Gemma Donati
VAGABONDA DEL DHARMA E DELL’IGNOTO Autobiografia di una yogini occidentale
Indice Prefazione Introduzione
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PRIMA - Apertura - La prima visione - La paura - La seconda visione - Il dubbio - La terza visione - Passione e rischio - La quarta visione - L’intrigo
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LA RICERCA DEL CAMMINO - La quinta visione - Sulle tracce dello Spirito
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IL CAMMINO DEL SAKYAMUNI - La sesta visione - Birmania - Taiwan - Giappone
86 86 90 103 111
IL CAMMINO CON UN COMPAGNO
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- Il compagno - Poteri superiori
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IL CAMMINO COL GURU - Alla ricerca del Guru - Gli insegnamenti del Guru - I metodi del Guru - All’ombra della Clocherie - Esperienze
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IL CAMMINO DA SOLA - La settima visione - Ombre che si allungano - L’iniziazione del Kalachakra - La morte di Francis - Il Bardo - Il ritiro nella foresta
190 190 194 199 205 215 225
ADDIO AI MAESTRI - Ritorno a Missouri - Vita di sannyasi - L’eremo - Il centro del Kalachakra
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Introduzione Questa è la storia della mia vita e del mio cammino spirituale. La dedico a tutti i miei Maestri, primi tra tutti il mio amato guru Lama Gomo, e a Francis, il mio compagno, senza i quali la mia vita sarebbe stata molto meno ricca. A parte Sua Santità il Dalai Lama, Francis, Padre Bede Griffiths e Amma-ji ho mutato il nome di tutti gli altri, perché ho riferito i loro insegnamenti come meglio ho capito e saputo e temo di averlo fatto in modo incompleto e forse anche distorto. Non vorrei perciò che questi insegnamenti apparissero inadeguati a chi legge e che ne fosse attribuita la colpa a chi li ha dati. Per questo non ho voluto coinvolgere personalmente i Maestri e ho preferito dare loro dei nomi fittizi. È soltanto a causa della mia cecità e della mia ignoranza se le loro parole di vita dovessero suonare meno che eccelse. Molti certo si chiederanno se quello che racconto sia tutto vero o meno. Non perdo tempo a cercare di convincere nessuno che ogni cosa che descrivo è esattamente com’è avvenuta e rispondo come mi rispose Francis quando gli chiesi se il regno di Shambala era leggenda: “Che cosa significa leggenda? Se per leggenda intendi qualcosa che tu pensi non esista realmente e sia frutto della nostra mente, tutta la realtà ufficialmente riconosciuta come tale è leggenda! Tutto dipende dal tuo senso della realtà e poi non è importante che le cose siano vere a seconda di determinati canoni, importante è l’insegnamento che possiamo ricavarne e quanto esse possano portarci verso la luce...”
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PRIMA
APERTURA Tralascio appositamente di dire la mia età. Io non ho età, nessuno in realtà ha età: crede soltanto di averla e così resta impigliato nel tempo lineare. Ma io sono uscita dal tempo lineare e l’età è una cosa che non conta più per me. Tutto avviene nello stesso momento perciò non sono sicura, raccontando la mia vita, di avere seguito una cronologia sistematica, poiché niente è sistematico nel tempo assoluto, non nel senso che noi diamo a questa parola. Il tempo assoluto non è lineare, esso esiste a livelli sfasati, certi avvenimenti sembrano seguire o precederne altri ma non è così: spesso, anche se non lo sappiamo, gli avvenimenti che vengono dopo sono la causa di qualcosa che è avvenuto prima, quello che succederà in futuro è la ragione di quanto sta capitando in questo momento. Ma prima e dopo che cosa, allora? No, meglio non parlare di prima e di dopo e raccontare semplicemente i fatti facendo finta che si susseguano nella maniera tradizionale. Mi chiamo Gemma, nome destinato che mi ha legata fin dalla nascita al regno misterioso delle pietre preziose e in particolare del