Il vangelo del terzo millennio

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Francesco Zanelli

Il Vangelo del Terzo Millennio Ovvero dell’Antica Chiesa Nazorea Chiesa fondata dal Maestro Gesù di Nazareth La vera storia di un patto d’Amore che né il tempo, né la cattiveria umana, potranno mai scalfire.


Prefazione “La Legge e i Profeti vanno fino a Giovanni; da allora c’è il lieto annunzio del Regno di Dio e ognuno usa violenza per entrarci”. La stesura di questo Vangelo ha richiesto anni di affannose ricerche non solo sui vangeli esposti nel Nuovo Testamento della vulgata, ma anche e in modo particolare sui vangeli apocrifi, i testi gnostici, i manoscritti antichi e su altra letteratura di sicura origine e autori vari. Tutta questa letteratura, tesa allo studio e alla riscoperta delle fonti originali da cui sgorga una religione, vuole dimostrare a quel vasto pubblico, che per anni ha conosciuto, spesso malamente, soltanto i vangeli del Nuovo Testamento, l’esistenza di una storia che possiamo con lettere maiuscole definire “Vangelo”, la quale descrive in modo mirabile le vere vicende che, dalla nascita di Maria, si svolgono con dovizia di particolari fino alla resurrezione del Cristo. L’intento che nel corso del tempo ha motivato costantemente la ricerca è quello di offrire a tutti gli assetati di verità un nuovo cammino all’interno dell’immutabile religione cristiana, che da duemila anni predica una via di verità e di vita unica nel suo genere. Con questo non voglio dire che altre religioni, come quella buddista, quella islamica e via dicendo, non nascondano delle verità, perché sarebbe grave errore solo pensarlo. Ogni religione è stata rivelata quasi sull’impronta dell’uomo che doveva metterla in pratica e un Asiatico differisce da un Occidentale in moltissimi aspetti caratteriali e sociali. Questo non esclude assolutamente che l’Orientale si voti al Cristianesimo e viceversa. Ciò avviene perché importanti verità accomunano i vari credi sparsi per il globo terraqueo e, quando queste verità vengo7


no scoperte, attraggono fortemente, non importa quale religione le abbia evidenziate. Non va dimenticato, inoltre, che Gesù nella parabola del buon pastore dice: “... ho ancora altre pecore che non sono di quest’ovile; anche quelle io devo radunare...”. Con questo si dimostra che molte altre credenze possono confluire nel Cristianesimo, forse prima fra tutte quella Islamica; infatti, lo stesso Maometto fu un rispettoso osservatore delle idee cristiane, dell’immagine stessa di Cristo e di sua madre Maria. Chissà, se non fosse stato per la proverbiale caparbietà ebraica con la quale si scontrò, magari oggi anche l’Islam sarebbe cristiano. Il mio intento non è stato solo quello di colmare una lacuna che datava da troppi anni e stava per divenire una voragine incolmabile, ma soprattutto quello di offrire, a chi ha voglia di riprendersi il Cristo che più non trova, una strada dove non solo i consigli di bene e di amore trionfano, ma dove un insegnamento rimasto occulto per secoli si vuole riproporre quasi a ridestare gli animi assopiti dalla nuova e purtroppo sempre emergente Sodoma e Gomorra! Quindi il Vangelo scritto in questo libro rappresenta una nuova interpretazione delle vicende che interessarono la vita di Gesù di Nazaret. Ha le sue basi non nella fantasia, ma in attente e lunghe ricerche storiche, come pure nel confronto, nella fusione a incastro e nell’ordinamento, il più possibile cronologico, dei fatti narrati negli antichi scritti dei canonici e di varie testimonianze orientali, ebraiche, egiziane, arabe ecc. Sicuramente è troppo riduttivo far narrare la vita di una potenza qual era Gesù da quattro narratori soltanto e in maniera così restrittiva, anche se tale suddivisione ha importanza ai fini ermetici. Si sa che i discepoli diretti, perché viventi quando Gesù predicava, erano oltre settanta; quindi, se ognuno di loro avesse avuto almeno altri quindici discepoli, si può contare un totale di oltre mille discepoli tra diretti e indiretti, escludendo la massa dei credenti non discepolizzati. I discepoli certamente conoscevano la vita del loro maestro e, sebbene solo un terzo abbia scritto o tramandato qualcosa, possediamo una quantità enorme di dati su cui lavorare! Sugli evangelisti e su quanto trasmesso da una parte di questi discepoli primari si basa dunque la storia che qui è narrata. La figura di Gesù è nuova, più ricca, più umana e meravigliosamente divina. Finalmente si capisce il significato della sua triplice 8


