DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO
Definizione I Disturbi dell’ Apprendimento sono difficoltà che riguardano direttamente tutto il processo di acquisizione delle nozioni da parte dell’individuo. Nella maggioranza dei casi questi disturbi non sono causati da deficit di intelligenza, sensoriali o neurologici, ma da altri fattori, alcuni dei quali ancora in via di definizione. Nel DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), sono registrati sull’ Asse I e includono le funzioni deficitarie nel campo della lettura, scrittura e calcolo; dell’eloquio e del linguaggio; della coordinazione motoria. In molti casi comunque l’individuazione e il trattamento di questi disturbi sembra riguardare il campo educativo piuttosto che quello della salute mentale poiché essi interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo, o di scrittura. Tali difficoltà a scuola possono manifestarsi quando il bambino: legge in modo poco fluente, legge commettendo errori, sembra non ricordare o non comprendere quello che legge, scrive con grafia poco comprensibile, scrive con errori di ortografia che riguardano lettere sostituite, omesse o invertite, ha difficoltà a imparare tabelline e nel calcolo orale veloce, ha difficoltà ad imparare le informazioni in sequenza (per es. giorni della settimana, mesi), si distrae facilmente, ha difficoltà a mantenere a lungo l’attenzione sul compito scolastico, rifiuta di leggere o scrivere, disturba i compagni durante la lezione. Il termine learning disabilities comprendeva inizialmente qualsiasi tipo di difficoltà associata alle attività scolastiche: in seguito è stato meglio specificato il settore dei disturbi specifici dell’apprendimento. L’incidenza delle difficoltà scolastiche sulla popolazione che frequenta la scuola dell’obbligo risulta essere del 15-16%, percentuale che scende al 3-5% se si parla di DSA. I dati italiani sono ancora incerti, e comunque sembrano essere in numero ridotto rispetto a quelli dei paesi di lingua inglese, assai più ricchi di ricerche in questo campo, ma che presentano anche una casistica elevata dovuta alla maggiore difficoltà che implica la lettura della lingua inglese. L’inglese, infatti, a differenza della lingua italiana, non ha corrispondenza tra grafema e fonema (l’italiano si legge come si scrive).
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Eziologia e disturbi associati I Disturbi dell’Apprendimento devono essere differenziati da tutti gli altri fattori che possono contribuire alle difficoltà scolastiche. Gli studi neurologici indicano che l’ambiente sociale del bambino, durante i primi tre anni di vita, ha un impatto fortissimo sullo sviluppo iniziale delle funzioni cerebrali come l’apprendimento e la memoria, che ne possono venire condizionate sia positivamente che negativamente. I fattori negativi possono essere legati a problemi sociali, psicologici e biologici, come una condizione generale di stress, l’incuria da parte dei genitori, la depressione o l’abuso di sostanze da parte dei genitori, le famiglie separate o monogenitoriali, la mancanza di stimoli sociali, cognitivi e fisici, ogni tipo di abuso, la povertà, la violenza e l’alimentazione carente. Demoralizzazione, scarsa autostima, e deficit nelle capacità sociali possono essere associati ai Disturbi
dell' Apprendimento.
La
percentuale
di
bambini
o
adolescenti
con
Disturbi
dell' Apprendimento che abbandonano la scuola è stimata intorno al 40% (o circa 1,5 volte in più rispetto alla media). Gli adulti con Disturbi dell' Apprendimento possono avere notevoli difficoltà nel lavoro o nell' adattamento sociale. Molti soggetti (10-25%) con Disturbo della Condotta, Disturbo Oppositivo Provocatorio, Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Disturbo Depressivo Maggiore, o Disturbo Distimico, sono affetti anche da Disturbi dell' Apprendimento. Esistono prove che i ritardi di sviluppo del linguaggio possono insorgere in associazione con i Disturbi dell' Apprendimento (specie il Disturbo della Lettura), anche se questi ritardi possono non essere sufficientemente gravi da giustificare la diagnosi separata di Disturbo della Comunicazione. I Disturbi dell' Apprendimento possono anche essere associati ad una più alta incidenza del Disturbo di Sviluppo della Coordinazione. Possono esservi anomalie sottostanti dell' elaborazione cognitiva (per es., deficit della percezione visiva, dello sviluppo del linguaggio, dell' attenzione, della memoria, o una combinazione dei precedenti) che spesso precedono i Disturbi dell' Apprendimento, o sono associati ad essi. Sebbene una predisposizione genetica, una lesione perinatale, e varie condizioni neurologiche o condizioni mediche generali possano essere associate con lo sviluppo dei Disturbi dell' Apprendimento, la presenza di queste condizioni non predice invariabilmente l' esito in un Disturbo dell' Apprendimento, e vi sono molti soggetti con Disturbi dell' Apprendimento che non hanno un' anamnesi di questo tipo. I Disturbi dell' Apprendimento si trovano comunque spesso associati ad una varietà di condizioni mediche generali (per es., avvelenamento da piombo, sindrome fetale da alcool, o sindrome dell' X fragile).
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Quale disagio psicologico presenta il bambino con DSA? Il bambino con DSA ha sempre un disagio psicologico conseguente al vissuto delle proprie difficoltà di apprendimento. Egli, infatti, è il primo a percepire la propria difficoltà, vivendola; però generalmente non sa darsi spiegazioni e tutto ciò ha ripercussioni negative sulla sua autostima e in genere sulla formazione della sua personalità. Questo disagio può tradursi in disturbi di comportamento ( disturba in classe), rifiuto della scuola, inibizione, chiusura in se stesso, atteggiamenti di disinteresse da tutto ciò che può richiedere impegno, depressione o altri tratti psicopatologici. Ancora oggi, in un bambino con DSA, spesso vengono notate proprio le difficoltà psicologiche, prima delle sue difficoltà di apprendimento. Criteri per l’individuazione dei DSA. Le procedure dei test richiedono l’utilizzo di strumenti standardizzati somministrati individualmente, con norme che riguardano contesti etnici o culturali simili. Inoltre, i problemi di apprendimento devono interferire significativamente con le acquisizioni scolastiche, o con le attività giornaliere che richiedono queste capacità. Possono essere usati diversi metodi statistici per stabilire se un divario è significativo. Di solito si ricorre alle prove MT di lettura, scrittura, comprensione e calcolo. Tali prove sono state costruite in modo da sondare in maniera specifica i disturbi dell’apprendimento. Bisogna inoltre sottolineare il fatto che i bambini afflitti da tali disturbi hanno di solito un quoziente intellettivo non inferiore a 2 deviazioni standard rispetto alla media. Il disturbo dell’apprendimento non è sintomo secondario di una patologia primaria, non è quindi causato da un ritardo mentale. Se è presente un deficit sensoriale, le difficoltà di apprendimento devono andare al di là di quelle di solito associate al deficit. La menomazione è in realtà una risultante del grado di gravità, dell’ammontare del disagio o delle interferenze, e della capacità del bambino di adattarsi ai propri deficit. I Disturbi dell' Apprendimento possono persistere nell' età adulta, infatti se non sono riconosciuti e trattati in modo adeguato possono essere terreno fertile per il radicamento di problemi psicologici in età adulta, arrivando talvolta a causare veri e propri disturbi di personalità.