diamante. Sono nata a Roma alle ventitré di una notte di luna piena sotto il segno dei Gemelli. Tutta la mia esistenza è così stata dominata dalla notte, dall’oscurità, dall’energia femminile e da una doppia personalità. Ho sempre avuto una vita doppia: metà della mia vita - quella del Gemello terrestre - l’ho vissuta nella dimensione di quella realtà quotidiana che tutti conoscono come tale e che viene chiamata “reale”, l’altra metà - quella del Gemello celeste - l’ho vissuta in una dimensione visionaria conosciuta solo a me stessa e non meno reale, anzi molto più vera e concreta dell’altra. In verità tutti noi abbiamo continuamente esperienze di altri mondi, altre dimensioni, altri modi di essere; viviamo diversi livelli 10
di realtà contemporaneamente e queste varie realtà si completano a vicenda, si integrano l’una con l’altra ma sono così impercettibili che bombardate dagli stimoli grossolani della nostra vita quotidiana spariscono subito nell’inconscio. In questa maniera ci dimentichiamo immediatamente delle nostre esperienze più sottili e ricordiamo solo la parte più grossolana e superficiale delle nostre percezioni. Relegate nell’inconscio queste esperienze sottili sono preziosi semi di conoscenza e di amore che aspettano solo di venire riscoperti per fiorire. Ritrovandoli potremmo venire a conoscenza del senso più profondo della nostra vita, potremmo riceverne una guida. Dimenticandoli restiamo invece ancora più confusi, perché gli avvenimenti della nostra vita sono solo gli effetti di cause che si perdono in altre dimensioni e se noi ignoriamo queste non possiamo capire quelli e restiamo smarriti a domandarci il perché di tutto ciò che ci avviene, di quello che siamo e questo ci porta infinita sofferenza. Basterebbe invece prendere consapevolezza anche delle altre dimensioni, che noi stessi viviamo continuamente, per sciogliere i nodi dell’ignoranza ed essere finalmente liberi. Anch’io ho subito dimenticato le visioni che ho avuto fin dall’infanzia. È stato solo molto più tardi, quando ho cominciato le pratiche di meditazione tibetana, nei miei momenti di assorbimento profondo, che mi sono tornate tutte in mente con chiarezza di dettagli per non dimenticarmene più. Ho compreso allora come si fossero integrate perfettamente con la mia vita e come in realtà la mia intera esistenza non fosse che un tessuto in cui l’ordito era costituito dalla dimensione visionaria e la trama dagli avvenimenti di tutti i giorni. Fino a quel momento le visioni erano rimaste sepolte nel mio inconscio e mi si erano rivelate solo a sprazzi di brevi illuminazioni, la cui importanza ho compreso molto più tardi quando, grazie alle tecniche tantriche e ai sogni lucidi, ho potuto decifrarle con chiarezza. Ebbi la prima visione a quattro anni. Posso dire con sicurezza che non fu un sogno come non lo è stata nessuna delle visioni che seguirono. Non erano quelli certo i sogni infantili di una bimba. In quelle visioni ero senza età, senza tempo direi e sapevo già molte cose che appresi più tardi. È questo che rende così eccezionali quelle esperienze e per questo posso dire con sicurezza che non si trattava di sogni. Del resto la loro realtà trascendente mi fu poi confermata 11
dagli avvenimenti che seguirono e che provarono come quelle visioni fossero stati superiori di coscienza che non appartenevano al tempo lineare e andavano oltre il nostro normale sognare. Premetto che di tutte queste cose non ho mai parlato con nessuno, nemmeno con gli amici intimi. Neanche coi Maestri, i lama tibetani. Con la gente comune non ne ho parlato per paura che mi deridessero e non mi credessero e per non dare giustificazioni inutili che avrebbero diminuito il potere delle visioni; in quanto ai lama, non ho mai detto nulla perché comunque essi sapevano già tutto, dato che loro stessi facevano parte di esse. È questa dunque la prima volta in assoluto che ne parlo a terze persone e lo faccio adesso perché solo ora mi è stato permesso di farlo.
