Come e perché pensiamo in un certo modo? Qual’é il nesso tra le nostre elaborazioni mentali e le emozioni che viviamo?
P S IC O L O GIA V ER A
Quando un sistema mentale è più sano di un altro?
Perché proviamo en’emozione e non Un’altra?
Perché affrontiamo o fuggiamo di fronte ad un determinato evento?
o
Come avviene ilprocesso di conoscenza? Cos’è che costituisce la maglia della vita mentale?
“Religi
Cos’è che definisce chi siamo ai nostri occhi e a quelli delle persone che frequentiamo? Che utilità ha il nostro linguaggio interiore?
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INDICE
Prefazione …………………………………………..……… pag
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Introduzione ……………………………………………..…. pag
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Indicazioni sulla stesura del metodo ………………..…… pag
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Capitolo I FORMAZIONE DELLA CONOSCENZA Intereazione… costruzione del sé e dell’ambiente …….... pag
23
Crescita mentale… incremento conoscitivo ……...……… pag
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Libertà dall’Ego ……………………………………………… pag
68
Capitolo II PENSIERO Pensieri automatici …………………………………………. pag
77
Dialogo interiore …………………………………………….. pag
80
Stile esplicativo ………………………………………...…… pag
83
Capitolo III PENSIERO DISFUNZIONALE Metafora come identità …………………………………….. pag
88
Il Pregiudizio ………………………………………………… pag
95 2
La Contraddizione …………………………………………... pag 96 Il pensiero irrazionale ………………………………….……. pag 99 Il pensiero egocentrico ……………………………………... pag 107
Capitolo IV PENSIERO – EMOZIONE - COMPORTAMENTO Ciclo intereattivo ……………………………………………. pag 110 L’emozione e l’adattamento ……………………………….. pag 124 L’evitamento e la dipendenza ……………………………… pag 135 L’emozioni disfunzionali ……………………………………. pag 143 L’intelligenza emotiva ………………………………………. pag 144 Considerazioni conclusive …………………………………. pag 148 Riepilogo Insights …………………………………………… pag 151 Schede ……………………………………………………….. pag 157 Riferimenti bibliografici …………………………………….. pag 162
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La conoscenza inizia con la sensazione, che è impressione dell’oggetto sull’anima. La sensazione genera la rappresentazione, quindi il ricordo, l’esperienza e infine la scienza, che è connessione organica di concetti. Marco Aurelio PENSIERI
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PREFAZIONE
Questo libro nasce dalla voglia di offrire ad un ampio pubblico, in particolare quello dei non addetti ai lavori, la moderna psicologia: quella Vera. Badate bene con ciò non intendo tutta la psicologia, ma solamente quella di questi ultimi cinquant'anni: la Psicologia Scientifica, l’unica suffragata da innumerevoli indagini sperimentali sull’uomo e sugli animali, la quale ci consente finalmente di conoscere il nostro funzionamento mentale come realmente è. Una psicologia reale, una psicologia dunque, che risiede finalmente in un dominio che ha il dono della razionalità. Basta allora, a tutta quella marea di psicologia fondata sulla mitologia, sulla sessualità, su fantasie incestuose o interpretazioni analitiche che riconducono ossessivamente alla vagina della propria madre o del suo seno, sui complessi di edipo, o ancor peggio su quella psicologia fondata sulla carenza orgasmica quale causa di disfunzionalità mentali o psicosomatiche, con annesso il suo rimedio: l’accumulatore orgonico, che preferisco non spiegare! E’ ormai giunto il momento di porre fine alla speculazione sull’argomento psicologia. Diciamo stop alla pseudopsicologia che ha regnato per decenni con la caratteristica tipica di essere non scientifica, fondata esclusivamente su intuizioni talvolta veramente troppo azzardate. L’obiettivo pertanto è quello di proporre la Psicologia Vera, e in modo che sia facilmente comprensibile a tutti. Per cui ho cercato, facendo uso di tutta la mia abilità di psicologo, di porvela nella forma più elementare possibile, ricorrendo ad esempi e ad esplicative storielle immaginarie.
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E' chiaro che l'intento potrà essere considerato riuscito se almeno una parte di voi riuscirà a godere degli insegnamenti scritti in queste pagine, e ciò vorrà dire che avrei centrato sicuramente l'obiettivo; comunque mi riterrei più che soddisfatto anche se tale scritto rappresentasse solo un contributo alla diffusione su larga scala di tale psicologia. La metodologia d’insegnamento è basata al fine di offrire una conoscenza degli aspetti utili di essa, non solo a livello di cultura personale, bensì, e questo è il punto fondamentale, in modo da poterli godere a livello pratico così da poter capire il perchè di tanti comportamenti ed emozioni sbagliate, esagerate o comunque negative, che annebbiano noi stessi rendondoci l’esistenza facilmente infelice. Da qui il nome Psicologia Utile, utile a tutti coloro che vogliano conoscersi e impegnarsi a migliorare la propria vita. Il fatto è che non basta decidere di cambiare qualcosa mettendosi la “maschera” di pensiero positivo o attraverso la Psicocibernetica, che ci fa sentire come un missile di puntamento che cerca il suo obiettivo, come noi cerchiamo il nostro successo. Il punto è capire in profondità dove e come “scatta” l’errore in modo da poterlo correggere e una volta razionalizzato, fare proprio il cambiamento conseguente, e attuare da allora in avanti il corretto modo di porre il proprio punto di vista. E’ come tornare un po' alla “età dei perchè” per capire la causa dei mecanismi scorretti di pensiero che si svolgono in forma automatica, poichè solo chiedendosi il perchè, e sulla risposta di nuovo il perchè, e così fino all’apice della catena costruttiva, possiamo individuare la radice dell’errore. E’ osservandoci, quindi autoconoscendoci, che possiamo individuare ciò che è dietro le quinte al nostro personale modo di vedere la vita. E’ qui la differenza da altri metodi di evoluzione personale, solo conoscendo l’origine è possibile sradicare per poi rimpiazzare più consapevolmente qualcosa di più appropriato, più funzionale o quanto meno nuovo. Il fine è capire meglio se stessi e il mondo che ci circonda per andarci d’accordo e non in conflitto. 6
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INTRODUZIONE
Cari lettori perchè Psicologia Vera o Religione? Qualcuno forse sarà perplesso da un simile titolo, qualcun'altro probabilmente potrà pensare che si tratti di una psicologia pedagogica, anche se in un certo senso lo è, ma non é tutto, altri potranno pensare a un qualcosa, forse, di blasfemo, altri ancora chissa cosa! Allora, cosa vuol dire tale titolo? L’idea nasce dall’osservazione del mondo psicologico degli uomini, il quale mi ha portato a riflettere su ciò che li rende infelici. Le guerre, le dittature, i razzismi di ogni genere, o semplicemente le rivalità sui luoghi di lavoro, nei gruppi di amici o ancor peggio all’interno delle famiglie, non sono altro che il risultato dell’errato rapporto con se stessi. Quest’ultimo è il prodotto del culto del proprio sé, dell’esagerata egoicità che caratterizza ogni comunicazione, e che chi più chi meno possiede. Le persone guerreggiano continuamente tra loro, mosse il più delle volte da interpretazioni della realtà esageratamente soggettive, quindi facilmente irrazionali; quello che ne risulta è una chiara vita infelice per se e anche per quelle che, anche se raramente, si trovano ad un livello maturativo superiore, ma che sono costrette a subire le irrazionalità dei propri “vicini”. Il circolo intereattivo illogico essendo di per se implacabile non perdona neanche loro, trascinandole nella difficoltà data dalla stessa irrazionalità, dominata dall'implicita componente egoica.
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Il risultato dell’osservazione è piuttosto chiaro, le persone sono orrendamente ancorate a difendere il proprio ego, il proprio punto di vista e non vedono altro che se stesse. Sì, sono convinto che non conoscano minimamente cosa sia l'umiltà, nessuno si propone di comprenderla, nessuno la ossequia a meno che non sia quella religiosa. L’umiltà psicologica sembra essere davvero... una “Signora sconosciuta”, una vera rarità. Eppure fare dell’umiltà il proprio modello di vita, rappresenta a dispetto d'ogni errata considerazione, il modo di essere più funzionale che si conosca. Le persone si condizionano la vita a tal punto, che sembrano perfino organizzate a perpetuarsi in ogni circostanza a difendere le proprie opinioni, la propria immagine sociale, costi quel che costi. Gran parte delle emozioni negative, la rabbia, la gelosia, l'aggressività, ecc., sono il prodotto di quest’angosciante paura di perdere sempre qualcosa. Il lavoro impiegato a questo scopo, sono certo, è veramente grande, dalla mattina alla sera. Un impegno che si orienta su un vasto raggio d’applicazione. La gente disperatamente difende tutto ciò che la riguarda, difende ostinatamente la propria automobile, l'abito che indossa, insomma gran parte degli oggetti che gli appartengono, arriva perfino ad identificarsi con il proprio maglione o con la scarpa che calza. L'esagerata difesa nasce dall'errore che abbiamo più o meno tutti, di identificare se stessi con gli aspetti materiali della realtà che ci appartiene, quella che si consuma come un barattolo di Coca Cola, e questo senza minimamente accorgersi che noi siamo e basta!, e non perchè abbiamo una bella automobile o un bel vestito o perchè il nostro superiore ci dice che siamo bravi a compiere un determinato lavoro, o che la nostra idea è più giusta di quella di qualcun'altro. E’ questa forsennata protezione di sè o bisogno di conferma previsionale su se stessi, come appresso spiegherò, che causa difficoltà di comunicazione (il pensiero egocentrico), il nocciolo dei matrimoni falliti, delle difficoltà sul lavoro, ecc. Il mal funzionamento mentale che ne è l’origine, è anche il maggiore artefice del pensiero erroneo, delle incoerenze interne al nostro sistema 9
mentale, insomma di quell’inerzia che frapponendosi tra noi e il mondo, comporta immobilità conoscitiva. Pertanto la conoscenza disponibile diviene purtroppo sempre la stessa, comportando l’uso di modi anacronistici d’approccio al reale. Con tale coazione conoscitiva la risoluzione dei problemi è fittizia e stereotipata, e diviene essa stessa fonte del mantenimento dei medesimi o per ironia causa lo sviluppo di problematiche addirittura peggiori. Bene, non voglio disquisire oltre perchè ciò sarà oggetto dei diversi capitoli. Ecco dunque profilarsi la necessità di offrire la conoscenza psicologica utile, per far fronte alla rete educativa errata, che ha inizio col primo rapporto di reciprocità, quello tra genitori e figli. Il perpetuarsi degli schemi abituali, è dovuto al bisogno di mantenere una certa sicurezza su sè stessi e sul mondo, indipendentemente se tali schemi mentali organizzanti l’anticipazione degli eventi psicologici a noi collegati, siano più o meno adattivi, o che vengano o meno a ritorcersi contro! Un sistema siffatto si presenta come non più abile a modificare quelle regole di vita, che se pur utili un tempo, posseggono quelle parti fondamentalmente irrazionali che rappresentano la causa della non felicità. Tali aspetti illogici sono "ignorantemente" creduti immodificabili perchè ritenuti aspetti rigidi della personalità, ma per fortuna con un opportuno lavoro metodico e sistematico si può raggiungere una riapertura delle rigidità assolutizzanti, preconcette e dogmatiche che contraddistinguono, chi più chi meno, ogni struttura mentale, e ottenere una revisione di quest'ultima. La conoscenza utile, ha dunque, il non modesto obiettivo di riaprire il sistema mentale, sostanzialmente organizzato nell'infanzia, attraverso un allentamento dei legami che sostengono le convinzioni con le quali interpretiamo e valutiamo gli eventi. Sono gli inputs che scaturiranno dalla conoscenza di essa, che produrrano una sequenza di insights cognitivi tra elementi 10
(consapevolezza di una relazione colta immediatamente, infatti leggendo queste pagine, vi troverete facilmente nel dirvi: “ecco perchè accadeva questo o quell'altro”; “mi preoccupavo tanto ed invece...”, od ancora “era tanto importante che senza la quale stavo male, ed ora..., ecc., ecc.”), tali da costituire l'iniziale sbroglio del proprio irrazionale modo di pensare. Dunque, la metodologia è basata proprio sull’induzione degli insights, le comprensioni che avvengono automaticamente affrontando tutti i passi descritti in questo libro. L’induzione dell’insight offre quella consapevolezza autoconoscitiva indispensabile, che produce la riapertura del sistema mentale posizionandolo al nuovo apprendimento. Se ora ripensaste un attimo su un qualcosa che in passato vi ha prodotto dispiacere: un umore negativo dovuto a fraintendimenti, tipica causa di disaccordo, che origina facilmente dall’esistenza inevitabile di punti di vista differenti, per esempio: ° avete creduto che i vostri colleghi si approfittavano di voi; ° vi aspettavate che un amico al quale tenete molto, si comportasse più rispettosamente non contrastandovi in continuazione…; ° siete stati scontenti poichè pensavate che il vostro partner non ritenesse importante quella cosa, che per voi invece lo era molto; ecc.; ecc. Esempi che mettono in gioco la vostra tipica modalità di costruire il mondo, cioè le convinzioni di come secondo voi gli altri si sono comportati. Pensieri che inducono aspettative negative ed emozioni altrettanto disfunzionali (ansia, rabbia, ecc.) Credo che sia facilmente capitato a tutti nella propria vita di essere inizialmente convinti di qualcosa su qualcuno, ma che poi i fatti dimostrando il contrario, vi hanno portato, anche se con inerzia, a cambiare idea. Dunque, poniamo ora, che tutte queste convinzioni siano poi risultate in un secondo tempo errate essendo riusciti a cogliere la realtà più 11
obiettivamente. Cioè I fatti le hanno confutate ponendole come esagerate ed estremamente condizionate dal vostro personale modo di valutare gli eventi. Su tal esempio, vediamo che potreste già inizialmente notare, avendo posto che tali pensieri siano stereotipie interpretative, perciò non corrispondenti del tutto o in parte alla realtà, che sono proprio le vostre convinzioni di come i fatti accadono, le vostre spiegazioni e valutazioni a crearvi una data risposta emotiva, che in questo caso è stata spiacevole. Da ciò consegue che le nostre spiegazioni di come i fatti avvengono, sono il più delle volte soggette a rigidità e a mancanza di obiettività: il relativismo di cui parlerò tra poco. La rigidità interpretativa è notoriamente causa d’infelicità. Ma se una conoscenza nuova insieme ad un determinato lavoro autoterapico vi offrisse, ogni qualvolta lo necessitate, l’opportunità di poter cogliere l’errore del vostro punto di vista, ecco profilarsi alla vostra attenzione i collegamenti costruttivi insiti nel vostro modello interpretativo, e di cui non ne eravate a conoscenza... siamo dunque all’insight autoconoscitivo. Per cambiare è necessario che qualcuno o qualcosa vi si proponga in modo tale da indurvi a riquestionarvi, a farvi rimettere in discussione spiegazioni che vi siete sempre date. Esse dovranno cominciare a barcollare, ad incrinarsi per far posto a quelle nuove e più razionali. Il training conoscitivo d’apprendimento di questa psicologia ha proprio tale obiettivo, indurvi l’allentamento dei collegamenti tra le vostre costruzioni su come i fatti psicologici avvengono. Avrete così la possibilità di acquisire la nuova conoscenza con le intrinseche nuove abilità cognitive. Il percorso, infatti, è segnato dallo scattare dei vari insights che costituiscono l'aspetto probante dell'avvenuta acquisizione degli elementi centrali di tale insegnamento, i quali se ben amministrati offrono 12
sicuramente l'inizio di una crescita psicologica che proseguirà per tutta la vita. Probabilmente alcuni possono pensare che sia un processo di apprendimento troppo complesso, ma in verità è sostanzialmente molto semplice, poichè dopo un iniziale lavoro di acquisizione, il nuovo modello comportamentale proseguirà imponendosi automaticamente nella vostra realtà quotidiana, nello stesso modo a come vi si è imposto quello che vi causa infelicità. In sintesi tutto ciò che ho detto, si può ridurre nel dire che la psicologia utile è quella parte di psicologia che permette, una volta divenuti consapevoli del proprio stile conoscitivo, di vivere meglio. Questo semplicemente evitando di pensare, agire, a proprio danno, utilizzando erroneamente il nostro magnifico apparato mentale. Preciso che la “psicologia utile” è estrapolata dalla psicologia genetica dell’intelligenza, dalla teoria dell’attaccamento, dal cognitivismo, costruttivismo e comportamentismo, cioè dalla moderna psicologia. Una psicologia atta ad esplicare le modalità intrinseche alla costruzione del mondo e di noi stessi, il perchè e il come dei nostri pensieri, comportamenti ed emozioni. Tutto ciò costituisce un arricchimento non solo culturale, ma una vera e propria consapevolezza del vero. La struttura del libro ha dunque una base fondamentalmente scientifica, e si vuol proporre sia come conoscenza diretta a tutti, sia come percorso di crescita per chi è attratto da un tale orizzonte. Il cammino conoscitivo è affiancato da specchietti pratici con suggerimenti, esperienze, riflessioni, riepiloghi e da casi clinici testualmente presi dalla rubrica “Lo Psicologo risponde” da me condotta su un giornale di Viterbo. I capitoli sono strutturati e proposti come se fossero un vero e proprio training conoscitivo diretto sia a produrre insights, che a suggerirvi tecniche per ancorare nella vostra realtà conoscitiva, ciò che è disquisito 13
nella teoria e a condurvi infine verso il pensiero positivo. Un pensiero, come ho già accennato nella prefazione, che non è quello delineato da banali proponimenti da ripetersi innumerevoli volte, tipo: “ho fiducia nel successo e nelle mie qualità”, “voglio amar me stesso e gli altri”, “io so di farcela”, “mi accetto come sono... valgo tanto da poter raggiungere qualsiasi obiettivo”, ecc, ecc, ma quello di condurre il vostro pensiero non contro di voi cagionandovi danno, ma a vostro favore producendovi felicità. La riapertura delle vostre visioni rigide e talvolta dogmatiche, di come siete e di come i fatti accadono, si otterrà allentando i collegamenti implicati tra tali costruzioni, costituendo così la riapertura all'apprendimento, e comportando la capacità di ridisquisire sulle credenze che guidano la vostra vita. Una prima acquisizione del vero: quella fondamentale, ve la propongo qui, tratta dell’assolutismo/relativismo al fine di farvi giungere alla consapevolezza che non esistono riferimenti assoluti, ma solamente relativi che a nostro piacimento consideriamo assoluti. Infatti, parlare di assoluto dovrebbe farvi rimanere sbigottiti e dire... ma come assoluto se l’assoluto non esiste, a meno che s’intenda osare assumendo come assoluto Dio o Allah come dir si voglia con tutti i suoi vari rappresentanti profetici: “Gesù”, Maometto, ecc., ma nonostante ciò appare oggi ormai più che chiaro, che anche nell’area mistica, di assolutamente certo non c’è proprio un bel niente! Non si può più identificare il divino con l’assoluto a meno che si abbandoni la logica a favore della fede religiosa, ma sappiamo che di fedi religiose ce ne sono tante, per cui anche in questo caso, appare impossibile assumerne una come assoluta quando siamo consapevoli della presenza di altre, le quali potrebbero essere altrettanto valide. Spesso ci volgiamo al mondo reale con la stessa fede irrazionale con cui ci dirigiamo al divino. Per cui poniamo per necessità, il più delle volte inconsapevolmente, quindi senza una minima riflessione, come assoluto dei riferimenti che oggettivamente non lo sono. 14
Le norme culturali, la sovrastruttura, (per es.: la cultura occidentale o orientale o araba, o ancora le culture primitive tipo tribali presenti in alcune popolazioni del centro africa o presso gli ultimi aborigeni del continente australe; ecc.) ne sono l’esempio, e l’etica e la morale che sono all’interno, ne costituiscono i riferimenti comportamentali per eccellenza, che erroneamente vengono assunti come assoluti. Ognuno di noi possiede all’interno del suo sistema pensante, la sua etica e la sua morale che non sono altro che la sottocultura partorita dalla sovrastruttura culturale. Ed è proprio ciò che vige nella maggior parte dei casi, ed in maniera assolutamente irremovibile, come guida del nostro comportamento. Le rigidità assolutizzanti e preconcette ne sono l’esempio. Esse rappresentano i punti di riferimento del sistema cognitivo, i concetti fondamentali con i quali valutiamo il mondo e noi stessi. Sono proprio tali concetti che costituiscono ciò che di “assoluto” vige nella nostra struttura mentale. Assolutismo/relativismo dicotomia impossibile se non solamente accademica, perciò vi farò giungere alla consapevolezza dell’inesistenza di certezza assoluta, ma solamente relativa che a nostro “piacimento” consideriamo assoluta. Tale consapevolezza sarà di vitale importanza, poichè è proprio sul relativo che noi poniamo come assoluto, che si basano gran parte delle nostre difficoltà nell’affrontare la realtà quotidiana: l’origine dei nostri nevroticismi, l’incapacità di spostarsi facilmente potendo così costruire il mondo da un diverso orizzonte, da una differente angolazione, un’angolazione dissimile da quella che s’impone coattamente al nostro vivere. La dimostrazione di tale realtà è semplice, basta ripensare alle differenti sovrastrutture culturali ancora esistenti sul nostro pianeta. Esse possiedono come riferimenti assoluti elementi diversi, ed è chiaro che ogni cultura è diversa da un'altra, nella misura in cui questi elementi relativi vengono assunti come assoluti. L’esempio calzante in tema è il concetto di “normalità”, il quale è differente nelle diverse culture. 15
Pensate ad esempio alla cultura araba dove avere due o più mogli è largamente accettato, quando nella nostra ciò non solo non è normale, ma anche punito dalla legge. O ancora la circoncisione dei bambini nella cultura ebrea, che rappresenta l’iniziazione religiosa, è nella nostra cultura occidentale invece impraticata, perciò farlo sarebbe considerato non normale. O per estremo pensiamo al matriarcato presente in una cultura tribale dell'africa centrale, invece del patriarcato presente nelle restantanti culture. Infine un ultimo esempio, è il far calzare delle piccole scarpe per anni alle bambine cinesi, per impedire che il loro piede cresca più di tanto, poichè in quella cultura avere le donne un piccolo piede rappresenta un aspetto di gran grazia, per cui esse, con sofferenza, sopportano tale costrizione culturale come una normalità, mentre per noi sarebbe pura follia! Pertanto quello che deve essere ben chiaro, ed aver raggiunto la vostra consapevolezza, è che l'unico assoluto possibile è la certezza dell’inesistenza di certezza. L’insight fondamentale che ne consegue è:
* ^la consapevolezza dell’inesistenza di normative assolute sia nelle sovrastrutture culturali, nonchè nella nostra semplice cultura personale alla quale ci atteniamo quando ci comportiamo. Il relativismo assoluto che è una contraddizione in termini, non è altro che una mera invenzione dell'uomo per ottemperare al suo bisogno di certezza. L'unica realtà che vi deve riguardare è il relativismo, ed in particolar modo, essendo ciò argomento del vostro studio, il relativismo dei vostri fatti mentali, delle costruzioni su voi stessi e sul mondo, per cui ogni vostro comportamento, ogni pensiero, ed ogni emozione non è altro che 16
il derivato della vostra teoria di come i fatti avvengono. Tale teoria è la risultante degli scambi tra voi e il mondo e rappresenta la sottonormativa alla quale vi attenete quando vi comportate. Assumere come assolutamente oggettiva, una semplice interpretazione soggettiva degli eventi psicologici a voi collegati, è una premessa all’infelicità. Ora è utile ribadire il concetto del relativismo dei fatti mentali, pensate di nuovo ad una qualsiasi vostra situazione passata, e questa volta, ad una contestualità dove vi siete comportati, per esempio, aggressivamente e con rabbia per via di un qualcosa che in quel momento avete giudicato importante a tal punto da farvi sentire feriti nel vostro amor proprio (ferita egoica), ma che poi dopo un po' di tempo, ripensandoci sopra, facilmente vi è accaduto di dirvi: ° ma che stupido che sono stato ad arrabbiarmi in quel modo; ° in fin dei conti quella cosa che avevo giudicato così importante non lo era affatto; ° e per di più c’è andata di mezzo anche mia... ecc.; ecc. Cosa è successo? Semplicemente avete cambiato il punto di vista usato inizialmente, avete in pratica ristrutturato il vostro pensiero. Ma purtroppo il più delle volte ciò non accade facilmente o non accade affatto, per cui tale abilità deve essere appresa, e questo può avvenire attraverso l’incremento autoconoscitivo e tanta pratica. Questo significa che le convinzioni, l’”assoluta” e personale visione del mondo, può cambiare sempre anche se con più o meno facilità, e condurvi a vivere in maniera più adattiva, per lo più felice. 17
Il punto è proprio questo: cambiare per vivere meglio modificando quegli assunti base disfunzionali, ma fortunatamente relativi, i quali guidano rigidamente e con danno la vostra esistenza. Per quanto riguarda il relativismo delle differenti normative sovraculturali, sono convinto che sia già patrimonio di tutti voi, perciò credo che non ci sia altro da aggiungere; mentre comprendere consapevolmente il relativismo dei fatti mentali sia vostri che altrui, merita ulteriore attenzione. Concludendo si può dire che le vostre costruzioni sul mondo e su voi stessi, possono risultare assolute in un momento, per poi apparire estremamente relative non solo ad una analisi oggettiva, ma a distanza di tempo, talvolta anche di solo poche ore, anche a voi stessi. La ristrutturazione spontanea, che non è altro che la nuova capacità di spostare il proprio punto di vista, avviene dopo un semplice riesame e con il sopraggiungere dell’insight. Ribadendo, tutto è relativo, ed in particolar modo tutte le costruzioni sul mondo e su voi stessi, per cui quando state nevroticamente male perchè avete interpretato un fatto, un evento, una realtà particolare in un certo modo, ricordatevi che è sempre una costruzione relativa che in quel momento giudicate assolutamente spiacevole! ma che come state comprendendo, potreste rivedere e rendere la costruzione più consona alla realtà, pertanto piu oggettiva. Arrivati ora alla fine dell’introduzione, dovrebbe già apparirvi chiaro l’intento dell’insegnamento. Esso rappresenta un’”educazione” per avere un modello più adattivo di comportamento, una funzionalità di pensiero che sia libero dalla tirannia del proprio Ego: una “religione” dunque, che indichi la strada per il decentramento che conduce verso la socialità, quale elemento centrale per la vita felice. I testi di Religione ci dicono che gli insegnamenti di essa: dovrebbero influire sulla personalità e sulla 18
condotta quotidiana di ciscun credente (Mankinnd’s Search for God pag.12) e la Psicologia Vera... non ha forse tale obiettivo!
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INDICAZIONI SULLA STESURA DEL METODO
I capitoli sono quattro, con il primo spiego come avviene la Formazione della Conoscenza, l’acquisizione della sicurezza necessaria per lo stare nel mondo ed introduco una prima tecnica: lo Spostamento di ruolo. Questa parte comunque è la più teorica e rappresenta l’apprendimento fondamentale per gestire la Pratica Utile. Con pratica intendo il godimento avuto con la trasposizione dell’insegnamento teorico alla vita di tutti i giorni. Il secondo e il terzo li dedico al pensiero inconsapevole, quello interiore e a quello disfunzionale al fine di farvi conoscere i meccanismi implicati nelle varie costruzioni di se stessi e dell’ambiente. Infine il quarto l’ho iniziato dedicando alcune pagine alle emozioni preposte all’adattamento, per poi seguire con quelle disfunzionali, ed in ultimo ho dedicato un particolare accento all’intelligenza emotiva. In questa ultima parte fondo tale intelligenza con quella razionale, e ciò lo pongo quale ingrediente per condurre una vita migliore. Spiego che quest’ultimo obiettivo lo si ottiene governando le proprie emozioni, cioè indirizzandole in modo più vantaggioso, sviluppando sempre più il senso sociale: l’empatia e l’attenzione per gli altri. In quest’ultimo capitolo introduco anche le altre tecniche: l’Auto-osservazione, la Ristrutturazione cognitiva e la desensibilizzazione delle fobie.
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La prima tecnica fondamentale, l’auto-osservazione, la dovrete utilizzare per adoperarvi ad individuare i vari momenti psicologici: - consapevolezza dell’imput; - pensieri interpretativi; - conseguenze comportamentali ed relativo input.
emotive
susseguenti al
Essa quindi vi porterà con la sua costante utilizzazione, alla conoscenza utile del vostro modello interpretativo. Avrete così l’opportunità di conoscere i vostri processi cognitivi implicati nella costruzione di se stessi e del mondo: il vostro personale stile esplicativo, il vostro particolare modello di dialogo interiore, i pensieri irrazionali tipici che s’impongono automaticamente quando costruite la realtà, le contraddizioni che siete portati ad utilizzare durante il processo comunicazionale, le vostre dipendenze ed evitamenti che siete soliti attuare per sfuggire all’ansia, ecc. Mentre la seconda tecnica fondamentale, la Ristrutturazione cognitiva costituisce l’aspetto più dinamico del training, e consiste, una volta diventati consapevoli di determinati pensieri interpretativi distorti, di reinterpretarli utilizzando specifici accorgimenti che fanno capo al capitolo sul Pensiero disfunzionale. La terza, lo Spostamento di ruolo che è stata introdotta per prima, ma solamente per necessità esplicative, dovrà essere usata ogni qualvolta che durante il processo auto-osservativo, vi trovate in difficoltà nell’individuazione dei momenti psicologici, a causa dell’eccessivo coinvolgimento emotivo che talvolta determinati contesti posseggono.
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Infine l’ultima tecnica, la Desensibilizzazione delle fobie, è una tecnica specifica da utilizzare nel qual caso vi siate resi conto di possedere una qualche paura irrazionale. In ogni caso è bene precisare, che tutte e quattro le tecniche sono tra loro intrinsecamente collegate, pertanto possono essere usate sinergicamente. Il sistema di apprendimento, come ho spiegato nell’introduzione, sul quale è fondato il training conoscitivo, è basato sull’ottenimento dell’idea conclusiva avvenuta automaticamente senza particolari sforzi mentali, un modo utile per apprendere i propri fatti conoscitivi. Tutto ciò significa farvi scattare l’insight, il quale è un’operazione mentale automatica ed istantanea di ristrutturazione cognitiva, che avviene senza operazioni di analisi compiute consapevolmente. Tutto ciò vi permette di rivedere o di riconoscere gli elementi di una situazione problematica di cui siete stati o no consapevoli, e della quale non siete stati abili di coglierne tutte le parti, e questo al fine di risolverla in maniera più razionale. La pratica come ho già detto è la trasposizione degli insegnamenti teorici nella vita di tutti i giorni, in particolare delle idee conclusive ottenute dagli insights. Le tecniche con l’aiuto degli esempi, dei seggerimenti, dei riepiloghi e delle riflessioni, sono invece lo “strumento” che dovrete utilizzare per far fronte all’empassè psicologica in cui eventualmente vi potreste trovare nella vita. Infine attraverso gli esercizi raggiungerete quell’ulteriore consapevolezza utile per l’utilizzo spontaneo della nuova conoscenza.
