GROSSETO

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 27 GENNAIO 2012

Scuola media

Gozzano Roccastrada

Rivalutiamo il nostro paese Gli studenti chiedono al sindaco interventi per il bene di Roccastrada RIFLESSIONE

Le bestie che fanno male agli animali I MALTRATTAMENTI verso gli animali stanno crescendo a dismisura, vittime dell’incoscienza e della cattiveria dell’uomo , che per puro divertimento o per scopo di lucro, li maltratta, li sfigura e li uccide. I diritti degli animali vengono ignorati e la gente fa finta di non sapere: molto spesso i genitori regalano al figlio un cucciolo, che crescendo diventa una spesa, un peso e se ne sbarazzano. Il problema del maltrattamento non è legato soltanto agli «amici dell’uomo» ma anche ai cavalli: in un maneggio del sud Italia, sono stati scoperti, dai volontari della protezione animale, ventiquattro cavalli maltrattati e malnutriti, costretti a trascinare pesanti zavorre lungo il litorale o a camminare al passo con le zampe posteriori legate tra loro; tutti i cavalli, tranne due, erano destinati al macello. Anche in Maremma si sono verificati episodi del genere: un allevatore racconta di aver salvato dei cavalli malnutriti e magrissimi, abbandonati in un terreno dismesso, caso di cui si è occupato anche il celebre programma «Striscia la Notizia». Roma, 29 marzo 2011: 234 comunicazioni in pochi giorni, nove persone individuate e denunciate per pratiche crudeli contro i cani, gli animali venivano accecati con un laser puntato dritto negli occhi. Ci interroghiamo quindi sulle motivazioni che spingono l’uomo, ancora oggi, a ribadire ed esercitare la propria supremazia sulla natura.

«I GIOVANI di Roccastrada non sono soltanto quelli descritti dalla cronaca, bensì ragazzi con valori importanti e speranzosi di migliorare le condizioni del loro paese». Esordisce così Sandro, della scuola media di Roccastrada, di fronte al primo cittadino, Giancarlo Innocenti.

di cerchiamo di trovare una collaborazione con i cittadini». Che prospettive di lavoro abbiamo nel territorio di Roccastrada?

«Ci vuole volontà e adattamento per i giovani, che in futuro si affacceranno al mondo del lavoro. Oggi c’è precarietà ed è difficile trovare una occupazione. Fate bene ad aspirare alle attività intellettuali, ma adattatevi a fare anche altri lavori più umili».

Sindaco, come si trova a Roccastrada?

«Mi trovo bene, sono nato qui e ci vivo tuttora, amo Roccastrada in particolar modo in questo ruolo».

Secondo lei si potrebbe migliorare la condizione economica del paese?

Noi siamo amareggiati per i giudizi negativi che sono emersi dalla cronaca di quest’anno. Come possiamo rivalutare il nostro paese?

«Mi sono preoccupato per gli episodi di bullismo. Ci siamo mossi con le organizzazioni e i servizi sociali. Il cittadino si deve sentire sicuro, deve denunciare alle Forze dell’ordine; raccomando ai ragazzi di non chiudersi in se stessi perchè la società è fatta di persone che si incontrano, si stimano e collaborano». Nel nostro territorio ci sono molte attrazioni turistiche: le terrazze panoramiche, il teatro, il centro storico, il castello; quello che lamentiamo pe-

INCONTRO Gli studenti della scuola media insieme a Innocenti rò è l’assenza di un locale dove i giovani si possano incontrare, come l’Arci.

«Una delle risorse principali di Roccastrada è il paesaggio che dobbiamo salvaguardare anche per il turismo; purtroppo il locale che prima accoglieva l’Arci non è agibile e quindi, per l’incolumità delle persone, devono essere fatti dei lavori, c’è co-

munque un bando per trovare un gestore». Noi ragazzi abbiamo notato un degrado ambientale: le strade, le fontane. Perché non abbellire i giardinetti con i fiori, in modo che diventino belli come quando eravamo piccoli?

«Sono d’accordo di abbellire i giardinetti ma non ci sono gli operai, quin-

«Si può migliorare ma non è l’unico indice di benessere: vivere in un ambiente pulito è una ricchezza; ora è un momento difficile, bisogna puntare su cose più collettive e meno individuali». Quali sono le risorse sul nostro territorio?

«Parlerei di sviluppo plurimo: agricoltura, attività legate alla cava del gesso, l’attività mineraria purtroppo sta andando in esaurimento». Al termine dell’intervista i ragazzi si sono stretti intorno al sindaco per una foto ricordo e hanno salutato il primo cittadino augurandogli buon lavoro e pregandolo di ricordarsi dei giovani durante la propria attività.

PROBLEMA VIAGGIO POCO AGEVOLE PER CHI ABITA A TORNIELLA E PILONI. OGNI GIORNO UNO STRESS

A scuola a tappe: tre bus per 17 chilometri

FRAZIONE Raggiungere Torniella con il bus non è facile

ORE 7, PILONI: i giovani abitanti di Piloni, frazione di Roccastrada, aspettano il pulmann che li condurrà a Torniella. Ore 7.20,Torniella: arrivo a destinazione, un altro gruppo di ragazzi aspetta alla fermata . Ore 7.50, Roccastrada: tutti gli studenti scendono di fronte al teatro.Un altro pulmino li condurrà a acuola. Queste sono le tappe del tragitto che i giovani abitanti di Torniella e Piloni percorrono tutte le mattine: la scuola dista soltanto diciassette chilometri e per raggiungerla devono cambiare tre mezzi di trasporto. Marta si apre ad uno sfogo personale: «La mattina mi sveglio alle 6.30 per arrivare a scuola alle 8, cambio tre pullman e, inoltre, quando ritarda, stiamo fuori al freddo ad aspettare; questa non è una critica al servizio di trasporto, gli autisti fanno il loro lavoro con professionalità, ma è una considerazio-

ne personale che viene dal cuore e penso, a nome di tutti i ragazzi del posto, che ottenere un pulmino tutto per noi sarebbe un riscatto anche sociale poiché ci sentiamo a volte fuori dal mondo e poco integrati con la società; Torniella è una piccola realtà di 350 abitanti, Piloni è ancora più piccola». BIANCA, un’altra studentessa torniellina, esprime il proprio rammarico per il disagio, si rattrista perché, dai suoi occhi di dodicenne, si sente bistrattata. «E’ possibile — si chiede — che non possiamo avere una linea diretta che ci porti direttamente a scuola? Abitiamo soltanto a diciassette chilometri di distanza! Dobbiamo parlare per ottenere quello che ci spetta, siamo minorenni però abbiamo anche noi il diritto di esprimere la nostra opinione».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della classe 2 B della scuola media di Roccastrada. I loro nomi: Alimi Meleke, Ballerini Giovanni, Bartalucci Sandro, Brandaglia Sofia, Ceccarini Luna, France-

schini Camilla, Gradinaru Denis, Guiggiani Bianca, Lanforti Alessio, Mancianti Ettore, Menichetti Benedetta, Mustiata Gabriel, Nocciolini Elena, Pieri Lorenzo, Porcu Francesca, Rovaldieri Davide, Roveri Lo-

la, Solomon Valeria, Xhaferi Bayran. L’insegnante è la professoressa Michela Cavese, il dirigente scolastico è la professoressa Loretta Borri.


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VENERDÌ 27 GENNAIO 2012

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Scuola media

Castellazzara Castellazzara

Salve, Antinisca. Piacere, Poldelio Viaggio tra i nomi più stravaganti dei residenti a Sorano e Castell’Azzara zo, troviamo un dottore di nome Poldelio: è l’unione dei nomi dei suoi genitori, Poldo suo padre ed Elia sua madre . A Selvena c’è una signora di nome Speranza, perché il padre e la madre speravano di avere una figlia femmina e così è stato, la loro speranza non è stata delusa.

PASSEGGIANDO per Montevitozzo, Castell’Azzara e Selvena, possiamo imbatterci in persone dai nomi davvero stravaganti. Questa cosa ci ha incuriosito molto e ci siamo chiesti da dove hanno origine tali nomi. Così siamo andati in giro ad indagare. A Castell’Azzara abbiamo trovato una persona di nome Antinisca, così chiamata perché era il nome di una regina greca; un’altra di nome Geronima, chissà se crescendo avrà letto molti libri di Geronimo Stilton! In realtà il suo era il nome di un capo indiano. E CHE VE NE PARE di Firenze? Noi pensavamo romanticamente che tale nome gli fosse stato dato perché i genitori si erano conosciuti a Firenze, invece per il semplice fatto che a loro piace molto questa città. Incontriamo Primo, che porta il suo nome perché è il primo figlio… poi ne sono nati altri sette! AMERIGO ha un nome importante, così si chiamava il grande

ANCHE SE non sappiamo il motivo di altri nomi che circolano nelle nostre zone ci sembrava divertente almeno citare questi per la loro particolarità: Selvaggio, Aristippo, Aristotile, Clorinda, Genoveffa (speriamo non sia brutta e cattiva come la sorella di Cenerentola), Manfredo, Agostino, Remigio, Alfina, Orlando, Telesforo, Erina, Clementina, Ferruccio, Egisto, Asterio, Oreste, Serafina, Oro Massimo, Kaia, Argento. DIFFERENZE I giovani possono sorprendersi per i nomi degli anziani

navigatore Amerigo Vespucci! E Gioconda? I suoi genitori desideravano una bambina allegra, eppure a noi non sembra così gioconda la «Gioconda» di Leonardo da

Vinci. Alcide prende il suo nome da Alcide De Gasperi. SPOSTANDOCI a Montevitoz-

INFINE, ma non ultimi per originalità, Blu, Aria e Acqua. Nell’attesa di trovare Terra e Fuoco, per il momento pensiamo che i nostri paesi, per quanto piccoli, si distinguano in creatività.

TEORIA & PRATICA ESISTE UNA NORMATIVA SPECIFICA, PERO’ IN MOLTI FANNO FINTA DI NULLA

La legge impone vincoli, ma chi li rispetta?

REBUS Nomi o anagrammi? A volte la domanda è giustificata

«E’ VIETATO — secondo la legge — imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi, un cognome come nome, nomi ridicoli o vergognosi». Lo stabilisce l’articolo 34 del Dpr 396/2000. Quante volte, sentendo il nome scelto, verrebbe la tentazione di dire al genitore «ma si rende conto che questa persona verrà chiamata con tale nome per tutta la vita?» e potremmo anche scommettere che, prima o poi, l’individuo che lo porta sarà oggetto di scherno ed ironia….. Happy Accident è il nome di una frugoletta venuta al mondo lo scorso 26 settembre al Portland Hospital di Londra; la casualità (che felice coincidenza!) ha voluto che la piccola fosse figlia di un divo del cinema, Hugh Grant, e di una donna asiatica: scegliendo il nome della neonata, il papà si è concesso un stravaganza da star, la mamma si è adeguata alla tradizione cinese, che prevede nomi evocativi. O forse i genitori non hanno voluto essere da meno dei colleghi che, ai loro ultimi nati, hanno affibbiato nomi molto, molto singolari? E’ il caso del calciatore David Be-

ckham e della cantante Victoria, che hanno registrato all’anagrafe la propria figlia come Harper Seven; rimanendo in tema di celebrità, si chiama Peach una delle figlie del cantante Bob Geldof, e Gwyneth Paltrow ha scelto di chiamare la primogenita Apple. E a questo punto, ci poniamo una domanda: cosa può fare l’ufficiale di stato civile prima della formazione dell’atto? In realtà, ben poco, secondo quando previsto dal 4º comma dello stesso articolo 34; l’ufficiale di stato civile dovrà avvisare il genitore dell’esistenza della norma, ma non è prevista nessuna possibilità di rifiuto, né di contenzioso di fronte all’insistenza del genitore che «vuole» attribuire quel determinato nome: comunque, il dichiarante otterrà di imporre il nome voluto. Concludendo, potremmo affermare che nella scelta dei nomi si sono aperti più vasti orizzonti, i nomi tradizionali stanno ormai «tramontando», ma.. perchè non concederci il piacere di un momento di ottimismo e di intelligente speranza nell’uso del buon senso da parte dei genitori?

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti: Bernardini, Carbonari, Conti, Cracium, El Azhari, El Habti, Manase, Pifferi, Toniazzini S., Yakimova, Baldoni, Bohr, Donati,

Fazzini, Foudal, Gallo, Nutarelli, Paradisi, Tonioni, Tutini, Bellumori, Biondi, Boni, Dani, Esposito, Fortunati, Mastacchini, Luchian, Toniazzini C. Gli insegnanti tutor so-

no i professori Simonetta Breschi, Fabiana Petrillo e Fabrizio Nai, mentre il dirigente scolastico è la professoressa Nunziata Squitieri.

NEL MONDO

Russi, tripletta I giapponesi «disegnano» IN RUSSIA i nomi sono composti da tre componenti: il nome proprio (per esempio, Ivan), il patronimico (ossia il nome del padre in genitivo, per esempio, Petrovic) e il cognome (normalmente con la terminazione -ov per un uomo, oppure -ova per la donna, Ivanov e Ivanova). Prima della rivoluzione del 1917, il nome di battesimo veniva usato nei ceti alti solo per denotare un legame d’amicizia particolarmente profondo e duraturo, o uno stretto legame di parentela. Si usava il nome esclusivamente tra le persone dello stesso sesso. Il patronimico da solo, in passato, era usato quasi esclusivamente tra persone semplici e poco istruite o quando qualcuno voleva imitarne, per ironia o sarcasmo, la parlata. Invece, i nomi in Giappone vengono normalmente scritti con gli ideogrammi (kanji), per questo motivo ogni nome giapponese ha un significato. I «kanji» hanno una natura pittografica in quanto derivano da disegni. Durante un lungo periodo di tempo la forma di quei disegni è cambiata fino a perdere quasi totalmente la sua natura iconografica originaria, ma tuttavia rappresenta ancora intere parole o parti di esse. Ne esistono alcune migliaia. Il governo ha stilato una lista di «kanji» di alta disponibilità, ovvero quelli più usati quotidianamente. Il Katakana, insieme all’hirigana e al kanji, è uno dei tre alfabeti giapponesi, si usa per tradurre alcune parole straniere. Questi sono solo due esempi che rendono chiaramente come dietro ad un nome si celi anche la storia, i costumi e più in generale la cultura materiale di ogni popolo.


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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Ungaretti Grosseto Grosseto

Niente vergogna, è solo dislessia In media soffre di questo disturbo uno studente ogni venti INTERVISTA

«Bisogna imparare a conviverci» F., 16 ANNI, frequenta la terza superiore di un istituto tecnico della città, è un adolescente come tanti, sportivo e spigliato nei rapporti con gli amici. «I miei problemi sono iniziati in prima elementare: ho avuto serie difficoltà ad imparare a leggere, non memorizzavo le sillabe, invertivo le lettere, mi stancavo molto facilmente e piangevo. Sul quaderno le lettere sembrava che ballassero!» Quando sono stati riconosciuti i tuoi problemi con la dislessia?

«L’insegnante di lettere in prima media ha consigliato ai miei genitori una visita specialistica che ha evidenziato il disturbo. Credevo di essere stupido perciò per me inizialmente è stato quasi un sollievo. Finalmente mi sentivo giustificato di fronte agli insegnanti e ai miei genitori. La neuropsichiatra mi aveva spiegato che la dislessia non c’entrava niente con l’intelligenza».

LA DISLESSIA è un disturbo della lettura caratterizzato dalle difficoltà ad effettuare una lettura accurata e fluente. E’ il prototipo dei Disturbi specifici di apprendimento (Dsa) che comprendono anche disgrafia, disortografia e discalculia ovvero difficoltà nell’acquisire e padroneggiare abilità di scrittura e di calcolo. Il dislessico può leggere e scrivere ma riesce a farlo solo impegnando al massimo le sue capacità e le sue energie, poiché non può farlo in maniera automatica come la stragrande maggioranza dei ragazzi, perciò si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro ed è sempre pressato dal tempo. La dislessia, che in Italia riguarda circa il 4% della popolazione scolastica, si manifesta già all’inizio della scuola primaria e, grazie alla segnalazione della famiglia e degli insegnanti, gli specialisti ne stabiliscono la presenza osservando la «discrepanza» tra l’intelligenza generale e le più semplici abilità scolastiche. Il dislessico può attardarsi nell’esecuzione del compito e poi agire in modo affrettato, leggere con difficoltà l’orologio analogi-

FINO a non molto tempo fa i di-

slessici venivano etichettati come lenti e svogliati, pigri e poco intelligenti, a volte anche ritardati. Invece il dislessico è intelligente per definizione! E’ capace di imparare, è intuitivo, creativo, intelligente, spesso anche oltre la media, sa trovare soluzioni originali, ha una eccezionale memoria visiva, sa integrare nuove informazioni

Segni particolari: essere una persona geniale

«Sì, perché molti non conoscono davvero questo problema. Anche adesso non voglio che i miei compagni mi considerino diverso!».

«Gli farei capire che non è sua la colpa e che la dislessia è una caratteristica di una persona come l’avere gli occhi azzurri. Però è dura, soprattutto a scuola. Sapessi quante volte rinuncio ad uscire perché non mi basta mai il tempo per fare i compiti!».

DIFFICOLTA’ Leggere parole e numeri diventa un po’ più complicato

co, avere un equilibrio precario, non essere coordinato ed ancora può sembrare tra le nuvole, non stare mai fermo, avere poca memoria e non trovare le parole per esprimersi o prendere troppo tempo prima di rispondere alle domande.

LA LEGGE 170/2010 e il decreto attuativo con le linee guida assicurano a questi studenti una didattica personalizzata e l’introduzione di strumenti compensativi e misure dispensative. Gli strumenti compensativi servono per compensare il disturbo e svolgere la parte automatica del compito, sono «protesi» come gli occhiali, «strumenti» come le penne o «memorie esterne» come le chiavette Usb (pc con controllo ortografico, sintesi vocali, audiolibri, calcolatrice). Per le prestazioni più difficoltose, le misure dispensative consentono di non svolgere attività come la lettura a voce alta, lo studio mnemonico di tabelline o poesie e possono essere dispensati dalle prove scritte di lingua straniera sostituite da prove equivalenti.

ANALISI MUSICISTI, SCIENZATI, ATTORI, SCRITTORI, IMPRENDITORI. QUANTI VIP CON QUESTA «DIFFICOLTA’»

Molti ragazzi dislessici si vergognano di ammettere questo loro problema di fronte ai compagni. Capita anche a te?

Come incoraggeresti un bambino dislessico ad affrontare il futuro?

in modo globale, apprende facilmente mediante l’operatività e la sperimentazione concreta e ciò lo rende particolarmente perspicace. Finalmente il ministero ha varato le misure, efficaci da quest’anno scolastico, per assicurare il diritto allo studio degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento.

TUTTO E’ RELATIVO Einstein, un genio dislessico

COSA HANNO in comune Albert Einstein con Mozart, Leonardo Da Vinci con John Lennon? Non solo la genialità: erano tutte persone dislessiche! Pittori e musicisti, politici e scienziati. Sono molti i nomi celebri che vengono associati al disturbo della dislessia: da Pablo Picasso a Steven Spielberg e Agatha Christie, scienziati come Isaac Newton, politici come John F. Kennedy e Winston Churchill, imprenditori di successo come Rockfeller e Henry Ford e personaggi del mondo dello spettacolo come Cher, Orlando Bloom, Tom Cruise e Mika. Il legame tra dislessia e creatività è dovuto ad una differente attivazione neuronale nell’emisfero celebrale destro, quello adibito alle attività sintetiche, concrete, intuitive e spaziali, al contrario di quello sinistro che regola le azioni ver-

bali, analitiche, simboliche, temporali, razionali e logiche. Durante la lettura nel cervello dei dislessici si attivano zone diverse e questo li facilita nel trovare soluzioni originali, li rende creativi e vivaci.Ricercatori di Stoccolma, studiando alcune famiglie finlandesi in cui questo disturbo è ricorrente, hanno scoperto che anche la dislessia ha il «suo» gene dal nome impronunciabile: Dyx1c1. Questa scoperta conferma che c’è una predisposizione familiare alla dislessia, oltre ad altre cause non ancora chiare che potrebbero esserne all’origine. Il «dislessico» dunque non guarisce ma, se la famiglia, la scuola, il lavoro gli danno le giuste opportunità, può imparare ad aggirare il disturbo perché la dislessia non è di per sé un ostacolo al successo nella carriera e nella vita.. e questi dislessici famosi lo dimostrano!

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti: Kerol Alafleur, Anna Amico, Angelica Baglioni, Alessio Bennati, Chiara Bernabini, Federica Boldorini, Manuele Brancaccio, Angela Coppola, Davide Corridori, Massimiliano D’Aniello, Giose Fusco, Arianna Gaudino, Vincenzo Hu-

delka, Aldo Longobardi, Pamela Manfredini, Simone Mangiavacchi, Matteo Montani, Giovanni Mormone, Cecilia Moscatelli, Chiara Ottaviani, Federica Pianese, Anas Rhallab, Elena Saviello, Paolo Sodano, Leoluca Volpi (classe III G, scuola media «Ungaretti»). Il dirigente scola-

stico è la dottoressa Fiorella Bartolini e gli insegnanti tutor che hanno seguito i ragazzi nella raccolta delle notizie e nella realizzazione del lavoro sono la professoressa Maria Carla Giuliarini e il professor Giorgio Nocchi.


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MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Mazzini Porto Porto Santo Santo Stefano Stefano

La solidarietà accende la notte Una nave affonda, un territorio si mobilita. E’ il cuore dei maremmani NON ERA QUESTO l’argomento di cui dovevamo trattare, ma quello che è successo a poche miglia dal nostro paese ci ha talmente coinvolto che non potevamo fare a meno di parlarne, per di più la nostra scuola, ossia la scuola media «Mazzini», è stata direttamente coinvolta nell’evento. Tutto è cominciato la sera del 13 gennaio, quando la nave Costa Concordia, in navigazione da Civitavecchia verso Savona, si è scontrata con gli scogli «Le Scole» all’isola del Giglio. L’allarme è stato dato intorno alle 23 e all’una di notte il segretario della nostra scuola, Stefano Picchianti è stato chiamato dai vigili urbani di Porto S.Stefano, perché c’era necessità di aprire l’istituto per farne un centro di accoglienza per i naufraghi. E’ stato lui ad aprire la scuola e ad avvisare il nostro preside, Giancarlo Stoppa. A scuola sono arrivati gli operai del Comune ed alcuni rappresentanti della società Costa. Addetti e volontari hanno sistemato la palestra, mettendo le panche e i tappeti per far sedere più persone possibili. Verso le 4.30 una telefonata

paggio della Costa Concordia. E’ stata una nottata impegnativa, ma nonostante questo la scuola è rimasta attiva fino la sera del sabato accogliendo e rifocillando più di quattromila persone.

RELITTO La Costa Concordia adagiata su un fianco di fronte al Giglio

ha avvisato che dal Giglio era partito il primo traghetto con diversi naufraghi a bordo. Le persone sono arrivate dopo un’ora e sono subito state accolte in palestra, con bevande calde, vestiti per coloro che ne avevano bisogno e cure mediche per i feriti. Quando si è capito che il numero di persone in arrivo sarebbe stato molto elevato

sono state chiamate le custodi Dirce e Daniela, per poter aprire tutte le stanze della scuola e poter così dare accoglienza a tutti. Durante la mattinata sono arrivati i rappresentanti delle ambasciate che hanno occupato un’ala della scuola ed hanno potuto assistere tutti i naufraghi stranieri, mentre un’altra ala è stata occupata dall’equi-

TUTTO il personale della scuola che è intervenuto quella notte è rimasto segnato da quell’esperienza, da quei volti stravolti dalla paura e dallo shock, dalla ricerca di persone care che non si trovavano, ma contemporaneamente dall’organizzazione che è stata messa in piedi in poco tempo grazie all’aiuto di chi ha fatto il proprio dovere e dei tanti volontari che hanno dato una mano. Anche molti di noi, insieme ai genitori, quando la mattina hanno saputo cosa era successo sono venuti a dare un aiuto, magari anche solo portando qualche capo d’abbigliamento. Noi siamo orgogliosi di ciò che è stato fatto nella nostra scuola, nel nostro paese, perché questa vicenda ci ha insegnato che nel momento del bisogno possiamo riuscire a far fronte ad ogni difficoltà.

