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Anno 4 Numero 6 Novembre 2011

SFIDE di Sandra Samoggia*

Le idee dipendono dalla tecnica Diffusione della cultura tecnica e scuole di formazione tecnica di qualità sono stati per decenni non soltanto caratteri distintivi dell’economia bolognese, ma anche tra i principali fattori del suo sviluppo. E’ successo così che aziende ad altissima specializzazione trovassero sul territorio tecnici a loro volta altamente specializzati, insieme ai quali hanno costruito un modello industriale competitivo e vincente, che ha garantito al nostro sistema un lungo periodo di crescita e benessere. Non solo, ma proprio dalle scuole tecniche – una per tutte le Aldini Valeriani – sono usciti molti di quegli imprenditori che, grazie ad una intuizione applicata al sapere tecnico, hanno dato vita ad aziende che hanno fatto grande Bologna nel mondo. Non è un caso se all’interno di questo numero proponiamo i profili e le storie di alcuni imprenditori che all’Istituto Aldini Valeriani hanno completato il loro percorso formativo. Vogliamo presentare queste pagine come una occasione di riflessione sulle prospettive dell’economia bolognese. Nella misura in cui essa sarà legata al manifatturiero – come anche il presidente di Unindustria Bologna, Alberto Vacchi, va dicendo - non potrà prescindere dalle competenze e dalla passione che le scuole tecniche sanno trasmettere. E’ fondamentale che i giovani, ma non solo loro, capiscano che il nostro futuro passa di lì. *Consigliere delegato di Unindustria Bologna alla Formazione e Università

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TANTI IMPRENDITORI SONO CRESCIUTI TRA VIA CASTIGLIONE GINO RAPPARINI

STEFANO DOMENICHINI

Mister brevetti: «La mia L’alunno perfetto palestra tra i banchi» va a scuola due volte

Aldini, fabbrica La storia delle nostre industrie passa per via Bassanelli. Lì a Bologna abitano le celebri Aldini Valeriani, istituto tecnico e professionale meccanico, elettrotecnico, elettronico, chimico, grafico che, da un secolo e oltre, forgia tecnici, operai e imprenditori. Trascorsi importanti custoditi nei preziosi archivi della scuola. Archivi che adesso, grazie ad un accordo siglato con Unindustria Bologna, il

Le Aldini Valeriani come palestra del fare impresa. E arrivare così ad Ica, gioiello della nostra Packaging Valley e di cui Gino Rapparini è il fondatore e il cuore pulsante. «Quella scuola – ricorda Rapparini, diploma in meccanica nel 1953 – mi ha abituato alla manualità, a mettere in pratica i miei studi: non solo teoria, ma anche sudore. Nell’attuale Aula Magna di Santa Lucia (ex laboratorio dell’istituto che aveva sede in via Castiglione, ndr) facevo aggiustaggio: ero talmente piccolo che, per arrivare alla morsa, mi davano uno sgabello». Ma «mi hanno insegnato anche la disciplina: 8 ore al giorno tranne il mercoledì, 4, e 2 ore al sabato. Mi hanno dato le prime basi, permettendomi di conseguire un’ottima preparazione tecnica. E il ritmo di lavoro a scuola è lo stesso del lavoro di oggi». Insomma, libri, tornio e rigore. «L’attitudine di passare dalla teoria alla pratica e negli anni dalla pratica alla teoria – spiega il patron dell’impresa bolognese -, mi è stata di grande aiuto nel settore delle macchine automatiche: quando la teoria non è ben definita la pratica spesso viene in aiuto». E questa costante osmosi tra il saper fare e il saper pensare ha prodotto 200 brevetti internazionali: invenzioni o meglio soluzioni a problemi. Tutti a firma di mister Ica. Una mole tale che è finita nel mirino dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (Wipo). Al punto che l’agenzia dell’Onu ha assegnato a Gino Rapparini il premio Wipo Inventor Award «per la sua attività e innovazione imprenditoriale nel settore del packaging industriale». «Mi ha sempre spinto la voglia di non fermarmi mai, di provare piacere e gioia nel fare, nel raggiungere lo scopo, andare oltre e non mollare». Ica nasce qui, da questo impasto tra spirito d’avventura e ingegnosità. «D’estate lavoravo: nel ‘52 ho fatto la campagna della canapa come conduttore di macchine a vapore. Mi sono diplomato nel ‘53 come meccanico e in quell’estate sono entrato in fabbrica: lavoro da 58 anni nel settore meccanico e da 52 anni in quello delle macchine automatiche».

