata l’urbanistica principalmente rispetto al “manufatto” (non è un caso se tutte le facoltà di Urbanistica nascano da costole di facoltà di architettura). Ma possiamo sintetizzare una città solo rispetto a tipologie (costruttivismo, post… ecc.)? L’obiettivo di questo WG dovrebbe essere proprio quello di non occuparsi di Urbanistica ma neanche concentrarsi sugli strumenti (Fondi strutturali per aree urbane, quali livelli istituzionali sono ideali, creare o eliminare le “aree metropolitane”, ecc.). Si è troppo parlato di “città” solo basandoci su due elementi: strumenti e tipologie. Ma sarebbe ora di chiederci un po’ meglio qual è il problema dell’Italia rispetto alle città: perché non riusciamo a dare degli input che si rivelino essere positivi nel medio/lungo periodo. Se gli altri Paesi del mondo hanno un serio problema rispetto a diverse questioni, resta però il fatto che le nostre città restano di gran lunga meno attrattive da un punto di vista della competitività economica e meno attrattive da un punto di vista della qualità della vita a titolo individuale. Perché? Perché il Paese che ha visto nascere città eterne è così incapace di modificarle con un’idea seria, chiara attraverso delle strumentazioni efficaci? C’è indubbiamente da chiedersi perché Berlino è potuta rinascere dalla polvere, Parigi ritrovare una certa nuova dinamica (dopo un buon decennio di grigiore competitivo) e Londra che continua (tra piccole crisi) ad essere un vero riferimento? Per non ricordare le città spagnole che riescono a ridarsi un lustro planetario anche ma non certo solamente attraverso eventi o “manufatti” di rilievo. L’obiettivo dovrebbe quindi essere una forma di analisi e forse di autocritica seria, senza remore su quello che ci ostacola a realizzare quello che altri realizzano o a risolvere ciò che altri risolvono. Governare le città senza territorio? Quando si pensa alle città come fortezze volanti. Organizzare e gestire un territorio significa inevitabilmente gestire la rete sociale che vi vive e quindi le aree più significative per concentrazione di ricchezza e di persone: le città. Ma le città nascono come bisogno aggregativo e vivono da sempre in relazione con le aree meno dense (rurali). Oggi città significa “disequilibrio”. Un disequilibrio che gli attori politici cercano di controllare, imbrigliare per guidare verso un futuro che porta a trenta/cinquant’anni in avanti. Nel resto d’Europa l’attore politico (nei suoi diversi livelli istituzionali) cerca di governare il “carro/territorio” su cui si trova, cerca di guidarlo anticipando le situazioni per imporre una direzione o correggerla quando non è quella che reputa giusta. In Italia da oltre trent’anni qualunque attore politico non governa bensì “rincorre”. Il carro va avanti con i cavalli al galoppo e l’attore è a piedi, dietro, che rincorre disperatamente. Le nostre aree urbane oggi sono il frutto di questa situazione: un territorio (anche urbano) governato senza controllo vero, cercando di contenere i danni che più o meno lentamente si stanno concretizzando: disequilibri demografici pesantissimi, disequilibri economici ancora più pesanti, conflittualità crescenti. Il territorio come creatore di ineguaglianze. Non è forse vero che esistono tali differenze di opportunità, ricchezza, sviluppo, ecc. tra i territorî italiani che alla fine finiscono per

