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10 CAMPIONATO GIORNALISMO
MARTEDÌ 31 GENNAIO 2012
Scuola media
«S. Francesco» Soliera
La via del Cerreto si racconta Sentiero, mulattiera, percorso militare-ducale e ora statale: una bella carriera — SOLIERA —
PROTESTE
La strada «sorella» si lamenta — SOLIERA —
MI PRESENTO: sono la sorella della statale 63. Insieme formavamo la strada militare del Cerreto completata nel 1831, ma poi ci hanno separate. Nel 2001 lo Stato mi ha «ceduto» alla Regione Toscana, che ha trasferito alla Provincia di Massa e Carrara la mia gestione. Ora mi chiamo ufficialmente Strada Provinciale 72 di Fosdinovo, anche se su certi cartelli si legge ancora «Statale 446». Inizio al passaggio a livello a Soliera dall’innesto sulla Statale 63 del Cerreto e finisco a Caniparola dove mi immetto nell´Aurelia. ATTRAVERSO i paesi di Ceserano, parte di San Terenzo, Tendola, Fosdinovo e Caniparola. Oltre che dagli abitanti di questi paesi sono percorsa da numerosi pendolari diretti a Carrara o sulla costa. Negli ultimi anni mi sento molto maltrattata: chi mi percorre, specialmente nel tratto da Soliera a Fosdinovo, è costretto a un percorso ad ostacoli per evitare buchi e rattoppi nell´asfalto; in due punti vicino al paese di Tendola il mio fondo ha ceduto e nessuno ancora è intervenuto! Nella bella stagione la vegetazione cresce tanto che in certi punti invade la carreggiata e ostacola la visuale. Quando e se passano a pulire, e non dappertutto, è già metà agosto. Sono sempre più convinta che rispetto a mia «sorella», la statale 63 del Cerreto, io sono trattata come Cenerentola. È vero: sono meno trafficata di lei, ho molte curve e tornanti, attraverso paesi poco abitati, ma ho diritto anch’io a una manutenzione più accurata!
GIÁ i Liguri mi percorrevano quando non ero che un sentiero battuto per passare dal Tirreno alla Pianura Padana. Con i Romani diventai una strada da Luni all´Emilia. Nel Medioevo pellegrini e soldati preferirono a me la via della Cisa. In seguito perdemmo entrambe importanza perché attraversavamo una Lunigiana divisa e debole economicamente. Nel Settecento fu tracciata la «Spolverina», una mulattiera che da Carrara attraverso Castelpoggio, Fosdinovo e Ceserano arrivava a Soliera e si univa a me che portavo al Cerreto e che diventai sempre più trafficata dai muli. Un nuovo colpo per me fu l’apertura della Pistoia-Modena. I governanti, preoccupati per il calo dei traffici, fecero studiare una strada «barrocciabile» da Reggio Emilia al mare via Cerreto, Fivizzano e Fosdinovo. Il primo sopralluogo notò che dal passo «si discende malagevolmente fino a Sassalbo e da qui dopo 5 miglia fino Fivizzano di cui 4 da poco costruite con dolci direzioni e quasi carreggiabili se vi fos-
VIABILITA’ L’itinerario della strada statale 63 visto dagli alunni
se maggior larghezza». I fivizzanesi speravano nel benessere che avrei portato, ma il progetto del 1800 rimase nel cassetto. DOPO il Congresso di Vienna serviva una strada miltare per difendersi da eventuali attacchi francesi. I sovrani di Parma, Modena e Toscana discussero molto
su quale strada rafforzare, Cisa o Cerreto. Fui scelta io, la strada del Cerreto: giá tracciata e in gran parte costruita ma da allargare, rendere meno ripida, riparare per farvi passare i carri dell´artiglieria. Nel versante toscano fino a Fivizzano ero «sassosa ristretta e lavinata»; fino al confine di Ceserano ero stretta ma transitabile, fino a Ca-
niparola in gran parte ottima. Nel progetto del 1829 dovevo essere larga 5 metri tranne nei borghi. Al confine i sassalbini protestarono subito per i loro pascoli e mi bloccarono. Furono chiesti i danni causati a case e terreni sul mio percorso. Inoltre i soldati sul confine disturbavano i contrabbandieri. Però crescevano le domande per aprire locande per i viaggiatori. Il duca di Modena impose come termine del tratto fra Reggio e Fosdinovo il 1831. Fra l´altro ordinò di attraversare Tendola «atterrando una casa» e di girare sotto le mura di Fosdinovo. Nel 1833 apparivo «assai comoda per le ruote». Con l’unitá d`Italia divenni strada d’interesse nazionale, fui separata dal tratto per Fosdinovo ed ebbi un numero, il 23 diventato poi 38 e poi 63. Per rendermi più agevole fu tracciata la rettifica da Aulla a Fivizzano, terminata solo dopo la I guerra mondiale. Dal 1943 al 1945 i Tedeschi mi usarono per controllare il territorio e per ritirarsi. Fui asfaltata solo nel dopoguerra, mentre il piú recente grande intervento, la rettifica vicino Fivizzano, risale a pochi anni fa.