Aldini Valeriani due volte: per passione, fame di sapere e voglia di fare. La prima, nel 1970, quale disegnatore meccanico particolarista, entrando in classe di giorno. La seconda, dieci anni dopo, come perito metalmeccanico, studiando al serale. Stefano Domenichini è un aldiniano puro, che ha messo talmente a frutto la sua preparazione da aver fondato nel 1986, insieme ad altri ex di via Bassanelli, la Tramec, azienda che produce riduttori di velocità. E che, quest’anno, festeggia il quarto di secolo. «La prima scelta – ricorda Domenichini, il cui fratello, Sergio, è pure lui un ex — è stata dettata dalla passione per i motori, nata perché sono cresciuto vicino a due aziende: una di moto, la Malanca e l’altra di auto, la Ats Serenissima. Da bambino ho avuto la possibilità di visitarle molte volte». Tre anni sui libri, poi l’assunzione «nel 1971 come impiegato tecnico alla Ams Autoracing. All’inizio — racconta il socio fondatore della Tramec — ho fatto di tutto: dal lavaggio auto alle lavorazioni di tornitura e fresatura». La gavetta fino a tagliare il traguardo del «disegno meccanico di componenti delle auto prodotte: ciò per cui avevo studiato». Ma il tarlo della preparazione incompleta scava. «Dopo alcuni anni, mi sono reso conto che avevo una buona conoscenza dei processi di produzione, ma ero carente nella progettazione e nei calcoli strutturali». Si torna alle Aldini, ma al serale. Di giorno in azienda, la sera sui banchi. Anni duri questi ultimi, ma «di grande soddisfazione perché – osserva Domenichini -, oltre al programma, discutevamo con i professori dei problemi in azienda. E questo ci ha dato qualcosa in più». Senza dubbio, le Aldini danno «la possibilità di acquisire una preparazione tecnica sufficiente per affacciarsi al lavoro, ma si otterrebbero però risultati maggiori se vi fosse più integrazione fra scuola e industria. Prevedendo, ad esempio, periodi dell’anno scolastico da trascorrere nelle aziende».

GABRIELE DRUSIANI

preside Salvatore Grillo ha aperto. Permettendo ai tanti bolognesi che sono passati per via Castiglione prima, via Bassanelli poi, di recuperare i loro diplomi. Prime, seconde e terze generazioni che hanno costruito e stanno costruendo il nostro tessuto economico-produttivo. Quando il domani affonda le sue radici nel passato. Giacomo Ruggero

LORIS MANTOVANI

«Lì ho trovato «Ho imparato le competenze giuste» a migliorare sempre»

«Oggi più di ieri», Gabriele Drusiani consiglierebbe a un giovane di varcare la porta vetrata di via Bassanelli, da quasi mezzo secolo indirizzo storico delle Aldini Valeriani. Quegli anni, ammette Drusiani, presidente-general manager di Sta impianti di Crespellano, «sono stati la base che mi ha permesso prima di inserirmi nel mondo del lavoro come dipendente qualificato. Ma ancor di più di possedere quelle conoscenze che, associate all’esperienza acquisita, mi hanno consentito di iniziare e poi sviluppare la mia attività di imprenditore» partita nel 1988. Non solo tecnici, quindi, ma anche capitani d’industria: questo hanno formato le Aldini che il general manager scelse su suggerimento del padre, anche lui ex aldiniano. «Ho iniziato con le scuole medie Aldini (al tempo in via F.lli Rosselli) e poi passai all’Istituto tecnico in via Castiglione che mi appariva il naturale proseguimento». Diploma di metalmeccanico in tasca nel 1972, Drusiani ricorda oneri e onori di quel periodo: «In particolare il biennio è stato abbastanza duro. Eravamo nel post ‘68, enormi cambiamenti erano in atto. In seconda fui anche bocciato. Poi col triennio molte cose cambiarono, inaugurammo l’attuale sede di via Bassanelli e là fu tutto più facile. Col senno di poi, ritengo che la preparazione sia stata di buon livello».

