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Il rischio chimico
La produzione alimentare, così come quella di altre categorie merceologiche anche più complesse (farmaci, DM, cosmetici), poggia sulla progettazione e creazione di spazi dedicati nei quali vengono collocate sequenze di macchinari (linee o treni di produzione), che provvedono alla trasformazione delle materie prime in prodotti finiti.
Il metodo HACCP gestisce e governa questo flusso al fine di garantire sia la Food Safety, ovvero la sicurezza alimentare dell’alimento, che la prevenzione contro le possibili manipolazioni fraudolente, Food Fraud.
Tra i rischi da gestire, quello chimico assume una particolare importanza poiché i singoli step delle attività produttive devono affrontare costantemente le usure meccaniche, i fenomeni di ossidazione delle componenti metalliche delle attrezzature e il mantenimento del corretto livello di igiene rapportato ai layout dei sistemi e alla numerosità del personale che opera su queste linee.
Chi tra di noi gestisce i treni di produzione conosce nei dettagli questi aspetti e certamente concorda sul fatto che essi assumono una rilevanza che è di natura sistematica e raramente accidentale.
Sia la manutenzione che la sanificazione passano attraverso l’impiego di specifici prodotti chimici per i quali le rispettive formulazioni spesso nulla hanno a che fare con gli ingredienti impiegati nel mondo food (Figura 1).
Dal punto di vista regolatorio, questa tipologia di prodotti è gestita dal REACH e prima di essere introdotti nei reparti d’azienda devono essere pre ventivamente valutati e approvati dal Tecnologo Alimentare. In particolare, per ognuno di essi deve essere acquisita la Scheda di sicurezza – se pericolosi – oppure la Scheda Informativa –se non pericolosi – entrambe rilasciate in corretto stato di aggiornamento secondo il formato UE.
I Prodotti Chimici Per La Manutenzione
L’attrito generato dagli organi in movimento dei macchinari di produzione e confezionamento è la causa principa- affermato, è il regolamento REACH che ne governa la produzione e l’immissione sul mercato, mentre l’utilizzo a valle è disciplinato dal Reg. UE 852/2004.
UNO STANDARD FACOLTATIVO
Diversi produttori, sulla base di una decisione interna e facoltativa, usano le sostanze presenti nell’elenco approvato dall’ente americano NSF, il quale si rifà al CFR.21 emesso da FDA, per le loro formulazioni/produzioni. Secondo l’ente americano NSF, lo standard “food grade” classifica nelle seguenti tre categorie l’idoneità al contatto alimentare: rilascio su griglie, forni, pentole, aree di disossatura, taglieri e altre superfici dure a contatto con carni rosse e carni bianche o con prodotti per impedire l’adesione degli alimenti durante la lavorazione. I lubrificanti di questa categoria, sono additivi compatibili con la formulazione degli alimenti come, ad esempio, gli oli di mais, di girasole, di soia o olio di semi di cotone. Inoltre essi sono intrinsecamente biodegradabili (dichiarazione al punto 12 della SDS/SI) e soddisfano le normative FDA 21 CFR 172.860 e 172.878. I lubrificanti H3 sono spesso usati per pulire e prevenire la formazione di ruggine su attrezzature come ganci, nastri trasportatori e carrelli. le della loro usura e deterioramento.
L’impiego dei prodotti lubrificanti - oli e grassi – e degli sbloccanti (miscele di solventi) è praticamente inderogabile. Il loro uso è continuo grazie alla presenza, in diversi casi, di specifici circuiti di lubrificazione la cui filosofia di progettazione impone che il lubrificante sia destinato esclusivamente alle parti meccaniche e il contatto con gli alimenti avvenga solo accidentalmente.
Ma è proprio questo contatto accidentale che deve essere valutato tramite un’accurata identificazione del pericolo chimico che lo caratterizza.
