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Cibo a domicilio a piccole dosi

Quando si parla di food delivery, per bar e ristoranti è tutta una questione di quantità. Perché anche se il fenomeno si consolida (seppur di poco), i costi non lo rendono (se non pochissimo) redditizio. Tra commissioni, (eventuali) pagamenti elettronici dei clienti e Iva da versare, infatti, qualcosa come il 40% del valore dello scontrino non finisce nelle tasche degli esercenti. A peggiorare le cose c’è anche l’inflazione galoppante di questi mesi, che per i pubblici esercizi non risparmia nemmeno gli accordi con le piattaforme online, non a caso impegnate a ritoccare all’insù le già impegnative commissioni previste. “Il servizio aveva una sua centralità nel momento in cui non era possibile vivere l’esperienza di consumo dentro i nostri luoghi - spiega Aldo Cursano, vicepresidente vicario nazionale di Fipe Confcommercio. Una volta superata l’emergenza, a parte per le funzioni classiche e per chi lo prevede come core business, il fenomeno rimane qualcosa di estremamente marginale se non nullo per i pubblici esercizi. Anche perché per giustificare questa tipologia di servizio bisogna avere un certo livello di movimentazioni, pena la sua antieconomicità dettata da variabili come il costo del personale e la concreta possibilità che, nel tragitto di consegna, il cibo perda la sua qualità.”

UTILISSIMO IN PANDEMIA,

OGGI VALE IL 4-5% DEL FATTURATO

Che sia online (e quindi via app con le principali piattaforme), o offline (in questo caso gli ordini vengono effettuati via telefono), il food delivery ha raggiunto nel 2021 un valore complessivo di 3,9 miliardi di euro (dati Fipe).

“L’emergenza sanitaria - sottolinea Matteo Sarzana, presidente di Assodelivery - ha accelerato un processo già in atto ed è stata senza dubbio una chiara occasione di awareness per l’industria, che ha svolto un ruolo cruciale per milioni di consumatori e ha rappresentato un’ancora di salvezza per il settore della ristorazione.”

“Nel dopo pandemia - continua Cursa - no - il nostro mercato si è riconfigurato in un modo che possiamo definire classico: c’è chi offre un’attività basata sul consumo e la socialità, chi continua a sviluppare il segmento del food delivery. Mi riferisco ad ambiti come le pizzerie, chi fa il sushi, il pokè o chi lavora nel fast food.” E, oltre ai costi, in Italia l’antagonista delle consegne a domicilio ha un nome ben preciso che si chiama ‘esperienza’: quello stile tutto italiano di mangiare sul posto e socializzare, scoprire l’identità dei piatti e quella del territorio circostante. “La ristorazione vuole continuare a valorizzare il consumo sul luogo, dove alla clientela si offre ambientazione, ospitalità, occasione di stare insieme agli altri. Si tratta di un valore identitario del nostro Paese che non possiamo permetterci di perdere.”

LE NUOVE TENDENZE

Sarà stata la pandemia, o l’evoluzione del mondo del fuori casa che ne è seguita, ma il food delivery è tutto fuorché un universo privo di sfaccettature. La dimostrazione arriva dall’Osserva-

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