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Diagnosi La diagnosi dei DSA deve essere sia neuropsicologica che globale. La difficoltà del bambino deve essere cioè analizzata nelle sue componenti per capire le aree di difficoltà, e, soprattutto, le strategie che usa, quelle che non usa e quelle che potrebbe usare. La diagnosi neuropsicologica deve riguardare quindi tutte le aree di "funzionamento" del bambino: le sue capacità cognitive, le abilità prassiche e spaziali, la memoria, il linguaggio, l' apprendimento in senso stretto (lettura, scrittura e aritmetica), e deve essere effettuata con test standardizzati. È inoltre importante considerare, da un punto di vista psicologico più generale, la personalità del bambino e come egli vive la sua difficoltà. È quindi essenziale un collegamento tra lo psicologo e il neuropsichiatra che fanno la diagnosi, il terapista e gli insegnanti. È opportuno che si costituisca una rete intorno al bambino e che ci sia un approccio omogeneo da questo dipende in gran parte l' esito favorevole degli interventi. Attualmente non esiste un’interpretazione univoca dei DSA, mentre c’è un accordo generale sulla definizione clinica di tali disturbi (cfr. DSM IV - ICD 10): i ricercatori utilizzano tuttora diversi modelli di riferimento che fanno capo alle rispettive discipline e metodologie operanti nell’ambito delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Diagnosi differenziale I principali gruppi diagnostici da cui differenziare in tutti i casi tali disturbi sono il Ritardo Mentale, i deficit visivi e uditivi sensoriali e i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Tutte le diagnosi per queste categorie si poggiano soprattutto sui risultati dei test intellettivi, di eloquio e uditivi.
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DISTURBO DI LETTURA
Che cos'è la dislessia? La Dislessia è una difficoltà selettiva nella lettura, in presenza di capacità cognitive adeguate, adeguate opportunità sociali e relazionali e in assenza di: deficit sensoriali e neurologici, disturbi psicologici primari. Tale disturbo, che interessa circa il 4% della popolazione infantile, rallenta e rende difficoltoso il processo di apprendimento della lettura in bambini intelligenti, che non presentano altri problemi neuropsichiatrici significativi. Nel corso del loro iter scolastico, pur essendo intelligenti, curiosi e capaci di apprendere, questi bambini rischiano di rimanere indietro su molti argomenti, quindi di non potersi confrontare con nuovi concetti e con nuove conoscenze, solo a causa del loro disturbo. Di solito i bambini dislessici hanno difficoltà a mantenere a lungo l' attenzione a scuola, anzi spesso sono proprio queste difficoltà attentive che vengono rilevate dagli insegnanti. Bisogna distinguere, nella clinica, se esse sono primarie o se sono secondarie alle difficoltà di apprendimento: in questi casi, cioè, il bambino può raggiungere una soglia massima di affaticamento proprio per sovraccarico di risorse attentive e quindi si sottrae all' impegno per lui insostenibile. Il bambino dislessico può leggere ma riesce a farlo solo impegnando al massimo le sue energie, poiché non può farlo in maniera automatica. Perciò si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, non impara. Dalla definizione di dislessia sono esclusi tutti quei bambini che hanno un disturbo di apprendimento come effetto secondario di una causa principale (scarsa stimolazione socio-culturale, problemi neurologici, sensoriali della vista e/o dell' udito, ritardo di sviluppo, difficoltà cognitive). Ipotesi eziopatogenetiche Un primo approccio che ha influenzato a lungo il trattamento della dislessia si basava su una ipotesi di origine neurologica della dislessia. Una secondo approccio, quello psicoanalitico, ha cercato di individuare le cause della dislessia in un rifiuto della separazione dalle figure genitoriali che l’entrata nella scuola presuppone e da questa ottica ha proposto interventi di psicoterapia miranti a superare le difficoltà di lettoscrittura. Tale prospettiva però non spiegava alcune variabili ridondanti: il fatto che il numero dei maschi che presentano tale disturbo sia significativamente superiore a quello delle femmine, il fatto che 5
spesso sia stata segnalata una pregressa difficoltà di linguaggio, l’incidenza di un 60% di casi che hanno un famigliare che presenta lo stesso disturbo. Giacomo Stella, noto esperto di dislessia in Italia, ha proposto una idea innovativa che ha notevolmente influenzato l’approccio al problema: egli ha dichiarato che la dislessia non è una malattia, e che dalla dislessia non si guarisce. Questo ha fatto propendere per una ipotesi di base biologica del disturbo, ipotesi che sembrerebbe spiegare le variabili che la psicoanalisi non riusciva a giustificare. L’orientamento che prevale oggi dice che si nasce, vive e muore dislessici, anche se con una grande variabilità individuale nell’evoluzione del disturbo: alcuni adulti conservano una marcata dislessia, altri (definiti compensatori) evitano di esporsi in situazioni pubbliche e utilizzano con successo strategie alternative alla lettoscrittura, altri ancora (definiti in ricerche in paesi anglofoni "recovered"), hanno recuperato ed il disturbo compare soltanto in casi di affaticamento o in situazioni in cui sono fortemente disturbati o confusi. Generalmente alcuni segnali che possono permanere sono difficoltà a leggere l’orologio, a conteggiare i resti, a ricordare la sequenza dei mesi dell’anno, ecc: a buone capacità cognitive accompagnano difficoltà procedurali e, a volte, una certa goffaggine nei movimenti e difficoltà di motilità fine. Spesso solo un accurato esame neuropsicologico può ancora identificarli come dislessici. Modelli di apprendimento della lettura e della scrittura Per molti anni lo studio delle difficoltà di lettura e scrittura si è sviluppato in modo quasi indipendente dagli studi che indagavano i processi di lettura e scrittura normali. Dagli inizi degli anni 80, invece, la conoscenza dei processi cognitivi normali si è accresciuta notevolmente attraverso le informazioni provenienti dallo studio delle disfunzioni cognitive derivanti dalle patologie di tipo neurologico. Quasi paradossalmente lo studio della normalità è stato aiutato dallo studio della patologia. Si è arrivati così a formulare dei modelli che sono serviti da riferimento per iniziare a discutere su come uno sviluppo inadeguato nel funzionamento di qualche componente possa spiegare i disturbi di lettura e di scrittura. Il modello adulto di lettura deriva da studi condotti su soggetti adulti che avevano perduto la funzionalità nella lettura e nella scrittura a causa di una lesione cerebrale. Questo modello prevede 3 vie o modi per leggere e scrivere: 1. attivando il significato nel magazzino semantico e successivamente la corrispondenza fonologica.