persona, delle fatiche terrene e della potenza celeste. Gesù, un essere umano (... il Figlio dell’uomo...) che ha dimostrato a tutto il mondo come redimersi dal peccato di ignoranza, ha operato in maniera chiara, perché tutti i chiamati alla mensa del Signore capiscano. Non c’è bisogno di radersi la testa e di indossare un sacco per trovare il Signore; che si chiami Gesù o Krishna è sempre Lui e non ha mai chiesto ai suoi discepoli di cambiare l’abito di stoffa, bensì quello di carne! Se leggerete la Bhagavad Gita, vi accorgerete che essa è un inno alla purificazione e al controllo dei sensi, è praticamente un’introduzione, una preparazione alla Scienza e all’incontro con Dio. Ma Dio cos’è? Dio è l’Essere infinito, l’Ineffabile, è la Legge che governa con equilibrio il visibile e l’invisibile; conseguenza della sua scissione è l’apparente dualità Spirito-materia. Per Se stesso, quindi per la stessa legge di equilibrio, l’uno è diventato due e il due tornerà all’uno, perché ogni passaggio dall’unità alla dualità implica, in questo equilibrio, il ritorno dalla dualità all’unità. La creazione di un Universo, poiché più di uno ne esiste, è un’espressione della mente dell’Infinito. Come sorto dal nulla, un lampo improvviso squarcia il buio aprendosi in mille diramazioni e, come scintilla nella polvere pirica, miliardi di soli e galassie irrompono luminosi nella nuova esistenza... l’aurora di un giorno brahamanico... “e sia la luce ...e la luce fu”. Lo Spirito si è trasformato in energia, l’energia in materia e ogni goccia racchiude il suo Creatore: Chitta, Prana, Akasha, la mente, il soffio e l’etere. Dio è Amore e l’amore è la forza che muove l’Universo, fa nascere e morire le stelle e fa ruotare la Terra attorno al Sole. Noi conosciamo, su questa Terra, due tipi d’amore: - l’amore magnetico che fa perpetuare le specie - l’amore cristiano L’amore cristiano è la rispettosa devozione per: - tutto ciò che si muove sulla terra e per la terra stessa; - tutto ciò che si muove nell’aria e per l’aria stessa; - tutto ciò che si muove nell’acqua e per l’acqua stessa. L’amore cristiano si esprime: 9


- nel lavoro senza pensiero di compenso; - nella dedizione agli altri, perché noi abbiamo bisogno di aiuto; - nell’alleviare le sofferenze, perché siamo noi che soffriamo; - nel rispetto verso la nostra persona, perché ci è stata data in prestito dal nostro Padre misericordioso affinché si possa, ancora una volta, pensare a Lui.

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Le Fonti Mi sono basato principalmente su testi antichi, lasciandone intatta la maniera narrativa anche quando il linguaggio poteva sembrare antiquato o ripetitivo; credo infatti che l’antico insegnamento debba essere trasmesso come i saggi di allora tramandavano le sacre informazioni. Ho svolto un lungo lavoro di comparazione sui testi apocrifi, scegliendo solo quelli che dimostravano, proprio con la ripetitività, una maggiore sicurezza dell’informazione; sulle bibbie più recenti è stato svolto lo stesso lavoro, accompagnato da un’attenta opera di ricerca su testi giudaici, mussulmani e altri. Una bibliografia essenziale riporta i testi più importanti, che qui possono essere divisi in testi cristiani cattolici, cristiani non cattolici e non cristiani.