LA PRIMA VISIONE L’Antico Mongolo mi guardò negli occhi e disse: “Indica un palazzo. Quello che indicherai sarà il tuo palazzo o meglio il tuo cammino. Sarà il tuo mandala, il tuo cerchio magico. A seconda del palazzo che indicherai seguirai un cammino piuttosto che un altro, perciò concentrati e fa’ attenzione.” L’Antico Mongolo mi incuteva timore. Non era vecchio: aveva in effetti i capelli e la lunga barba completamente bianchi, ma gli occhi allungati da asiatico erano straordinariamente giovani e i sottili baffetti ricurvi che gli scendevano fin sul mento incorniciavano un sorriso addirittura da bambino. Ciò nonostante la parola che mi sovveniva nel vederlo era “antico”, perché si poteva percepire subito di essere davanti al possessore di verità che andavano oltre la nascita del mondo e forse della prima materia. “Allora?” mi incitò lui. Diedi uno sguardo attorno: i palazzi erano tutti splendidi e per un attimo restai abbagliata. Erano anche così differenti l’uno dall’altro che mi sentii confusa: come si poteva scegliere tra costruzioni tanto diverse? Ma la confusione durò poco: “Quello là,” dissi, “quello che sembra un sole.” “Allora hai scelto il palazzo circolare?” insistette l’Antico Mongolo senza cessare di sorridere. “Non l’ho scelto io, in realtà è il palazzo che ha scelto me.” 12
Era successo proprio così: io avevo solo reagito a un richiamo. L’Antico Mongolo fece un cenno d’assenso col capo: “È il palazzo di Shambala, il cerchio magico della Ruota del Tempo. È il tuo mandala, il tuo cammino. Nel momento in cui la tua attenzione è stata catturata da quella costruzione tu sei entrata nel suo cerchio di potere e per te ora non c’è altra via che scalarlo fino alla cima e penetrare al suo interno fino al suo centro.” I palazzi erano tutti spariti e non era rimasta che la costruzione scelta da me. La guardai meglio: immensa. Una montagna di pietra completamente scolpita. Era a terrazze sovrapposte che andavano restringendosi sempre di più, quadrate alla base e circolari quelle superiori, così da dare alla costruzione l’aspetto di un panettone un po’ schiacciato. Il tutto terminava in alto con una guglia, mentre altre guglie identiche ma più piccole erano disposte intorno alle terrazze circolari, disegnando dei cerchi concentrici. Sentii di essere dinnanzi all’ombelico dell’universo. “Infatti è l’ombelico dell’universo.” Confermò l’Antico Mongolo leggendomi nel pensiero. “Al suo interno è contenuta la sacra energia della Ruota del Tempo.” “Hai detto che devo arrivare in cima, ma a me sembra inespugnabile. Non vedo scale: come potrò salire fino alla guglia più alta?” “Guarda meglio e le troverai.” “E hai detto anche che devo penetrare all’interno fino al centro, ma a me sembra una costruzione solida, tutta piena, senza entrate e senza nulla di vuoto dentro.” “Guarda meglio e vedrai.” Ripeté l’Antico Mongolo. Mi concentrai. Infatti, notai quattro scalinate che mi erano sfuggite ad un primo sguardo e che salivano a croce ai quattro lati della costruzione. Mi concentrai ancora di più: l’Antico Mongolo aveva ragione, c’era del vuoto in quel pieno. Un cuore era contenuto in quella montagna di pietra, ora potevo sentirne la vibrazione possente e mi pareva persino di intravvedere una luce che venisse dall’interno e si spandesse intorno proprio come un sole. Un cuore che vibrava ed emanava luce. “Devi scalare il palazzo della Ruota del Tempo e contemporaneamente penetrarlo”, specificò l’Antico Mongolo, “più salirai verso la cima e più entrerai al suo interno.” 13
“Quanto ci metterò per arrivare?” volli sapere. “Questo dipende da te. Hai scelto il cammino della Ruota del Tempo, il cammino più rapido per arrivare alla verità e per raggiungere l’amore assoluto e la conoscenza che aiuta tutti, ma anche il più duro e il più pericoloso. Non si può avere tutto nella vita!” specificò in tono divertito. “Un cammino breve si paga sempre con uno sforzo ed un pericolo maggiore, come tutte le scorciatoie di montagna. Ma tu sei nata sotto il segno dei Gemelli e i Gemelli hanno sempre fretta, non hanno tempo da perdere. La scelta di questo cammino è stata tua, anche se dici di essere stata attirata. Sei sempre tu, dopo tutto, che ti sei lasciata attirare, quindi la responsabilità è tua. Cerca di ricordare questo quando verranno tempi duri, perché ormai non puoi più tornare indietro.” L’Antico