L’INTERVISTA IL SINDACO ARTURO CERULLI ELOGIA IL COMPORTAMENTO DEI CONCITTADINI

«Ho visto tanti giovani rimboccarsi le maniche» SULL’ARGOMENTO abbiamo intervistato il nostro sindaco, Arturo Cerulli.

Riesce a trovare un lato positivo in ciò che è successo?

Signor sindaco,quando e da chi è stato avvisato di ciò che era successo?

«Sì, credo che sia stata positiva la collaborazione tra tutte le forze in campo per organizzare al meglio i soccorsi. A ciò bisogna aggiungere la grande risposta che ha dato la cittadinanza collaborando e aiutando il più possibile. Tra tutti mi va di ricordare i ragazzi che alle 7 di mattina sono andati alle fermate degli autobus per andare a scuola, ma non hanno trovato i pullman, che erano stati requisiti per l’emergenza: invece di tornare a casa moltissimi di loro sono venuti a dare una mano».

«Intorno alle 23.30 di venerdì 13 mi ha telefonato la Protezione civile di Grosseto, ma all’inizio ho pensato ad uno scherzo, non potevo credere che una nave del genere si potesse scontrare con uno scoglio del Giglio. Quando dopo cinque minuti mi ha telefonato il maresciallo dei carabinieri ho capito che era tutto vero». Come è stato organizzato il lavoro?

ASSETTO La banchina del porto come base per i soccorsi

«Quando arrivava il traghetto con i naufraghi a bordo per primi scendevano i feriti. Gli altri venivano fatti accomodare nei tendoni riscaldati, montati dalla Protezione civile, dove erano censiti e poi portati con dei pullman alla scuola media. Da qui poi partivano con altri pullman per le varie destinazioni».

Che cosa farete se il mare viene inquinato?

«La società che si sta occupando del recupero del carburante è già al lavoro. Noi come Comune stiamo facendo fare dei corsi ai nostri tecnici in modo che siano pronti all’occorrenza. Naturalmente tutti noi speriamo che non accada nulla».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Ambrogetti Filippo, Becattini Carlotta, Benicchi Beatrice, Bocchia Alessio, Costanzo Arianna, Cresti Chiara, Ferraro Marco, Fo-

tea Alexandra, Hillebrand Andrea, Maththumagala Natasha, Mazzitelli Sebastian, Nuziale Sabrina, Palermo Giovanni, Pareti Federico, Patarca Camilla, Pennisi Ilenia, Santana

Michael, Scotto Susanna, Settembrini Noemi, Terramoccia Lara della classe II B della scuola media «Mazzini» di Porto S.Stefano. L’insegnante tutor è la professoressa Daniela Scotto. Il dirigente scolastico è il professore Giancarlo Stoppa.

I RACCONTI

«Certe scene non possiamo dimenticarle» DOPO LA PRIMA accoglienza dei naufraghi spontanea e importantissima all’isola del Giglio, anche Porto S.Stefano ha fatto la sua parte e non solo con le Istituzioni che si sono messe all’opera già dalla nottata, ma anche con semplici cittadini che si sono sentiti partecipi di questa immensa tragedia. Molti sono quelli che hanno delle esperienze da raccontare. Il dottor Rizzardi, come altri medici, è intervenuto a dare una mano e ci ha raccontato delle due immagini che lo hanno più colpito: una ragazza che ha avuto una crisi epilettica e alcuni bambini scalzi e senza vestiti. Il signor Alocci, che lavora per la compagnia Maregiglio, ha portato i naufraghi dal Giglio a Porto S.Stefano ed è rimasto colpito dagli occhi di queste persone, che esprimevano paura, tristezza, ma allo stesso tempo gratitudine per essere stati salvati. Il padre di una nostra compagna, militare all’Aeronautica, ci ha detto che la base ha messo a disposizione cibo e coperte, che erano indispensabili visto che moltissimi naufraghi erano vestiti in modo leggero. Anche i negozianti sono intervenuti donando non solo cibo, ma anche vestiti, calze, scarpe e coperte di pile per riscaldare i naufraghi. Molte sono poi le persone comuni che hanno portato tutto ciò che potevano nei luoghi di accoglienza o che addirittura hanno ospitato dei naufraghi nelle loro case. Insomma tutto il paese si è dato da fare in questa emergenza.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Galilei Grosseto

Stare bene a scuola... si può «S-bocciati», il progetto della Provincia per gli studenti in difficoltà LA DISPERSIONE

Impennata di bocciature in terza media DISPERSIONE scolastica. Ci abbiamo provato con un brainstorming e poi abbiamo consultato le pubblicazioni dell’Osservatorio scolastico provinciale per definirla e «quantificarla» nella nostra realtà. «Fenomeno complesso di ordine sociale, culturale ed economico che provoca abbandoni, ritardi, interruzioni nel completamento del processo formativo». E in effetti il disperso non si trova più, perde la strada e l’orientamento. Ma, come in un bollettino di guerra, quanti dispersi ci sono nella nostra provincia? I dati che abbiamo analizzato nell’ultima pubblicazione dell’Osp — «La scuola grossetana in cifre» — si riferiscono alla scuola secondaria di primo grado (anno scolastico 2008/09) e fanno riferimento ad alcuni indicatori come il tasso di ripetenza, il tasso di ritiro, il tasso di trasferimento e di ritardo scolastico. Ebbene, un dato su tutti: ritiri e trasferimenti hanno un valore percentuale molto basso mentre i respinti sono il 7%. In pratica, quasi tutta la dispersione è dovuta alle bocciature. Scomponendo gli indicatori, dai grafici abbiamo osservato anche che il tasso di bocciatura ha una vera e propria impennata nella terza classe, dove raggiunge l’8,3% (6,9% in prima, 6,2% in seconda). Gli alunni in ritardo (per età rispetto alla classe frequentata) sono quasi il 13%; allarmante la situazione delle Colline metallifere dove in terza media uno studente su quattro ha un’età superiore a quella prevista. A Grosseto l’indice di ritardo passa dal 9,7% in prima a 16,9% in terza.

QUAL È LA PAURA più grande di ogni studente? La bocciatura, ovvio... per molti di noi è solo un brutto «fantasma», per alcuni dei nostri compagni è una amara realtà. E i dati parlano chiaro: le bocciature incidono tantissimo sulla dispersione scolastica. Una bocciatura è un fallimento, si perde la motivazione, cala a picco l’autostima, aumenta il distacco con i coetanei e ci si smarrisce in un percorso scolastico irregolare che spesso si conclude non con la licenza media ma con l’abbandono, raggiunti i sedici anni di età. Per affrontare il problema e cominciare a risolverlo, la nostra scuola quest’anno ha avviato un progetto — unico in città — dedicato ai nostri compagni in difficoltà, con qualche ripetenza alle spalle, che continuano a vivere la scuola con fatica e che sono ancora a rischio bocciatura: «S-bocciati», affinché diventino «ex-bocciati», non più bocciati, nella scuola e nella vita, affinché ritrovino la strada per mettere fine agli insuccessi e recuperare fiducia in se stessi, e anche negli altri.

CRONISTI Gli studenti della «Galilei» insieme a Guido Tallone

MA IL NOME del progetto ci fa venire in mente anche qualcosa di più suggestivo e... colorato, davvero vitale: l’immagine del fiore. Sbocciato è infatti il fiore che matura e che porta a compimento il suo compito, il fiore sbocciato è bello. Questo progetto, però, non coinvolge solo i ragazzi in difficoltà: c’è bisogno del contributo di

tutti, ci riguarda tutti, perché così avremo una scuola — e domani una società — migliore, dove le relazioni prima di tutto contano davvero. Per questo tutta la nostra classe ha incontrato l’esperto, il «giardiniere» che cura gli alunni-fiori e li aiuta a s-bocciare: Guido Tallone.

«ABBIAMO un piccolo grande sogno — ci ha detto — far sbocciare i ragazzi nelle scuole, farli promuovere ed farli aprire alla vita». Ma chi è Guido Tallone? Fa parte del «Gruppo Abele», che ha sede a Torino ed è presieduto da don Luigi Ciotti, lavora nel sociale, nell’ambito dell’educazione e della rieducazione per aiutare persone che hanno problemi come le dipendenze (droga, alcool, gioco d’azzardo); lavora anche all’interno delle carceri, con detenuti ed ex detenuti. Ci ha raccontato storie tristi, ma coinvolgenti, realtà molto dure anche di Paesi del Sud del mondo con le quali da tanti anni è a contatto. Ci ha fatto riflettere su quanto noi siamo fortunati, e su quanto sia importante la scuola per diventare uomini e donne domani, esseri pensanti e non vittime di un sistema che ci vuole solo consumatori, senza testa e senza cuore. Il progetto è partito, è un’esperienza nuova che si apre piano piano anche a tutta la città, al mondo del volontariato, alle istituzioni... Speriamo davvero di poter creare, tutti insieme, una «rete» per «sbocciare».

L’ESPERIENZA PROBLEMI IN CLASSE? IMPARIAMO A RISOLVERLI INSIEME FACENDO IL «CIRCLE TIME»

Like Skills: è arrivato il tempo del cerchio

CIRCOLARE Il «Circle time» serve a confrontarsi senza barriere

PER STARE BENE a scuola — e nella vita — con noi stessi e con gli altri, da alcuni anni alla Galilei c’è anche il progetto «Life Skills». Cosa sono le life skills? Sono le «competenze per la vita», definite dall’Oms e raggruppate in tre aree (cognitiva, emotiva e sociale). Alcune di esse? Essere consapevoli di se stessi, saper contattare e gestire le proprie emozioni, risolvere i problemi, saper mantenere relazioni efficaci e imparare ad avere una comunicazione efficace con gli altri. Teorie? Nient’affatto! Noi le sperimentiamo spesso, e talvolta quasi senza rendercene conto: le mettiamo in pratica nel «cerchio». Quando c’è un problema in classe, un momento difficile, incomprensioni tra di noi, un calo nello studio… chiediamo ai nostri professori (o ce lo propongono loro): «facciamo il circle ti-

me?». C’è un’aula dedicata a questa attività, con le sedie disposte in cerchio in modo che non ci siamo barriere. Tutti ci guardiamo in faccia, senza difese o «protezioni» (quante volte ci nascondiamo in classe, dietro ai compagni, con testa china sul banco?), siamo alla pari e rispettiamo le tre regole fondamentali: parlare uno alla volta, ascoltare l’intervento del compagno, non giudicare. E’ proprio il rispetto delle regole del cerchio che rende questa attività molto piacevole, perché parliamo e discutiamo tra di noi sempre nel rispetto dell’altro. Dopo il «circle time» ci sentiamo fiduciosi, sereni ma qualche volta anche contrariati, incerti e impotenti… non è sempre facile avere consapevolezza di se stessi, accettare i nostri «punti deboli» e quelli degli altri, scoprire certe emozioni. Ma a scuola si impara anche questo.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della classe 3^ A della scuola media «Galilei»: Annunziata Joseph, Bancalà Lorenzo, Benassi Ludovico, Bocci Simone, Cantelli Nicolò, Cherubini Sara, Comandi Lorenzo, Di

Lorenzo Veronica, Ferrara Raffaele, Garcia Genao Oneida, Gianni Monica, Giardina Maria, Grimani Asja, Guidarini Luca, Landi Riccardo, Leoni Martina, Machetti Luca, Maione Matteo, Melone Sofia, Merlini Clara, Niemen

Jason, Rossetti Sara Maria, Scalabrelli Alessia, Simi Elia, Stefanini Simona. L’insegnante tutor è la professoressa Claudia Biagioli, la dirigente scolastica la professoressa Paola Brunello.


CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Vanni Sorano

Global o non global? Ci aspetta un mondo dove pochi hanno tanto e tanti hanno poco. O nulla OGNI GIORNO telegiornali, notiziari e quotidiani parlano di crisi. E’ un problema che ci sta a cuore perché, essendo quattordicenni, tra non molto entreremo a far parte della popolazione attiva. La crisi purtroppo morde e taglia via molti posti di lavoro ed aumenta la disoccupazione giovanile. Ma cos’è che principalmente la causa? Dove bisogna ricercare le ragioni? Com’è iniziata? Uno dei motivi principali è la globalizzazione. Essa permette ad ogni impresa di operare in qualsiasi Paese del mondo producendo di tutto, in concorrenza con le altre imprese. Ciò è reso possibile dalle telecomunicazioni moderne e dai trasporti integrati. Nell’economia globalizzata, agiscono soggetti differenti: imprese gigantesche, imprese piccole e medie, stati ricchi, stati poveri. Quindi globalizzazione significa competizione e concorrenza, essa provoca quattro effetti. UN PRIMO EFFETTO è l’espansione dell’economia mondiale. Ogni Paese viene classifica-

Aumenta così il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà.

INGIUSTIZIA La minima parte della popolazione ha grandi ricchezze

to in Paese ricco (che cresce poco), Paese in via di sviluppo (cresce molto) e Paese povero (che non cresce). Quando un Paese ricco non cresce, vuol dire che ha un’economia stagnante. L’espansione dell’economia ha portato alla ribalta la Cina, tanto da diventare al prima potenza nel 2012. Un

secondo effetto della globalizzazione è l’aumento dei poveri nel mondo. L’Onu stima che per il 2050 i ricchi diminuiranno mentre i poveri saranno aumentati di un terzo. Questo fenomeno riguarda tutto il mondo. I Paesi ricchi subiscono la deindustrializzazione e le persone perdono il lavoro.

UN TERZO EFFETTO della globalizzazione è il peggioramento della vita nei Paesi poveri. Il debito estero aumenta ogni anno perché i prodotti importati sono molto costosi, mentre le materie prime esportate costano sempre meno. Inoltre, il lavoro minorile assume forme di vera schiavitù. I governi dei Paesi ricchi non intervengono per non intralciare gli interessi delle società transnazionali. Un quarto effetto della globalizzazione è la minore attenzione nei confronti dell’ambiente: la lotta all’inquinamento è vista come un limite alla libertà di azione delle imprese e dei consumatori. Nei Paesi in via di sviluppo l’inquinamento è un fenomeno tollerato dai governi, lo sviluppo economico è la priorità assoluta e la tutela dell’ambiente è un costo aggiuntivo che non si può pagare. Ci sarebbe molto da dire su questo problema. Sperando di essere stati sufficientemente chiari, un saluto.

ANALISI IL MERCATO A CHILOMETRI ZERO FA BENE AL TERRITORIO E ANCHE ALLE NOSTRE TASCHE

E’ sempre meglio mangiare come si parla

FORMAGGIO Il «Marzolino» è maremmano al 100 per cento

LA SPESA DAL CONTADINO a «chilometri zero» è una tendenza già affermata all’estero e in forte espansione anche in Italia: un numero sempre maggiore di consumatori italiani si sta rendendo conto dell’importanza e della differenza dell’acquistare i prodotti nazionali, meglio ancora se regionali. Ma quali sono i motivi per cui scegliere i farmers market? Il successo dei mercati degli agricoltori è dovuto al prezzo ridotto del prodotto e al rispetto della stagionalità che permette di avere a disposizione cibi sempre di ottima qualità e gusto. I farmers market sono un modo diverso di comprare, scegliendo con più libertà, senza lasciarsi catturare dalla sola campagna pubblicitaria con cui le aziende sponsorizzano il prodotto. Parlare con chi gestisce questi punti vendita locali dà la possibilità di confrontarsi e di «documentarsi» sulle tecniche di produzione di cui il contadino potrà illustrare ogni singolo passaggio. Il no-

stro territorio è ricco di prodotti che provengono dagli allevatori e coltivatori locali, diffuso è anche l’agriturismo e l’usanza di visitare le fattorie in cui si mangia prevalentemente biologico. Il Caseificio sociale di Sorano, nato nel 1963, è una cooperativa che riunisce oggi 120 allevatori della provincia di Grosseto e Siena, con lo scopo di valorizzare proprio la vocazione agricola del territorio. Tra i prodotti «nati» di recente possiamo citare il «Marzolino», tipico formaggio a cui è stata data una sorta di carta d’identità al fine di rendere tangibile ai consumatori ,fin dall’etichetta, la «tracciabilità del prodotto». Nella «carta d’identità» sono presenti anche le firme, con tanto di indirizzo, delle 18 aziende, tutte locali, che hanno prodotto il latte con il quale sono confezionati i formaggi dal Caseificio sociale di Sorano. Questo è, senza dubbio, un esempio di come si può offrire al consumatore un cibo genuino, di qualità e di certa provenienza!

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli sudenti Baldelli, Benicchi, Biondi, Campanile, Capoccia, Ciccarella., El Hichami, S e Y, Ennached, Foschini, Giulietti, Goscilo, Guerrini, Hiraldo M.L. e A., Mameli C.P., Napolitano, Pampanini, Serra N., Artibani G., Daldelli I.,

Bianchi, Cappelletti D., Corbianco, De Angelis D. e T., Dominici G. e S., Fioravanti, Giulietti V., Mazzuoli, Pacini, Papini, Pompili, Radiconi, Sulo, Tulli, Artibani A., Benicchi C. e M., Boggi, Camilli, Cappelletti D., Censini, Ciccarella, Cintio, Crociani, Franci, Giuliani,

Gubernari, Moufkir K. e Y., Pelosi, Petri, Pichini, Porri, Ronca, Santarelli, Scalabrelli, Serra. Gli insegnanti tutor sono i professori Giuliana Silvestri, Mariella Pacchiarotti e Fabrizio Nai, la dirigente scolastica la professoressa Nunziata Squitieri.

RIFLESSIONE

Mode, no grazie Meglio cantare la Befana IL FENOMENO della globalizzazione è molto difficile da identificare e misurare, soprattutto in un contesto di provincia come in quello in cui noi viviamo, poiché abbraccia innumerevoli fattori, dalla sfera economica e culturale fino a quella personale. Tutti i giorni possiamo constatare gli effetti tangibili di questo fenomeno: tutti noi siamo dotati di cellulari, internet e tv e attraverso questi mezzi siamo al corrente di tutto ciò che avviene nel mondo: ascoltiamo la stessa musica e indossiamo le stesse felpe e gli stessi jeans dei nostri coetanei australiani. Fra poco anche l’ultima botteghina del nostro paese venderà burro di arachidi (di cui se ne potrebbe fare volentieri a meno), ciò ci consentirà di sentirci ancora più «globali». Nei nostri piccoli centri abitati lo sviluppo economico è fondato sulla valorizzazione delle risorse locali come il paesaggio, il patrimonio storico e culturale, la coesione sociale, i prodotti tipici e la qualità della vita. Un effetto devastante dell’economia globale che si avverte anche qui, è la crisi. Tutto è partito dal crollo dei «giganti» americani, che con effetto domino hanno trascinato verso il basso tutte le economie occidentali. Molte attività stanno chiudendo a causa della delocalizzazione. Abitando in piccoli paesi di campagna, l’agricoltura domestica è ancora attiva e quindi garantisce a molte famiglie un sostentamento economico. Non crediamo ci sia la possibilità di sottrarsi a questo fenomeno; l’augurio che esso sia guidato non solo da obiettivi esclusivamente economici votati al profitto, ma che sia un mezzo per guardare al mondo nella sua interezza, salvaguardando la pace, l’ecologia, l’equa distribuzione delle ricchezze ed il rispetto delle differenze culturali. Per quanto ci riguarda noi viviamo in un contesto sociale in cui ci hanno insegnato a non perdere di vista le tradizioni locali, per questo ci sembra giusto cantare la Befana e non farsi troppo trasportare da mode passeggere.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 8 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Buonarroti Cinigiano

«Meditate che questo è stato» Gli studenti ricordano la Shoa. Cerimonia aperta dalle parole di Levi LA RIFLESSIONE

Dalla tristezza alla voglia di migliorare UNA VOLTA tornati a scuola noi ragazzi della classe III D abbiamo provato a riflettere sul senso della mattinata trascorsa in Comune. Insieme alle nostre professoresse ( Romina Colombini e Angela Scarpata) abbiamo instaurato una discussione in classe proprio sull’importanza di eventi del genere e siamo arrivati a queste conclusioni. Prima di tutto i nostri lavori, i filmati che abbiamo visto, le parole commoventi che abbiamo sentito pronunciare agli intervistati, ci hanno colpito fortemente nell’anima e nel cuore. Tutti noi al solo pensiero di azioni di quel genere siamo rabbrividiti. Abbiamo provato tanta malinconia e tanta tristezza e ci siamo augurati che chiunque assista a mattinate del genere se ne vada a casa con nel cuore le stesse emozioni che abbiamo provato noi. Infatti, solo così possiamo sperare che certe atrocità non si ripetano più. Abbiamo capito, inoltre, che ora tocca a noi portare avanti l’umanità e lo dobbiamo fare senza commettere lo stesso errore brutale di chi ci ha preceduto. Adesso che abbiamo imparato questa lezione dobbiamo fare il possibile per trasmetterla anche a tutte le persone che nasceranno. Purtroppo abbiamo preso atto che c’è ancora molto fare per poter avere un futuro migliore. Sono ancora troppe le parti del mondo dove diritti che per noi risultano banali come andare a scuola, avere come amico del cuore un ragazzo appartenente ad una religione diversa, esprimere liberamente un pensiero, avere una madre che ha gli stessi diritti del padre, sono mete lontane da raggiungere. La nostra mattinata si è conclusa con l’impegno da parte di ognuno di noi che ogni qual volta ci troveremo di fronte ad un possibile diritto negato faremo tutto ciò che è in nostro potere perché le cose migliorino.

NEI GIORNI scorsi tutti gli alunni della scuola secondaria di primo grado di Cinigiano accompagnati dagli insegnanti, si sono recati nella sala consiliare del Comune per la commemorazione della giornata della shoa. L’iniziativa si è svolta proprio il 27 gennaio, giorno che ricorda la liberazione del campo di concentramento di Auschwtz, ed ha visto la partecipazione del sindaco Silvana Totti, e della professoressa Elena Vellati rappresentante L’Istituto storico della resistenza maremmana. Il titolo della mattinata era «Meditate che questo è stato» e i lavori si sono aperti proprio con la lettura della poesia di Primo Levi «Shemà, voi che vivete sicuri». Come in ogni appuntamento gli alunni delle quattro classi hanno illustrato i loro lavori. I primi a esporre il lavoro sono stati gli alunni della classe I E che hanno illustrato, tramite una presentazione powerpoint, fatta di foto e riassunti, le condizioni dei detenuti del campo di concentramento di Terezin, alla periferia di Praga. Questo campo nacque nel 1940, per opera della Gestapo, prima come ghetto per gli ebrei e poi si è trasformato poi in un vero campo di concentramento o meglio di transito per gli

ANGOSCIA Due bambini rinchiusi in un campo di concentramento

ebrei diretti ad Auschwtz ed altri campi di sterminio. Gli alunni hanno messo in risalto come erano costretti a vivere, cioè in totale mancanza di condizioni umane, vecchi e bambini e si son soffermati su tutte le malattie che hanno causato spesso la loro morte. Infatti, alla fine del secondo conflitto mondiale di circa 15.000 bambini detenuti

sembra ne siano rimasti in vita solo poco più di 100. In seguito gli alunni delle classi ID e II D hanno presentato il loro lavoro intitolato: «Con gli occhi dei bambini». Si è trattato di immagini messe a confronto. Da un lato sono stati presentati disegni realizzai da bambini internati nei vari campi e dall’atro foto-documento che attestano la con-

dizione dei bambini nei campi. Gli alunni hanno messo a confronto così, ciò che i bambini «vedevano» durante la loro prigionia con come «erano visti» da chi li ha rinchiusi. La riflessione finale dei ragazzi di II D è stata la seguente: nei disegni e nelle poesia realizzati da i bambini internati è prevalsa la fantasia (immagini di farfalle che volano libere) e la voglia di vivere (prati verdi sui quali correre) ovvero una grande forza e un coraggio che i bambini hanno dimostrato di avere anche in condizioni di vita disumane. Nelle foto, invece, che retraggono bambini prigionieri è prevalsa la tristezza, lo sconforto e la sofferenza. Infine, l’ultima esposizione, quella dei ragazzi della III D, ha messo a confronto da un lato, i dieci articoli contenuti nel manifesto della razza del 1938 con i più recenti studi scientifici. I ragazzi nella loro presentazione hanno dimostrato che se da una parte nel 1938 si sosteneva che il «termine razza esiste ed è un termine biologico», i più recenti studi pubblicati da un importante gruppo di ricerca della Stanford University , di cui fa parte anche l’italiano Luigi Cavalli Sforza e pubblicati nella rivista «Le scienze numero 476», aprile 2008, hanno dimostrato che le razze non esistono, o meglio esiste una sola razza: quella umana!