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2. ricavando la corrispondenza fonologica dei grafemi applicando le regole di conversione grafema-fonema. 3. attivando la corrispondenza fonologica della parola intera senza passare dal magazzino semantico. Questo modello ha un limite: non può spiegare i disturbi evolutivi, dei soggetti che quindi non hanno mai raggiunto un’ efficienza completa in lettura e scrittura. A questo punto è in dispensabile utilizzare come riferimento un modello di apprendimento, un modello cioè che indichi come il bambino passi da una completa ignoranza dei rapporti tra linguaggio orale e linguaggio scritto ad una automatizzazione dei processi di trasformazione tra queste due forme di linguaggio utilizzando le procedure o vie presenti nel lettore adulto. Il modello di Frith illustra come l’apprendimento della lettura e della scrittura si svilupperebbe in 4 fasi tra loro indipendenti: 1. Stadio logografico. Il bambino legge o scrive parole in modo globale facendo riferimento agli aspetti visivi, riconoscendone il significato solo per associazione e grazie all’intermediazione dell’adulto che gliela fornisce. La parola è semplicemente un’icona, un simbolo, un disegno con caratteristiche precise (es. la scritta LEGO o CocaCola). 2. Stadio alfabetico. Il bambino inizia ad applicare e riconoscere le regole di conversione grafema – fonema. 3. Stadio ortografico. Il bambino applica le regole di trasformazione grafema – fonema a gruppi di lettere corrispondenti a sillabe, suffissi e morfemi. 4. Stadio lessicale. Il bambino riconosce e scrive globalmente le parole senza attivare alcun processo di trasformazione grafemico – fonemico. In questo modello è implicita l’organizzazione gerarchica tra varie fasi: lo sviluppo delle fasi più evolute dipende dall’efficienza di quelle più primitive. E’ inoltre fondamentale sottolineare il fatto che il raggiungimento di una fase nella lettura non comporta automaticamente il raggiungimento di tale fase nella scrittura. Quante dislessie? Un modello teorico che ha ricevuto un notevole rilievo nell’interpretazione delle dislessie acquisite ed evolutive è stato proposto da Coltheart et al.(2000). L’idea generale è che la lettura di un testo sia possibile attraverso due diverse procedure. Una parola può essere scomposta nelle sue 7
parti costituenti e letta in relazione alle regole di conversione grafema - fonema proprie della lingua (procedura sublessicale). In alternativa la parola può essere letta “direttamente” in riferimento ad un lessico visivo disponibile in memoria ed acquisito per apprendimento (procedura lessicale). I disturbi di utilizzo di queste due procedure si esprimono in errori di lettura differenti e caratteristici. Un soggetto con deficit a livello della procedura sublessicale è definito dislessico fonologico ed ha difficoltà a leggere le parole che non sono già immagazzinate nel suo lessico visivo. Un modo efficace per toccare con mano questa difficoltà consiste nel presentare ai soggetti stringhe di lettere pronunciabili ma che non appartengono al lessico (pseudo – parole). Questo materiale può essere letto solo attraverso la conversione grafema – fonema. Un deficit nella procedura lessicale è definito come dislessia superficiale. Tale deficit si manifesta con errori nella lettura di alcune parole che non possono essere lette correttamente mediante la procedura di conversione grafema – fonema come ad esempio le parole irregolari (es acqua) o gli pseudo – omofoni (es. lascia – l’ascia; dorso – d’orso). La dislessia mista è data dalla copresenza di dislessia fonologica e dislessia superficiale. Abbiamo precedentemente detto che le ricerche condotte negli ultimi anni portano verso un’interpretazione di tipo neurobiologico della dislessia. Ma tali deficit biologici a quali conseguenze cognitive danno origine? Una delle ipotesi attualmente più in voga sostiene che le difficoltà di lettura siano la conseguenza di una sovrapposizione delle informazioni ricavate da fissazioni successive a causa di un’inefficiente inibizione del sistema transiere che opera durante lo spostamento da una fissazione all’altra. Alcuni autori ritengono, invece, che queste anomalie siano solo una conseguenza e non una causa del disturbo di lettura. Entrambe queste ipotesi non hanno ancora ricevuto soddisfacenti conferme. Sono ormai numerose invece le prove che indicano che il disturbo centrale della dislessia derivi da una specifica difficoltà nella codifica fonologica, una estrema lentezza nel processo di denominazione e recupero lessicale (Denkla, Rudel & Broman 1981). Il deficit sarebbe, quindi, soprattutto di natura mnestica. I soggetti affetti da dislessia fonologica fanno fatica nel decodificare i grafemi in quanto non è subito disponibile in memoria il giusto fonema corrispondente. I soggetti affetti da dislessia superficiale fanno molta fatica, come abbiamo già spiegato precedentemente, ad accedere al magazzino del lessico visivo. In entrambi i casi il processo di recupero dell’informazione non è affatto automatico; la mancata automatizzazione rende la transcodifica difficile e molto laboriosa.
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Diagnosi differenziale: disturbi di decodifica e disturbi di comprensione Vari studi condotti negli ultimi anni hanno permesso di individuare la complessità del compito di lettura, distinguendo al suo interno differenti sottocomponenti. Una distinzione ormai consolidata è quella fra la componente di decodifica (lettura ad alta voce) e la componente di comprensione. Per decodifica si intende la capacità di riconoscere e nominare correttamente le parole che compongono un testo, mentre la comprensione riguarda la capacità di cogliere il significato del testo. Non potrebbe esistere la comprensione se prima il lettore non fosse in grado di decifrare il testo e, viceversa la comprensione facilita la decodifica. Tuttavia un’ampia gamma di prove (Pazzaglia, Cornoldi & Tressoldi 1993) ha ormai documentato la sostanziale indipendenza tra gli aspetti della decodifica e gli aspetti della comprensione. Soggetti che incontrano molte difficoltà nel leggere ad alta voce, quindi con problemi di decodifica, non presentano necessariamente difficoltà nel comprendere un testo che viene loro letto de terzi. La stessa cosa può dirsi per soggetti con disturbi di comprensione: la loro lettura ad alta voce può essere nella norma, al contrario della capacità di comprendere il testo. Non bisogna farsi ingannare dal fatto che i soggetti dislessici facciano a volte fatica nel rispondere a domande sul testo che loro stessi hanno appena letto; nella maggior parte dei casi, le difficoltà di decodifica assorbono totalmente l’attenzione dei soggetti e li distraggono facendogli perdere di vista la comprensione del brano. Ad una scarsa comprensione del testo quasi mai corrisponde una scarsa comprensione da ascolto, mentre ad una scarsa comprensione da ascolto è sovente associata anche una scarsa comprensione del testo. Comprendere significa costruirsi una rappresentazione mentale del contenuto del testo (Jonson – Laird 1983). La costruzione di questo modello mentale avviene attraverso l’integrazione di informazioni che il lettore già possiede (le sue conoscenze precedenti di tipo lessicale, sintattico e semantico) e delle informazioni contenute nel brano. E’ fondamentale per il lettore selezionare all’interno del testo le informazioni importanti, integrarle con informazioni già elaborate o già presenti nella sua memoria e formare una rappresentazione coerente del testo. La creazione di tale rappresentazione del testo implica processi che coinvolgono quindi la memoria a lungo termine, la memoria a breve termine e la memoria di lavoro (Kintsch 1994). La memoria di lavoro mantiene ed allo stesso tempo elabora il contenuto del testo; la memoria a lungo termine è un archivio che, in questo processo, viene continuamente consultato. Una delle molte teorie formulate per spiegare i disturbi di comprensione (Oakhill 1994) sostiene che i cattivi lettori non sono in grado di rendere disponibili alla memoria di lavoro le conoscenze preesistenti nella memoria a lungo termine al momento giusto; tale deficit non permetterebbe a questi soggetti di costruire una buona rappresentazione mentale di quanto leggono. 9
De Beni et al. (1998) sostengono inoltre che i cattivi lettori non sono in grado di inibire le informazioni irrilevanti; la memoria di lavoro di tali soggetti computa un numero troppo elevato di dati e tale “sovraccarico” non permette la registrazione neppure delle informazioni realmente rilevanti. Un caso clinico: la storia di Daniele. Daniele frequenta la quinta elementare, è un bambino intelligente (QI assolutamente nella media) e vivace, ma legge ancora in modo lento e faticoso, sbaglia le parole e quello che legge risulta all’ascoltatore quasi incomprensibile. Il suo atteggiamento di fronte ad un testo scritto è indicativo delle sue difficoltà: chiede se deve leggere proprio tutto e mostra chiaramente di dover compiere un grande sforzo. Non si rifiuta di leggere ma fa di tutto per evitarlo. La sua difficoltà di lettura è ben documentata dalla prestazione nella lettura di un brano che fa parte di una batteria standard di valutazione della lettura (prove MT). Nel leggere tale brano Daniele compie 40 errori ed impiega in media 66 centesimi di secondo per sillaba, un tempo più che doppio di quello dei coetanei con normali capacità di lettura. Nella prova di comprensione della stessa batteria Daniele risponde correttamente ad otto domande su dieci, fornendo quindi una prestazione sufficiente. Tuttavia per eseguire questa prova impiega ben 15 minuti e riesce a ricavare dal testo le informazioni necessarie per rispondere alle domande solo con un lungo e faticoso lavoro di decodifica. L’esame dei movimenti oculari durante la lettura rappresenta un modo particolarmente informativo per comprendere il tipo di scansione che un lettore effettua sul materiale stimolo. Di seguito sono riportati i movimenti oculari di un ragazzo con la stessa età di Daniele ma con normali abilità di lettura ed i dati dello stesso Daniele.