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CAPITOLO I
FORMAZIONE DELLA CONOSCENZA
- Intereazione... costruzione del Sé e dell’ambiente: Il concetto di pensiero rappresenta, per definizione, ciascuno dei vari atti della mente umana, che intuisce, immagina, concepisce, riflette, giudica, ecc., come ben sappiamo, ma l’aspetto che a noi interessa non è ovviamente la definizione, bensì quello operativo. Noi usiamo il pensiero fondamentalmente per conoscere il mondo e adattarci ad esso. L’atto conoscitivo non è altro che un atto previsionale, una operazione di ipotesi e verifica, che ha il fine di consentirci d’essere più sicuri nel mondo. La conoscenza, la previsionalità, la sicurezza, aspetti centrali del nostro vivere, sono tra loro interdipendenti e rappresentano il fulcro del nostro divenire. Conosciamo per prevedere di più... ma che cosa? - i nostri comportamenti, gli altri, noi stessi, il mondo in generale ecc. Per che fare? - ovviamente per acquisire più sicurezza, più abilità, più determinazione, per ottenere quello che rappresenta il nostro obiettivo: il soddisfacimento di un qualche desiderio o bisogno, che in prima analisi
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non è altro che mantenere il più possibile integra la nostra unità psicofisica, per il ben noto fine della conservazione della specie. Dunque, il comportamento umano ha carattere anticipatorio (fare previsioni) anziché reattivo. L’uomo non è mosso da impulsi libidici o solamente da rinforzi come i paradigmi delle vecchie psicologie asserivano, ma è finalizzato primariamente ad acquisire sicurezza sull’ambiente, a conoscerlo, e quindi ad anticiparlo. Se riflettiamo sull’attività del conoscere, infatti, notiamo che per osservare qualcosa dobbiamo sempre sapere “cosa” osservare. La nostra attività osservativa è sempre anticipata da una teoria o da un’aspettativa che ci informi dove dirigere l’attenzione. Poiché se non fosse così, ed osservassimo senza aver formato concetti a priori, saremmo portati a registrare senza distinzione tutti i fatti, il che equivarrebbe a non aver osservato niente, poiché il mondo sarebbe per noi una gran confusione. Ogni osservazione si rende possibile solo in base a teorie e nessuna verità è offerta dall'ambiente; essa è sempre l’evoluzione di una conoscenza precedente, ed è essa che da il carattere anticipatorio al nostro conoscere.
L’insight che né deriva è: * la consapevolezza che in base al nostro personale punto di vista, cerchiamo di predire e controllare il corso degli eventi a noi significativi, attraverso l’elaborazione di teorie e la verifica delle nostre ipotesi. Ora esaminiamo a fondo qual è lo svolgimento dell’acquisizione di conoscenza. Come si svolge un incremento di previsione atto a far 24
sicchè, ipotesi dopo ipotesi, si acquisisca quella tranquillità previsionale oggetto della nostra felicità. Un esempio usando l’immaginazione: pensate di essere all’ingresso di una foresta, per esempio quella Amazzonica, dovete raggiungere un villaggio indios che si trova al suo interno; Siete senza nessuna conoscenza su di essa, decidete di attraversarla ma siete incerti, insicuri su quello che vi aspetterà, pertanto non avendo nessuna capacità previsionale, quello che vi siete proposti dovrà essere affrontato con un notevole dispendio di energia per organizzarvi ad ogni passo che fate. Pian piano l’attraversate, e pian piano acquisite conoscenza sulla foresta e quindi capacità di previsione. Ogni passo successivo sarà quindi un’elaborazione cognitiva della conoscenza appresa, avvenuta in seguito all’esperienza sui fatti che la caratterizzano, la quale vi permetterà di effettuare successive operazioni previsionali. Sono proprio queste operazioni sulla foresta, che dovete ancora affrontare, che vi consentiranno di essere più sicuri, proprio perchè ora possedete più elementi utili per il lavoro previsionale, necessario a gestire tale realtà. Infatti, ovviamente se dopo aver avuto l’esperienza dell’attraversamento totale della foresta, vi riproponeste di riattraversarla, tutta la conoscenza precedentemente acquisita vi si ripresenterebbe automaticamente, permettendovi di porre previsioni più certe su di essa e quindi essere più sicuri e più tranquilli. Avete così acquisito una maggiore efficacia nell’affrontare problematiche inerenti a quest’esperienza. Quest’esempio non è altro che un prototipo della vita di tutti i giorni. Noi conosciamo in ogni circostanza della nostra vita, quando lavoriamo, passeggiamo, parliamo con un amico ecc., anche in questi casi cerchiamo di avere più conoscenza, maggiori previsioni sulle nostre abilità lavorative, o semplicemente maggiori previsioni sulla persona che abbiamo di fronte, tutto al fine di essere più sicuri, per sapersi muovere 25
meglio nella propria realtà. Infatti, l’abilità di movimento nasce proprio dal fatto di percepirsi efficaci, cioè di rappresentarsi mentalmente come abili, capaci, ecc. ed è questo che costituisce la chiave della previsione positiva su se stessi, quindi della felicità. Purtroppo comunemente è vero il contrario, si possiede una conoscenza scarsa o addirittura errata di se stessi. Infatti, usualmente si è portati a non avere consapevolezza delle proprie abilità o addirittura si posside una conoscenza negativa di se stessi. Si ritiene facilmente di essere meno di quello che realmente si è. Questo accade, eventualmente per un insufficiente considerazione avuta nei primari rapporti con gli adulti significativi che avrebbe prodotto l’iniziale autoconoscenza errata. Attenzione comunque, poichè l’esperienza del successo cambia l’immagine che noi abbiamo del nostro Io. Un Io perdente, un Io timido, può modificarsi esperendo contesti di vita atti a confutare tale realtà, come appresso spiegherò meglio. Il fine ultimo della nostra vita è l’ottenimento della felicità, si è vero, ma solamente perchè essa è strettamente connessa con il bisogno di sicurezza sul mondo e su se stessi, che avviene solamente massimizzando la propria capacità di previsione. E’ destreggiarsi meglio in ogni circostanza che porta ad essere più protagonisti nella vita. Vi siete mai chiesti perchè non siete e non potreste essere felici? Sicuramente si! Le risposte che vi siete dati con molta probabilità, potrebbero suonare circa in questo modo:
° io non sono felice perchè delle volte non riesco a gestire il rapporto con mia figlia, non riesco a capirla e non so come comportarmi, per cui sento disagio ed impotenza; 26
° vorrei essere sempre all’altezza delle situazioni che vivo, ma molte volte mi trovo a scoprirmi diverso, pauroso, timido, ansioso, insomma insicuro su ciò che il contesto mi richiede o che dovrebbe richiedermi secondo le mie aspettative; ° non riesco ad andare d’accordo con il mio partner, non ci comprendiamo più, comunichiamo in modi diversi, non riesco a comprendere quali sono le sue esigenze, qualsiasi cosa faccio sembra sempre che alla fin fine sbagli; ° non riesco a realizzare quello che voglio, anche perchè addirittura a volte non sò cosa voglio, per questo mi viene facilmente da concludere che forse non mi conosco abbastanza; ecc. Tutte queste risposte sono limitazioni conoscitive? Ovviamente si! Analizzate ogni risposta e troverete che in cima c’é sempre un problema previsionale su se stessi o sul mondo. Tutte le risposte implicano problematiche dovute alla povertà previsionale o ancor peggio ad errate previsioni. E’ facile che ci aspettiamo dall’altro e da noi stessi, comportamenti diversi da quelli che poi avvengono in realtà; è l’errata aspettazione che ci disorienta. La mancanza previsionale dovuta ad inesattezza ed a pochezza fa star male... e allora perchè non incrementare la conoscenza psicologica? Cosa c’é alla base di tale conoscenza se non l’autoconoscenza! Da qui l’equazione: incremento autoconoscitivo = felicità. Un’equazione fondamentale che pone in risalto l’utilità della conoscenza psicologica, quale “strumento” per l’esistenza migliore. Comprendere le nostre costruzioni fondamentali, i nostri sistemi di credenze, le nostre convinzioni, le nostre emozioni, rappresenta una 27
maggiore sicurezza e nel contempo una maggiore probabilità per l’ottenimento di ciò che ambiamo, quindi maggiore probabilità di felicità. Ma cos’è dunque, un aumento conoscitivo dell’autoconoscenza?... semplicemente capire:
in
direzione
- come e perchè pensiamo in un certo modo? - come ci siamo costruiti il nostro filtro di convinzioni? - qual’é il nesso tra le nostre elaborazioni mentali e le emozioni che viviamo? - perchè proviamo una emozione e non un’altra? - perchè affrontiamo o fuggiamo di fronte ad un determinato evento? - come si posiziona all’interno di questo mentalismo razionale ed emotivo, la risultante comportamentale? Bene, vi deluciderò proprio su queste verità, e nello stesso tempo vi farò capire: - quando un sistema mentale è più sano di un altro? - quali sono gli errori cognitivi più usuali? - che utilità ha il nostro linguaggio interiore? - l’uso della metafora e dell’analogia è d’indiscussa utilità, ma quand’è che diventa fuorviante contribuendo a falsare la comunicazione in atto?; - l’incoerenza, quando prevediamo gli eventi esterni ed interni, ci è di aiuto o semplicemente é una modalità disperata per avere più previsione quando il sistema che l’attua è ormai diventato profondamente insicuro, per cui usa tutti i sistemi pur di riacquistare una certa sicurezza, anche se ciò rappresenta autoinganno? - a che cosa servono i pregiudizi, se non a crearci un’immagine precostituita ed economica del mondo, come risposta al solito bisogno previsionale!
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Ho detto che pensare vuol dire conoscere, dunque: - come avviene il processo conoscitivo? - perchè diamo importanza agli eventi in maniera differente da altre persone? - perchè catturiamo solo una parte di realtà, quella a noi collegata emotivamente? ecc. Ognuno di noi possiede un modello conoscitivo che si forma nell’interazione tra le proprie strutture biologiche preposte all’adattamento e l’ambiente. Questo scambio avviene attraverso il principio del determinismo reciproco, il quale significa che sia l’individuo sia l’ambiente, nel momento conoscitivo, si determinano a vicenda. L’ambiente agisce sull’individuo, ed egli agisce su di esso. Quest’attività nasce con noi, e ci accompagna per tutta la vita. Inizia col rapporto di scambio tra il neonato e le figure significative, cioè nel periodo chiamato dell’attaccamento (periodo in cui la sopravvivenza e strettamente dipendente dalla figura materna, e nel quale viene integrato il corredo innato, producendo l’aumento del patrimonio dei costrutti, quindi l’evolversi della capacità predittiva). Ma cos’è un costrutto... e a cosa serve? Il costrutto è semplicemente l’unità elementare di conoscenza e costituisce la discriminazione tra due cose, pertanto è sempre dicotomico (bipolare). Tale bipolarità ha il fine di consentire una previsione maggiore rispetto ad un concetto unipolare, nel senso che oltre ad affermare delle cose ne nega delle altre, ad es. se poniamo una persona nel polo "altruista" del costrutto altruista/egoista, significa non solo affermare qualcosa sulla persona ma anche escluderne altre, se poi le previsioni siano vere o false ovviamente è un altro problema. Infatti, la dicotomia dei costrutti è psicologica, non logica, perciò quando poniamo l’attenzione su un aspetto del reale, non costruiamo l’altro polo del 29
costrutto dalla sua negazione logica, ma da un’opposizione psicologica da noi soggettivamente costruita. Esso è la risultante, dunque della scelta effettuata sulle singole parti costituenti gli eventi, gli elementari giudizi emessi in una o nell’altra direzione. I costrutti possono essere sia centrali sia periferici. I primi riguardano i concetti che abbiamo di noi stessi, per esempio: * sono rifiutato o desiderato; * sono buono o cattivo; * sono altruista o egoista; * mi ritengo valido o incapace in questo determinato compito; * quando penso a me stesso mi penso timido o facile alla socializzazione; ecc., ecc. I secondi riguardano il mondo: * mamma è buona o cattiva (il primario costrutto che il bambino piccolo effettua sulla figura d’accudimento); * posso fidarmi degli altri o devo diffidare; * il mondo è onesto o disonesto; * il mio amico è intelligente o stupido; * la gente è altruista o pensa solo a se stessa; * mi piace vestirmi secondo la moda o in maniera classica; * fare dello sport è utile oppure non serve a nulla; ecc., ecc. Badate bene ho citato esempi centrali per meglio farvi comprendere il significato del costrutto, ma scegliere di bere il caffè con bicchiere di vetro o di coccio, è già una discriminazione, quindi è anch’esso un costrutto, che in questo banale esempio, indica come vogliamo bere il caffè; o ancora dire: alle prossime ferie andrò al mare invece che in montagna, è anche in questo caso un’azione costruttiva, che in questo ultimo esempio indica la preferenza tra la montagna o il mare. 30
Pertanto tali costrutti “opinioni” non sono altro che il nostro modo di pensare, i nostri gusti, insomma ciò che ci piace e ciò che non ci piace. Noi ci distinguiamo l’uno dall’altro proprio per via del diverso patrimonio di costrutti che possediamo, e che ci rende persone uniche. Cartesio diceva: “Cogito ergo sum” penso dunque sono! Egli asseriva che noi esistiamo per il semplice fatto che pensiamo. Ed è proprio così, noi esistiamo nel nostro personale modo di discriminare il mondo! In conclusione l’attività del conoscere sottende l’attività del costruire, la quale a sua volta sottende l’attività del prevedere. Ma il prevedere non è altro che il formarsi un infinito numero di costrutti che ci permettono di sapere in ogni momento in cui n’abbiamo bisogno: - come siamo; - come ci comporteremo; - cosa ci piacerà; ecc. insomma previsioni su sé stessi; o anche per esempio: - come si comporterà, mia sorella quando saprà che gli ho preso la macchina senza dirgli nulla... di solito è sempre disponibile; - cosa mi posso aspettare dai miei amici; - come si comporterà, il mio collega al lavoro quando saprà che involontariamente ho sbagliato un compito che mi aveva chiesto di fare; - che tipo di sentimenti ha la mia cara amica verso di me, mi ama o nutre solamente un senso di amicizia, ecc.; che sono previsioni sul mondo. La previsionalità è l’aspetto centrale del divenire umano, l’uomo in tutta la sua esistenza non fa altro che incrementare la sua conoscenza al fine di prevedere meglio gli eventi sia quelli che lo riguardano direttamente, sia quelli che lo colpiscono indirettamente. 31
Conoscere per l’uomo, è l’impulso primario che governa ogni suo comportamento, ogni sua azione, per raggiungere la sicurezza sull’ambiente, che rappresenta la pietra angolare della sua felicità. L'attività del conoscere inizia attraverso le risposte offerte ai primari costrutti ereditati geneticamente, che ci permettono di interagire stimolando l’ambiente. Essi proponendosi automaticamente per la sopravvivenza, stimolano le risposte d’accudimento da parte dell’ambiente significativo, e riguardano primariamente, il bisogno di nutrizione e d’affetto. Da neonati possediamo dei primari costrutti fisici ed emozionali (costrutti sul contatto, piacere, calore, disagio, ecc.), un’iniziale conoscenza che ci permette di sopravvivere stimolando l’ambiente a noi significativo, che a sua volta risponde alle nostre richieste d’affetto, nutrizione, protezione, ecc. Il costrutto infatti, non é sempre solamente espresso a livello cosciente, razionale e verbale, ma viene esposto anche per vie corporee (un altro esempio: un uomo che costruisce la realtà in termini di dipendenza/indipendenza, vediamo che può esprimere tale visione anche per via somatica: sensazione di soffocamento, costrizione al petto, attacco di panico, sensibilità alle limitazioni ambientali, ecc.), oltre ad argomentarla consapevolmente. Ritornando allo scambio tra bambino e figure significative, vediamo che è proprio l’aspetto dinamico della reciprocità, l’elemento fondamentale per la costruzione del mondo e di se stessi (formazione del Sé). Su questa primaria Interazione pian piano costruiamo tutta la nostra conoscenza fino ad arrivare ad essere quelli che siamo. Immaginiamo che il neonato stia piangendo, a questo comportamento ereditato geneticamente ed atto a manifestare disagio, la mamma risponde soddisfacendo, per esempio, il suo bisogno di nutrizione. Cosa è successo? 32
Semplicemente un’Intereazione tra il bambino piccolo e l’ambiente (la madre), un ciclo intereattivo dove allo stimolo (il pianto), l’ambiente in questo caso ha risposto positivamente. Cosa n’è risultato? La conoscenza di una piccola parte di esso (la madre) con conseguente formazione di un costrutto previsionale su di essa: * quando ho bisogno, lei risponde al mio richiamo o lo ignora? * mamma è affidabile o non lo è?, ecc.; nel nostro esempio ovviamente si... e la previsione conclusiva è: la mamma è buona... quando avrò di nuovo bisogno di lei posso prevedere che ritornerà da me. Pertanto la prima conoscenza acquisita è stata sul mondo... prevedo che esso sia affidabile. Ma solo questa? In conseguenza della risposta dell’ambiente se favorevole o meno alla richiesta, la formazione è anche un primario costrutto previsionale su se stessi, che corrisponde: * si è desiderati o non si è desiderati dalla mamma? Nel nostro esempio ovviamente è ancora sì... prevedo che la mamma mi ami . Pertanto di conseguenza, la seconda conoscenza acquisita è stata su se stessi... prevedo che la mia persona sia amabile. Ma contemporaneamente alla creazione dei costrutti del neonato anche l’ambiente, in questo caso la mamma, crea i suoi costrutti 33
interattivi, per via del citato determinismo reciproco. Ella crea le sue opinioni sul piccolo essere, costruzioni che porteranno alla formazione dell’immagine mentale dell’altro. E’ bene precisare infine, che l’ancoraggio dei costrutti avviene solamente attraverso ripetute esperienze tipo, cioè esperienze caratterizzate dalla stessa modalità interattiva. Bene, la conoscenza avviene in questo modo, attraverso un determinismo reciproco tra noi e l’ambiente, da quando nasciamo fino a quando moriamo, sia all’età di un anno che all’età di cento anni. E’ attraverso la sperimentazione dunque, che formiamo pian piano la nostra rete di costrutti. Notate bene che nell’esempio, ho scelto per gusto risposte positive dell’ambiente. Purtroppo nella realtà avviene invece spesso il contrario. Infatti, in tal caso costruiamo nel nostro esempio, non affidabile il mondo e noi stessi non desiderabili.
CASO CLINICO Sono cinque anni che con mio marito ci siamo trasferiti dall’estero qui in Italia, per via di una borsa di studio che lui ha vinto. Naturalmente è molto contento di questo, specialmente perchè al nostro paese c’è molta difficoltà di lavoro, ma io purtroppo non riesco ad inserirmi qui, sento tantissimo la mancanza della mia terra e della mia famiglia, insomma sento che la mia vita è rimasta là. Sono laureata in scienze biologiche ma qui per un motivo o per altro non sono mai riuscita a concludere qualcosa nel lavoro. In questi anni è nata una bambina. Quest’evento, non essendo stato programmato mi ha destabilizzato molto inondandomi d’ansia. Al momento della sua nascita avevo 38 anni e questo creava in me una forte 34
preoccupazione per il fatto che pensavo di essere troppo grande per fare un figlio; inoltre mi sentivo completamente impreparata ad affrontare un simile evento, avevo tanta paura e tanta inquietudine. La nostra bambina ora ha quasi due anni, ma la mia insicurezza è in me ancora talmente presente che mi accorgo di riversarla su di lei. Infatti, mi dispero quando si allontana di solo qualche metro da me. Non mi sento mai tranquilla, sicura, sono sempre in stato d’ansia. Ho trovato un lavoro part-time temporaneo che riguarda i miei studi in biologia, ma nonostante ciò, non riesco a vivermelo bene poichè mi preme il fatto di dover lasciare la bambina da qualcuno. Tantissime volte ho fatto presente a mio marito il mio bisogno di ritornare al nostro paese, ma lui non lo condivide affatto. Vorrei che mi desse dei consigli e mi spiegasse il perchè la mia vita è caratterizzata da tanta insicurezza. Silvana Q. Cara Silvana, spiegare in poche righe ciò che la caratterizza è sicuramente un impegno abbastanza arduo. In ogni modo provo a darle una spiegazione sommaria, ma che le sia nello stesso tempo utile. In prima analisi è necessario che comprenda che ognuno di noi forma la sua conoscenza nei primi anni di vita, e questo interagendo con gli adulti significativi. Ma che significa formare la propria conoscenza? Semplicemente costruire la propria immagine e quella del mondo che ci circonda. Nel suo caso sembra più che evidente che la sua organizzazione conoscitiva sia segnata da forti insicurezze. Bene, quando inizialmente interagiamo con i nostri genitori, e se questi non ci permettono di esplorare il nostro mondo di allora, perché iperprotettivi o semplicemente perché incapaci di occupare il loro ruolo, vediamo che il riferimento costituito dalla base sicura (i genitori) alla quale tornare dopo le nostre avventure di gioco, viene a mancare. Con ciò 35
molto probabilmente formeremo l’immagine di noi stessi come fortemente insicura. Sarà questa conoscenza che segnerà poi il colore del nostro divenire. Per cui credo che lei abbia una conoscenza incompleta dovuta sicuramente ai suoi genitori, che erano probabilmente altrettanto ansiosi ed insicuri, quindi certamente non le hanno permesso di muoversi efficacemente nel suo spazio di bambina. Per tutto ciò le consiglio di non fare altrettanto con la sua piccola. Mentre per l’altro problema le suggerisco di affrontare la novità della sua realtà in Italia e cercare di fare il più possibile esperienze che le permettano di acquisire quella conoscenza che le potrà dare quella sicurezza che non ha mai avuto. Esperisca una realtà ricca d’imprevisti e vedrà che pian piano acquisirà quella conoscenza che le è stata vietata quando era piccola, permettendole ciò di essere finalmente tranquilla e sicura di fronte alle vicissitudini della vita, aspetti che sono dagli altri vissuti normalmente, mentre per lei costituiscono forte ansia. Insomma ripeto si apra alla nuova conoscenza, provandosi lentamente con intelligenza evitando il più possibile i fallimenti, quindi valutando di volta in volta le sue capacità; otterrà così il cambiamento della rappresentazione mentale del suo io... evolvendolo da un io insicuro ad un io sicuro.
Riepilogando, il neonato possiede la predisposizione a conoscere, costituita dalla materia biologica cerebrale che è sensibile ad una parte dell’ambiente, quello specifico, che nel nostro caso è quello relativo alla nostra specie. Sappiamo dagli studi etologici, che ogni specie animale ha una capacità innata di rispondere all’ambiente specie/specifico. E' proprio questo che gli permette di sopravvivere appena nato. Il giro di reciprocità che s’instaura primariamente tra l’animale e l’ambiente genitoriale 36
avviene proprio affinché quest’ultimo si prenda cura di lui, poichè anch’esso è predisposto ereditariamente a rispondere a stimolazioni specifiche. Per il piccolo d’uomo ciò sarebbe rappresentato dalla capacità di stimolare risposte d’accudimento della madre o del suo sostituto. Tutto ciò fa sicchè il nuovo essere aumenti la sua conoscenza sul mondo e nello stesso tempo, secondo come questo si comporta nei suoi confronti, costruisce se stesso, vale a dire si fabbrica l’immagine di Sé. Sarà proprio quest’immagine, che deciderà se l’uomo che ne verrà fuori, sarà o no adattato, felice o infelice. Ne consegue che da queste primarie interazioni con le figure significative, costruiamo la nostra conoscenza sul mondo e contemporaneamente il nostro Sè che ci guiderà per tutta la nostra vita. Infatti se prendiamo un nuovo esempio una costruzione su sé stessi del tipo: io sono amato solo se perfetto (organizzazione conoscitiva di tipo ossessivo), sarò portato ad interpretare il mondo sempre con questa chiave di lettura, e sarò facilmente convinto che le persone a me significative mi richiedano sempre alte prestazioni per potermi amare, quando in realtà non c’è, razionalmente pensando, alcun bisogno. Cosa è successo? E’ accaduto che la nostra iniziale costruzione su noi stessi ha deciso il colore delle successive percezioni sul mondo, il famoso filtro di cui parlerò in seguito. Come vedrete esso dovrà essere soggetto a continui aggiustamenti per addattarsi alle nuove interazioni.
CASO CLINICO Mi chiamo Silvio ed ho 43 anni, il problema per il quale le chiedo consulenza nasce dal rapporto con mia moglie. 37
Da una parte ho un’indescrivibile necessità di parlarne, mentre dall’altra no perchè ne ho vergogna. Ma ora mi sento convinto ad aprirmi per cui ho deciso di rivolgermi a lei, ma le chiedo, come del resto sembra sua abitudine, di non mettere il nome, se deciderà di pubblicare questa lettera. Dunque, stavo dicendo che il problema è con mia moglie, ma non è che non andiamo d’accordo o abbiamo modelli comunicazionali diversi, il problema è che non riusciamo più ad avere intesa sessuale. Nei momenti intimi succede di non essere all’altezza della situazione. Sì caro dottore, mi sto vivendo un momento d’impotenza sessuale, da diverso tempo non riesco ad avere un rapporto sessuale con mia moglie, quindi mi sento talmente depresso da avere ogni tanto crisi di pianto. E’ giusto dire che mia moglie, sinceramente parlando, non mi chiede nessuna prestazione particolare, anzi mi consiglia di non ossessionarmi e che prima o poi mi passerà. Ma io mi sento di essere poco uomo; forse è giusto che decida di fare una terapia, quindi le chiedo anche di consigliarmi a riguardo. Prima di concludere voglio, per far sicchè lei abbia più elementi per consigliarmi, dirle che facilmente ancora oggi mi vivo, nonostante che sia morta diversi anni fa, la presenza di mia madre, cioè mi rivivo la sudditanza che avevo con lei. Ricordo che ella decideva sempre per me. Infine in questo marasma confusionale, sento addirittura di non essere considerato padre se i miei figli non rispondono come mi aspetto. Sento di perdere il ruolo di genitore, in altre parole quel posto che deve essere occupato da un padre con carattere forte e capace di costituire forza trainante per l’intera famiglia. Silvio M. Caro Silvio, in queste circostanze come sempre succede, si accavallano diversi fulcri problemici. Infatti quello che lei si sta vivendo non è altro che la risultante di questi. Cosa voglio dire con ciò? 38
Semplicemente che lei con molta probabilità ha vissuto una forte dipendenza nei confronti della sua mamma, e questo a tal punto da indurre una costruzione di se stesso come bisognoso d’approvazione per sentirsi di essere desiderato e amato. Vedo quindi nella sua primaria organizzazione conoscitiva, un fondamentale costrutto del tipo: - se non faccio ciò che la mamma desidera, ella non mi concede il suo amore -. Per cui ancora oggi, non avendo avuto opportunità esperenziali diverse, è tendenzialmente portato ad usare sempre lo stesso modello conoscitivo. Cosa significa ciò? Significa che interpreta il mondo, vale a dire le persone a lei significative, ad esempio: sua moglie, i suoi figli, ecc., come giudici del suo operato. In conclusione è proprio questo che le crea la classica ansia da prestazione quando ha rapporti intimi con sua moglie o ancora la sensazione di essere giudicato, dai suoi figli, nel ruolo di padre. Signor Silvio, per ciò che riguarda il consiglio circa il dilemma se intraprendere una terapia o meno, le suggerisco d’approcciare uno specialista del campo per far sicchè cominci finalmente e seriamente ad aprirsi al mondo per quello che è, e non per quello che ritiene che gli altri vogliono che lei sia.
L’incremento conoscitivo, quando non s’incontrano empassè psicologici, cioè non ci mostriamo ne rigidi da chiuderci a ogni apprendimento ne lassi da farci rimbalzare tutto come se fossimo di gomma, al fine di difendere le nostre convinzioni, avviene proprio cambiando la vecchia conoscenza che si dimostra fallimentare con quella meno fallimentare, semplicemente attraverso il meccanismo chiamato per prove ed errori, come se stessimo risolvendo un qualsiasi problema matematico.
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L’incremento dei costrutti, detto semplicemente, la formazione d’opinioni dicotomiche sugli eventi, rappresenta dunque la risultante cognitiva di quest’Interazione tra l’individuo e l’ambiente. Per delucidare ulteriormente il funzionamento della mente razionale, metterò momentaneamente da parte l’altra, quella emotiva che spiegherò nel quarto capitolo. Pertanto userò la metafora del computer, che rappresenta sicuramente un dominio più conosciuto, per illustrare tale funzionamento. Uso tale analogia non perchè siamo come dei computer, ma semplicemente perchè n’abbiamo una qualche somiglianza nel funzionamento. Immaginate ora di avere davanti a voi un elaboratore elettronico in funzione corredato di programmatore (colui che “crea” il software ad es., il Windows), e di un operatore (colui che utilizza il computer, per es. io che sto scrivendo questo libro). Esaminando le varie parti, noterete che esso è caratterizzato: da una parte rigida, l’hardware, cioè l'elettronica del computer, che nel caso dell’individuo corrisponde alla struttura organica (il temperamento ereditario, la predisposizione innata alla interazione). Questa ne stabilisce le capacità, i limiti minimi e massimi; / dal software, i programmi del computer; mentre dall’altra parte, troviamo le strutture cognitive (il filtro con cui costruiamo gli eventi) con annesse tutte le costellazioni affettive ed emotive; / dall'operatore che immette i dati nel computer, parallelamente nell’individuo questa parte è rappresentata dalle caratteristiche fisiche e socioculturali dell’ambiente; / infine dall'aspetto operativo del computer, che è dato dall’interazione del software con l’hardware, che corrisponde al comportamento dell'uomo, il quale a sua volta, va a determinare con la sua retroazione, il secondo punto - le strutture cognitive, e il terzo punto - l’ambiente, in un sistema di determinismo reciproco (di proazione-retroazione) tipico solo dell’uomo. 40
Tale metafora aiuta senz’altro a comprendere il nostro funzionamento mentale, un iniziale approccio atto ad acquisire confidenza con la formazione della nostra conoscenza, che avviene attraverso il meccanismo che caratterizza il giro d’influenze tra il pensiero, l’ambiente e il comportamento. Ora un piccolo e semplice schema al fine di chiarirvi meglio l’intereazione degli elementi che partecipano alla formazione della nostra conoscenza
Schema ambiente
pensiero
Comportamento
Interazione tra pensiero, comportamento e ambiente L’interazione non è dunque un effetto unidirezionale dall'ambiente sulle strutture biologiche dell'individuo, ma bidirezionale come la spiegazione della moderna psicologia vuol dare. L'ambiente e l'individuo, nel rapporto di reciprocità vale a dire di scambio, si determinano a vicenda.