VIABILITA’ IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO DECIDERA’ IL BRACCIO DI FERRO TRA ABITANTI E «BESTIONI»
Provinciale 72 e camion del marmo: guerra finita? — SOLIERA —
DANNI La provinciale 72 è rovinata dai tir pieni di marmo
PASSAVANO anche sessanta camion al giorno lungo la provinciale 72. Provenivano dalle cave di marmo di Campocecina e trasportavono pezzi di marmo da sbriciolare. Attraversavano i paesi di Tendola, San Terenzo e Ceserano e poi continuavano il loro percorso lungo la statale del Cerreto fino ad Aulla e da lì proseguivano per Santo Stefano. Viaggiare sulla provinciale 72, stretta e tortuosa, era diventata un’avventura: dietro ogni curva potevi incontrare uno o più «bestioni»; sorpassarli era un’impresa; ben presto il fondo stradale ha cominciato a rovinarsi, in qualche punto la strada ha ceduto e la Provincia di Massa Carrara non interveniva prontamente a sistemare i danni. Dappertutto sentivi lamentele e brontolii. Soprattutto nel paese di Tendola il disagio era fortissimo: per capire
il perché basta farci un salto e misurare le dimensioni della strada che attraversa il borgo. Le proteste si sono moltiplicate: riunioni, lettere ai giornali, striscioni, manifestazioni, iniziative particolari, come il passaggio continuo di persone sulle strisce pedonali per impedire/rallentare il transito ai camion. Dopo anni di lotte e trattative, il sindaco di Fosdinovo nel 2011 ha vietato il transito ai camion oltre le 25 tonnellate nel territorio del suo Comune, per salvaguardare l’incolumità dei suoi cittadini. I camion ora non passano più, ma la Provincia ha fatto ricorso al Tar contro l’ordinanza e si attende la sentenza. Da una parte gli interessi degli imprenditori del marmo, dei cavatori, dei camionisti, dall’altra il disagio di molti cittadini. Servono percorsi alternativi sensati e un impegno della Provincia a garantire i diritti di tutti. Come finirà?
LA REDAZIONE ECCO gli alunni della scuola media San Francesco» di Soliera che hanno redatto la pagina. Sono Baez Kevin, Bernardini Nicola, Bianchi Gabriele, Boriassi Rebecca, Ceragioli Lorenzo, Clementi Virginia, Cuo-
mo Peter, Esposito Emanuela, Formai Emma, Frandi Davide, Franchini Giulia, Gabrielli Alessio, Laksikis Anna, Mandorlini Elisa, Paita Marco, Pea Stefano, Romei Francesco, Serafini Noemi, Vallisneri Ali-
ce, Varanini Sacha, Vincenzi Elia. I docenti «tutor» sono i professori Patrizia Chinca e Giulia D’Errico. Il dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo che comprende la «San Francesco» è Angelo Ferdani.
