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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 10 GENNAIO 2012
Scuola media
Rasetti Castiglione del Lago
Facciamo un tuffo nel passato Studenti-reporter all’Isola Polvese per capire meglio i fatti del ’44 LA RIFLESSIONE
Passo indietro L’importanza della memoria GLI EVENTI storici che abbiamo conosciuto attraverso questa esperienza ci hanno fatto riflettere sul valore della memoria. Essa è indispensabile per crescere, contiene le radici, le tradizioni, nel suo senso più profondo di cose degne di essere trasmesse. Senza memoria non c’è futuro, i fatti ci insegnano che le cose che valgono, i valori, non “scadono” col passare del tempo: il valore della vita umana, della dignità di ogni uomo e donna non debbono «dipendere» da etnie, credi religiosi o possibilità economiche o diversità inventate al momento. La memoria diventa storica non solo quando ci sono fatti da raccontare ma quando gli uomini, sia singolarmente sia come comunità, danno un senso ai fatti e vogliono trarre un insegnamento per non dimenticare e per non ripetere gli stessi abomini, come è stata l’esperienza di internamento e persecuzione degli ebrei o di altre minoranze etniche. Ci sono rimaste impresse le parole di Primo Levi nel libro «Se questo è un uomo» dove dice che «…poiché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare ; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza». Ecco il senso della memoria e delle Giornate della Memoria: un’esperienza viva e attiva che afferma il valore dell’Uomo in tutti gli uomini.
QUEST’ANNO, il terzo giorno di scuola, abbiamo fatto un’esperienza insolita; la nostra professoressa di Lettere ci ha condotto ad Isola Maggiore dove si chiudeva una pagina di storia: l’attribuzione della massima onorificenza dello stato di Israele a don Ottavio Posta, parroco di Isola nel 1944 che, durante la seconda guerra mondiale, fu protagonista di un atto eroico, mettendo a repentaglio la propria vita pur di salvare altri uomini e donne come lui che venivano però indicati come diversi, nemici. Il sacerdote organizzò la fuga degli ebrei internati nell’isola grazie alla collaborazione dei pescatori che, nella notte tra il 20 e il 21 giugno del ’44, traghettarono 15 ebrei a Sant’Arcangelo, dove già stanziavano gli Alleati. Equipaggiati di macchine fotografiche, registratori mp3,ci siamo resi conto che sull’Isola c’era aria di attesa e di festa: le autorità non erano ancora arrivate perché la prima parte della cerimonia si svolgeva a Sant’Arcangelo, luogo in cui erano stati messi in salvo gli ebrei internati nell’ isola Maggiore dal marzo 1944.
PROTAGONISTI Gli studenti della «Rasetti»
Sulla piazzetta c’erano cameraman e giornalisti. La professoressa ci ha indicato un signore elegante che parlava con un giornalista: era Sauro Scarpocchi, autore del libro «Diario di bordo», che avevamo letto in classe per documentarci sui fatti che erano oggetto della nostra uscita. Fa effetto conoscere l’autore di un libro che
hai letto!Non potendolo intervistare ci siamo avvicinati alle persone del luogo che ci hanno accolto e risposto volentieri perché eravamo ragazzi di scuola. Ci hanno colpito le parole di una signora che, rievocando quei giorni, con poche parole e molti sospiri ci ha raccontato che i tedeschi facevano paura, che «a quei tempi non
avevamo niente eppure abbiamo dato quello che potevamo a quei poveretti (gli ebrei) che avevano portato qui». Le sue parole erano così cariche di emozioni che non sembrava fossero passati così tanti anni. Finalmente sono arrivate le autorità: è stato bello vedere sacerdoti e vescovi cristiani insieme a rabbini ebrei, emozionante la lettura della motivazione del riconoscimento di «Giusto tra le Nazioni» l’onore più alto che lo stato di Israele può concedere a persone non ebree. Pure noi abbiamo intervistato un protagonista di quella notte: Agostino Piazzesi, l’unico pescatore ancora vivente che ha rievocato quei momenti: «Noi eravamo esperti del lago eppure avevamo paura che succedesse qualcosa di brutto… mi dispiace che dalla fretta non ho nemmeno potuto salutare quei poveretti… Ragazzi ricordatevi che la guerra è una brutta cosa, la guerra fa paura a tutti». Ringraziamo il vescovo Chiaretti per le parole con le quali ci ha salutato: «Memorizzate tutto quello che avete visto e sentito e ricordatevi che la cosa più bella è fare il bene».