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Quest’incremento di conoscenza che avviene attraverso l’esperienza interattiva con l’ambiente, crea sia un aumento dei costrutti sia un incremento in consistenza dei nessi (interdipendenze) tra di essi. La conoscenza che ne risulta parte dai costrutti periferici quelli sull’ambiente, fino ad arrivare attraverso diversi livelli gerarchici a quelli centrali, quelli su noi stessi. I diversi livelli discriminano la diversa importanza della nostra conoscenza. Noi diamo considerazione differente se le nostre opinioni riguardano un’aspetto banale della realtà o un’aspetto più significativo, fino ad arrivare ai concetti che abbiamo di se stessi, quelli che costituiscono l’elemento cruciale della nostra realtà (le costruzioni di come siamo, per esempio: se egoisti o altruisti, intelligenti o meno, ecc.), e che talvolta ci mobilitano totalmente per difenderli. Questa capacità previsionale è dunque costituita da costrutti, con i quali si formano convinzioni fino ad arrivare a veri e propri sistemi di credenze. Quello che a noi interessa per il nostro studio, è che la conoscenza base si forma nel periodo dell’attaccamento, e su questa si costruisce quella successiva. Conosciamo il mondo attraverso il nostro Sé costituitosi in quel periodo. Se abbiamo una considerazione positiva di noi stessi vediamo che nell’interagire con l’ambiente cogliamo equilibratamente sia i lati positivi che negativi che esso ci presenta. Ma se il rapporto di reciprocità iniziale è stato disfunzionale e ci ha prodotto un concetto di noi stessi e dell’ambiente negativo, saremo portati nelle successive esperienze a cercare conferma di tale opinione fino a generalizzarlo facilmente su tutto il mondo e su tutta la nostra persona. Ricordando l’esempio del bambino e immaginando d’essere quel piccolo, e nel caso vi foste formati i concetti del tipo: io non sono amato e il mondo non è affidabile, vediamo che successivamente, quando interagirete con gli altri, sarete portati a cogliere solo aspetti che vi confermino questa negativa opinione di voi stessi, arrivando inconsapevolmente ad autodeterminare tale realtà. 42
Comunicando questa valenza all’ambiente, esso risponderà automaticamente, come voi “volete” o meglio dire come non volete. Ricordate il relativismo deve sempre accompagnarvi quando emettete una qualsiasi sentenza su voi stessi o sugli altri. Una costruzione per quanto possa sembrare inerente alla realtà, è sempre frutto di una vostra invenzione su di essa, poichè filtrata dalle costruzioni centrali, dall’immagine che avete del vostro Io. Per semplificare ulteriormente il concetto appena esposto, pensate ad esempio di avere un vostro costrutto sul Sè del tipo: io non sono considerato, e immaginate adesso di essere alla vostra festa di compleanno, avete invitato tutti i vostri colleghi di lavoro indirettamente facendo passare parola; siete a casa ad aspettare l’arrivo degli invitati, provate ansia poichè non siete sicuri dell’esito dell’invito e cominciate a formulare tra voi e voi le seguenti previsioni pessimistiche che di solito siete abituati a fare in questi casi: ° forse non verranno tutti... sicuramente... Giacomo e Stefano che gli importa di venire alla mia festa; ° ho detto di invitare anche il capo reparto... ti pare che lui raccoglie il mio invito!, ecc. La bassa considerazione che avete di voi stessi, che emerge in questo contesto, è la stessa che probabilmente avete comunicato anche nell’interazione lavorativa, la gente è portata a considerarvi poco perchè siete voi per primi a pensarvi in tal modo. Ciò porta a non esporvi, a non mostrare sicurezza, ecc. Alla fine dell’attesa constatate che effettivamente le persone rispondenti al vostro invito sono poche, questo non fa altro che confermarvi la bassa stima che avete di voi stessi... e concludete come sempre: ° si è proprio vero la gente non è affidabile; 43
° non sono venuti gli altri perchè in realtà non sono interessati alla mia persona; ecc. In sostanza se i primari contesti interattivi con le figure significative vi hanno portato a formare un concetto negativo di voi stessi, siete portati ad utilizzarlo ugualmente anche se vi rema contro. Questo perché le previsioni, qualunque esse siano, devono essere confermate, pena l’ansia conseguente all’insicurezza, poiché il sistema cognitivo è congegnato nella direzione da sopportare meglio un errore di previsione che una mancanza di essa. Ed è proprio questo che ci rende resistenti, il più delle volte, alle invalidazioni delle nostre convinzioni, da qui la rigidità e la lassità mentale. La previsione su come riteniamo di essere, che deriva dalla rappresentazione mentale che possediamo della nostra persona, è di vitale importanza per orientarci nel mondo. Se accadesse un disgregamento dell’immagine del nostro io per caduta della validità dei nostri costrutti centrali, si andrebbe nel disorientamento totale e poi nella malattia. La conclusione è che la conoscenza iniziale, se è il prodotto di un primario rapporto disfunzionale, comporterà con molta probabilità disfunzionalità anche in futuro. Gli insights che ne risultano sono:
^ la consapevolezza della natura relativa della nostra conoscenza di noi stessi e del mondo, che se errata é la causa della nostra infelicità;
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^ la consapevolezza della possibilità di costruire una conoscenza più funzionale. Il punto è proprio qui, significa iniziare a compenetrare nel relativismo della vostra vita mentale. Cominciate a “sentire”, come già accennato precedentemente, che le vostre costruzioni, qualsiasi esse siano, sono relative, per cui se disfunzionali e causanti infelicità, possono essere soggette a revisione al fine di renderle più adattive. Ora provate a svolgere la seguente esercitazione:
ESERCITAZIONE PRATICA Creiamo una situazione immaginaria: - una vostra amica vi racconta di una sua situazione poco felice al lavoro. Ella dice che le colleghe la considerano come una “mamma”, quindi quando hanno bisogno di qualche consiglio si rivolgono sempre a lei. Il problema nasce nel momento in cui si presentano lavori complessi, poichè con la scusa che è anche la più anziana nel lavoro, gli viene sempre chiesto di occuparsene lei. Il fatto, racconta: - è diventato fastidioso, mi trovo costretta spesso a svolgere i compiti più complessi ed implicanti maggiore responsabilità; - vorrei uscire da questo ruolo in cui “mi hanno messo”; - come devo fare? … vi chiede. Dato che siete voi il consigliere in quest’esperienza immaginaria. - Come vi muovete? - Cosa le suggerite?
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Provate a dare qualche risposta e poi continuate a leggere. Rispondete: ..........................................................................................……… …………………………………………………………………………... …………………………………………………………………………... ..........................................................................................……....
L’operazione più giusta da fare è chiara alla luce di quanto detto. La costruzione delle opinioni che gli altri hanno di noi, non avviene semplicemente perchè essi pensano in un certo modo, bensì è il risultato di come ci siamo posizionati all’interno del gruppo, sia esso di lavoro o di amici o semplicemente all’interno della nostra famiglia. E’ l’immagine che abbiamo di noi stessi che decide la comunicazione che attueremo quando interagiremo con gli altri, e come essi saranno portatati a considerarci e in che ruolo collocarci. Se uno dei costrutti centrali che possedete é per esempio: *se la gente non ha bisogno di me, sono inutile, (il costrutto che nell’esempio, caratterizza l’organizzazione conoscitiva del personaggio) sarete facilmente portati inconsapevolmente a far si che gli altri vi considerino come nell’esempio. In un certo qual senso questo avviene inconsapevolmente, per via della personale fissità conoscitiva che porta a costruirvi di conseguenza. Sul lato comportamento, questo vuol dire che le vostre azioni saranno (fenomeno di dipendenza) orientate a cercare persone bisognose di un qualche vostro appoggio, perchè senza le quali sentireste angoscia per inutilità.
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CASO CLINICO Dottore mi rivolgo a lei poiché mi sento un poco disperata. Ho cinquant’anni separata da venti, vivo sola in Bracciano, un paese vicino Roma. Il problema è che mi sento depressa da quasi sempre, ho un figlio ritardato mentale di ventiquattro anni. Egli non è minimamente autosufficiente quindi mi da molto da fare, so che lui ha bisogno di me. Mi rivolgo anche al centro di riabilitazione del paese presso il D.S.M. In questo centro sinceramente ci vado sia per lui sia per me, poiché mi sento molto sola e recandomi là ricevo dell’interessamento e della compagnia. Ma il problema della mia depressione è aumentato da quando, sostenendo dei colloqui con gli operatori del dipartimento, mi hanno suggerito di lasciare mio figlio Flavio più libero, in modo che sviluppi indipendenza svincolandosi da me, questo a dir loro. Ora io mi sento ancora più disperata… non capisco: ma se mio figlio ha bisogno di me perché mi hanno detto che mi devo far da parte? Al solo pensiero mi sento tremendamente inutile, non riesco a pensare che mio figlio non abbia bisogno di me! Anita Signora Anita voglio essere subito franco, a me sembra che lei abbia bisogno di un figlio malato e bisognoso solamente per sentirsi utile. Lei possiede probabilmente una tipo di conoscenza che la porta a ricercare persone che hanno una qualche bisogno di lei al fine di sentirsi viva. Stia attenta perché così facendo potrebbe rallentare o addirittura bloccare la riabilitazione di suo figlio. La fissità conoscitiva che la caratterizza, ritengo sia caratterizzata con molta probabilità, da un dialogo interiore depressivo del tipo: se non c’è qualcuno al quale dedicarmi non valgo nulla; ecc., ecc. E’ chiaro che con una tal paura è portata a non accettare l’eventuale distacco di suo figlio.
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Nella lettera non mi parla minimamente del suo ex marito, ma sono convinto che il rapporto con lui doveva essere lo stesso caratterizzato dalla dipendenza! Mi creda, lei dovrebbe non solo lasciare suo figlio più libero, ma anche stimolarne l’induzione di almeno un minimo di indipendenza, e visto che è anche inserito presso un centro di riabilitazione, con molta probabilità questo obiettivo potrà essere, con il tempo, raggiunto. Per quanto riguarda invece la sua depressione le suggerisco di continuare a frequentare il centro, e parlare di ciò che mi ha scritto con uno psicologo interno, in modo che l’aiuti costantemente. Lei deve sviluppare un altrettanto senso di autonomia! Cercare di comprendere un po’ più se stessa in modo da acquisire consapevolezza sul suo modo particolare di conoscere e costruire. Che significa ciò? Semplicemente comprendere lo stile con cui interpreta gli altri e se stessa!
Pertanto inizialmente spiegherete alla vostra amica, come avviene il processo conoscitivo relativo alla costruzione di se stessi, poi le stimolerete la rivisitazione della conoscenza appresa nei primari rapporti significativi, al fine di fargli acquisire maggiore consapevolezza sui propri costrutti fondamentali, quelli centrati sulla propria significatività, quelli che costituiscono l’opinione che abbiamo di noi stessi. Sono essi che formano la conoscenza base, quella che costituirà il pensiero consapevole e soprattutto quello inconsapevole: i pensieri automatici di cui parlerò successivamente. Notate bene che nell’esercitazione vi ho posto il problema mettendo in gioco un’altra persona (la vostra amica), ma è alquanto ovvio che ora possedendo della nuova conoscenza preziosa, già potreste posizionarvi nel ruolo di consigliere di voi stessi, cioè occupando ambedue le posizioni. 48
Cercate dunque di rappresentarvi sia come osservatore sia come osservato, senza pensare che la persona che ha bisogno di essere compresa siate voi stessi, ma una seconda alla quale date consigli, come nell’esempio esposto. E’ chiaro che, come tutte le abilità che derivano dalla conoscenza della Psicologia Vera, anche questa merita pazienza e perseveranza per essere acquisita. Pertanto non demoralizzatevi se alla prima esperienza le emozioni implicate nel processo che desiderate comprendere, non vi permettono di spostarvi facilmente di ruolo.
TECNICHE SPOSTAMENTO DI RUOLO: Questa tecnica consiste nel cambiare immaginariamente il ruolo che si possiede nella realtà. Essa è utile in quei contesti in cui usando la tecnica della Ristrutturazione cognitiva, vi sentite che difficilmente riuscite a cogliere con facilità gli elementi distorcenti per poi ristrutturarli. Per cui appare utile posizionarvi in un ruolo che non sia quello d’agente diretto, bensì quello d’agente indiretto: il consigliere di se stesso. Tale spostamento di ruolo da protagonista a quello di suggeritore ha il fine di permettervi di darvi quei suggerimenti utili alla ristrutturazione del proprio pensiero distorto, che altrimenti per il troppo coinvolgimento emotivo sarebbe difficile o addirittura impossibile. Tale tecnica, si può dire, è come se aiutasse a decentrarsi, a spostarsi di punto di vista. Il principio su cui si fonda è quello che uscendo, anche se solo a livello immaginario, dal ruolo posseduto nella vita reale, si può acquisire quel distacco emotivo necessario per osservare più obiettivamente la situazione oggetto di ristrutturazione. Lo Spostamento di ruolo lo potete attuare anche in quei contesti in cui non riuscite a comprendere il o i punti di vista degli interlocutori con cui avete un disappunto: gli attori del contesto oggetto d’osservazione. 49
Questo significa semplicemente calarvi, sempre immaginariamente nel ruolo di questi, al fine di cogliere gli aspetti che caratterizzano i loro punti d’osservazione. Questo, come potete ben intuire, serve ancora per aiutare a decentrarvi, per cogliere quegli aspetti che dal vostro punto di vista sarebbe invece difficile. Questa tecnica, che è una variante dell’auto-osservazione che spiegherò nel quarto capitolo insieme a tutte le altre tecniche, va usata ogni qualvolta che avrete la necessità di capire i significati nascosti di un vostro comportamento, di una vostra emozione spiacevole, e questo sviscerando il pensiero che li precede, per poi suggerirvi gli opportuni cambiamenti ponendovi da differenti punti di vista. Tale pratica vi si presenterà più che utile quando un’azione osservativa diretta potrebbe essere difficile, dato l’eccessivo coinvolgimento emotivo che talvolta accompagna la costruzione del proprio sé, come già accennato, al quale fanno capo i significati delle nostre azioni. Per cui “giocando con i ruoli” si può ottenere meno coinvolgimento emozionale. Ora un’esperienza immaginaria riepilogativa su tutto ciò che ho disquisito fin qui: Al ritorno a casa vi sentite scontenti di voi stessi al punto che il vostro umore è depresso, ad esempio: - Ritenete di avere avuto un’ingiustizia dai colleghi, - pensate che non abbiano rispettato un vostro lavoro, - credete che vi siano passati avanti ignorandovi ecc. Il fatto é che, per via di una vostra fissità conoscitiva, esagerate nelle interpretazioni dei fatti e pensate spesso d’essere incapace a farvi valere. Infatti, su quest’evento avete concluso:
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° é sempre così, nessuno mi rispetta; ° la mia persona è facilmente calpestata; ° è proprio vero la gente non mi considera. In questa realtà spiacevole e depressiva, cercate ora di indagare su voi stessi, e cercate di capire quali aspetti interpretativi stereotipici vi si sono imposti caratterizzando l’esperienza in tal modo. Fatevi domande sull’origine della vostra conoscenza, sui primari rapporti significativi che avete avuto, al fine di riconoscere quale aspetto costruttivo disfunzionale, formatosi in quel periodo, state ancora oggi utilizzando. Con tale indagine può emergere che un qualche opinione su voi stessi, formatosi nell’infanzia, può essere del tipo: *io non sono amabile; *io non sono desiderato dal mondo; una conclusione costruttiva su voi stessi, ottenuta probabilmente a seguito di esperienze ripetute, nelle quali vostra mamma o il suo sostituto ignorava la vostre esigenze, non rispondeva, forse, ai vostri richiami con celerità o ancora comunicava fastidio al dover assolvere al suo compito materno, ecc. Una volta raggiunta la consapevolezza di quale conoscenza iniziale, che riproponendosi automaticamente nell’interpretazione degli eventi, vi disturba il presente infelicitandolo; lavorate cercando di reinterpretare, utilizzando la conoscenza ulteriore di cui siete ora in possesso, l’esperienza dolorosa da altri punti di vista, da altre ottiche, cercando così di contrastare la fissità conoscitiva che è in voi. Utilizzate per tale obiettivo, anche la tecnica appena esposta, basata sullo spostamento di ruolo per darvi quei consigli utili per uscire dall’empassè psicologica. Fate in modo che, come ho sopra spiegato, 51
esista mentalmente in voi una seconda persona alla quale date suggerimenti, e se ciò non bastasse provate anche ad occupare la posizione dei vostri colleghi: il loro ruolo, e chiedetevi cosa avreste fatto al loro posto. Tutto ciò aiuta a comprendere meglio i punti di vista differenti dal proprio. Per facilitare il decentramento dal proprio stereotipo conoscitivo, lavorate sul vostro dialogo interiore, ditevi tra voi stessi: - devo fare attenzione quando automaticamente coloro la mia realtà presente interpretando gli eventi sempre con l’immagine che ho del mio Io, che essendo in questo caso caratterizzata dal costrutto negativo che ho scoperto: “io non sono amabile” (tale costrutto, nell’età adulta acquista diverse sfaccettature - non sono interessante, importante, piacevole, simpatico ecc., ecc.); - devo osservare l’esperienza valutandola più obiettivamente e cercare di perdere quella tendenza a soggettivare troppo; - ora che so che sono portato involontariamente a vittimizzarmi devo fare attenzione quando do le mie conclusioni; ecc. Mentre quando invece state occupando i ruoli dei vostri colleghi, potete dirvi più equilibratamente in alternativa alle vostre solite conclusioni: - i miei colleghi hanno ignorato il mio lavoro perché forse é stata un’esigenza lavorativa e non perchè non so farmi valere; - è stato probabilmente il superiore ha cambiare il programma al quale é collegato il mio lavoro; - e poi non è vero che mi disconoscono sempre, (e a questo punto potreste ricordate altre situazioni in cui non é avvenuto un disconoscimento ma un riconoscimento); - forse tutto sommato il mio lavoro non era così preciso come pensavo”; ecc., ecc. 52
Per finire vi incito a non preoccuparvi se inizialmente non riuscite facilmente a dare altre interpretazioni agli eventi spiacevoli che caratterizzano la vostra vita, il decentramento cognitivo neccessita purtroppo di una notevole libertà dal proprio Ego. Il percorso di crescita psicologica avviene molto lentamente, per questo dovete essere perseveranti nel cercare di ristrutturare la vostra conoscenza disturbata, o cercare di farne di sana pianta della nuova, poiché solo in questo modo incrementerete le vostre abilità cognitive. Ricordate sempre e comunque che solo perseverando nel lavoro cognitivo, acquisirete pian piano dimestichezza con i vostri pensieri. Il lavoro di revisione della propria conoscenza acquisirà così sempre più facilità.
RIEPILOGO PRATICO In qualsiasi empassè psicologico vi troviate cercate di arrivare ad acquisire conoscenza sulle origini del vostro comportamento in oggetto. Cercate di capire quale conoscenza vi è stata vietata o qual è la conoscenza posseduta che vi porta ad una interpretazione della realtà scorretta e quindi dolorosa. Ricostruite la vostra storia implicata nel disturbo che lamentate. Indagate sul vostro passato di reciprocità con le vostre figure genitoriali e cercate di risalire alle origini di determinati costrutti sul mondo e su voi stessi che decidono ancora oggi il vostro presente rendendolo infelice. Tale lavoro vi permetterà di prendere confidenza con la vostra conoscenza iniziale che è posizionata propedeuticamente rispetto a tutta quell’altra che si è costruita su di essa. Ma notate bene non suggerisco di andare a ricercare le colpe dei vostri guai odierni come suggerisce l’obsoleta Psicoanalisi Freudiana, non 53
dovete comprendere se vostra madre o vostro padre sono stati dei genitori perfetti... o meno.. non dovete affatto. Il punto è ben altro, guardatevi oggi, e se avete della conoscenza disfunzionale è solamente perchè essa non è più consona alla realtà, quindi si dimostra disadattiva e inadeguata alla risoluzione delle problematiche presenti. Dunque il lavoro da compiere e proprio quello di conoscere inizialmente perchè essa si sia formata, al fine di diventare consapevoli che se era opportuna un tempo oggi con molta probabilità può non esserlo più. Questo è il primo passo per cominciare a conoscervi e capire il perchè pensate in un certo modo.
- Crescita mentale... incremento conoscitivo: Inoltrandoci sempre più nella comprensione del mentale, affermerò che l’incremento conoscitivo, lo sviluppo della capacità di anticipare gli eventi, avviene attraverso un elementare principio dinamico, il quale rappresenta l’aspetto cruciale dell’evoluzione dell’intelligenza. Sto parlando dell’assimilazione/accomodamento... cos’è tale principio? Nel conoscere ovviamente incontriamo elementi nuovi, i quali non vengono inseriti nella nostra struttura mentale semplicemente sommandosi ad essa, ma bensì ristrutturandola! Che vuol dire ristrutturazione? La ristrutturazione è un processo altamente dinamico con il quale modifichiamo la conoscenza appresa, (costrutti, idee, convinzioni, credenze) in conseguenza dell’esperienza. Il nuovo dato esperenziale 54
s’inserisce inizialmente, quale elemento destabilizzante. Esso è poi accomodato, in condizioni di normalità, senza eccessivo disorientamento previsionale, attraverso l’allentamento dei nessi implicati tra le varie costruzioni, che costituiscono la nostra conoscenza. Che vuol dire allentamento dei nessi strutturali? Per spiegare tale concetto è opportuno fare un’esperienza immaginaria: costruite una ipotetica convinzione negativa non corrispondente alla realtà, che il vostro partner potrebbe avere nei vostri confronti. A tale convinzione, essendo tenacemente radicata, fanno capo una rete di costrutti periferici fortemente interdipendenti tra loro che la sostengono. Badate bene, qualsiasi opinione che possediamo è sempre interdipendente da un insieme di altre opinioni, che avendo lo stesso tema o similare, fanno in modo che la sopraordinata sia il più delle volte ben radicata nel nostro sistema mentale. Se nel costrutto centrale “mi considera” o “non mi considera” sul quale è costruita la convinzione, “scegliete” il polo “non mi considera”, vedrete che se i nessi strutturali tra tutti i costrutti periferici, per esempio del tipo: - egli crede che non sia abile a per aiutarlo; - quando torna a casa dal lavoro spesso non si accorge di me; - non mi loda mai quando faccio qualcosa di utile per la casa; - pensa sempre che non sia all’altezza delle situazioni; ecc., ecc., che conducono a quello centrale sopra menzionato, cioè che lo sostengono, sono tra loro fortemente interdipendenti, tale previsione di non essere considerato, quantunque la realtà la confuti, sarà difficilmente rimovibile.
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L’allentamento dei nessi delle interdipendenze costruttive, è il processo che facilita la riapertura del sistema mentale, costituendo l’elemento chiave per l’assimilazione del nuovo, accettando senza eccessivi scossoni l’eventuale confutazione pervenuta dalla realtà. Ma se nell’esempio appena esposto, le interdipendenze che fanno capo al costrutto sopraordinato “non mi considera” non si allentassero, difficilmente tale convinzione che ritenete che il vostro partner potrebbe avere su di voi, potrebbe cadere. L’allentamento dei nessi che sostengono le nostre convinzioni può essere facilitato, proprio come risultato della conoscenza ricevuta attraverso la teoria prima, e l’esperienza autoconoscitiva poi. E’ di vitale importanza dunque, che il primo insight, quello fondamentale sul relativismo dei fatti mentali, debba con certezza aver raggiunto la consapevolezza ed accompagnarvi sempre, in modo che possiate con più facilità mettere in discussione le vostre stesse convinzioni, quando queste risultassero essere oggetto di ristrutturazione come appresso spiegherò. Per rendere ancora più chiaro il concetto delle interdipendenze costruttive, utilizzo una metafora: Pensate ad un edificio - la costruzione sopra-ordinata, mentre tutti i muri, le fondamenta, ecc. che permettono che l’edificio stia in piedi sono i costrutti sotto-ordinati. Se immaginiamo ora di far cadere prima un muro, poi un’altro, poi ancora un’altro, ecc. vediamo che dopo aver tolto un numero sufficiente di muri, l’edificio crolla senza esitazione. Ogni elemento costituente la costruzione edile, come è noto, è interconnesso con l’altro e tutti insieme fanno sicchè il palazzo rimanga in piedi. Si, è proprio lo stesso per le costruzioni conoscitive, confutate quelle che stanno alle “basi”, le costruzioni sopra-ordinate crollano anch’esse. E’ chiaro che ciò può avvenire solo attraverso un opportuno lavoro di osservazione-confutazione-ristrutturazione. 56
La conoscenza utile sul proprio funzionamento mentale, vi offre aiuto per la conoscenza dei vostri schemi cognitivi impiegati nella costruzione di sé stessi e del mondo. E’ attraverso gli insights sulla vostra dinamica costruttiva, che porterà a quell’abilità tale da poter “giocare” con i propri fatti mentali. Ricordo che gli insights sono favoriti dall’allentamento delle interdipendenze costruttive conseguenti all’aumento di conoscenza, ma è proprio il ciclo interattivo dovuto alla acquisizione di autoconoscenza che producendo insights favorisce la malleabilità mentale, e la stessa favorisce gli insights, in un certo senso avviene un processo di proazione-retroazione, sembra un gioco di parole, ma è così. Ritornando all’esempio, notate che i sotto-costrutti, s’individuano nel costruire il rapporto con il vostro partner, avendo la fissità della non considerazione. Per cui, oltre quelli già menzionati, possiamo aggiungere: - il nostro partner non considera alcune delle mie esigenze particolari di donna; - il nostro partner non pensa alle nostre esigenze; - il nostro partner, quando gode di un hobby, ci disconosce, ecc., ecc. Bene descrivendo in particolare la dinamica del cambiamento di una convinzione, vediamo che è l’allentamento delle interdipendenze strutturali tra i costrutti periferici, che comporta la perdita di forza della credenza. La diminuzione del supportamento reciproco fa sicchè possa avvenire con maggiore facilità, che il polo scelto di uno o più costrutti non centrali, possa essere confutato, comportando così la conseguente validazione dell’altro polo, fino a che tutta la convinzione, che fa capo al costrutto centrale, possa cambiare e tentare di sostituirla con una più realistica. Quando gli elementi nuovi sì “scontrano” con la vecchia conoscenza, quest’ultima si modifica inglobando i primi, avviene dunque, una consapevolezza della nuova realtà presentata. Quando tale meccanismo 57
funziona correttamente, si ha sempre un’assimilazione dei nuovi dati con un successivo accomodamento di essi nella vecchia conoscenza. Badate bene perchè ora comincia il “bello”. Se per un qualsiasi motivo l’aumento di conoscenza ha subito un qualche deficit o una qualche deviazione, ciò porta difficoltà nell’adattamento. Questo significa, che di fronte alla nostra quotidianità problematica, offriamo come già detto in altri punti, soluzioni limitate o caratterizzate da fissità. L’esperienze, in questo caso, non vengono capitalizzate, poiché si è portati ad ostacolare l’aumento della nostra conoscenza. Per esempio se pensiamo ad una persona depressa, vediamo che ella crede di conoscere una realtà assoluta su se stessa e il mondo, invece com’è dimostrato, ella ha una conoscenza risultante dai contesti che ha vissuto e pertanto usa quella. Quello che è peggio è che non riesce a modificare tali convinzioni nemmeno attraverso ripetute esperienze comprovanti il contrario. Le convinzioni centrali su se stessa filtrano ogni nuovo input, ed essendo caratterizzate da fissità svalutante, non permettono il passaggio di messaggi esperenziali contrari, anzi tali persone, cercano paradossalmente proprio ciò che confermi la loro realtà. Da ciò risulta palese che una riapertura del nostro sistema cognitivo al nuovo con successiva modificazione della primaria conoscenza posseduta, rappresenta un passo centrale al processo di crescita. Detto questo possiamo cambiare l’equazione incremento conoscitivo = felicità, con l’equazione: incremento autoconoscitivo e/o rivisitazione vecchia conoscenza con successivo cambiamento = felicità. Le idee su se stessi e sul mondo sono state inventate in circostanze particolari, soprattutto nella primaria relazione d’attaccamento con gli adulti significativi. Se le idee rispondevano a esigenze relative alle circostanze, per cui erano utili allora, non 58
è detto che lo siano necessariamente ancora oggi, anzi è quasi sempre vero il contrario. Infatti, prendere distanza critica dalle proprie convinzioni, rappresenta un primo passo verso la possibile felicità. Il distanziarsi dai vecchi schemi, permette di trasformare una realtà assoluta, relativa a determinati fatti, in uno dei tanti modi possibili di vedere le cose dalla prospettiva del bambino piccolo. Immaginiamo di nuovo una possibile situazione: avete avuto con i vostri genitori, quando piccoli, un rapporto in cui per ovvi bisogni affettivi tipici del bambino, siete stati costretti a comportarvi complementarmente ai bisogni nevrotici di vostra madre o vostro padre. Sì, perchè involontariamente si occupano sempre ruoli complementari a quelli degli altri con cui si ha un rapporto considerevole, e questo avviene facendo leva sulle nostre insicurezze, è spesso la paura che muove il comportamento. Il più delle volte è proprio essa che costituisce il motore della nostra condotta, inducendo il ruolo che occuperemo, come spiegherò nella sezione dedicata alla dipendenza e all’evitamento. Per esempio, di fronte ad un marito autoritario si ha sempre una moglie sottomessa e docile, cosi come in un gruppo di amici esistono sempre i vari ruoli, dal leader ai suoi luogotenenti, fino ad arrivare ai semplici gregari, questo è un “gioco”, dal quale purtroppo é difficile eludersi.