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MARTEDÌ 31 GENNAIO 2012
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Scuola media
Alfieri-Bertagnini Massa
Alla ricerca del Pomario perduto Viaggio nella storia dell’antico giardino ducale. Un patrimonio da salvare quell’arco, oggi sfortunatamente in rovina, si apriva un affascinante giardino rinascimentale, coltivato a pomi, con nicchie decorate con statue, fontane, arbusti sempreverdi di leccio, bosso, tasso, recisi in modo geometrico. Lo rendeva ancora più suggestivo la presenza, pare, di animali selvatici, come orsi e lupi.
— MASSA —
LA SCHEDA
Degrado e abbandono tra i limoni — MASSA —
IL GIALLO dei limoni, che svetta da qualche angolo nascosto, è l’unica nota di colore che sorprende chi si avvicini oggi al Pomario. Per il resto, domina il colore dell’abbandono nelle scure distese di rovi e di altre piante selvatiche, dei muri diroccati, degli edifici sventrati, delle crepe, diventate discariche per bottigliette e giornali. L’arco di Camporimaldo si erge, solitario, in uno stato di massimo degrado. Nella parte interna, mostra evidenti segni di danneggiamento dovuti al passaggio dei mezzi di trasporto pesanti, che fino a poco tempo fa vi passavano sotto. OGGI il Pomario appartiene a una società chiamata Pomario s.a.s., che fa da intermediario fra il comune di Massa e i vecchi proprietari.Per recuperare l’area, è stato elaborato un piano regionale, il Piuss, che sarebbe dovuto partire lo scorso maggio, ma è ancora fermo. A spese di Regione (60%) e del Comune (40%), si prevede la cementificazione di una parte dell’area per realizzarne un parcheggio e, nella parte restante, la nascita di un “Parco pubblico del Pomario”. “Italia Nostra” si batte da tempo contro tale piano, opponendosi a qualsiasi intervento di cementificazione dell’area. In attesa che si intervenga il prima possibile per salvare il Pomario, ci auguriamo che venga data la giusta rivalutazione a quest’area verde, perché fa parte della nostra storia e di noi stessi e riguarda dunque il nostro futuro.
“GODI se il vento che entra nel Pomario vi rimena l’ondata della vita”. Sarebbe bello se questi versi di Montale potessero riferirsi a ciò che oggi rimane del Pomario di Massa. Purtroppo, un’enorme distesa di rovi è ciò che resta ai giorni nostri di quella zona. Poche le fonti che ne ricostruiscono la storia, tra cui quelle catalogate da Stefano Giampaoli (1920-1985), l’instancabile esploratore degli archivi di stato, che ha riportato alla luce dei disegni di Giusto Utens che rappresentavano il giardino ducale nel suo antico aspetto. Il Pomario fu costruito nel 1557 per volere del marchese Alberico I, che “fece di questo terreno incolto un giardino amenissimo”, come diceva una vecchia epigrafe ormai cancellata. Sorse contemporaneamente alla nascita di Massa Cybea e fu situato in un’area di circa 11660 mq, tra le attuali vie Venturini, Giampaoli, Palestro e Camporimaldo. Concepito come luogo di meditazione del marchese fuori dalla città e come orto ducale, ebbe inizial-
RECUPERO Nella vignetta degli alunni l’arco ristrutturato
mente una pianta quadrata, circondata da mura, con torrette ad ogni angolo e vialetti interni che formavano una struttura a otto punte. LA PORTA di accesso era costituita dall’arco di Camporimaldo, che si affaccia su via Palestro. Unico arco in marmo della nostra cit-
tà, a differenza di altri in muratura, come quello della Martana e del Salvatore, non ha una funzione di protezione, ma di abbellimento. Ai suoi lati troviamo Virtumno, conosciuto come “Pasquino”, dio etrusco delle piante arboree e Pomona, chiamata anche “Pasquina”, dea etrusca dei frutti, simbolo dell’abbondanza. Dietro
GRAZIE al microclima tipico della zona, mitigata dal mare e riparata dai venti freddi del nord dalle mura e dalle montagne, nel Pomario si coltivavano diverse tipologie di agrumi, disposte in filari geometrici. Alcune piante venivano poi trapiantate nelle ville di proprietà dei Malaspina, attestando un utilizzo del Pomario anche in funzione di vivaio. Nel Settecento il principe Carlo I ne ordinò l’ampliamento, come riportava la scritta sull’arco, poi cancellata dalla Repubblica Cisalpina nel 1797. In quegli anni la struttura assunse una forma rettangolare, mentre l’arco fu spostato verso mare, dove è oggi. Rimane un mistero come poi questo splendido giardino tra Ottocento e Novecento andò in rovina.