IL FATTO ALL’INTERNO DELLA RESIDENZA DEI SEMINARISTI FU ALLESTITO UN CAMPO DI «RACCOLTA»

Roccatederighi, una ferita nella nostra storia

TEREZIN Una farfalla in volo disegnata da un bimbo prigioniero

DURANTE la commemorazione della giornata della shoa a Cinigiano c’è stato l’intervento della professoressa Elena Vellati, rappresentante dell’Istituto storico della resistenza maremmana. L’intervento e il filmato che lo ha seguito, sono stati per noi molto importanti: ci siamo sentiti «dentro la storia» visto che si parlava di un particolare episodio riguardante gli ebrei della provincia di Grosseto. La professoressa ci ha spiegato che molti ebrei erano arrivati nella nostro provincia da diverse parti di Europa soprattutto dall’Austria. Si tratta di persone che hanno lasciato la loro patria convinti che in Italia avrebbero potuto salvarsi la vita invece, in seguito ad una serie di opere di spionaggio, fatte da grossetani, sono stati catturati. Dopo la cattura tutti gli ebrei (grossetani e non) sono stati trasportati in una sorta di campo di concentramento provvisorio nato nella residenza estiva del seminario vescovile presso Roccatederghi. Tutti i superstiti , intervistati nel filma-

to, hanno sottolineato come inizialmente non si rendessero conto di ciò che gli sarebbe successo in seguito. La maggior parte di loro ha trascorso i primi giorni in serenità, giocando a carte o passeggiando nell’ombroso cortile (anche se non si potevano minimamente avvicinare alla recinzione perché erano sorvegliati da una guardia armata). La permanenza lì è stata breve per la quasi totalità delle persone internate perché da lì poi sono partiti convogli che hanno trasportato tutti gli ebrei non grossetani fino ad Auschwtz. Le cose che ci hanno colpito però sono state due: uno che l’allora vescovo di Grosseto ha consentito che all’interno della residenza estiva dei seminaristi fosse allestito un campo di concentramento provvisorio; due il fatto che in cambio di questa sorta di prestito abbia ottenuto che gli ebrei grossetani fossero risparmiati dalla deportazione. Cosa vuol dire questo? Che gli altri ebrei non grossetano non erano persone ugualmente?

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della classe III D della scuola media «Buonarroti» di Cinigiano. I loro nomi: Bambagioni Alessio, Bellacchi Azzurra, Biblekaj Gianina, Bucci Nicola, Cherubini Giu-

lia, Ciacci Marcello, Del Bue Emiliano, Guidarini Nicolò, Guerrini Gianmarco, Lamba Razvan Constantin, Massai Matteo, Nerucci Michela, Ozcan Pinar, Roggiolani Simone, Rossi Gabriele, Rossi Simone, Siveri

Federico, Svet Vladis, Via Agnese. L’insegnate tutor è la professoressa Romina Colombini, il dirigente scolastico è la professoressa Cinzia Machetti.


CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 8 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Vico Grosseto

Imparare a vivere insieme Lasciare il proprio Paese per abitare in un altro. E sentirsi integrati SEMBRA FACILE, vivere insieme, ma non sempre è così. Quest’anno come argomento di studio abbiamo affrontato i movimenti migratori: sia quello degli Italiani all’estero, soprattutto nel passato, sia quello, più attuale, di flussi verso l’Italia. Ma, a parte gli studi barbosi, sappiamo davvero cosa significa essere un immigrato? Come far convivere tra loro culture a volte molto diverse? Questa è la domanda che ci siamo posti. Abbiamo pensato di ascoltare l’esperienza storica di una nonna che ha vissuto in Libia durante la colonizzazione fascista. Abbiamo letto un libro che racconta la storia vera di un ragazzo che è pronto a superare qualsiasi difficoltà per fuggire da un Paese, l’Afghanistan, in cui la vita è impossibile. Ma, prima di tutto, abbiamo parlato con i nostri amici di nazionalità diversa che, fortunatamente, frequentano la nostra scuola. Volevamo sapere come si trovano nel nuovo Paese, quali sono i loro attuali sentimenti e quali quelli passati. La maggior parte di questi ragaz-

PRESENTAZIONE Il primo giorno di scuola di un bimbo straniero

zi si è trasferita in Italia per motivi di lavoro dei genitori: improvvisamente la loro vita è cambiata. Abbiamo chiesto loro cosa hanno provato quando sono arrivati. Le emozioni più comuni sono state la tristezza e il dispiacere per aver lasciato un mondo familiare, il timore dell’ignoto, la preoccupazio-

ne e lo smarrimento di fronte a situazioni mai vissute prima ma, soprattutto, la paura di non essere capiti e accettati. La prima difficoltà che hanno incontrato è stato l’ingresso a scuola che quasi tutti hanno descritto come un «disastro». Si sentivano osservati e per questo si vergognavano, non capi-

vano una parola di italiano, non conoscevano nessuno. Per fortuna c’erano i compagni e gli insegnanti che con tanta pazienza li hanno aiutati a superare ogni problema. Infatti, nonostante ancora qualcuno non parli proprio bene l’italiano, si sono trovati bene con i nuovi amici e affrontano con più forza e serenità i piccoli intoppi quotidiani. Alcuni di loro hanno nostalgia perché vivevano in campagna e si sentivano più liberi a contatto con la natura; ora la vita di città è più complicata. In più, invece di uscire tanto quanto facevano prima, devono impegnarsi nello studio dell’italiano. Ci ha fatto molto piacere sentirci dire che, nonostante sentano la mancanza degli affetti più cari (tutti parlano dei nonni), hanno intenzione di rimanere in Italia per sempre e di tornare nel loro Paese solo per le festività. Per noi significa che siamo stati capaci di accoglierli e farli sentire quasi come a casa. Per di più abbiamo imparato come è facile cadere nei pregiudizi verso culture e persone, che invece, quando le conosci, sono belle quanto le nostre.

L’INTERVISTA I RICORDI E LE EMOZIONI DI UNA NONNA CHE HA VISSUTO IN UNA TERRA STRANIERA

«Io mi sentivo a casa anche laggiù, a Bengasi» LA NOSTRA REDAZIONE ha incontrato Jolanda, nonna di una nostra amica, nata a Bengasi nel 1923 da genitori italiani inviati dal regime fascista come impiegati delle poste (il padre inventore di apparecchi per telegrafi) e ritornati in Italia nel 1945 come profughi. Questa la sua straordinaria storia. Come erano i rapporti tra colonizzatori e abitanti?

«Non c’era razzismo, si stava bene, c’era un bel rapporto. Tant’è vero che mamma mi mandava a fare la spesa nei negozi degli arabi, non c’erano problemi né discriminazioni. Io andavo nelle case dei miei vicini che erano arabi a chiedere uova e latte. Avevo anche un’amica con cui uscivo». CERIMONIA La Festa dei Marabutti in una cartolina d’epoca

Com’erano organizzate la città e la scuola?

«Bengasi era una bella città, c’erano case bianche

con le finestre verdi, chiese, moschee, sinagoghe, alberghi. Abitavo in una piccola strada dove si trovava la chiesa di S.Francesco; negli anni hanno costruito la cattedrale, con due grandi cupole. Venezia ci aveva regalato due colonne che erano situate all’inizio e alla fine del viale della Vittoria; queste rappresentavano la lupa di Roma e il leone di Venezia. Da noi esistevano scuole per italiani e per arabi, perché era diversa la cultura». Anche le insegnanti erano italiane?

«Sì, italiane. Imparavamo tutto come in Italia, io sono andata anche all’istituto Magistrale, avevo finito le superiori, dovevo andare a Tripoli a studiare all’università...poi però è scoppiata la guerra». Voi siete arrivati lì come colonizzatori, invasori.

«No, come invasori no, lo eravamo forse nel 1911, ma poi gli abitanti non ci hanno visto più così».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Vico». Classe 2 A: Fuschi Niccolò, Bruni Andrea, Mosconi Matteo, Stanganini Matteo, Marra Alessandro, Valentina Meoni, Karolina Kuznyetsova, Martini Erika, Meoni Valentina, Bai Alessia, Di Maggio Alessia, Merella Valenti-

na, Marra Alessandro, Matteo Biagioli, Matteo Tanini, Privato Giacomo, Maccarucci Manuel, Matteo Mosconi, Balghi Safaa. Classe 3 C: Sbordone Salvatore, Frezza Erica, Berardini Ilaria, Flaminio Elena, Morlungo Leonardo, Flaminio Elena. Classe 3 F: Lozzi Benedetta, Massetti Giu-

lio, Marino Giuseppe, Gramaccia Silvia, Formicola Sara. Gli insegnanti tutoro sono le professoresse Monica Bondani, Eleonora Baffigo e Elisabetta Scollo Abeti. La dirigente scolastica è la dottoressa Graziana Bongini.

IL LIBRO

I coccodrilli che insegnano a riflettere «NEL MARE ci sono i coccodrilli” è un libro di Fabio Geda edito nel 2010 da Baldini e Castoldi. E’ la storia vera di un bambino afgano, Enaiatollah Akbari, lasciato dalla madre ad un trafficante di uomini perché lo faccia fuggire da un destino disumano. Avrebbe dovuto essere il risarcimento per un debito contratto dal padre. Le condizioni di vita per i ragazzi in Afghanistan sono terribili. Un esempio per tutti: la scuola che frequenta Enaiatollah deve essere chiusa per ordine dei talebani. Due giorni dopo, alcuni di essi tornano a controllare che la scuola sia stata chiusa; trovando il maestro a spiegare si infuriano e, davanti agli alunni, nel cortile della scuola, lo fucilano. Durante il suo viaggio (Afghanistan-Pakistan-Iran-Turchia-Grecia e infine Italia) Enaiatollah vive esperienze traumatiche che ai nostri occhi, lettori ingenui, risultano irreali, sconvolgenti. Però incontra anche molta umanità, e questo ci ha ugualmente colpito. Giunto in Italia viene accolto da una famiglia torinese e, per ottenere lo status di rifugiato, mostra alla commissione la foto di un bambino soldato: se fosse rimasto in Afghanistan, avrebbe potuto essere lui. Consigliamo questo libro, comunica le vere paure che gli immigrati sono disposti ad affrontare nei loro viaggi (mare e coccodrilli compresi) pur di ottenere una vita migliore: ci ha aperto gli occhi su un mondo che non conoscevamo.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 10 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Don Breschi Massa Marittima

Garibaldi e la «Brescia maremmana» Così Massa Marittima nel 1849 ha aiutato l’eroe dei due Mondi FANTAINTERVISTA

«Ecco perché ho scelto questa terra» È NOTTE FONDA, un fulmine colpisce la famosa statua di Garibaldi, situata a Massa Marittima e con nostra grande sorpresa il monumento prende vita. Iniziamo pertanto a tempestarlo di domande… Come e perché iniziò il suo «trafugamento»?

«Ero a Roma durante la prima Guerra d’Indipendenza, si stava combattendo per sottrarre al papa Pio IX il potere temporale; le sue armate mi stavano cercando, così io scappai. La mia meta era Venezia, che stava combattendo contro gli austriaci per tornare ad essere libera. Purtroppo mia moglie, durante il viaggio, si ammalò e morì di malaria; in quei giorni Venezia fu sconfitta e fui costretto a cambiare meta, puntando verso Genova». Perché è passato proprio dalla Maremma ?

«Ho deciso questo perché, essendo la Maremma un territorio straordinariamente ricco di fitti boschi, poteva offrirmi un riparo sicuro dai miei inseguitori. E così è stato».

LA STORIA ha camminato anche nelle vie di Massa Marittima, sulle gambe di Giuseppe Garibaldi e dei cittadini maremmani che hanno appoggiato il movimento risorgimentale. Nell’occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, è stato bello ricordare l’eroe dei due mondi e scoprire che anche la piccola città maremmana ha dato un contributo significativo a realizzare l’unificazione e l’indipendenza italiane. I segni del Risorgimento sono anche nelle vie massetane intitolate a uomini del posto di quel periodo storico, come i fratelli Lapini (che aiutarono la fuga di Garibaldi). Massa Marittima poco dopo la fine del Medioevo cadde in profonda crisi, a causa delle paludi che la circondavano. I Granduchi Lorena nel Settecento cercarono di ripopolare la cittadina; nonostante tutto, questo esperimento fu fatto invano, e si continuava a morire a causa della malaria, portata dalle grandi paludi circostanti. Soltanto nell’Ottocento, con i primi suc-

Se riuscirà a conquistare il Sud Italia, che cosa ne farà?

«Sacrificherò i miei ideali repubblicani e cederò, per amor di patria, il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II, che è l’unica persona che può realizzare l’Unità d’Italia... Almeno, credo!».

to «trafugamento». Pur di proteggere la sua incolumità durante la fuga da Roma, dopo la caduta della repubblica, i patrioti massetani erano disposti a tutto e questa volontà così forte e spontanea fu la garanzia del successo dell’iniziativa: in gran segreto Garibaldi e il suo fido capitan Leggero, che so-

TESTIMONIANZE SULLE ORME DELLA STORIA: A SPASSO PER LE STRADE CERCANDO I SEGNI DEL PASSATO

I luoghi risorgimentali sparsi nella città

Dopo che è arrivato a Genova cosa ha pensato di fare?

«Ho organizzato da lì una spedizione via mare per dirigermi a Sud, ho coinvolto molti cittadini e sono stato aiutato da truppe situate sulla terraferma in punti strategici; inoltre alcune donne della città ci hanno cucito delle camicie rosse per identificarci in battaglia».

RICOSTRUZIONE L’incontro di Teano visto dagli studenti massetani

cessi delle opere di bonifica, la cittadina si ripopolò e iniziarono a circolare nelle vie le idee liberali. Molti giovani patrioti, che già conoscevano Garibaldi, le sue imprese coraggiose e le sue intenzioni, furono felici di aiutare l’eroe che scappava da Roma a Genova nel settembre 1849, durante il no-

no arrivati dai boschi, vengono ospitati in un podere fuori Massa chiamato «Malenotti». La questione è molto pericolosa e viene usata dai patrioti una parola d’ordine di riconoscimento,«Venezia». Dopo qualche ora di riposo, alle prime luci dell’alba, la piccola compagnia si dirige ai piedi del colle massetano di «Schiantapetto»; lì altri fidati aiutanti del posto danno a Garibaldi un carro, con il quale sarà più facile arrivare alla costa di Cala Martina, oggi nel comune di Scarlino. Stremati, salgono su una barca che li aspetta alla fonda, diretti finalmente a Genova, dove Garibaldi organizzerà la Spedizione dei Mille con le famose camicie rosse che libereranno il Sud. Grazie al valore e al coraggio dimostrato dai cittadini di Massa Marittima nel Risorgimento essa è stata chiamata la «Brescia maremmana», ricordando non solo il suo importante contributo al «trafugamento» di Garibaldi, ma anche i soldati delle guerre d’indipendenza e quelli che si aggregarono a sostegno dei Mille.

VISITA Gli studenti della 3 A sotto il busto di Giuseppe Garibaldi

IL PASSAGGIO di Garibaldi a Massa Marittima ha lasciato una grande impronta: le dita sono le opere a lui dedicate e la pianta è il ricordo impresso nelle memorie cittadine. Massa Marittima è stato un luogo importante per il Risorgimento, con il passaggio di Garibaldi ed altri fatti importanti. Qui sono nati e hanno vissuto uomini che hanno combattuto nelle guerre d’Indipendenza e nella Prima guerra mondiale. Infatti, vicino al cimitero, sorge una cappella dove riposano i caduti di queste guerre, tra cui Gaetano Badii, che fu anche uno studioso al quale è dedicata la locale biblioteca comunale. Questa piccola cappella è chiusa al pubblico, ma in occasione di feste o celebrazioni in ricordo dei caduti è possibile visitarla. Le impronte che ci ha lasciato la storia, però, non sono finite qui; sulla

piazza XXIV Maggio si affaccia il Parco delle Rimembranze, dove c’è una statua dedicata a Garibaldi, spostata da piazza del Duomo circa settant’anni fa. Inoltre su ogni singolo cipresso del parco nel passato c’era una targhetta con su inciso il nome di un caduto. Infine, un ultimo segno del Risorgimento, ma non meno importante, si rintraccia nel Museo Archeologico dove si conservano alcune casacche rosse originali della Spedizione dei Mille, insieme alle lettere mandate da Garibaldi ai giovani massetani, ai quali egli dava un unico consiglio: l’istruzione e la formazione dovevano venire prima di tutto! I giovani massetani di oggi possono essere indubbiamente fieri di vivere in questa cittadina, perché porta con sé un pezzo di storia italiana e si sentono parte di ciò per questo ricordo.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della IIIA della scuola media «Don Breschi» di Massa Marittima: Marco Candela, Serena Cantini, Carolina Cheleschi, Arbri Daiu, Ascanio De Liguori, Perla De Paoli, Alessandro

Gai, Samuel Gambassi, Barbara Grosoli, Sofia Guiducci, Angelica Innocenti, Alice Krismer, Filippo Ladu, Benedetta Maletta, Giulio Martellini, Chiara Monterisi, Gianluca Neri, Ilaria Parigi, Francesco Piccirillo, Cri-

stian Radici, Gianpiero Ribechini, Gianmarco Varriale, Isabella Ventura. Il dirigente scolastico è la dottoressa Marcella Rossi e l’insegnante tutor è la professoressa Cecilia Sacchi.


CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 10 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Da Vinci Grosseto

Meno fondi, Orchestra in crisi Cosa sta succedendo? L’intervista al presidente Antonio Di Cristofano DOPO ANNI di brillante carriera — e di sostegno economico — l’Orchestra Sinfonica «Città di Grosseto», la «nostra» orchestra, quella che ha portato il nome di Grosseto in tutto il territorio nazionale e all’estero, legandolo alle parole «prestigio», «cultura», «tradizione», sta subendo una brutta, ma speriamo non irreversibile, battuta d’arresto. I primi sintomi del malessere risalgono al 2007-’08. La causa? La progressiva riduzione dei contributi economici degli Enti sostenitori. «Fino a quel periodo — ci ha detto il maestro Antonio Di Cristofano, presidente dal 1997 — l’Orchestra navigava in acque tranquille. A partire dal 2000, infatti, arrivava a circa 400mila euro di finanziamenti annui (per i «profani» potrebbe sembrare una cifra enorme, ma si pensi che l’Orchestra di S.Cecilia di Roma ha un budget di 50 milioni di euro!). In particolare, potevamo contare sui 35mila euro del Comune, 25mila del Ministero, più di 20mila della Regione Toscana, 23mila della Provincia e 50mila dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze: così

PRESTIGIO Il concerto a Vienna dell’Orchestra Città di Grosseto

riuscivamo a garantire circa 60 concerti». Il 2011 è stato l’anno della crisi. Ad aprile viene azzerato il contributo della Provincia. Il colpo di grazia è arrivato il 27 settembre, quando l’assessore alla Cultura del Comune annuncia al Consiglio direttivo la drammatica notizia: forse sarebbero arrivati per il

2011 (nel quale già molte spese erano state sostenute) solo 15mila euro (lordi, ovviamente). Ma non finisce qui. «Per l’anno in corso — ci ha tristemente detto Di Cristofano — il Comune può garantire un contributo di soli 10mila euro, che servono a malapena a coprire le spese per il tradizionale concerto di Capodanno agli Indu-

stri. Paradossalmente, suoneremo molto in un altro comune toscano, a Lucca, che economicamente ci sostiene». Il prezzo da pagare? Il rischio che l’Orchestra cambi il proprio nome in «Città di Grosseto e di Lucca», sperando che — per sopravvivere — non debba abbandonare del tutto la sua denominazione originaria. «Per protesta — ha concluso il presidente — ed anche per necessità siamo costretti a ridimensionare tantissimo la stagione 2012 in città: il prossimo concerto sarà quello per il Premio internazionale Scriabin il 26 febbraio; il 1 aprile in Cattedrale il concerto in beneficenza per Duchenne Parent Project, e orse il tradizionale concerto di San Lorenzo». Per sostenerla, si è mobilitata tutta la città: raccolte di firme, una petizione online, una pagina su Facebook. Anche noi, dato che frequentiamo una scuola ad indirizzo musicale, dalle pagine de La Nazione vogliamo richiamare l’attenzione su questo problema … e siamo certi che tutte le istituzioni ascolteranno il nostro appello: salviamo l’Orchestra!

DIDATTICA ARRIVA IL LICEO MUSICALE E NOI ABBIAMO PARTECIPATO ALLA REALIZZAZIONE DELLO SPOT

A adesso c’è la scuola dove la musica è di casa

PROMOZIONE Un’immagine della pubblicità del nuovo liceo

LO SAPEVATE? A Grosseto è nato finalmente il Liceo Musicale. Finalmente, perché la sua apertura va a colmare un vuoto culturale che cominciava a farsi sentire, non esistendo in provincia istituti analoghi. Il «Musicale» è l’istituto per chi della musica vuol fare una passione, una professione o semplicemente approfondire le proprie conoscenze. Il piano di studi prevede le discipline comuni dei licei (italiano, storia, inglese, matematica, filosofia) e le discipline specifiche, come esecuzione ed interpretazione; analisi e composizione; storia della musica; laboratorio di musica d’insieme; tecnologie musicali. In più si suoneranno due strumenti, quello principale e il pianoforte. E’ proprio il caso di dire che tutto questo è «musica per le nostre orecchie». Ma tutti possono iscriversi, anche senza

alcuna competenza musicale specifica. Noi, orgogliosamente, abbiamo fatto la nostra parte per avere il Liceo Musicale a Grosseto: frequentando una scuola media ad indirizzo musicale, siamo stati molto coinvolti dall’apertura, che rappresenta per noi l’opportunità di proseguire i nostri studi. Così ci siamo impegnati per diffondere la notizia: con i nostri genitori abbiamo organizzato raccolte di firme per l’apertura, stampato volantini, creato eventi per fare conoscere la nuova scuola. ABBIAMO addirittura partecipato alla realizzazione dello spot pubblicitario del liceo musicale girato dal Polo Bianciardi, di cui la nuova scuola fa parte. La sua sede è in piazza de Maria. A quanto si dice, sono già molto numerose le preiscrizioni, chissà che non si possano formare due prime!