CASO CLINICO Sono una donna di 50 anni sposata da 17, il marito ha la stessa mia età, ho due maschi uno di 16 anni e il secondo di 14 anni. Il problema è questo: Mio marito sembra una brava persona, ha un piccolo negozio di caccia e pesca al centro storico del paese dove abitiamo, il problema è lui, anche io avrò senz'altro i miei difetti, ma lui non condivide niente di quello che faccio, non posso parlare di niente, che sbaglio tutto, solo quello che fa lui, è perfetto... i figli infatti non mi danno più retta... non vengo ne stimata 59
ne apprezzata per quella che sono, faccio del tutto per tutti ma ora mi sono demoralizzata al massimo, una cosa che mi distrugge di più nel mio rapporto con quest’uomo è che non c’è dialogo, cerco di parlargli di cose serie; che da tre anni ho scoperto di avere un tumore, ma fino ad oggi non ho esitato a dire niente, perchè sapevo che non c’era cura, ma dopo che è uscito il professore di Bella ho detto a mio marito... andiamo da questo professore, lui mi ha risposto c’è l’hai i soldi!, prendi il treno e parti, cosi ho fatto... C’è un altro importante problema, due anni fa il figlio grande ha avuto una ciste nell’orecchio destro... è una piccola cosa dicono loro... ho tenuto sempre sotto controllo i sintomi di questo figlio, e non mi piacciono affatto, così ne ho parlato con mio marito, mi ha detto che ora esagero, che sono fissata e matta... cosi un giorno mi sono passati cinque minuti, anche se sapevo che ero violenta, che le facevo piu male che bene ma dovevo dire quello che pensavo, mi hanno riso e presa in giro dicono che ormai ho visto di Bella... Ogni stagione i figli crescono, io ho due pezzi per l’inverno e per l’estate, secondo mio marito sono sufficienti, se poi lo vogliamo chiamare marito, mi fa schifo, mi da un milione e due, ci devo mangiare, vestire, fare cose extra, ho fatto le lastre non mi ha rimborsato, ho fatto l’analisi non mi ha rimborsato, quindi quando finisco i soldi non devo chiedere niente, che lui non ha altro, devo sempre fare l’amore a qualsiasi ora della notte anche se non ho voglia, per qualsiasi cosa si alza va in cucina fa il caffè, sbatte gli sportelli, dice le parolacce: puttana, troia, mignotta, davanti alla mia famiglia, mi creda l’ammazzerei... Non ha sensibilità, pensa solo ai suoi interessi, non vede altri problemi all’infuori di pagare le tasse e lavorare la campagna, io non ho voce in capitolo vengo discreditata in tutto. Se mi può dare un consiglio a riguardo. Grazie, distinti saluti. Vanda G. Cara Sig.ra Vanda, della sua lettera sono state intenzionalmente riportate, per motivi di spazio, solamente le parti che ho ritenuto più significative, riportarla tutta sarebbe stato veramente impossibile, visto la sua estrema lunghezza. 60
Le dico subito la mia prima impressione. Sembra che lei e suo marito apparteniate a un modello culturale di una o due generazioni fa. Tant’è vero che mi ha fatto subito ricordare il modello di vita coatto tipico di alcune famiglie degli anni trenta- quaranta, che troviamo protagoniste in alcuni films di Vittorio De Sica. Con questo ovviamente non voglio eticchettarla in nessun modo, ma semplicemente darle qualche messaggio. Ho detto in altre opportunità, quando il consiglio che mi viene richiesto si riferisce a situazioni che caratterizzano il rapporto di coppia, che è indispensabile possedere notizie anche dalla controparte. Non perchè io non le creda e dubiti di ciò che racconta, ma solamente per avere tutte e due le interpretazioni della situazione raccontata, e darle un consiglio più equilibrato. Ognuno di noi costruisce la realtà attraverso il suo filtro formatosi durante l’infanzia, “inventiamo” quello che percepiamo, per cui quello che crediamo vivamente coincidente alla realtà, talvolta si dimostra invece una interpretazione soggettiva (a riguardo ho pubblicato un articolo su “La Città” n°7 intitolato “La Realtà Inventata” che spiega molto bene quello che sto asserendo). Tutto questo per dirle che quando una persona vive forte disagi, può accadere che ciò la porti a interpretare i fatti cogliendo sempre e solamente cose che confermano le convinzioni negative che già possiede. Quello che dico le sembrerà sicuramente un po' duro, ma è di vitale importanza che io riesca a smuovere almeno un po' le sue convinzioni sui fatti che le accadono, anche se non posso non dirle che il suo dramma è oggettivamente reale. Il clima di terrore che vive, un marito violento, avaro, menefreghista, egocentrico, e per di più sembra anche manipolatore dei figli, è obiettivamente insostenibile. Il ruolo di sudditanza nei confronti del “Re”, però, credo sia dovuto non solo ai bisogni di potere di suo marito, ma probabilmente anche ad un suo bisogno: quello di protezione, il quale l’ha portata forse almeno inizialmente, a desiderare accanto a sè, una persona più forte di lei.
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Ma come la pratica ci dimostra, c’è sempre il rovescio della medaglia, poichè quando si è portati ad occupare ruoli complementari, questo prima o poi soffoca. L’abuso del ruolo occupato viene inconsapevolmente sostenuto dal ruolo complementare, che a sua volta è fortemente radicato nell’altro. E’ come dire se esiste una parte deve necessariamente esistere anche l’altra. Cara signora, sicuramente deve farsi tanta forza per uscire da quella prigione (ruolo) che ormai la soffoca, bene o male è stata, non dico consapevolmente, ma per debolezza, insicurezza, ecc. lei stessa rinforzatrice di tale realtà. E’ eclatante notare nella sua vita i “giochi” di ruolo che avvengono all’interno del suo gruppo familiare. Da una parte un marito autoritario (quasi schiavista, almeno da quello che racconta) che fa e dispone degli altri e in particolar modo di lei, dall’altra una moglie che soggiace il più delle volte passivamente ai suoi soprusi, e infine i figli che assecondano il ruolo più forte. “Bene”, da questa dinamica disastrosamente patologica, come ho già detto, per uscirne fuori, necessita molta energia, molto lavoro su sé stessa. Un semplice suggerimento é quello di decentrare il suo pensiero, rispondendo alla sua consuetudine, alla sua normalità rispetto all’ambiente (suo marito e i figli), in maniera diversa, magari opposta al modo con cui è abituata e soprattutto al modo con cui li ha abituati. Inizi ad esistere, ma mi raccomando senza provocazione, senza rivendicazione ed evitando tassativamente la sua aggressività verbale che il più delle volte fa più male di quella fisica! Così facendo, potrà ottenere la rottura delle dipendenze reciproche, dei rinforzi reciproci, che mantengono quello che tanto lamenta: la violenza, la mancanza di rispetto, il suo annullamento all’interno del nucleo famigliare, ecc.
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Tornando all’esempio di cui sopra, vostro padre o vostra madre, o entrambi, vi rinforzavano elargendo il loro affetto con avvicinamento, lode, solamente quando vi comportavate correttamente, cioè facevate i buoni, quelli che non fanno capricci, i bambini cosiddetti d’oro. Questo vi ha portato a formare il costrutto primario amabile/non amabile su voi stessi (desiderato o non desiderato), con la conclusione: se mi comporto bene, se sono perfetto sono desiderato, altrimenti no. Ora, se erroneamente traslaste al momento presente tale modalità conoscitiva con il vostro partner, vi trovereste, quando egli, secondo il vostro metro che in tal caso é ipervulnerabile alla non considerazione, non vi mostrasse sufficiente amore, per esempio non dandovi attenzione, anche semplicemente perchè al bar si è dimenticato di mettere lo zucchero nella vostra tazzina del caffè, o non pensasse a voi in ogni istante della giornata, (sembrano ironie ma la realtà in taluni casi arriva addirittura a questi estremi), vi trovereste imprigionati nella ossessiva osservazione, nel flusso della vostra esperienza quotidiana, di elementi infinitesimali, soppesereste esageratamente ogni minimo input che vi stimolasse la sensazione di essere sconsiderati. Infatti nell’esempio, sareste portati a far caso esageratamente a comportamenti che per altri sarebbero normali da non badarci attenzione, mentre per voi sarebbero insopportabili, perché rappresenterebbero frustrazione al vostro bisogno fondamentale di amore/considerazione mai sufficientemente appagato. In simile realtà, imprigionati nel conflitto conseguente tra quello che siete e quello che vorreste essere, sareste portati a desiderare di essere sempre ossessivamente perfetti, pensando erroneamente che solo in quel modo potreste ricevere considerazione. Riflettendo sull’eventuale storia di un simile soggetto, potete notare che la spinta a comportarsi in tal modo, è stata sicuramente presente in tutte quelle circostanze in cui egli ha avuto necessità di affetto/considerazione, per esempio con il suo insegnante elementare, comunque con qualsiasi altra figura che sia stata significativa. 63
Questo vuol dire che si è portati normalmente a utilizzare la conoscenza primaria, in particolar modo quando ci troviamo in contesti interelazionali ove è presente un considerevole coinvolgimento emotivo.
CASO CLINICO Sono una ragazza di 24 anni che vive ancora con la propria famiglia, sono in cerca di lavoro come contabile e sono fidanzata con un ragazzo di colore che a mio giudizio è di una tenerezza meravigliosa. Fin qui tutto bene! Il problema per il quale le sto scrivendo nasce dal rapporto con mia madre, non ci prendiamo molto, siamo portate facilmente a discutere, è come se non riuscissi mai ad accontentarla come figlia, sinceramente mi sento sempre inadeguata e insicura, non mi sento libera di agire e ho paura di defraudarla... pena un pesante senso di colpa. Da sempre sento dentro di me una profonda sensazione di angoscia, di vuoto che non riesco mai a colmare. Sono quasi perennemente in ansia e insoddisfatta. Non riesco mai a tener fermo un obiettivo nella mia vita e ad essere costante e metodica, ho sbalzi di umore e questo si ripercuote sulla mia dieta. Spesso mi rendo conto, di non mangiare per rispondere al naturale bisogno alimentare ma per colmare una grossa ansia, infatti subito dopo schifata di me stessa corro in bagno a rimettere cercando di rimediare, al meno momentaneamente, al senso di colpa che ne risulta. Non riesco a trovare un equilibrio ne fisico ne psichico, non ho pace con me stessa e mi sento da sempre depressa. Tutto questo ovviamente influisce sul mio rapporto di coppia, per il fatto che tutta la mia frustrazione mi rende aggressiva, insicura e a volte competitiva. Perchè dottore mi succede questo? Vorrei tanto instaurare con mia madre un rapporto fluido tranquillo ma non ci sono mai riuscita e questo le confido che è da sempre. Vorrei liberarmi da questo condizionamento che mi caratterizza da tanto tempo, e che mi porta a non vivere liberamente, a non accettarmi come 64
sono e a ricercare sempre un ideale di perfezione. Tutto ciò infine, mi crea una sensazione di sofferenza dovuta alla paura di essere sempre giudicata e condannata per quella che sono, creandomi ciò un senso di vuoto dentro di me. Daniela M. Cara Daniela, tutti i suoi tentativi di trovare soddisfazione e una bozza di equilibrio nella sua vita, sembra proprio essere un ripetitivo e disperato tentativo di ricercare di colmare quel senso di vuoto che da sempre la caratterizza. Lei sta sempre ricercando il suo Sé che è un qualcosa che purtroppo le sfugge sempre di mano. La forsennata disperazione che ne risulta caratterizzandola quotidianamente, è la causa dei disturbi che racconta (abbuffate seguite da vomiti indotti) i quali sono disturbi tipici dell’alimentazione che caratterizzano le ragazze anoressiche che hanno fasi alternate di bulimia. Con ciò ovviamente non voglio spaventarla ma bensì incitarla a rendersi conto che deve fare necessariamente qualcosa di strutturato e costante se vuole almeno provare a risolvere ciò che tanto la fa vivere male. Le consiglio di consultare uno specialista che l’aiuti a risolvere i suoi conflitti dovuti alla indefinitezza del suo Sé. Lei si trova a ricercare ancora il suo Io perchè nel rapporto con sua madre, essa avendo con molta probabilità problemi analoghi, ha involontariamente annullato ogni suo tentativo, ogni suo bisogno di lasciarsi andare con naturalezza, insomma di essere se stessa, bloccandola chissà anche con qualche tabù. Per farle capire il punto centrale della sua problematica, le dico ancora che con molta probabilità sua madre essendo sicuramente lei stessa insoddisfatta della propria vita, avrà riposto in lei l’aspirazione patologica di avere la bambina perfetta, e questo ha comportato tutti i problemi che ancora oggi la avvolgono. E’ stata l’ostinazione di questa a richiederle sempre di più o diverso da quello che naturalmente lei avrebbe fatto con la sua vita, comportandole anche una discreta 65
componente ossessiva a cercare lei stessa una sua perfezione... pena la paura di non essere amata. Dunque in realtà i problemi di questo tipo non sono altro che riproponimenti di problemi già posseduti dalla propria madre e che probabilmente vengono proiettati su le figlie, le quali si trovano coercitivamente a dover soddisfare le loro aspettative personali frustrate. Sig.ra Daniela, lei deve prendere atto della sua vita indipendentemente degl’altri, rilassarsi e abbandonare completamente la lotta con se stessa, deve accettarsi cosi com’è senza dover confermare alcuna aspettativa. E’ accettandosi con tutte le sue debolezze, che si troverà finalmente per la prima volta ad accorgersi che dietro le sue quinte, come si suol dire, esistono tutti i suoi pregi che ancora oggi ignora. Così facendo potrà finalmente cominciare a vivere in prima persona ogni momento presente, senza espiare passate colpe immaginarie o patologiche astrazioni future. Solo così, lei potrà rivoluzionare la sua vita, lavori per cambiare la sua interiorità psichica, trovi come un buon segugio, il suo sé che è sempre esistito ma che non ha mai trovato terreno fertile per germogliare. Si accetti e si ami, dunque per quello che è. Cerchi di esperire attivamente ogni circostanza che le capita, così facendo acquisirà quella previsionalità su se stessa che tanto le manca, una previsionalità che le donerà sicurezza nello stare nel mondo. Otterrà quindi previsioni reali su di sè abbandonando quel suo assurdo ideale di perfezione, che in prima analisi, non è altro che la ricerca di soddisfare automaticamente ancora oggi, le aspettative di sua madre e questo al fine di sentirsi accettata e desiderata. Sono sempre gli schemi primitivi di pensiero che purtroppo si ripropongono anche se risultano al momento presente inadeguati. Sono essi che automaticamente decidono il colore del suo presente e che deve terapeuticamente cercare di ristrutturare con uno specialista. 66
L’esempio è eclatante; rivisitate il vostro passato attraverso l’osservazione del vostro presente, e con un lavoro perseverante e sistematico vi accorgerete, che state applicando con molta probabilità diversi cliché cognitivi che utilizzavate in altre epoche, cliché non più attuali e soprattutto non congruenti con gli eventi presenti, lavorate dunque per abbandonarli e sostituiteli sistematicamente con dei nuovi che sicuramente potranno essere meno fallimentari. Ecco qui un’altro punto fondamentale, si è portati sempre ad utilizzare la primaria conoscenza, anche se questa si rivela, al momento presente fallimentare. E’ il nostro stesso pensiero, che rivolgendosi non a nostro favore ma contro, che ci causa infelicità, non libertà ad essere ciò che vogliamo. L’infelicità dei galeotti!
Siamo ora al dunque; l’insight che risulta è: ^ la consapevolezza che se siamo disturbati al presente da un qualche evento passato, ciò vuol dire che necessariamente stiamo ancora utilizzando le stesse convinzioni che hanno causato il disturbo. Per cui acquistiamo altra conoscenza... sì infatti questo è il nostro obiettivo. Non attraverso la ripetizione di innumerevoli esperienze -- perchè se dovessimo fare così, dovremmo farne altrettante e diverse di quante ne abbiamo già fatte -- ma attraverso questa conoscenza rapida, diretta, la
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quale è il frutto dello studio di tanti illustri ricercatori, scienziati, psicologi che si annoverano tra i più illustri del campo. Dedichiamoci dunque, a conoscere sè stessi, dirigiamoci all’autoconoscenza diventando consapevoli dei meccanismi che guidano la nostra esistenza, potremo così muoverci rapidamente nella nostra realtà e produrci con più competenza, quelle esperienze utili al cambiamento costruttivo.
- Libertà dall’Ego: La crescita mentale come ho ben spiegato, avviene attraverso l’assimilazione/accomodamento, ogni conoscenza è la modificazione di quella precedente. Ho detto che l’obiettivo ultimo è la massimizzazione della capacità predittiva, poiché l’individuo é portato alla costruzione di mappe di se stesso e dell’ambiente sempre migliori per preservarsi di fronte alle avversità di quest’ultimo. Il processo di crescita avviene per prove ed errori con la costruzione di nuove alternative e l’eliminazione di quelle dimostratesi fallimentari. A questo punto è di vitale importanza per il nostro lavoro, introdurre il concetto di invalidazione. Essa, insieme alla validazione, rappresenta il fulcro della conoscenza. Senza invalidazione non c’é modificazione della conoscenza appresa, quindi non esiste incremento previsionale. L’invalidazione può colpire a diversi livelli la catena costruttiva, si può avere invalidazione: - di una singola previsione; - di rapporti tra i costrutti di un certo livello gerarchico; - della stessa applicabilità del costrutto in oggetto. Che significa invalidazione a diversi livelli? 68
Vuol dire semplicemente che essa può colpire la previsionalità in modo più o meno consistente. L’invalidazione di una singola previsione comporta la validazione dell’altro polo, poiché come sapete ciascun costrutto rappresentando due ipotesi rivali, se si dimostra falsa una ne consegue vera l’altra, per cui in questo caso non c’è disorientamento da diminuzione di previsione. Mentre la caduta dei nessi che sostengono diversi costrutti comporta invece maggiore perdita di previsionalità e più disorientamento. Infine con l’invalidazione proprio dell’applicabilità del costrutto utilizzato, è come se perdessimo totalmente la nostra capacità di prevedere l’evento oggetto della costruzione stessa. Noi nella nostra vita incontriamo innumerevoli invalidazioni nel prevedere gli eventi. Quando una nostra previsione si dimostra errata, dovremmo prenderne sempre atto e su di essa costruirne una nuova. Non deve farci paura la delusione di una aspettativa, un errore previsionale, insomma una incongruenza tra ciò che ci si aspettava e ciò che è accaduto, poichè l'invalidazione, è il fulcro dell'incremento conoscitivo, il quale è il risultato di prove ed errori, congetture e confutazioni. Vogliamo evolverci psicologicamente, bene, ecco qui che abbiamo di nuovo della conoscenza preziosa. L’invalidazione di primo acchito potrebbe dunque spaventarci, e farci rinchiudere dietro la rigidità o la lassità, per preservarci dall’assenza di concetti validi su noi stessi. Infatti, il nocciolo dell’argomento è proprio qui, noi costruiamo il mondo attraverso quei costrutti fondamentali che rappresentano l’immagine che abbiamo di noi stessi. Anche l’invalidazione di un concetto periferico, un nostro concetto sul mondo, alla fin fine colpisce indirettamente un nostro costrutto centrale. Per meglio capire ciò, immaginate di emettere un giudizio su qualcosa apparentemente esterno a voi; per esempio se preferite vestire alla moda oppure in maniera classica. Sulla risposta di nuovo il perchè di 69
quella scelta e poi di continuo il perchè, fino ad arrivare all’apice della catena dei vari elementi costruttivi di essa. Ora noterete che, anche quel giudizio che sembrava periferico, una semplice e banale opinione sulla moda, invece si dimostra che anch’esso non é altro che una traslazione di un qualche costrutto centrale... badate bene é sempre così. Infatti, praticando l’esempio, provate a rispondere, e vedete che: se affermate che vi piace vestire in modo classico, domandatevi il perché, la risposta potrebbe essere per esempio: ° mi sento più a mio agio; perchè? ° ho bisogno di non dare troppo all’occhio; perché? ° per essere in vista bisogna essere una persona sicura di sè; Siamo dunque arrivati al costrutto centrale sicura/insicura del quale abbiamo scelto nell’esempio il polo insicura. E’ proprio questo il motivo per cui ce la prendiamo sempre tanto, anche quando ci viene confutata una semplice opinione, un giudizio su un qualcosa che al primo esame sembra esterno a noi. Una confutazione di un costrutto periferico è sempre una traslazione di un costrutto centrale che costituisce l’immagine che abbiamo di noi stessi. In generale sappiamo che una mancanza di conferma di previsioni periferiche, comporta una non indifferente insicurezza che produce la spiacevolezza della reazione ansiosa, che da ciò deriva. Quando invece, le invalidazioni colpiscono direttamente i nostri costrutti centrali, su concetti fondamentali che identificano la nostra validità (intelligente/stupido, amabile/non amabile, altruista/egoista, ecc., ecc.), la reazione d’ansia o addirittura d’angoscia é invasiva (le patologie psichiatriche ne sono una risposta, infatti, sono tutte organizzate al fine di riacquistare, con la malattia, una certa previsione perduta su se stessi, un esempio eclatante é il delirio di persecuzione, con il quale l’individuo 70
s'inventa di bell’appunto tutta una realtà personale, (ce l’hanno tutti con me, ecc.), pur di riacquistare la previsione perduta. Vi ho spaventati... sicuramente no. Infatti, la realtà “normale”, per fortuna é ben altra; dietro l’invalidazione c’é tutta la nostra potenziale possibilità di crescita. Ora immaginiamo di nuovo una situazione... quale esempio: state discutendo con il vostro coniuge, sul fatto se è giusto o no, educare i figli usando il potere fisico. Voi siete convinti che un po' di sculacciate non fanno mai male, mentre il vostro coniuge asserisce che non si devono mai usare violenze fisiche sui bambini al fine di ottenere la loro ubbidienza. Nel vostro caso, questo é anche comprovato dal comportamento del bambino, che per imitazione, usa anch’egli i medesimi comportamenti aggressivi nei vostri confronti. Voi nonostante tale realtà siete ostinati nell’errore, e anche se capite di sbagliare v’irrigidite di fronte a colui che confuta la vostra convinzione. Questo semplicemente perché tale convinzione rappresenta un modello di risposta appreso in precedenza, che perderlo vi causerebbe disorientamento previsionale su voi stessi (cadrebbe in voi la convinzione di considerarvi capaci di gestire vostro figlio, ecc.), per cui la difesa dell’ego si fa avanti. Provando a rivisitare la vostra primaria conoscenza, troveremo sicuramente implasticità all’invalidazioni, la quale è sempre stata il vostro modello di risposta nevrotico, anche se utile al mantenimento previsionale, esempi: - hai sbagliato... no, non è vero; - quello che dici probabilmente è inesatto... non mi importa niente secondo me è giusto così - non sei stata così astuta come credi... ma io l’ho fatto apposta ecc. ecc.
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Di reazioni rigide all’invalidazioni ce ne sono ovviamente d’infinite, rappresentano, ripeto, risposte dovute al solito bisogno di mantenere almeno un minimo di previsionalità su se stessi. Emerge dunque nei contesti invalidativi centrali, la difesa ostinata dell’ego. E’ la mancanza d’umiltà che segna l’impossibilità di prendere atto dai vostri errori, quindi, di trarre frutto dalle esperienze. L’ostilità, l’aggressività, la rabbia, talvolta ne sono il prodotto.
CASO CLINICO Il rapporto con il mio bambino non va molto bene. Lui ha quattro anni, è un bambino delizioso, simpatico e molto indipendente, ma a dir la verità a volte lo è un po' troppo. E’ l’unico figlio che ho e molte volte mi trovo in difficoltà a mettere dei limiti al suo comportamento. Alle mie regole riesce ad imporsi con tenacia e fermezza, e quando si impunta non c’è modo di dissuaderlo e farsi ubbidire. A questo punto dottore, perdo sempre la pazienza e comincio a strillare e ad agire con modo non proprio delicato, talvolta non resisto e arrivo anche ad alzare le mani, anche se ovviamente con un certo controllo. A ciò arrivo sempre dopo ogni tentativo di spiegare ogni cosa, insomma provo sempre a farlo ragionare parlandogli con gentilezza ed inizialmente senza aggressività, ma spesso e volentieri vedendolo così orgoglioso e autoritario, perdo, come ho detto, la pazienza. Ma poi dopo che ho recitato tutta la scena che giudico un po' da matta, mi pento di averlo trattato senza rispetto, e alla constatazione della mia limitatezza, mi vergogno e gli vado incontro per fare pace con la speranza di riprovare a farmi rispettare e ubbidire pacificamente. La mia domanda è, come posso riuscire a trovare un equilibrio nel farmi sentire senza arrivare a perdere il controllo emotivo? 72
A volte mi sento così disperata e impotente nel non riuscire a farmi sentire, che penso di sembrare una fiera rabbiosa e questo naturalmente mi disgusta tantissimo, specialmente perchè sono preoccupata dall’eventuale interpretazione, da parte di mio figlio, di tutto questo mio atteggiamento. Comunque le devo dire che nonostante ogni mio tentativo sia tranquillo sia rabbioso, egli continua a fare tutto come gli pare. Grazie per la sua disponibilità e la saluto cordialmente, Susanna A. Susanna di Tuscania, i problemi che si intravedono dalle sue parole ritengo siano di diversa natura. Inizialmente mi accorgo che sicuramente nel problema comunicazionale che lamenta c’è certamente una problematica personale, un dilemma con se stessa. Sicuramente non accetta di non possedere un controllo totale sul suo bambino... pena la rabbia conseguente al suo Ego ferito. Cara signora lei deve apprendere la capacità di vedere le cose da altri punti di vista e non sempre interpretare egoicamente ogni cosa che la riguarda, e in particolar modo gli eventi dovuti al rapporto con il suo bambino. Quando relaziona con esso, mi dia retta, metta da parte il suo Io, non si senta subito ferita nel suo amor proprio se non riesce a controllare la situazione. Ogni bambino ha bisogno di affermare il proprio Sé, è negli anni del periodo infantile che forma la propria conoscenza circa se stesso e il mondo. Per cui se gli comunica che se non fa il perfetto bambino verrà punito, potrebbe creare in lui la tendenza all’ossessività, con tutto ciò che comporta tale organizzazione conoscitiva. Per concludere voglio informarla che probabilmente esiste nel suo bambino un fondo di ostilità nei suoi confronti, la sua non plasticità e la sua facile aggressività, hanno sicuramente prodotto reattività al suo modello educativo. Per cui, ribadisco, non si ponga più al centro di ogni cosa, e quando il suo 73
bambino non la segue, non costruisca subito l’evento come un qualcosa che minacci la sua immagine ideale di madre perfetta, si lasci andare e comunichi dolcezza e affetto. Una calda e soprattutto un’indiscriminata accettazione, le assicuro produrrà un ottimo effetto sul suo piccolo.
In conclusione, notate che irrigidendovi avete chiuso il vostro sistema mentale al nuovo apprendimento, vi siete così preclusi ogni possibilità di incremento previsionale, in questo caso sul modello educativo, cioè non usare imposizioni manesche per educare i bambini, ma bensì parlandoci, ragionando con loro ecc. Questo esempio non è altro che un prototipo di chiusura all’apprendimento, un esempio di mal funzionamento mentale che ci causa infelicità.
Il nuovo insight è: ^ La consapevolezza che un’ostinata difesa del proprio Io comporta la chiusura all’apprendimento, cioè il non godere dell’esperienza. Ecco dunque il profilarsi della libertà dal proprio Ego, quale caratteristica basilare per un buon funzionamento psichico. L’inerzia delle difese dell’Io rappresentano non pochi problemi per l’evoluzione personale. Come ho detto nella introduzione, la paura di perdere sempre qualcosa coatta ogni nostro divenire. L’identificazione dell’Ego con ogni cosa che ci appartenga, rappresenta l’aspetto più deviante che ci possa caratterizzare, e che chi più chi meno possiede. Le difese messe in atto sono delle più disparate, e vanno dalla difesa ostinata delle proprie opinioni, del proprio modo di pensare, alla difesa di ogni oggetto posseduto con il quale ci siamo identificati. 74
La non plasticità all’invalidazione, il non facile accomodamento della nuova informazione, viene ostacolato proprio da tali difese. L’egocentrismo, l’alterigia, la prosopopea, la superbia, non sono altro che dovuti al bisogno di mantenere il più possibile previsionalità positiva su se stessi. Sono i costrutti sopraordinati che non possono facilmente cadere, e visto che ormai sappiamo che anche un’invalidazione apparentemente periferica va a colpire alla fin fine una convinzione centrale, abbiamo ora del materiale conoscitivo utile per meglio gestire la nostra egoicità. Dunque, per viaggiare comodi in questa vita, dovremmo possedere una sicurezza base su se stessi e il mondo, una sicurezza fondamentalmente sufficiente da farci sopportare con facilità le invalidazioni, non facendoci cadere nel bisogno nevrotico di irrigidirci o diventare troppo lassi per difendere, il più delle volte irrazionalmente, la propria egoicità. La costruzione del mondo, come ho detto, non è altro che una traslazione di se stessi che avviene nel momento costruttivo, per cui ritorniamo sempre al bisogno fondamentale che è quello di mantenere il più possibile validi i costrutti che riguardano la propria persona, l’immagine del proprio Io. Ma bisogna fare attenzione che ciò nello stesso tempo, non divenga lo scudo di acciaio posto quale schermo difensivo, prototipo di rigidità o lassità. Deve essere ben inteso che una plasticità all’invalidazione centrale rappresenta, un aspetto di grande ricchezza cognitiva e un evidente segno di ottimo funzionamento mentale. Se una possibile invalidazione colpisce un nostra convinzione errata di come siamo, sicuramente i più reagirebbero chiudendo in qualche modo il proprio apprendimento, mentre quelli che invece riescono ad accettare tale invalidazione, riorganizzandosi velocemente facendo perlopiù leva su altre convinzioni altrettanto valide su se stessi, costituisce naturalmente segno di ottimo funzionamento mentale. E’ proprio la ricchezza cognitiva, la capacità di riorganizzarsi e il più velocemente possibile, che costituisce ciò che c’è di meglio da ottenere attraverso l’incremento di conoscenza. Ma l’incremento conoscitivo non 75
è altro che il susseguirsi di processi complessi di pensiero, per cui ora è utile portarvi pian piano a conoscenza degli elementi intrinseci all’atto del pensare, al fine di farvi acquisire dimestichezza sulle loro dinamiche base. Le due funzioni principali necessarie da conoscere per il nostro studio, sono: il suo automatismo (i cosiddetti pensieri automatici) e il dialogo interiore, di cui parlerò di entrambi nel prossimo capitolo.