L’ESPERTO INTERESSANTE PROPOSTA ELABORATA NELLA TESI DI LAUREA DAL DOTTOR ANTONELLO ANDRIANI
Recuperiamo l’area, ecco le istruzioni per l’uso — MASSA —
POMARIO Occorrono interventi per l’area nel degrado
IL DOTTOR Antonello Andriani, laureato in Agraria presso l’Università di Pisa, ha tenuto recentemente due lezioni sul Pomario presso la scuola media Alfieri Bertagnini di Massa, proponendo un progetto di riqualificazione di quest’area verde già elaborato in sede di tesi di laurea. Le sue proposte prevedono innanzitutto la ricostruzione, in un terzo circa di tutta l’area, del vecchio giardino albericiano, racchiuso da muretti a secco e dotato dell’antica pianta a otto punte con vialetti in ghiaia, lungo cui verrebbero collocati arbusti autoctoni recisi in modo geometrico e alcune varietà di agrumi tipiche di Massa. Poi la sistemazione dell’area restante, con piante locali, palme ed alberi che necessitano di poca manutenzione e non richiederebbero dispendi di denaro all’amministrazione co-
munale. Propone inoltre la ricollocazione più a monte dell’Arco di Camporimaldo, all’inizio di Via Pomario, nella sua sede cinquecentesca: oltre a dare un aiuto alla viabilità, la nuova sistemazione dell’arco di Pasquino e Pasquina all’ingresso del giardino storico renderebbe il Pomario più affascinante. L’esperto ritiene importante la valorizzazione delle strade limitrofe all’area, trapiantando agrumi di vario genere, anche lungo Via Pomario, e il rinvenimento di aree alternative per il parcheggio delle auto, come quella adiacente lato mare alla scuola media Alfieri Bertagnini. Infine propone il restauro dell’antico edificio a nord-ovest del Pomario, per farne un archivio storico degli strumenti e delle coltivazioni albericiane. Con il recupero di tutta l’area, si otterrebbe anche un anello importante del percorso che collega tutte le zone antiche della città.
LA REDAZIONE ECCO i cronisti in erba della classe 2˚A della scuola media dell’istituto Alfieri Bertagnini: Adam Dorinel Jonut, Elena Andriani, Gabriella Andriani, Andrea Barotti, Viola Bazzardi, Giulia Bonni, Michele Bordigo-
ni, Enrico Borzoni, Lorenzo Calevro, Valentina Credendino, Letizia Cristofani, Nicolò Dell’Amico, Costanza Flora, Maria Ginzburg, Anna Giorgeri, Alessio Giorgieri, Andrea Lazzarotti, Gabriele Lazzarotti,
Gianluca Ortori, Gianmaria Ricci, Yasmine Sbai, Afrim Veliu, Chiara Zaccaria, Natalien Flores Flores. Dirigente scolastico: Walter Fiani. Docente tutor: Sara Bisanti
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CAMPIONATO GIORNALISMO
VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2012
Scuola media
«G.Galilei» Monzone
Moda: originali o fotocopie? Gli adolescenti riflettono sull’abbigliamento: autoritratto ironico e frizzante — MONZONE —
CONFRONTI
Un consiglio dal passato: no allo spreco —MONZONE —
LE VECCHIE generazioni, i nostri bisnonni, alla nostra età non avevano la scelta di abiti che abbiamo noi: erano fieri del vestito nuovo, lo tenevano con cura. Invece adesso quando un capo si rompe, si macchia o passa di moda, noi andiamo a comprarne uno nuovo. Una volta possedevano solo due vestiti, uno per le feste e uno da lavoro. Gli abiti passavano da un figlio a un altro e non importava che si trattasse di un maschio o di una femmina. E in famiglia allora si era in tanti! Voltati e rivoltati, stretti o allargati, i vestiti “vivevano” fino a quando non erano consunti. Ora quando uno si stufa, li butta. Raramente si comprava un abito, di solito si cuciva in casa o si produceva con la lana. Molti erano fatti da nonne o da mamme, perché non c’erano tanti soldi. Spesso la lana era ricavata da pecore o capre che si allevavano nel proprio campo: si facevano a mano calze, maglioni, sciarpe e cappelli per l’inverno. Una tempo avevano due paia di scarpe, uno per tutti i giorni e l’altro per le occasioni importanti. Si indossavano anche zoccoli di legno che potevano durare anni e anni e che venivano fabbricati dai calzolai che abitavano vicino. E a volte si applicava una suola in lamiera, in modo che non si consumassero. In tempo di guerra poi, si ricavavano abiti addirittura dalla stoffa dei paracadute degli americani e con le corde si ottenevano delle canottiere lavorate ai ferri. I pantaloni spesso erano rammendati e pieni di toppe. A quel tempo ci si arrangiava! Oggi invece … si compra, si compra, si compra!