LETTURA NORMALE La partita è molto combattuta perché le due squadre 1
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tentano di vincere fino all’ultimo minuto. Era l’ultima 10 9
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giornata del campionato……….. 16
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DANIELE La partita è molto combattuta perché le due squadre 1
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tentano di vincere fino all’ultimo minuto. Era l’ultima 20 21 22 23 24
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giornata del campionato………..
In primo luogo si deve notare che in entrambi i casi i movimenti sono prevalentemente nella direzione da sinistra a destra. Tuttavia una piccola quota di movimenti (definiti regressioni) va da destra versi sinistra. Una seconda osservazione da fare è che non esiste una relazione costante tra parole e fissazioni: in generale molti funtori non sono fissati direttamente dall’osservatore. In generale si può dire che i movimenti di un lettore esperto sono caratterizzati da una notevole flessibilità: gli occhi si muovono molto o poco a seconda della lunghezza dello stimolo successivo e si soffermano principalmente sulle parole che veicolano i contenuti più importanti del testo. Se esaminiamo i movimenti oculari di Daniele notiamo che egli segue un numero molto elevato di movimenti saccadici e che l’ampiezza delle saccadi è molto ridotta. In effetti si ferma più di una volta sulla maggior parte delle parole; inoltre anche molti funtori vengono fissati. In sintesi possiamo dire che mentre il lettore normale tende a fissare le parole una volta sola, e solo occasionalmente ha bisogno di più fissazioni, il numero di fissazioni fatte da Daniele tende ad aumentare al crescere della lunghezza della parola. Il bambino compie una scansione frazionata del testo scritto in piccole subunità che approssimano la sillaba. Se a Daniele vengono presentate delle pseudo-parole, queste vengono lette da lui alla stessa velocità con la quale legge le parole di senso compiuto. L’insieme di questi risultati rendono abbastanza chiare la diagnosi: Daniele presenta un deficit di esecuzione della procedura lessicale e quindi legge prevalentemente attraverso la via sublessicale. Il bambino è quindi affetto da dislessia superficiale. In seguito alla diagnosi Daniele è stato seguito per due anni scolastici da una logopedista e da un insegnante di sostegno; sono stati programmati due incontri individuali a settimana durante l’orario scolastico. In questo caso specifico è sembrato importante contrastare la tendenza ad elaborare porzioni molto piccole della parola per favorire un’analisi più globale. Un modo per fare questo consiste nel presentare le parole per un tempo inferiore alla latenza dei movimenti saccadici 11
(circa 150ms) mediante l’utilizzazione di un computer. Se un parola viene presentata per soli 100ms gli occhi non hanno il tempo di muoversi ed effettuare alcuna scansione. Il riconoscimento della parola può avvenire in questo caso soltanto utilizzando le informazioni colte in una singola fissazione. A Daniele viene chiesto di pronunciare le parole immediatamente, anche a costo di sbagliare, ma lui spiega che non può dire subito la parola perché, dopo averla vista, la deve pensare e mettere a posto. Talvolta pronuncia a bassa voce la parola e solo successivamente la propone ad alta voce. Gli viene spiegato che questo modo di fare rallenta la sua lettura e che gli esercizi non “valgono” se non lo aiutano a riconoscere la parola nel suo insieme. Si decide quindi di modificare la valutazione dei risultati dando più peso al numero di parole che non “valgono” perché “pensate” che al numero di errori. Daniele diventa cosciente del processo che deve evitare ed è in grado di attuare questo tipo di valutazione in maniera autonoma. Aspetta la comparsa della parola con grande attenzione e, quando riesce a produrla in maniera immediata, è soddisfatto (“e vai!!”) e, nel caso contrario si autocritica (“ci penso troppo, troppo”). Dopo circa due mesi Daniele mostra di riuscire a leggere in modo globale le parole da cinque lettere, ma continua ad avere difficoltà con quelle più lunghe anche se ha capito che deve cercare di non “pensarle”. Nel corso delle sedute successive il numero degli errori si riduce notevolmente anche su liste di parole da sei lettere, ma solo poco più della metà delle parole viene letta senza esitazioni. Al termine dell’anno scolastico i risultati ottenuti sono abbastanza soddisfacenti ed all’inizio del nuovo anno scolastico il bambino comincia ad affrontare compiti più complessi (parole da sette lettere). Nonostante il successo ottenuto con il compito sul computer Daniele continua ad essere intimorito dalla lettura di brani scritti, soprattutto se deve leggerli ad alta voce. Il secondo anno di terapia si incentra quindi sul superamento delle paure da parte del ragazzo. Trainig riabilitativo Soggetti con dislessia fonologica vanno aiutati ad acquistare maggiore consapevolezza fonetica, una speciale capacità cognitiva che permette di identificare i fonemi che compongono le parole. Uno dei metodi oggi più utilizzati è lo spelling orale simultaneo che si compone fondamentalmente di 4 fasi: •
Il soggetto sceglie la parola da scrivere.
•
La parola viene scritta dall’educatore.
•
Il soggetto legge la parola. 12
•
Il soggetto scrive la parola in modo autonomo autodettandosi una lettera alla volta.
I risultati finora ottenuti con questo metodo dimostrano un netto miglioramento da parte dei soggetti. I soggetti con dislessia superficiale devono essere aiutati a compiere una lettura globale della parola. A questo proposito sono stati messi a punto dei programmi che presentano sullo schermo del PC le parole per un tempo minimo (100ms circa). Tale procedure sprona i soggetti a compiere nel minor tempo possibile un riconoscimento globale delle parole presentate. Anche in questo caso i risultati dimostrano un miglioramento da parte dei soggetti sottoposti al trattamento. La riabilitazione deve essere incentrata sulla motivazione: occorre muoversi con equilibrio per far sì che bambini dislessici continuino ad affrontare la lettoscrittura senza arrivare ad un rifiuto di un compito per loro difficile ed altamente frustrante. La continuazione dell’esercizio della lettura può consentire una lettura sempre più basata sul riconoscimento visivo delle parole e sempre meno sulla faticosa decifrazione. Solo in casi di conclamata alessia (totale incapacità di leggere) la lettura e la scrittura non vanno proposte e occorre rivolgersi a strategie completamene alternative: in caso di dislessia, invece, la lettoscrittura va conservata come supporto ad altre modalità di presentazione dei contenuti da apprendere, ma non va in ogni caso considerata la via principe. Il progetto, prima che didattico, deve essere di aiuto: vanno privilegiati gli apprendimenti anche a scapito della forma. Purtroppo tale attenzione, presente nella scuola elementare (la percentuale dei bocciati che presentano tale disturbo è in linea con la media generale), tende a scemare nella scuola media, dove la percentuale di bocciati che presentano dislessia è del 600% superiore alla media generale. DISTURBO DI SCRITTURA Che cos’è il disturbo di scrittura? E’ una capacità di scrittura che si situa sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età del soggetto, alla valutazione psicometria dell’intelligenza ed a un’istruzione adeguata all’età. Il disturbo interferisce notevolmente con l’apprendimento scolastico e con le attività della vita quotidiana.