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CAPITOLO II
IL PENSIERO
- I Pensieri automatici: La caratteristica centrale dei pensieri automatici è che essi sono inconsapevoli, cioè sfuggono al controllo cosciente perchè estremamente rapidi, sono quelli che producono le emozioni di cui non ne conosciamo la provenienza. La loro influenza sui nostri atteggiamenti è notevole. Le caratteristiche fondamentali oltre a quelle della velocità e dell’automatismo sono: - di essere caratterizzati da elementi superficiali, telegrafici; - di non possedere una successione logica, anche se appaiono sensati e ragionevoli, (ma nello stesso tempo, ad altri o a noi stessi in altri momenti, risultano del tutto inattendibili); - di funzionare in maniera più irrazionale rispetto al pensiero consapevole, poichè possiedono maggiori distorsioni della realtà; - di apparire talmente ovvi, non necessitanti di verifica; - di mantenersi anche se l’esperienza li invalida. Sono i pensieri che la psicologia classica li vede posizionati al di là della coscienza. Essi, infatti, costituirebbero l’inconscio della psicologia freudiana, poichè hanno la caratteristica, come detto, di non essere consapevoli e di seguire delle regole proprie facilmente illogiche tipiche dell’inconscio psicoanalitico. E’ proprio la caratteristica dell’irrazionalità, della velocità, e della inconsapevolezza che gli permette la stimolazione di emozioni di cui non se ne comprende la provenienza. Pensate solamente agli attacchi d’ansia, quelli che giungono all’improvviso senza che se ne comprenda 77
l’origine. Lo stesso se pensate a qualsiasi altra emozione che avete provato senza che ne siate riusciti a focalizzare la motivazione della sua comparsa. Infatti, sicuramente potreste ricordare emozioni e comportamenti di cui non ne siete stati coscienti. Quante volte certamente vi sarete espressi in questo modo: - sono ansiosa ma non so il perchè; - ho agito di impulso non me ne sono reso conto; - ho fatto questo, ma non ne conosco il motivo; ecc., ecc. Ora un’esperienza immaginaria, siete a casa e il vostro partner vi dice: sai caro, ieri quando eri al lavoro ho riparato la spina dell’aspirapolvere… sei contento? Voi con tono un po’ adirato rispondete: ti avevo detto che l’avrei fatto io, appena ne avessi avuto il tempo... Si, si, sono dieci giorni che hai detto che ci avresti pensato tu, per cui ho ritenuto provvedere da sola, replica vostra moglie. Perfetto! Rispondete voi, andando via con fare minaccioso. Ora riflettete su tale esperienza… vi sembra possibile che la reazione da voi posseduta sia realmente dovuta al fatto che vostra moglie abbia riparato l’elettrodomestico? Ovviamente no, anzi ciò vi sarebbe dovuto tornare utile, visto che siete stati molto impegnati in questi ultimi giorni. Allora perché quel comportamento e quell’emozione così disfunzionali ed incongrui al contesto? Semplice, devono necessariamente essere comparsi nella vostra mente dei pensieri automatici, che in questa esperienza possono essere ricondotti, per esempio, nel tipo: 78
° non apprezza sufficientemente il mio impegno per la casa; ° vuol far vedere che non ha bisogno di me; ° sta sempre ad osservare quello che faccio, ma soprattutto quello che non faccio; ecc., ecc. Tali pensieri possono essere formati oltre che da parole, anche da immagini e da ricordi, per esempio: ° l’immagine della vostra casa con vostra moglie mentre voi state compiendo un compito domestico; ° il ricordo di quando vostra madre vi sgridava in conseguenza del vostro comportamento che ella giudicava un po’ menefreghista; ecc., ecc. La realtà dunque, è che il più delle volte ci comportiamo e sentiamo non come erroneamente si crede, solamente a seguito dei pensieri consapevoli, ma soprattutto come conseguenza ai nostri pensieri automatici, che sono per loro natura inconsapevoli. Un indizio della loro presenza è una sensazione intensa o una reazione sproporzionata all’evento attivante. L’aspetto che a noi interessa in particolare, è che essi rappresentano il più delle volte l’origine e il mantenimento di emozioni e comportamenti spesso spiacevoli sia a noi stessi sia agli altri, e che se soggetti ad una precisa attenzione possono diventare consapevoli. Questo può avvenire attraverso il lavoro di auto-osservazione che descriverò successivamente, da ciò risulta che a quel punto potremmo tentare di correggerli, come un qualsiasi altro pensiero consapevole, e cercare di renderli più consoni alla realtà. La loro presenza è una componente fondamentale del nostro dialogo interiore, e rappresentano insieme al pensiero consapevole, le nostre regole specifiche personali, la nostra autoregolazione comportamentale di cui parlerò nella sezione successiva dedicata al dialogo interno. 79
- Il dialogo interiore: Il linguaggio interiore la guida personale, che ognuno di noi si forma dal primario linguaggio egocentrico caratteristico del periodo infantile, ed è l’insieme sia dei pensieri consapevoli sia di quelli automatici. Il comportamento del bambino è inizialmente regolato dal linguaggio degli adulti: ° quello non lo puoi fare; ° non è bello comportarsi in questo modo; ° se prendi quella cosa mamma si dispiace; ° ti devi mettere il cappottino altrimenti prendi freddo, ecc.; ecc. Successivamente avviene l’apprendimento delle prescrizioni degli adulti, che il bambino se le fa proprie, perciò comincia ad autoregolamentarsi il comportamento istruendosi a volte ad alta voce, ad esempio: ° sono grande, le scarpe me le allaccio da sola; ° i denti me li lavo io... sono capace; ° ho sonno... sono stanca... vado a dormire, ecc.; ecc. Un momento particolare dell’uso del linguaggio egocentrico, lo troviamo nel gioco del bambino. Egli lo utilizza quando relaziona tra se e se ad alta voce dando ruoli a se stessa e ai suoi giocattoli (per esempio la famosa famiglia inventata della bambina, in cui lei è la mamma e le bambole le figlie, ecc.). Ella parla con loro come se fosse tutto vero, senza curarsi minimamente dell’ambiente che lo circonda (da qui egocentrismo esclusione totale dell’ambiente). Il bambino in questo periodo non possiede il linguaggio sociale, e come vedremo, nella sezione dedicata al pensiero egocentrico, 80
è proprio la permanenza di questo modo di pensare, che ci impedisce nell’età adulta, di cogliere punti vista diversi dal proprio. Infine le funzioni di controllo, nell’età adulta, vengono ripartite dal dialogo interiore. Tale linguaggio rappresenta il pensare per se stesso, quello che avviene silenziosamente e per sommi capi tra se e se, e costituisce la stabilizzazione e la guida del nostro comportamento. Attraverso esso noi monitoriamo le nostre azioni, le valutiamo autoerogandoci premi e punizioni. Ad esempio state eseguendo un lavoro in ufficio: ° siete in un momento di pausa perchè vi siete detti tra voi e voi che avete fatto abbastanza per cui meritate un po' di riposo, quindi vi fermate e riposate; ° ora vi dite interiormente, per esempio, che non è giusto che un buon lavoratore si riposi esageratamente (badate bene esageratamente per i vostri standard di riferimento!) ° nel riprenderlo vi guidate in continuazione su quello che fate giudicandolo sufficiente o meno, e questo sempre attraverso i soliti standard personali. L’elargizione di premi e punizioni avviene proprio attraverso l’osservazione del comportamento e a seconda di come il dialogo interno lo giudichi adeguato o meno ai propri standards, si avrà un determinato comportamento in relazione agli obiettivi che ci siamo prefissati. Appare ovvio che se tale aspetto mentale non funzionasse correttamente, la conseguenza sarebbe senz’altro il mancato raggiungimento di tali obiettivi o un patologico ed esagerato dispendio di energia per raggiungerli (dovuto alla possibile presenza di ansia, depressione, ecc.). Per meglio spiegare l’apparato dell’autoregolamentazione sede dei costrutti centrali, posso ancora dire, che esso non è altro che un congegno mentale preposto a giudicare tutto quello che facciamo, 81
pensiamo, ecc., e coincide con il concetto del Sé, (Il filtro cognitivo). E’ la conoscenza costruttiva che si impone quale guida della nostra vita. Ognuno di noi possiede un’insieme di riferimenti generali ai quali attenersi, i quali forniscono sistemi di codifica, che utilizziamo per interpretare gli eventi, dirigere le nostre aspettative e previsioni su noi stessi e il mondo. Essi inoltre definiscono anche gli standards personali, e costituiscono il luogo da dove partono le autoistruzioni positive: ° devo andare avanti che ce la farò; ° sono intelligente, capace quindi quello che sto facendo è una bazzecola per me; ° ce la devo fare la mia scelta è giusta; ° la mia prestazione è di gran qualità; ° dove sono arrivato è tutta opera mia, del mio impegno unito alle mie capacità; ecc. ecc. negative: ° non sono ingrato di farcela; ° oddio! ora come posso affrontarlo; ° sì, già sono in ansia, per me è troppo difficile; ° da dove comincio, non mi sento sufficientemente capace; ° non è per me; quello che ho ottenuto è tutto dovuto alla fortuna; ° non è bene quello che faccio; ° non devo più permettermi di dire quelle cose; ° oggi per punizione non devo godermi la giornata; ° come sempre non valgo nulla; ecc. ecc. Tutte queste determinanti che costituiscono la regolamentazione, vediamo che dopo il loro instaurasi, il sistema del Sé opera in maniera automatica costituendo il nostro stile esplicativo con il quale ci spieghiamo gli eventi interni ed esterni (il perchè dei nostri fallimenti e dei nostri successi). 82
Gli insights che ne scaturiscono sono: ^ la consapevolezza che il nostro comportamento dipende dal nostro linguaggio interiore.
^ la consapevolezza che il nostro comportamento può essere cambiato non solo cambiando i pensieri consapevoli, ma anche, dopo un’opportuna autoosservazione e riconoscimento, modificando l’automatismo interiore. In conclusione tale linguaggio è il pensare per se stesso, quello che avviene silenziosamente e per sommi capi, poichè l’interlocutore non è altro che noi stessi, e costituisce la stabilizzazione e la guida del nostro comportamento. Tramite esso noi monitoriamo le nostre azioni, le valutiamo autoerogandoci premi e punizioni, non è altro che il nostro stile esplicativo.
- Stile esplicativo: - Cos’è lo stile esplicativo? - A cosa serve? - Come viene a formarsi? Domande alle quali, ora con la conoscenza acquisita, dovreste essere in grado di rispondere approssimativamente da soli. Pensate semplicemente agli argomenti trattati precedentemente: - ho parlato di formazione della conoscenza e ho chiarito che essa serve per prevedere gli eventi e adattarci al mondo con più sicurezza;
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- con la spiegazione dell’assimilazione/accomodamento e dell’invalidazione, ho detto che sono essi i meccanismi preposti all’incremento conoscitivo; - infine con i pensieri automatici e il dialogo interno, ho chiarito alcuni meccanismi di espressione con cui la conoscenza viene elaborata. Bene la risposta come potete facilmente intuire è proprio qui: lo stile esplicativo non è altro che la modalità personale con cui esprimiamo la nostra conoscenza, il nostro tipico filtro con cui interpretiamo gli eventi, la previsionalità su se stessi e il mondo, insomma coincide in senso ampio, con il proprio bagaglio conoscitivo. Le sfaccettature dello stile esplicativo sono diverse, ma possono essere ricondotte, per semplicità, a quello ottimista e a quello pessimista. Avere uno stile ottimistico sicuramente permette di vivere le avversità meno pesantemente. Infatti esso è contrassegnato da una modalità positiva e costruttiva di affrontare la vita, ciò porta il più delle volte ad evitare di penalizzare se stessi quando ci si trova di fronte ai fallimenti. Ogni spiegazione viene circoscritta al semplice evento spiacevole. Quello che è importante comprendere è che lo stile esplicativo pessimista e ottimista non si differenziano soltanto dalla diversità del contenuto del dialogo, ma anche, ed è la cosa più importante, dalla modalità con la quale si attribuiscono le cause. I fallimenti hanno il potere di farci sentire impotenti, l’impotenza che ne risulta è chiaramente appresa, e produce generalmente soltanto sintomi depressivi temporanei, a meno che possediamo uno stile esplicativo pessimistico. In tal caso un semplice inconveniente, una semplice sconfitta, possono farci sprofondare in una depressione grave. La personalizzazione, la pervasività e la permanenza sono gli ingredienti irrazionali che caratterizzano lo stile esplicativo pessimista, ma acquisendo autoconoscenza essi possono essere moderati o addirittura cambiati. - Cosa significa personalizzare? - Cosa significa pervasività? 84
- Cosa significa permanenza? I concetti sono semplici: / personalizzare significa attribuire le cause dei nostri fallimenti a noi stessi in maniera che il centro delle nostre cattive performance di vita siano pensate esclusivamente dovute a nostre inabilità, incapacità, incompetenze, ecc., ecc; / pervasività costituisce la modalità del pensare con cui una negatività vissuta, è generalizzata globalmente quando questo razionalmente pensando non è logico; / permanenza s’intende che la negatività duri per sempre, per tutta la vita. Pertanto il modo di rapportarsi al reale con tale stile comporta non pochi problemi. Per meglio comprendere faccio alcuni esempi: Dunque, il pessimista personalizza i motivi dei suoi potenziali fallimenti attribuendoli a se stesso: ° è causa mia se ho fallito; ° come al solito sono io che non m’impegno a sufficienza... generalizza globalmente: ° giacché non sono stato capace a parlare opportunamente in quella circostanza, non valgo nulla; ° dato che c’è quella persona con la quale non vado d’accordo, tutta la serata mi andrà male. ed infine lo proietta permanentemente nel tempo: ° sarà sempre così; ° tal errore lo subirò per tutta la vita. 85
Ne consegue che ad una tal persona, è semplice dedurlo, basta un semplice fallimento nel lavoro o negli affetti, per cadere in depressione. Appare dunque conseguente, che tale aspetto negativo con il quale ci si rapporta al reale, sia preso di mira per essere cambiato. D’altro canto lo stile esplicativo non è altro che un insieme di pensieri tra loro interdipendenti, che prendono una o l’altra valenza (pessimista od ottimista). Un congegno preposto ad una finalità specifica, che è quella di valutare la nostra capacità di riuscita. Il punto interessante è proprio qui: è anche il tipo di stile esplicativo che decide se saremo o no felici. Ma non preoccupatevi! Con il training conoscitivo che state intraprendendo, potrete apprendere quello ottimista come qualsiasi altra abilità che possa essere appresa attraverso un semplice allenamento. E’ il solito lavoro sui pensieri che dovrà essere attuato. Per descrivere ulteriormente lo stile esplicativo ottimista, infine aggiungo che l’atteggiamento positivo nei confronti della vita che lo caratterizza, è volto verso un totale raggio d’azione. Ma badate bene, con atteggiamento positivo non intendo, come alcune correnti psicologiche dicono, il pensiero che delinea i banali proponimenti autosuggestivi da ripetersi innumerevoli volte, tipo: “Ho fiducia nel mio successo e nelle mie qualità”, “voglio amar me stesso e gli altri”, “io so di farcela”, “mi accetto come sono”, “valgo tanto da poter raggiungere qualsiasi obiettivo”, ecc., ecc., ma rappresenta l’abilità di non condurre il proprio pensiero contro se stessi producendo danno, ma a nostro favore, producendo felicità. Il suo raggiungimento è uno degli obiettivi che si ottiene attraverso l’allenamento sopra citato, quello orientato alla correzione del pensiero irrazionale e falsamente diretto. Poichè correggendo le illogicità del nostro pensiero noi possiamo acquisire l’atteggiamento positivo. 86
E’ proprio riuscendo a ristrutturandovi cognitivamente cioè a cambiare la modalità errata, quindi svantaggiosa, con cui pensate ai vostri problemi, che consegue l’affievolimento, per esempio della disforia seguita ad una qualsiasi avversità, che per estremo può addirittura tramutarsi in euforia. Si, possediamo questo potere... noi siamo ciò che pensiamo. Dunque con un opportuno lavoro sui vostri pensieri e sulle vostre emozioni, potreste essere ciò che volete, rendendovi la vita sicuramente più felice.
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CAPITOLO III
IL PENSIERO DISFUNZIONALE
Ho parlato in diversi momenti sulla utilità di acquisire consapevolezza sul come e il perchè pensate in un certo modo. Questo poichè, come detto in diverse circostanze, l’attività del pensare è propedeutica ai vostri comportamenti e alle vostre emozioni sia funzionali sia disfunzionali, dunque costituisce il discorso centrale del vostro studio autoconoscitivo. Bene ora cercate di capire nei dettagli come alcune modalità del pensare, possono essere talmente irrazionali da indurvi, il più delle volte inconsapevolmente, a vivere in “coazione cognitiva”.
- La Metafora come identità: Che cos’è la metafora? La metafora costituisce una modalità con la quale utilizzando una similitudine, si passa da un dominio ad un altro ritenuto più esplicativo. ° lavori come un treno; ° sei vorace un leone; ° sei un angelo; ecc., ecc. Il nostro linguaggio metaforico è notoriamente influenzato dalla “cultura” individuale di ognuno e in un certo modo la rispecchia. Le metafore ci portano a dare una soluzione predefinita, e 88
consequenzialmente preconcettuale al problema stesso. Esse sono utili per orientarci nelle situazioni e per comunicare con gli altri, e tanto più necessitano quanto più ci troviamo di fronte situazioni sulle quali possediamo scarsa previsione. La situazione nuova trova, nella metafora, un’interpretazione che, come è ovvio, può rivelarsi più o meno adeguata, ma di cui ci risulta difficile fare a meno di utilizzarla. Sia la metafora sia la contraddizione se ben usate portano un aumento previsionale al nostro sistema mentale, cioè danno la possibilità di prevedere più esaustivamente gli eventi oggetto del nostro vivere. L’idea di suggerire dell’attenzione alla connotazione metaforica del vostro discorso, sia quando impostate i problemi sia nel risolverli, è perché se la metafora perde il carattere di analogia diventando identità, l’uso di essa diventa fuorviante. La situazione nuova trova nella metafora, una chiave di lettura veloce ed economica. Immaginate una storiella possibile di una qualsiasi vostra giornata iniziata male, scegliete uno dei due ruoli, quello che più vi piace. Ovviamente carico questa storiella con un po' di humour, al fine di essere il più esplicativo possibile. E’ mattina vi siete appena svegliati, siete ancora a letto in compagnia della vostra partner, che salutate con un bel buon giorno cara! Lei non essendo ancora completamente sveglia, si mostra al vostro saluto un po' adirata, perchè con ciò viene istantaneamente riportata alla realtà. Ella differisce la risposta... e poi: ° mi hai svegliata... non hai rispettato il fatto che stavo ancora dormendo ... sei proprio un rompi scatole! Voi a tale risposta rimanete disorientati, ma proseguite nella vostra alzata mattutina. Dopo un po' anche vostra moglie si alza, andate insieme con lei a fare colazione, e li cominciate a raccontare l’incontro di lavoro che avete avuto la sera precedente. Un meeting dove erano 89
presenti non solo colleghi, ma una gran quantità di gente da voi non conosciuta. Di tale situazione raccontate: ° sai oltre ai miei colleghi, ieri sera c’era tanta gente che non conoscevo minimamente. Che gente era?… Chiede vostra moglie; ° Non so bene, persone che non avevo mai visto, comunque alcune, ti devo dire, erano un po' strane, pensa c’erano due signore sui sessantanni, che sembravano due vecchi bauli! ° altri sembravano essere dei provetti lavoratori proprio come api operaie; ° un’altro si comportava in un modo... che sembrava un orso; ° Uno invece guardava così fisso che sembrava un gufo! ° Comunque tutta la serata è stata così noiosa da pensare ad una nenia musicale; Vostra moglie a tale racconto chiede ancora: ° ma avete discusso almeno dei problemi lavorativi oggetto dell’incontro? ° Sì ovviamente, rispondete, ° ma solamente nel momento della cena, ma purtroppo sembravamo essere in una corrida, tutti volevano dire la propria, per cui non abbiamo concluso un bel niente! ° Da non rifarsi, concludete il racconto, si proprio da non rifarsi! ° Be!, continuiamo a fare colazione... aggiungete. Ma vostra moglie infastidita da un vostro comportamento, replica:
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° come continuiamo a mangiare se mi hai messo la carta del formaggino che hai mangiato tu nel mio piatto... perchè l’hai fatto? ° Perchè... perchè rispondete, ° lo fatto semplicemente perchè ritenevo di poterlo fare, visto che anche tu l’hai messa lì, e poi non ho neanche più il mio piatto. Ma vostra moglie purtroppo interpreta ciò come un’offesa e replica: ° ma che sono... un secchio della mondezza! Bene, credo che gli esempi inventati siano sicuramente sufficienti a farvi notare la sopra abbondanza dell’uso delle metafore nel linguaggio corrente, il loro ritmo è di quattro al minuto per un parlante medio (psicologia Contemporanea n°135 1996). Essa come già accennato rappresenta si, una strada breve ed economica per identificare una situazione nuova, ma nello stesso tempo pregiudiziale. E’ proprio utilizzando categorie già conosciute, che velocemente ed economicamente si prevedono gli eventi in maniera più esaustiva possibile, ma l’errore può risiedere proprio qui, quando per nevroticismo dovuto ad insicurezza previsionale, si usa l’analogia come identità. Dunque, se tale connotazione metaforica rimane in carattere di semplice analogia (sembra un... assomiglia..., ecc.), niente male, e al momento di conoscere la vera realtà, esse cadranno consequenzialmente se si sono dimostrate fallimentari. Se invece per necessità nevrotica quindi disfunzionale (insicurezza per scarsezza previsionale ecc.), siete portati ad usare la metafora come identità, sono un... ; siete dei..., ecc, sarete portati ad identificarvi o ad identificare gli altri con l’oggetto della metafora, in questo caso risulterà molto difficile cambiare quel giudizio di fronte alla nuova realtà, costituendo così 91
impedimento all’incremento previsionale, cioè contrasto all’aumento della precisione delle previsioni.
RIFLESSIONE PRATICA Riflettendo sull’argomento metafora possiamo facilmente scorgere il punto centrale, cioè se la metafora perde il carattere di analogia, di similitudine diventando identità mantiene si, quella caratteristica di utilità pratica, di economizzazione per il parlante, ma diviene fuorviante sia per esso sia per l’ascoltatore. Il nocciolo del discorso è proprio questo: se soppesiamo i vari passi dell’esempio precedente, notiamo che, utilizzando la metafora, si è riusciti a comunicare un’infinità di concetti sul contesto in generale, nonchè sulle persone della riunione di lavoro, utilizzando in realtà poche parole in relazione al quantitativo d’informazioni che si è dato. E quello che è più importante per il nostro studio, è che impiegando categorie già conosciute riusciamo a prevedere esaustivamente, ciò che altrimenti non potremo fare con conseguente ansia per scarsezza previsionale. Essere sprovvisti di conoscenza sulla realtà problematica che ci troviamo ad affrontare, comporta come sappiamo una notevole insicurezza la quale diviene la causa dell’insorgenza di ansia. Dal punto di vista emotivo è proprio questo il guadagno pratico che si ottiene usando la metafora. Bene ora invece riflettiamo sull’aspetto fuorviante di essa cioè quando diventa identità. Pensate di essere nell’esempio la moglie, e ascoltando il racconto di vostro marito, vi siete costruiti delle opinioni sulle persone presenti al meeting attraverso le metafore utilizzate. Ora se avete risorse cognitive sufficienti (cioè siete poco nevrotiche) e avendo l’occasione di conoscere quelle persone (i colleghi di vostro marito), e di verificare i preconcetti acquisiti su di essi dal racconto, essi dovrebbero cadere facilmente se si dimostrano, di fronte 92
all’esperienza diretta, sbagliati, ma se invece avete acquisito l’informazioni elaborandole come identità, siete portate a utilizzare quelle categorie preconcette come se fossero inconfutabili, comportando ciò inerzia all’incremento previsionale, che nel caso dell’esempio sono sulle persone. Cos’è accaduto? Vi siete irrigiditi chiudendo il vostro sistema mentale al nuovo apprendimento, al fine di preservarvi da eventuale insicurezza per mancanza di previsioni. Avete preferito mantenere convinzioni errate piuttosto che cambiarle e andare incontro a scarsezza previsionale, anche se il più delle volte potrebbe essere per poco tempo, quello utile per riorganizzarvi cognitivamente. Qui si nota evidentemente che è proprio la difficoltà ad elaborare le informazioni sul contesto, che segna l’insicurezza che vi ha reso rigidi all’eventuale incremento di conoscenza. Se andiamo oltre nel rivedere l’esempio, mantenendo sempre la posizione della moglie, arriviamo alla metafora su voi stessi, una tipica metafora che colpisce l’Ego della persona: “E che sono un secchio della mondezza” dite. Qui viene il “bello”, infatti, se pensate di essere veramente considerati dall’altro un “immondezzaio”, cioè vi identificate con l’oggetto della metafora, avreste sicuramente delle emozioni negative dovuta alla potenziale ferita egoica che ne deriva, e un’eventuale conseguente comportamento negativo. Le risposte emotivo-comportamentali prenderebbero le sfaccettature a voi caratteristiche secondo il temperamento che possedete: diretto verso la rabbia e all’aggressività o verso la depressione e la passività. E’ chiaro che tali risposte conseguenti all’identità metaforica, non sono altro che il prodotto dell’errato rapporto che avete con voi stessi, è presente in voi l’incapacità di liberarvi dalla tirannia del vostro Ego. 93
Infatti, con molta probabilità quando comunicate con gli altri, siete portati a posizionarvi automaticamente sulla difensiva. Gli errori previsionali che ne risultano, sono dovuti dunque al bisogno di difesa egoica, il quale facilmente pregiudica la costruzione del mondo: la metafora non è altro che una costruzione particolare ed economica che può pregiudicare se stessi o il mondo. In questo caso l’egoicità ha deciso il nucleo costruttivo del concetto metaforico che avete utilizzato su voi stessi (altri esempi costruttivi di questo tipo potrebbero essere: ma che sono un cane, una jena, un orso, una fogna, ecc., ecc.).
In conclusione l’uso della metafora/identità diventa dunque, ostacolo alla massimizzazione previsionale, e costituisce così la solita limitazione conoscitiva, e come più volte detto un impedimento alla felicità. Saper individuare le proprie metafore è senza dubbio un processo che aiuta a sviscerare la propria realtà cognitiva. L’autoconoscenza è un processo lungo ma non complicato, con perseveranza e talvolta anche ostinazione, senza dubbio possiamo arrivare a questo traguardo. L’uso della comprensione delle metafore ci aiuta a comprendere quello che il più delle volte è originato da costrutti centrali di cui non siamo consapevoli. Fate, dunque attenzione alle vostre metafore! Poichè non si è abituati a far caso alla metafora stessa, ma solo a ciò a cui si riferisce. Anche qui è solo questione di allenamento, una volta compreso come e a che cosa servono, con la solita auto-osservazione possiamo raggiungere anche tale obiettivo. Una volta individuate comprendetene l’origine della loro formazione. Domandatevi cosa nascondono dietro quella facciata di utilità pratica. Per far questo immaginatevi di vivere la metafora come se fosse realtà, così riuscirete a comprendere quanto essa sia realmente consona alla verità dei fatti.
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Immaginate ora di trovarvi con un vostro amico, e raccontate che la situazione al lavoro no va molto bene. Dite: ° devi sapere Giulio, i miei colleghi non comprendono che in questo periodo non vado molto d’accordo con mia moglie. Non sopportano la mia poca presenza mentale al lavoro, penso di avere sempre la testa fra le nuvole!… Quando penso a mia moglie credo proprio di sbattere la testa contro un muro! Non riusciamo ad intenderci. Ora avendo acquisito la capacità di individuare le proprie metafore, provate a comprendere cosa c’è dietro quelle espressioni. In questo esempio possiamo individuare costrutti del tipo: * come sono un po’ preoccupato non sono più capace di far nulla; * mi ritengo ormai veramente un buono a nulla, incapace a far fronte all’empassé psicologica in cui mi trovo; ecc. * penso che mia moglie sia totalmente incapace di comprendermi; * ella non è una buona moglie perché non sa essere recettiva quando ne ho bisogno; ecc. Che significa tutto questo? Semplicemente che attraverso la comprensione delle metafore utilizzate avete avuto l’opportunità di capirvi più profondamente. A questo punto individuati i costrutti che celano dietro di esse potete ora proseguire con la loro ristrutturazione razionale.
- Il Pregiudizio: Vediamo che il pregiudizio è un processo cognitivo attraverso il quale utilizzando una griglia di categorie già possedute prevediamo l’altro. E’ 95
chiaro che costruzioni così fatte sono per l’appunto pregiudiziali, proprio perché traggono la valutazione da riferimenti preconfezionati. Talvolta in conseguenza della loro stessa natura, rappresentano realtà comunicazionali dove l’ostilità per l’altro è proprio espressa dal pregiudizio. In sintesi essi sono utilizzati per connotare le persone che si conoscono poco, con superficialità e con elementi poco certi e indiretti. I pregiudizi dando una conoscenza rapida ed economica ma fuorviante falsano le previsioni, e come la metafora, costituiscono ostacolo all’incremento della precisione previsionale. Il ragionamento è lo stesso utilizzato per la metafora, poichè la metafora come identità non è altro che un pregiudizio attuato a proprio uso e consumo.