Testi cristiani-cattolici Tra questi testi ricordo alcune edizioni di bibbie che hanno fornito la base per il testo canonico, in osservanza con i dettami del cattolicesimo che definisce il canone come norma o criterio per giudicare ogni cosa. Come testo base è stata adottata la Sacra Bibbia nell’edizione UTET del 1979; a questa si sono aggiunte, per leggere differenze espressive, la Bibbia di Gerusalemme, la Bibbia della Civiltà Cattolica, La Biblia Vulgata delle ed. S. Paolo e l’antica Bibbia dell’Editrice Fiorentina nell’edizione del 1960, utilissimo testo che è servito ad aggiustare alcuni termini ed espressioni. Validi si sono dimostrati anche alcuni vecchi messali, come quello “Romano-Seraphicum” nell’edizione del 1924, che riportano fedelmente abitudini religiose prima della trasformazione della Santa Messa ad opera di Paolo VI. 11


Come ultimo testo qui elencato, ma non per questo meno importante, cito la “Vita di Gesù Cristo” di Giuseppe Ricciotti, nell’edizione de “il Bosco Marzo” del 1965. Questo testo presenta egregiamente il mondo giudaico-romano all’epoca di Cristo, illustrandone abitudini, vizi e virtù.

Testi cristiani non cattolici Questi testi, che in opposizione a quello canonico sono stati chiamati Vangeli Apocrifi e che, rispettando la presa di posizione del cattolicesimo, posso definire non cattolici, sono da considerarsi cristiani a tutti gli effetti. Gli autori sono stati discepoli diretti o indiretti di Cristo e quanto da loro riportato non può ritenersi meno importante di quello che hanno narrato gli evangelisti, spesso riprendendolo da queste medesime fonti; alcuni evangelisti, infatti, hanno scritto diversi anni dopo la risurrezione di Cristo. I testi sono definiti Apocrifi perché esclusi dal canone della Bibbia, ma sotto il profilo formale-letterario sono analoghi ai neotestamentari. La parola apocrifo deriva dal greco e indica, tra l’altro, “qualcosa che è tenuto nascosto a causa della sua preziosità”, ma gli scrittori ecclesiastici si servirono di questo termine per respingere qualsiasi dottrina esoterica o gnostica, attribuendogli così un senso peggiorativo. Nell’antichità, gli apocrifi si moltiplicarono notevolmente, soprattutto per il desiderio di scrivere detti e fatti della vita di Cristo con amplificazioni e adattamenti all’Antico Testamento. Ebbero dunque un compito letterario notevole, cioè quello di fissare i generi e le forme della prima letteratura cristiana. Se i canonici determinarono la fisionomia della Chiesa, nei primi secoli vi furono anche forme di predicazione e catechesi differenti fra di loro; ne sono testimonianza i nuovi studi e le scoperte sugli Ebreo-cristiani in Palestina e in Egitto con gli scritti di Nag Hammadi, i quali dettero origine a scritture apocrife. Molti cristiani conoscevano il vangelo solo sotto questa forma e, sicuramente, gli scritti più antichi furono redatti da persone che erano in perfetta buona fede. In effetti, l’antica letteratura dei vangeli sorse in ambiente prettamente cristiano e rappresentò qualcosa di singolare e unico nel suo genere, qualcosa che corrispondeva ai bisogni della predicazione e del culto. La letteratura apocrifa fu la genuina continuazione e lo sviluppo di questa prima letteratura evangelica, 12


nella quale si avverte l’influsso della tradizione orale di Marco o di Matteo, poi alterata da quella greco-romana. Gli apocrifi hanno rappresentato, a volte, l’unica fonte di informazione di certe correnti cristiane, tanto che qualche studioso ha prospettato la seria ipotesi della superiorità di una parte della letteratura apocrifa neotestamentare su quella canonica, ipotizzando inoltre il fatto che i più antichi vangeli apocrifi siano stati gli ispiratori di quelli canonici. Per uno studio storico e oggettivo sulla liturgia e i dogmi della Chiesa non è quindi possibile prescindere dalla letteratura apocrifa, la quale può fornire materiale risalente alle più antiche e autentiche tradizioni cristiane. In effetti, l’opposizione contro gli apocrifi, scatenatasi a partire dal IV secolo, non fu in grado di distruggere la grande vitalità di questa letteratura che, nonostante tutto, riuscì a influenzare la letteratura cristiana, l’arte e la stessa liturgia. Proprio da questi antichi testi conosciamo: i nomi dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna, venerati dalla Chiesa come santi; la presentazione di Maria al Tempio; la nascita di Gesù in una grotta e la presenza, ricca di simbolismo, del bue e dell’asino; i tre re magi e i loro nomi; i nomi dei due malfattori crocifissi con Gesù, Dima (Disma) e Gesta; il nome del centurione che colpì Gesù con la lancia, Longino; la storia di Veronica eccetera. Quindi, in perfetto accordo con Luigi Moraldi, possiamo affermare che “Gli apocrifi del Nuovo Testamento contribuiscono alla conoscenza delle correnti religiose, delle dottrine, delle tendenze spesso eterodosse esistenti tra i cristiani dei primi secoli. La lettura di questi scritti, oltre a rivelare la fede semplice del popolo, ne rivela pure le ansie e le curiosità, ci fa comprendere molti monumenti dell’arte e della letteratura cristiana, … [e] contengono qualcosa di autentico e venerabile, anche al di là di quello che è il loro innegabile valore di testi di letteratura popolare”. Il lavoro sugli apocrifi è stato lungo e comparativo; sono stati analizzati nove vangeli tra i più noti e importanti, integrandone le informazioni con i manoscritti di Qumran e di Nag Hammadi. Ho riportato inoltre il vangelo di Tommaso, perché molto di questo scritto si ritrova anche nei vangeli cattolici, dove la frammentazione, fatta da precedenti trascrittori con pochi scrupoli, non comunicava un’informazione sufficiente sull’insegnamento del Cristo. 13