«La fama di alta professionalità» è stata la molla che ha spinto Loris Mantovani a sedersi tra i banchi delle Aldini. Perito in Elettronica Industriale nel 1970, su quelle fondamenta Mantovani ha costruito Studioemme, società che opera nell’ambito della progettazione e produzione di apparecchiature elettroniche. Basi solide, perché «il corpo insegnante era molto esigente, e garantiva una preparazione di ottimo livello. C’era una componente fondamentale della formazione: l’abitudine allo sforzo finalizzata a migliorare». Al punto che gli strumenti acquisiti allora sono entrati di diritto a far parte di quel «bagaglio tecnico che mi ha permesso di affrontare le successive fasi del mio percorso professionale, con una buona dotazione di conoscenze tecnologiche». E infatti, «dal 1972 ad oggi – osserva Mantovani — ho condotto l’azienda di famiglia su percorsi di eccellenza. E ora, all’inizio del passaggio generazionale, cerco di trasferire a mio figlio i valori ricevuti sui banchi delle Aldini».


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CAVIA E STIGBASSANELLI LIONE E VIA BPRIMA ASSANEDI LLAVVIARE I PRIMA DLE I AVAZIENDE VIARE LE AZIENDE

di capitani ENZO DAL POZZO

«Imparai che capire è meglio che sapere» GIANFRANCO DONDARINI GIANFRANCO D ONDARINI

«Fu mio «Fu iill m io oosservatorio sservatorio per guardare per g uardare iill ffuturo» uturo»

LUCIANO CHECCHI

STEFANO SARTI

Una vocazione di padre in figlio

Il primo, nel 1914, fu il nonno Pietro. L’ultimo Massimo, il figlio, nel 1993. Nel mezzo ci sono stati Carlo, nel 1939, e Stefano, nel 1968. Tutti iscritti e frequentanti la sezione di Meccanica delle gloriose Aldini Valeriani. E, una volta diplomati, arruolati alla Meccanica Sarti, l’impresa di casa. Per tradizione e per far crescere l’azienda, la famiglia Sarti ha bussato ai portoni di Santa Lucia prima («quando c’erano i laboratori», racconta Stefano Sarti) e di via Bassanelli poi. «La nostra impresa, il prossimo anno, compie 80 anni. All’epoca, per garantirsi un successore, mio nonno, di cui esiste un attestato di professionalità del 1914, iscrisse mio padre, suo unico figlio, alle Aldini». E da allora il passaggio di testimone non si è mai interrotto. «Alle Aldini — rileva Stefano Sarti — si entrava poco più che fanciulli e si usciva ragazzi formati con una doppia istruzione tecnica-teorica e pratica». Una scuola tosta da quaranta ore la settimana con professori di altissimo livello, che è stata fucina di tecnici e operai «da cui le nostre imprese hanno attinto. Oltre ad aver forgiato una grossa parte del nostro tessuto economico-produttivo».

«Alle Aldini Valeriani va tutta la mia riconoscenza, perchè lì mi hanno insegnato che imparare non è sapere, bensì capire. E se comprendi bene questo, allora potrai continuare a imparare». Lezione che Enzo Dal Pozzo ha messo a tal punto in pratica da costruire la sua Commerciale Elsa srl — oggi con l’inserimento di figli evoluta in Elsa Solutions — che si occupa di automazione industriale ed elettronica di potenza. Un monito che fa il paio con una declinazione più moderna del celebre carpe diem. «Quando è necessario — spiega Dal Pozzo —, in quel preciso momento, devi dare tutto quello che puoi». Un livello massimo raggiungibile anche «grazie a insegnanti che stimolano la curiosità alla conoscenza e alla competenza». Ed è stata proprio la capacità, questa volta di babbo Francesco, di saper annusare il nuovo, che fece sbarcare il figlio in via Castiglione e conquistare, nel 1964, il diploma di perito elettronico. «L’intenzione originale era la chimica, ma ad Imola quel corso non c’era — spiega Dal Pozzo —. Mio padre scoprì le Aldini tanto qualificate, quanto severe. E mi iscrisse lì. Dopo il biennio ebbi l’opportunità dell’allora poco nota specializzazione in elettronica. E senza sapere cosa effettivamente fosse, con una grande spinta di mio babbo, ho intrapreso quel percorso». A tratti anche molto in salita. «Studiare alle Aldini era durissimo: 40 ore tra aula e laboratori. Ma, con molta fortuna, ero entrato in un corso di allievi super e prof extra-super. Senza fare nomi, ma il 45% dei miei compagni si è laureato e alcuni di loro sono docenti ordinari. Per cui o rimanevi nel gruppo o ti perdevi in mezzo alla nebbia». E oggi? «Gli istituti tecnici devono riprendere il ruolo fondamentale che hanno rivestito nel passato».