L’INTERVISTA SCARPOCCHI IN“DIARIO DI BORDO”RACCONTA COME VENNERO SALVATI GLI EBREI
Dai libri ai protagonisti che fecero l’impresa
L’INTERVISTA L’isolano Sauro Scarpocchi
I FATTI di Isola Maggiore si inscrivono in un progetto di storia ed educazione alla cittadinanza che si è sviluppato partendo dallo studio della storia del nostro territorio. Negli anni precedenti ci siamo interessati della storia delle nostre pietre: il castello del Leone, il palazzo della Corgna, l’aeroporto Eleuteri. Oltre a sopralluoghi e osservazioni dirette abbiamo letto autori di storia locale: il «Quaderno» di Guido Lana, il libro sul nostro paese di Luciano Festuccia, il bellissimo «Ali sul Trasimeno» nonché le interviste fatte ai «nonni» del Centro sociale anziani, le nostre pietre vive. Pensavamo che Isola Maggiore avesse da raccontare solo storie di pesca e il passaggio di S. Francesco, non credevamo che la guerra fosse passata anche là. In biblioteca comunale ci hanno prestato il
libro di un isolano, Sauro Scarpocchi, che in «Diario di bordo» racconta la sua storia personale, accenna all’internamento e alla messa in salvo degli ebrei nel giugno del 1944. Nell’appendice c’è la lettera di Livia Coen, una signora ebrea salvata, che scrive a monsignor Mario Vianello, vescovo di Perugia in quel periodo, per informarlo e ringraziarlo dell’operato svolto dal sacerdote Posta. Ci siamo resi conto di quanto siano importanti i documenti, anche una lettera può essere fondamentale per non perdere un pezzo di storia, di quanto possano servire anche testi di storia locale per comprendere fenomeni molto complessi che noi troviamo spiegati nei libri di storia di scuola. Per fortuna che anche nei paesi ci sono appassionati di storia che si impegnano perché nulla della memoria vada perso.
LA REDAZIONE LA SEGUENTE pagina è stata realizzata dalla classe III C così composta: Antico Federica, Burchielli Aurora, Burico Lucrezia, Buzhiqi Claudia, Cicero Albachiara,
Cocchi Brenda, Liberatori Matteo, Lumi Damian, Marchesi Giorgia, Martinelli Fabio, Milic Luca, Mussari Stefania, Pandolfo Sara, Petrucci Manuele, Piazza Laura, Sor-
di Silvia, Sperandio Matteo. Insegnante tutor è stata la professoressa di Lettere Anna Maria Ceccanibbi. Il dirigente scoalstico della «Rasetti» è il professor Giuseppe Materia.
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MARTEDÌ 10 GENNAIO 2012
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Scuola media
Pianciani Spoleto Spoleto
La «Pianciani» sbarca in carcere I detenuti raccontano da cronisti la loro esperienza con libri e formule SPOLETO-MAIANO, Casa di Reclusione, ore 10: è una mattina piovosa; Ernesto guarda fuori della finestra della sua cella, prova ad immaginare cosa avrebbe fatto a quest’ora se fosse stato libero… «Scuola!» grida la voce dell’agente di polizia dalla rotonda. Rumore di chiavi e di cancelli che si aprono e si chiudono. Ernesto dimentica i suoi pensieri e per un attimo abbandona i ritmi monotoni delle sue giornate, a scuola si sente di nuovo libero. Sì perché chi vive nel mondo libero non può capire quanto sia importante la scuola nel carcere. Qui dove non ha più senso lo spazio e il tempo, la scuola aiuta a ritrovare un ritmo.