- La contraddizione: Le contraddizioni hanno l’obiettivo di aumentare la previsione del sistema mentale, allargando le scelte a due campi opposti. Per cui una bassa dose di incoerenza momentanea rappresenta salute per la struttura mentale, poichè se cade una previsione periferica le convinzioni centrali non collasserebbero insieme con essa. Una lieve dose di contraddizione consente l'esplorazione di ipotesi alternative e protegge il sistema da invalidazioni troppo precoci di un costrutto centrale. Ma quando invece ricorrete durevolmente alla contraddizione per prevedere gli eventi di cui non siete sicuri. In tal caso la usate per non cadere nella condizione sfavorevole di avere torto. In questo modo affermando due verità opposte alla fin fine non predicete 96
più nulla, ma nello stesso tempo diventare potenzialmente inconfutabili… si, è proprio questo l’obiettivo (vantaggio nevrotico). E’ come dire... pur di non aver torto rinunciate ad aver ragione! Gli esempi pratici sono innumerevoli: - devo andare al lavoro perchè è un impegno che non si può eludere, ma posso anche non andarci se non mi va; - mi piacerebbe venire al cinema con voi, ma odio cimentarmi in passatempi futili come il cinema; - mi manchi quando non ci sei, ma preferisco stare sola; - io amo evolvermi perchè la vita che faccio non mi soddisfa, ma il rapporto con mio marito è perfetto, siamo sempre felici insieme; - quel tuo amico è stato veramente capace ad affrontare quella situazione difficile, comunque non ci voleva niente; - ti amo profondamente, ma quando ci penso non so dirmi che cosa sia l’amore; - tutto quello che dico è vero... o no! Bene, sono tutti esempi che dicono che di fronte alla mancanza previsionale potete “scegliere” di cimentarvi in contraddizioni, per paura di essere invalidati se sceglieste uno solo dei due poli. L’errore che ne risulta è che così facendo, riducete la possibilità di incrementare la precisione della vostra previsionalità e non comunicherete proprio nulla. L’incoerenza è un segnale di cattivo funzionamento mentale e testimonia la presenza di povertà cognitiva e la notevole fragilità dei costrutti centrali. Un tale sistema si trincera dietro la contraddizione proprio per ovviare a potenziali invalidazioni susseguenti al prendere atto della realtà. 97
Un sistema mentale sano è portato per sua natura a cercare di ridurre il fenomeno dissonante di qualsiasi genere esso sia. Infatti, la conseguenza di una situazione permanente di incoerenza cognitiva, comporta una non indifferente presenza di ansia, poichè il sistema è per sua natura intollerante ad essa. Dunque, il conseguimento dell’assonanza è l'obiettivo primo al fine di evitare la percezione spiacevole, la cui entità è direttamente proporzionale al valore della "dissonanza". Cito un esempio arci noto nella letteratura in questione, un esempio più che concreto: immaginate di essere un fumatore consapevole che il fumare sia nocivo, ma ciò nonostante continuate a fumare. Per ridurre l’incongruenza” tra le due previsioni" usate le informazioni in vostro possesso, cercando di convincervi, per esempio: che vi piace tanto fumare da valerne la pena; che le probabilità di danno alla salute sono minime; che se smetteste di fumare ingrassereste con conseguenze altrettanto nocive per al vostra salute. Ne risulta che il continuare a fumare è, dopo tutto, in accordo con le vostre idee circa il fumo: la "dissonanza" è stata pertanto ridotta o annullata. In questo modo, avete cercato di mantenere un certo grado di incoerenza nel vostro sistema predittivo, al fine di proteggere la vostra sovrastruttura previsionale. Il modo con cui l’avete ridotta, è stato cercando informazioni che erano a conforto della scelta fatta, (cioè il voler fumare) ignorando quelle che risultavano in disaccordo. Ognuno di noi attua il più delle volte tale strategia quando si trova in presenza di incoerenza stabile nel suo sistema mentale. Ma spesso è necessario invece, che vi poniate lealmente di fronte alle contraddizioni, e cerchiate di risolverle attraverso il metodo della conoscenza dei pensieri che le sostengono. Il mantenere una lieve dose di incoerenza può risultare conveniente come asserito all’inizio della sezione, ma se le contraddizioni invadono il vostro modello esplicativo, devono essere affrontate comprendendone le radici al fine di adoperarsi ad eliminarle. La presenza simultanea di più incoerenze, potrebbe 98
addirittura arrivare a creare un tal caos nel sistema mentale da poter sviluppare addirittura convinzioni deliranti e allucinazioni.
- Il Pensiero irrazionale: Ho parlato di felicità come sicurezza su se stessi e il mondo, risultante dalla capacità di prevedere gli eventi in maniera oggettiva e inerente, il più possibile, al “senso comune”. Il pensiero irrazionale, l’ho inteso come caratteristica, che allontana dalla logica, che il senso comune induce. Tale pensiero provoca sofferenza emotiva e ostacola al raggiungimento delle proprie mete. L’obiettivo allora è la correzione delle idee disadattive, che ci danno un’interpretazione di realtà patologicamente scorretta. Tali idee, costituendo elemento ostacolante all’assimilazione e al successivo accomodamento delle nuove informazioni che giungono al nostro sistema mentale, costituiscono limitazione allo sviluppo conoscitivo, per cui sono causa di infelicità. INFELICITA’: limitazione previsionale su se stessi e sul mondo = sofferenza emotiva e incapacità al raggiungimento dei propri obiettivi. Fare un elenco dettagliato delle idee irrazionali, occorrerebbe forse un intero libro, per cui citerò solo quelle che la moderna psicologia ritiene più significative. Il fine è conoscerle per far sicchè vi possiate accorgere, attraverso un’opportuna auto-osservazione, di quando diventano padrone del vostro vivere. Esse rappresentano insieme a quelle razionali il filtro cognitivo (lo stile esplicativo di cui ho già parlato), con il quale interpretiamo gli eventi. 99
Le "convinzioni irrazionali" più significative sono state enunciate da due, tra i più facoltosi psicologi di quest’area di ricerca, Albert Ellis e Aron Beck, i quali hanno trovato le seguenti distorsioni cognitive. Esse riguardano le proprie "relazioni col mondo esterno e il concetto del Sè": a) Uso assolutistico del verbo dovere, “io devo”, “la gente deve”, “il mondo deve”, ecc. Esse consistono nel ritenere che gli eventi devono svolgersi necessariamente come uno desidera: "Le cose devono andare assolutamente come penso io", " gli altri si devono comportare assolutamente in un certo modo", “io devo assolutamente avere quello che voglio, ” ecc., (ad es., "Io devo assolutamente far bene ed essere assolutamente approvato dalle persone che giudico importanti per me"; "gli altri devono sempre aiutarmi in ogni cosa"). L'errore sta proprio nel considerare un'esigenza o bisogno (ad es., "non posso fare a meno di...", "ho assolutamente bisogno di....") in modo "assoluto" ciò che obiettivamente sarebbe solo preferibile. b) " espressioni di insopportabilità ed intolleranza", esse consistono, (ad es., "non lo sopporto....", "non tollerò che..."), sono forme di "esagerazioni" ove l'aspetto sgradevole di un evento o persona viene ingigantito, esse stimolano comportamenti primordiali come la rabbia o la fuga; c) "valutazioni globali", l'irrazionalità si trova nel giudicare una persona nella sua "globalità", partendo da uno solo dei suoi comportamenti osservati. Questo errore nel modo di pensare, porta a far uso di etichette che esprimono valutazioni globali tipo "incapace", "stupido", "deficente ecc. Tali attributi possono essere pensati riguardo agli altri come anche rivolti a se stessi. Se riferiti agli altri, tali pensieri, producono nei loro riguardi 100
un atteggiamento di ostilità o di rifiuto, se riferiti a se stessi producono mancanza di stima e sconforto e depressione; d) "pensieri catastrofizzanti", consistono nel ritenere il verificarsi di certe cose come un evento "drammatico", "orrendo", “catastrofico”, quando obiettivamente sarebbe solo spiacevole o fastidioso, spesso sono pensieri che anticipano in modo esagerato eventi futuri, provocando quindi reazioni di forte ansia; e) “astrazione selettiva”, il concentrarsi su un particolare estrapolato dal suo contesto, e nell'ignorare aspetti della situazione salienti, concettualizzando l'intera esperienza sulla base di questo frammento; f) “inferenza arbitraria”, il trarre conclusioni arbitrarie senza supporto dell'evidenza, cioè concludere il giudizio su un evento con solo elementi personali evitando informazioni provenienti dall’ambiente; g) “ingigantire e minimizzare”, l'ingrandire o il minimizzare l'importanza d’avvenimenti diversi, effettuando errori di valutazione talmente grossolani da costituire una distorsione; h) “ipergeneralizzazione”, il generalizzare a situazioni diverse e non collegate tra loro, elementi di un'esperienza fatta in una situazione particolare; i) “personalizzazione”, il riferire gli eventi esterni in relazione a se stesso, quando non vi sono elementi oggettivi per operare tale associazione, il classico sintomo presente nei pensieri di persecuzione; 101
l) “pensiero assolutistico e dicotomico”, il giudicare le cose in termini assoluti e dicotomici, in pratica la tendenza a collocare tutte le esperienze in due categorie opposte: perfetto o difettoso, santo o peccatore, ecc. m) “ammirazione idolatrica di un personaggio pubblico”, che stimolando l’imitazione irrazionale, causa incongruenza nella propria realtà, l’esagerazione sta nel considerare l’idolo un modello di condotta non soggettibile ad alcun giudizio critico. Per meglio capire queste irrazionalità di pensiero, immaginiamo come sempre di effettuare un’esperienza: ° siete all’aperto in una campagna ricca di vegetazione, sono con voi un gruppo di amici e la vostra famiglia. ° Organizzate un gioco di gruppo, sta andando tutto bene, quando notate che la vostra performance, (che è un’imitazione idolatrica di un vostro mito cinematografico, quindi priva di qualunque giudizio critico), non è di gradimento a tutti i presenti; vi angustiate perchè ritenete che gli stessi devono necessariamente riconoscere i vostri talenti imitativi. ° Silenziosamente vivete lo stato di disagio, confermandolo interiormente (dialogo interno) anche con espressioni di insopportabilità circa la situazione, e verso un partecipante in particolare, che secondo voi doveva seguire il gioco rispettando minuziosamente le regole. ° A questo punto valutate globalmente quella persona come un maleducato, anche se ne avete osservato un solo comportamento, che avete giudicato inopportuno. ° Per non finire, da questo frammento contestuale, astraete selettivamente, e concettualizzate catastrofizzando l’intera giornata partendo da quel semplice evento frammentario, ed anticipate gli eventi successivi pensando sempre al peggio. 102
° Ora siete in uno stato di tensione, avete dell’ansia di sottofondo, per cui producete delle inferenze arbitrarie concludendo e generalizzando in maniera assoluta e dicotomica sui presenti, senza nessun supporto dell’evidenza, che essi sono tutti dei gran maleducati. ° Così disgustato chiamate la vostra famiglia, che era nel gruppo, per raccontare le vostre opinioni dell’accaduto. ° Nel riferirle ingigantite l’evento dandogli una considerazione esagerata e non oggettiva; mentre a ciò la vostra famiglia non da particolare importanza, e considera l’accaduto uno spiacevole contrattempo. ° Per cui essa ritorna tranquillamente nel gruppo e riprende a parlare del più e del meno con i presenti. Ma voi essendo in forte agitazione, arrivate anche a personalizzare quel parlare dei vostri familiari con gli amici, pensando erroneamente che stanno parlando male di voi.
RIFLESSIONE PRATICA Riflettendo sull’esempio appena esposto appare evidente, che le sfaccettature del pensare condizionano la propria esistenza. Se queste sono prettamente irrazionali comportano distorsioni nella costruzione della realtà. Dunque la condotta della vostra vita si svolge in coseguenza al tipo di dinamica che caratterizza il processo interpretativo. Un processo tipicamente diverso tra individuo ed individuo di elaborare le informazioni. L’astrarre, l’ingigantire, il personalizzare, il generalizzare, ecc, sono modalità distorte di elaborazione dei dati, alle quali fa capo un processo coattivo e nevrotico intrinsecamente collegato ai propri schemi cognitivi. La loro scelta avvenendo per via psicologica e non semantica nella costruzione del discorso, costituisce ciò al quale prestare attenzione nel processo d’autoconoscenza. E’ importante conoscere bene la modalità semantica con cui dialogate con gli altri e soprattutto con voi stessi, poichè così vi 103
potete accorgere degli errori che allontanano l’obiettivo costituito dalla bontà delle vostre previsioni. Le metafore come identità, le contraddizioni, rappresentano anch’esse modalità esplicative distorte. Dunque, è bene riproporre come l'osservazione dell’uso del linguaggio pensato ed espresso, possa far cogliere la presenza di un eventuale eccesso d’emotività nell’elaborazione delle informazioni. Parlando di convinzioni irrazionali, il fatto di esprimersi, per esempio generalizzando o amplificando uno o più eventi, come nell’esempio, rappresenta un modo di porsi come soggetto distorcente la realtà. Sicuramente se faceste una breve panoramica sul vostro passato vi potreste accorgere con estrema facilità momenti in cui avete, per esempio, inferito in modo esageratamente soggettivo, personalizzato un evento o lo avete ingigantito, ecc., senza che ve ne siate resi minimamente conto. Appare ovvio l’importanza di cogliere nel flusso del vostro discorso la presenza di tali distorsioni cognitive che segnano la vostra infelicità. E’ arci noto che l’uso di tali distorsioni, celando delle convinzioni ben precise, costituiscono una volta individuate con l’auto-osservazione del linguaggio pensato ed espresso, il punto di partenza per svelare tutta la modalità di pensiero di cui fanno parte integrante.
Bene, l’esempio sicuramente vi ha cotto per benino, ma per fortuna è solo immaginazione! Ho coinciso tutte le distorsioni cognitive elencate sopra in un’unica esperienza per portarvi alla riflessione su ciascuna delle possibili irrazionalità in cui, consapevolmente o meno, possiate incombere. Esse, per quanto vi possano sembrare consoni al contesto che state vivendo, ad un’attenta osservazione razionale, potete notare che sono profondamente disfunzionali. 104
Il loro potere, costituendo falsità previsionale, è quello di disadattarvi al reale. La capacità conoscitiva della vostra mente è deviata verso la disfunzionalità, impedendovi così di godere della felicità. E' qui che ritengo, ancor più, che compiti comportamentali di autoosservazione volti all'identificazione dei pensieri disfunzionali, vi offrono l’opportunità di rendervi pian piano consapevoli dei vostri errori. Ecco qui i due insights conclusivi: ^ la consapevolezza che le percezioni o interpretazioni della realtà non coincidono con la realtà stessa; ^ la consapevolezza che le interpretazioni della realtà dipendono dai processi cognitivi che sono inerentemente fallibili. Il programma dell’auto-osservazione, che è la pratica fondamentale della Psicologia Utile rappresenta l’artefice dell’autoconoscenza, lo “strumento” per eccellenza che dovrà essere usato in tutto il percorso autoconoscitivo. Qui l’accenno solamente, poichè sarà oggetto del capitolo successivo dedicato all’interazione pensiero-comportamentoemozione. Essa consiste in ogni caso, nel fare attenzione nel vostro quotidiano a quegli eventi che v’inducono particolare coinvolgimento emotivo, situazioni il più delle volte spiacevoli. In tutti questi casi dovete porre attenzione agli antecedenti che segnano una particolare conseguenza emotiva o comportamentale, o entrambe; e capire come esse siano state generate, cioè quale reale pensiero le ha precedute. L’obiettivo di essa è quello di rendervi consapevoli delle idee scorrette e delle vostre incoerenze interne al vostro pensare, che segnano la vostra infelicità. Dopo la consapevolezza di ciò, impiegatevi alla loro sostituzione con
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soluzioni alternative e all’eliminazione delle contraddizioni, ristrutturandovi cognitivamente. Bene, per ora è stato sufficiente la sola introduzione, l’uso pratico, come ho già detto seguirà dopo. Ma prima di concludere la sezione, voglio far notare come questo processo di razionalizzazione per l’ottenimento di un miglior modo di vivere, venga perfino ad essere oggetto di diverse religioni orientali. La trasformazione del pensiero distorto o irrealistico, la troviamo in particolare in alcuni importanti aspetti del buddhismo. Infatti, tocco e fuggo subito, l'esigenza della "liberazione" intrinseca nella religione buddhista, viene per la prima volta sottolineata in termini di pensiero logico e razionale e non da una rivelazione mistica. La "liberazione" in questa dottrina viene chiamata "via mediana" perchè equidistante sia dall'ascetismo fanatico sia dall'edonismo assoluto, l'individuo crescerebbe liberandosi dalla illusione riguardo alla realtà del mondo e dalla sua contingente personalità (ciò che io chiamo libertà dall’ego). Per meglio esplicare ciò, cito alcuni versi del testo canonico buddista(1) : “E' bene che si domini il pensiero, inafferrabile, leggero, che si getta su ciò che gli piace; il pensiero domato è portatore di felicità”. “Custodisca l'uomo accorto il pensiero, difficile da percepire, guizzante, che si getta su ciò che gli piace; il pensiero ben guardato porta felicità”. “Per colui il cui pensiero è instabile, che non conosce la "Buona Legge", la cui calma mentale è turbata, per costui la conoscenza non è completa”. “Di ciò che potrebbe fare un odiatore ad un odiatore, un nemico ad un nemico, molto più male fa (all'uomo stesso) il (suo) pensiero falsamente diretto”.
(1) Il Buddha attraverso il Dhamma-Pada (I versetti della legge; testo canonico buddhista), testualmente da "Citta-Vagga" (Il pensiero): 36esima, 37esima, 38esima e 42esima strofa.
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Dire interessante credo che sia veramente poco, trovare in un testo canonico scritto migliaia di anni fa, la correzione delle idee scorrette, è veramente fantastico... vero! Sì, sono convinto che non possiate non pensarlo anche voi. Ma la sorpresa non finisce qui, infatti anche in testi induisti, nel famoso capitolo “il Bhagavad Guita” della vasta opera Hindù Mahabarata, troviamo riferimenti alla correzione del pensiero falsamente diretto. Ovviamente la pratica che viene utilizzata nelle discipline orientali, come è noto, è la meditazione, mentre noi “comuni occidentali” dovremmo utilizzare il metodo dell’auto-osservazione per conoscere il nostro modo di pensare, per poi passare alla sua ristrutturazione razionale. Un processo che viene prodotto anch’esso in parte naturalmente come induzione dovuta all’incremento autoconoscitivo, e in parte ovviamente all’azione volontaria per opera del lavoro autoterapico.
- Pensiero egocentrico: Il pensiero egocentrico rappresenta l’incapacità al decentramento, la rigidità mentale per eccellenza. Esso è una modalità di pensiero prettamente infantile, e che per disfunzionalità evolutive permane nell’adulto. E’ naturale l’incapacità del bambino di cogliere punti di vista diversi dal proprio. Nei bambini il gioco o l'immaginazione rendono facilmente realizzabile quanto desiderato, tale modalità di funzionamento costituisce la legge sovrana che governa il loro pensiero. Il pensiero egocentrico rappresenta quel tipo di pensiero che lega l’iniziale pensiero autistico e quello sociale che compare successivamente. L’aspetto egocentrico del pensiero significa possedere la caratteristica della non comunicabilità. Alcuni pensieri inespressi, avrebbero questa caratteristica appunto perchè egocentrici, cioè 107
incomunicabili. Per poterli comunicare ad altri, il soggetto dovrebbe sapersi spostare facilmente di punto di vista, per comprendere ottiche differenti dalle sue. Infatti, l’abilità di rendere comunicabile quanto pensato, costituisce una delle caratteristiche del buon funzionamento mentale. Si potrebbe dire, che l'adulto "sano" pensa socialmente persino quando è solo, e che un soggetto patologico o come il bambino piccolo, invece pensa e parla egocentricamente persino in compagnia di altri. Tale modalità di pensiero costituisce limitazione conoscitiva per il fatto di impedire l’assimilazione del nuovo. La plasticità al decentramento qualità prima di un buon funzionamento mentale, può essere acquisita pian piano con il lavoro auto-osservativo. Un aspetto probante di tale acquisizione sarà il rendervi conto della presenza di maggior tolleranza all’invalidazioni delle vostre previsioni. La capacità di spostarvi di punto di vista rappresenta la qualità per eccellenza per rendere possibile il cambiamento cognitivo La ristrutturazione avviene così con maggiore facilità. Bisogna saper costruire gli eventi il più possibile da orizzonti differenti, solo in tal modo si potrà cogliere interamente le varie sfaccettature dello stesso. E’ fondamentalmente importante per raggiungere tale obiettivo, sfuggire dalla coazione cognitiva prodotta dagli schemi preformatesi nel periodo infantile. La malleabilità interpretativa è intrinsecamente collegata ad una dose di libertà dal proprio Ego. I vostri costrutti centrali non devono imporsi coattamente per essere difesi, pena il mancato decentramento. Dunque per concludere decentrarsi significa saper pensare non rigidamente, significa non subire il proprio pensiero, ma adattarsi senza scossoni alla logica oggettiva. Per riuscire ad assumere il punto di vista 108
dell’altro, necessita la capacità di afferrare e comprendere lo stile cognitivo su cui si basano le sue idee, tale disponibilità la potreste ottenere, come detto, solamente evitando di mettervi sulla difensiva, che è il prodotto della scarsa sicurezza sulla propria forza egoica. Ottenere tale obiettivo è un passo intrinseco al percorso autoconoscitivo, lavoro oggetto di tale studio.
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CAPITOLO IV
IL PENSIERO, EMOZIONE E COMPORTAMENTO
- Ciclo interattivo: Le nostre emozioni e il nostro comportamento non sono altro che conseguenti al filtro cognitivo (il nostro punto di vista, il nostro modo di pensare), che è insito in ognuno di noi e con il quale valutiamo gli eventi. Come agisce il nostro punto di vista? Qual è la dinamica interattiva delle nostre costruzioni? L’interazione si compie attraverso le nostre strutture mentali, e questo comporta che tutto ciò che sentiamo all'interno del nostro spazio psicologico accade solamente perché siamo noi a deciderlo. La vecchia psicologia sostiene che noi siamo determinati da particolari forze interne (pulsioni), o passivamente dall'ambiente attraverso i condizionamenti, ecc., ma questo non è vero o non è tutto! Siamo noi i costruttori della nostra realtà personale, ne consegue che siamo noi che decidiamo se un qualsiasi evento sarà o meno esageratamente spiacevole. Per afferrare tale concetto voglio condurvi, attraverso un esempio immaginario tratto da un testo di A. Beck, ad una semplice riflessione:
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- pensate di trovarvi in una situazione in cui siete soli nella vostra abitazione; - ad un certo momento avvertite un rumore proveniente da una finestra; A: potreste pensare che a causare il rumore sia stato un ladro; A: a tale costruzione (pensiero) avreste sicuramente una reazione emotiva negativa (ansia, insicurezza), ecc. A: infine, avreste anche un comportamento di allerta (chiamereste la polizia, oppure vi nascondereste, ecc.); Ora immaginate di costruire l'evento neutro in modo rilassato e tranquillo, vi accorgereste che le risposte emotivocomportamentali vengono ribaltate: B: infatti se pensate, che a causare il rumore sia stato solamente il vento, che ha fatto sbattere, per esempio, una persiana; B: non avreste sicuramente emozioni negative; B: e il vostro comportamento sarebbe semplicemente di andare alla finestra e verificare cosa è stato a causare il rumore. Da questa semplice riflessione appare emergere chiaramente in forma ben distinta, ciò che collega il pensiero, il comportamento e l’emozione all’evento attivante. E’ proprio la dinamica interpretativa, come detto in più punti, a dare il colore nero o bianco ad un qualsiasi evento neutro. Giunti qui è opportuno per andare avanti, introdurvi esaustivamente la tecnica dell’auto-osservazione. Essa ha il fine di offrirvi lo strumento utile per eccellenza all’acquisizione di abilità per il riconoscimento del perchè delle vostre emozioni e dei vostri comportamenti. Abilità centrale al programma autoconoscitivo, che consente di acquisire quella confidenza con i propri schemi cognitivi indispensabile ad un dialogo con se 111
stessi più consapevole. Tale lavoro dovrà essere affrontato con costanza, poichè solo così potrete raggiungere la confidenza utile con i vostri modelli interpretativi, al fine di renderli più oggettivi e quindi più funzionali.
TECNICHE AUTO- OSSERVAZIONE: Il principio fondamentale dell’osservazione, è basato sul concetto che imparando ad osservare il vostro comportamento e l’emozione che di solito l’affianca, possiate pian piano sviluppare l’abilità a risalire al pensiero che l’ha provocate. Questo lavoro comporta l’ottenimento della consapevolezza dei vostri schemi e assunti base che abitualmente usate quando interpretate gli eventi. L’obiettivo, dopo acquisita tale conoscenza, è di capire l’aspetto disfunzionale di essa, cioè le componenti che hanno fissità, quelle con elevata contraddizione interna, quelle a contenuto irrazionale, ecc. Il fine di tale lavoro è quello dunque, di acquisire l’abilità di riconoscimento, ma soprattutto la capacità di ristrutturarsi il pensiero accorgendosi delle sue disfunzionalità e sostituirlo con aspetti più funzionali. La dimestichezza che ne consegue, porta a ridefinire la vostra vita partendo dalla ridefinizione dei singoli problemi affrontati. La loro reinterpretazione, che avviene come già detto allentando i nessi tra i costrutti implicati, è conseguente alla presa d’atto di invalidazioni di previsioni che si sono dimostrate fallimentari. Il metodo dell’auto-osservazione è un metodo da applicare il più sistematicamente possibile, avviene osservando gli eventi attivanti e la vostra risposta conseguente, ciò porta ad individuare quei pensieri disfunzionali che guidano la vostra esistenza 112
La strutturazione del metodo si basa utilizzando, ogni qual volta riteniate di vivere un comportamento o una emozione disfunzionale (esagerati in ampiezza e in ripetizioni, non consoni all’evento attivante, ecc.) di individuare il pensiero che l’ha prodotto, al fine di poterlo sostituire. Su questo schema di influenzabilità sono basate le "schede autoosservative" allegate al libro, che possono essere usate per registrare i momenti psicologici di cui sopra, comunque una semplice agenda va bene uguale. La scheda è costituita da tre parti contraddistinte collegate ai tre momenti su citati, una delle quali, dalla lettera "C" (conseguenze) ove devono essere riportate le emozioni e i comportamenti avuti; un'altra dalla lettera "A" (eventi attivanti) ove si riportano gli antecedenti ai quali si è prestato attenzione e che risultano come causa delle conseguenze riportate alla colonna "C". Infine la colonna di centro la "B (sistema di convinzioni), verrà ad essere compilata facendo riferimento alle cognizioni, ossia ai pensieri, valutazioni, riflessioni ecc., sia espressi verbalmente, sia solamente a livello di dialogo interiore, vale a dire come essi siano stati ideati nel momento cruciale e che si crede colleghino gli antecedenti alle conseguenze. E' bene precisare che tutta la registrazione deve essere effettuata il più possibile in "presa diretta", immediatamente se ciò è attuabile, onde evitare l'effetto della caduta del ricordo e della sua eventuale manipolazione reinterpretativa. Nella rivalutazione dei pensieri esternati verbalmente o inespressi e mantenuti a livello di linguaggio interiore, implicati nel processo di costruzione dell’evento attivante, bisogna fare attenzione alla eventuale presenza di nevrotizzazioni... cioè: - se avete utilizzato categorie assolute o troppo estreme; - alla presenza coatta del verbo dovere; - alla presenza di espressioni di insopportabilità e di intolleranza; - al considerare un bisogno in maniera assoluta; 113
- ad una previsione bipolare dove il sistema mentale contraddicendosi da se prevede tutte e due le possibilità, supplendo l’insicurezza della previsione unipolare; - all’uso della metafora come identità; - all’uso di inferenze esageratamente personalizzate; - all’uso di astrazioni selettive dell’esperienza; - alla presenza del pensiero egocentrico, cioè notate che faticate a decentrarvi dal vostro punto di vista; ecc., ecc. Tali schede avranno l’utilità di farvi acquisire maggiore consapevolezza dei legami implicati nei vostri modelli interpretativi dopo che questi siano avvenuti. Una specie di studio sui propri schemi di pensiero che vi consentirà di correggere il vostro modello esplicativo, se questi si è dimostrato erroneo. In particolare, ciò significa condurvi al riconoscimento delle relazioni esistenti tra le vostre costruzioni implicate nel vostro processo di conoscenza, dal quale partoriscono le varie convinzioni riportate sulla scheda al punto "B". Una volta trovate queste, ristrutturarle se dimostratesi disfunzionali. L’abilità si sviluppa con tanta esperienza, e con tale lavoro pian piano le costruzioni più funzionali vi si imporranno automaticamente. Ora acquisiamo capacità auto-osservative utilizzando l’esempio sopra riportato. Separiamo i vari momenti cognitivo-comportamentali caratteristici, in primo luogo - l’evento attivante dalle interpretazioni e dalle valutazioni che lo riguardano, per poi proseguire facendo attenzione alle conseguenze emotivo-comportamentali: - Evento attivante (in entrambi le interpretazioni “A; B”): rumore alla finestra; - interpretazioni previsionali: A: potrebbe essere un ladro; B: potrebbe essere stato il vento; 114
- valutazione: A: situazione molto grave, allertante; B: situazione normale, non allertante; - Conseguenze; comportamentale: A: chiamare la polizia, nascondersi; B: andare alla finestra semplicemente per chiuderla; emotiva: A: ansia, insicurezza, ecc.; B: nessuna emozione negativa. Questa suddivisione l’ho illustrata al fine di suggerirvi l’esatta via che dovreste seguire nella Pratica utile.
ESERCITAZIONE PRATICA Ora seguite questi esempi e impratechitevi sulle frasi scritte qui di seguito2), individuate i primi due momenti psicologici: evento attivante; interpretazioni: - non mi ha salutato perchè ce l’ha con me; - si comporta così apposta per farmi ingelosire; - tutto quello che dice è per provocarmi; - mi ha tenuto il broncio per farmi sentire colpevole; - si è comportato così per farmi stare in imbarazzo; - c’è che la camicia che mi hai lavato è ancora sporca, perchè non ti importa nulla di me; - smettila di gridare ... ma che lo fai apposta; - sono andato a ritirare l’auto dal meccanico, ma è ancora guasta, se ne frega proprio di me; - sono andato in ufficio, mi rimproverano che arrivo sempre in ritardo, lo fanno perchè vogliono licenziarmi; 115
- Giuseppe mi ha chiesto dei soldi in prestito per ripetute volte in questo mese, fa così poichè sa che io non sono avaro;. Di frasi come queste, ovviamente, ne esistono di infinite. Ogni comunicazione, anche tra quelle più sane possiede innumerevoli costruzioni irrazionali. Ora con la solita immaginazione provate a scrivere, per ciascuna situazione, un possibile comportamento e una possibile emozione, che siano prima disfunzionali, poi altre, dopo una opportuna riflessione, che sino funzionali, comunicative e razionali. 2)
Le soluzioni le troverete alla fine del libro.
Bene la conclusione che ne risulta, ovviamente è semplice, l'esempio dimostra proprio il ciclo intereattivo tra un evento attivante e le conseguenze (emozione e comportamento) e il pensiero che le ha provocate. Ed è quello che i nostri schemi cognitivi, preformatesi in particolar modo nell'età infantile, decidono. Crescere psicologicamente significa, dunque, pian piano abbandonare la conoscenza abituale, la quale si è dimostrata fallimentare per il proprio benessere, con una nuova conoscenza che ci permetta di avere risposte più razionali e quindi più adattive agli eventi. Perfino un evento, anche se oggettivamente disastroso, se lo interpretaste con razionalità (cioè meno emotivamente), sicuramente vi permettebbe di avere risposte cognitivo-comportamentali meno invasive. Per cui imparare a conoscersi, incrementare la propria autoconoscenza, 116
è avere a disposizione la Psicologia Utile quale strumento per avere modalità di risposta agli eventi, più logiche e quindi più adattive. Dunque costruire significa semplicemente interpretare la realtà in un modo personale, un modo particolare di osservare e spiegare il mondo che viene costruito attraverso la comunicazione e l'esperienza. La realtà non verrebbe quindi scoperta, come molti credono, ma semplicemente inventata. Gli insights conclusivi sono:
* la consapevolezza che è il nostro modo di pensare, il nostro sistema si convinzioni ad essere l’artefice della nostra vita, sia essa felice o infelice; * la consapevolezza che le convinzioni sono ipotesi previsionali di come i fatti accadono o di come sono accaduti, pertanto sono soggette a disconferma e a modificazione".