L’esecuzione (obbligatoria in ambito HACCP) passa dunque attraverso la disamina preventiva della Scheda di sicurezza e a ricadere dell’etichettatura. Ad oggi non esiste un quadro regolatorio UE specifico per la produzione e l’utilizzo di questi prodotti da destinare all’ambito food (grado alimentare), per cui a monte, come già
[H1] Accettabile come lubrificante per le applicazioni di lubrificazione e contatto accidentale in zone di trasformazione alimentare. Deve essere insapore, inodore e fisiologicamente inerte. Il contatto accidentale con l’alimento deve risultare tecnicamente inevitabile e la sua concentrazione “cut-off” è di 10 ppm.
[H2] Accettabile come lubrificante per le applicazioni di lubrificazione in zone di trasformazione alimentare dove però non c’è il contatto con gli alimenti (neanche accidentale). In sostanza non sono sicuri per gli alimenti perché, ad esempio, contengono sostanze classificate come CMR (cancerogene, mutagene, dannose per la riproduzione, esempi in Figura 2).
[H3] Accettabile per l’uso come agente di
Tuttavia, limitatamente a questo standard USA, le produzioni di queste miscele non hanno l’obbligo della tracciabilità degli ingredienti e quindi, in ambito HACCP, si genera una falla nei confronti degli adempimenti del Reg. CE 178/2002.
A tal riguardo, congiuntamente alla certificazione NSF, può essere acquisita anche quella di prodotto secondo lo standard ISO 21469, il quale risolve questo aspetto, poiché valuta le GMP del prodotto, la tracciabilità/rintracciabilità dei suoi ingredienti e il rispetto degli standard di sicurezza igienica lungo tutte le sue fasi di fabbricazione.
Oli Minerali
TRA GLI INGREDIENTI
Si ricorda infine che, a causa di necessità prestazionali lubrificanti e/o antiossidanti, spesso tra gli ingredienti ci possono essere gli oli minerali; essi sono identificati con gli acronimi: MOAH (Mineral Oil Aromatic Hydrocarbons) e MOSH (Mineral Oil Saturated Hydrocarbons). Queste sostanze sono idrocarburi principalmente di derivazione petrolifera e quelli con le componenti aromatiche sono particolarmente critici. La Raccomandazione UE 2017/84 ne ha predisposto il monitoraggio negli alimenti poiché un’altra significativa fonte contaminante è rappresentata dai prodotti MOCA e dagli inchiostri utilizzati per la stampa. In Figura 2 sono stati posti a confron- no dell’aria e contemporaneamente dall’attività metabolica dei microrganismi che li trasformano in un composto la cui adesività superficiale è destinata ad aumentare gradualmente nel tempo. Il prodotto di queste trasformazioni è banalmente noto come sporco.
Un’errata valutazione della frequenza applicativa della procedura di sanificazione comporta sempre una progressiva maggiore stabilizzazione dello sporco residuale per cui poi, rimuoverlo completamente, diventa sempre più difficoltoso.
BPR – BIOCIDAL PRODUCTS REGULATION
L’UE, nell’intento di superare le normative nazionali sui disinfettanti (in Italia noti come PMC), ha introdotto il quadro normativo armonizzato identificato con l’acronimo BPR – Biocidal Products Regulation, che ha apportato modifiche sostanziali sia per chi li produce ma anche per chi li deve utilizzare.
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Ø PT1: Igiene umana.
Reg.
(PMC)
Ø PT2: Disinfettanti e alghicidi non destinati all'applicazione diretta sull'uomo o animali.
Ø PT3: Igiene veterinaria.
Ø PT4: Settore dell'alimentazione umana e animale.
Ø PT5: Acqua potabile.
Prodotti usati per la disinfezione di attrezzature, contenitori, utensili per il consumo, superfici o tubazioni utilizzati per la produzione, il trasporto, la conservazione o il consumo di alimenti o mangimi (compresa l'acqua potabile) destinati al consumo umano o animale Prodotti usati per impregnare materiali che possono entrare in contatto con i prodotti alimentari to le identificazioni dei pericoli, estratti dalle rispettive Schede di sicurezza, di due prodotti lubrificanti. Quello a base di olio minerale, contenendo sostanze CMR, presenta le frasi H350, H361f e H373. Entrambi presentano la frase H411 relativamente all’impatto ambientale.