FRANCESCO: L’autore di «Detenuto in branda»
A FRANCESCO è servita per acquisire sicurezza. Prima si sentiva sempre inferiore agli altri: «ora ho imparato a confrontarmi, ad esprimere le mie idee. A scuola ho capito che è stata l’ignoranza a portarmi qui dentro». Oner ha avuto l’occasione di apprendere la lingua italiana e capire un Paese
nel quale si è trovato catapultato senza conoscerlo. Peter ha imparato a scrivere lettere in cui riesce ad esprimere i suoi stati d’animo, le sue riflessioni, e questo ha migliorato i rapporti con la famiglia. «Prima ero sempre nervoso», dice Oliviero, «ed era normale essere violenti. A scuola ho scoperto la
me «gli insegnati che hanno esperienze di vita molto lontane dalle tue e con cui fuori non avrei mai provato a parlare!». Francesco a scuola dice di sentirsi «ancora un essere umano… gli insegnanti non ti guardano con occhi schifati e questo ti dà la voglia di essere migliore».
parola con cui posso rispettare gli altri, quelli diversi da me». Gaetano a scuola ha conosciuto persone che vengono da tanti paesi diversi che gli hanno insegnato molto: «Prima ero razzista ora non lo sono più». Massimo ha avuto l’opportunità di conoscere persone diverse co-
GIOVANNI si sente «ancora vivo dentro» ed un po’ utile alla società civile perché «con la conoscenza abbatte l’ignoranza» che, come dice Jon, «è l’unica arma per sconfiggere la cultura dell’illegalità». «Sì, — precisa — perché l’illegalità, oltre ad essere una cultura di moda, è una cosa ereditaria; tu nasci bambino in una famiglia in cui domina questa cultura, questo modo di vivere e per te diventa tutto normale. Poi arrivi qui e scopri che ci sono altre culture, altri modi di vivere e di ragionare e ti rendi conto che la tua cultura era sbagliata». Conclude Ernesto: «Per noi che viviamo sempre al buio la scuola è una piccola luce!».
L’INTERVISTA PARLA EDOARDO CARDINALI, ISPETTORE CAPO DELL’ISTITUTO DI SPOLETO
’La scuola qui dentro? Il miglior investimento’
Youssef: «Le stelle oltre le sbarre»
INTERVISTA dei detenuti ad Edoardo Cardinali, Ispettore capo, responsabile scuola. Alcuni agenti di polizia ci dicono che avremmo dovuto pensarci prima ad andare a scuola. Lei cosa ne pensa? «Che è sbagliato, che è solo la reazione all’eccessivo carico di lavoro connesso alla scuola in una situazione in cui si lavora in condizioni già molto difficili». Tra le sue priorità come Ispettore, a che posto metterebbe il nostro diritto allo studio? «In una situazione di organico ottimale la scuola non pesa. Quando però, come a Spoleto, lavori sempre in carenza di personale, senza strutture adeguate, diventa prioritaria la sicurezza. Questo non vuol dire che la scuola passi in secondo piano, altrimenti la cosa più semplice sarebbe stata chiuderla mentre stiamo garantendo il servizio il più possibile».
Le persone fuori pensano che la scuola nel carcere sia uno spreco… «La scuola in carcere oltre ad essere un diritto garantito dalla Costituzione serve alla struttura penitenziaria come abbassamento delle tensioni. Il detenuto impegnato in attività di studio individua obiettivi su cui investire le proprie energie e ciò disinnesca ansia ed aggressività». La scuola ha dato risultati significativi? «Ho visto detenuti entrare con comportamenti aggressivi e attraverso la scuola e la relazione con gli insegnanti cambiare anche nei confronti del personale di polizia. La scuola li ha aiutati a comprendere il significato rieducativo della pena, li ha abituati a relazionarsi, li ha educati al rispetto condiviso delle regole. Sono usciti cittadini migliori e questo è il miglior investimento che si possa fare anche in termini di sicurezza».
LA REDAZIONE La pagina è stata realizzata dagli alunni della scuola media «Pianciani» di Spoleto, attivata all’interno della casa circondariale. Si tratta di: Yankuba, Aurelian,
Oner, Jon, Giovanni, Orlando, Ernesto, Elorjant, Elgan, Altin, Agim, Ciro, Youssef, Walter, Bilbil, Antonio, Haki, Lamjed, Georghe, Alexandru, Dumitru, Benchir. Le in-
segnanti tutor sono: Carmelita Dominici e Nunzia Augugliaro. La dirigente scolastica Manuela Dominici. I disegni dono di Youssef (Le stelle oltre le sbarre) e di Francesco (Detenuto in branda).