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della classe 3 G della scuola media «da Vinci»: Gabriele Bernabò, Caterina Bernocco, Davide Blanchi, Rebecca Bovo, Ilaria Busonero, Valentina Daveri, Lisa Dolabella, Alice Fa-

dini, Laura Ferri, Erica Fiorini, Giusy Ignarra, Chiara Masuero, Trudy Niessen, Stefano Nizza, Ilaria Pennacchio, Maria Teresa Petrucci, Giulia Pierro, Mattia Porro, Giacomo Scarpignato, Samuele Scarpignato, Sofia

Sgherri, Chiara Tiberi, Leonardo Ugolini, Andrea Voira. L’insegnante tutor è la professoressa Claudia Biagioli, il dirigente scolastico la professoressa Paola Brunello.

LA STORIA

Dal 1994 a oggi ha fatto il giro del mondo L’ORCHESTRA Sinfonica «Città di Grosseto» nasce diciotto anni fa, per volontà dell’Amministrazione comunale, dalla fusione delle principali associazioni musicali grossetane: l’Orchestra «Carlo Cavalieri», gli «Amici del Quartetto» e «G. Donizetti». Giovanni Lanzini è stato il primo presidente (triennio 1994-96); dal ‘97 ad oggi ha ricoperto questa carica il maestro Antonio Di Cristofano. Nel corso degli anni l’Orchestra ha moltiplicato la sua presenza sul territorio, locale e nazionale, passando dai 10-12 concerti a stagione (nel ‘99) a 60 (di cui una ventina in città, il resto in tutta Italia) nel 2006-07. Tutto questo era possibile grazie ai contributi che giungevano da vari enti. Tra tutti, due i concerti memorabili: a Torre del Lago il 29 novembre 2004, per l’80˚ anno dalla morte di Giacomo Puccini; quello del 19 aprile 2010, nella «Golden Hall» al Musikverein di Vienna, di fronte ad un pubblico di 1.800 persone (si tratta di una delle sale da concerto più prestigiose al mondo, quella del tradizionale concerto di Capodanno trasmesso in mondovisione!). Prima di ogni esibizione, gli orchestrali hanno due giorni di prove (di cinque ore ciascuno); gli elementi erano una cinquantina fino a una decina di anni fa mentre oggi il loro numero è sceso a meno di trenta, dato che le casse sono vuote … ma con una storia così prestigiosa, vogliamo davvero lasciarla andare alla deriva? Siamo convinti che la nostra Orchestra si salverà!

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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Tozzi Paganico

Un inedito Leonardo da Vinci Un genio anche in cucina, benché all’epoca fosse incompreso IMPEGNO

Un filosofo per un lavoro comune COMENIUS è il nome latino di Ian Amos Komensky, filosofo e pedagogista del XVII secolo, a cui si ispira un progetto europeo riguardante l’istruzione. Le scuole dei vari Paesi europei aderiscono al progetto lavorando su un argomento comune, cosicché insegnanti e ragazzi abbiano la possibilità di realizzare qualcosa che rispecchi il loro modo di lavorare e la loro cultura. Tutti coloro che partecipano al progetto, scambiandosi i risultati, possono confrontarsi e discutere per migliorarsi. Lo scambio viene fatto tramite viaggi che, in modo alternato, compiono insegnanti e ragazzi dei cosiddetti «Paesi partner»: è così possibile conoscere persone nuove e creare un legame con luoghi lontani. IL NOSTRO ISTITUTO aderisce da vari anni al progetto Comenius; l’argomento che trattiamo quest’anno riguarda la gastronomia e si intitola «Siamo ciò che mangiamo». I Paesi partner sono la Spagna e la Polonia. Il nostro compito è quello di ricercare ricette tipiche italiane con tanto di valori calorici e riferimenti storici. Proprio la ricerca storica ha catturato la nostra attenzione, perché abbiamo trovato notizie secondo noi interessanti su Leonardo da Vinci. Volendo poi individuare elementi comuni a tutta la cucina italiana, ci siamo divertiti ad inventare ricette per continuare a celebrare l’unità d’Italia.

SECONDO ALCUNI studi Leonardo da Vinci è stato un appassionato di cucina. Passione che pare risalga ai tempi dell’infanzia, durante la quale subì l’influenza del patrigno Accatabriga di Piero del Vacca, un pasticcere di Vinci. Grazie ad Accatabriga, Leonardo conosce i dolciumi, crea modellini di marzapane ed impara ad apprezzare il cibo, divenendo un vero intenditore. Nel 1473 muoiono misteriosamente i cuochi della taverna «Le tre lumache» sul Ponte Vecchio a Firenze. Leonardo, che già lavora in questa taverna la sera come cameriere, diventa capocuoco. Può così finalmente sbizzarrire la sua fantasia culinaria, eliminando la tradizionale polenta con pezzi di carne per servire piccole porzioni di cibo prelibato, servite in formine ricavate dalla polenta indurita. Ma la cucina del «genio» non è apprezzata. NEL 1478, Leonardo avvia, insieme al suo amico Botticelli, una locanda chiamata «Le tre rane di

strutturare la cucina in modo che tutto risulti più funzionale. Per l’inaugurazione Leonardo pretende che sia servita una grande bietola con scolpito, in maniera riconoscibile, il volto di Ludovico. I cuochi si ribellano perché dicono di non esserne capaci.

TRICOLORE Mangiare italiano, mangiare sano. Comunque patriottico

Sandro e Leonardo». Il locale non ha successo perché nessuno apprezza portate costituite da quattro fettine di carota ed un’acciuga, per quanto sistemate artisticamente. Trovandosi senza lavoro, Leonardo spedisce a Lorenzo de’ Medici alcuni disegni per mazze meccaniche e per una scala retrat-

tile, unendo ai disegni dei modellini di marzapane e biscotto che Lorenzo, prendendoli per torte, offre ai suoi ospiti durante una cena. Nel 1492 Leonardo va a Milano ed inizia a lavorare per Ludovico il Moro come consigliere alle fortificazioni e Gran Maestro di feste e banchetti. Lì chiede di ri-

CAPIRETE quindi che la passione per la cucina non ha mai lasciato il grande artista che, rendendosi conto di quanto tempo richieda preparare pietanze, inizia a scrivere note ed a elaborare disegni di macchine che possano aiutare in cucina: schizzi di un tritacarne, una lavatrice, uno schiaccianoci e un affettauova a vento, sono stati per anni interpretati come disegni di macchine da guerra. Questo, almeno, è ciò che dice il libro di Shelagh e Jonathan Routh, da cui abbiamo estratto tutte queste informazioni. Non abbiamo trovato altre fonti per avere conferma di quanto appena scritto, per cui se qualche lettore avesse delle informazioni più dettagliate, saremmo lieti di ascoltarle!

PROGETTO COMENIUS UN’OCCASIONE PER VALORIZZARE LA NOSTRA CULTURA TRA I FORNELLI

L’identità nazionale nell’arte culinaria LA CUCINA italiana rende grande la nostra bella Nazione agli occhi del mondo. Ogni regione può vantare ricette uniche, che testimoniano la storia, la tradizione e la società del luogo. Ogni piatto italiano costituisce un emblema nazionale e sprigiona profumi e sapori che raccontano vicende e storie. Al giorno d’oggi l’arte culinaria tende sempre di più a diventare sopraffina. I cuochi sanno dare prova del loro estro per la felicità degli occhi e del palato. In omaggio all’unità d’Italia noi ci siamo immedesimati in tanti chef ed abbiamo creato dei piatti, ognuno dei quali, secondo noi, rappresenta tutta l’Italia. PERSONAGGIO Ian Amos Komensky, noto come Comenius

ABBIAMO pensato alle caratteristiche geografiche del nostro Paese ed ai prodotti che ogni regione ci fornisce. Così facendo, noi ragazzi, suddivisi

in gruppi, abbiamo inventato alcune ricette: «Crostoni con fonduta, pomodorini e basilico», «Pasta panna e salsiccia», «Cinghiale speziato alla marinara con vongole», «Cozze con le olive» e la macedonia «Italia fruttuosa». IN MEZZO a tanti piatti che si contendono il titolo di piatto ufficiale dell’unità d’Italia, non potevamo non ricordare la «Torta di Mazzini». Questa torta fu assaggiata da Mazzini durante il suo esilio in Svizzera nel 1835; gli piacque così tanto che ne mandò la ricetta, con una lettera affettuosa, a sua madre, Maria Drago, a Genova. Leggendo la lettera si capisce che si tratta di una torta di mandorle e pasta sfoglia. Con la torta di Mazzini ci piacerebbe brindare alla nostra Nazione augurando a lei ed a noi un futuro di pace e di benessere per tutti.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Abdelmotalib Ibn Elhaj, Alessandro Cappelli, Alessia Rocchi, Alexej Fortuna, Angelo Gherardo Aleardi Pace, Anna Maria Iacono, Arianna Vittori, Chiara Martini, Christian Aere, Cosmina Ju-

liana Goanta, Elia Beretta, Elisa Casangeli, Federico Lorenzoni, Gabriele Maggi, Giacomo Brogi, Giada Mazzi, Helena Nardi, Lorenzo Pallari, Luca Marzocchi, Michele Casagni, Miriam Diamanti, Pietro Pragliola, Sabrina Rizzo, Simone

Del Principe, Simone Vegni, Tommaso Terrosi, Valentina Ferri, Vanessa Dini, Viola Gerlini. Gli insegnanti tutor sono le professoresse Manola Perna Sonia Treglia, il responsabile del progetto il professor Daniele Sgherri, la dirigente scolastica la professoressa Cinzia Machetti.


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MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Pascoli Grosseto

I ragazzi e il made in Italy L’importanza della moda tra i giovani. E relative controindicazioni LA MODA si presenta come una vera e propria «droga» per i ragazzi che, sempre di più parlano, si atteggiano, si vestono in modo simile, tanto da sembrare una sola persona. I giovani tendono ad avere gli stessi gusti e a seguire stili di vita comuni per non sentirsi esclusi da una società dove l’apparire costituisce un valore importante. La moda è un fenomeno in evoluzione, inizialmente limitata all’abbigliamento, negli ultimi decenni ha sconfinato in altri settori: oggi esiste la moda che caratterizza il modo di comunicare, di mangiare, di comportarsi, addirittura di essere. Coloro che non seguono la moda, i così detti «alternativi» vengono guardati dalla società dei giovani con occhio critico perché diversi dai modelli proposti dai mass media che continuamente pubblicizzano scarpe, magliette, cellulari, motorini… tutti rigorosamente griffati. Se non sono di una certa marca, per i giovani è come non averli e non possono dire: «faccio parte del gruppo». E’ LUOGO COMUNE sostene-

all’acquisto di prodotti simili a quelli originali, che hanno decisamente prezzi più contenuti perché fabbricati in Paesi dove la manodopera ha costi meno elevati. Il made in Italy è infatti da anni fortemente in crisi a causa di una competizione sfrenata con quei Paesi che immettono sul mercato, a basso costo, con materiali economici, prodotti di scarsa qualità, ma che garantiscono un buon impatto visivo che invoglia il cliente all’acquisto.

FIDUCIA Made in Italy 100 per cento. Un ottimo biglietto da visita

re che i giovani con vestiti firmati e il cellulare di ultima generazione, siano individui senza personalità ed idee politiche, senza sogni ed interessi nel cassetto; in realtà il tipo di abbigliamento, il modo di atteggiarsi, di parlare aiutano i giovani a sentirsi più sicuri, in equilibrio con il mondo che li cir-

conda. Seguire la moda può diventare, soprattutto in questo momento di crisi economica, gravoso: i costi risultano difficili da contenere, e se entrambi i genitori, non hanno un’occupazione, le famiglie si trovano ad affrontare una serie di difficoltà. Ecco perché sempre più persone ricorrono

ESISTONO vie di uscita per arginare questa crisi? Non è facile dare una risposta, crediamo che i giovani si debbano impegnare a valorizzare la territorialità, riscoprendo le tradizioni e l’amore per i prodotti nazionali, frutto di antichi lavori artigianali che hanno perso la loro peculiarità per cercare di essere competitivi. Rilanciando il made in Italy, favorendo lo sviluppo a livello di filiera, puntando sulla specializzazione come risposta alla massificazione distributiva indotta dalla globalizzazione, è possibile una rivincita.

INTERVISTA C’E’ UN’AZIENDA MAREMMANA CHE CONFEZIONA CAPI DI ABBIGLIAMENTO DI PRESTIGIO

Abiti di sartoria. Quando la qualità è cucita ABBIAMO intervistato un’addetta del settore della moda che lavora in un’azienda del nostro territorio, che produce abiti sartoriali da uomo made in Italy. Secondo lei è cambiata la moda in questi ultimi anni?

«Sui nostri capi non è molto cambiata».

Vengono sempre richiesti gli stessi prodotti?

«Sì, più o meno gli stessi prodotti. Può cambiare il tessuto o la manifattura però all’incirca il capo è sempre lo stesso. Chi cerca un abito sartoriale sa quello che vuole. In questo ultimo periodo, però, abbiamo semplificato delle fasi di lavorazione per ridurre i costi a scapito talvolta della qualità». Secondo lei il settore della moda ha risentito della crisi?

CLASSE Cuciture fatte a mano per prodotti di altissima qualità

«Crisi ce n’è stata e c’è tuttora non solo in Italia ma in tutta Europa e ovviamente si ripercuote anche nella nostra azienda».

Si lavora ancora artigianalmente per confe-

zionare vestiti all’interno della vostra azienda?

«Alcune volte sì quando ci sono capi che rifiniamo a mano o realizziamo abiti per l’alta moda cucendoli ancora con l’ago». Come funziona la lavorazione «a catena»?

«Parte dal taglio che viene fatto con macchinari computerizzati stendendo la stoffa una sull’altra, come fosse un giornale, e poi la macchina taglia il capo che viene numerato e passato ad un’altra fase di lavorazione, c’è poi un controllo di qualità: l’addetta se si accorge che il capo è uscito anche con un lieve difetto, lo rimanda indietro per sistemarlo». A quali persone importanti avete cucito abiti?

«Abbiamo fatto la divisa ufficiale del Genoa calcio, del Mensana di Siena e anche di persone arabe molto ricche. Abbiamo cucito pantaloni per giocatori di pallacanestro che, essendo molto alti, faticavano a trovare capi adatti a loro nei negozi».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Stefania Acierno, Sara Anastasi, Andrea Bellini, Sara Capizzi, Tommaso Capizzi, Sofia Capodimonte, Matteo Capone, Marta Casciolini, Jennifer Ciulli, Manuel Di Pinto, Luca Fatarelli, Martina Fiornovelli, Sharon Gangi, Letizia Giomarelli, Martina Mariotti, Diego Massaro, Eleonora Mattioli, Sofia

Ludovica Mori, Giulia Parenti, Matteo Pasqui, Ilaria Redi, Samuel Maria Rossetti, Corrado Sciubba, Alessia Severini, Miranda Skoczek, Tommaso Tarentini, Francesca Telloli, Marco Torriti (classe 3 M); Andrea Agrillo, Giada Aposti, Edoardo Bagnacci, Davide Banducci, Enrico Berni, Federico Biagiotti, Ylenia Bigozzi, Giada capecchi, Viola Casi-

ni, Jing Jing Chen, Donato Ciciriello, Asja Franci, Elisa Fratini, Sanchez Joely Judit Jimenez, John Carlo Martinez Lacuesta, Damiano Malatini, Giulia Miccinilli, Silvia Neva, Federico Privitera, Rachele Raspanti, Tommaso Rombai e Agim Shabani (classe 2 C). Le insegnanti tutor sono le professoresse Antonella Bargellini e Silvia Bindi, la dirigente scolastica la dottoressa Fiorella Bartolini.

LA STORIA

Da Bisanzio per arrivare agli outlet IL TERMINE «moda» deriva dal latino modus che significa maniera, norma, regola, melodia, ritmo. La moda nasce molto tempo addietro e non solo per la necessità umana correlata al bisogno di coprirsi ma anche per precise funzioni sociali necessarie per distinguere le varie classi, le mansioni come quella sacerdotale, amministrativa e militare. La moda in Europa riceve un forte impulso da Bisanzio, quando nel 330 d.C., per opera dell’imperatore Costantino, che fece di questa capitale un importante centro anche per l’abbigliamento, si arricchisce di influenze orientali, con l’introduzione della seta, l’uso della porpora, colorante costosissimo a quel tempo ricavato da un mollusco. Nella storia antica l’abito era considerato così prezioso da venire elencato nei beni testamentari e solo con la Seconda Rivoluzione industriale, che rese più semplice la produzione di tessuti, i prezzi delle stoffe scesero creando così abiti a buon mercato, acquistabili anche dalle classi più povere. E’ all’inizio del ‘900 che la moda subisce una vera rivoluzione, le donne iniziano ad usare abiti più pratici, accorciando le gonne e indossando i pantaloni, questi cambiamenti rispecchiano i cambiamenti sociali perchè le donne durante e dopo la guerra avevano iniziato a ricoprire ruoli che in passato erano stati solo maschili. Negli anni ‘60 e ‘70 la moda subisce un’ulteriore rivoluzione con lo stile casual, cioè informale, l’affermarsi dell’uso dei blu jeans e della minigonna. Oggi le mode sono momentanee e vengono sostituite in fretta rinnovando questo processo. Nonostante la moda venga seguita da molti non è detto che non si possa avere il proprio stile, secondo noi tutto conta nel saper personalizzare i propri vestiti, come più piace, perchè per noi la moda non significa sembrare tutti usciti dalle fotocopiatrici.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 17 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Madonna delle Grazie Grosseto

Ricca storia, triste presente Colonie di Marina: dall’importanza sociale del passato al degrado attuale RIFLESSIONE

Il futuro sta scritto nel passato LE CALDE SERATE estive gremite di adolescenti a passeggio per il piccolo corso o in crocchio davanti alle gelaterie sono quasi un ricordo per Marina di Grosseto, che, da almeno un decennio, ha visto cambiare piuttosto drasticamente la tipologia dei suoi frequentatori: i più giovani vanno in spiaggia, ma non scelgono più Marina come luogo di ritrovo, preferendogli di gran lunga località come Castiglione della Pescaia. Un vero peccato, pensiamo noi: rilanciare la presenza giovanile significherebe dare un nuovo impulso alla vita di questo piccolo centro del nostro litorale, aiutando a riscoprirne le potenzialità. E quale modo migliore per valorizzarlo se non con una proposta «a portata di tasca» per i giovani, non tanto e non solo per quelli autoctoni, ma per tutti coloro — italiani e non — che avessero voglia scoprire le meraviglie delle nostre coste? Abbiamo voluto pensare in grande: aprire il nostro territorio ai giovani di tutto il mondo potrebbe essere un modo per ricordarne il valore anche a chi lo ha sempre sotto gli occhi e tende forse a darlo per scontato. Natura, cultura e contatti interpersonali autentici: sono questi i princìpi che ci hanno ispirato, gli ingredienti di una «ricetta della felicità», che potrebbe pesino condurci fuori da situazioni di crisi come quella che stiamo vivendo a livello mondiale. Riscoprire le nostre radici, il nostro territorio, il confronto con l’altro: in un mondo in cui il futuro delle giovani generazioni sembra sempre più affidato all’incertezza, crediamo che tutto questo possa costituire un’àncora salda, un valido antidoto contro l’individualismo, la solitudine, la deriva dei valori.

NELLA PRIMA metà del Novecento sorsero a Marina di Grosseto ben tre colonie: nate con lo scopo di curare bambini affetti da tubercolosi e da malattie respiratorie attraverso il contatto diretto con l’aria di mare, queste strutture furono in seguito destinate ad accogliere gruppi di giovani con i loro accompagnatori per soggiorni di vacanza. Due di esse risalgono all’epoca fascista, in cui fu elaborata l’idea stessa di colonia estiva, l’ultima fu invece realizzata negli anni Cinquanta, ma con funzione pressoché invariata rispetto alle precedenti. Tutto questo, ormai, è storia: cadute in disuso, passate di padrone in padrone, con il progressivo venir meno della finalità per cui erano nate, le colonie hanno avuto un destino spesso incerto. Una di esse in particolare versa in condizioni di totale degrado: chiunque conosca Marina si sarà soffermato, anche solo una volta, a guardarne il grigio scheletro, la cui elaborata struttura — incorniciata anche da un grande parco esterno — e la suggestiva posizione sul mare sono solo l’eco sbiadita di un ben di-

eravamo sottoposte dalle nostre istruttrici: ancora ricordo con stupore le immense sale da pranzo, le enormi camerate in cui dormivamo e il suggestivo terrazzo panoramico dove facevamo ginnastica». «Nonna Graziella» afferma poi che, nonostante i grossi limiti della società del tempo, l’allestimento dei soggiorni estivi presentava anche indubbi elementi di modernità: tutto era in colonia rigorosamente gratuito, mezzi di trasporto compresi.

DEGRADO Ecco come sono ridotte le colonie della frazione balneare

verso passato. «Nonna Graziella», classe 1921, residente nell’entroterra grossetano, quel passato lo ha visto coi suoi occhi: negli anni Trenta, il periodo di massima attività dei complessi coloniali, i soggiorni estivi erano inseriti nel Piano Nazionale Balilla e svolgevano, secondo lo spirito del tempo, un ruolo importante nella formazio-

ne dei giovani, ammessi a parteciparvi secondo criteri di merito scolastico. «Per noi abitanti delle zone più interne della Provincia — ci racconta, un po’ commossa nel ricordare la sua adolescenza — riuscire a vedere il mare e a soggiornare in una struttura così ampia e ben attrezzata era meraviglioso, nonostante il rigore a cui

DAL VECCHIO al nuovo, squallido volto della struttura: a parlarci di quest’ultimo è stata Francesca, trentatreenne impiegata di Marina, ben lieta di dimostrarci l’interesse che l’argomento riscuote tra chi vi si confronta quotidianamente: «l’area in cui sorgono questi edifici ha grandi potenzialità; nessuno, però, sembra aver voglia, almeno per il momento, di riscoprirla. Per il futuro, sarebbe certamente auspicabile e doveroso che l’intera zona sia riqualificata, perché, allo stato attuale, si rischia soltanto il crollo degli edifici».

PROGETTO LA FRAZIONE DIVENTEREBBE UNA FINESTRA SULL’ITALIA. ECCO LA NOSTRA IDEA

La proposta: un Ostello della Gioventù

MARINA Una veduta panoramica del porto

LA NOSTRA PROPOSTA tiene in particolare considerazione le esigenze dei giovani. Viaggiare è uno dei principali interessi dei ragazzi di tutti i tempi: chi studia, però, non avendo generalmente entrate, deve darsi da fare per trovare soluzioni economiche. La zona di Grosseto non offre, ad oggi, molte opportunità in questo senso; non dobbiamo inoltre dimenticare il suo duplice pregio, che è sia quello di offrire molte attrattive storico-culturali e naturalistiche in loco, sia quello di costituire uno strategico punto di snodo tra la costa, l’entroterra e la capitale. Tenendo presente l’esempio già seguito da varie città italiane, proponiamo la realizzazione, nel sito delle ormai fatiscenti colonie, di un Ostello della Gioventù, che, tra l’altro, rispetterebbe l’originaria vocazione della struttura, da sem-

pre volta a soddisfare le esigenze dei più giovani, calandola però in una prospettiva moderna. ATTORNO al corpo centrale, costituito dall’ostello e da una mensa, vorremmo aggregare alcuni servizi ulteriori, per valorizzare la permanenza dei fruitori sul posto. L’idea è quella di una struttura flessibile, in grado di convertire le sue funzioni a seconda delle stagioni: durante l’inverno potrebbe essere attivata una biblioteca di testi incentrati sulle risorse del nostro territorio e di quelli circostanti, corredata di sale in cui sia possibile leggere, utilizzare internet, confrontarsi, e — magari — sorseggiare una bevanda calda. In primavera e in estate sarà però possibile valorizzare ancor più la struttura attraverso lo sfruttamento del parco esterno, che potrebbe essere adibito ad area concerti.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Madonna delle Grazie»: “Madonna delle Grazie” Grosseto.