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Caratteristiche I bambini con disturbo di scrittura tendono ad avere difficoltà nella composizione di testi scritti, solitamente con errori di inversione di lettere (m con n, p con q, b con d, r con e, f con v) e con calligrafia deficitaria. Si riscontrano inoltre, in questi soggetti, errori di punteggiatura con incapacità di autocorreggersi. Disgrafia e disortografia La disgrafia è definita come disturbo della scrittura nella produzione dei segni alfabetici e numerici con tracciato incerto ed irregolare. E’ una difficoltà che investe quindi la scrittura ma non il contenuto. La disortografia è una difficoltà che riguarda il contenuto di quanto scritto. In genere nel soggetto affetto da tale disturbo si riscontrano difficoltà nello scrivere le parole usando tutti i segni alfabetici e nel collocarli al posto giusto ed inoltre difficoltà nel rispettare le regole ortografiche: accenti, apostrofi e forme verbali. I ricercatori hanno operato un’ulteriore suddivisione classificando la disortografia superficiale e la disortografia fonologica. La disortografia superficiale è caratterizzata da errori collegati alla presentazione ortografica di una parola, che comporta errori nelle parole irregolari dove non è rispettata la regolarità di conversione fonema-grafema e si evidenzia nelle parole omofone (letto-l’etto). La disortografia fonologica è caratterizzata da errori nella scelta e nella sequenza dei fonemi. Le cause Le disgrafie sono state assai meno studiate delle dislessie, forse perché si è implicitamente assunto che i tentativi di spiegare la une valessero anche per le altre. Le disgrazie potrebbero dipendere da una disfunzione dell’emisfero sinistro, prevalentemente nell’area perisilviana posteriore o nella corteccia parieto-temporo-occipitale. Quando il bambino fatica patologicamente ad imparare a scrivere sono funzionalmente compromesse, o meno evolute, queste aree dell’emisfero sinistro in cui immagini visive, acustiche e tattili delle parole si integrano.
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Interventi terapeutici Gli interventi terapeutici per disgrafici sono sostanzialmente gli stessi utilizzati per i dislessici. In numerosi casi i soggetti con disturbi dell’apprendimento mostrano di trarre vantaggio da interventi associati in cui siano coordinate modalità terapeutiche di tipo psicologico, pedagogico e farmacologico. Il trattamento più spesso proposto consiste nell’uso di farmaci stimolanti; vengono frequentemente usati il metilfenidato, la dextroanfetamina o ansiolitici e neurolettici. Molte ricerche in questo senso sono state condotte con soggetti iperattivi che spesso hanno manche difficoltà specifiche di apprendimento. Nessuna ricerca indirizzata specificatamente allo studio dei soggetti con disturbi di apprendimento ha dimostrato l’efficacia dei farmaci come unica forma di trattamento. Si riscontrano notevoli risultati con metodi che integrano la terapia comportamentale con quella farmacologia. La terapia comportamentale risulta essere più efficace e mirata (i risultati sono a più lungo termine), la terapia farmacologia aumenta la produttività scolastica e l’uso di ansiolitici migliora la capacità di lettura. Un caso clinico; la storia di Luca Luca è un bambino di 8 anni, è un bambino intelligente (QI di 119,5 e quindi nella norma). Da valutazioni ottenute attraverso esami neurologici e test standardizzati si evidenzia il fatto che le sue funzioni mestiche e verbali sono nella norma. Nella somministrazione delle prove di lettura MT sono stati ottenuti punteggi più che sufficienti mentre nelle prove MT di scrittura sono stati ottenuti punteggi molto bassi in quanto il bambino ha commesso diversi errori (es. fama-fana; retta-reta; passo-passso). Sulla base di questi risultati è stato relativamente semplice effettuare una diagnosi di disortografia fonologica. Riabilitazione La riabilitazione è stata effettuata seguendo un approccio pluridisciplinare: un team di esperti ha seguito il b/o in maniera intensiva (tre sedute settimanali durante l’orario delle lezioni) sempre in stretta collaborazione con la famiglia. Sono stati scelti mezzi alternativi di scrittura (es l’uso di un carattere stampato) e strumenti alternativi come una tastiera. 15
Deve essere sottolineato il fatto che, dopo un congruo numero di sedute, Luca sembra aver riacquistato fiducia in se stesso e il suo rapporto con i coetanei è sicuramente più disteso e meno timoroso. DISTURBO DEL CALCOLO.
Che cos’è la discalculia? Con questo termine, vengono indicate difficoltà d’apprendimento dell’aritmetica elementare che si verificano in bambini scolarizzati in assenza di compromissione delle altre forme di ragionamento logico e di simbolizzazione. Il deficit riguarda la padronanza delle capacità di calcolo fondamentali, come addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione e anche difficoltà nell’apprendimento delle tabelline. Modelli Per capire le ragioni delle difficoltà che si possono incontrare nell’eseguire i calcoli è possibile l’utilizzazione di modelli diversi. I primi modelli risentono di impostazioni prevalentemente cognitivistiche, mentre i secondi si avvicinano maggiormente ad una visione di tipo psicopedagogico. Uno tra i più importanti modelli cognitivi è l’HIP (Human Information Processing) che tende a considerare l’organismo umano come un elaboratore di informazioni. Esso riporta le fasi tipiche dell’elaborazione dell’informazione e cioè: la traduzione sensoriale( l’insieme dei processi che consentono ad uno stimolo esterno di provocarne uno interno); il registro sensoriale ( o magazzino delle informazioni); il riconoscimento percettivo e l’attenzione selettiva (che consentono un’analisi dettagliata dell’informazione a diversi livelli di complessità); la memoria a breve termine (che conserva poche informazioni per volta e per breve tempo); la memoria a lungo termine (che conserva le informazioni ed interviene nelle fasi precedenti guidandole). Ad ogni livello sono affidati compiti che permettono di rilevare eventuali deficit. 16
Tra i modelli psicopedagogici ha particolare rilevanza il “modello a contatore”di Groen e Parkman(1972) che indaga le quattro operazioni aritmetiche, in particolare l’addizione. Esso prevede due stadi: 1) il soggetto decide il numero da cui partire per effettuare il conteggio; 2) il soggetto procede incrementando o decrementando il “contatore” fino al raggiungimento del valore richiesto. Più tardi Svenson(1975) ampierà tale modello con l’aggiunta di varie strategie che possono essere utilizzate per trovare la somma. Caratteristiche La caratteristica principale del disturbo del calcolo è una capacità di calcolo(misurata con test standardizzati somministrati individualmente sul calcolo e sul ragionamento matematico) che si situa sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza, e ad un’istruzione adeguata all’età. Il disturbo del calcolo interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di calcolo. Se è presente un deficit sensoriale, le difficoltà nelle capacità di calcolo vanno al di là di quelle di solito associate con esso. Infatti nel Disturbo dell’Apprendimento due aspetti sono da ritenersi fondamentali: il “criterio di discrepanza” e i “fattori di esclusione”. Il criterio di discrepanza si riferisce al fatto che il soggetto ha prestazioni scolastiche di gran lunga peggiori rispetto a quelle dei propri compagni ed a quelle che ci si potrebbe aspettare in base all’età ed alla scolarizzazione. Inoltre nell’escludere che le difficoltà siano causate da una particolare condizione medica come un deficit sensoriale, si fa riferimento ad un “fattore di esclusione fisico”. Nel disturbo del Calcolo possono essere compromesse diverse capacità, incluse quelle “linguistiche”(per es. comprendere e nominare i termini, le operazioni, o i concetti matematici, decodificare problemi scritti in simboli matematici), capacità “percettive”(per es. riconoscere o leggere simboli numerici o segni aritmetici e raggruppare oggetti), capacità “attentive”(per es. copiare correttamente numeri o figure, ricordarsi di aggiungere il riporto e rispettare i segni operazionali) e capacità “matematiche”(per es. seguire sequenze di passaggi matematici, contare oggetti ed imparare le tabelline).