IL PUNTO
«Studiare? E’ un nostro diritto» LA COSTITUZIONE, articolo 27, sancisce che le pene devono “tendere alla rieducazione del condannato”. Tuttavia da un nostro sondaggio informale, emerge che il 60 % degli italiani non approva la scuola in carcere, la considera uno spreco di danaro per persone che non meritano nulla. La volontà del legislatore però è diversa a partire da lontano. Se nello Statuto Albertino non era ancora contemplato il diritto all’istruzione negli istituti penitenziari, esso veniva tuttavia garantito da volontari e cappellani. Durante il fascismo, il Regolamento del 1931, previde per i detenuti l’obbligatorietà di corsi d’istruzione elementare tenuti da insegnanti. L’istruzione fu considerata da Mussolini, un mezzo per recuperare i reclusi ai valori dello Stato. Nel 1958 la Legge 503 istituì le Scuole carcerarie elementari per contrastare l’analfabetismo e concorrere alla loro “educazione e redenzione sociale e civile”. Nel 1997, l’O. M. n. 455 della Pubblica Istruzione, affidò ai Centri Territoriali Permanenti, d’intesa con gli Istituti Penitenziari, lo svolgimento di attività didattiche nelle carceri e negli istituti penali minorili. Nel 2000 venne confermato il diritto allo studio in carcere come facente parte del “trattamento rieducativo” del detenuto e nel 2001 la Direttiva ministeriale n. 22 della Pubblica Istruzione, ribadì la necessità di realizzare percorsi individuali di alfabetizzazione destinati a soggetti deboli, tra i quali i detenuti.
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GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2012
Scuola media
San Paolo Perugia
Terra chiama ancora cielo Astronomi di fama mondiale da sempre a corto di finanziamenti PROGRESSI
Il distributore d’acqua: uso consapevole DAL 9 LUGLIO 2011, a Pian di Massiano di Perugia, è stato attivato il primo impianto di erogazione di acqua naturale o addizionata di gas carbonico, proveniente dalla sorgente di Bagnara di Nocera Umbra. Al servizio di tutti i cittadini, questo impianto promuove l’uso consapevole dell’acqua potabile del nostro acquedotto, ottenendo anche la riduzione all’origine di rifiuti (vuoti di plastica o vetro delle bottiglie di acqua commerciale). Si tratta di un esempio concreto di come una cultura evoluta del risparmio, del rispetto per l’ambiente e della risorsa idrica possa contribuire a promuovere una migliore qualità della vita senza compromettere il futuro delle città. È possibile prelevare l’acqua al modico prezzo di cinque centesimi ogni litro e mezzo; l’impianto è aperto dalle 07:00 alle 23:00. È un’opera localizzata in un contesto urbano di facile accesso, grazie alla vicina stazione del minimetrò, che contribuisce a favorire in modo decisivo la mobilità pedonale. Prima di essere resa disponibile, l’acqua è sottoposta a trattamenti che ne esaltano le qualità: stadi multipli di filtrazione meccanica per rimuovere le particelle incorporate lungo il percorso; passaggio su filtro a carboni attivi per eliminare gli odori; esposizione a raggi ultravioletti per garantire la sterilità; infine, passaggio su banco refrigerante per portare l’acqua ad una temperatura inferiore a 10 gradi.
IL 17 MARZO 2011 sono ricorsi i 150 anni dall’Unità d’Italia. Con l’aiuto di Maurizio Caselli, esperto che ci ha fornito molte informazioni e che qui ringraziamo, noi studenti della 3G abbiamo analizzato lo stato dell’astronomia in questo periodo storico. Nonostante le grandi capacità degli astronomi italiani, su tutti Schiaparelli, Tacchini, Donati e Secchi, enormi difficoltà di ricerca si sono presentate dopo l’Unità. Il problema principale era, allora come oggi, la disponibilità finanziaria. Schiaparelli, in una lettera del giugno 1868 all’astronomo Secchi, lamentava: Qui non si può mai ottenere nulla e la causa sono i troppi osservatori che abbiamo, per i quali il Governo spende una notevole somma, senza che perciò in nessuno si possa fare qualche lavoro importante di osservazione. Tacchini metteva invece a confronto i bilanci degli osservatori di Parigi, Greenwich e Pulkova con quelli italiani, concludendo: All’estero un astronomo aggiunto o un assistente può valere quanto l’intero