Il secondo passo dopo essere divenuti consapevoli dei pensieri che hanno prodotto un determinato comportamento ed una determinata emozione, è quello di ristrutturarlo in forma più logica. Per cui eccovi la seconda tecnica, quella della Ristrutturazione razionale:
TECNICHE LA RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA: Il primo passo da effettuare è quello di prendere atto del materiale osservato, schede ABC. Dopo di che, individuate le componenti disfunzionali facendo fede all’elenco precedentemente riportato, provate a confutarvi da soli. La 117
confutazione avviene trovando alternative alle interpretazioni emotivamente cariche che siete soliti utilizzare. Per far questo è opportuno che ricordiate, elemento fondamentale, che le alternative vanno trovate nei dati, fatti o esperienze e non nelle proprie opinioni. Ricordatevi che se la realtà è costruita in modo soggettivo, ancor più lo sarà quando questa è carica di emotività. Ma ora come potete mettere in discussione le principali categorie di pensieri irrazionali? Molto semplicemente... con impegno, perseveranza e tanto lavoro! Ora faccio alcuni esempi che riguardano ciò che potreste dirvi quando vi trovate a porre in discussione le:
doverizzazioni: - “perchè le cose devono andare per forza come dico io? - “qual’è il motivo per cui mi ostino tanto a fare assolutamente questa cosa? - “sarebbe sicuramente bene, bello se le cose vanno come piace a me, ma non per questo devono andare assolutamente così... certo sarebbe preferibile... ma lo accetto anche così.
Valutazioni globali: - le persone possono cambiare... ed io devo seguire il loro cambiamento e non irrigidirmi nelle mie valutazioni. - “anche se il mio amico si è comportato in modo che a me non piace, non posso valutarlo solo attraverso questo semplice frammento giudicandolo interamente negativo; 118
- “è giusto valutarne il comportamento... ma come faccio a giudicarlo come persona; - Sommando i comportamenti di una stessa persona non abbiamo la persona in totale, perchè essa è più complessa della semplice somma. Parafraso quest’ultimo concetto poichè ritengo sia più complesso da assimilare, utilizzando conoscenze provenienti dalla psicologia della percezione, le quali risultano più facilmente assorbibili. Se provate a disegnare un volto formato da due linee orizzontali una verticale ed una curva, che ne rappresentano gli occhi il naso e la bocca e il tutto circoscritto in un cerchio, vedete che se la linea curva della bocca la disegnate rivolta all’insù tutto il volto sembrerà sorridente, mentre se la linea curva verrà rivolta all’ingiù tutto il volto sembrerà triste, e questo senza aver variato nessun’altro costituente. Ne consegue che basta cambiare un solo elemento che anche gli altri cambiano di seguito. L’espressione emotiva di un volto non è semplicemente la somma di due occhi un naso ed una bocca ma qualcos’altro di più complesso, poichè tutti gli elementi costituenti interagiscono tra loro, come per i tratti di una persona.
Astrarre selettivamente: - Non posso giudicare l’intera situazione che ho vissuto ieri sera solamente basandomi sul fatto, che ad un certo punto sono caduto in una gaffe, la serata era andata bene, e non è giusto dire che è stata tutta uno schifo, giudicandola interamente, partendo solamente da quel piccolo particolare. - Se ad un certo punto della riunione di lavoro è accaduto che i colleghi hanno cominciato a fare delle battute scherzose, non posso certo dire che tutto il convegno è stato poco serio 119
Riferire a se stessi eventi che in realtà non lo sono: - “Poichè io non vado d’accordo con mia moglie, dire che quelle persone ce l’hanno con me solo perchè sono sue amiche, è personalizzare un po' troppo; è riferire a me stesso cose che non lo sono; e poi non ci sono altri elementi oggettivi che lo confermano.
Giudicare alcune cose come assolute, indispensabili a tal punto da costituire dipendenza: - “ certo avere una buona immagine sociale è un aspetto piacevole da vivere, è veramente una cosa gradevole, ma esserne dipendenti è un’altra cosa; - alcune cose nella vita la rendono più piacevole ma se non riesco ad averle posso trovarne altre per me più raggiungibili che mi diano la stessa piacevolezza; - se non riesco ad avere certe cose, non è certo la fine del mondo, posso certo vivere lo stesso anche se meno bene.
Ingigantire un evento spiacevole: - in fin dei conti qual’è la cosa peggiore che può succedere? - e poi se succedesse sarebbe veramente una catastrofe? - sarà anche una cosa molto spiacevole... ma è anche vero che, con un po' di impegno può essere superata.
Giudicare le cose in termini dicotomici:
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- se riesco a risolvere quella cosa mi dico che sono bravo altrimenti uno stupido, ma riflettendo razionalmente mi sembra proprio una esagerazione categorizzarmi solo in un modo o solamente nell’altro; - non è possibile che uno sia totalmente intelligente o totalmente stupido, esiste sempre un punto intermedio - mi trovo sempre a utilizzare giudizi assoluti su me stesso e su gli altri, quando in realtà questo non è certo logico.
Generalizzare elementi appartenenti ad una particolare ad altre quando questo non è possibile;
situazione
- dire che l’esperienza fatta con Giorgio è stata un puro fallimento... sarà anche vero! ma ora pensare che quegli aspetti si ripetano in tutte le esperienze, non è certo logico; - sono stata fidanzata con Andrea per diversi anni, io ci ho creduto molto, invece lui mi ha preso in giro. Ma ora pensare che se mi metto insieme ad un’altro ragazzo, mi prenderà sicuramente in giro anche lui, non è certo pensare sano; - non posso continuare a pensare che se mi è andato male un esame, tutti gli esami mi andranno male.
Tutti questi esempi sono al fine di favi prendere dimestichezza, ed acquisire così l’abilità a mettere in discussione voi stessi i pensieri irrazionali. La correzione con successivo ottenimento di un rapporto migliore con la realtà, potrà essere oggetto solamente dopo ripetute ristrutturazioni del vostro pensiero illogico che segna la vostra infelicità, per cui non demoralizzatevi se non sentirete subitaneamente dei miglioramenti di stato d’animo, poichè questo potrà accadere solamente dopo un certo quantitativo di lavoro.
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SUGGERIMENTO PRATICO
Per verificare subitaneamente in prima persona questa nuova conoscenza, pensate a qualcosa interno o esterno a voi che vi provoca fastidio o sofferenza (evento attivante), provate a cambiare il pensiero (convinzioni) su di essa, cercando di modificare il vostro punto di vista, decentratevi (cioè abbandonate il vostro pensiero egocentrico) e sostituite tale pensiero con uno più razionale e più oggettivo. Se tale tentativo avrà successo (accuserete un sentimento di sollievo), tale capacità rappresenterà un elemento probatorio che la vostra crescita psicologica sarà in atto. Così facendo pian piano, senza nessuna pretesa di essere subito dei bravi ristrutturatori delle proprie convinzioni, acquisirete con l’osservazione sistematica, l’abilità di accorgervi, nel flusso della vostra esperienza, delle convinzioni che vi causano infelicità, per poi passarle ad una revisione razionale. Non dimenticate che a parte quelle emozioni veloci, che avendo risposta subitanea e che preposte all’adattamento bypassando il sistema razionale (che tratterò nel capitolo sull’emozione), tutte le altre sono soggette al passaggio in quest’ultimo, quindi alla elaborazione cognitiva, per cui facilmente osservabili e annotabili. Mentre quelle che sono prodotte dai pensieri automatici, potrete acquisirne consapevolezza, ma dovrete porre più costanza auto-osservativa
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In conclusione posso dire che la “ristrutturazione delle idee irrazionali", l'"induzione di plasticità all'invalidazione", la "risoluzione delle contraddizioni interne al sistema", portano ad un buon funzionamento un sistema previsionale, pertanto alla possibile felicità!
CASO CLINICO Sono sposata da qualche anno e ho due figli. Viviamo in una casa di proprietà dei miei suoceri (un’appartamento situato sopra quello in cui vivono loro). Il fatto sta che non sopporto più le regole della famiglia, e quando le contrasto mi aspetterei almeno considerazione e difesa da mio marito, invece spesso e volentieri ho anch’egli schierato contro di me. Quello che ne risulta è che non mi sento compresa ne da lui ne tanto meno dalla sua famiglia. Ciò che è peggio è che trattano con autoritarismo anche i miei figli. Si tratta di un caso tipico di famiglia di un tempo dove la privacy non solo è tabù, ma è considerata quasi una minaccia che, secondo loro, metterebbe a repentaglio la coesistenza della famiglia stessa. Sono facilmente soggetta a domande quasi inquisitorie, perchè in questa realtà le faccende private più banali vengono utilizzate come imputa per procedere a un interrogatorio. Sembra che vogliono comprendere tutto e tutti e questo alambiccandosi con ogni mezzo per raggiungere tal fine. In questa realtà mi sento in prigione e non ho timore a dirLe che spesso desidero separarmi da mio marito nonostante tutte le implicazioni che una tal decisione comporterebbe. Dott. Mazzani che cosa mi può dire a riguardo? Cosa potrei fare in alternativa all’azione radicale costituita dalla separazione?. La ringrazio cortesemente. Marisa G. 123
Signora Marisa noto che ha capito abbastanza sufficientemente la realtà che la riguarda. Mi racconta di una famiglia che nega la privacy e le dico che è ancora una realtà purtroppo diffusa. Si è proprio come dice lei, sono sottoculture familiari ove l’espressione individuale viene repressa al fine di salvaguardare quella del gruppo. Darle un consiglio diretto su cosa fare non è mai un’azione responsabile, invece aiutarla a comprendersi meglio su quello che desidera, sicuramente lo è. In primo luogo le suggerisco di osservare i suoi pensieri e le sue emozioni e i suoi comportamenti proprio nei momenti in cui si trova a vivere i passi repressivi che lamenta, azioni che generalmente annullano la sua individualità. Se dopo diverse osservazioni noterà che il “pegno” psicologico da pagare è troppo alto, cioè noterà emozioni debilitanti (ansia ed insicurezza) o reazioni aggressive verso l’esterno o all’opposto chiusura in depressione, ovviamente ciò sarà il messaggio che le suggerirà che qualcosa di più logico dovrà attivare. Osservi anche le reazioni dei suoi figli verso quel clima familiare. Faccia attenzione alla loro formazione conoscitiva (come viene costruito il mondo e se stessi), poichè vivendosi un così forte contrasto tra la famiglia con le sue regole e il mondo fuori con altre regole fortunatamente meno anacronistiche, possono accusare disorientamento. La mente giovanile e più recettiva di quella adulta, quindi i suoi figli potrebbero far fatica ad organizzarsi conoscitivamente... insomma a capire com’è il mondo la fuori e costruire un opportuno ed adattato Sé.
- l’emozioni e l’adattamento - Cos’è che costituisce la maglia della vita mentale? - Cos’è quello che definisce chi siamo ai nostri occhi e a quelli delle persone che frequentiamo? - Cos’è che rappresenta la nostra essenza personale? 124
- Cos’è che decide come reagiamo agli eventi, le nostre sfumature e i nostri colori, cioè l’arcobaleno della nostra vita? - Che può essere se non l’altro sistema di conoscenza, quello chiamato la mente emozionale, impulsiva e potente e che il più delle volte si presenta in modo illogico a tal punto da poter apparire sconcertante alla stessa mente razionale? Si, è proprio l’emozione che ci rende piacevoli o non graditi agli altri e a noi stessi, che ci da il gusto della vita, il piacere e il dispiacere, la felicità o l’infelicità. E’ essa che decide il nostro atteggiamento verso la vita attraverso la sua decodifica cognitiva, che avviene con un processo di attribuzione di significato allo stato neurovegetativo che ne è ad essa intrinsecamente collegato. Cosa significa esattamente ciò? Semplicemente, che ogni emozione, come meglio spiegherò appresso, comporta fisiologicamente uno stato ben preciso di condizioni vegetative, (per es. nella paura abbiamo: aumento del battito cardiaco, della frequenza respiratoria, della sudorazione, pallore al viso dovuto a vasocostrizione ecc, ecc.), il punto è che tali stati, negli animali dotati di consapevolezza, producono sentimenti emotivi coscienti. Nell’uomo ciò è scontato, mentre negli altri animali non si sa fino a che punto possiedono tale capacità. Col processo di attribuzione di significato, quindi si costruisce l’emozione corrispondente, ed è essa l’unico risultato che poi ci porta ad avere i sentimenti che sono per loro natura consapevoli, e che chiamiamo: paura, amore, felicità, ecc. In fondo che cos’è una emozione se non un sentimento cosciente? 125
Infatti, se per esempio, togliamo alla paura, la nota soggettiva, vediamo che non rimane molto dell’esperienza di tale emozione, anche se ovviamente esiste parallela all’esperienza cosciente, tutta una realtà inconsapevole che insieme alle reazioni comportamentali e fisiologiche costituisce il sistema che gira intorno allo stimolo che ha prodotto tale emozione. Dunque le emozioni una volta sperimentate, sono esse che costituiranno il motore di comportamenti futuri. Ordinano il da fare al momento opportuno, una imposizione istantanea che è lontano dall’essere volontaria. Per cui talvolta possono metterci in difficoltà: le emozioni adattive che diventano disadattive. Una paura che diviene ansia, una irritazione che diventa rabbia, un’amore che si trasforma in odio o in dipendenza, e cosi via, pertanto quel qualcosa che è per sua natura utile alla vita, così utile da essere addirittura di vitale importanza, si trasforma talvolta in un qualcosa che ci viene contro. L’insight che ne risulta: * la consapevolezza che le emozioni sono il risultato dei nostri significati percepiti, ed è il loro uso inappropriato che ci rende la vita infelice. L’emozioni sono vissute come episodi che passano e vanno via, distinte dai sentimenti e dagli stati d'animo che sono più duraturi poichè prodotti da una maggiore elaborazione mentale. Esse informano da una parte il sistema mentale di quando sta per ottenere o fallire lo scopo della massimizzazione della sua capacità predittiva, dall'altra comunicano il nostro stato che viviamo di fronte ad un qualsiasi evento. Pertanto la loro intensità dipende da come quest’ultimo è collegato alla previsione che stiamo per effettuare. Se pensate ad una qualche situazione passata dove vi siete sentiti irritati con conseguente comportamento ostile, potreste sicuramente 126
notare che quella emozione e quel comportamento non nascondevano altro che cadute previsionali circa l’evento o gli eventi che stavate prevedendo in quel momento. Per esempio, una emozione dovuta a confutazioni di opinioni (aspettative) sul mondo: ° pensavo che Giacomo fosse più altruista per cui ero convinto che mi avrebbe sicuramente aiutato… basta non voglio più vederlo!; ° aspettavo che avresti pensato anche a me… sei proprio un egoista!; ° con voce arrabbiata - ritenevo che il lavoro sarebbe andato nel modo che sostenevo…; ecc., ecc. o su se stessi: ° attendevo che ce l’avrei fatta; ° pensavo che sarei stato meno ansioso in quella riunione di lavoro; ° ritenevo di conoscere pienamente quel compito, invece… ecc., ecc. Questo poichè quando ci arrabbiamo difendiamo le nostre idee che rischiano di cadere di fronte alla realtà, e l’emozione ne è la conseguenza. Per comprendere ancor meglio la funzione dell’emozione, immaginate di essere di nuovo ad una riunione di lavoro, state discutendo su una iniziativa che riguarda il vostro reparto, ed in particolare la vostra specifica occupazione: responsabile delle vendite. Alcuni vostri superiori stanno organizzando delle variazioni al vostro abituale operato. Il vostro capo vi chiede una relazione degli ultimi lavori da voi effettuati. Egli rivolgendosi a voi vi chiede: per cortesia vorrei che mi relazionasse riguardo le vendite degli ultimi due mesi. Voi non sapendo bene del perchè di tale richiesta, l’ansia si fa avanti per scarsezza previsionale, infatti cominciate a sentire il vostro cuore battere più velocemente, ed è ciò che costituisce l’imput fisiologico che 127
codificate come ansia. In tal contesto il vostro dialogo interiore assume una valenza dettata dalla pochezza anticipatoria, ad esempio: ° che dovrò dire?; ° cosa si aspetteranno che io abbia svolto in questi ultimi mesi? ° perchè vogliono cambiare proprio ora qualcosa… ? ° cos’è che hanno in mente?; ecc., ecc. Domande alle quali non siete in grado di rispondere. Di fronte a tale insicurezza, per via della intolleranza cognitiva alla scarsezza previsionale di cui ho precedentemente parlato, si è sempre spinti ad ipotizzare previsioni, è per tal motivo che facilmente si azzardano previsioni, che purtroppo spesso acquistano valenze negative. Si, perché è proprio la povertà anticipatoria che induce all’azzardo errato, ad esempio: ° forse hanno trovato qualcosa di sbagliato; ° sarà insufficiente tutto quello che ho eseguito; ° un collega probabilmente ha riferito qualcosa che è venuto a mio danno ecc., ecc In conclusione l’ansia, a parte quando insorge per condizionamenti precedenti come successivamente spiegherò, è in generale sempre conseguenza di carenza previsionale, e in particolare, di negativa aspettazione sull’ambiente, e ciò da qualsiasi contesto provenga. Le emozioni dunque, sono risposte primordiali dell’organismo atte a dare informazioni per far fronte all’ambiente, ne cito alcune a scopo esplicativo: - L’amore, che predispone alla cooperazione; - la sorpresa che con l’innalzamento delle sopracciglia ci permette di raccogliere più informazioni sull’evento imprevisto; 128
- la felicità che ci induce una maggiore energia e ci rende entusiasti nei confronti di un qualche compito che si debba svolgere; - la tristezza che ci consente di adeguarci alla perdita significativa appena sostenuta, la cui caratteristica principale la chiusura in se stessi, normalmente solo transitoria, ha il fine consentirci di elaborare tale perdita per riorganizzarci alla vita seguente; sono tutte emozioni utili all’adattamento. La risposta emotiva, quindi rappresenta la mobilitazione dell’organismo atto a fronteggiare l’ambiente, il suo fine è prettamente quello di consentirci l’adattamento in senso darwiniano. Le manifestazioni emozionali più tipiche ereditate geneticamente sono proprio la rabbia e la paura che si pongono quali emozioni fondamentali. La loro funzione è preminente, poichè hanno il compito di preservare l’organismo di fronte al pericolo. Pertanto predispongono alla difesa personale attraverso l’attacco o la fuga, sono esse quelle che si presentano più invasivamente. Dunque la loro caratteristica centrale è di rendere pronto l’organismo alla eventuale necessità di dover far fronte all’eventuale pericolo. La loro mobilitazione neurovegetativa (utile atavicamente nei contesti di emergenza, per esempio, alla presenza di un animale feroce o ad un potenziale combattimento a corpo a corpo), avviene attraverso: - aumento della sudorazione per disperdere il calore eventualmente prodotto; - aumento del battito cardiaco e della respirazione per incrementare il flusso di sangue ai muscoli e maggiore ossigenazione; - immissione di adrenalina nel sangue per rendere l’organismo più pronto ad ogni evenienza; - rilascio di zuccheri nel sangue, per aumentare le risorse energetiche a disposizione, ecc. Tale cambiamento interno all’organismo avviene per renderci più efficaci di fronte ad un potenziale pericolo, un tempo ci consentiva di aggredire gli altri animali che ritenevamo capaci di poter vincere o di 129
fuggire in caso contrario. Era qui l’attività previsionale, quella ereditata geneticamente (la conoscenza innata), controllata dalla mente emozionale che entrava in funzione per consentirci le risposte più appropriate. Ogni emozione dunque, ci predispone ad un determinato comportamento relativo allo stimolo che l’ha originariamente prodotta. Si propone di guidarci in una determinata direzione, che si è già rivelata efficace per il superamento delle difficoltà caratteristiche della vita umana, ripetutesi infinite volte nella nostra storia evolutiva. Le emozioni guidandoci con saggezza nel percorso evolutivo filogenetico, ci hanno salvato la vita innumerevoli volte. Ora un esempio immaginario per meglio comprendere i concetti esposti: - siete in autostrada guidando la vostra automobile; - state osservando la strada, notate che è piena di curve e abbastanza stretta... concludete che non è sicura; - a tale conclusione ovviamente regolate la vostra velocità in modo che il suo percorso non sia per voi pericoloso; - infatti accelerate percorrendo i rettilinei e decelerate in prossimità delle curve. Fin qui tutto bene, niente da dire, avete goduto dell’intelligenza acquisita geneticamente, quella emotiva che permette di difendere subitaneamente la vita. Ora riflettete: se ognuno di noi non possedesse tale intelligenza sarebbe sempre in pericolo di vita. Infatti nel caso dell’esempio, essa ha prodotto la paura utile affinché non aumentaste eccessivamente la velocità della vostra automobile, cioè avete evitato di percorrere la strada ad una velocità troppo elevata, evitando così l’uscita di strada della vostra auto con conseguenze facilmente prevedibili. Questo esempio per capire l’utilità dell’emozione adattiva, ma andando oltre, se per ipotesi, anche se difficilmente verosimile, voi incontraste un leone nel parco della vostra città, in questo caso anche non possedendo nessuna conoscenza sulla pericolosità di tale animale, 130
la paura ancestrale vi salverebbe costituendo l’imput che vi indurrebbe a fuggire a tal pericolo. La mente emotiva ha di nuovo lavorato a vostro beneficio. Ma il problema è qui! Quanti leoni potreste incontrare nel vostro cammino? Quanti imprevisti da foresta amazzonica potreste trovare a via Veneto a Roma o a piazza Duomo a Milano? Sicuramente nessuno, a meno che sia fuggito un animale feroce da uno zoo della città o dal circo vicino. Il punto è proprio questo, si possiede un sistema emotivo purtroppo che non si è sviluppato adeguatamente per interagire con la realtà d’oggi. Purtroppo l’evoluzione emotiva si è dimostrata più lenta rispetto allo sviluppo legato alla tecnologia e alla civilizzazione. Le emozioni non si sono adeguate al nuovo ambiente ricco di stimoli diversi da quelli atavici che le hanno prodotte. Il processo della evoluzione genetica dell’emozione è un processo lento che oggi il più delle volte si dimostra paradossalmente inadattivo. L’ambiente non è più quello di una volta, mentre il nostro sistema emotivo lo è. Per cui quest’ultimo si attiva molto facilmente, e quello che è più sconveniente, è che si attiva anche per generalizzazione e per somiglianza a quei stimoli che l’hanno prodotto. Infatti la maggior parte delle paure avvengono di fronte a stimoli che di per se stessi sono neutri, ma che assumono significatività se si sono presentati in contiguità con uno stimolo incondizionato adattivo di paura, essi dunque si condizionano suscitando da quel momento paura o ancor peggio, ci indurranno facilmente dell’ansia fobica. Per esempio: Immaginate di trovarvi ancora oggi con delle paure irrazionali verso alcuni specifici eventi, i quali per altre persone sono 131
invece del tutto normali. Supponiamo che il motivo della vostra fobia possa essere dovuto ad una educazione patologica, che vi ha costretto a vivere, da piccoli, l’emozione della paura ripetute volte. E questo perchè vostro padre vi riprendeva e giudicava con superficialità ogni vostro operare talmente inadeguato ed inopportuno che spesso vi puniva anche con sculacciate, la risposta adattiva che avete provato è stata ovviamente la paura... cosa è successo esattamente? Avete probabilmente vissuto una minaccia al vostro Io fisico, nonchè psicologico, la risposta naturale era quindi la paura, ed essendo piccoli e non potendo fare altro, il discorso a riguardo rimane ovviamente molto complesso, ma ciò che a noi interessa per il nostro studio, è semplicemente la generalizzazione della paura a tutto il contesto o a parte di esso. Di solito in questi casi accade che si sviluppa fobia non solo per l’evento attivante, ma anche per altri elementi che circoscrivono l’evento. Infatti in questa esperienza, si è creato un legame tra la risposta naturale della paura condizionandola ad uno o più stimoli neutri presenti in quei momenti, oltre naturalmente alla persona di vostro padre: per esempio, a un tipo di atteggiamento, a un tipo di espressione facciale, eventualmente anche al luogo dove la misfatta avveniva ecc. Il punto è che tali condizionamenti, rappresentando la conoscenza iniziale, vi si ripropongono con estrema facilità nell’età adulta poichè vissuti con forte intensità e/o per ripetute volte. Infatti, oggi sentite ansia di fronte a stimoli neutri che hanno una qualche relazione o somiglianza con lo stimolo primordiale, per esempio: - una stanza che ricordi in qualche modo quella originaria; - altre persone che vi fanno tornare in mente quella di vostro padre; - un atteggiamento particolarmente rievocativo; ecc.; ecc.
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Un esempio esaustivo anche se banale è la fobia dei cani: se avete vissuto una situazione spiacevole con un cane quando eravate piccoli è facilmente possibile che tale realtà si ribalti permanendo nella età adulta, attraverso l’induzione di una paura generalizzata a tutti i cani. Con simili esperienze, quindi, vi potreste trovare a riprovare ansia appena constatate la presenza di un stimolo simile a quello originario che vi aveva indotto la reazione di paura. Il condizionamento produce risposte emotive di adattamento che vengono riattivate, come già detto, per contiguità a stimoli incondizionati simili a quelli originari. Ora risulta naturale una domanda: - perchè ci troviamo a vivere tali emozioni il più delle volte con spiacevolezza, inopportunità ed esagerazione? Il perchè ve lo svelo subito, riguarda proprio il fatto che utilizziamo un apparato emotivo ancestrale per fronteggiare dilemmi postmoderni. Per spiegare meglio tale concetto, uso le emozioni più spiacevoli, quelle che gestiscono l’emergenza dovuta a situazioni di lotta o di fuga. Nel caso delle emozioni di paura, e di collera, che sono anche reazioni condizionate di ansia. Qualsiasi stimolo neutrale, come nell’esempio precedente, che colpisca un individuo all'incirca nel momento in cui sia evocata una reazione innata di paura (una di quelle di cui ho parlato nelle precedente parte, cioè quelle utili a gestire in tempo reale le emergenze della vita) acquista il potere di evocarla. Se la paura insorta nella situazione originaria è molto intensa, o se il condizionamento si è ripetuto per un buon numero di volte, la paura condizionata si stabilizzerà instaurando nella persona una paura nevrotica (dico nevrotica perchè non più consona al contesto attuale, e che produce immobilizzazione e mancanza di energia). In tal situazioni la risposta di paura ha una forte probabilità che possa estendersi, costituendo la reazione più veloce di fronte a stimoli che si avvicinano per caratteristiche allo stimolo condizionato. 133
Di fronte a questa realtà appare dunque chiaro, che la loro facile insorgenza di fronte ad una moltitudine di situazioni emotivamente stimolanti, rappresenta un grosso inconveniente. L’incremento del battito cardiaco o della sudorazione per esempio, si verifica anche per stimoli emotivi modesti e profondamente differenti con la minaccia e l'aggressione tipiche risposte di adattamento. Ne consegue che queste reazioni condizionate si attivano, anche con variazioni dell'ambiente che ci impegnano anche se solo leggermente, cioè situazioni dove la nostra capacità previsionale è ridotta al minimo o erronea o addirittura mancante (per es. un incontro con una persona che abbiamo giudicato importante o che non conosciamo affatto; un ambiente di cui non possediamo nessuna conoscenza; in concomitanza di un semplice esame; ecc.; ecc.). La subitaneità, la mancanza del controllo razionale e volontario, fanno sicchè, queste risposte adattive, risultino il più delle volte inopportune e malaccorte. Questa rapidità è essenziale osservandola dal punto di vista adattivo, perchè consente di reagire subitaneamente evitando di perdere tempo in inutili elaborazioni razionali, ma diventa superflua o addirittura fastidiosa nei casi ove ciò non serve più. Riepilogando, nella realtà ci possiamo trovare di fronte a stimoli idonei che provocano risposte adattive, e a stimoli condizionati che possono riuscire a provocarle (esperienza). Tali risposte condizionate possono essere provocate da stimoli condizionati che derivano sia da situazioni ambientali che sociali. Si crea dunque, un nuovo legame tra uno stimolo ambientale-sociale ed una determinata reazione innata dell'organismo. Il risultato è che il comportamento viene influenzato da tali condizionamenti comportando risposte spesso inopportune al contesto attuale. L’individuo infatti, in età adulta si trova il più delle volte inconsapevolmente ad avere spesso dei comportamenti attivati da condizionamenti infantili. Le emozioni che proviamo sono di due tipi, quelle di cui ho parlato fino ad ora cioè quelle preposte all’adattamento che by-passano 134
(saltano) l’elaborazione cognitiva perchè troppo veloci (emozioni prevalenti nel bambino), e quelle conseguenti ad un'elaborazione cognitiva, cioè quelle prodotte dal nostro pensiero e soggette a controllo (emozioni prevalenti nell'adulto). Quest’ultime sono quelle di cui in genere siamo consapevoli dei pensieri che l’hanno prodotte, per cui l’elemento cognitivo gioca un ruolo cruciale nel decidere quali emozioni verranno mobilitate. Mentre nelle prime invece il sentimento sembra anticipare o essere simultaneo al pensiero. Entra dunque in campo, la velocità per le situazioni urgenti, quando è in gioco la nostra vita. L’emozione come derivato dell’attività razionale, è quindi una valutazione immediata nel cui ambito si costruisce subitaneamente il significato positivo o negativo della situazione, il quale è determinato sia dalle caratteristiche degli stimoli ambientali che da quelli personali, cioè i nostri processi costruttivi. Ho detto che questo processo valutativo cognitivo è parte integrante dell'emozione e prepara all’azione attraverso un piano lento ma più preciso. Comunque è altrettanto vero che una regolazione affettiva di minor portata rispetto alla precedente, esiste parallela e indipendente, poichè preposta alla sopravvivenza, tema trattato nelle parti precedenti. In questo ultimo caso l'attività cognitiva non precede l'emozione ma ne viene aggirata, ed in caso di necessità, lo stimolo affettivo raggiungerebbe direttamente i centri preposti all’azione che si predisporrebbero all’adattamento come già asserito.