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Diverse forme La gamma delle difficoltà è molto estesa: si va infatti da difficoltà ascrivibili alle prime fasi dell’apprendimento matematico sino al calcolo e alla soluzione dei problemi. Sebbene ogni soggetto con DA costituisca un caso a sé stante, è possibile individuare una serie di raggruppamenti di difficoltà nell’apprendimento della matematica. Già nel 1961 Hécaen proponeva una classificazione delle difficoltà di calcolo considerando: a) l’acalculia fasica = difficoltà di lettura e scrittura dei numeri; b)l’acalculia visuo-spaziale = difficoltà nell’organizzazione spaziale dei numeri; c)l’anaritmetica = difficoltà nella scelta della strategia da seguire per affrontare le varie operazioni aritmetiche. Diagnosi e cause La prevalenza del disturbo del Calcolo è difficile da stabilire perché molti studi sono centrati sulla prevalenza dei Disturbi dell’Apprendimento senza un’attenta distinzione in disturbi specifici di Lettura, del Calcolo, o dell’Espressione scritta. La prevalenza del solo Disturbo del Calcolo(cioè quando non è associato con altri Disturbi dell’Apprendimento) è stata stimata a circa 1 caso su 50 di Disturbo dell’Apprendimento. Si valuta che l’1% dei bambini in età scolare abbiano un Disturbo di Calcolo. Il Disturbo di Calcolo insorge assai frequentemente in associazione con il Disturbo della Lettura A proposito delle cause di insuccesso in matematica ci sono quattro filoni di pensiero: 1.Cause Neuropsicologiche. Questo approccio si propone di studiare le relazioni tra l’apprendimento e le funzioni del cervello. Secondo tale teoria, diverse lesioni originerebbero diversi tipi di disturbo, in particolare le difficoltà matematiche sarebbero causate da sconnessioni in un emisfero o nel corpo calloso che renderebbero difficoltoso il passaggio delle informazioni da un emisfero ad un altro. Mentre difficoltà nel problem-solving dipenderebbero da lesioni dei lobi frontali. 2.Cause Psicologiche. Questi studi enfatizzano l’importanza di vari processi cognitivi, i quali sarebbero alla base dei DA in matematica. Infatti, all’ origine di tali problematiche, ci sarebbero proprio dei deficit presenti, in particolare, nei processi mnestici, visuopercettivi o psicomotori. 3.Cause Psicopedagogiche.
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Tali teorie tendono a collegare le difficoltà dell’apprendimento della matematica a cause ascrivibili al comportamento dei docenti. Tali assunti sarebbero confermati da scelte didattiche inadeguate che vedono la matematica moderna accompagnata da un linguaggio troppo ricco (a discapito di un linguaggio scarsamente sviluppato),di periodi di fissazione molto lunghi, di vari simboli operatori non sufficientemente formati. Tutto ciò porta il soggetto a sentirsi incapace ed a sviluppare un “senso di impotenza appresa” verso la materia. 4.Cause Multidimensionali. La prospettiva multidimensionale considera l’interazione tra le diverse variabili(neurologiche, maturazionali, ambientali…) distinguendo in particolare due tipi di DA: -il sottotipo mediazionale che includerebbe difficoltà altamente specifiche aventi un’eziologia prevalentemente organica; -il sottotipo di produzione che raccoglierebbe le difficoltà ascrivibili soprattutto al ricorso a strategie inefficaci, a scarsa motivazione, e ad ineguatezze dell’insegnamento o a deprivazione socio-culturale. Criteri per l’individuazione Sebbene sintomi di difficoltà nel Calcolo (per es., confusione nei concetti numerici o incapacità a contare con precisione)possano insorgere anche all’asilo o in prima elementare, il Disturbo del Calcolo è di rado diagnosticato così precocemente, è invece piuttosto evidente in seconda e terza elementare. La maggior parte degli strumenti standardizzati per l’accertamento delle abilità in matematica si trova inserita in batterie di accertamento del profitto scolastico generale. Il vantaggio di queste batterie consiste nel fatto che permettono la costruzione di un profilo individuale che evidenzia in modo orizzontale, i settori dell’apprendimento scolastico cui il soggetto può manifestare, in riferimento ad un gruppo normativo, eventuali difficoltà, e in modo longitudinale, la presenza di eventuali progressi che lo stesso può aver fatto registrare passando da una classe all’altra. Un aspetto che limita l’utilizzo generalizzato di questi strumenti deriva dal fatto che spesso il successo in un test di apprendimento è fortemente legato ai contenuti di fatto privilegiati nell’insegnamento. Meno problematiche, da questo punto di vista, possono essere considerate quelle prove che tendono ad indagare abilità matematiche proponendo situazioni stimolo non strettamente collegate ai processi di insegnamento-apprendimento usuali.
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Prove oggettive per l’accertamento dell’apprendimento matematico Tra gli strumenti specifici di analisi delle difficoltà di apprendimento della matematica il più frequentemente usato negli USA è decisamente lo Stanford Diagnostic Arithmetic Test. Pubblicato nel 1966, prevede due forme parallele pensate per i soggetti frequentanti due diversi livelli di scolarità. Il test fornisce punteggi separati per ciascuna delle abilità aritmetiche oggetto di indagine e richiede un numero piuttosto consistente di sedute di somministrazioni che durano mediamente dai 15 ai 53 minuti. Le prove oggettive di matematica rintracciabili sul mercato italiano non sono molte. La versione più aggiornata e completa è la Batteria Emmepiù. Essa si articola in una serie di subtest (aritmetica; logica ed insiemi; geometria; statistica; informatica e probabilità; problemi) che, in un’ ottica di tipo curriculare, caratterizzano le prove per ciascun livello di scolarità elementare. Per ogni classe sono state previste due forme: una destinata all’analisi delle abilità all’inizio della classe, l’altra da utilizzarsi prima della conclusione di ciascun anno scolastico. Le prove oggettive Emmepiù sono precedute da una Griglia di analisi dei prerequisiti da utilizzare all’inizio della frequenza della scuola elementare o alla fine della scuola materna. La realtà dell’insegnamento, del trattamento e della riabilitazione crea spesso agli operatori una serie di consistenti difficoltà in quanto la “casistica” di cui devono occuparsi è molto varia. L’operatore scolastico, ad esempio, si trova inserito in un contesto che gli richiede di praticare il suo insegnamento in modo tale da risultare efficace per un gruppo eterogeneo di soggetti. Sebbene ogni situazione costituisca un caso a sé stante, esistono tuttavia alcuni principi di riferimento che sarebbe opportuno tenere presenti in sede di programmazione dell’intervento rieducativo e del trattamento. I più importanti sono: 1. Garantire la gradualità del processo di insegnamento-apprendimento: per facilitare l’apprendimento è necessario procedere a “piccoli passi”. 2. Ricorrere costantemente ai feedback: quello che l’operatore riceve dal soggetto; quello che il soggetto riceve dall’operatore; quello che il soggetto fornisce a sé stesso. 3. Aumentare l’atteggiamento favorevole verso l’apprendimento: poiché gli apprendimenti futuri si basano sugli apprendimenti precedenti. 4. Facilitare il mantenimento e la generalizzazione: attraverso l’uso di una programmazione attiva.