Testi non cristiani I testi non cristiani sono serviti per alcune conferme storiche. Quelli del giudaismo ufficiale ci confermano la persona e le opere di Gesù di Nazaret, in particolare come avvenne il distacco del Cristianesimo dal giudaismo, il quale non conservò un patrimonio d’informazioni su Gesù, ma si limitò a riferire quello che apprendeva da fonti cristiane, dandone una personale e deformata interpretazione. Importanti sono le fonti di Flavio Giuseppe nelle due pubblicazioni “la Guerra Giudaica” e le “Antichità giudaiche”, in cui si riscontrano persone del mondo giudaico e romano nominate anche nei vangeli; tra queste si narra della morte violenta di Giacomo, fratello dei Gesù, e di Gesù stesso, che l’autore definisce: “… maestro di uomini… e… facitore di opere straordinarie…”. Altri testi (il Corano, Il Messia ecc.) sono serviti come fonti di notizie storiche per gli avvenimenti dell’epoca cristiana.

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L’Ambiente Le vicende narrate in questo vangelo si svolgono in una regione bagnata dal Mediterraneo e chiamata Palestina fin dai tempi di Erodoto. Essa è limitata a settentrione dal Libano e a mezzogiorno dall’Idumea, dalle regioni desertiche e dal Mar Morto; la superficie totale è molto simile a quella della Sicilia. L’intera regione è attraversata da un avvallamento lungo il quale scorre il fiume Giordano, che nasce dal monte Hermon e forma alcuni laghi, tra cui il lago di el-Hule e quello di Tiberiade, sfociando infine nel Mar Morto. Lungo la costa mediterranea vi sono due porti naturali: Tolemaide (Akka) e Caifa (Haifa). La capitale Gerusalemme, vera roccaforte del giudaismo, era però in contrasto con la vicina Samaria. I Samaritani infatti si ritenevano unici cultori del Dio Jahvè e discendenti degli antichi patriarchi, per cui avevano eretto un tempio esclusivo sul monte Garizim, in contrapposizione al tempio di Gerusalemme. Questi motivi erano all’origine di continue ostilità tra Samaritani e Giudei. A Oriente la Transgiordania, terra verde e ben irrigata, era stata per molto tempo sede di insediamenti aramaici, ma la colonizzazione ellenica dette la prevalenza all’elemento greco, rappresentato soprattutto dalla Decapoli. Ai tempi di Gesù, le città in quest’area erano dieci, di cui solo una, Scitopoli (Bethshan-Beisan), sorgeva al di qua del Giordano. Le altre città erano Damasco, Canata, Rafana, Ippo, Dio, Gadara, Pella, Gerasa e Filadelfia. Trattandosi di una regione subtropicale, in Palestina le stagioni non sono ben distinte; la temperatura può variare dai 10 ai 50 °C, con piogge estive molto rare e precipitazioni invernali abbondanti. 15