- l’evitamento e la dipendenza: L’emozione in generale dunque, accompagna ogni atto sensorio, ogni esperienza di qualcosa, e viene vissuta dall'individuo come propensione verso ciò che è valutato come positivo e dall'allontanamento verso ciò che è valutato come negativo, attiva dunque una tendenza di avvicinamento o evitamento. 135
- Che significa avvicinarsi o allontanarsi da qualcosa o da qualcuno? Le strategie dell’evitamento e della dipendenza, essendo strettamente collegate all’emozione negativa da evitare, o all’emozione positiva da raggiungere, si pongono in atto come azioni conseguenti ad esse. Tali strategie costituiscono tipici rituali comportamentali caratteristici di tutte le nevrosi e in particolar modo di quella fobica per ciò che riguarda l’evitamento. - Ma cos’è realmente l’evitamento visto come comportamento patologico? - Perché insorge così facilmente? - Perché ci creiamo inconsapevolmente delle dipendenze, le quali dopo il loro instaurarsi, si impongono coattamente nella nostra vita a tal punto che offrendoci un surrogato di piacere, costituiscono “la droga cognitiva” del nostro vivere, e senza il soddisfacimento delle quali ci sembra di non poter vivere? E’ bene comunque sapere, che i comportamenti di evitamento e di dipendenza sono spesso tra loro collegati: per esempio l’evitamento dovuto alla paura di esporsi in pubblico (parlare; proporre il proprio punto di vista; fare semplicemente dello umor; ecc.), sottende la dipendenza ad avere a tutti i costi una buona immagine sociale, ed in questo caso è proprio la dipendenza che crea l’evitamento di situazioni che si suppongono dannose all’immagine dell’Io. Le idee irrazionali discusse nelle parti dedicate alla Formazione della Conoscenza. esempio: ° devo essere simpatica a tutti per cosiderarmi una persona valida; modello di dipendenza che è causata dal possedere un’immagine negativa di sé; 136
° ho lasciato il lavoro per stare accanto a mio marito, ma non mi sento di chiedergli i soldi per curarmi, modello di evitamento, dovuto al mancato riconoscimento dei propri diritti; ecc., sono esempi di possibili difficoltà adattive dovute a costrutti centrali disfunzionali, quelli che, come ben sapete, riguardano l’immagine di sé. In questo caso i rapporti interpersonali sono problematici e soggetti ad ansia a tal punto che risulta difficoltoso esprimere emozioni, opinioni personali, desideri, critiche, ecc., il comportamento che ne deriva è chiaramente passivo comportando l’incapacità ad affermare se stessi. Dal lato opposto, troviamo un comportamento aggressivo che ha la caratteristica di accentuare l’espressione delle emozioni, del personale punto di vista, dei desideri, critiche ecc., con ottenimento dei propri obiettivi a dispetto degli altri. In sintesi, nel primo caso la conseguenza vicina è proprio l'evitamento che porta alla fine della difficoltà interpersonale, mentre nel secondo è il raggiungimento dell'obiettivo, il subitaneo effetto, evitando però un confronto reale con l’altro. In entrambi i casi al fine di ottenere velocemente la riduzione dell'ansia, fa sicchè si usino comportamenti evitanti che dando un veloce beneficio, costituiscono poi però danno peggiore poichè instaurano condizionamenti rinforzati dalla stessa diminuzione dell’ansia (la ricompensa che mantiene l’evitamento), cioè creano il circolo vizioso evitante, il tutto senza minimamente risolvere il problema iniziale. Per cui le conseguenze generali ottenute nel tempo, sia del comportamento aggressivo che di quello passivo, per quanto erroneamente si possa pensare, sono entrambi disfunzionali. Tali disfunzionalità sono da ricondursi:
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a) psicologiche -- insicurezza, perdita della stima di sé, depressione, sensi di colpa, incapacità a cogliere razionalmente le cause della propria situazione, ecc.; b) somatiche -- emicranie, alterazioni del ritmo cardiaco e respiratorio (facile affanno, asma), ipotonia muscolare, difficoltà all’addormentamento con facili risvegli durante il sonno, disturbi gastrointestinali, ecc.; c) ambientali – difficoltà nelle relazioni interpersonali in ambito lavorativo, affettivo, ecc. . Dunque, l'assunto, è che essendo l'ansia ritenuta in parte, come l'aspettativa di conseguenze penose, l'evitamento produce sollievo proprio per la cessazione dello stato spiacevole (l'iniziale apprendimento di questi comportamenti, avviene in conseguenza di reciprocità disfunzionali (punizioni, rifiuti o privazioni di diritti ecc.) durante il periodo nel quale si costruisce la conoscenza di sé e dell’ambiente,). Pertanto eliminando il comportamento di evitamento seguente, o senza le aspettative negative conseguenti e, non essendo confermata l'aspettativa di eventi terribili, l'ansia si estinguerebbe. Il punto è che tali comportamenti di evitamento, sono rinforzati a livello cognitivo proprio dalla cessazione dello stato ansioso (spiacevole), ed ecco la causa del perpetuarsi del comportamento evitante di situazioni paurose o di oggetti fobici. Infatti, i modelli di comportamento nevrotico, paradossalmente persistono proprio per la loro stessa spiacevolezza. Detto tutto questo, se ne deduce che l’insegnamento opportuno è quello, dopo aver acquisito consapevolezza attraverso l’auto-osservazione di una vostra reazione evitante a un qualche evento particolare, di non tendere ad esimersi da ulteriori contatti con esso. Il motivo di ciò è che un comportamento siffatto potrebbe farvi incorrere in ulteriori conferme sulla vostra inadeguatezza situazionale (che è proprio la causa dell’evitamento), per cui il consiglio è di sforzarsi ad andare contro la 138
vostra abituale tendenza, e prendere contatto con la situazione ansiogena affrontandola gradualmente. Se non faceste così ne potrebbe conseguire, che pian piano che evitate ripetutamente tali realtà avversive, si costituisca una minaccia per la stabilità del vostro sistema mentale, potendo ciò invalidare ancor più le vostre strutture centrali. Così facendo potreste facilmente essere indotti a ritenervi ancora più insicuri di quello che in realtà forse siete, per cui tale convincimento errato causerebbe con facilità ulteriori ostacoli al superamento della situazione, che già possiede una vostra valutazione negativa: problema difficile da affrontare. E’ bene precisare che gli schemi appresi di comportamento evitante, terminano soltanto attraverso esperienze che non vengano rinforzate, la tendenza ad evitare la situazione ritenuta pericolosa, impedisce spesso la scomparsa "spontanea" del comportamento nevrotico. L'evitamento paradossalmente avviene per ipercontrollo dell'esperienza emotiva: il cercare ossessivamente di non porre attenzione a pensieri o a ricordi spiacevoli, i quali si desidererebbe non avere in mente; evitamento ripetuto a livello del comportamento di situazioni ambientali che evochino emozioni spiacevoli; evitamento di determinati luoghi o persone; ecc. Dunque, l'evitamento può caratterizzarvi per quelle situazioni ritenute incerte e rischiose per la stabilità del vostro sistema. Ciò significa che "valutate" la situazione da affrontare, e se pensate di incombere di fronte ad essa, ovviamente scegliete di evitarla. E' chiaro che l'evitamento che è l’opposto all'esplorazione vista come tendenza alla conoscenza del nuovo, può essere talvolta funzionale in quelle circostanze in cui, affrontando la situazione si rischierebbe seriamente di non guadagnare nessun elemento aggiuntivo di conoscenza, anzi di perdere quelli che si possiedono. (esistono casi innumerevoli che affrontarli sarebbe non solo rischioso ma addirittura stupido, come per es. gettarsi da un precipizio, o guidare la propria automobile a duecento all'ora in una strada provinciale ecc., ecc.). 139
Pertanto, la strategia patologica dell'evitamento, vi riguarda solamente se la utilizzaste sistematicamente in ogni contesto, ritenendovi incapaci ad affrontare il nuovo temuto. Detto questo, risulta opportuno che se siete soggetti a paure fobiche (paura dei luoghi chiusi, dei spazi aperti, di un animale o di un luogo in particolare, dell’altezza, ecc., ecc.) è bene che prendiate in mano il problema evitante, e cerchiate di risolverlo sistematicamente.
TECNICHE DESENSIBILIZZAZIONE DELLE FOBIE: Il primo passo da affrontare, è quello di fare un elenco dettagliato degli oggetti o situazioni interpersonali, che vi suscitano una certa ansia poichè ritenuti una minaccia per la propria sicurezza. Secondariamente porre ad ogni elemento fobico una valutazione che rispecchi la difficoltà da voi posseduta ad affrontarlo. Terzo passo è quello di sostenere per prima la situazione temuta con il minor grado di difficoltà, e questo fino a quando l’ansia neurotica che è ad essa collegata cessi. Dopo di che dovreste passare gradualmente alla situazione temuta di grado superiore, e procedere in tal modo fino ad arrivare all’apice della scala. E’ opportuno ribadire che è estremamente importante seguire la desensibilizzazione delle paure gradualmente, poichè se non lo faceste, potreste incombere in un’ansia tale da non permettere di estinguere niente, ed il lavoro non solo sarebbe inutile, ma addirittura dannosa! E’ importante ancora aggiungere, che se affrontare le situazioni temute in vivo risulta troppo difficile per la presenza di eccessiva ansia, potreste procedere attraverso rappresentazioni immaginarie delle situazioni temute, e proseguire nello stesso modo descritto per quelle in vivo. Inoltre per affrontare le situazioni fobiche a livello 140
immaginario, è utile che vi poniate in uno stato di rilassamento al fine di favorire la riuscita del compito (per cui potreste mettervi in posizione supina, poichè risulta essere la più comoda, ed indurvi uno stato di rilassamento come meglio credete, o anche utilizzare una qualsiasi tecnica sistematica di rilassamento, tipo training autogeno inferiore, ecc., ecc,).Il motivo è abbastanza semplice: se c'è rilassamento non può esserci ansia, poichè fisiologicamente l’uno è l’opposto dell’altro.
Ritornando in vivo al tema emozioni, voglio ricordare dei concetti già esposti, il primo è che esse sono il risultato del lavoro di valutazione e di attribuzione di significato ad un determinato stato fisico, da parte del sistema mentale. Il secondo, è che le emozioni da un lato informano l’apparato cognitivo di quando sta per raggiungere o fallire l’obiettivo della massimizzazione della sua capacità di previsione, dall'altro ci comunicano il nostro stato emozionale (sicurezza, ritiro, cooperazione, aggressione, amore, ecc.). Infine che l'intensità delle emozioni è legata all’importanza che un evento possiede in relazione alla previsione che si sta per effettuare su noi stessi o sull’ambiente. Ribadito ciò appare dunque chiaro che le emozioni oltre a comunicarvi le aree dalle quali patologicamente fuggite, vi informano anche di quelle dalle quali siete nevroticamente attratti: le vostre dipendenze, per cui sia le emozioni positive che quelle negative, vi possono mettere in contatto con le vostre "aree di dipendenza" che coattano la vostra vita. Combattere una dipendenza significa semplicemente, andare contro la tendenza che siete soliti avere per quella tale area. Per meglio comprendere i concetti appena esposti, facciamo come al solito un esempio immaginario: - siete con dei colleghi al solito meeting di lavoro dell’esempio precedente che riguardava le metafore, ed in questo caso avete il terrore 141
che vi venga chiesto di parlare in pubblico, una vostra tipica fobia dovuta al fatto che temete per la vostra immagine. Siete convinti di non essere all’altezza di parlare di fronte a tante persone, poichè avete paura di non sapere cosa dire, di balbettare o di perdere il filo del discorso ecc. Con ciò da una parte, vivete ogni momento dell’incontro con ansia ed evitate con impegno di incorrere in quel tale pericolo; dall’altra essendo tale evitamento proprio sorretto dalla dipendenza costituita dal bisogno nevrotico di avere a tutti i costi una buona immagine, pena la depressione, cercate con affanno di soddisfare senza sosta tale bisogno. Ad un certo punto un vostro collega racconta, che sul lavoro avete commesso, in base al suo punto di vista, una scorrettezza nei confronti di un’altro collega, voi terrorizzati dalla maldicenza, cominciate a pensare di aver perso quella buona immagine di cui non potete fare a meno (badate bene che essendo le dipendenze sorrette dal pensiero nevrotico, basta nulla, come nell’esempio, per credere di aver perso un qualche punto), così coattati da tale paura vi impegnate a riconfermarvi la buona immagine, infatti cominciate a colloquiare con i presenti al fine di avere risposte benevoli nei vostri confronti per riottenere quella tranquillità perduta (la dipendenza ha dettato dunque, sia il vostro umore sia il vostro comportamento). Da tutto ciò risulta che una tal persona vive come in una prigione dettata dalla dipendenza ormai erettasi padrona della sua vita. Questo significa che essa vive ininterrottamente alla ricerca di soddisfare tale bisogno, e senza rendersene conto si indirizza sempre verso la stessa direzione, ogni suo movimento sarebbe inconsapevolmente diretto a confermare di essere amato e accettato dal suo prossimo. Badate bene, che è alquanto facile, che ognuno di voi possegga inevitabilmente le sue tipiche dipendenze che decidono la sua vita. Esse definiscono il movimento verso cui vi muovete, ciò che nell’esempio è costituito dalla conferma forsennata di possedere una buona immagine. E’ esatto precisare, che desiderare una buona immagine, di per se stesso, chiaramente non è illegittimo, infatti avere una approvazione o 142
un successo sociale, è un aspetto piacevole da vivere. Ma lo diventa quando ciò emerga padrone della vostra vita. In questo caso. il raggiungimento di tale obiettivo, vi rende avidi cacciatori di ciò che avete posto avanti a tutto. Così lo stesso se poneste in primo luogo nella vostra vita il denaro, l’amore, il potere, ecc.
- emozioni disfunzionali: Infine le emozioni disfunzionali fondamentali che è bene saper riconoscere, possono essere ricondotte alla: - invidia che rende sofferenti per ciò che gli altri hanno ed impedisce il piacere in ciò che si ha,. Un individuo con tale sentimento è sempre insoddisfatto e vive nella completa irrazionalità dovuta al suo pensiero che è irrazionale nella misura in cui non riesce a vedere le cose per quelle che sono, ma solamente in rapporto ad altre. Egli crede dunque, sempre che esistono altre realtà più fortunate della sua, ciò lo porta ad essere incapace di cogliere il gusto della vita, (ad es. si trova affacciato alla finestra vede gli alberi che sono in fiore, il sole è splendente, ma un tale uomo incapace di godere dell’esistenza, si esprimerebbe dicendo: ma la primavera in Sicilia è sicuramente più bella!); - rabbia che non fa accettare le critiche e ci imprigiona nell'errore, costituendo inerzia di fronte alla possibilità di arricchimento conoscitivo. Un soggetto afflitto da tale emozione è ottuso, vive nella convinzione che sia utile respingere ad ogni modo la critica, il suo sistema cognitivo è pertanto chiuso e sistematicamente organizzato di fronte ad ogni possibile invalidazione, l'aggressività rappresenta la sua “arma” per eccellenza, il cui fine è quello di riconquistare una qualche previsionalità perduta a seguito di quelle rare invalidazioni, che riescono a perforare la sua maschera di rigidità, e nel caso che un'invalidazione riesca a scalfire la sua concezione egoica di sé, l'angoscia che ne emerge e che tale soggetto è costretto a viversi, lo renderebbe capace perfino di infierire di 143
fronte a colui che ha osato criticarlo, (talvolta tale emozione sottende una mania di persecuzione)"; - orgoglio che volta a volta abbaglia e accieca, e ci fa vedere solo la nostra soggettività facendoci respingere il senso comune, tale emozione costituisce la stupidità per eccellenza, ed è strettamente collegata alla carenza di umiltà, che rappresenta la qualità prima dell'individuo che possiede un buon funzionamento mentale; - la gelosia e la vanità, sono anch'esse senza dubbio universali, rappresentano un eccellente segnale della limitatezza di un sistema cognitivo"; possono essere considerate anch’esse altre emozioni disadattive. Tutte queste emozioni ovviamente sottenendono specifiche aree cognitive irrazionali, portano a respingere la crescita psicologica, limitando notevolmente la possibilità di incremento previsionale. Allora la cosa più ovvia è quella di possedere accanto alla intelligenza razionale: una emotiva che ci aiuti a meglio gestire le nostre emozioni.
- L’intelligenza emotiva: Cos’è l’intelligenza emotiva? Essa costituisce la capacità di controllare un impulso; di sapersi immedesimare nella emotività vissuta da un’altra persona (empatia); di sapersi gestire nei rapporti interpersonali evitando emozioni spiacevoli; di motivare se stessi per raggiungere una certa meta; ecc. Tali obiettivi si possono ottenere proprio attraverso l’autoconoscenza e nuovi vissuti esperenziali, una conoscenza su larga scala che comprenda tutta l’attività cognitiva dell’intelligenza razionale nonchè di quella emotiva che by-passando il più delle volte, come già detto, la logica della corteccia cerebrale, risulta a sé stessi la più sconosciuta. 144
E’ proprio l’autoconsapevolezza della emozione nel momento in cui essa si presenta, che costituisce il fulcro dell’intelligenza emotiva. Una intelligenza che potreste costruire pian piano con l’esperienza, un’esperienza volta a riconoscere l’emozioni proprie e altrui, portandovi così a controllarle entrambe. Ho già detto in linea sommaria cosa essa rappresenti, e come tale costituisca una componente fondamentale del buon funzionamento psichico. Le caratteristiche che indicano la presenza di una buona intelligenza emotiva, sono: - la capacità di differire la gratificazione perché segnala l’abilità di controllare gli impulsi; - la presenza di speranza, che indica invece maggiore intraprendenza nella vita e obiettivi più ambiziosi, il tutto significa non farsi sopraffare dall’ansia, chiara inibitrice delle prestazioni, e nel non farsi sopraffare dalla depressione in concomitanza di eventuali compiti complessi o di fronte a possibili insuccessi. - la modalità esplicativa ottimista di cui ne ho già lungamente parlato. Quest’ultima è concatenata inscindibilmente con gli attributi di cui sopra, e costituisce fondamento per una buona riuscita nella propria vita. Ricordiamo brevemente, che essere ottimisti significa avere l’abilità di spiegarsi i fallimenti non attribuendone patologicamente le cause a sé stessi, ma a dettagli che si è convinti di poter modificare in futuri tentativi. Dunque in conclusione dal punto di vista dell’intelligenza emotiva, possedere tale attributo, impedisce di cadere nell’apatia o andare a finire nella depressione di fronte a situazioni difficili. - l’empatia che è la capacità di immedesimarsi nelle emozioni altrui, di saper leggere i loro sentimenti. Essa deriva fondamentalmente dall’atteggiamento che si ha verso le proprie emozioni: maggiore libertà abbiamo nell’esprimere i nostri sentimenti, maggiore 145
autoconsapevolezza della propria realtà emotiva e di quella degli altri possediamo. L’abilità di questo tipo rappresenta notevoli vantaggi sul piano interrelazionale, tra cui: maggiore adeguatezza emotiva, simpatia, estroversione e ovviamente maggiore sensibilità. Ma come spiegherò appresso, il temperamento può essere modificato dall’esperienza. Atteggiamenti negativi del tipo impotenza e disperazione, che sono alla base della percezione della propria efficacia, possono essere cambiati, cambiando come sempre i pensieri che li sostengono. E’ ormai palesemente dimostrato il fatto che la convinzione che si ha circa la proprie capacità possiede una grande effetto proprio su quest’ultime. Brevemente per modificare la percezione della propria autoefficacia, è principalmente opportuno che vi convinciate di confrontarvi con determinati compiti, secondariamente di cimentarvi con attività di cui siete portati ad esagerarne le difficoltà. Per far ciò dovreste cercare di razionalizzare e autoincoraggiarvi, perchè il mettersi a confronto con gli altri, rappresenta l'opportunità per avere dei modelli che riescano laddove voi non riuscite, dandovi così una spinta ad aver successo, senza però, ovviamente, cadere nella competizione irrazionale che ha la sua radice esclusivamente nella neurosi. Per cui la cosa più tangibile rimane come sempre la pratica. Infatti è "attraverso l'esperienza del successo" che potreste nutrire più di ogni altra cosa il senso dell'efficacia personale. E' noto da secoli che "nulla conduce al successo come il successo stesso". La vostra presente condizione di fiducia in voi stessi e di equilibrio non è il risultato di ciò che avete imparato, ma di ciò che avete "sperimentato". L'esperienza pratica della vita è maestra dura ed impietosa. Gettate un uomo nell'acqua profonda e l'esperienza gli insegnerà a nuotare, ma la stessa esperienza può far affogare un altro uomo. 146
Dunque nella pratica utile come è noto, si usa proprio l'esperienza per promuovere il cambiamento, che in questo caso è costituito dall’aumento della fiducia in sé stessi, quindi dovete continuamente incoraggiarvi a mettervi alla prova, ma con un piano di sviluppo opportuno, per far sicchè si evitino conseguenze di una pratica avventata. Dovete pianificarvi il raggiungimento di mete con crescenti difficoltà, come detto per la desensibilizzazione sistematica delle fobie.
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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ho iniziato spiegando come si forma la conoscenza che possediamo e che utilizziamo per comportarci nel mondo, cioè quell’insieme di apprendimenti prodotti dalle esperienze, che costituiscono gli ingredienti del naturale corso della vita. E’ la pratica che ci offre l’opportunità per acquisire quelle informazioni nuove, così tanto utili al nostro sviluppo intellettivo, che ci consentono di apprendere quelle capacità previsionali indispensabili per avere quella sicurezza utile al corso felice della nostra esistenza. Conoscere è l’attività prima della nostra vita, sia come promotrice che come obiettivo, conosciamo per conoscere, prevediamo per prevedere. E’ intrinsecamente dentro di noi la fame di conoscenza, il bisogno fondamentale che sovrasta ogni altro. Senza conoscenza non saremmo nemmeno capaci di procurarci del cibo per la nostra sopravvivenza, o una partner per la continuazione della specie, insomma il fine primario che ci accompagna per tutta la nostra vita è proprio l’acquisizione di conoscenza, è la sua massimizzazione che costituisce il motore del nostro divenire. Capire le nostre costruzioni sul mondo, approfondire la comprensione di come siamo e come funziona la nostra mente, ecc., è forse come avvicinarci a comprendere dove ci stiamo dirigendo, è forse indirizzarci verso la comprensione del problema esistenziale fondamentale: chi siamo, dove andiamo, perché esistiamo, ecc. Ho detto che la costruzione conoscitiva si forma strutturalmente per livelli di importanza diversi, dalle costruzioni centrali a quelle periferiche. Le prime sono quelle che riguardano l’immagine di sè stessi, la lente che 148
giudica, interpreta, valuta ogni cosa che giunge ai nostri sensi e che pregiudica le costruzioni epifenomeniche, quelle secondarie costituite dalle costruzioni del mondo. Ogni costruzione possiede quella valenza caratteristica e fondamentale che è la sua relatività, un aspetto che non dobbiamo mai dimenticare, perchè solo acquisendo tale consapevolezza possiamo posizionarci liberamente di fronte alle esperienze: centro del nostro divenire. Una libertà basata sulla accettazione della inesistenza di dogmi o di verità inconfutabili, una libertà promotrice della stessa libertà. Nello scorrere del libro ho proposto come elemento centrale l’autoconoscenza, non è un caso, non può essere un caso che vi proponga di conoscere se stessi come passo propedeutico all’evoluzione personale - conosci te stesso - suggerisce un passo del Vangelo, controlla meglio il tuo pensiero - ci dicono alcune religioni orientali. Dunque l’autoconoscenza sembra proprio essere un passo fondamentale per potersi migliorare, per volgere la propria essenza verso l’Amore, centro di ogni dottrina religiosa. Diventare consapevoli della propria spiritualità, una spiritualità che ognuno di noi possiede ma che pochi conoscono, badate bene, ciò a prescindere da qualsiasi credo religioso. Quello che sostengo è che ognuno di noi possiede posizionato alla superficie o più in profondità, quella spiritualità a egli caratteristica e della quale deve trarre ogni spinta al proprio felice divenire. Liberarsi dalla tirannia del proprio ego, dal bisogno disperato di difendere se stessi e ogni cosa a noi collegato, è il passo fondamentale per la conquista dell’Umiltà psicologica e giungere a scoprire il tesoro che è dentro di noi: l’Amore. Solo la scoperta di esso ci può rendere uomini liberi di essere se stessi e viaggiare verso l’esistenza migliore. Dunque emanciparsi dal dominio del proprio ego, scoprire l’amore che è dentro di noi, è giungere a quella spiritualità che è elemento intrinseco ad ogni esistenza. Autoconoscersi è il fine per eccellenza che costituisce il mezzo per giungere ad un proprio supremo modello di vita. Non esiste un originale universale, una verità al di sopra di tutte, ma esistono infinite verità e ciascuna distingue ogni individuo. L’obiettivo è proprio la fuoriuscita e successivo godimento della felicità che ciascuno di noi cela dentro di sè. 149
Osserviamo i nostri comportamenti, sentiamo con più consapevolezza le nostre emozioni, comprendiamo i nostri pensieri e ci avvicineremo pian piano alla nostra verità. Utilizziamo la nuova conoscenza di se stessi gestendola, impiegandola ed indirizzandola verso il sublime, miglioriamoci dunque, correggendo i nostri errori e da ciò che ci allontana dall’amore, accorgiamoci quindi di ciò che ingrassa ridondantemente il nostro Ego: il flusso dei pensieri falsamente diretto. Sviluppiamo quindi dell’intelligenza emotiva che è quella capacità di coltivare opportunamente quelle caratteristiche che spingono al sociale, all’empatia, all’attenzione verso gli altri. Proponiamoci più duttili al decentramento dei nostri punti di vista, accettiamo le invalidazioni delle nostre costruzioni, delle nostre convinzioni con libertà ed umiltà. Non irrigidiamoci al solo scopo di rallentare involontariamente per inerzia egoica il nostro processo di crescita. Le dipendenze gli evitamenti, le emozioni disadattive e disfunzionali ne sono il prodotto, non posizionamoci sempre in guardia come se avessimo difronte a noi sempre un nemico da sconfiggere o ancor peggio quando questi non c’è fuori lo andiamo a cercare dentro di noi, o in taluni casi estremi pensiamo di aver nemici dentro e fuori. Non inganniamoci con tale esagerata facilità, non diventiamo vittime dei nostri pensieri. Lasciamo scorrere l’amore che è dentro di noi e sicuramente la nostra spiritualità non tarderà a premiarci.
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RIEPILOGO INSIGHTS
^la consapevolezza dell’inesistenza di normative assolute sia nelle sovrastrutture culturali, nonchè nella nostra semplice cultura personale alla quale ci atteniamo quando ci comportiamo. ^ la consapevolezza che in base al nostro personale punto di vista, cerchiamo di predire e controllare il corso degli eventi a noi significativi, attraverso l’elaborazione di teorie e la verifica delle nostre ipotesi. ^la consapevolezza della natura relativa della nostra conoscenza di noi stessi e del mondo, che se errata é la causa della nostra infelicità; ^la consapevolezza della possibilità di costruire una conoscenza più funzionale. ^la consapevolezza che se siamo disturbati al presente da un qualche evento passato, ciò vuol dire che necessariamente stiamo ancora utilizzando le stesse convinzioni che hanno causato il disturbo. ^La consapevolezza che una ostinata difesa del proprio Io comporta la chiusura all’apprendimento, cioè il non godere dell’esperienza. 151
^la consapevolezza che il nostro comportamento dipende dal nostro linguaggio interiore. ^la consapevolezza che il nostro comportamento può essere cambiato non solo modificando i pensieri consapevoli, ma anche, dopo una opportuna auto-osservazione e riconoscimento, modificando l’automatismo interiore. ^la consapevolezza che le percezioni o interpretazioni della realtà non coincidono con la realtà stessa; ^la consapevolezza che le interpretazioni della realtà dipendono dai processi cognitivi che sono inerentemente fallibili. ^la consapevolezza che è il nostro modo di pensare, il nostro sistema si convinzioni ad essere l’artefice della nostra vita, sia essa felice o infelice; ^la consapevolezza che le convinzioni sono ipotesi previsionali di come i fatti accadono o di come sono accaduti, pertanto sono soggette a disconferma e a modificazione". ^la consapevolezza che le emozioni sono il risultato dei nostri significati percepiti, ed è il loro uso inappropriato che ci rende la vita infelice.
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SCHEDE Soluzioni dell’esercitazione pratica di pag.115 EVENTI ATTIVANTI PENSIERI CONSEGUENZE - Non mi ha salutato. Perché ce l’ha con me; ………………………. - si comporta così,
apposta per farmi ingelosire;
……………………….. ……………………….
- tutto quello che dice,
è per provocarmi;
………………………..
- mi ha tenuto il broncio,
per farmi sentire colpevole;
………………………... ………………………...
- si è comportato così,
per farmi stare in imbarazzo,
.……………………….. …………………………
- c’è che la camicia che mi hai lavato è ancora sporca,
perché non ti importa nulla di me;
………………………… ………………………… …………………………
- smettila di gridare,
ma che lo fai apposta; …………………………
- sono andato a ritirare l’auto dal meccanico, ma è ancora sporca,
se ne frega proprio di me;
…………………………. …………………………. ………………………….
- mi rimproverano che arrivo sempre in ritardo,
lo fanno perché vogliono licenziarmi;
………………………… …………………………
- Giuseppe mi ha chiesto soldi in io prestito per ripetute, volte in questo mese,
fa così perché sa che ………………………… non sono avaro; ………………………… …………………………. ………………………….
E’ chiaro da quanto detto, che le conseguenze derivate da simili interpretazioni non possono essere altro che negative. Pertanto per dare risposte funzionali tali interpretazioni dovranno essere e razionalizzate. 153
EVENTI ATTIVANTI
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PENSIERI
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CONSEGUENZE
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Finito di scrivere nel giugno 1999 Maurizio Mazzani Bracciano , via degli orti, 5
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IncrementIamo la nostra conoscenza dI come I fatti psicologici avvengono. Comprendiamo i meCCanismi mentali preposti alla costruzione del mondo e di noi stessi. ConosCiamo le “regole personali di vita, gli schemi e assunti base” che guidano la nostra esistenza. Riconosciamo quelle peRlopiù disfunzionali, e scopriamo come possiamo cambiarle per poter realizzare una vita più indipendente e soddisfacente. Diventiamo consapevoli Del come utilizzare al meglio il nostro magnifico apparato mentale, non utilizzandolo più a nostro svantaggio, godiamocelo in tutta la sua potenzialità creativa. Una vita libera dalla prigione psicologica, é una vita segnata dalla felicità... viviamocela!
Dott. Maurizio Mazzani laureato in Psicologia applicativa all’Università “La Sapienza” Effettua studi in psicologia cognitiva post-razionalista per applicarli all’evoluzione personale. Lavora come psicologo e Psicoterapeuta a Roma e a Bracciano ed é Presidente dell’Istituto Dyer Di Roma dove effettua Corsi di Psicologia diretti alla crescita personale cell. 03383412941.
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