aumentare sempre più queste ineguaglianze. Perché è questo il punto essenziale: quale progetto abbiamo come comunità nazionale e insieme di identità locali per il nostro territorio? Qual è l’ente preposto non a gestire il territorio (quello pare sia dato alle Regioni principalmente) ma a decidere quale progetto comune abbiamo come evoluzione territoriale? L’immigrazione pur essendo di livelli inferiori a quelli di altri paesi dell’Unione è già percepita come il primo dei problemi dagli Italiani. Le città sono il vero « totem » di questa conflittualità e assistiamo sempre più ad una residenzialità che lega toponomastica a livello sociale (dimmi dove abiti ti dirò chi sei e che lavoro fai). Possiamo ancora pensare di Governare il territorio governando solo le città? Le città saranno il laboratorio dei prossimi cinquant’anni? Ci appaiono (o forse ci vengono solo proposte) come reti relazionali tra gruppi, ma in realtà sono gruppi che si contendono una ricchezza, legata proprio a quella concentrazione. Questi cluster sociali oramai composti da diverse comunità avrebbero dovuto rappresentare un’opportunità ma quanto tempo impiegheranno a dare vita allo stesso fenomeno di “secessione urbana” che abbiamo visto a Detroit, Oakland, Parigi, Tolosa, ecc.? Dieci anni fa non avremmo creduto a presenze di immigrati così forti e “settorializzate”, possiamo quindi dirci che la nostra situazione non porterà mai alle contrapposizioni etnico-sociali che gli altri Paesi hanno conosciuto prima di noi ? Se invece consideriamo come probabile questo rischio allora cosa possiamo fare come attori del territorio affinché le reti urbane (e non solo) esistano veramente e rappresentino quell’acceleratore necessario oggi alle città italiane per recuperare un ritardo altissimo nella competitività planetaria dei territori? Quanto invece l’antagonismo feroce degli attori territoriali italiani non continuerà a scavare un ritardo già preoccupante? Non continueremo forse ad avere delle contrapposizioni tra zone urbane e zone rurali? Cagliari vs deserto sardo? Catania e Palermo vs Nebrodi e interno siciliano? Milano vs OltrePò Pavese e Luinese, Comasco e Bergamasca (cosa significa Lombardia senza Milanesità?)? Napoli vs Sannio e Irpinia? Tra l’altro questa contrapposizione non ci ha già fatto capire quanto non potremo contare sulla “solidarietà” tra queste città? La sindrome di Nimby non ha già colpito le nostre città facendole addirittura disinteressare a quartieri interni? Non è forse vero che Rutelli per i Romani rappresentava il candidato della sinistra delle terrazze particolarmente presente in certi quartieri (Arenula, Cavour, ecc.) mentre Alemanno era percepito come il candidato delle grandi periferie popolari? E la questione dei rifiuti urbani in Campania non è forse rappresentata nella migliore tradizione di Nimby? Da qui ad arrivare a strutture urbane chiuse al proprio interno in vere e proprie gated communities quanto dovremo attendere? Le città si formano ed esistono grazie all’incontro dei gruppi etno-sociali: ma quanto riusciamo a “governare” questi incontri essi stessi portatori di conflitti eventuali o creatori di nuovi gruppi? La disaffezione per la politica da parte dei cittadini ci ha spinto alla ideazione di diverse forme di partecipazione (bilanci partecipati ecc.): quanti sforzi dovremo fare per cercare la partecipazione dei vari gruppi identitari? Ma soprattutto siamo sicuri che le identità a cui siamo confrontati siano semplicemente