Nel periodo invernale la temperatura media è di 10-15 °C e le nevicate sono scarse. In questo ambiente nacque Gesù, sotto un re, Erode il Grande, che non era né giudeo, essendo sua madre Kypros araba e suo padre Antipatro idumeo, né re per sangue reale, dato che nessuno dei due era di stirpe regia. Gli Idumei poi, erano considerati bastardi, cioè non giudei originali e infatti la loro conversione aveva avuto luogo appena centodieci anni prima di Cristo; come cita Giuseppe Flavio nella Guerra Giudaica, essi erano di carattere turbolento e disordinato, inclini alle sommosse e agli sconvolgimenti. Erode fu un concentrato di tenacia, sontuosità, magnificenza, crudeltà e brutalità. Emerse praticamente dal nulla e riuscì a conquistarsi il trono che già Antipatro aveva minato con i suoi intrighi, soprattutto grazie all’aiuto di Roma. Fu un fedelissimo di Cesare, ma anche di Cassio, Antonio e Ottaviano, in pratica di chiunque reggesse il potere. Nel 40 a.C. fu proclamato re sotto i consoli Asinio Pollione e Domizio Calvino per volere di Antonio e Ottaviano e, di conseguenza, ringraziò Giove dal Campidoglio. Più tardi, a Gerusalemme, ringraziò Jahvè; per lui un dio valeva l’altro. Così continuò; mentre ricostruiva il Tempio a Gerusalemme, con grande gioia dei Giudei, edificava in Samaria e a Cesarea templi pagani in onore di Roma. Eleggeva i sommi sacerdoti e con altrettanta facilità li cacciava, quando non li decapitava come faceva con i Farisei e i dottori della legge tutte le volte che non si accordavano con il suo pensiero. La sua corte poi era tra le più fastose, nonché oscene, d’Oriente, arricchita dai tesori trafugati dalla tomba di Davide e dalle tasse notevolmente pesanti. Ma il fasto e la ricchezza ben si addicevano alla crudeltà, alimentata continuamente dalla paura di essere spodestato da congiure sibilline, con cui si difendeva uccidendo tutti quelli che non godevano della sua piena fiducia. Subito dopo la conquista di Gerusalemme trucidò quarantacinque partigiani avversari; nel 35 a.C. fece affogare in una piscina di Gerico il cognato Aristobulo, fratello di sua moglie Mariamne; nel 34 fece uccidere Giuseppe, marito di sua sorella Salome, e nel 29 uccise anche sua moglie, accusata di tradimento. Il dolore lo fece impazzire, tanto era innamorato di Mariamne, e ordinò ai servi del palazzo di chiamarla ad alta voce come se fosse ancora viva. Pochi mesi dopo uccise anche Alessandra, madre di Mariamne. Nel 25 a.C. fece eliminare Kostobar, secondo marito della 16


sorella Salome. Dalla moglie ebbe i figli Alessandro e Aristobulo, che lui diceva di amare. Quando però questi tornarono da Roma, dove erano stati educati alla corte di Augusto, Erode li uccise contro il volere di Augusto stesso. Quest’ultimo in seguito affermò che era meglio essere un porco di Erode che un suo figlio; almeno il porco sarebbe stato risparmiato, perché essendosi fatto giudeo, il re non poteva mangiarlo. Assillato dalla nascita, nella vicina Beth-lehem, di un altro pretendente al trono, vi inviò un manipolo di soldati che sterminarono tutti i minori di due anni (Matteo 2-16). Infine, cinque giorni prima che giungesse la fine della sua scellerata esistenza, fece uccidere anche il primogenito Antipatro, che era già stato eletto suo successore. Non contento, sapendo che la sua morte sarebbe stata momento di intensa gioia per molti, convocò a Gerico, dove risiedeva durante la malattia, molti Giudei tra i più insigni e li fece rinchiudere nell’ippodromo, ordinando di ucciderli tutti subito dopo la sua morte. In questo modo si sarebbe assicurato lacrime ai suoi funerali. Erode fu dilaniato da sofferenze atroci provocate da una malattia che durò molti mesi e morì all’età di circa settant’anni. Correva l’anno 750 di Roma; fu sepolto all’Herodium, una collina da dove si poteva scorgere, a sei chilometri di distanza, Beth-lehem: lì, circa due anni prima, era nato Gesù. A Erode successero i figli Archelao, Antipa e Filippo, che ricevettero da Augusto i territori a loro assegnati in eredità. Archelao venne fatto etnarca con la promessa che avrebbe ottenuto il titolo di re soltanto se ne fosse stato all’altezza, Antipa e Filippo ricevettero entrambi il titolo di tetrarca. Archelao resse poco; nel 6 d.C. venne destituito e i suoi territori furono annessi all’impero. Il tetrarca Erode Antipa resse di più, ma a minarne le fondamenta provvide la famosa Erodiade. Questa era figlia di Aristobulo (a sua volta figlio di Erode il Grande) e moglie di Erode Filippo, anch’egli figlio di Erode il Grande. Erode Filippo viveva a Roma privatamente e intorno all’anno 28 d.C. Antipa si recò a trovare il fratello. Motivi passionali o di potere portarono Erodiade e Antipa a tramare una fuga che li avrebbe visti uniti in Palestina. Così Antipa ripudiò la moglie, che se ne tornò da suo padre, re Areta, confinante di 17