STUDENTI: Alessandra Antichi, Emma Constable Maxwell, Giulia Sofia Mariniello (classe 2 A); Veronica Morrone, Giuditta Motturi

(classe 3 A). L’insegnante tutor è la professoressa Chiara Cioni, il dirigente scolastico il professor Paolo Pecciarini.


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VENERDÌ 17 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Bandi Gavorrano

La scuola che incontra il carcere L’agricoltura sociale restituisce dignità a chi l’aveva dimenticata FRANCESCO Presti è un agronomo, un libero professionista che esercita nell’ambito dell’agricoltura sociale, ovvero progetta interventi con l’agricoltura che coinvolgono le fasce deboli della società, come i detenuti, gli ex-detenuti, i tossicodipendenti. Attualmente è della Casa di reclusione di Gorgona, dove segue le produzioni orticole, la viticoltura, l’olivicoltura, i pascoli per gli animali, tutte attività che lo portano a lavorare fianco a fianco con i detenuti, per tutto l’anno. Francesco, perché così ha voluto essere chiamato, eliminando ogni formalismo, un giovedì pomeriggio, freddo e con le strade ghiacciate, ha portato a scuola il carcere, un carcere particolare, così lontano dalla degradante situazione carceraria italiana. Francesco ha spiegato che il cuore del progetto rieducativo di Gorgona si basa sulla dignità del lavoro e, infatti, dignitosa è la detenzione che vede le persone recluse lavorare in un contesto stimolante e formativo. Francesco è sereno e fiducioso quando risponde alle domande dei ragazzi sul

dicendo che non ha paura di stare con i detenuti, i quali utilizzano, per lavorare, strumenti potenzialmente pericolosi. Questa esperienza è per lui un continuo arricchimento, mentre lavora sulla cura delle piante, ascolta le loro storie, tragiche e dolorose, le loro riflessioni e ne fa tesoro e spiega che, in un primo momento, si documentava sui detenuti con cui avrebbe interagito, poi ha smesso, perché il rischio poteva essere quello di non vedere più l’uomo, ma solo il reato che ha commesso.

RIENTRO Una parte della redazione a lavoro durante il pomeriggio

suo lavoro sull’isola, diventa cupo e pensieroso quando, invece, deve provare a spiegare perché e con quali modalità i detenuti si suicidano, così si apre alla nostra mente un livido inferno dantesco. INCALZATO dai ragazzi, spiega. «Gorgona è un carcere specia-

le, i detenuti che arrivano devono scontare gli ultimi anni di reclusione. È una meta ambita, perché si ha la possibilità di lavorare, godendo di una certa libertà. I reati di mafia non possono essere contemplati in questo carcere, per il resto le tipologie sono varie, anche crimini violenti». Continua

LA SUA ATTIVITÀ è un pretesto per fare altro: aiutare chi ne ha bisogno a ricucire lo strappo, come a scuola si usano le discipline per dare competenze di vita. Il contatto con la natura porta a una crescita della persona e il lavoro nell’azienda detta «L’Agricola», bio - certificata dal 2005, costituisce per i detenuti un concreto passo verso il reinserimento nel mercato del lavoro. Qui non si usano gli psicofarmaci, non se ne ha bisogno, i demoni si combattono lavorando, tutti i giorni.

IMPEGNO DALLA CELLA I RAGAZZI RISCOPRONO IL VALORE E IL SENSO DELLA SCUOLA E DEL SAPERE

La comunicazione, nuova chiave di lettura

CONFRONTO Due mondi che si trovano faccia a faccia

ESISTE UN FILO sottile, ma molto tenace, che lega la scuola e il carcere, se pensiamo a queste due istituzioni in un’ottica comunicativa. La scuola e il carcere sono due realtà sociali che, sebbene istituzionalmente diverse, sono chiamate entrambe a confrontarsi con questioni educative, anche se, chiaramente, con diverse modalità d’intervento; al loro interno si attivano relazioni di tipo interpersonale, dove i processi comunicativi divengono «pane quotidiano», per tutti gli attori in gioco, insegnanti, studenti, educatori, psicologi, detenuti. In quest’ottica la scuola e il carcere divengono due sottosistemi comunicativi. Un tale accostamento potrebbe sembrare azzardato, quasi blasfemo, ma solo se lo si pensa nell’ottica stereotipata del carcere come luogo di dolore, di isolamento, che deve man-

tenere il suo status di impermeabilità con l’universo sociale che sta fuori, quello dei liberi . Il proporre un tale accostamento in classe può essere utile ad educare al rispetto dell’altro, alla prevenzione del disagio giovanile, al recupero dell’idea fondante e fondamentale che il sapere e la conoscenza rendono liberi; se la scuola deve fornire competenze imprescindibili, per un corretto vivere, il carcere ha il dovere di ri-trasmettere quelle competenze, con nuova e diversa forza. INTERVENIRE con più decisione sull’area della conoscenza della complessità del sistema carcerario, deve essere un’opportunità per avviare una riflessione che possa costituire l’inizio del cambiamento sia per la vita del detenuto dentro il carcere, sia fuori, al momento del reintegro nella società.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti delle classi 2 B e 2 C della scuola media «Bandi»: Balatresi Matteo, Bencini Aaron, Bianconcini Elia. Bindi Giovanni, Bresciani Martina, Castagliola Genny, Chifari Leonardo, Conviti Asja, Costa edoardo, , Cursi marco, Deidda Matteo,Favaroni Nicholas, Guglielmi Massimo, Manet-

ti Raffaele, Martino marco, Occhipinti Valentina, Villani Pamela, Habilaj Llazar,Abis Rachele,Bartaletti Aurora, Boccia Diego, Campinoti Elisa, Castagliolo Dennis, Cazzuola Chiara, Cordova Andrea, El ammar Mohamed, Filia amanda, Gentili Rebecca, Ghinassi Simona,Maldini Paulo Roberto, Mannana Marika, Mar-

zo Filippo, Menale Roberto, Minck Gioia, Pagliai dario, Querci Alessandro, Rosselli Sara, Tempesti Martina, Tomaselli Enrico. I docenti tutor sono le professoresse Irene Buzzegoli, Maria Cucci, Rita Rabissi.Il dirigente scolastico la dottoressa Assunta Astorino.

RIFLESSIONI

Gorgona un carcere senza sbarre GORGONA è l’ultima isola-carcere italiana, è l’ultima realtà penale presente su un’isola italiana, dopo la chiusura del carcere dell’Asinara e di quello di Pianosa; la struttura che esiste a partire dal 1869 e che fu realizzata come succursale di Pianosa, oggi conta circa 85 detenuti, che hanno la possibilità di lavorare all’aperto e di percepire un piccolo stipendio. Le attività svolte dagli «ospiti» riguardano l’agricoltura, l’allevamento, un impianto di acquacoltura, la produzione e la trasformazione dei prodotti di origine animale e vegetale. Gli animali vengono curati con la medicina omeopatica e questo ha ricadute positive sul piano clinico, economico e ambientale. Vengono inoltre svolte attività mirate alla manutenzione delle strutture, degli impianti. QUI LA QUALITÀ della vita detentiva è buona, i rapporti interpersonali sono piuttosto sereni, qui si respira un senso di responsabilità e di rispetto diffusi. Gorgona è un esempio per capire che un’altra detenzione è possibile e auspicabile. Gli studenti della nostra scuola hanno compreso che l’esperienza diretta del carcere, se mal funzionante, umiliante, non porta gli individui a desistere dal commettere reati, ma che è necessario attivare un percorso riabilitativo corretto per avere un corretto reinserimento, sempre consapevoli che chi si trova in uno stato di detenzione ha un debito con la società da pagare

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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Aldi Manciano

La fine del mondo. A ripetizione Secondo i Maya questo sarà l’ultimo anno. Ma non sono originali REAZIONI

Se fosse vero quali cose faremmo? E SE LA PROFEZIA fosse vera, che cosa faresti? Questa è la domanda che noi, ragazzi della terza media di Manciano, ci siamo posti nello scrivere questi articoli. Dopo vari sondaggi, siamo arrivati alla conclusione che il desiderio di ognuno corrispondeva a quello di tutti, cioè di essere finalmente liberi, senza regole, scadenze, obblighi, doveri, insomma un vero paradiso terrestre in cui poter trasgredire e provare tutto ciò che in una situazione normale era proibito o giudicato in senso negativo. Qualcuno di noi, però, ha espresso la volontà di commettere atti di violenza, confortato certamente dal fatto che tale gesto non avrebbe avuto conseguenze. I più coraggiosi di noi, invece, preferirebbero non assistere alla fine del mondo, ma compiere l’atto estremo, condividendolo con l’amico del cuore, magari da aiutare nell’impresa come ultimo gesto della loro stretta amicizia. UNA SINGOLARE risposta è stata quella di chi si ostina a non arrendersi al crudele destino, dopo l’interpretazione della lettura del calendario. L’ideatore prevede, utilizzando i nuovi mezzi aerospaziali, la fuga del genere umano alla volta di una nuova terra, appartenente ad un altro pianeta, dove poter ricostruire una propria vita e fondare una civiltà con dei presupposti diversi da quelli sui quali si è fondata la vecchia società, attaccata a ideali illusori.

ANNO 2.000: invasione aliena; 2002: il ritorno degli alieni; 2007: la caduta di un enorme meteorite; 2012…? Quante volte, nel corso della storia, ci hanno fatto credere in un’imminente fine del mondo? Fin dalla notte dei tempi e lungo la durata della sua vita, l’uomo ha cercato di interpretare gli eventi naturali, trovando risposta nell’esistenza di esseri superiori, che determinavano tali fenomeni. A giustificazione di ciò, ha creato miti e leggende, tramandati di generazione in generazione tra popoli che li hanno adattati alle loro esigenze e culture. Come i nostri antenati hanno sentito il bisogno di capire l’origine dell’ignoto, noi contemporanei cerchiamo di conoscere il futuro perché non del tutto sondabile. Il calendario Maya, civiltà pre-colombiana, parla della fine del mondo come l’inizio di una nuova era, in cui l’uomo svilupperà una maggiore forza spirituale. Secondo questo popolo, sono cinque le ere cosmiche (ognuna della durata di 1.872.000 giorni) che si succedono nel tempo: quelle dell’acqua, dell’aria, della terra, del fuoco e dell’oro,

vioni e tifoni che hanno sconvolto intere popolazioni. In base ai dati raccolti, risulta che lo scopo del calendario Maya non doveva stabilire le date, ma collegare le azioni degli uomini ai movimenti della natura, perché il cosmo si mantenesse in armonia.

TRANQUILLI Gli studenti mancianesi aspettano, con fiducia

che corrisponde alla nostra. QUEST’ULTIMO ciclo ha avuto inizio il 13-08-3.114 a. C. e finirà, appunto, il 21-12-2012 . I Maya hanno omesso che cosa dovrebbe succedere alla fine della nostra era, ma le teorie abbondano e vanno dal pianeta sconosciuto che dovrebbe scontrarsi con il nostro

all’immancabile invasione extraterrestre, fino alla serie di cataclismi, come incendi, terremoti, uragani ed inondazioni. Invero, la cronaca dell’ ultimo decennio parla di vulcani risvegliatisi da lunghi anni di letargo, di terremoti e maremoti che, grazie alla forza distruttiva, hanno alterato il volto di alcune regioni, nonché di allu-

A TALE PROPOSITO, è innegabile il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo con la conseguente perdita o rarefazione di rilevanti aree naturali. E’ noto che la causa sia da attribuire allo sfruttamento intensivo delle risorse energetiche e al fenomeno ormai dilagante dell’inquinamento dei suoli e delle acque. Il quadro esposto sembra confermare lo scopo del calendario, pertanto, se una fine del mondo ci sarà, ne uscirà responsabile l’uomo, principale artefice del proprio destino. Benché i Maya siano vissuti in un’epoca lontana dalla nostra, il messaggio che si ricava ha del profetico per aver intuito le conseguenze fatali davanti ad un mancato rispetto dell’uomo verso la natura.

ANALISI FILM, TRASMISSIONI TELEVISIVE, SERVIZI GIORNALISTICI. E ANCHE TURISTI IN CERCA DI EMOZIONI

La preoccupazione? Per ora, fare business

INFERNO Una «visione» della catastrofe della profezia Maya

LA DOMANDA che sorge spontanea è il perché vengano diffuse, in certi periodi della storia, notizie riguardanti un’imminente estinzione del nostro pianeta, soprattutto quando queste stesse informazioni possono scatenare, in alcune persone, gesti di violenza verso se stessi e la società. A conferma di ciò, risulta secondo il tabloid «The Daily Mail» che siano arrivati al sito della Nasa, agenzia spaziale americana, 5.000 messaggi di persone preoccupate a tal punto di chiedere se fosse il caso di ricorrere al suicidio, banalmente singolo o spettacolarmente di massa. Altre 5.000 hanno preferito concedersi un’altra possibilità, rivolgendosi ad un astuto imprenditore californiano, Robert Vicino, a cui hanno prenotato bunker di lusso ad una somma di denaro non

del tutto precisata. MA LE SPECULAZIONI non finiscono qui, se si pensa al business innescato da questa profezia e sul quale l’industria cinematografica, televisiva ed editoriale hanno fondato ingenti guadagni. LA RISPOSTA al quesito iniziale sta nel giro d’affari che deriva da tali trovate pubblicitarie. Citando ancora una volta il tabloid britannico, le popolazioni che abitano tuttora l’antico territorio dei Maya sembrano non preoccuparsi affatto della probabile catastrofe e del ticchettio dell’orologio, anzi, a dispetto dell’ondata di panico che ha colpito gli Stati Uniti, sperano in un boom del turismo. In conclusione, da qualunque parte si voglia vedere la medaglia, il cataclisma maggiore è rincorrere a tutti i costi il dio-denaro.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Arenas Jaivee Casanova, Bacci Cristina, Badiali Marco, Bolocan Alberto, Calin Alex, Carboni Giulia, Chiello Irene, Cortez Ryderik, Detti Roberto, Di Stasio

Aurora, Durlan Sebi, Lembetti Benedetta, Lo Presti Benedetta, Marinelli Simona, Marretti Aaron, Martelli Niccolò, Nevastri Viola, Paliciuc Silviu, Pavel Valentin, Petacchiola Ylenia, Popovici Andre-

ea, Riondato Mattia, Rovai Federica, Vita Nicole. L’insegnante tutor è la professoressa Maria Teresa Mambrini, la dirigente scolastica la dottoressa Anna Maria Carbone.


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MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Semproniano Semproniano

Sos animali? Ci pensa il Crase La struttura è un ricovero per esemplari esotici da tutto il mondo IL CRASE (Centro recupero animali selvatici esotici), una struttura di 2000 metri quadrati coperta di recinti, box e voliere con leoni, tigri, scimmie, serpenti, pappagalli di ogni specie, è attivo a Semproniano dal 2000, quando, in seguito ai sempre più numerosi episodi relativi a sequestri di animali importati illegalmente o maltrattati e confiscati dalle Forze dell’ordine, la Provincia di Grosseto e il Corpo forestale dello Stato hanno avvertito la necessità di collocare questi esemplari e hanno chiesto al veterinario sempronianino Marco Aloisi di ospitarli. Grande esperto di animali, ricco di iniziativa, Marco Aloisi aveva già realizzato un importante suo progetto, dando vita nel 1996 a Semproniano al Crasm (Centro recupero animali selvatici della Maremma) per curare gli animali selvatici feriti o in difficoltà. Crase e il Crasm costituiscono il Wwf di Semproniano con circa 1600 animali di 60 specie diverse. Il Crasm, secondo la legge 157 sulla caccia, accoglie tutti gli animali selvatici italiani che hanno bisogno di cure e di assistenza; inve-

POSSENTE Una delle tigri ospiti del centro specializzato

ce, il Crase tutela gli animali esotici ogni qual volta vengano infrante la legge internazionale Cites, che ne regola il commercio illegale e la legge 150, secondo la quale nessun animale esotico può essere posseduto da persone non autorizzate. Questo non solo per la tutela e la salvaguardia degli esemplari animali, ma anche per ragio-

ni di sicurezza per le persone: una scimmietta da piccola è gestibile, ma crescendo può diventare molto pericolosa, per non parlare di animali ancora più feroci e indocili. GESTIRE il Crase non è semplice: tutti questi animali hanno bisogno di cure e di cibo, sistemi di

sicurezza, però i fondi messi a disposizione dalla Provincia e dal Wwf non sono sufficienti per aiutare gli esemplari che in numero sempre crescente arrivano nel centro, così come non bastano le risorse umane: Marco fa questo mestiere da solo con tanta passione, contando sulla collaborazione di quei pochi operai che gli attuali esigui finanziamenti gli consentono di avere. Del resto, nel Crase, Marco non può accettare, né può contare sull’aiuto di volontari per motivi sanitari, perché alcuni animali, per esempio quelli provenienti dall’Africa, potrebbero essere infetti, in quanto portatori di virus letali, quali Ebola o Aids. Nonostante le difficoltà economiche, il progetto del Crase, fortemente sostenuto, non solo da Marco, ma anche dall’ Amministrazione locale e dalla popolazione di Semproniano, è ancora più ambizioso, poiché ci si propone in un prossimo futuro, di aprire il centro al pubblico, con la piena consapevolezza che esso rappresenti una risorsa importante per il territorio.

STORIE MALTRATTATI, SFRUTTATI, PICCHIATI. LE TRISTI ESPERIENZE DEGLI ESEMPLARI OSPITI NEL CENTRO

Quando le vere bestie sono certi uomini

TENERA Un cucciolo di scimmia insieme alla madre

ENTUSIASMANTE l’idea di un «mini zoo» nelle vicinanze del proprio paese; ma, a ben vedere, la realtà del Crase nasconde dei lati tristi. Tutti gli animali del Centro, infatti, hanno un passato doloroso alle spalle: in molti casi sono frutto di sequestri da parte delle Forze dell’ordine, in seguito all’infrazione della legge internazionale Cites, che regola il commercio di animali esotici. Nel centro ci sono scimmie sequestrate alla camorra, ma anche la scimmia prelevata al sacerdote calabrese Padre Fedele, importata illegalmente dal Congo per un capriccio umano. L’uomo era attirato dai colori sgargianti del muso, rosso e blu: i colori del Cosenza, la sua squadra del cuore. Vi sono qui anche tigri un tempo sfruttate per la riproduzione: i cuccioli venivano poi venduti in Cina per produrre medicinali. E poi ancora tigri strappate

alle mani sporche della camorra, tigri salvate dalle condizioni disumane cui erano costrette a vivere nei circhi. STORIE TRISTI anche quelle di tre pitoni: il più grande di essi, oltre 3 metri di lunghezza e 25 chilogrammi di peso, è stato catturato dallo stesso Marco Aloisi nella laguna di Orbetello, dove inspiegabilmente si trovava. Ad un altro povero pitone, sequestrato in un’operazione di traffico di stupefacenti nella provincia di Milano, erano state fatte ingerire dosi di droga in bustine, mentre l’altro pitone è vittima di un traffico illecito di animali. Grazie a Marco, questi animali, seppur non abbiano avuto un passato felice, possono almeno sperare in un futuro nel Crase, visto che ormai fuori non sarebbero più in grado di vivere nel loro habitat naturale.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Armando Benedetta, Bianchi Alessio, Canale Andrea, Cordovani Arianna, Di Niccola Michele, Ferini Giorgia, Lemley Fer-

ruccio, Lemley Joanne, Rossi Gianmarco; Dondini Debora, Pellegrini Aurora, Santi Chiara (delle classi II ˚- III˚ della scuola media di Semproniano, dell’Istituto Com-

prensivo «Pratesi» di Santa Fiora). La dirigente scolastica è la dottoressa Barbara Rosini e l’insegnante tutor è la professoressa Simona Morelli.

RIFLESSIONI

Diciamo «No» al traffico di animali! E’ STATO attivato di recente in tutta Italia un progetto sostenuto dal Wwf, di distribuzione in alcuni supermercati, di figurine di animali, molti dei quali presenti nel Centro. Scopo di tale iniziativa, non solo quello di ricavare fondi per il Crase di Semproniano, ma anche quello di far conoscere alle persone, soprattutto a partire dai più piccoli, l’affascinante mondo degli animali fotografati nei loro habitat naturali. Ed è proprio nel loro habitat naturale che gli animali dovrebbero vivere. Invece, sempre più negli ultimi anni, in concomitanza con un crescente benessere, è andata diffondendosi una pericolosa moda: quella di circondarsi di animali fuori dal comune e stravaganti. Non più cani e gatti nell’appartamento, ma iguana, scimmiette, pitoni o coccodrilli. Chi acquista questi animali è disposto a pagare anche alte somme, incentivando i traffici illegali della malavita. Inoltre, nella maggior parte dei casi la scelta di tenere questo genere di animali in casa, può rilevarsi sbagliata. E allora, come va a finire? Si abbandonano, mettendo a rischio in alcuni casi l’incolumità delle altre persone e degli animali stessi, o comunque si trattano male perché hanno deluso le aspettative di chi li aveva scelti. Dunque, prima di acquistare un qualsiasi animale esotico illegalmente, bisogna pensarci perché non sono animali domestici e nemmeno devono essere un arredo alla nostra casa.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 24 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Alighieri Grosseto

Ci vediamo in piazza. Ma quale? Internet crea virtuali luoghi di incontro: usiamoli nel modo giusto FACEBOOK

Tutto è iniziato come servizio universitario FACEBOOK è un sito web di reti sociali ad accesso gratuito ed è tra i più visitati del mondo. È stato fondato il 4 febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, all’epoca studente diciannovenne all’Università di Harvard, con l’aiuto di suoi due compagni, Andrew McCollum e Eduardo Severin. Lo scopo iniziale era quello di far mantenere i contatti tra studenti di università e licei di tutto il mondo e con il passare del tempo si è trasformato in una rete sociale che comprende tutti gli utenti di Internet. In poco meno di due anni tutte le università statunitensi aderirono al servizio. Nel febbraio 2006 il sito si estese a scuole superiori e a grandi aziende ampliando enormemente il bacino di utenza. Dall’11 settembre 2006 chiunque abbia più di tredici anni può accedere al sito. IL NOME DERIVA dalla somiglianza del sito con gli annuari contenenti le foto di ogni singolo soggetto, appunto chiamati Facebook, che alcuni college statunitensi distribuivano all’inizio dell’anno scolastico ai nuovi studenti e al personale della facoltà come mezzo per conoscere tutte le persone del campus. In Italia il boom è avvenuto nel 2008 e nel 2010 negli Stati Uniti il sito ha superato il numero degli utenti di Google. Al 31 dicembre 2011 il social network ha 845 milioni di utenti attivi, di cui circa 18 milioni in Italia, che si collegano al sito almeno una volta al mese.

INTERNET è uno strumento sempre più utilizzato dai ragazzi perché rappresenta una straordinaria opportunità di informazione, apprendimento, divertimento, comunicazione e allargamento delle relazioni sociali. Il social network Facebook è una delle più cliccate «piazze virtuali», che ha avuto successo da subito perché è semplice e immediato, permette alle persone di parlare e condividere pensieri anche a distanze lontane. Gli utenti creano profili che spesso contengono fotografie e liste di interessi personali, scambiando messaggi privati e pubblici con gruppi di amici. La visione dei dati dettagliati del profilo è ristretta ad utenti della stessa rete o ad amici accettati dall’utente stesso. Facebook include alcuni servizi che sono disponibili sul dispositivo mobile, come la possibilità di caricare contenuti, ricevere e rispondere ai messaggi, condividere immagini video, giocare, scrivere sulla bacheca degli utenti o semplicemente navigare sul

ni. Il web offre così un modo divertente ed economico per comunicare con tutto il mondo ed allargare la cerchia degli amici. Inoltre in chat si riescono a dire cose che faccia a faccia non sempre si ha il coraggio di pronunciare perché ci imbarazzeremmo.