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quella indiana, cinese, rumena, ecc.? In questi anni ci siamo resi conto che le identità sono molto più fluide ed evolutive di quanto non sembri e le varie strumentazioni messe in atto si sono svelate presto inefficaci o almeno insufficienti. Allora quale metodo? Perché oggi pensare il governo delle città significa quasi sempre riparare danni già fatti (la città infinità, l’inquinamento di ogni tipo, la clusterizzazione sociale, perdita d’identità, espansione illimitata e recupero di spazi abbandonati, sprechi e uso più efficace delle risorse finanziarie, disgregazione territoriale), sembra più un linguaggio riparatore che non di governo. Non è questo rincorrere qualcosa che è ben più avanti di noi ? Oltretutto se parliamo di identità in evoluzione, non più fissate da etnicità nazionali, come possiamo pensare di governare questo tipo di “strutture” attraverso istituzioni o policy che sono concepite per essere fisse e non certo evolutive, intelligenti (capaci cioè di adattarsi alle situazioni in cui si trovano)? Le città, i territori in generale, sono determinati da modi di vivere quotidianità sempre più diverse, modi che si incrociano, si sovrappongono, si influenzano e modificano : come trovare strumenti di governo capaci di anticipare questo tipo di evoluzioni, in grado quindi di anticipare e aggirare le conflittualità che altrimenti si verrebbero a produrre (che oggi in realtà già si producono)? Chi o quale forma di governo oggi deve gestire e governare la “diversità”? Possono le città diventare il nuovo prodotto della cultura “postnazionale” e di una “cross-cultural society”? In questo la letteratura è vasta (Gran Bretagna, Sud America, Corea del Sud, ecc.). Ma chi ha veramente ragione? Gestione neoliberale del territorio oppure un New Deal for Communities all’inglese? Qual è soprattutto la posizione dell’Italia e delle sue cento città in queste possibili situazioni? In questo momento non stiamo forse commettendo l’errore di concentrarci ancora sull’individuazione di nuovi strumenti di governo (tanto sono tutti basati sullo stesso principio dalla metà degli anni novanta ad oggi) o, peggio ancora, solo concentrandoci sulla valutazione economico-finanziaria degli interventi oppure se si o no si debba semplificare la struttura istituzionale del territorio stesso? Ma come possiamo pretendere che lo strumento risolva tutto se non sappiamo quale idea progettuale abbiamo in testa, se non abbiamo chiaro che territorio (città) vogliamo e soprattutto se non sappiamo chi è che debba deciderlo e per chi? Si è mai visto il miglior bisturi compiere anche la più semplice appendicectomia senza una chiara idea del chirurgo che lo guidava? Quale sarà la via più probabile che intraprenderemo e soprattutto cosa fare per riuscire a salire sul carro e agguantarne le redini per cercare finalmente di “governare il carro/territorio”? di Giuseppe Bettoni

FOCUS Abolire le province. Nove Metropoli “all’italiana”. di Luca Scandale Affrontare l’argomento della città metropolitana è senza dubbio un tema che comporta subito alcune introduzioni per essere, sin dall’inizio di ogni intervento, chiari. Perché è fondamentale evitare fraintendimenti sin da subito. Per prima cosa, la città metropolitana non toglie nulla ai comuni: sarà un ente di cui essi stessi sono fondatori. E non sarà una Grande Roma, una Grande Milano, delle Grandi Firenze, Bologna, Napoli, Genova, Bari, Torino, Venezia in cui il comune capoluogo si mangia gli altri comuni assumendone risorse e funzioni. Più che dal basso i poteri verranno dall’alto: dalla Regione e dal Governo nazionale. Questo non è un gioco a somma zero in cui c’è chi perde e chi guadagna. Il vantaggio è per tutti. Ma vediamo nel merito il processo amministrativo di costituzione della Città Metropolitana. È utile stabilire un unico modello rigido per la creazione della città metropolitana? Saranno gli stessi territori a promuovere l’iniziativa? E a scegliere il modello che più si adatta alle proprie caratteristiche con forme organizzative e funzioni amministrative che saranno indicati da decreti legislativi attuativi? Sulla proposta di istituzione sarà indetto un referendum? Con parere della regione? Una possibilità è uno statuto ad hoc per ogni città metropolitana che determini la distribuzione delle funzioni tra i comuni e la costituzione dei municipi nel Comune Capoluogo. Questo nuovo ente dunque non toglie nulla ai comuni. Invece di avere a che fare con provincia e regione, avranno uno solo livello con cui confrontarsi: la città metropolitana di cui essi stessi sono fondatori. Il nuovo ente sarà una specie di Regione per certi versi con lo status di città: una vera rivoluzione istituzionale. Ma veniamo al merito della grande opportunità che è la città metropolitana. La città metropolitana sarà una superprovincia che assomiglierà quasi ad una regione ed è auspicabile che il governo deleghi e distribuisca funzioni specifiche per le città metropolitane. Fino ad arrivare tra qualche anno ad una potestà legislativa su alcuni temi come avviene per molte metropoli europee. Per esempio, alcune cose concrete porteranno senz’altro vantaggi ai comuni. Per i comuni che aderiranno, il vantaggio sarà quello di combattere insieme la contrazione della spesa pubblica e la pressione della globalizzazione. Marketing, cultura e turismo, sicurezza, rifiuti, zone industriali, mobilità, grande distribuzione: in ogni campo i comuni da soli non ce la fanno, a livello metropolitano invece hanno molte chance. E più la metropoli è grande, più è forte: tecnicamente si parla di massa critica. Molti sono i possibili avversari di questo processo. Avversari dell’innovazione potrebbero essere i difensori dell’identità locale, magari gli stessi che alimentano le rivalità tra municipi. Credo che sarebbe opportuno però non insistere troppo con