OGNUNO di noi prima di uscire si dà un’occhiata allo specchio, per vedere se è a posto, se è alla moda. Ma che cosa vuol dire essere alla moda? Secondo alcuni attraverso la moda, ogni generazione ha voluto differenziarsi da quella precedente, secondo altri è uno strumento per esprimere la personalità. Alcuni sostengono che c’è sempre stata la tendenza a seguire le mode, ma ciò negli ultimi anni è molto aumentato, anche per l’influenza della pubblicità. Molti di noi giurano che non è importante indossare “grandi marche”, basta che gli abiti siano carini e comodi. Anche se si crede di essere tutti diversi, ognuno vuole appartenere un po’ al “branco” e allora portiamo le stesse scarpe, gli stessi jeans a vita bassa. Che vuol dire questo? Se non ci si mette la divisa del gruppo si è esclusi? Non proprio, ma alla nostra età è importante essere accettati: ci si costruisce un’immagine di sé basata anche sui gusti del gruppo, ci si specchia negli altri e così ci si sente al riparo. La prima cosa che salta all’occhio entrando nella nostra classe, è che ragazzi e ragazze vesto-
LOOK Il ’branco’ (disegno di Leonardo Cappelli e Leonardo Duranti)
no in modo simile e non è poi così vero che non diamo importanza ai capi firmati. I maschi indossano tshirt con scritte e disegni che sembrano cartelli pubblicitari. Le felpe, con il cappuccio, sono extra large e arrivano fino alle cosce; i jeans possono essere di tre taglie più larghe, con il cavallo al ginocchio, oppure attillati, che non si riesce qua-
si a camminare. Dicono che sono comodi, ma spesso si vede qualche faccia sofferente! Sono a vita bassissima, dalla quale spunta biancheria intima con bizzarre fantasie: gatti, frutti, cani, teschi, cervelli, numeri, scritte spiritose. Molti indossano magliette così strette che sembrano omini Michelin; portano scarpe con stringhe di colori diversi, ma ri-
gorosamente slacciate, in modo che il piede navighi: La linguetta deve essere in vista, per far vedere l’etichetta e quindi la marca. Hanno un’andatura rilassata, come rapper, oppure camminano a passi piccoli perché i pantaloni non permettono di più. Le capigliature sono opere d’arte: spesso i capelli, impastati di gel, sono rasati ai lati e più lunghi al centro, sparati in su, dritti come aculei. Le femmine sfoggiano felpe coloratissime, magliette con scritte appariscenti e disegni. Non portano mai le gonne, capo d’abbigliamento considerato ridicolo, ma jeans strappati, con brillantini. Calzano con eleganza le scarpe da tennis. Sono all’ultimo grido le sciarpe, che danno un tocco raffinato; le portano come se avessero sempre mal di gola: a quadretti, a pois, alcune così vaporose da sembrare zucchero filato. Lo smalto alle unghie è un’esplosione di colori. I capelli sono lisci, sciolti, con qualche ciocca dai colori intensi, o raccolti, con mollette, nastri, elastici. Portano ai polsi tanti braccialetti colorati e vistosi orecchini così lunghi che sfiorano le spalle; le cinture, borchiate e chiuse da una fibbia imponente sono appoggiate sui fianchi.