ASTRONOMIA Vignetta ispirata ad una illustrazione di Franz e Paolo
personale di un solo Osservatorio italiano. Su richiesta del Ministro della pubblica istruzione lo stesso Tacchini nel 1874 compilò una relazione che così descriveva lo stato dell’astronomia nazionale: Finora, per quanto io ne sappia, non fu mai data mano a questo lavoro di riorganizzazione, e così gli os-
servatori restarono impediti di progredire, continuando a mantenere in vigore l’antico sistema. Un tale stato di cose non può più a lungo durare, se si desidera davvero che l’Italia, in fatto di astronomia pratica, si metta al livello delle altre nazioni. La soluzione proposta da Tacchini, di suddivi-
dere gli osservatori in tre grandi gruppi: osservatori di ricerca (Firenze, Milano, Napoli e Palermo), osservatori universitari (Padova, Roma-Campidoglio e Torino), osservatori meteorologici (tutti i rimanenti), sfociò nel decreto del ministro Bonghi, che però non fu mai reso operativo. Fu un peccato, perché la ricerca astronomica italiana era all’avanguardia: nell’aprile 1861 Giovanni Schiaparelli scoprì un nuovo pianetino che battezzò Esperia, nome usato dagli antichi Greci per indicare la penisola Italiana e quindi scelto per celebrare anche nel cielo la raggiunta Unità Nazionale. La Grande Cometa scoperta nel 1858 e le ricerche in campo spettroscopico pongono Donati in rilievo nella storia dell’astronomia. Angelo Secchi e Pietro Tacchini furono pionieri nella spettroscopia stellare e solare. Infine i quattro, riuniti in associazione, diedero vita nel 1872 ad una rivista, le Memorie, prima al mondo nel raccogliere articoli sulle ricerche e sui progressi fatti in Astronomia.
IL PERSONAGGIO GIOVANI AL LAVORO CON AMOR PROPRIO E INIZIATIVA, FUORI DAI LUOGHI COMUNI
Neo-vasai alla riscossa: il caso di Nicola Bruni
GIOVANI REPORTER Giulia e Speranza
PIÙ VOLTE si è detto che il lavoro è faticoso ma necessario. Non tutti sono però d’accordo su quale sia il tipo di lavoro preferibile: ad alcuni interessa guadagnare molto; altri invece cercano un lavoro interessante; altri ancora aspirano ad un impiego statale. C’è chi si adatta e chi non si accontenta mai; ma c’è anche chi durante questo periodo di crisi sforza l’ingegno per guadagnare. È il caso di un giovane archeologo di Spoleto: Nicola Bruni, 24 anni, che nel periodo natalizio ha deciso di riprodurre vasi ceramici con la tecnica degli antichi vasai neolitici, esponendoli poi la vigilia al mercato artigianale di Spoleto, in piazza del Duomo. Nicola è nato a Spoleto da una famiglia di imprenditori, che ha subito appoggiato la sua scelta di studiare archeologia. Ora il ragazzo lavora presso i laboratori di archeologia sperimentale proposti da
Archeoart. Le complesse fasi di replica della fabbricazione di vasi neolitici includono: estrazione della materia prima; frantumazione dell’argilla secca e di alcuni digrassanti (terra rossa, sabbia e gusci di cardium), eseguita con pestelli d’osso o di legno; modellazione della pasta d’argilla; decorazione; essiccazione; esposizione all’aria del contenitore d’argilla; cottura. SEGUONO infine i trattamenti post-cottura: lisciatura e rifinitura delle superfici interne ed esterne. La fornace è realizzata scavando una buca poco profonda; i vasi d’argilla vengono posti lungo il perimetro interno della buca a breve distanza dai carboni. Successivamente i manufatti sono sistemati a diretto contatto con i carboni stessi e cotti lentamente.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli alunni: Altieri Anna, Alunni Eugenio, Aquinardi Francesca, Biscarini Angela, Biti Aberto, Bolloni Alessandro, Calzoni Speranza, Clemente Costanza, Cocco Alida, Delicati Ceci-
lia, Duro Filippo, Flores Anna Giulia, Giorgi Giulia, Hadeg Silvia, Lupattelli Noemi, Migni Deborah, Miscenà Emilia, Parras Marcello, Rapicetta Arianna, Restivo Angelica, Sottani Luisa, Tosetti Matteo, Jin Yi.
Classe III G scuola media San Paolo di Perugia. Dirigente scolastico Ubaldi Antonella. Insegnante tutor Lucrezia Afferrante.