Mongolo tacque e chiuse gli occhi come se meditasse, ma sentii che si stava concentrando su altre cose che doveva dirmi. “Dico: ‘Cerca di ricordartelo’,” riprese, “perché tra poco dimenticherai tutto ciò che stiamo dicendo e quanto è successo tra noi e solo il tuo inconscio ne serberà memoria, appunto, memoria inconscia. Quando verranno i tempi duri fa’ appello a questa memoria inconscia e ne riceverai aiuto. La notte ti sarà sempre amica, ma devi mettere da parte la ragione, la logica e i concetti, perché nei momenti di crisi queste sono tutte cose che non servono se non per peggiorare la situazione.” Le parole dell’Antico Mongolo mi spaventavano: “Dici che verranno tempi duri: quanto duri?” “Molto. Devi aspettartelo. Nelle tue vite precedenti, fino ad ora, hai sempre seguito un cammino di verità nel modo più facile e meccanico. Hai seguito il cammino che ti è stato offerto dalla tua famiglia, dalla tua educazione, dall’ambiente in cui sei nata. Diciamo che hai seguito un cammino che ti è stato porto bell’e pronto su un piatto d’argento. Adesso, se vuoi veramente progredire e arrivare al cuore della Ruota del Tempo devi superare prove più dure: la prova del dubbio, della laboriosa ricerca interiore, delle scelte personali a tutti i costi, dell’andare contro corrente, se necessario. Questa volta seguirai un cammino non perché ti è stato offerto dalla tua cultura e dalla tua educazione ma in quanto soddisfa le tue esigenze più segrete e più vere. I cammini veri non sono mai determinati da 14
ambienti familiari, dall’educazione, dalla società e tanto meno dalle istituzioni, ma bensì dalla istanze più profonde del nostro essere.” “Nelle altre vite...” lo interruppi, ma lui ignorò la mia interruzione. “In questa vita devi scoprire queste istanze perché solo così entrerai nel regno di Shambala, nel cuore della Ruota del Tempo. Oh, non sarà una vita dura per le condizioni materiali! Non soffrirai la fame e la povertà, quelle le hai già affrontate in altre vite e le hai già superate. Adesso devi fronteggiare difficoltà più sottili: la solitudine che è nel pensare in modo diverso dagli altri, nell’intravvedere verità che non potrai condividere, almeno con gli uomini...” “E con chi allora? Con chi potrò condividerle se non con gli uomini?” “Ci sono altre esistenze, le esistenze senza forma. Loro ti saranno amiche, ma non gli uomini. Però dovrai riconoscerle e questo non è facile: sono esistenze nascoste, sono esistenze segrete... Questo è l’ostacolo maggiore che dovrai superare.” “Ma perché non gli uomini?” insistetti, “Perché non loro?” “Tra gli uomini,” continuò l’Antico Mongolo scuotendo il capo, “sarai sempre diversa, non importa in quale ambiente vivrai e in quale parte del mondo. Apparterrai sempre a una minoranza, per una ragione o per un’altra, ma questo, se affrontato con coraggio, ti darà la possibilità di vedere di ogni cosa il suo opposto e così andare al di là del Bene e del Male. Anche il tuo segno doppio, il segno dei Gemelli, ti aiuterà in questo, ma dovrai lottare, lottare molto. Il cammino della Ruota del Tempo, il cammino di Shambala è un cammino di lotta ed è fatto solo per i Conquistatori. Se saprai essere un Conquistatore il regno di Shambala sarà tuo, altrimenti...” “Altrimenti?” “Altrimenti perderai tutto quello che hai guadagnato in miliardi di vite precedenti e regredirai fino ai regni inferiori degli inferni caldi e freddi.” Un brivido mi percorse la schiena. L’Antico Mongolo sembrò accorgersene perché il suo sorriso si fece più incoraggiante. “Devi temprarti. Un cammino come quello che hai scelto ha bisogno di tutte le tue energie e tu dovrai imparare prima di tutto a potenziarle al massimo, poi a controllarle e infine a coordinarle 15