Antipa. Areta giurò di vendicarsi. Erodiade, con la piccola figlia Salome, partì da Roma e si stabilì presso Antipa. Le leggi tuttavia erano state violate e si fece un gran mormorio, anche se nessuno, eccetto Giovanni il Battista, aveva il coraggio di dichiarare la verità in faccia ad Antipa. Giovanni fu per questo imprigionato a Macheronte e vi rimase molti mesi, per poi venire decapitato come narrano i vangeli. Antipa non ebbe comunque sorte migliore; Erodiade, con la sua brama di potere, lo spinse nuovamente a Roma per chiedere a Caligola il titolo di re, ma questi fu preavvisato da lettere calunniose del suo amico Agrippa I, il quale si era già stabilito nei territori confinanti con Antipa. Caligola destituì quindi Antipa e lo inviò in esilio a Lione, nelle Gallie, lasciando però libera Erodiade, che comunque seguì Antipa. Filippo, terzo erede di Erode il Grande e tetrarca, governò i suoi territori in maniera giusta; finì per sposare la ballerina Salome, figlia di Erodiade, di circa trent’anni più giovane; con lei ricostruì totalmente la città di Panion, che chiamò Cesarea, detta di Filippo (Banias), e la borgata di Bethsaida, che chiamò Giulia in onore della figlia di Augusto. La Giudea presentava delle difficoltà di gestione e amministrazione, per cui l’incaricato dell’Imperatore si valeva di subalterni in modo da poter condurre al meglio le varie attività come esercito, tasse, affitti ecc. All’epoca la carica di procuratore veniva ricoperta da Ponzio Pilato e suoi collaboratori principali nella riscossione erano gli esattori e i Pubblicani. In quel periodo esistevano altri raggruppamenti importanti; i principali erano rappresentati dai Farisei e dai Sadducei. Questi due gruppi si trovavano in contrasto tra loro per motivi morali e, in base ai principi del giudaismo, ognuno si riteneva depositario del supremo statuto religioso. I Sadducei ritenevano la Torah la Legge per eccellenza, mentre i Farisei affermavano che essa non era la sola e che dovevano essere tenuti in considerazione anche gli innumerevoli precetti della tradizione, ossia la cosiddetta Legge orale. I dottori della Legge e gli Scribi avevano il compito di elaborare e trascrivere tutto il materiale della tradizione giudaica. Gli Erodiani infine formavano un gruppo, anche se di minore importanza, composto da Giudei che sostenevano 18