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Scuola media
Vallo di Nera Piedipaterno
Ma quale fine del mondo! Gli studenti non credono alle profezie. Però hanno fatto riti scaramantici TRA LE TRAGICHE notizie sulla crisi economica e la profezia Maya sulla fine del mondo, il 2012 inizia proprio bene! Molte volte è stata annunciata la fine del mondo. Ora la data precisa sembra sia il 2012 come è previsto dal calendario dell’antico popolo Maya. La diffusione di questa notizia è avvenuta attraverso i mass-media che, con immagini catastrofiche, hanno creato un forte allarmismo. Sicuramente si tratta di una speculazione commerciale ideata in un’epoca dove non esiste più un equilibrio fra la realtà e la finzione. Esistono però anche studiosi che riescono a tranquillizzarci negando ogni possibile apocalisse. SECONDO NOI non avverrà nessuna fine del mondo tra il 12/12/2012 e il 21/12/2012, perché gli eventi catastrofici, sia quelli naturali come terremoti, alluvioni o epidemie, sia quelle causate dall’uomo come le guerre, nella storia dell’umanità del nostro pia-
pena iniziato è bisestile; i nostri nonni affermano “anno bisesto anno funesto”. Ci mancava anche questo! Ma ancora noi non ci crediamo! Tuttavia il 31 dicembre abbiamo mangiato le lenticchie e l’uva e ci siamo comprati indumenti rigorosamente rossi. Non si sa mai!
PROFETI Gli studenti della Vallo di Nera (Piedipaterno)
neta ce ne sono sempre stati. Sicuramente anche gli uomini del passato si sono spaventati davanti a terremoti, carestie o pestilenze. Ci spaventiamo perché l’uomo, nonostante il progresso in campo scientifico e tecnologico, è impotente di fronte alle catastrofi naturali. Esiste anche la teoria che il
2012 sia l’anno della svolta positiva per l’umanità, l’anno a partire dal quale ci sarà un risveglio spirituale dell’umanità. Noi preferiamo credere che il mondo finirà tra 15.000.000 di anni, quando il sole si spegnerà completamente. È ANCHE VERO che l’anno ap-
CURIOSANDO tra le varie civiltà, abbiamo scoperto che il primo gennaio 2012, non è cosi per tutti. I musulmani stanno vivendo l’anno 1433, gli ebrei il 5772, mentre i popoli di religione copta di Egitto e di Etiopia sono nel 1728. Per i cinesi questo è l’anno 4649. C’è veramente un po’ di confusione: se il mondo finisce per noi che viviamo nel 2012, gli altri popoli che hanno un altro calendario, che fine faranno? Ve lo diciamo noi: la crisi passerà, la vita riprenderà a girare in modo positivo per tutti e il nostro pianeta avrà ancora tanti anni da vivere. Questa è la profezia dei ragazzi della classe seconda della scuola media di Vallo Di Nera e....guai a non crederci!
LA PAROLA AI PROTAGONISTI ECCO I DESIDERI DEI RAGAZZI ASPETTANDO IL FUTURO...
La partita del Milan, i viaggi, Tiziano Ferro E’ UN DATO CERTO che il mondo stia cambiando. Ce ne accorgiamo giorno dopo giorno, però non crediamo che ciò avvenga necessariamente in senso solo negativo. Ogni giorno che nasce,sia illuminato dal sole o bagnato dalla pioggia, può portarci qualcosa di bello. Noi siamo giovani, noi ragazzi abbiamo un futuro da vivere e questo futuro vogliamo che sia pieno di progetti e di speranze. Dobbiamo terminare la scuola media, diplomarci e dare una direzione alla nostra vita.
LA CURVA DI SAN SIRO Esserci: il sogno di tanti ragazzi
SICURAMENTE non ci sarà nessuna fine del mondo ma se davvero così fosse i nostri ultimi desideri sono: festeggiare capodanno a Time Square a
New York (Asia), visitare tutta la Germania (Giorgio), visitare molti Paesi con la mia famiglia (Camilla C.), visitare molte città Europee ( Michela), stare con il Papa per un giorno (Leonardo), andare ad un concerto di Tiziano Ferro (Camilla M.). State a sentire questi altri desideri: vedere una partita del Milan a San Siro (Edoardo), calmare mia sorella di sette anni (Enrico), vivere con la mia famiglia l’ultimo giorno con gioia rendendolo indimenticabile (Giovanni). ED ANCORA: conoscere Cristiano Ronaldo (Lorenzo), andare alla scoperta dei rettili in Messico (Matteo), continuare a stare bene in famiglia (Andrea). Per noi l’ideale sarebbe realizzare questo desiderio come se fosse l’ultimo e continuare a vivere la nostra giovinezza.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Vallo di Nera», classe II: Asia Allegretti, George Biunceanu, Camilla Celesti, Michela Dottori, Leonar-
do Giovannini, Camilla Minciotti, Edoardo Minciotti, Enrico Morganti, Giovanni Procaccini, Lorenzo Pucciotti, Matteo Ribeca, Andrea Rotilio. Gli insegnanti tutor che
hanno coordinato e organizzato il lavoro dei ragazzi sono e i docenti Anna Bonilli e Domenico Milano. La dirigente scolastica dell’Istituto è la professoressa Rosella Tonti.