tutte insieme.” Così, su un piatto della bilancia c’era il regno di Shambala e sull’altro gli inferni caldi e freddi. I peggiori tra gli inferni! Un’impresa insormontabile, pensai, al di sopra delle mie capacità. “Ma non lo è,” commentò forte l’Antico Mongolo, “svilupperai invece capacità di cui nemmeno tu hai idea e che sono già tutte in te e poi avrai dei maestri che ti aiuteranno e ti faranno da guida. Tu hai paura, molta paura, ecco tutto. Ma comincia per prima cosa a scegliere un simbolo: a seconda di quello che sceglierai vorrà dire che dovrai cominciare da lì per purificarti. Devi circoambulare tre volte il mandala in senso orario, senza però entrarvi dentro e salire. Chiudi gli occhi e cammina verso la costruzione, poi fermati e aprili. Quel punto sarà il tuo simbolo, da lì comincerai le circoambulazioni sempre in senso orario. È il senso della vita, quello antiorario invece è il senso della morte. Non sbagliare! Non sarebbe di buon augurio.” “Ma come camminerò a occhi chiusi?” Domandai. “Fa’ come ti dico!” ripeté con autorità l’Antico Mongolo. Chiusi gli occhi e mi mossi verso quella che ricordavo essere la direzione del palazzo. Da principio tentativamente, poi con sempre maggior sicurezza. Era come se una forza fisica mi attirasse verso una direzione precisa, mi sentii prendere da braccia invisibili che mi dirigevano senza esitazione. A un tratto la forza venne meno ed io aprii gli occhi: ero davanti al lato Sud del palazzo. Che fosse il lato Sud lo capii dalla posizione del sole che si stava spostando verso occidente. Mi mossi lentamente lungo il circuito della costruzione tenendo alla mia destra il muro di cinta. Era veramente una costruzione immensa dalle pietre massicce, eppure quelle pietre avevano la trasparenza del cristallo. Dapprima i miei piedi si mossero pesantemente come se fossero di piombo, ma già al secondo giro mi sentii più leggera e al terzo mi parve di sfiorare appena il suolo. Inoltre notai che, man mano che procedevo, la luce che veniva dall’interno del sacro mandala sembrava aumentare, cosicché alla fine non mi fu possibile dire se la luce venisse dal sole o dalla pietra. Non avevo mai visto una luce così forte, eppure i miei occhi non ne restavano accecati ed io procedevo con sicurezza assorbendo quella luce dentro di me. Notai che il mio corpo non mandava ombra sul terreno. Quando ebbi finito di girare tre volte, tornai dall’Antico Mongo16
lo che mi aspettava immobile a gambe incrociate. Teneva gli occhi chiusi con profonda concentrazione, così mi sedetti accanto a lui senza parlare, per non disturbarlo. In realtà non avevo nessun bisogno di parlare, al contrario, quel silenzio mi riempiva completamente come la luce che veniva dal mandala. Finalmente egli mi guardò: “Hai scelto il lato Sud dell’edificio,” disse, “il Sud è il tuo simbolo. È la pacificazione della paura. Se saprai vincere la paura potrai procedere ai livelli superiori ed entrare nel mandala, ma di questo parleremo in seguito perché io e te ci incontreremo ancora. Tu intanto preoccupati di superare la paura che è il più basilare degli ostacoli. È da lì che si comincia, se non si supera la paura non si può fare niente.” “Devo imparare a vivere senza paura?” “Devi imparare a superarla e non si può superare quello che non si ha. Avrai sempre paura, tutti gli esseri senzienti l’hanno e tu sei come tutti, ma la tua è la via del Conquistatore, colui che supera tutti gli ostacoli, non quella del Santo che li evita o tutt’al più li aggira. Ciò che conta è il superamento, ricordatelo, non l’annullamento delle emozioni. Non mirare mai a non avere più emozioni, ma a superarle. Le emozioni sono preziose alleate. Avrai sempre tutte le emozioni possibili: odio, attaccamento, l’incandescente passione, la feroce lussuria, la gelosia, la verde invidia, l’angoscia nera... Devi provare tutto per poter superare tutto, altrimenti non sarai mai un Conquistatore. Un Conquistatore per essere tale ha bisogno della lotta, ha bisogno della guerra. La maggior parte della gente cerca di essere buona reprimendo le emozioni o tutt’al più eliminandole. Quasi nessuno ci riesce, ma anche se ci riuscissero non diventerebbero mai dei Conquistatori. Non cercare mai di essere buona a tutti i costi, al contrario sii tutto, ma supera tutto.” “Ma...”, chiesi in preda al dubbio, “come supererò la paura?” “Aprendoti ad essa. Offriti alla paura, abbracciala come un amante abbraccia l’amata. Unisciti ad essa come si uniscono due corpi nel piacere, diventa la paura stessa e la paura diventerà te e cesserà di essere paura. Ma non evitarla, mai! Non avere paura della paura, anzi cercala, ma non per se stessa, bensì per superarla ed andare oltre... oltre...” Le parole dell’Antico Mongolo si persero in un mormorio indistinto. Oltre... oltre... oltre... Udii risuonare a lungo, intorno a me, 17