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chi non ci sta. Si inizia con i comuni che ci credono davvero, poi si genererà l’effetto spillover: quando un gruppo coeso va avanti anche gli altri potrebbero capire la portata innovativa del processo. Non bisogna pregare nessuno, anche l’Europa in fondo ha due velocità e lo stesso potrebbe avvenire per la città metropolitana. Chi resta fuori dovrà scegliere altre province a cui aderire.

I grandi attori che pensano? Credono che sarebbe più efficiente un livello metropolitano di governo? Perché in fondo la vera domanda è: al netto del taglio dei costi delle Province che ci guadagnano i cittadini? E le imprese per l’attrazione di investimenti, i territori nell’attrazione dei turisti? Questo è il punto.

Infine è miope affrontare il tema solo come una alchimia amministrativa. Sarebbero interessanti i pareri di Assindustria, Associazioni di categoria e Sindacati, Camera di Commercio, i Porti, gli Aeroporti delle città metropolitane.

Ecco chi sono i coordinatori e i relatori del decimo working group TUTTO INTORNO È PAESE Luca Scandale

Luca Scandale, trentadue anni, è coordinatore del piano strategico della Metropoli Terra di Bari e docente di Economia della cultura e di Economia urbana presso la “Lum-Jean Monnet” di Bari. Ha un Master in Urban Management seguito presso l’Erasmus university of Rotterdam, un Phd in Economia della cultura presso l’Università di Bari e ha svolto periodi di ricerca su Politiche culturali e City marketing presso la Universidad Autonoma di Barcellona e la Vrije Universiteit di Bruxelles.

Giuseppe Bettoni

Giuseppe Bettoni è professore di Geografia presso l’Università di Roma Tor Vergata. Allievo di Yves Lacoste e Béatrice Giblin con i quali lavora dal 1994 presso l’Institu Français de Géopolitique dell’Università di Parigi. È stato ricercatore presso lo University College di Londra dove ha lavorato con Mark Bassin e presso la London School of Economics dove ha lavorato con Robert Leonardi. Membro tra l’altro della Fondation de Science Po. Dal 1998 al 2003 è stato tra i fondatori e membro attivo del Centro di Ricerca e Sviluppo del Territorio presso l’Università Cattaneo di Castellanza. Dal 1999 al 2005 è stato ricercatore presso il Centre Interdisciplinaire d’étudies Urbaines dell’Università di Tolosa 2 “Le Mirail”. Dal 2003 è professore presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (SSEF) del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Francesco Gastaldi

Francesco Gastaldi (Genova, 1969), è ricercatore in Urbanistica e docente di Analisi e rappresentazione del territorio presso l’Università degli studi IUAV di Venezia. Architetto, ha conseguito il dottorato di ricerca in Pianificazione Territoriale e Sviluppo Locale presso il Politecnico di Torino; ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento Polis dell’Università degli Studi di Genova e di docente a contratto presso l’Università di Parma e il Politecnico di Torino. Ha svolto attività di ricerca su temi riguardanti le politiche di sviluppo locale e la gestione urbana. È autore di articoli, saggi e pubblicazioni.

Gianluca Peluffo

Gianluca Peluffo (1966), architetto, nel 1995 fonda con Alfonso Femia a Genova lo Studio 5+1. Nel 2005 creano 5+1AA, con la quale si confrontano con la trasformazione e la descrizione della realtà e il superamento e la riaffermazione della città. Nel 2005 lo studio 5+1 vince con Rudy Ricciotti il concorso internazionale per il Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia e apre un Atelier a Milano, luogo di sperimentazione e indagine sulla città contemporanea. Nel 2007 apre un’Agence a Parigi e nel 2008 sviluppa il Master Plan per l’area Fiorenza-Triulza e contribuisce alla redazione del Master Plan per l’Expo 2015. Lo Studio 5+1 è finalista nei principali concorsi internazionali. Gianluca Peluffo è ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Genova.



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