LA RIFLESSIONE
I nostri vecchi: «Questa è tutta una bufala» IL POPOLO Maya visse nell’America centrale prima della scoperta americana di Cristoforo Colombo. Era un popolo molto evoluto nelle scienze astronomiche ma assai scarso di conoscenze contingenti; non conosceva neppure la ruota. Il loro calendario era di forma circolare e designava cinque ere ben distribuite; tutte terminavano con una calamità naturale. Attualmente ci troviamo nella quinta ed ultima era della loro conoscenza, quella dell’oro che, secondo i calcoli del popolo Maya terminerà proprio il 12/12/2012. Il popolo Maya non fu il solo a predire la fine del mondo per questa data, anche gli ebrei infatti l’hanno predetto. Tante notizie catastrofiche suscitano curiosità e timore ma... la realtà è tutta un’altra cosa! Se vogliamo essere poi pignoli, ricordiamo che anche nel libro dell’apocalisse Giovanni parla della fine del mondo che sicuramente ci sarà, però non si sa quando; niente date, niente allarmismi. Anche i nostri nonni ci tranquillizzano. Abbiamo infatti posto diverse domande anche agli anziani dei nostri paesi circa questa profezia della fine del mondo. E’ risaputo che i nonni hanno molta esperienza perché hanno vissuto più a lungo: hanno visto tante cose anche gravi. Alle nostre domande hanno risposto quasi tutti; solo pochissimi non ne avevano mai sentito parlare ma gli altri, la maggioranza, ci hanno risposto senza mezzi termini che è tutta una montatura. Nessuno può prevedere la fine del mondo, quindi è inutile preoccuparci prima che questo accada.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 17 GENNAIO 2012
Scuola media
Volumnio Ponte San Giovanni
Morti e macerie: è l’apocalisse Ponte San Giovanni durante la Seconda Guerra Mondiale IL PUNTO
Un quartiere all’avanguardia e multietnico AL CESSATO allarme tutti si ritrovarono dentro una nube immensa e polverosa che nascondeva la cittadina, come una fitta nebbia. Al rialzo dei sopravvissuti, fra cadaveri e macerie c’erano i ricordi sepolti: gli edifici antichi, il ponte, le case, i poveri morti del cimitero. I danni causati dalla guerra erano ingenti e, nel dopoguerra, si convenne sulle necessità di creare un piano urbanistico che regolasse la ricostruzione e lo sviluppo urbano della zona. Così tra il 1945 e il 1946 venne elaborato dal Comune di Perugia un piano regolatore per Ponte San Giovanni, ma negli anni a venire esso si rivelò inadatto per le reali potenzialità della zona. Nel 1962 venne redatto un nuovo piano regolatore comunale generale, che assegnava al Ponte una vasta possibilità di espansione delle attività industriali ed edilizie. Di pari passo allo sviluppo urbanistico, la crescita demografica: dai 3876 abitanti del 1911 ai 4792 del 1936, fino ai circa 22.000 di oggi. Oggi il Ponte è un quartiere multietnico [vedi i nostri cognomi], in cui importanti servizi forniti dallo Stato, dal Comune, dalla parrocchia e dal volontariato funzionano da elementi aggreganti. Una frazione che ha dato i natali all’allenatore Cosmi, all’attore Filippo Timi e all’attuale sindaco di Perugia. Una frazione con bellissimi negozi da cui esci con le borse piene e il portafoglio vuoto. Un luogo in cui, se non ti rapinano, non ti scippano e non ti truffano i camorristi, si vive bene.