MODA LE ETICHETTE CI RIVELANO: GLI ABITI CHE INDOSSIAMO SONO GRANDI VIAGGIATORI
Il mondo «nascosto» nel nostro armadio — MONZONE —
Da dove vengono i nostri vestiti? (disegno di Martina Francini)
A SCUOLA parlando di un incidente in una fabbrica tessile a Barletta, uno di noi ci ha fatto notare che la sua maglietta era stata prodotta proprio lì; così, spinti dalla curiosità, tornando a casa abbiamo messo a soqquadro gli armadi tirando fuori abiti su abiti, jeans, magliette, scarpe, piumini, per leggerne l’etichetta e scoprire la loro provenienza. Non avremmo mai pensato che tanti prodotti anche di marche italiane fossero fabbricati in paesi stranieri. Su molti abiti poi c’è scritto “made in Italy”, ma abbiamo scoperto che essi possono essere cuciti in qualsiasi paese del mondo; poi, trasportati in Italia, vengono rifiniti e etichettati come prodotti italiani. Siamo rimasti stupiti che moltissimi vestiti vengano da lontano: Turchia, Vietnam, Bangladesh, Indonesia, Pakistan, Cina. E’ in questi paesi che spesso le grandi marche, che noi conosciamo e spesso indossiamo, delocalizzano, cioè spostano le loro sedi di produzione in zone
economicamente più favorevoli. E’ qui che le loro industrie di jeans, scarpe, magliette, articoli sportivi fabbricano prodotti destinati al mercato dei paesi industrializzati. Le aziende occidentali possono trovare manodopera a basso costo, in assenza di controlli, di sanzioni, di tutela del lavoratori. Dietro i nostri abiti si può nascondere anche il lavoro minorile: in varie parti dei paesi poveri, milioni di bambini, che lavorano in luoghi malsani per molte ore al giorno, sono privati della loro infanzia, del diritto di giocare e di andare a scuola, e restano quindi nell’ignoranza e nella povertà. Non so quanti di noi pensano che quei capi d’abbigliamento potrebbero essere stati fatti da nostri coetanei. Loro lavorano e noi ci compriamo l’ennesimo paio di scarpe che nemmeno ci serve, ma ci fa sentire tanto alla moda, salvo poi scoprire che quel capo è stato realizzato sfruttando il lavoro di un ragazzo che non avrà mai il piacere di indossarlo.
LA REDAZIONE LA pagina è stata realizzata dagli studenti della classe III C della Scuola Media “G. Galilei” di Monzone: Marco Andrei, Katherine Barbieri Bertilorenzi, Gabriele Battaglia, Gabriele Battaglia*, Letizia Bini, Leo-
nardo Cappelli, Sofia Cecchini, Leonardo Duranti, Thomas Duranti, Simone Ferrari, Hichame Fouhamy, Martina Francini, Eleonore Krisa, Yuri Morelli, Maria Consiglia Mormile, Nicolò Nanna, Giacomo Rossetti,
Tommaso Rossetti, Greta Sisti, Daniele Stopar. L’attività è stata guidata dall’ insegnante Maria Cristina De Gregorio; il dirigente scolastico è il professor Angelo Ferdani.
CAMPIONATO GIORNALISMO
VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2012
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Scuola media
«Taliercio» Carrara
Uno zio, un capo, un grande uomo La storia di Giuseppe Taliercio raccontata dalla nipote professoressa — CARRARA —
ABBIAMO intervistato la professoressa Cappè, una delle nostre insegnanti, nonché nipote di Giuseppe Taliercio; ci ha fatto commuovere parlandoci di lui proprio come si parla di uno zio. «Amava fare! Un giocherellone, simpatico e con un soprannome degno delle sue caratteristiche: Pinuccio. Lo zio Pinuccio era lo zio più giovane, stava sempre con noi, i suoi nipoti e, quando d’estate veniva in vacanza a Marina, ricordo che andavamo al mare tutti insieme, al bagno Sirena. Raccontava tante barzellette ed era lo zio che giocava di più con noi: costruivamo castelli, vulcani e razzetti, con lui era divertente tutto!».
