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Tutto bene?
Sarà capitato anche a voi, magari una mattina al bar. Non lo vedevate da almeno un anno; vi sorride: “Ciao, tutto bene?”. E mentre state per rispondergli, prosegue come un treno in corsa: “Anch’io tutto bene, grazie. Ora devo scappare. Ho premura”. Ovvio, ha premura, mica può aspettare voi. Perché per un “Tutto bene” la risposta di rito deve essere un cliché? (“Tutto bene, grazie”).
Alle raffiche scontate dei “tuttobenisti” non si può che rispondere con il “tuttobenismo”, meglio evitare ogni digressione con chi fa dell’ascolto lo scotto da pagare per il proprio successivo discorso. Tanto varrebbe spezzare una lancia in favore della schiettezza: “Ciao, è bello rivederti, ma devo scappare”, una stretta di mano e via di volata, chiuso in un secondo. Sono storie comuni di disinteresse verso il prossimo. Ma a volte capita che “il prossimo” siate proprio voi.
C’è addirittura qualcuno che, evidentemente, considera il “tutto bene”ultimo superstite della cortesia umana - un approccio troppo “personale”. Succede sul web, con i suoi social network di stampo business che - grazie al distacco dovuto a un monitor e a una tastiera - pullulano di richieste di contatto da persone mai conosciute, tutte inviate con un semplice click, senza una parola di accompagnamento senza “inutili” perdite di tempo. Un modo esplicito per dire: “Accetta il contatto, così posso iniziare a parlare io”. Nulla di male, ma indovinate per cosa gli interessate, con il loro click sparato a raffica…
Perché a un secco primo click, ne seguirà immancabilmente un secondo con una proposta commerciale. E in quel caso le parole abbonderanno eccome. Ovviamente tutte parole riutilizzabili per chiunque altro; per il prossimo click, nulla di personale secondo la tradizione della casa. Ma poiché, sempre per tradizione, è giusto raccogliere ciò che si semina, vi consigliamo un buon modo di rispondere a quel tipo di richieste…
“Buongiorno XYZ, ho ricevuto la sua richiesta di contatto. Prima di rispondere vorrei farle solo una domanda: se in un incontro casuale io le avessi domandato a bruciapelo ‘Vuole conoscermi?’ non mi avrebbe forse guardato con un certo sospetto? Credo di sì. Anche io. Le assicuro che sono pronto ad ascoltarla, ma come se ci incontrassimo personalmente. La prego, investa qualche minuto del suo tempo e mi dica qualcosa di più di un click: sia io che lei siamo persone, al bar come dietro al computer. Viceversa, le collezioni di contatti diventano come quelle delle figurine dei calciatori che si facevano da ragazzi e sappia che io non ho mai completato un album. Attendo sue notizie. A proposito, tutto bene?”
Nessuno vi risponderà. Ovvio. Anche perché non c’è una risposta già pron - ta da mandare con un altro click. Il più tenace probabilmente vi inoltrerà la sua richiesta di contatto per la seconda volta: giocava nel repetita iuvant; la sua era una delle figurine più comuni della raccolta. Se questo è il modo con cui alcuni intrattengono rapporti interpersonali, è anche il modo con cui gli stessi intendono ottenere il consenso degli altri (o vendere), che della capacità di comunicare con il prossimo è sempre un ottimo banco di prova. Salvo poi lamentarsi di risultati scarsi: “La gente non è interessata”, “Ci ho provato, ma non funziona”. Eppure… Eppure conosciamo persone che interessandosi sinceramente del prossimo hanno fatto nascere cose straordi- narie. Interesse sincero, un’attitudine che vale ovunque, di persona come online, e che ha un effetto collaterale straordinariamente positivo: il consenso altrui. E allora cari tuttobenisti, cari collezionisti di contatti da social network, lasciatecelo dire: la gente non è cambiata e i social network funzionano esattamente come i vecchi circoli di bocce. Se le cose non vanno come vorreste non è colpa della gente di oggi e nemmeno dei social, ma solo di certi pessimi modi di fare. E nell’eventualità che il vostro prossimo “Tutto bene?” fosse rivolto a noi, sappiate che vi risponderemo con il racconto della storia della nostra vita. Siete avvertiti, nel caso aveste premura...