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Un caso clinico: la storia di Simona Celi, analizzando i Disturbi dell’Apprendimento, riporta un caso clinico particolarmente significativo: Simona frequenta la quarta elementare, la mamma dice di lei che è una bambina normale, sana ed intelligente e invece la fanno passare da stupida e da handicappata. La madre è’ arrabbiata con le maestre che vorrebbero segnalarla come portatrice di handicap per avere l’insegnante di sostegno e con lo psicologo che non le fa il certificato e dunque ha lasciato senza aiuto la bambina. Simona è nata dopo un parto un po’ lungo e un po’ difficoltoso, forse ha avuto un brevissimo periodo asfittico, ma i medici l’hanno trovata perfettamente a posto e hanno dimesso madre e bambina dopo cinque giorni senza altre cure e senza particolari raccomandazioni. La bambina ha avuto uno sviluppo regolare, era docile e tranquilla fin dai primi mesi di vita, mangiava, dormiva e non dava nessuna preoccupazione. Ha cominciato a parlare intorno all’anno e a camminare a un anno e mezzo. E’ andata al nido perché il padre e la madre(culturalmente ed economicamente, molto modesti) lavoravano; poi alla scuola materna dove non sembra abbia mai avuto problemi particolari. Anche alle elementari, all’inizio, sembrava che andasse tutto in modo regolare. Le maestre hanno cominciato a sollevare qualche dubbio verso la fine della prima. I problemi sono via via aumentati. Andava male in tutto. Nel dicembre della seconda elementare, le maestre hanno mandato a chiamare la madre e le hanno detto che la bambina andava portata da uno psicologo per farle un certificato per l’insegnante di sostegno. Giustificavano questa richiesta sostenendo che la bambina aveva costantemente bisogno di qualcuno vicino, che la incoraggiasse e la aiutasse nel fare le cose, perché da sola non era assolutamente capace di fare nulla. Leggeva, male, qualche parola in stampatello maiuscolo: scriveva solo copiando e non era in grado di svolgere nessuna operazione aritmetica. Il primo psicologo interpellato disse che la bambina poteva aver bisogno di qualche aiuto sul piano didattico e la inviò da un terapista che faceva riabilitazione cognitiva, ma negò la necessità di un insegnante di sostegno. Dopo questa presa di posizione le maestre, si irrigidirono nei confronti della bambina che è sistematicamente valutata in modo molto negativo, non le si riconosce alcun progresso e non si perde occasione per ribadire che avrebbe bisogno di un insegnamento fortemente individualizzato. L’autore descrive la bambina come ben orientata: sa raccontare di sé, della sua vita, delle sue difficoltà scolastiche. Il solo problema che appare evidente è un certo atteggiamento infantile, da bambina più piccola della sua età. Lo si vede nel linguaggio, molto povero; negli argomenti che sceglie di trattare liberamente; nei disegni, che sembrano quelli di una bambina di prima o seconda 21
elementare. Per il resto è assolutamente adeguata, sostanzialmente serena, senza nessun disturbo di comportamento evidente, con una soddisfacente vita di relazione e ottime autonomie personali e sociali. Tuttavia la sua motivazione scolastica è vicina allo zero e la sua autostima scolastica è molto bassa: a Simona la scuola non interessa, è convinta che non faccia per lei. E’ come se la bambina volesse dire: “A scuola mi trattano come una scema? E io la faccio”. “Scema” in realtà non lo è affatto. I risultati della WISC-R mostrano un QI verbale di 90, un QI non verbale di 72 (con cadute particolari nei test di storie figurate e cifrario) e un QI totale di 80. Dunque la bambina si colloca nell’area di Funzionamento Intellettivo Limite. Se si considerano, inoltre, le ottime capacità adattive, si può escludere senz’altro una diagnosi di Ritardo Mentale e questo dà ragione allo psicologo che aveva rifiutato di certificare Simona per un insegnante di sostegno. Le prove MT di lettura, invece, come quelle per le Abilità di Scrittura (Tressoldi e Cornoldi, 1991), le prove Oggettive di matematica, il test ABCA (Test di abilità del calcolo aritmetico) e il test SPM (Abilità di soluzione dei problemi) danno risultati significativamente inferiori a quelli attesi. Questo significa che Simona mostra difficoltà di decodifica del testo scritto sia a livello di rapidità sia di correttezza, difficoltà particolarmente gravi di comprensione del testo, difficoltà di scrittura e difficoltà nell’area logico-matematica. L’autore, d’accordo con una sua collaboratrice, decide di mettere a punto per Simona un programma di intervento con strumenti informatici che vengono installati anche a scuola per permettere alla bambina di esercitarsi nel suo quotidiano ambiente di vita. Tuttavia, ritenuti inutili dalle maestre, tali strumenti non vennero usati nemmeno una volta. Simona era peggiorata ulteriormente: si estraniava dalla classe, passava la maggior parte del tempo a pensare ai fatti suoi, rifiutava di fare esercizi che le venivano proposti. I successivi tentativi di riabilitazione informatica vennero sistematicamente ostacolati dalle maestre… La storia di Simona ci mostra un ulteriore problematica in cui il bambino con DA potrebbe imbattersi: infatti in presenza di una difficoltà molto sfumata (come appunto è il DA) in cui non è sempre possibile intervenire con strumenti ufficiali di sostegno, può succedere che qualche insegnante, che non sa cosa fare e come comportarsi, finisca per scaricare sull’allievo le sue difficoltà, la sua aggressività, le sue angosce.