IN «VIAGGIO» Facebook è il social network più utilizzato dai giovani

network. SECONDO una recente indagine, è proprio questo il social network più amato dagli adolescenti italiani: infatti soltanto il 2,7 % degli intervistati dichiara di essersi stancato di Facebook e di non usarlo più, mentre il restante

97,3% si dichiara soddisfatto e intenzionato a continuarne l’utilizzo. Certamente Facebook offre molti vantaggi soprattutto ai ragazzi che abitano in piccoli paesi o grandi città e che quindi, per motivi di tempo o di lontananza, avrebbero grandi difficoltà ad incontrare i propri amici tutti i gior-

CHI PREFERISCE creare la maggior parte dei propri rapporti sociali sul web, però, potrebbe rischiare di isolarsi sempre di più e, in un secondo tempo, potrebbe perdere la capacità di «connettersi» alla vita reale. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che stare a lungo davanti a un computer può provocare disturbi alla vista e una vera e propria forma di dipendenza. Quindi attenti ragazzi, valutate bene tutti gli aspetti dell’incontrarsi su Facebook e, soprattutto, tenete presente che quelle che si intrattengono sulle reti sociali sono amicizie virtuali, dove non si possono cogliere le emozioni, gli stati d’animo, le reazioni, i sentimenti, come in un rapporto reale. Ben venga allora il navigare su piazze virtuali, ma mai dimenticare di incontrarsi su piazze reali!

INTERVISTA I CONSIGLI DELLA POLIZIA POSTALE PER EVITARE RISCHI E ANCHE INCONTRI PERICOLOSI

«Non inserite dati personali né le vostre foto» ABBIAMO incontrato a scuola l’ispettore superiore Stefano Niccoli ed il sovrintendente Rosario Calore della Polizia Postale e delle Comunicazioni, che si occupa della prevenzione e contrasto della sicurezza informatica, soprattutto in relazione alle piazze virtuali, come i social network e i siti internet. Gli abbiamo rivolto alcune domande. Quali sono le istruzioni per navigare in modo sicuro e senza correre pericoli?

«Prima di tutto tenere il computer protetto da una password solida e sicura, non dare mai informazioni personali via mail, usare un nick name al posto delle vere generalità, non inviare foto per evitarne l’uso improprio: insomma, usare la testa prima di fare click!» ISPETTORE Stefano Niccoli ha incontrato gli studenti

Possiamo chattare con tranquillità con «amici» coetanei?

«Chattare con nuovi amici è rischioso perchè non

siamo sicuri che dietro nickname ci siano veri coetanei. C’è il rischio della cyberpedofilia e della pedopornografia; adulti che si spacciano per minori, carpiscono la fiducia dei ragazzi per adescarli, ottenere fotografie e molestarli». Che cosa si intende per cyberbullismo?

«Recente ma preoccupante fenomeno. Ragazzi tra i 10 e i 16 anni, immagine di bravi studenti, buone competenze informatiche, incapacità di valutare la gravità delle azioni compiute on-line: questo l’identikit del cyber bullo, che usa internet per maltrattamenti virtuali, offese o umiliazioni verso un compagno o un amico». Cos’è il sexting?

«È la moda diffusa tra i minori tra gli 11 e i 14 anni di mandare foto osè con chiaro significato allusivo e provocante: l’inesperienza e l’immaturità di soggetti in fase evolutiva può generare comportamenti imprudenti».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Balanda Tomas Ivan, Bambagioni Francesca, Benetti Antonio, Bonaccorti Nicolò, Bruni Carlotta, Finetti Rebecca, Gasparini Giulia, Gatti Emma, Grazzini Lorenzo, Iagnocco Naim, Isticato Nico, Labianca Antonella, Laurenti Leonardo, Lotti Francesco, Miserocchi Giulia, Nanni Leonardo, Nocciolini Viola, Parisi Irene, Pompili Michel, Pucci Giulia, Ronchi

Giovanni, Rossi Aura, Sagina Margherita, Sbrana Adorni Lucrezia, Tanganelli Lorenzo, Taviani Angelica, Vannuccini Irene, Virga Giorgio (2 B); Ambrogi Giacomo, Balbo Matteo, Bardi Alex, Bardi Lorenzo, Briganti Antonio, Dalla Montà Alice, De Paolis Andrea, Dossi Daniel, Eljahd Oussama, Frosolini Lorenzo, Iaccarino Ambra, Iaccarino Giada, Leoni Diletta, Makarovic Enrico, Masili Roberta, Morganti-

ni Marco, Nocenti Serena, Oriundo Orazio, Parrucci Niccolò, Rajhi Nadia, Soldati Mirco, Spaghetti Alessia, Troiano Alessio, D’agostino Letizia (2 C). La dirigente scolastica è la dottoressa Graziana Bongini, le insegnanti tutor le professoresse Alessandra La Rosa, Loredana Bardi, Annalisa Grippa, Dina Castellani.


CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 24 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Martiri d’Isti Magliano

L’alba del sesto sole. E poi? La profezia dei Maya fa discutere e le interpretazioni sono molteplici COSA CI ASPETTA sabato 21 dicembre 2012, data fatidica che ha acceso la fantasia di ricercatori e appassionati? Da questa data comincia il nostro affascinante viaggio attraverso i miti e i misteri di un popolo antico e saggio, i Maya, che ci ha lasciato un calendario astronomicamente preciso costituito da 9 elementi fondamentali: il giorno (Kin), i mesi (Uinal costituiti da 20 giorni), l’anno (Tun, costituito da 18 mesi più 1 di 5 giorni per arrivare a 365), poi c’è il Katun che vale 20 anni cioè 20 Tun. Poi Baktun, Karactun, Kinciltun e Autun, che moltiplicano sempre per 20. Secondo i Maya ci sono 5 Ere cosmiche (Acqua, Aria, Fuoco ,Terra e Oro) 4 delle quali sarebbero terminate con disastri ambientali, la quinta, l’età dell’Oro, è quella che stiamo vivendo. Secondo questo calendario il 21 dicembre 2012, accadrà qualcosa che coinvolgerà una loro divinità, Bolon Yokte K’uh, simbolo di guerra. La profezia dice che vi saranno grandi cambiamenti: climatici per quanto riguarda il nostro pianeta, spirituali tra gli esseri uma-

STORIA I Maya hanno lasciato grandi opere e suggestive profezie

ni,ma il mondo dopo quella data continuerà ad esistere. I Maya avevano predetto anche altri eventi, come l’invasione del Messico da parte degli Spagnoli e l’eclissi solare dell’11/8/1999 che si è verificata con 33 secondi di ritardo rispetto al tempo previsto dai Maya. IL CICLO che ora stiamo viven-

do ha avuto inizio il 13/8/3114 a.C e finirà il 21/12/2012 d.C. Gli studiosi interpretano questo calendario da 2 diversi punti di vista. Alcuni suppongono che i Maya avessero predetto che nel giorno del solstizio d’inverno, il 21/12, inizi una nuova era: sono state trovate tavolette che riportano date molto successive al 2012 .

Altri studiosi ritengono invece che, secondo i Maya, il mondo sarebbe finito a causa del compimento della rotazione della terra sul proprio asse e in contemporanea al movimento del sole verso il centro della via lattea, che avviene ogni 26.000 anni. Questa seconda ipotesi però non ha alcun fondamento scientifico ed è stata ripetutamente negata dalla comunità geofisica e astronomica. 21/12/2012… una data che ha terrorizzato erroneamente non solo migliaia di persone ma addirittura l’intero pianeta! Gli archeologi infatti spiegano che il calendario Maya è ciclico: quindi non farà altro che ripartire, esattamente come il nostro calendario non fa finire il mondo il 31/12 ma riprende l’1gennaio. POSSIAMO concludere dicendo che gli auspici per ciò che ci attende a dicembre 2012 non sono certo dei migliori (relativamente all’economia o altri problemi) ma, come dice anche Nostradamus, non si tratterà della fine del mondo ma semplicemente della fine di un ciclo e l’inizio di un altro, che può essere anche migliore.

REAZIONI ALLA FINE DEL MONDO NON CI CREDE QUASI NESSUNO. E TUTTI CI SCHERZANO SOPRA

«L’ultima cosa che farei? Invito la Canalis»

IRONIA Vignette e risposte spiritose: la paura si esorcizza

ABBIAMO posto alcune domande alla gente sulla profezia dei Maya. Abbiamo chiesto se ne avevano sentito parlare e se ci credevano e quasi tutti hanno risposto che ne sapevano qualcosa ma non ci credevano. Alla domanda su cosa pensavano sarebbe accaduto, ipotizzando che la profezia si avveri, le risposte sono state varie: «La terra esploderà», «i mari si innalzeranno», «terremoti». Si chiedeva poi se pensano che le recenti catastrofi siano eventi naturali o causate dall’uomo e il 60% ha risposto di sì: «Sì, secondo me è tutta colpa della razza umana». Altri: «Le catastrofi naturali non sono colpa di nessuno, altrimenti non si chiamerebbero naturali, però l’uomo dovrebbe adoperarsi affinché ci siano meno danni, ma quasi mai lo fa». Si chiedeva poi, nel caso avvenisse una catastrofe a livello mondiale, se pensavano ci fosse la possibilità di sopravvivenza per la razza umana e in che mo-

do e le risposte sono state negative per il 60%. Il restante 40% ha motivato il sì nel modo seguente: «Andando in montagna, dove non arriverà la catastrofe, spero!»; «Dipende dal tipo di catastrofe», «Probabilmente inventeranno qualcosa per sopravvivere, ma solo per chi ha i soldi», «Chi ha i soldi va nello spazio». SE INVECE di una catastrofe fosse l’inizio di una nuova era, il 99% crede che questa sarà migliore perché l’uomo capirà gli errori commessi. Infine, alla domanda come vivrebbero questi ultimi mesi se prove inconfutabili dimostrassero che ci sarà la fine del mondo,hanno risposto: «Come ora», «Nel miglior modo possibile», «Insieme ai familiari», «Come sempre.Tanti soldi non li ho sicché che succede succede», «Viaggiando», «Venderei tutto e inviterei a cena la Canalis».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Francesco Benocci ,Viola Brasini , Camilla Merli, Minucci Fiamma, Pugliese Antonio (classe prima); Arienti Tommaso, Bruscoli Giulia, Cuppone Francesco Nicolò, Fiorini Lorenzo, Franci-

ni Romina, Moretti Lorena, Musmeci Alice, Santini Jacopo (classe seconda); Aluigi Leonardo, Bianchi Giorgia, Brasini Manuel,Calamassi Irene, Fastelli Lorenzo, Francini Sofia, Gregori Aurora, Leandri Alessio, Paoloni Michael, Strin-

gardi Asia, Taddei Greta (classe terza). Gli insegnanti tutor sono le professoresse Anna Mancuso, Laura Mangiavacchi, Graziella Muzzi e Alessia Nucci. Il dirigente scolastico è il dottor Roberto Mugnai.

RIFLESSIONI

Ci conforta «l’errore» del Mille 21 DICEMBRE 2012. Per quel giorno non prendete appuntamenti. Non affannatevi per i regali di Natale. Tutto inutile. Quel giorno sarà l’ ultimo. Poi, il mondo finirà in gran stile: eruzioni vulcaniche, tsunami, tempeste magnetiche, uragani devastanti, radiazioni dallo spazio, la comparsa di un fantomatico pianeta scateneranno l’Apocalisse!! Questo è quanto prevedono centinaia di siti, decine di libri, una serie di trasmissioni televisive che su questa profezia strabiliante hanno fatto valanghe di denaro e avvinto gli appassionati del mistero. Ma è vero? Noi crediamo di no, in fondo anche nell’anno 999 la gente aveva paura della fine del mondo a causa del detto «mille e non più mille», celebre profezia medievale basata sui versetti dell’Apocalisse 20,1-3,7 e anche su affermazioni attribuite a Gesù Cristo nei vangeli apocrifi, nel senso che dopo Cristo l’uomo sarebbe vissuto ancora mille anni, e solo mille. Anche l’avvistamento della cometa di Halley nell’anno 989 aveva contribuito a diffondere questa paura. Il 31 dicembre del 999 era la data temuta da molti cristiani come la fine del mondo perciò cominciarono a pregare e fare opere buone perché avevano paura di finire all’ inferno. Secondo noi, ragazzi di 11 anni, il 21 dicembre 2012 la fine del mondo non ci sarà. Però se proprio dovesse essere così noi negli ultimi mesi vorremmo stare con i nostri cari, vorremmo scoprire nuovi posti prima che vengano distrutti, conoscere nuove culture.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Umberto I Pitigliano

Quelle due nevicate coi fiocchi Oltre all’attuale, a Pitigliano si ricordano altri due eventi eccezionali CURIOSITA’

Gli inventori della valanga fatta in casa LA NEVICATA del ’56 non portò soltanto disagi e problemi all’agricoltura, agli animali e alle persone, ma fu un’occasione per stimolare la fantasia di molti giovani: alcuni costruirono slittini e sci utilizzando le vecchie doghe dei tini, altri si mettevano sotto il sedere dei sacchi di platica e qualsiasi posto poteva essere buono per sciare (a Castell’Azzara si sciava in uno spazio vicino al cimitero), ma l’idea più creativa secondo noi l’ebbero i fratelli Ronca a Pitigliano. COSTRUIRONO una palla gigantesca di neve nella piazza San Gregorio VII, poi la spinsero verso la discesa di via Generale Orsini aiutati da altre persone; iniziando a rotolare verso piazza Becherini, la palla s’ingigantì sempre più aumentando di volume; i giovani fratelli non riuscivano più a controllarla e questa, sempre più gigantesca, andò ad incastrarsi all’altezza della chiesa di San Rocco bloccando completamente la via. QUALCHE abitante del quartiere non la prese molto bene, soprattutto perché dovettero intervenire molte persone ed occorse molto tempo prima di rimuoverla e farla scivolare giù per la scalata della porta di Sovana. Il suo passaggio lasciò un profondo e largo solco, come una pista di bob, in cui i bambini si divertirono a giocare.

IL 10 FEBBRAIO 2012 il nostro territorio è stato investito da una fortissima nevicata che sembra non aver causato danni all’agricoltura, agli allevamenti e alla viabilità. Molte persone hanno fatto il confronto fra questa nevicata e quella del 1956 e i più anziani anche con quella del 1929. Secondo la nostra indagine la nevicata di questo anno, per quanto intensa, non è paragonabile alle due del secolo passato: è durata soltanto un giorno, non è stata seguita da forti gelate e grazie ai moderni mezzi meccanici, agli interventi dei vigili del fuoco, dell’esercito e della protezione civile, tutte le situazioni problematiche — come ad esempio l’isolamento di alcuni poderi — sono state risolte nel giro di due, tre giorni. NEL 1956 fu un’altra storia: da guinnes dei primati. Nevicò dal 2 febbraio fino all’otto marzo e alla neve seguirono terribili gelate che misero in ginocchio l’agricoltura distruggendo vigneti ed oliveti; a causa di questi danni, co-

chi di juta.

«SPAZZANEVE» Nel 1956 le tecniche erano un po’ più «artigianali»

me ci hanno riferito alcune persone, ben il 40% dei cittadini pitiglianesi emigrarono nelle città, soprattutto Roma, a fare i portieri dei grandi palazzi; la Cassa Rurale li aiutò con dei prestiti per poter acquistare i portierati. Per le strade la neve era alta circa 80 centimetri e tre metri nei campi: le

scuole delle campagne come Spinicci, Pian di Morrano, Naioli e il Pantano furono irraggiungibili per giorni; il centro storico era completamente sommerso, tant’è che la neve veniva portata via con dei carretti trainati dagli asini ai quali, per non farli scivolare, venivano fasciate le zampe con dei sac-

LA BORGATA del Casone rimase completamente isolata e venne raggiunta dai soccorsi grazie all’utilizzo di un trattore cingolato Ansaldo che riuscì ad aprirsi un varco grazie anche all’intervento di un gruppo di carabinieri sciatori. Quando i soccorsi arrivarono nella borgata si resero conto che gli abitanti se la stavano cavando alla grande: avevano scavato tante stradine tra una casa e l’altra, tra i magazzini e le stalle degli animali: non erano a corto di viveri, in alcune abitazioni era appeso il maiale pronto al consumo. La gente non era preoccupata e l’unica sorpresa fu quella di vedere arrivare tutta quella gente. Tragiche, invece, le conseguenze della nevicata e del freddo che colpirono il territorio nel 1929: morirono molti bambini soprattutto fra i tre e i quattro anni, e molti anziani. Il maestro Ferrero Pizzinelli, che all’epoca aveva otto anni, ci ha raccontato nei particolari ciò che accadde nell’inverno di 83 anni fa.

TESTIMONIANZA NEL 1929 IL FREDDO FU TERRIBILE. IL RACCONTO DI CHI VISSE QUEI GIORNI

«Bottiglie con acqua calda dentro le culle»

SLALOM Una «pista» nel 1956: vicino al cimitero di Castellazzara

«DURANTE la nevicata avvenuta nel gennaio del 1929 — ci racconta il maestro Ferrero Pizzinelli, che all’epoca aveva otto anni — fece molto freddo, la neve ricoprì tutto, gelò il corso d’acqua del Prochio e perfino alcune parti del Fiora. I ragazzini pattinavano sopra alle acque gelate del Prochio con le scarpe che a quell’epoca avevano nella suola le bullette, ossia dei chiodi di ferro: i tronchetti». «Nelle case — continua il maestro — per riscaldarsi c’era soltanto un focolare e gli indumenti che tessevano le mamme e le nonne con la pura lana di pecora: erano tessuti ruvidi, grossolani, pesanti. La nevicata fu breve come questa del 2012 e la scuola rimase chiusa per tre, quattro giorni per colpa del congelamento della neve sulla strada che impediva il passaggio dei ragazzini provenienti dalle

campagne. A causa del vento gelido morirono molti bambini fra i tre e i quattro anni e molti anziani di broncopolmonite. Da quanto era freddo non si riusciva nemmeno a scrivere; si diceva che c’era iddiavolicchiu alle dita, per riscaldarsi la gente metteva il prete a letto, una struttura in legno a forma di barca con dentro una caldarella, vale a dire un secchietto con la brace». «PER I BIMBI più piccoli — conclude Pizzinelli — le mamme mettevano nella culla delle bottiglie con l’acqua calda: la mattina, nei vetri delle finestre, si vedevano i cristalli di neve congelati che non erano altro che il respiro delle persone nella notte. Comunque l’agricoltura non subì troppi danni, perché le piante non avevano messo ancora le gemme».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Bernardini Emanuele, Capponi Manuel, Ciacci Eva, Cramaro Julia, Chakrous Imane, Doganieri Filippo, Gubernari Alisia, Guidotti Lorenzo, Malfatti Davide, Memoli Luca, Mengoni Michele, Menicheschi Adriana, Nucci Fabio, Nucci Silvio,

Reali Aurora, Serafini Chiara, Spizzichino Sabrina (classe 1 A); Bechini Elia, Chihaea Adrian, Ciari Daniele, Del Buono Lorenzo, Ferrante Francesco, Formiconi Sofia, Gentili Samuele, Lazzeri Giovanni, Maggiolini Aurora, Ortenzi Asia, Ottaviani Giulia, Polidori Alessandro, Ri-

naldi Alice, Stefani Ludovica, Vignoli Diego (classe 2 B). La dirigente scolastica è la dottoressa Daniela Busoni, gli insegnanti tutor i professori Antonello Carrucoli, Giuseppina Romano, Simona Bonura.


CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012

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Scuola media

Don Milani Orbetello

In marcia verso lo «Ius soli» Il ministro: «Cittadinanza agli immigrati? Non solo per nascita» NEGLI ULTIMI MESI è nato un acceso dibattito politico sul problema dell’immigrazione, e in particolare sul riconoscere o no la cittadinanza ai figli di immigrati nati sul suolo italiano. Proprio su questo attualissimo tema, il giorno 18 gennaio 2012 si è svolto un dibattito nell’aula magna della scuola «Don Lorenzo Milani». In seguito alla visione del lungometraggio si è tenuta una discussione sull’argomento, nella quale è intervenuto, oltre allo stesso regista, un rappresentante dell’amministrazione locale e vari docenti della scuola, che hanno espresso la loro opinione in merito al problema esposto. Il documentario proiettato raccontava delle esperienze vissute da ragazzi nati in Italia ma figli di immigrati, che si sentono italiani, ma che legalmente non sono considerati tali, visto che non gli è stata riconosciuta la cittadinanza. Da questo filmato si evinceva la sofferenza di questi ragazzi che nonostante vivessero di fatto come normali cittadini, non possono affermare di esserlo.

che non sia un problema da affrontare in questo particolare momento; viste le maggiori problematiche che affliggono la nostra nazione.

CONNAZIONALI Gli unici colori che contano: quelli della bandiera

SU QUESTO ARGOMENTO si è sviluppato il dibattito che ha mostrato come la maggioranza fosse favorevole al riconoscimento dello «status» di cittadino italiano ai figli nati su suolo italiano da entrambi genitori stranieri. Nell’ambito politico nazionale invece la discussione non ha ancora

una definita posizione, visto che sono nate da entrambe le fazioni diverse correnti di pensiero: da una parte c’è chi afferma che riconoscere la cittadinanza sia giusto, dall’altra, invece, chi pensa che non sia qualcosa di concepibile. Infine, una terza opinione, sostenuta da una minoranza, ritiene

COLORO che sono favorevoli motivano la loro decisione ritenendo che queste persone vivono a tutti gli effetti come normali cittadini, quindi, perché non devono essere considerati come italiani? L’opinione delle persone sfavorevoli è invece tutt’altra: essi ritengono che riconoscere la cittadinanza a figli di stranieri contribuirebbe a sminuire la natura del popolo italiano, ossia produrrebbe un indebolimento della cultura, intesa come modi di vivere, culture e tradizioni italiane , dei nostri territori. Attualmente vi è una raccolta di firme che ha come finalità la presentazione del disegno di legge sulla concessione della cittadinanza, a questa importante iniziativa si è aggiunto il parere del ministro degli Interni Cancellieri, che ritiene giusto il riconoscimento dello «Ius soli», ma moderato da alcuni criteri.

ESPERIENZE SONO NATI QUI, DOVE VIVONO E STUDIANO. EPPURE PER LA LEGGE SONO SEMPRE STRANIERI

Gli «italiani» con il permesso di soggiorno

SIMBOLO Il «sigillo» della Repubblica italiana

RAGAZZI, nati e cresciuti in Italia che hanno genitori stranieri, non ottengono la cittadinanza dopo i diciotto anni. Il 18 gennaio scorso è stato proiettato il documentario «18 Ius Soli» Di Fred Kuwornu. Una manifestazione nata da un’iniziativa della preside della scuola media in collaborazione con Antonio Santoro e l’associazione Legalmente, con il patrocinio del comune di Orbetello e della Provincia di Grosseto. La mattina hanno assistito alla proiezione a scuola gli alunni delle classi terze, che hanno risposto alle sollecitazioni del regista in maniera attiva e partecipativa. All’evento del pomeriggio all’auditorium, aperto alla cittadinanza, hanno partecipato il sindaco Monica Paffetti, la dottoressa Bindi dell’Ufficio scolastico regionale e Maurizio Buzzani, portavoce del Comitato provinciale di Grosseto «L’Italia sono anch’io», che ha raccolto le firme per la propo-

sta di legge sul diritto di cittadinanza ai bimbi nati sul suolo italiano da genitori stranieri. Nel documentario, Fred Kuwornu ha intervistato alcuni ragazzi di seconda generazione, costretti a vivere con il permesso di soggiorno, che gli hanno raccontato le loro esperienze tutte italiane e le difficoltà legate alla discriminazione. Alcuni ragazzi della scuola media hanno intervistato la preside Nunziata Squitieri per chiarire meglio il perché delle proiezioni. «QUESTI ragazzi hanno dei sogni: alcuni vorrebbero entrare nelle squadre nazionali italiane o diventare maestre d’asilo... ma questo non è possibile, perché non avendo la cittadinanza italiana non possono lavorare in strutture pubbliche. Lo scopo del documentario è quello di raccogliere più firme possibili per dare la possibilità a questi ragazzi di integrarsi nella società italiana».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Alfredo Funicello (classe 3 B - articolo di apertura); Francesca Aldi, Melissa Caminati, Gianmarco Cappiello, Martina Monti, Edoar-

do Sirna (classe 2 A - articolo di taglio); Marco Benvenuti, Asia Capezzuoli, Giulia Covitto, Lorenzo Gennari e Vittoria Santi (classe 3 A - articolo di spalla).