INDIMENTICATO Il monumento a Taliercio a Marina di Carrara
«NATO a Marina di Carrara, era il più giovane dei suoi fratelli; la mamma di “zio Pinuccio”, cioè la nonna, aveva fatto solo la seconda elementare ed era rimasta vedova molto giovane e con quattro figli piccoli; aveva trasmesso loro l’importanza della scuola e dello studio per poter affermarsi nella vita e zio Pinuccio ci riuscì: frequentò
il liceo scientifico e poi si laureò in ingegneria, all’università di Pisa, fino a diventare direttore del Petrolchimico di Porto Marghera. Sposò Gabriella, la zia “Lella”, e con lei si stabilì a Mestre. Dal matrimonio nacquero cinque figli». Fu rapito il 20 maggio 1981 dalla Brigate Rosse. L’unica sua colpa fu quella di trovarsi a capo
della direzione del Petrolchimico. Era domenica quando arrivò la notizia alla nipote: «Non mi sembrava che dovesse succedere proprio alla nostra famiglia. Speravamo in una trattativa ma, niente da fare, eravamo convinti che l’avessero sequestrato per un riscatto, ma non fu così. Mia madre e la zia si recarono a “Tele Tosca-
na Nord”, una nota tivvù privata, per un appello: eravamo disposti a tutto per riavere indietro zio Pinuccio ma, dopo 46 giorni di prigionia, lo uccisero. Il corpo fu ritrovato il 5 Luglio 1981. Ricordo la frase che pronunciò mia mamma: ‘Tutto è compiuto’». Per concludere l’intervista, la ‘prof’ ci ha raccontato alcuni episodi della vita dello zio: «Durante la seconda guerra mondiale, Marina era stata “sfollata”, allora Pinuccio, i fratelli e la madre si erano trasferiti a Colonnata. Quando arrivarono, i tedeschi separavano le donne, che venivano salvate, dagli uomini, che invece venivano portati in Germania. Per proteggere suo figlio, la zia lo travestì da donna. In questo modo Pinuccio si salvò, al contrario di un suo amico sedicenne, che fu portato a Berlino e da cui si ricevette soltanto una cartolina, ma poi non se ne seppe più nulla. Aveva molte capacità, era intelligente e i valori in cui credeva erano: la provvidenza, la solidarietà, la cultura, la scienza, la famiglia. Tutti noi desideravamo che il suo ricordo rimanesse vivo».
LA TESTIMONIANZA L’ASSOCIAZIONE SAN VINCENZO DE PAOLI AIUTA CHI NE HA PIU’ BISOGNO
«I poveri sono i nostri padroni, ogni sorriso un gol» — CARRARA —
LA MANIFESTAZIONE Note di solidarietà
TALIERCIO amava fare ma non solo per sé, per lui non esisteva soltanto un ‘io’ ma anche un ‘voi’, un ‘te’, un ‘loro’; era un attivo volontario della San Vincenzo. Dopo l’intervista con la professoressa Cappé, abbiamo ascoltato il signor Mazzoni, presidente della S.Vincenzo de’Paoli. L’associazione, dedicata all’opera di S. Vincenzo de’ Paoli, ha il compito di unire la preghiera all’azione. Il suo intento è di rendere ognuno autosufficiente, e di dare a ciascuno la giusta dignità. E’ una grande famiglia, nata nel 1600, ed agisce capillarmente anche a livello internazionale. «I poveri sono i nostri padroni», così ha commentato il presidente, spiegando
che l’associazione aiuta gratuitamente chi si trova in difficoltà. Solidarietà è la parola fondamentale: uguaglianza tra chi dà e chi riceve. Lo scopo di tutti coloro che aderiscono alla S. Vincenzo è rendere autonoma ogni persona, tramite la solidarietà. Gli occhi di Mazzoni si illuminano mentre descrive il lavoro di tutta una vita. «Cosa prova ad aiutare le persone?»chiede un alunno; lui lo guarda e sorride: «Mi sento come te quando la tua squadra fa goal». Il presidente si mostra gentile con tutti e continua sottolineando: «Non veniamo pagati, questo non è un lavoro, ma uno stile di vita». «La nostra paga è il sorriso della persona aiutata», afferma sereno, poi ci saluta ripetendo: «I poveri sono i nostri padroni!».