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Trainig riabilitativo Bisognerebbe intervenire sui disturbi di calcolo: Promovendo i prerequisiti matematici; Promovendo le componenti per la comprensione del calcolo deficitarie; Promovendo le conoscenze procedurali. Prima di tutto però viene l’ambiente dove particolare importanza è rivestita dal parent training, ossia il lavoro con i genitori che tende a migliorare il clima in famiglia, riduce il rischio di complicanze emozionali e di altri problemi psicopatologici del bambino con DA, potenzia il lavoro dello psicologo e degli educatori e fornisce il mantenimento e la generalizzazione delle abilità a mano a mano acquisite. Poi, vengono le tecniche di intervento più specifiche molto simili a quelle usate per il Disturbo di Lettura. Quindi, per aumentare la motivazione a compiti didattici, si utilizzano il rinforzamento e il modellaggio, che favoriscono anche lo sviluppo graduale di nuove competenze. Infine vengono usate le analisi del compito e i curricula finalizzati agli specifici disturbi del bambino. Questi curricula, nei quali alcuni obiettivi più complessi vengono scomposti in molti sotto-obiettivi più semplici, si prestano bene a un utilizzo anche massiccio del modellaggio, perché permettono allo psicologo o all’insegnante di rinforzare il bambino passo dopo passo. Inoltre, sono spesso corredati da una serie di aiuti grafici, che possono essere eliminati pian piano secondo le tecniche dell’apprendimento senza errori. Esistono anche interventi di ispirazione cognitiva e metacognitiva: l’auto-osservazione, l’autorinforzamento e l’autoistruzione che possono essere usati per favorire nel bambino l’autonomia. Tali metodi, che prevedono l’uso di strategie per la consapevolezza di quello che sta facendo e dei risultati che può così raggiungere, presentano il vantaggio di lasciare il bambino almeno parzialmente protagonista del suo processo di cambiamento. Con Simona, ad esempio, è stata fatta un’esperienza di autoistruzione che consiste nell’insegnare al bambino a darsi da solo le istruzioni verbali necessarie all’esecuzione di un compito, attraverso l’uso di un linguaggio interno. Il programma sperimentato con Simona è composto da quattro fasi: Nella prima fase, l’educatore svolge il ruolo di modello durante l’esecuzione di un compito, per es. un’addizione con riporto. 23
La seconda fase consiste proprio nel tentativo, da parte della bambina, di ricopiare il comportamento dell’educatore. Secondo i principi dell’apprendimento senza errori, la terza fase consiste nell’attenuazione delle autoistruzioni verbali. La quarta e ultima fase ha come obiettivo l’imparare a darsi autoistuzioni interne, inizialmente pronunciandole a bassa voce, poi solo a fior di labbra, infine trasformandole in pensieri. A Simona piacevano molto questi esercizi, che trovava così diversi dal modo consueto di fare matematica. Aumentò la sua attenzione, la sua motivazione, la memoria per le regole e le strategie e la capacità di usarle al momento giusto. In seguito, nella soluzione dei problemi, la bambina divenne meno passiva e più autoregolata. Vennero usati anche programmi e ipertesti di geografia, i cui temi erano molto vicini a quelli trattati dalla maestra nello stesso periodo. Simona appariva molto più motivata e molto più abile a “giocare” con questi software che non a studiare gli stessi argomenti sul suo libro di testo. Imparava così molte cose che avrebbe faticato tantissimo ad acquisire in modo tradizionale. Curiosità: note di un convegno A bambini della scuola elementare con discalculia presunta viene richiesto di contare per unità e per decine,anche all’indietro; scrivere e leggere numeri; fare somme e sottrazioni a mente e scritte; sapere
tabelline.
Sono state valutate rapidità e correttezza di calcolo; si è guardato soprattutto alla correttezza, ma anche la lentezza nel procedere è un sintomo importante di difficoltà. In effetti, tutto il campione esaminato ha risultati peggiori, e in modo molto marcato,nei tempi di lavoro che non per gli errori; fanno eccezione le tabelline: qui gli errori superano i problemi di lentezza: sono più elevati che nelle operazioni. Al contrario, il massimo degli errori si verifica nel conteggio all’indietro che sembra un marcatore molto importante di difficoltà perché permane anche alle medie, come se fosse un
“dato
di
base”(e
anzi,
alle
medie
si
hanno
risultati
addirittura
peggiori).
A proposito di tabelline, citate a più riprese, sembra che si tratti di un compito che attiva più l’area cerebrale del sistema verbale che non quello quantitativo perché é un apprendimento verbale di fatti aritmetici, che è altra cosa dalla processazione matematica. Sembra derivarne che, mentre un dislessico, esercitandosi nella lettura, può compensare le sue difficoltà di apprendimento, il discalculico non riesca mai ad inserire le tabelline imparate a memoria in una struttura dove questo 24
abbia un senso. Un tentativo di esercitazione per velocizzare il calcolo e la memorizzazione delle tabelline é stato fatto da alcuni insegnanti della scuola media Leopardi di Cassina Nuova di Bollate (Mi) che hanno realizzato un ipertesto con domande, risposte e punteggio finale da far fare agli alunni con il computer, come gioco e gara tra “se e se”.... Sembra che funzioni!!
In conclusione, risulta comunque molto difficile, anche con l’insieme di indagini sperimentali di cui si è detto, individuare la componente discalculica all’interno delle difficoltà dei processi
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cognitivi, anche perché mancano “protocolli” definiti che conducano ad una valutazione complessiva di questa patologia.
I DISTURBI N.A.S. Il Disturbo Aspecifico (o non Specifico) di Apprendimento riguarda difficoltà di apprendimento generalizzate, quindi non solo nelle competenze "di base", cioè nella lettura, scrittura, matematica, ma anche, spesso, nei processi logici. In queste situazioni siamo spesso in presenza di capacità cognitive non adeguate alla media, anche se non in ritardo: collocabili, cioè, nella cosiddetta "fascia inferiore "della media o "ai limiti" del ritardo cognitivo. Il Disturbo Aspecifico di Apprendimento può essere secondario a patologie di vario tipo (sensoriali, neurologiche, ecc...); quindi possono esserci compromissioni nelle varie funzioni neuropsicologiche relativamente alle varie cause del Disturbo o ai vari quadri patologici. Può anche essere relativo ad una scarsa stimolazione socioambientale, o a disturbi psicologici primari (inibizione, psicosi, ecc). Per quanto riguarda la lettura, le difficoltà nella "decifrazione" del testo sono spesso minori, o comunque coesistono con difficoltà nella comprensione del testo, perché il bambino non è sufficientemente sostenuto, in questo compito, dalle sue capacità cognitive. Nella scrittura di questi bambini di solito prevalgono errori di tipo non fonologico: h, grafema omofono, fusione - separazione illegale (es, squola, l' aradio per la radio, una rancia per un' arancia), accenti, doppie, oltre ad una coesione ideativa non buona. Nella matematica le difficoltà possono riguardare il concetto di numero e la sua relazione in unità lessicali (raramente compaiono errori fonologici), quindi anche i calcoli, ma ed è comunque alterata la soluzione dei problemi, per la debolezza dei processi logici. Le indicazioni terapeutiche anche per questi Disturbi prevedono: una terapia di linguaggio, orientata però anche in senso cognitivo, cioè sui processi logici; un adattamento della didattica, che deve essere modulata sulle difficoltà del bambino. Diagnosi (scuola materna, in età scolare, adulti): Follow up terapeutico (lavoro integrato con insegnanti, terapisti e clinici)attraverso: valutazione neuropsicologica; osservazione psicologica in gruppo; Colloqui con i genitori.
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INDICE DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO Definizione Eziologia e disturbi associati Disagio psicologico Criteri per l’individuazione Diagnosi Diagnosi differenziale
DISTURBO DI LETTURA Che cos’è? Ipotesi eziopatogenetiche Modelli di apprendimento Quante dislessie? Diagnosi differenziale Un caso clinico Training riabilitativo
DISTURBO DI SCRITTURA Che cos’è? Caratteristiche Disgrafia e disortografia Cause Interventi terapeutici Un caso clinico Riabilitazione
DISTURBO DI CALCOLO 30
Che cos’è? Modelli Caratteristiche Diverse forme Diagnosi e cause Criteri per l’individuazione Prove oggettive Un caso clinico Trainig riabilitativo Curiosità
I DISTURBI N.A.S.
BIBLIOGRAFIA
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