ma le labbra dell’Antico erano serrate e capii che quella che sentivo era la vibrazione che le sue parole avevano lasciato nell’aria. “E tu,” volli sapere, “sei anche tu un Conquistatore?” “Io sono te stessa.” fu la risposta sibillina dell’Antico Mongolo, “Sono quello che tu sei.” Tornai a guardare il palazzo di Shambala: la luce che veniva dal suo interno aveva assunto una trasparenza verde che dava l’impressione di un fondo marino. L’intera montagna sembrava dissolversi in quella luce acquatica. “Sì,” disse l’Antico Mongolo continuando a leggermi nel pensiero, “infatti. È la luce verde dell’energia che sgomina la paura. Shambala ti ha risposto: ti hanno accettata.” C’erano molte cose che avrei voluto sapere. “Ha un nome questo palazzo?” chiesi. “Tutto ha un nome, altrimenti come potrebbe esistere? Anche la Ruota del Tempo nascosta nel suo interno ha un nome segreto.” “E qual è il nome di questo palazzo? Di questa Ruota?” “Non posso dirti tutto io, sei tu che devi scoprirlo. Fa parte del tuo cammino.” “Hai detto che il momento in cui la mia attenzione è stata catturata da questo mandala io vi sono entrata, poi però mi hai proibito di entrarvi perché non sono ancora pronta. Allora dove mi trovo io adesso? Dentro o fuori il palazzo del Tempo?” L’Antico Mongolo scoppiò a ridere strizzando ancora di più i suoi occhi asiatici che mandarono bagliori neri. “Non sei proprio in nessun luogo!” Alzò la mano nel gesto di chi si appresta a dare una benedizione di commiato. “Ti poni troppe domande! Non portele, preoccupati solo di superare la paura. Io ti seguirò, come ti seguiranno tutti gli abitanti di Shambala, ma ricordati che non puoi prendere contatto con nessuno di noi se non attraverso il tuo inconscio. Guardati sempre dal nemico numero uno: la razionalizzazione. E adesso...” C’era ancora una domanda che mi urgeva sulle labbra: “Ma io... che età ho adesso?” “Nessuna.” “Per questo mi sento come se dovessi ancora nascere!” “E nello stesso tempo hai tutte le età delle tue vite precedenti.” 18
“Per questo mi sento tanto vecchia! Sono state molte le mie vite precedenti?” “Tante quante i granelli di sabbia nel fondo di tutti gli oceani esistenti.” “Parli delle vite umane?” “Parlo di tutte le vite che hai avuto, da quelle di atomo a quelle umane.” “E in tutte ho sempre avuto paura?” “Diciamo che in nessuna hai veramente osato andare oltre.” “Oltre che cosa?” “I limiti estremi.” “Adesso però è venuto il momento?” L’Antico Mongolo non rispose. Il suo volto stava divenendo sempre più trasparente, poi sembrò illuminarsi dall’interno come il palazzo di Shambala. La testa rotonda, gli occhi strizzati da asiatico, la candida barba, i baffi ricurvi, il sorriso da bambino, si dissolsero in pura luce verde e infine non ci fu che il vuoto.
LA PAURA Posso datare facilmente tutti e quattro gli episodi. Nel primo avevo appena compiuto quattro anni. Mia sorella minore nacque che io avevo esattamente quattro anni meno una settimana e fu pochissimo tempo dopo che mia madre, un giorno, si arrabbiò moltissimo perché avevo svegliato la bambina nella culla e lei si era messa a piangere. Mia madre mi diede una punizione esemplare. Di solito per punizione mi mandava in bagno, ma quella volta mi accompagnò in cantina. Era la prima volta che lo faceva e per me fu un’esperienza traumatizzante. Nel bagno almeno c’era una finestra e la luce, ma la cantina nel seminterrato era buia, piena di ombre sospette e rumori terrificanti. Non era un luogo conosciuto, non ci andavo mai, non c’era nemmeno la luce elettrica e l’unico bagliore che vi penetrava veniva da una stretta feritoia a livello della strada, semicoperta da un sacco che rendeva l’ambiente ancora più oscuro. Quando sentii la porta che si chiudeva dietro alle spalle di mia madre e i suoi passi che si affievolivano mi accasciai in preda al terrore. Che cosa c’era dietro a quell’oscurità che mi circondava? Che cosa significavano quegli scricchiolii, quei sussurri? Quali pericoli 19