Il dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo «Don Milani» di Orbetello è la dottoressa Nunziata Squitieri, gli insegnanti tutor le professoresse Susanna Cantore, Anna Genovesi e Anna Passeri.

RIFLESSIONE

Ma l’articolo 3 lo stiamo rispettando? SARÀ GIUSTA la legge che non concede la cittadinanza italiana tanto facilmente? Perchè i ragazzi di origine straniera ma nati in Italia e perfettamente integrati nella nostra società non riescono a progredire nei loro progetti di vita? La visione del film «Ius soli» ci ha portato a riflettere su quest’argomento e a collegarlo con l’articolo 3 della Costituzione italiana. In questo periodo stiamo proprio studiando l’origine della nostra Repubblica e il testo che ne delinea i principi fondamentali. LA COSTITUZIONE è nata nel 1947 e, fin d’allora con l’articolo 3 stabilisce il principio democratico dell’uguaglianza tra le persone, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno raggiungimento. Nei confronti di milioni di persone di origine straniera questo principio è disatteso. Per molti ragazzi cresciuti in Italia da genitori stranieri questo articolo non vale perchè loro non sono ritenuti dalla legge cittadini italiani. Perciò una volta compiuti diciotto anni sono discriminati nel mondo del lavoro e per poter restare in Italia devono ottenere il permesso di soggiorno tramite un lungo percorso burocratico. Si può richiedere anche la cittadinanza italiana che però spesso prevede ostacoli ulteriori che ne impediscono di fatto la concessione. Per questo si stanno raccogliendo 50mila firme per cambiare la legge, in modo tale da far avere la cittadinanza a chiunque nasca in Italia.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 2 MARZO 2012

Scuola media

Leopoldo di Lorena Roccastrada

«Dilombo». Storia di un incubo Il disastro idrogeologico del 1969 impaurisce ancora. Le testimonianze LA SITUAZIONE

Convivere con nove secoli di emergenze LA STORIA sociale di Roccastrada è strettamente legata ai fenomeni di frana che minacciano da sempre il suo costone roccioso, un picco di riolite residuo delle bocche eruttive minori dell’epicentro vulcanico del Monte Amiata, vecchio di cinquantamila anni. La storia urbanistica di Roccastrada nasce intorno all’anno Mille e si realizza nel tempo seguendo le condizioni e i vincoli imposti da questo pericolo incombente. La minaccia continua della frana viene somatizzata e nel corso dei secoli la preoccupazione per questa pericolosa coesistenza andrà spesso a confondersi con la lotta per la sopravvivenza. Aldilà della somatizzazione collettiva della frana, i crolli della rupe permangono, anno dopo anno, stagione dopo stagione a testimoniare l’ attualità del rischio. Il versante ovest del paese, quello più colpito dalla frana del 1969, è anche la zona più favorevole per l’espansione del capoluogo, perché grazie alla scogliera possiede un perfetto microclima protetto dai venti freddi di tramontana e illuminata dal sole di ponente. E’ nelle costruzioni della zona ovest del quartiere Fonte, ricco di acque sorgive ed orti, che si notano fin dal loro inurbamento del 1600 i primi cedimenti delle corti, le prime crepe sui fabbricati e le prime preoccupazioni destinate a ingigantirsi nel corso del tempo, a causa delle continue minacce. Ancora oggi in questo quartiere c’è un palazzo inclinato a causa del Dilombo del 1969, dove vivono molte famiglie.

A 40 ANNI dalla frana del Chiusone, il dissesto idrogeologico, che nel marzo del 1969 costrinse in poche ore oltre 500 roccastradini ad evacuare dalle loro case, fa parlare ancora oggi. E non fu l’unico episodio: tra il 1940 e il 1950 una frana mette in ginocchio alcune famiglie ; il signor Ottorino, un testimone diretto, racconta le ore di paura che accompagnarono quella notte tragica del 1941, quando il Dilombo, così chiamato dai roccastradini, bussò alle loro porte: «In una notte il Dilombo ha inghiottito la casa dei miei genitori, per fortuna si salvarono tutti e anche gli animali, le vie di uscita dalla casa franata furono le finestre e i tetti, i quali, dopo la nostra evacuazione, crollarono completamente». Da qui il Dilombo sembra svanito tra le macerie della Seconda Guerra mondiale, ma non certo nel ricordo dei roccastradini che ancora oggi si commuovono alla sola rievocazione. Giunge il marzo del 1969 quando un altro movimento franoso colpì Roccastrada. La fase del distaccamento della grande zolla di argilla sotto le contrade

«FERITA» Un annesso agricolo in zona Fonte, colpito dal Dilombo

del Chiusone e della Fonte, nella zona ovest del paese, è iniziata nella notte, il movimento silenzioso ed implacabile è proseguito fino al mattino quando verso le 10.30 improvvisamente accelera: in dieci minuti si apre una voragine di trenta centimetri tra le vie principali del versante ovest del paese; in un quarto d’ora il pavimento

del piano terra delle abitazioni viene spinto verso il basso, le abitazioni si inclinano. Continua Ottorino, colpito per la seconda volta dalla frana. «La seconda casa dei miei genitori venne colpita nuovamente dalla frana, tanto che essi dovettero andare a vivere per alcuni mesi da parenti fuori paese, fino a quando furono fatti

lavori di consolidamento del terreno, furono creati dei pozzi per raccogliere le acque, sperando di arginare il problema». Maria Teresa, 71 anni, racconta la propria tragica esperienza. «Noi avevamo avuto l’ordine di evacuare ma fortunatamente la nostra casa non crollò; gli sfollati, lasciate le loro case, furono alloggiati nei locali del Comune o da loro parenti; la paura aveva assalito tutto il paese, la zona della Fonte era la più disastrata e la casa di mio zio fu abbattuta perché era pericolante…i disagi furono tanti, perché non avevamo più niente e ci si doveva arrangiare, vivendo alla giornata, fortunatamente non ci sono stati né morti né feriti, ma tanta paura». Le testimonianze di Ottorino e di Maria Teresa aprono una ferita che ancora non si è rimarginata tra gli abitanti del paese; il Dilombo è ancora latente ma le istituzioni pubbliche sono impegnate ad affrontare il rischio che il versante ovest del paese ancora rappresenta per i suoi abitanti.

APPUNTAMENTI LE FESTE PAESANE ATTIRANO TURISTI NELL’INTERO COMPRENSORIO ROCCASTRADINO

Palio, patate e cortei. Ecco le nostre tradizioni

CONCORSO «Miss Patata», l’elezione della patata più bella

A TORNIELLA e Piloni uno dei principali eventi è la Festa del primo maggio. L’ attrazione principale è il corteo che inizia il suo percorso da Piloni, il paese sovrastante Torniella. I compaesani preparano banchetti pieni di cibo e di bevande per ammazzare il tempo prima che parta la banda e nell’attesa si intonano canti popolari. Una volta arrivati a Torniella i musicisti ed il loro corteo si fermano in varie tappe per mangiare e per fare «rifornimento» ed entrano in scena i «maggiolini» che danno il benvenuto alla primavera con i loro stornelli. Sul palio della Rocca le prime notizie risalgono al 1465 quando, in occasione di nozze nobiliari, venne organizzata una giostra dei sestrieri. Nel corso dei secoli si susseguirono delle gare a cavallo, tutte svolte il 14 settembre, in occasione delle feste della santissima croce. Il palio oggi si disputa con i «ciuchi», il 14 di agosto, e vede impegnate le cinque

contrade del paese; questo evento è preceduto da alcuni giorni di festa, il Medioevo nel borgo e la cena delle contrade: ogni contrada sfila con i propri costumi, nella passeggiata storica che precede la corsa. A ROCCASTRADA si festeggia a fine luglio la Festa della Patata; abbiamo incontrato l’inventore del simpatico evento, il signor Ottorino Bartaletti. «La Sagra — racconta Ottorino — è nata con lo scopo di autofinanziare il commercio di Roccastrada e per far conoscere e pubblicizzare il nostro paese con un’attrazione unica in tutta l’Italia; la scelta è ricaduta sulla patata, un ortaggio che piace a tutti, grandi e piccini. La mia idea era quella di far diventare la patata un prodotto tipico di Roccastrada.La festa venne inaugurata nel 2000 e dal primo giorno ha riscosso molto successo tra i miei compaesani ed anche tra i turisti».

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Alimi Meleke, Ballerini Giovanni, Bartalucci Sandro, Brandaglia Sofia, Ceccarini Luna, Franceschini Camilla, Gradinaru Alexandru Denis, Guiggiani Bianca, Lanfor-

ti Alessio, Mancianti Ettore, Menichetti Benedetta, Mustiata Gabriel Adelin, Nocciolini Elena, Pieri Lorenzo, Porcu Francesca, Rovaldieri Davide, Roveri Lola, Solomon Valeria, Xhaferi Bajram (classe 2 B, scuo-

la media Leopoldo di Lorena, Roccastrada). L’insegnante tutor è la professoressa Michela Cavese, la dirigente scolastica la professoressa Loretta Borri.


CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 2 MARZO 2012

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Scuola media

Castellazzara Castellazzara

Vandali. Tutto iniziò nel 1794 Il termine fu coniato durante la Rivoluzione francese. Ora non ha confini IL TERMINE vandalismo venne utilizzato per la prima volta dall’abate Henry Grégoire nel 1794, durante la Rivoluzione Francese. L’abate lo adoperò in senso dispregiativo per denunciare le azioni dell’esercito repubblicano a danno di chiese, monumenti e opere d’arte, paragonabili agli effetti che ebbero le terribili invasioni dei Vandali, nel V secolo d.C. L’espressione inizialmente si riferiva all’azione distruttiva nei confronti di opere d’arte o beni culturali, ora viene riferita agli atti rivolti contro beni di qualsiasi natura. Cassonetti bruciati, verde pubblico deturpato, autobus, metro, treni e muri imbrattati, cestini danneggiati, rifiuti abbandonati. Sono centinaia di migliaia, nonostante le norme e sanzioni previste, questi atti di deturpazione delle nostre città, da Nord a Sud; un fenomeno che, «nell’Italia dei vandali», non accenna a diminuire e che prende di mira il patrimonio pubblico, non ancora sentito sufficientemente come proprio da tutti i cittadini!

lastiche, le cose stanno ancora peggio: nell’ultimo anno 500 scuole (180 al Nord, 95 al Centro e 225 al Sud e Isole) sono state allagate, incendiate, derubate.

SENTINELLE Gli studenti chiedono maggior rispetto dei beni pubblici

QUELLO degli atti vandalici è un costo sociale altissimo: cifre importanti vengono spese dalle Amministrazioni per riparare i danni apportati da queste «bravate» che ricadono poi su tutta la comunità; e, purtroppo, il vandalismo è un fenomeno in espansione, come dimostrano le statisti-

che, e sta ormai preoccupando seriamente la popolazione; il «listino distruzioni» vede più di 44mila atti vandalici, in due anni, in cabine telefoniche; 2530 negli autobus; 3 miliardi e mezzo di danni subiti ogni anno dalle Ferrovie dello Stato. Quanto agli atti di devastazione contro le strutture sco-

ALTRA AZIONE deturpante sul piano estetico e degradante su quello sociale è quella del vandalismo grafico; inutile attenuarne la carica negativa chiamandolo «graffitismo» o considerandolo un’opera artistica, non è la creatività che spinge i ragazzi ad imbrattare muri, pietre, intonaci e reperti storici: tifosi o innamorati, filosofi o contestatori, non c’è limite al bisogno di scrivere messaggi urgenti alla città, dediche e disegni vari, tanto importanti da venire rifatti subito dopo la loro cancellazione. Ma il gesto di un attimo si trasforma, spesso, in danno permanente! Personalmente siamo convinti che sia urgente imporre dei limiti ad atti vandalici vergognosi e violenti ma, parallelamente, è necessario uno sforzo comune ed un impegno costante da parte di tutti i cittadini per contrastare una «piaga sociale» che, per adesso, non riusciamo a guarire!

ANALISI I PICCOLI CENTRI COME IL NOSTRO NON SONO IMMUNI DAI RAID. LO SANNO BENE LE STALATTITI

L’inciviltà è comune in città come nei paesi

RABBIA Giochi rotti dagli incivili: i bambini protestano

SPESSO leggiamo nei giornali o sentiamo al telegiornale di atti vandalici che accadono nelle grandi città. Sembrano episodi così lontani da chi come noi della I C delle scuole medie di Castell’Azzara vive in piccoli centri, in realtà anche nelle nostre zone spesso si verificano simili eventi. A Castell’azzara, ad esempio, alla fine degli anni ’80, è stato versato dell’olio dei freni sulle macchine parcheggiate nel paese, causando danni alla vernice. Nei primi anni ‘90 il giorno della festa dell’Avis, organizzata sul Monte Penna, sono state verniciate e bucate le gomme delle auto parcheggiate alla festa e lungo le vie del paese. Un altro grave episodio da ricordare riguarda il parco del Monte Penna che il Comune ha fatto costruire per far visitare la montagna ai turisti e rendergli un’accoglienza più gradevole; erano state realizzate alcune baite di legno in vari punti facilmente raggiungibili: davanti al laghetto, alle cave comunali, alla sorgente del Carpino. Ma poco tempo dopo sono state rotte porte e finestre, rendendole così impraticabili. Inoltre, qualche anno fa, sempre a Ca-

stell’Azzara, hanno rovinato dei cartelli stradali con delle scritte offensive. Alla Grotta di Bacheca, hanno rotto il cancello, spaccando il lucchetto, e all’interno di essa con il piccone hanno rotto le stallatiti e le stalagmiti; purtroppo ne sono rimaste davvero poche integre. Anche a Montevitozzo non sono mancati atti di vandalismo. La scorsa estate, infatti, un ragazzino è andato con la bicicletta contro i lampioni dei giardinetti e le lampadine si sono rotte tutte, lasciando i giochi dei bambini completamente al buio. Secondo noi questi atti di vandalismo sono stati causati spesso solo per divertimento senza pensare alle reali conseguenze; probabilmente perché i ragazzi si annoiano per mancanza di strutture dove poter trascorrere il loro tempo libero e si lasciano andare ad atti vandalici non giustificabili. Un altro motivo del loro comportamento potrebbe essere il fatto che sono abituati a far sempre quello che vogliono. Questo è davvero un peccato perché nessuno potrà ricostruire le belle stalattiti e stalagmiti della grotta del Sasso Colato o di Bacheca.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Bernardini, Carbonari, Conti, Cracium, El Azhari, El Habti, Manase, Pifferi, Toniazzini S., Yakimova, Baldoni,

Bohr,Donati, Fazzini, Foudal, Gallo, Nutarelli, Paradisi, Tonioni, Tutini, Bellumori, Biondi, Boni, Dani, Esposito, Fortunati, Mastacchini, Luchian, Toniazzini C.

Gli insegnanti tutor sono i professori Fabrizio Nai, Simonetta Breschi e Fabiana Petrillo, la dirigete scolastica la dottoressa Nunziata Squitieri.

RIFLESSIONE

Chiamiamoli come meritano Imbecilli BASTA con le solite giustificazioni: chiediamoci perché non bisognerebbe distruggere i beni pubblici? E’ difficile in un’età come questa, l’adolescenza, rispondere a questa domanda. Infatti, questa è l’età della ribellione, dei rapporti conflittuali con i genitori e soprattutto ci sentiamo in grado di fare tutto! In particolar modo, quando siamo in gruppo. Spesso sentiamo dire che il punto di partenza per sviluppare comportamenti di questo tipo è crescere circondati da un clima di violenza e che all’origine di questi comportamenti ci sono problematiche familiari. Dal nostro punto di vista è ancora una volta una scusa! E’ VERO che a dettare questo comportamento è spesso la noia, l’incapacità di gestire la solitudine. In altri casi è l’espressione della difficoltà a contenere le energie. «Uno» sfoga la propria rabbia sugli oggetti. E’ l’unico modo che conosce. Ma questa non è una giustificazione. Per noi ci possono essere due semplici e banali spiegazioni: o «uno» non pensa alle conseguenze o è un imbecille! Oltretutto che coraggio c’è a scappare, come un vigliacco? Almeno il vandalo dovrebbe assumersi la responsabilità di quello che ha compiuto! Inoltre dovrebbe essere chiaro che se distruggi un bene pubblico chi ci rimette è la comunità, magari proprio noi ragazzi: così per aggiustare i bagni pubblici o le panchine distrutte da questi imbecilli non ci sono risorse per il campetto da calcio o per le feste di paese.

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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 7 MARZO 2012

Scuola media

Ungaretti Grosseto

Quando a emigrare eravamo noi Un ragazzo su tre non conosce il fenomeno del «grande esodo». Il nostro INTERVISTA

«Vi racconto un’avventura italiana» NON SEMPRE si abbandona il proprio Paese per ragioni economiche. All’origine di questa decisione spesso si trovano spinte culturali e la curiosità di un mondo diverso, l’insofferenza verso la manotonia di un lavoro che non soddisfa. E’ il caso di M.H., 38 anni ingenere tunisino. Decide di trasferirsi in Italia anche perché trova l’amore, una donna italiana. Perché un ragazzo tunisino, con un buon impiego in Patria, decide, di emigrare?

«I motivi hanno a che fare con la mia forte curiosità e il desiderio di miglioramento, che in Europa ho trovato a tal punto da poterci rimanere». E’ stato facile trovare lavoro?

«Sì e no. Qui la gente si sorprende se un tunisino si intende di elettronica a buoni livelli… comunque sia, un rivenditore mi ha messo alla prova e ho cominciato a guadagnare bene, meglio che a Tunisi. Allora ho deciso: qui avevo incontrato l’amore, un buon lavoro e lo studio universitario, non me ne sarei più andato. Certo subito non ero convinto di poter rimanere, ma la svolta è arrivata quando mi hanno fatto una nuova proposta nel settore della bassa frequenza».

«…SONO 3000, sono arrivati, sono tutti sulla banchina, stanchi, affamati, con il libretto rosso in mano (che li bolla come analfabeti) o il foglio giallo, che dà maggiore speranza; ma per tutti c’è ora la quarantena, un’attesa lunga, snervante; e per alcuni — che prima di partire hanno venduto case o poderi, o si sono indebitati per fare il viaggio — non è solo stressante ma è un’attesa angosciante». Scrive così un cronista nel 1920, osservando gli emigranti italiani scesi da un bastimento... eppure, da un’indagine condotta su 890 ragazzi fra i 16 e i 24 anni, in occasione di una mostra sull’emigrazione organizzata a Padova, il 32% degli intervistati non ne sa nulla, del restante solo il 10% ne ha sentito parlare a scuola. GLI ITALIANI sono stati protagonisti del più grande esodo migratorio della storia moderna. Nell’arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze. Si trattò di un fenomeno che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 Veneto,

SBARCATI Il «sogno americano» per lasciare l’incubo italiano

Friuli Venezia Giulia e Piemonte fornirono da sole il 47 % del contingente migratorio. Nei due decenni successivi la Sicilia dette il maggior contributo, seguita dalla Campania. Il Mezzogiorno fornì il 90% della propria emigrazione alle Americhe, privilegiando gli Stati Uniti, mentre dal settentrione l’emigrazione transoceanica

privilegiò l’America latina. Dalle regioni dell’Italia centrale l’emigrazione si divise equamente tra stati nordeuropei e mete transoceaniche. Contadini, agricoltori e braccianti, prevalentemente analfabeti, ne furono i protagonisti, accompagnati da artigiani, muratori e operai. I motivi dell’esodo furono il declino dei vecchi mestie-

DUE GUERRE mondiali e il fascismo limitarono fortemente il flusso migratorio italiano che riprese però nel dopoguerra, inserendo nuove mete come Canada e Australia. A partire dagli anni Sessanta l’emigrazione avvenne quasi esclusivamente dalle regioni meridionali e si orientò verso le aree industrializzate dell’Europa settentrionale e nel triangolo industriale italiano in cui si riversarono circa due milioni di immigrati. Numerosi furono gli episodi di sfruttamento nei confronti degli emigranti italiani, taglieggiati e raggirati in patria dagli agenti di emigrazione e sfruttati una volta giunti nei paesi ospitanti, come tanti furono i naufragi di navi italiane fatte partire da armatori senza scrupoli. Come i naufraghi nordafricani vittime di trafficanti senza scrupoli che oggi muoiono nel Mediterraneo, spesso senza che di loro si sappia più nulla.

ESPERIENZA SIAMO STATI PRESENTI AL «XV MEETING DEI DIRITTI UMANI». E CI E’ VENUTO QUALCHE DUBBIO

Libertà di circolazione: valore inalienabile

Come è stata l’esperienza dell’amore e del matrimonio italiano?

«Nessun problema, le nostre famiglie hanno detto: se vi amate, per noi va bene. La mia scelta non ha neppure suscitato troppa curiosità in paese o fra le persone che ci frequentano. Una cosa buffa è che quando vedono mio figlio, bianco come la madre, mi chiedono: ma il bambino è tuo?».

ri artigiani, delle industrie domestiche, gli effetti della crisi agraria e la condizione contadina meridionale aggravata dal latifondismo e dalla presenza di piccole proprietà insufficienti per il mantenimento.

VALORE Gli studenti a Firenze per il meeting sui diritti umani

IL DIRITTO ALLA MOBILITÀ internazionale sancito nell’articolo 13 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo è stato l’argomento centrale del XV Meeting dei Diritti Umani tenutosi a Firenze lo scorso 13 dicembre. L’evento, a cui ha partecipato anche la nostra scuola, ha visto un Mandela Forum colmo di circa 8.000 studenti della Toscana. Giornata emozionante, anche grazie alla presenza di autorevoli personalità che ci hanno ricordato come l’uomo nel suo migrare ha dovuto abbattere barriere di ogni tipo. «L’importante è amare il pensiero diverso», ha sottolineato il professor Vecchioni. «Siate eretici. Più saprete stare fuori dal coro e dalla folla e meglio sarà», ha dichiarato invece l’assessore regionale Riccardo Nencini. Ebbene, se da un lato il ricordo di quel giorno ci ha costretti a riflettere sul quel valore inviolabile

che è la libertà di circolazione nelle meravigliose terre del nostro pianeta, d’altro canto la notizia di questi giorni sulla condanna che il nostro Paese sta subendo dalla corte europea dei diritti Umani di Strasburgo per il respingimenti di emigranti, ci pone l’interrogativo: ma l’ Italia è veramente uno stato democratico che rispetta quei diritti che tanti intellettuali nel corso della nostra storia hanno contribuito a sancire? POSSIAMO noi giovani comprendere appieno che occorre oggi imparare ad essere tolleranti per una convivenza civile in un mondo sempre più interculturale se chi detiene il potere permette che quegli stessi diritti siano negati? Noi ragazzi giudichiamo ciò che viene fatto , non solo le belle parole che spesso nella nostra società risuonano vuote e poco credibili.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli alunni: Vladimir Aino; Denise Bernardini; Marco Betti; Michele Cagnani; Irene Chiozzi; Luca Cionini; Manuele Coccoluto; Giulia Del Principe; Elena Donadelli; Giovanni Formi-

cola; Francesca Francomano; Ilaria Iaccarino; Matteo Lombardi; Saverio Maietta; Erika Mariani; Andrea Marino; Marco Mengoni; Vanessa Menta; Giada Ottaviani; Giulia Romeo; Giacomo Santabarbara; Leo-

nardo Savini; Alexandru Tugurlan; (classe 3^ I scuola media Ungaretti Grosseto) insegnanti tutor: Maria Carla Giuliarini e Giorgio Nocchi, la dirigente scolastica è la dottoressa Fiorella Bartolini.


CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 7 MARZO 2012

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Scuola media

Mazzini Porto Santo Stefano

La pesca è la nostra storia L’attività che ha dato vita al paese è in crisi. Ai giovani non interessa LA PESCA è uno dei più antichi mestieri dell’uomo. Nei secoli l’uomo ha cercato di migliorare le tecniche di pesca e oggi costruisce imbarcazioni fornite di potenti motori e reti che rendono possibile sfidare anche condizioni meteorologiche avverse. Il nostro paese Porto S.Stefano deve la sua stessa origine alla pesca, visto che i primi abitanti della nostra zona furono dei pescatori provenienti in particolar modo dal sud Italia. Le barche da pesca che solcavano il mare dell’Argentario, a partire dal XVIII secolo erano utilizzate dai pescatori che migravano dalle loro terre d’origine. Per lungo tempo, davanti a Porto S.Stefano fu attiva una tonnara, gestita inizialmente da un rais e da pescatori di Procida, che ancora nella prima metà dell’800 era tra le più importanti del Tirreno centrale. A testimonianza di questa attività esiste ancora oggi un’antica via chiamata «Via dei tonni», che dal porto della Pilarella sale verso la Panoramica. PURTROPPO negli ultimi anni le cose stanno cambiando infatti

tua la pesca a strascico è abituato a pescare alcuni pesci tipici della zona come naselli, triglie, calamari, gamberi e seppie. Si pesca ad almeno mezzo miglio dalla costa e soprattutto vicino alle isole dell’arcipelago toscano come il Giglio o l’Elba.

IN FILA Una parte della flotta dei pescherecci a Porto S.Stefano

all’Argentario è presente una tra le più importanti flotte pescherecce del Tirreno, che sta però vivendo una forte crisi dovuta al fatto che i giovani non vogliono più seguire questo mestiere. Una lunga tradizione si sta lentamente spegnendo per lasciare il posto ai più redditizi mezzi da diporto turistici. La pesca rimane comunque

una componente fondamentale delle attività marinare e ci sono numerosi metodi per attuarla come quella a strascico, che consiste nel buttare la «rezza» a mare e poi tirarla camminando con la barca per circa quattro ore; quella a posta fissa, detta anche a tramaglio, che consiste nel lasciare la rete a mare per circa dieci ore. Chi effet-

ESISTONO anche tipi di pesca vietati, per esempio la pesca che prevede il lancio della «rezza» sugli scogli o la pesca entro i cinquanta metri di fondale. Nei pressi dell’Argentario per lo più la pesca professionale è dedicata a tutti i tipi di pesce azzurro. In questi ultimi anni si è sviluppata anche un’intensa attività di pesca sportiva da imbarcazione, rivolta prevalentemente alle specie di passo in particolari periodi dell’anno, come la traina ai tonni, ricciole, palamite, lampughe e acertoli, il bolentino di profondità o la pesca di calamari, seppie e polpi. Ciò che tutti ci auguriamo è che un’attività così importante per il nostro paese possa nuovamente affascinare i giovani santostefanesi e trovare una nuova stagione di gloria.

RACCONTI QUESTO LAVORO RICHIEDE SPIRITO DI SACRIFICIO. PER QUESTO NON E’ TANTO AMATO

In mare di notte, il vento e il freddo...

ATTREZZATURE Le reti all’interno di un peschereccio

PER SAPERNE di più su quest’attività così importante nella storia del nostro paese abbiamo incontrato dei pescatori, che lavorano duramente tutto l’anno sui pescherecci, i quali ci hanno dato diverse informazioni. Abbiamo così appreso che su un peschereccio ci sono diversi ruoli: comandante, motorista e marinaio. Il numero delle persone dell’equipaggio dipende dalla grandezza della barca: se è piccola bastano tre persone, se è grande aumenta progressivamente il numero dei marinai. Da diversi anni ormai per un mese all’anno è previsto il fermo biologico, cioè il blocco della pesca. Da un lato ciò è positivo perché fermando la pesca i pesci hanno occasione di riprodursi, i pescatori possono riposarsi e si possono fare dei lavori di manutenzione ai pescherecci. Da un altro però c’è il lato negativo che i pescatori devono stare un mese senza guadagno.

NEGLI ULTIMI anni la pesca è molto cambiata, prima il lavoro era tutto manuale, oggi sono presenti strumenti elettronici che hanno automatizzato alcuni passaggi rendendo meno pesante il lavoro, ma hanno anche portato la diminuzione dei marinai. Oggi ai giovani santostefanesi non piace fare questo lavoro perché richiede molto sacrificio, alzarsi la notte e uscire in mare anche con vento e freddo. Il lavoro del pescatore è molto pericoloso e va iniziato quando si è molto giovani per apprendere al meglio le tecniche. La flotta di pescherecci si è progressivamente ridotta soprattutto perché i pescatori anziani sono andati in pensione e non sono stati sostituiti dai giovani, perché oggi di persone che amano questo mestiere ne sono rimaste davvero poche.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Ambrogetti Filippo, Becattini Carlotta, Benicchi Beatrice, Bocchia Alessio, Costanzo Arianna, Cresti Chiara, Ferraro Marco, Fotea Alexandra, Hillebrand Andrea, Maththu-

magala Natasha, Mazzitelli Sebastian, Nuziale Sabrina, Palermo Giovanni, Pareti Federico, Patarca Camilla, Pennisi Ilenia, Santana Michael, Scotto Susanna, Settembrini Noemi, Terramoccia Lara della classe II B della

scuola media «Mazzini» di Porto S.Stefano. L’insegnante tutor è la professoressa Daniela Scotto. Il dirigente scolastico è il professor Giancarlo Stoppa.

INTERVISTA

Se è un hobby tutto diventa più semplice PER NON trascurare alcun settore della pesca abbiamo intervistato Marco Ambrogetti, un grande appassionato di pesca sportiva, che pratica da anni. Ambrogetti, cos’è la pesca sportiva e dove viene praticata?

«La pesca sportiva è uno sport diffuso in tutto il mondo e può essere praticata sia in corsi d’acqua dolce che in mare». Quali sono le principali tecniche?

«Esistono varie tecniche come il No kill, il cacth & relase dove il pesce non viene ucciso ma rilasciato. Esistono inoltre vari tipi di pesca in base ai luoghi nei quali si pratica: dalla superficie (da terra), dall’imbarcazione e in apnea». Lei quale tipo di pesca pratica?

«La pesca che pratico generalmente è quella da imbarcazione e adotto varie tecniche tra le quali anche il nokill, se mi accorgo di aver pescato il giusto. E’ fondamentale anche nei pescatori il rispetto per il mare e le creature che lo abitano». Cosa l’ha spinta a praticare questo sport?

«Io ho iniziato a praticare questo sport per la mia grande passione per il mare. Inoltre avevo il bisogno di occupare il mio tempo libero con un’attività che mi permettesse di stare a stretto contatto con la natura». Pensa che ci siano differenze tra la caccia e la pesca sportiva?

«Credo che fondamentalmente non ci siano differenze. Infatti, così come per la caccia, anche la pesca è regolamentata da leggi che vietano, in determinati periodi, la cattura di alcuni tipi di pesce».

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CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 9 MARZO 2012

Scuola media

Galilei Grosseto

«Avevo un sogno, l’ho realizzato» Gigi Consonni racconta la sua esperienza. «Vorrei allenare i bambini» LA STORIA

Il Grifone compie cento anni IL CALCIO a Grosseto, nasce con l’Unione Ginnico Sportiva Grossetana. A livello ufficiale la squadra, è stata fondata il 9 maggio 1912, ma il primo campionato federale a cui ha partecipato la squadra maremmana è stato quello della stagione 1921–22. Il bianco e rosso sono diventati colori ufficiali nel 1927, fino a quell’anno sono state usate divise bianconere. La squadra maremmana pur avendo un secolo non ha una grandissima tradizione calcistica: infatti la promozione dalla C1 alla serie B è considerato un traguardo storico; questa promozione è stata condotta da Antonello Cuccureddu il 13 maggio 2007, grazie alla vittoria di 1 a 0 contro il Padova. Ci sono stati tre momenti in cui il Grosseto ha sfiorato la serie B: nel 1946-47, nel 1948-49 e nel 2005-06; per diversi motivi tuttavia non è riuscito a conquistarla. II presidente è Piero Camilli, capace di condurre il Grosseto dalla serie D alla serie B in pochissimi anni. Attualmente i biancorossi sono considerati dai tifosi una società modello. Nei campionati giocati in serie C dal Grosseto i biancorossi hanno affrontato due tra le più prestigiose squadre di calcio italiane: il Napoli e la Fiorentina. Il giocatore che ha lasciato un segno indelebile nella storia del Grosseto, è stato Carlo Zecchini. Dopo la sua morte gli è stato intitolato lo Stadio Olimpico Comunale, costruito in occasione dell’evento olimpico di Roma nel 1960.

IN UN SOLEGGIATO pomeriggio di marzo, noi ragazzi della 3C, della scuola Galileo Galilei, abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare il nostro unico ex capitano della squadra del Grosseto: Luigi Consonni. Rompere il ghiaccio è stato semplice, perché Consonni è stato molto disponibile a rispondere alle molte domande proposte da parte di noi tifosi…

anche a me agli inizi, molti ragazzi pensano di essere già ad un livello alto di questa carriera, non sapendo che il calcio richiede impegno costante ed è inutile montarsi la testa». Che cosa ne pensi del doping e del Fair play?

«Penso che sia da immaturi fare uso di sostanze nocive alla salute anche perché ultimamente i calciatori sono molti più controllati rispetto a prima. A proposito del Fair play, credo che debbano essere rispettate le regole del calcio, dello sport in generale».

Hai desiderato fin da piccolo di diventare calciatore?

«Fin dall’età di sei anni il mio sogno era quello di diventare calciatore, infatti, quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, io rispondevo sempre il calciatore. A poco a poco da un gioco è diventata una professione e a soli quattordici anni sono stato convocato a Torino, dalle giovanili della Juventus, quindi fin dall’adolescenza sono dovuto restare lontano dalla mia famiglia». I tuoi genitori come hanno vissuto la tua scelta?

«Naturalmente, come tutti i genitori, è stato difficile staccarsi dal proprio figlio, ma loro mi hanno sempre appoggiato e dato fiducia, pur facendo dei sacrifici. Purtroppo, non ho potuto proseguire gli studi e mi

Che cosa vorresti fare finita la tua carriera da calciatore?

INSIEME Gli studenti della «Galilei» con il loro idolo: Gigi Consonni

sono fermato a soli diciassette anni alla quinta geometri per inseguire il mio grande sogno, anche se non sono riuscito ad arrivare in serie A, che era il mio obiettivo. Ho dovuto quindi fare una scelta fra la scuola e la mia passione anche se ad oggi i miei non digeriscono il fatto che non abbia preso il diploma». Che cosa si prova ad indossare la maglia del Grosseto?

«Per me è una grande soddisfazione, ancor di più quando sono stato capitano ed ho fatto il mio primo goal. Questo mi ha fatto capire quanto siano stati utili i miei sacrifici, è stata davvero un’emozione forte! Mi rende fiero saper di essere un esempio per i giovani, quindi il mio è un ruolo di grande responsabilità. Soprattutto noto che, come è accaduto

«Naturalmente vorrei rimanere nell’ambito del calcio, spero a Grosseto, per allenare i bambini». Come è la tua vita di tutti i giorni?

«La mia vita è come quella di tutti i normali genitori, infatti ho due figli che durante la giornata devo portare a scuola e seguire nelle loro attività. Il mio primo figlio, come me, ha la passione per il calcio e la cosa che più mi emoziona è che quando gli chiedono Qual è il tuo giocatore preferito? Lui risponde: Il mio papà».

ANALISI CHI SI ALLENA TUTELA LA PROPRIA SALUTE. E IL FAIR PLAY INSEGNA TANTE ALTRE COSE

Fare sport fa bene non solo al nostro fisico

ESEMPIO Consonni durante l’intervista rilasciata agli studenti

PER I RAGAZZI lo sport è visto come un momento di svago, in cui la persona si distrae dai problemi quotidiani, ha la possibilità di fare nuove amicizie e di applicare le sue potenzialità. E’diventato sempre più popolare e ciò porta molti ragazzi a praticarlo. La popolarità è dovuta al fatto che in televisione vengono trasmessi sempre più programmi di sport, nei quali vi partecipano campioni, che vengono imitati dai ragazzi. Fare attività sportiva, in età adolescenziale, non solo influisce positivamente sulla crescita e sulla formazione del nostro fisico, ma soprattutto favorisce una serie di processi che in parte possono determinare lo stato di salute della vita adulta. Infatti l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’istituto più autorevole sulla tutela della nostra salute, afferma che malattie come il diabete, l’ipertensione, l’artrosi siano più frequenti in persone che non hanno praticato sport. Capita che tanti ragazzi che prima praticavano sport, smettano nel corso dell’adolescenza, mentre un tempo si tende-

va a continuare l’allenamento sportivo più a lungo. In effetti non esiste un limite d’età per praticare sport. Da piccoli lo sport è vissuto come un gioco a tutti gli effetti, un modo per socializzare, per imparare ad ascoltare, ad osservare le regole e ad avere rispetto per i compagni. Ecco perché la scuola, gli enti, le organizzazioni sportive promuovono e diffondono il concetto del Fair play, un vademecum in cui ritrovare quella correttezza e lealtà che spesso mancano nei rapporti tra le persone. Tra le indicazioni più importanti ci sono il fare di ogni incontro sportivo, indipendentemente dalla posta e dalla importanza della competizione, un momento privilegiato, una specie di festa; rispettare gli avversari come se stessi; accettare le decisioni degli arbitri o dei giudici sportivi; evitare le cattiverie e le aggressioni negli atti, nelle parole o negli scritti; non usare artifici o inganni per ottenere il successo; 7. rimanere degno della vittoria, così come nella sconfitta; essere un vero ambasciatore dello sport, aiutando a far rispettare questi principi.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Bartolucci Cristina, Battaglia Cira, Borca Daniel, Caciagli Francesca, Capitani Giulia, Cappoli Giada, Castiglione Samuel, Cazacu Adriana, Cimmino Gianluca, D’orso

Gianluigi, Danei Roberta, Lanini Eleonora, Lenzi Dario, Madonna Alessia, Marchini Roberto, Morelli Nunzia, Pasquinelli Nicola, Petrangeli Edoardo, Pifferi Tommaso, Rhallab Salma, Rumbullaku Shpetim, To-

gnazzi Valentina, Zanaga Alessio, Zlatov Doina. L’insegnate tutor è la professoressa Lucilla Ulivieri, la dirigente scolastica la dottoressa Paola Brunello.


CAMPIONATO GIORNALISMO

VENERDÌ 9 MARZO 2012

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Scuola media

Vanni Sorano

Clima pazzo? Mai come l’uomo I cambiamenti del tempo spesso sono causati dal nostro comportamento biente e rivendichiamo il nostro diritto a vivere in un mondo sano. Se vogliamo vivere in un ambiente non degradato, dove poter esprimere noi stessi, le nostre capacità, dove costruire il nostro futuro, è necessario che si diffonda una coscienza ecologica che porti tutti a battersi contro ogni forma di inquinamento e ad adottare comportamenti e modi di vita corretti. Certo i luoghi dove noi viviamo sono ancora un paradiso da questo punto di vista, ma questo non ci esonera dalle nostre responsabilità come cittadini di un unico e stesso pianeta.

OGNI GIORNO si discute sul clima, sui vistosi cambiamenti che ci colpiscono a volte anche in modo grave: basti ascoltare i notiziari o sfogliare un quotidiano per renderci conto di quanto la natura a volte sia poco benigna con l’uomo: alluvioni, nevicate eccezionali, siccità… Molte delle cause di questi fenomeni non sono naturali e nella maggior parte dei casi sono da attribuire all’uomo, ai suoi comportamenti poco corretti. Quante volte sentiamo la frase «Non esistono più le mezze stagioni»? In effetti, in questi tempi c’è un po’ di confusione e l’Italia si avvicina sempre più ad un clima tropicale con forti differenze tra Nord, Centro e Sud.

PARALISI La coltre di neve che ha bloccato per giorni il territorio

IL CLIMA sta cambiando, l’uomo «attacca» l’ambiente, così la natura si ribella scatenando un clima un po’ «schizofrenico», si passa dai 20˚ ai 2-3˚C in pochissimo tempo. Una delle principali cause di questo cambiamento è l’effetto-serra. Con questa parola s’intende il riscaldamento degli strati

inferiori dell’atmosfera terrestre, causato dall’assorbimento da parte di alcuni gas della radiazione infrarossa emessa dalla Terra. L’effetto serra riveste un’importanza fondamentale per gli organismi viventi, perché limita la dispersione del calore ma l’immissione nell’atmosfera di elevate quantità

di anidride carbonica e altri gas, potenziano un anomalo aumento della temperatura. Il nostro pianeta è soltanto e solo uno: se lo danneggiamo, se lo distruggiamo, non ce n’è un altro di riserva. OGGI NOI GIOVANI siamo preoccupati per le sorti dell’am-

IL CAMBIAMENTO climatico è una delle più grandi sfide che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi anni: trasporti puliti, consumo efficiente di un’energia meno inquinante, responsabilizzazione delle imprese, gestione del territorio e dell’agricoltura, creazione di un quadro favorevole alla ricerca e all’innovazione sono solo alcuni delle misure che si dovranno adottare.

RICORDI I RACCONTI DI CHI HA VISSUTO LA BUFERA DEL 1956. E I MEZZI PER DIFENDERSI ERANO SCARSI

Quando Mirella si svegliò con la neve in casa

PISTE O STRADE? Cumuli di neve nelle vie del nostro paese

DOPO LE NEVICATE abbondantissime di questo inverno è stato inevitabile per i nostri nonni fare il confronto con quella storica nevicata del 1956. Tutti gli anziani hanno riportato alla memoria quel fatidico febbraio in cui la neve aveva sommerso in pratica tutta la penisola e per tre settimane l’ondata di gelo aveva paralizzato tutto e tutti. E così ci siamo fatti raccontare dai nostri nonni le loro storie sulla neve. A dire il vero nei loro racconti c’è un che di epico in cui lo straordinario si mescola all’ordinario. Molti ricordano di essersi svegliati avvolti da un gran silenzio e di aver visto la campagna ricoperta da un manto bianco abbagliante. La signora Mirella viveva con la sua famiglia in un grande casale in campagna. La sua camera aveva il tetto mal ridotto e sul soffitto c’era un buco. La mattina del 2 febbraio del 1956 accanto al suo letto si era formato un cumulo di neve che arrivava fino al comodino e al suo risveglio quella fu la sorpresa. Con quella neve immacolata, dopo averla sciolta al calore del fuoco dentro un paiolo, sua madre cucinò la pasta. I tanti candelozzi

di gelo che pendevano dall’alto, furono i gelati da succhiare con lo zucchero e il vino. Altri improvvisavano slittini ricavandoli dalle doghe di una botte e tutti i bambini facevano a turno a spingersi su quei trabiccoli. Le donne non uscivano come tutti i giorni con la gonna, ma usavano i vecchi «giubbotti» e i calzoni dei fratelli o dei loro padri. I doposci erano invece poco efficaci, infatti, erano un paio di calze di lana infilate sopra le scarpe. Nessuna giacca impermeabile o salopette e infatti spesso venivano i geloni in tutto il corpo! Molti erano i disagi: per scaldarsi, per cucinare si usava la legna quindi bisognava arrangiarsi e spesso soffrire freddo e fame. Per non parlare delle strade che dovevano essere liberata con le pale; il sale grezzo non esisteva e nessuno si sarebbe mai sognato di tirare per le strade il sale da cucina che costava un bel po’. La neve persisteva per molti giorni e per liberare il paese dalla neve ci volle il lavoro instancabile di tutti. Buoi e cavalli circolavano per il paese trainando contenitori di neve.

LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti Baldelli T., Benicchi F., Biondi, Campanile, Capoccia, Ciccarella L., El Hichami S e Y, Ennached, Foschini, Giulietti D., Goscilo, Guerrini, Hiraldo M.L. e A., Mameli C. P., Napolitano, Pampanini, Serra N., Artibani G., Baldel-

li I., Bianchi, Cappelletti D., Corbianco, Crociani A., De Angelis D. e T., Dominici G. e S., Fioravanti, Giulietti V., Mazzuoli, Pacini, Papini, Pompili, Radiconi, Sulo, Tulli, Artibani A., Benicchi C. e M., Boggi, Camilli, Cappelletti D., Censini, Ciccarella, Cintio, Crociani,

Franci, Giuliani, Gubernari, Moufkir K. e Y., Pelosi, Petri, Pichini, Porri, Ronca, Santarelli, Scalabrelli, Serra. I docenti tutor sono i professori Giuliana Silvestri, Mariella Pacchiarotti, Fabrizio Nai. La dirigente scolastica la professoressa Nunziata Squitieri.

ESPERIENZA

Tanti disagi Ma che bella vacanza! L’ONDATA di maltempo, ampiamente preannunciata da tutti i servizi metereologici, si è abbattuta nel mese di febbraio sull’Italia e non ha risparmiato neanche le zone di Sorano e Pitigliano. 24 ore di un’abbondante nevicata, che per lunghi tratti si è trasformata in una e vera bufera, lasciando alti accumuli di neve e causando molti disagi, specialmente per la circolazione, perché avendo a disposizione pochi mezzi adeguati ed essendo il nostro territorio una vasta aria, ci sono sati molti problemi soprattutto per chi doveva recarsi a lavoro. In alcuni punti, complice il vento, il manto nevoso ha superato il metro di altezza e ha creato difficoltà nel mettere in collegamento Sorano con altri Comuni, con le sue numerose frazioni e con le innumerevoli case poderali che sono rimaste anche per giorni irraggiungibili. Chi aveva il trattore si è arrangiato come poteva, ma alcuni contadini hanno perduto capi di bestiame a causa del cedimento del tetto delle stalle; altre famiglie come quella di Federico sono rimaste ad aspettare per giorni di essere liberate dai soccorsi locali, perché non sempre questi ultimi sono potuti partire per svolgere il loro lavoro, come racconta il babbo di Patrick e Catherine che in caso di emergenze come queste guida i mezzi del Pronto soccorso. Ci sono stati problemi idrici ed elettrici: molti tubi dell’acqua si sono congelati e molti contatori sono stati danneggiati facendo rimanere paesi interi senza acqua e senza luce. Subito il sindaco, Pierandrea Vanni, si è reso conto che l’emergenza non poteva essere affrontata con le sole forze interne. La sua richiesta di aiuto ha fatto arrivare tante persone che hanno trovato alloggio nei locali della nostra scuola: Protezione Civile di Lucca, di Firenze, Vigili del Fuoco, di Grosseto, Militari dell’Esercito italiano. Con il loro prezioso lavoro siamo piano piano tornati alla normalità. Ma un aspetto positivo, per noi, c’è stato: una lunga vacanza da scuola!

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