«Uno studio durissimo che facilitò il lavoro»

Lavoro o laurea: scelte a breve o lungo termine. Aldini passepartout per la vita, al di là dell’inclinazione da cui non si prescinde. «Mi sentivo più portato per le materie tecniche rispetto a quelle umanistiche», spiega Gianfranco Dondarini, diploma di perito elettronico industriale nel 1976 e ora direttore generale di Viro. Ma via Bassanelli, a tredici anni, può essere anche un buon punto di osservazione per guardare al futuro. «A quei tempi — prosegue Dondarini —, non avendo la certezza di poter o voler prendere una laurea, avere un diploma di specializzazione spendibile nel mondo del lavoro e che comunque non precludesse l’eventuale accesso all’università, mi sembrò la scelta più giusta». E, per Dondarini, Aldini fu. Così l’indipendenza anche economica la si poteva afferrare con mano. «Studiare in quell’istituto era sicuramente impegnativo, ma sopportabile». Certo è che, cinque anni dopo, uno studente acquisiva «una preparazione tecnica di buon livello, sia per quanto concerne la teoria sia per quanto riguarda la pratica sui diversi tipi di macchine di cui i laboratori erano ben forniti». Conoscenze, ma anche altro. Ad esempio, «un buon metodo di lavoro e anche la consapevolezza che occorrono volontà e determinazione per affrontare e risolvere le problematiche che si presentano quotidianamente nel mondo del lavoro». Insomma, una formazione professionale e personale che il direttore generale suggerirebbe «oggi più di allora proprio perché adesso c’è carenza di personale tecnico specializzato. Mentre, invece, per la creazione, lo sviluppo e la gestione di aziende produttive, occorre che ai vertici ci sia, di base, una buona preparazione di tipo tecnico».

«Le Aldini? Erano una scuola durissima che selezionava in modo feroce». In via Castiglione, «lo studio era lungo e molto difficile perchè, accanto alla teoria, si faceva anche molta pratica nelle officine»; prima versione degli odierni laboratori. Una strada in salita, al termine della quale, però, «potevamo esprimere subito le nostre competenze in ambito lavorativo. Le Aldini ti formavano completamente». Cinque anni e nel 1947 Luciano Checchi, patron della Metaltranciati, taglia il traguardo del diploma di perito edile. Una sterzata rispetto al percorso intrapreso nei primi tre anni, quello di metalmeccanica. «Fu una scelta consapevole — ricorda — perché allora, subito dopo la guerra, si pensava che il settore edile fosse quello in maggiore espansione. E quindi con più possibilità di assunzioni. Mentre, invece, quello metalmeccanico era pressoché fermo». Un colpo di coda che gli valse da trampolino di lancio per cominciare a rimboccarsi le maniche. Un paio d’anni come direttore dei lavori in giro per i cantieri a tirar su case e palazzi, poi il salto. «Ebbi l’occasione di rilevare un’aziendina che faceva opere metalmeccaniche», racconta. Una sorta di ritorno alle origini degli studi che ha portato Checchi a costruire la Metaltranciati di oggi, ad Ozzano, uno «stabilimento all’avanguardia dove produciamo laminati in acciaio per industrie meccaniche».