la dinastia degli Erodi. Un altro gruppo importante era rappresentato dagli Esseni, considerati una setta religiosa, però non come gli Zeloti e i Sicari, che erano praticamente eredi dei Farisei nonché semplici fanatici applicatori della legge religiosa. In particolare i Sicari, così chiamati per il corto pugnale che portavano, detto dai romani sica, costituivano gli aggressivi esecutori della legge al comando degli Zeloti e contro l’invasore. Gli Esseni erano una vera associazione religiosa; sparsi un po’ in tutta la Palestina, contavano circa 4.000 uomini e avevano la loro sede principale a En-Gaddi, sul Mar Morto. Erano votati al celibato, al silenzio e alla povertà individuale e tutti i beni erano in perfetta condivisione. Si dedicavano all’agricoltura per il sostentamento; il commercio e la fabbricazione di armi erano proibiti ed essi portavano una tunica bianca. Dedicavano molto tempo alla preghiera, che iniziava al mattino con il ringraziamento al Sole, ripetuto al tramonto; i pasti erano preceduti da purificazioni ed erano presi con atto di cerimonia sacra. Il giuramento era proibito, tranne quello per l’affiliazione, mentre si incoraggiava lo studio dei testi sacri e di quelli ritenuti segreti. Credevano nella sopravvivenza dell’anima e si dedicavano alla cura delle malattie con terapie naturali, psichiche e spirituali. Erano guidati da un Maestro di Giustizia e l’ultimo sembra sia stato Gesù. Dopo la rivolta contro Roma, gli Esseni scomparvero e non si ebbero altre notizie storiche. I Giudei avevano conservato le loro leggi religiose e nazionali anche sotto la dominazione romana. Il centro di tutto era Gerusalemme, ove si trovavano anche il Tempio di Jahvè e l’intero ordine teocratico. All’epoca di Gesù i sommi sacerdoti erano Anna e Caifa. Anna fu eletto da Quirino dopo la destituzione dell’etnarca Archelao, nel 6 d.C.; Caifa, genero di Anna, fu eletto nel 18 d.C. da Valerio Grato. Anna fu deposto dopo circa dodici anni, ma conservò una notevole autorità, poiché riuscì a controllare i pontificati successivi, che toccarono ai figli e al genero. Oltre al grande sacerdote, il tempio era servito dai Leviti, distinti in sacerdoti e semplici operatori che aiutavano i sacerdoti. Questa classe sacerdotale aveva pieno potere religioso, che a volte gestiva con arroganza, non esitando a spartire anche la direzione degli affari pubblici col procuratore romano. Tutto questo non la rendeva 19


amata dal popolo; infatti, tanto Flavio Giuseppe che Cornelio Tacito narrano che un giorno, nel periodo precedente la catastrofe nazionale e la distruzione del Tempio, “nella festa che si chiama Pentecoste, essendo giunti i sacerdoti nel Tempio interno – com’era loro costume negli uffici liturgici – questi affermarono che dapprima avevano avvertito una scossa, poi un colpo e una voce: “Noi ce ne partiamo di qua”. Se si pensa che nel Tempio dimorava il Dio d’Israele, Jahvè, che si esprimeva spesso in prima persona plurale, si capisce come anche Dio avesse deciso di abbandonare il Tempio servito dai discendenti di Levi e di Eli. Di lì a poco il Tempio, rimasto vuoto, crollò. Meno importante del Sommo Sacerdozio era il Sinedrio, influente associazione religiosa composta da settantuno membri divisi in tre gruppi: il primo gruppo comprendeva i Sommi Sacerdoti; il secondo era composto dagli Anziani, l’aristocrazia laica; il terzo includeva gli Scribi o Dottori della Legge ed era formato da laici Farisei, da alcuni sacerdoti e da Sadducei. Il Sinedrio discuteva praticamente qualsiasi causa religiosa e civile attinente alla Legge giudaica. Importante luogo di preghiera era l’oratorio, più tardi chiamato Sinagoga, che rimase sempre una cappella sussidiaria al Tempio anche dopo la sua distruzione. Generalmente era costituita da una sala rettangolare, nella quale i fedeli entrando rivolgevano il volto in direzione di Gerusalemme. In Galilea tali ambienti avevano sovente l’ingresso sul lato meridionale, appunto verso Gerusalemme, quindi i convenuti erano rivolti verso l’ingresso. Vi potevano essere stanze laterali e affreschi alle pareti; al centro era situato l’armadio sacro, in cui si custodivano i rotoli delle Scritture. Vi erano poi candelabri e lampade sacre. Le adunanze avvenivano di sabato, nei giorni festivi, ma, se necessario, anche il lunedì e il giovedì. Si iniziava con la lettura dello Shema (Ascolta...!), composto da passi del Pentateuco; si passava poi allo Shemone’esre, diciotto brevi preghiere, quindi si leggevano la Torah e i Profeti. Si concludeva con un discorso che traeva spunto dalle letture compiute e poteva essere tenuto anche dai presenti. Il tutto terminava con la benedizione sacerdotale la quale, in mancanza di sacerdoti, poteva essere recitata da tutti i convenuti. Ogni buon Ebreo era circonciso; questo segno era la dimostrazione dell’appartenenza alla nazione di Dio Jahvè e doveva essere praticato a tutti i bambini nell’ottavo giorno dalla nascita. Inoltre, si doveva osser20