LA REDAZIONE Ecco i cronisti in erba della Taliercio: Federica Albani, Monica Bianchi, Michael Biscetti, Isabella Bogazzi, Perla Borghini, Sara Bottari, Brian Brozzo, Giacomo Camilli, Goran Ceccopieri, Joshua Chiarotti, Njcole Diamanti, Teresa Giannarelli, Gianmarco Giovanelli, Matteo Iardella, Eleonora Luna Iovino, Robert Espertin, Daniele Pieroni, Elisabetta Marrucci, Rebecca Moretti, Gianmarco Moretto, Costanza Morotti, Adriana Nistor, Arianna Santini, Caroli-
na Torri, Benedetta Vassallo, Giacomo Andrei, Giorgia Badano, Gabriele Bassi, Andrea Beghè, Sonny Bruzzi, Elena Calevro, Nocolò Coppedè, Noemi, Danesi, Lorenzo Domenichelli, Irene Donnini, Rebecca Fedele, Filippo Grassi, Simona Lieto, Stefano Lo Cicero, Valentina Pedrelli, Gabriele Pezzica, Alessia Piolati, Alessio Raffo, Matteo Ricci, Leonardo Stangoni, Diana Tarasenko, Lorenzo Tonazzini, Robin Vatteroni, Beatrice Venè, Andrea Villano, Alessia
Andrei, Daniele Barattini, Martina Bottici, Matteo Ciampi, Evelina Devoti, Denisa Doda, Federica Donnini, Sara Lorenzini, Chantal Manfredi, Alessio Marciasi, Gaia Marrucci, Emanuela Mustone, Francesca Panizzi, Carlotta Piaggio, Carolina Poggi, Andrei, Stahiie Ioan, Caterina Viaggi. I docenti sono Erica Biglioli, Francesca Costa, Rita Tonarelli, Maria Raffaella Ratti. Dirigente: professoressa Mirella Cocchi.
RIFLESSIONE
Seguiamo le orme di ‘Pinuccio’ — CARRARA —
IN RICORDO di Taliercio è stata eretta una statua a Marina di Carrara, nell’omonimo largo a lui intitolato, in località Paradiso; nel marmo sono scolpiti dei fori, segno delle pallottole che lo uccisero. Portano il suo nome anche la biblioteca del liceo scientifico Marconi di Carrara, il Palasport di Mestre e un’aula dell’università di Padova. Già dal 1982 la nostra scuola è stata intitolata a lui, per ricordare la figura di un uomo che costituisce, soprattutto ai nostri giorni, un modello per i valori che rappresenta. Tra questi emergono la cultura e la solidarietà, ideali che lui ha perseguito per tutta la vita e che noi alunni ci impegniamo a coltivare, seguendo le sue orme. Non sono rare tra noi, compagni di scuola, situazioni in cui ci si aiuta gli uni con gli altri e questa disponibilità si esplica anche al di fuori del nostro ambito scolastico. Recentemente ci è sembrato naturale intervenire a sostegno della popolazione della Lunigiana colpita dall’alluvione, in particolare contribuendo alla ricostruzione della scuola di Aulla, andata distrutta. L’iniziativa, partita dai ragazzi della III A ad indirizzo musicale, è stata subito accolta dalla maggior parte degli alunni dell’Istituto comprensivo Carrara 5. E’ stato così organizzato il concerto “Note di Natale”, che ha permesso, con la collaborazione del comitato genitori, di raccogliere una somma destinata all’acquisto di materiale scolastico, una fotocopiatrice e gli strumenti per il laboratorio scientifico-ambientale, per i nostri amici di Aulla.
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