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MASSIMO GANZERLA

GABRIELE DEGLI GABRIELE DEGLI ESPOSTI ESPOSTI

Una formazione a pane e ferro

L’amore L ’amore p per er la la velocità velocità fu lla fu a spinta spinta iniziale iniziale

Pane e ferro. E’ «l’odore inconfondibile» di quel metallo, annusato fin da piccolo tra le mura domestiche, ad aver sollecitato Massimo Ganzerla a muovere i suoi passi scolastici in direzione via Bassanelli. «In casa mia, si respirava un certo clima metalmeccanico». Merito del padre Italo che, nel 1960, si lanciò in quella che sarebbe divenuta (e cresciuta) l’impresa di famiglia, la Gait (appunto GAnzerla ITalo) operante nel settore delle attrezzature e dei ricambi per macchine utensili. Aldini Valeriani, dunque. Anzi, per la precisione indirizzo meccanico ovvero il must di una scuola che ha sfornato un’elite di operai, tecnici e imprenditori. Il diploma nel 1983. Dopo, ricorda Ganzerla, che ora guida la Gait, «scoprii di essere iscritto d’ufficio nella lista della seconda generazione di piccoli imprenditori. E così mi sono ritrovato ad apparecchiare una micro scrivania sistemata sul lato opposto di quello riservato a mio padre, lì il capo». Stare sui libri alle Aldini non era tutta discesa, ma «ti offrivano tantissimo e spesso anche il meglio». E comunque in quell’istituto si imparava che «se ci vuoi stare nel mondo del lavoro, non devi smettere mai di studiare». Ecco perché quei cinque anni, chiarisce Ganzerla, «per tutti noi che li abbiamo vissuti (chi più e chi meno), ci hanno modificato geneticamente. Una volta uscito, ho capito immediatamente che dovevo impegnarmi a testa bassa. Ci è voluta un po’ di pazienza. Gli insegnamenti dei prof erano fotografie sfuocate, ma in un’occasione dopo l’altra, sbattendo contro la realtà dei problemi, quasi senza che me ne rendessi conto, le vecchie immagini hanno cominciato a definirsi e allora grazie scuola». E, alla fine, si scopre che «l’azienda non è solo meccanica e tecnologia, ma anche comunicazione con gli altri perché è l’insieme delle persone che ci lavorano all’interno». Insomma, con le dovute proporzioni, un concetto che «potrebbe valere anche per la scuola»: aule e docenti.

Un motore che marcia a pieno regime senza perdere colpi. Questo rappresentano le Aldini Valeriani per Gabriele Degli Esposti: nel 1974 perito capotecnico metalmeccanico; nel 2011 amministratore unico e manufacturing engineer di Settebello srl, nella progettazione e nella realizzazione allestimenti, e amministratore unico della Kisstech Srl, macchine per packaging e nuove soluzioni per capsule di caffè. «Le Aldini mi hanno fatto vivere», ammette Degli Esposti che fu spinto tra quei banchi dalla «grande passione per la velocità, per la fisica. Mio padre — ricorda — mi aveva insegnato a costruire barche a vela, a smontare ed elaborare motori, a costruire e usare aeromodelli telecomandati. Da ex istruttore pilota, mi portava all’aeroporto dove, con alcuni amici, ricondizionavano piccoli aerei. L’Aldini Valeriani era la scuola d’officina, una scelta ovvia». Una palestra che, messi in mano i ferri del mestiere, permette di imboccare subito, all’indomani del diploma, la strada del lavoro. «Ho cominciato all’Utm-Ufficio Tempi e Metodi della Minganti, poi sono passato alle Officine Cevolani e via via fino al Gruppo Sasib, settore ingegneria di produzione del gruppo». Una crescita costante costruita su base solide. «Le Aldini erano molto dure — ammette Degli Esposti —. Le ore erano tante, mattina e pomeriggio e al sabato ancora lezioni. Preparazione di ottimo livello, si usciva con un diploma che consentiva un facile accesso al mondo del lavoro, prendendo ‘rapidamente i giri’. La formazione in disegno tecnico meccanico mi aiuta ancora moltissimo. Tuttora schizzo in 3D a mano durante le riunioni per fissare oggetti e soluzioni. Prima del tecnigrafo, si disegnava a mano su carta da macellaio. La prima bozza del progetto si plottava così». Insomma, una scuola del «saper fare con un patrimonio infinito di conoscenze. Forse per creare un nuovo livello culturale e di formazione si potrebbero oggi usare quelli che erano gli studenti di allora».