I Prodotti Chimici Per La Sanificazione
La sanificazione è il processo che mette in “sicurezza igienico-sanitaria” le superfici, le attrezzature e i recipienti utilizzati per la produzione e il confezionamento degli alimenti.
Sostanzialmente si tratta della rimozione dei residui di dette lavorazioni i quali, aderendo appunto alle superfici, innescano reazioni chimiche di trasformazione indotte dall’ossige - fig. 3
Una conseguenza relativa alla persistenza ambientale dei residui di sporco è la concomitante formazione del biofilm, il quale, potenzialmente, porta allo sviluppo di ceppi di microrganismi atipici rispetto alle tipologie normalmente presenti negli alimenti prodotti.
Un esempio relativamente recente ha interessato dei dolci a base di cioccolato i quali, essendo risultati contaminati da Salmonella spp., sono stati oggetto di allerta RASFF e ritirati dal mercato.
Fatta questa premessa, la sanificazione viene condotta in due passaggi distinti di cui il primo corrisponde alla detersione delle superfici seguito da un risciacquo e il secondo corrisponde alla disinfezione.
I prodotti chimici da utilizzare in questi due distinti passaggi sono i detergenti e i biocidi. Questi ultimi sono noti anche col nome di disinfettanti e, secondo il quadro normativo vigente, sono in grado di esplicare attività biocida che è correlata alla concentrazione d’uso e ai tempi di contatto (informazioni queste riportate in etichetta).
Senza entrare nel merito delle disposizioni imposte dal regolamento armonizzato, quello che per i Tecnologi Alimentari è importante sapere è quanto segue (Figura 3):
1. per la disinfezione delle mani degli operatori bisogna utilizzare biocidi/ disinfettanti classificati come PT1;
2. per la disinfezione delle superfici, attrezzature destinate al contatto con gli alimenti bisogna utilizzare biocidi/ disinfettanti classificati come PT4.
Le classificazioni PT implicano l’utilizzo di specifiche condizioni da applicare per l’esecuzione dei test da condurre per confermare le attività biocide vantate in etichetta e che prevedono, tra l’altro, l’uso di uno sporco interferente che è rappresentativo del settore in cui si applica.
Così, ad esempio, l’attività battericida di un biocida viene considerata vera solo se, in assenza e in presenza di sporco, raggiunge almeno 5 riduzioni logaritmiche (alle condizioni d’uso definite).
La scelta di un biocida classificato, ad esempio, come PT2, in ambito alimentare, è errata!
I test da superare per questa classe sono differenti e il suo impiego in ambito alimentare può non risultare efficace a causa del mancato raggiungimento del numero minimo di riduzioni logaritmiche richieste per le specifiche attività biocide per cui è stato selezionato.
Ad oggi i prodotti disinfettanti approvati secondo la legislazione nazionale (i PMC) sono ancora riconosciuti, ma verranno uniformati secondo gli stan- dard del regolamento BPR con tutte le conseguenti modifiche (diventeranno biocidi con le relative classificazioni PT).
Molti applicano procedure di sanificazione che implicano l’impiego di prodotti biocidi valutati secondo il quadro regolatorio nazionale dei PMC, a seguito però dell’impatto che il BPR sta generando, è necessario interagire coi fornitori per avere la certezza che il PMC in versione BPR soddisfi i requisiti previsti per la classe PT4 e quindi il suo impiego (concentrazione d’uso e tempo di contatto) possa essere riconfermato.
I Detergenti
I prodotti detergenti sono in sintesi delle formulazioni chimiche, sempre governate dal REACH, finalizzate per la rimozione dello sporco dalle superfici. Dal punto di vista chimico-fisico essi agiscono sui legami chimici che fissano lo sporco alle superfici rompendoli e permettendone la disgregazione quindi la rimozione.