rappresentavano quelle vaghe forme che intravvedevo nell’ombra? Ero così lontana dalla sicurezza della casa... Ero sotto terra come in una tomba... Chi avrebbe potuto udirmi se avessi gridato per aiuto? È questo il mio primo ricordo cosciente di vero terrore. Chiusi gli occhi senza quasi respirare. Fu allora che mi concentrai: ero circondata dal buio in un ambiente ostile che non conoscevo. Mi concentrai ancora di più: intorno a me c’erano forse animali aggressivi, forse mostri. Continuai a concentrarmi: ero sotto terra, sola e abbandonata. Non sapevo che cosa poteva capitarmi. Poteva succedermi di tutto. Con un ultimo sforzo portai la mia concentrazione al massimo: forse sarei morta. Ecco, la morte! Sì, la morte. Avevo paura della morte. In quell’istante aprii gli occhi: il buio non era così totale. Riconobbi le sagome di un vecchio armadio e di un tavolo con sopra sedie accatastate. Ero seduta su una damigiana vuota e quello che sentivo era il rumore dei miei piedini che battevano per terra, era il rumore dei miei stessi singhiozzi, del mio cuore impazzito. Mi alzai in piedi e cominciai a toccare tutti gli oggetti che mi circondavano riconoscendoli uno ad uno. Non piangevo più: la paura si era totalmente dissolta. Dovevo essere piccolissima perché non arrivavo ancora a chiudere le maniglie delle porte nemmeno in punta di piedi. Fu proprio per la piccolezza della mia statura che non riuscii a chiudere con lo scrocco la porta della cucina, come mia madre mi aveva vivamente raccomandato: “Chiudi sempre bene con lo scrocco la porta della cucina, altrimenti l’odore del cibo andrà per tutta la casa!” Ma nonostante i miei sforzi, in punta di piedi, non ero riuscita a girare come si deve la maniglia e avevo lasciato la porta semplicemente accostata. Quando se ne accorse, mia madre divenne furiosa: “Ti avevo tanto raccomandato di chiudere bene la porta della cucina e tu mi hai disobbedita! Sarai la causa della mia morte e quando sarò morta verrò ogni notte a maledirti. Ti dirò: ‘Maledetta! Maledetta!’ ” gridò mia madre, tendendo le braccia contro di me in un gesto di maledizione. Quella notte stessa ebbi l’incubo. Nel sogno ero a letto e intorno a me c’era l’oscurità più totale. D’un tratto percepii un’increspatura 20
ai piedi del letto e un brivido mi sfiorò i piedi. Qualcosa di orribile si manifestò nel buio. Dall’ombra uscì un cranio bianco con le orbite vuote, poi le spalle, un corpo di ossa... Lo scheletro allungò le mani verso di me, vedevo le sue dita adunche, sapevo che cercava di attirarmi fuori dal letto. Alzò le braccia nello stesso gesto di maledizione che mi aveva lanciato contro mia madre: “Maledetta! Maledetta!” Feci per ficcare la testa sotto le coperte paralizzata dalla paura, poi mi concentrai: quello scheletro era mia madre morta. Veniva a maledirmi come aveva promesso. Ma mia madre non era ancora morta, quello scheletro si sbagliava. Balzai a sedere sul letto e gridai con tutta la mia voce: “Hai detto quando sarai morta ma tu non lo sei ancora! Non è ancora l’ora! Non è ancora l’ora!” Vidi lo scheletro impallidire, divenire diafano, illuminarsi dal di dentro con un bagliore di luce verde e infine sparire del tutto. Quando mi svegliai serbavo il ricordo del terrore di quel sogno come di una cosa ormai completamente passata. A sette anni per la mia prima confessione mi misero un vestito bianco e mi accompagnarono in chiesa. Mi avevano preparata a lungo a quell’avvenimento dicendomi che tutto quello che avevo fatto di male fino a quel momento adesso mi sarebbe stato perdonato da Dio, rappresentato dal prete confessore. Il male, cioè le bugie, lo zucchero leccato sulle torte e naturalmente i capricci. Avevo sette anni: quando mi inginocchiai davanti alla grata del confessionale ero piena di un luminoso stupore perché, nonostante avessi già visto i preti dire messa e sapessi del loro potere spirituale, era la prima volta che uno di questi rappresentanti di Dio si occupava personalmente di me, dei miei peccati ed era disposto a perdonarmi e a farmi tornare pura come quando ero nata. Avevo ben compreso, in quel momento, che quell’uomo dalla tonaca nera era arbitro della mia coscienza e della mia pace e in quel senso davvero egli era dio. “E tu,” mi chiese il confessore alla fine di una lista di bugie e golosità, “quando sei a letto, la notte, ti tocchi così da darti piacere?” La domanda mi lasciò interdetta e risposi di no. “Perché,” continuò il confessore, “se questo avvenisse sappi che 21