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MARCO MINGARDI

GIOVANNI MAZZOCCHI

«Sulle orme di mio padre»

«La mia azienda viene da quegli studi»

ROBERTO ARDIZZONI

Prima l’elettronica, poi l’ingegneria Propensione verso gli studi scientifici e una buona dose di «curiosità verso i meccanismi, data anche dal fatto che mio padre aveva avviato un’attività autonoma di costruzioni meccaniche», sono gli ingredienti che hanno spinto Marco Mingardi a iscriversi al corso di Metalmeccanica, diploma 1974. «Mio padre, mi fece quella proposta e io accettai», confida Mingardi, che oggi dirige il settore Amministrazione, Finanza e Controllo della Way-Window automation industry. Una scelta uguale a quella del padre, ex studente delle Aldini. E così, insieme a lui, «ebbi la possibilità di contribuire allo sviluppo della sua società, che crebbe anno dopo anno, fino a raggiungere dimensioni apprezzabili». Una corsa partita da via Bassanelli. «Lì — ricorda Mingardi – ho ricevuto le basi che erano indispensabili per un tecnico, per una persona che opera in un ufficio tecnico o in un’area di produzione, o che all’interno di una azienda meccanica avrebbe dovuto affrontare e risolvere temi specifici». Cinque anni a studiare alle Aldini, «il biennio fu relativamente duro per periodo sia storico che personale. Storico perché eravamo negli anni ’68-‘70 ed erano più i giorni di indisponibilità della scuola che quelli di lezione; personale perché in piena fase adolescenziale gli interessi erano rivolti in tutt’altra direzione».

«Le Aldini? Mi hanno permesso di avere un’azienda mia in cui svolgere lavorazioni meccaniche di precisione». Affondano qui le radici dell’avventura (anche personale) di Giovanni Mazzocchi, patron della Gimec di Marzabotto. «Sono state delle buone fondamenta su cui costruire il percorso di 40 anni di professionalità in questo campo». La partenza. «Dopo il diploma professionale di operatore macchine utensili nel 1971 – ricorda Mazzocchi -, ricevetti numerose richieste di assunzione da parte di aziende storiche molto importanti. Ne scelsi una e cominciai a lavorare poche settimane dopo aver chiuso i libri». Scegliere le Aldini era quasi un passaggio obbligato per chi voleva imboccare la strada della meccanica. «Erano tra le scuole più rinomate di Bologna e offrivano un indirizzo professionale tra i più importanti». Inevitabile quindi passare per via Castiglione. «Studiare alle Aldini non è stato particolarmente duro e nonostante il periodo (inizio anni ‘70, contestazioni di vario tipo e scioperi politici) si studiava il giusto, ma la preparazione comunque era di ottimo livello ed il risultato finale è stato buono». Al punto che «qualora avessi avuto figli maschi sicuramente li avrei indirizzati verso questo istituto che ritengo ancora essere il migliore istituto professionale cittadino».

«Le Aldini? Sono state le fondamenta della mia attività professionale dopo l’università». Parola di Roberto Ardizzoni, un diploma in Elettronica nel 1970 in via Castiglione sfociato in una laurea in Ingegneria elettronica. E un lavoro alla Studioemme, impresa che opera appunto nel settore dei servizi per l’elettronica e nella produzione di apparecchiature. Aldini, dunque, come trampolino di lancio, perché capaci di fornire quel know how difficile da trovare altrove. Istituto di sostanza scelto «per la sua reputazione e l’eccellenza di un corpo docente» capace di trasmettere «una preparazione di un ottimo livello». Il debutto alle Aldini, nel «triennio, con un primo anno particolarmente duro» trascorso sui libri e nei laboratori sempre all’avanguardia su cui esercitarsi. Il primo step di una vita professionale.

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