In base al valore del pH, essi possono essere distinti in: disincrostanti (pH acido), sgrassanti alcalini (pH basici) e sgrassanti neutri (pH neutro o leggermente acido/basico).
Tra i vari ingredienti, in molti di questi prodotti, giocano un ruolo decisivo i tensioattivi, molecole organiche di sintesi, molto efficaci nel processo di rimozione dello sporco in acqua.
L’acqua di fatto è l’ingrediente principale nelle procedure di cleaning, le quali rappresentano una voce importante relativamente ai suoi consumi ma anche alla produzione dei reflui e alla loro biodegradabilità.
LO SFRUTTAMENTO IDRICO
Puntando l’attenzione su quest’ultimo aspetto, tenuto conto dell’evoluzione degli scenari climatico-ambientali che impatteranno sulla disponibilità delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile, risulta strategico assumere comportamenti decisionali che pos- sano permettere:
• una gestione più oculata dei prelievi idrici;
• un miglioramento della funzionalità del depuratore chimico-fisico/biologico delle acque reflue;
• un inserimento (oppure miglioramento per chi già lo ha attivato) di un “loop gestionale” che preveda la creazione di uno stock di acqua reflua da riutilizzare, ad esempio, per le successive procedure di cleaning e/o per l’alimentazione dei servizi igienici (Figura 5).
Valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto chimico.
Scheda di sicurezza Sez. 12: Informazioni ecologiche
12.1 Tossicità
12.2 Persistenza e degradabilità
12.3 Potenziale di bioaccumulo
12.4 Mobilità nel suolo
12.5 Risultati della valutazione PBT e vPvB
12.6 Proprietà di interferenza col sistema endocrino
12.7 Altri effetti avversi
La degradabilità indica il potenziale della sostanza o delle sostanze contenute in una miscela di degradarsi nell’ambiente, tramite biodegradazione o altri processi quali l’ossidazione o l’idrolisi
Il potenziale di bioaccumulo è il potenziale della sostanza o di determinate sostanze di una miscela di accumularsi nel biota e, da ultimo, di venir trasferita attraverso la catena alimentare
La mobilità nel suolo è il potenziale della sostanza o dei componenti di una miscela, se rilasciati nell’ambiente, di muoversi grazie alle forze naturali verso le acque sotterranee o di allontanarsi dal luogo di rilascio.
Resta inteso che, in primis, il mantenimento del livello di sicurezza igienico-sanitario sia dell’apparato produttivo che dei servizi accessori coinvolti dovrà essere garantito e ciò dovrà essere inserito come capitolo a sé stante nella Risk-Analysis del proprio piano HACCP.
È molto probabile che la specifica normativa UE preveda un aggiornamento sulla gestione della materia prima acqua proprio in previsione del concretizzarsi di uno scenario critico riguardante i suoi approvvigionamenti.
La scelta di un prodotto detergente da utilizzare in una procedura di cleaning dovrà partire da una base di confronto comparativo dei parametri di valutazione dell’impatto ambientale dichiarato al punto 12 della Scheda di sicurezza/Scheda informativa (Figura 4). Il prodotto che presenta il miglior profilo di impatto ambientale è quello che dovrà essere se - lezionato per il successivo step di valutazione che è il test di efficacia. Un altro elemento di valutazione per la scelta del prodotto detergente col minor impatto ambientale è la disponibilità della certificazione ECOLABEL normata a livello UE. I fabbricanti di prodotti detergenti che volontariamente l’hanno ottenuta sono stati obbligati a sviluppare una formulazione attingendo a una lista di sostanze ingredienti approvate, riportate nell’apposito regolamento, a ciascuna delle quali sono stati assegnati dei valori a una serie di parametri che sono serviti per valutare se il prodotto risultante era o non era ECOLABEL. fig. 4
Premetto che anche per i prodotti biocidi/disinfettanti, secondo il citato regolamento BPR, per essere approvati oltre alla conferma delle attività biocide (riportate nel dossier Core-Data-Set) deve essere stato valutato anche l’impatto ambientale (riportato nel dossier Added-Data-Set).