vare scrupolosamente la festività del sabato; questo comportava importanti restrizioni, che andavano dall’astenersi da qualunque necessità corporale fino al divieto di spegnere anche una sola lampada o sciogliere il nodo di una corda. In seguito furono ammesse delle eccezioni, per esempio il nodo poteva essere sciolto con una mano sola, nel qual caso non vi sarebbe stata violazione del sabato. Era inoltre concesso, a chi provasse dolore a una mano, immergerla nell’acqua fredda senza agitarla. Non era nemmeno possibile passeggiare per più di duemila cubiti (circa 900 metri) né accendere il fuoco e non si poteva trasportare alcun oggetto fuori della propria casa. Si era esonerati dalle rigide regole del sabato in caso di pericolo di vita o se si doveva praticare la circoncisione. Il sabato iniziava dal tramonto del venerdì, il cui pomeriggio era detto parasceve, ovvero preparazione, perché si preparava tutto quello che sarebbe servito il giorno successivo. Oltre al sabato, molte altre prescrizioni regolavano la vita del Giudeo e lo rendevano puro, ad esempio l’assoluto obbligo di lavarsi le mani prima di mangiare o di toccare il pane, l’astenersi dal toccare, seppure temporaneamente, esseri impuri come le donne mestruate, gli individui con varie malattie, i piccioli della frutta ecc. Altre feste molto importanti per gli Israeliti erano: la Pasqua, la Pentecoste e i Tabernacoli. La Pasqua iniziava il 14 del mese di Nisan ed era collegata alla festa degli azzimi (da metà marzo a metà aprile); si consumava quindi solo pane azzimo, cioè non lievitato. Nel pomeriggio del 14 di Nisan avveniva l’immolazione degli agnelli nel Tempio: il sangue veniva sparso sull’altare, l’agnello era scuoiato e sventrato e ne venivano estratte alcune interiora, dopodiché esso veniva reso alla famiglia che l’aveva portato. Flavio Giuseppe ci riporta che in occasioni del genere potevano essere scannati più di 250.000 agnelli! L’agnello veniva arrostito la sera stessa e il banchetto iniziava dopo il tramonto. Alla cena partecipavano da dieci a venti persone circa, che si sdraiavano su bassi divani posti in modo concentrico alla tavola imbandita, sopra la quale stavano quattro coppe per il vino rituale. Si iniziava riempiendo la prima coppa e recitando una preghiera con cui si benediceva la giornata e il vino; quindi si portavano in tavola il pane azzimo, le erbe amare, una salsa speciale e infine l’agnello arrostito. Si passava a riempire la seconda coppa e il capo famiglia teneva un 21


breve discorso, dopodiché si mangiava l’agnello con le erbe e il pane azzimo, si recitava la prima parte dell’Hallel assieme a una benedizione e si dava inizio al vero banchetto, preceduto dal lavaggio delle mani. Alla terza coppa si recitava una preghiera di ringraziamento e la seconda parte dell’Hallel, a cui seguiva la quarta coppa. La festa successiva alla Pasqua era quella della Pentecoste, o festa delle sette settimane, poiché questo era il tempo che la separava dalla Pasqua. Questa festa durava un giorno ed era caratterizzata dall’offerta dei pani della nuova messe. La festa dei Tabernacoli o delle Capanne cadeva il 15 del mese di Tishri, circa sei mesi dopo la Pasqua, ossia tra la fine di settembre e i primi di ottobre. La sua durata era di otto giorni ed essa celebrava la dimora degli Ebrei nel deserto e la vendemmia. In questa occasione il popolo costruiva capanne con rami verdi e si recava al Tempio portando nella mano destra rametti di palma, mirto e salice, mentre nella sinistra un frutto di cedro. I sacerdoti provvedevano a spargere sul Tempio l’acqua attinta alla fonte di Siloe. Sempre nel mese di Tishri, al decimo giorno, si ricordava l’Espiazione o Kippur. In questa giornata di riposo e digiuno assoluto il sacerdote entrava nel Tempio e raggiungeva, unica volta in tutto l’anno, il “Santo dei Santi”, compiendo il rito del capro espiatorio (Levitico, 16 – Ebrei, 9-7). Verso la fine di dicembre, il 25 del mese di Kislew, si festeggiava la Dedicazione o festa delle Encenie e durante gli otto giorni si ricordava la consacrazione del Tempio fatta da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. In questo ambiente venne al mondo il Salvatore degli uomini, ma la storia inizia con la nascita di sua Madre.

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