sarebbe un peccato mortale così grave che Dio potrebbe punirti facendoti morire all’improvviso nell’atto colpevole, senza darti nemmeno il tempo di pentirti e tu ti ritroveresti all’inferno eterno.” Così ci si poteva toccare in modo da darsi piacere! La cosa però era peccato mortale ed io per questo potevo essere punita e non solo morire ma ritrovarmi all’inferno eterno! La cosa mi terrorizzava e mi incuriosiva allo stesso tempo perché il fatto di potersi toccare in modo da darsi piacere mi era nuovo ed eccitava grandemente la mia fantasia. Non avevo la minima idea di che cosa si trattasse esattamente, ma sentivo che era qualcosa che valeva la pena di conoscere. Feci delle esplorazioni e arrivai molto vicina a scoprire che cosa fosse, ma c’era quella faccenda della morte e dell’inferno eterno che mi tratteneva sempre un attimo prima di cadere nel baratro. L’inferno... Mi avevano detto che là si bruciava eternamente; io mi ero bruciata un dito una volta e mi aveva fatto molto male: che cosa sarebbe stato vivere per l’eternità in mezzo alle fiamme! La morte! L’avevo sempre sentita molto lontana, invece Dio poteva farmi morire per punirmi mentre commettevo il terribile atto di notte... E perché poi proprio di notte? E se l’avessi fatto di giorno? Fu quello il vero inferno della mia vita. Ogni notte esploravo un poco di più il mio corpo, cominciavo ad intuire quale potesse essere quel piacere peccaminoso e ogni sera pregavo con tutta la mia disperazione per avere la forza di non toccarmi, ma mi toccavo sempre di più, lacerata tra l’istinto e la paura della morte e dell’inferno eterno. Cominciai a soffrire di un’insonnia ribelle che era il mio modo di resistere al sonno per non ritrovarmi inconsapevolmente morta e all’inferno, avrei voluto chiedere a mia madre di legarmi le braccia quando andavo a letto in modo di non potermi toccare... Una notte mi toccai in modo più preciso e d’istinto trovai tutte le mosse necessarie. E quel Dio che poteva punirmi? E la morte? E l’inferno eterno? Mi concentrai sulla nuova sensazione che sorgeva dalla parte più intima ed essenziale di me invadendomi totalmente e improvvisamente non ci fu più Dio, né punizione, né morte, né inferno eterno. Da quel momento iniziai a toccarmi di notte e di giorno senza più alcuna paura. 22
Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale avevo otto anni. Allora mi ero trasferita con la famiglia a Brescia, la città di mia madre. I bombardamenti cominciarono subito perché Brescia era il centro delle fabbriche d’armi: la Beretta e la O-Emme. Quasi ogni giorno ed ogni notte suonava l’allarme e dovevamo correre al rifugio dovunque ci trovassimo, sotto un cielo che di notte si faceva incandescente per i fuochi dei Bengala lanciati dagli aerei così da distruggerci meglio. E se eravamo rimasti bloccati in casa bisognava correre a ripararci contro il muro maestro io, le mie sorelle, i genitori, i nonni. Il lugubre suono delle sirene che ci annunciavano l’avvicinarsi degli aerei di morte, la picchiata di quegli aerei che precedeva lo scoppio delle bombe... Schiacciata contro il muro mi tappavo le orecchie per non sentire quell’inferno: che terrore la guerra! Poter perdere la mia casa, i miei cari, la mia vita! Ecco, la vita: io non volevo morire. Che terrore la guerra! Una volta però i miei pensieri presero un altro corso. Anche allora mi trovavo in casa, appiattita contro il muro maestro, tra le gonne di mia madre e quelle di mia nonna. Udii i primi scoppi delle mitragliatrici antiaeree e il rombo delle fortezze volanti che si avvicinavano, foriero di morte. Quegli aerei, mi venne in mente, non erano solo una minaccia per la vita mia e dei miei cari, portavano la morte ad altre persone, migliaia, tutti i giorni. E non solo a Brescia ma in tutta Italia e nel mondo intero. Si parlava dei grandi bombardamenti di Londra, la gente moriva continuamente in quella guerra, al fronte come a casa. Molti erano già morti e chissà quanti ancora sarebbero morti in futuro. Quel pensiero mi afferrò: non era soltanto ora, sotto quegli aerei, in questa guerra, che la gente moriva. Era sempre morta e avrebbe continuato a morire anche quando la guerra fosse finita. Si moriva comunque e dovunque, in guerra come in pace, a casa, per la strada, negli ospedali e a tutte le età: vecchi, giovani, bambini... Tutti dovevano morire, anch’io potevo sopravvivere alla guerra, ma sarei morta comunque. La vita stessa voleva dire morte. Ero tanto assorta in quel pensiero così nuovo ed illuminante, anche se formulato in modo confuso per la mia età, che fu solo quando udii la sirena del cessato-allarme e vidi la stanza piena di luce, in quanto il palazzo di fronte non esisteva più, che mi resi conto di avere per la prima volta subito un bombardamento senza provare paura. 23