L’AEREO SCENDE il corso del Tevere, da nord a sud. E’ una giornata limpida, la campagna è verde. La cinepresa sull’aereo filma campi, boschetti, una fattoria e il suo pagliaio, un ponte stradale, l’ottocentesco ponte della ferrovia. Sullo sfondo una distesa di macerie. Quei brandelli di muro sono quel che rimane di Ponte San Giovanni. In alto, a sinistra sull’inquadratura, il logo dell’Istituto Luce: è l’estate del ‘44. L’antico borgo chiamato un tempo Pon San Gianni era cresciuto accanto alla chiesa di San Bartolomeo e al ponte sul Tevere. Poi, dal 1866, arrivarono le ferrovie, la linea Foligno–Terontola e la Centrale Umbra che allora finiva a Umbertide e si collegava alla Arezzo-Fossato. Dal 1860 era nata a Ponte San Giovanni l’industria dei legnami che forniva traverse per la ferrovia. Furono costruite grandi cantine e le prime distillerie; aumentò la produzione di bachi da seta, di tessuto e l’attività del Molino Popolare. Era nata una fabbrica di sapone nei pressi della stazione. La po-
DISTRUTTA Le macerie della chiesa di San Bartolomeo
polazione era aumentata costantemente. Sul quel piccolo borgo operoso piovvero le bombe della Seconda Guerra mondiale. Tra il 28 ottobre 1943 e il 20 giugno 1944, Ponte San Giovanni subì 33 incursioni aeree, tre delle quali molto distruttive. Gli Alleati cercavano di distrugge-
re il campo di aviazione di Sant’Egidio, il nodo ferroviario, il molino-pastificio, la cui sirena annunciava gli allarmi aerei a tutta la vallata, lo stabilimento De Megni, che produceva materiale bellico, il ponte stradale. Invece furono colpiti edifici simbolo del vecchio borgo: le logge, il ponte vec-
chio (quello basso-medievale, a schiena d’asino), la chiesa parrocchiale. E naturalmente le case, anche nel timore che i tedeschi ci si nascondessero. Gli Alleati non riuscirono a distruggere il ponte stradale, che fu fatto saltare dai tedeschi in ritirata piazzandovi cariche esplosive. Fu colpito il cimitero: la nostra prof. Ragni ricorda di aver sentito narrare da sua nonna che la cappella di famiglia aveva avuto il tetto sfondato e le bare spaccate e cadute rovinosamente sul pavimento, insieme ai resti dei morti. La stazione ferroviaria fu distrutta il 19 dicembre del ’43. Dieci, tra ferrovieri e passeggeri, rimasero uccisi. Interrotta la linea Foligno-Terontola. Inutilizzabile l’intero impianto FCU. Più volte venne colpito l’acquedotto che portava acqua al centro di Perugia. I ponteggiani sfollarono: chi a Brufa, chi a Torgiano, chi più lontano ancora. I morti furono in totale 28. 68 anni dopo, il greto del Tevere restituisce bombe inesplose e gli abitanti del Ponte sfollano, oggi, come allora.
LE TESTIMONIANZE BOMBARDAMENTI, DISTRUZIONE, FAME E DOLORE NEI RACCONTI DI CHI C’ERA
«Suonava l’allarme ed era subito terrore»
BOMBARDATA La vecchia stazione del Ponte
AI TEMPI DELLA GUERRA la vita a Ponte San Giovanni non era affatto semplice. Dall’intervista ai signori Chiovoloni, anziani personaggi del Ponte, siamo riusciti a ricostruire la vita dei ponteggiani di quel periodo. Come avvenivano i bombardamenti? «I bombardamenti erano molto frequenti e miravano principalmente alle vie di comunicazione come ferrovie e ponti ma colpirono le case e il cimitero. Ero presente quando bombardarono la stazione e fu terribile: morti, macerie e sangue dappertutto». E l’allarme? «Per avvisare la popolazione c’era la sirena del vecchio mulino, ma questa non era mai del tutto precisa: a volte suonava un quarto d’ora prima dell’attacco, a volte mezz’ora prima, a volte suonava e gli aerei erano già sopra». Com’era la vita allora? «In quel periodo Ponte San Giovanni era un luogo
in cui si viveva sempre con il terrore addosso. Le condizioni di vita erano disumane: macerie e case pericolanti da ogni parte. Inoltre il cibo era molto scarso: per mangiare esisteva una tessera con cui le autorità del territorio distribuivano i viveri fra i cittadini ma le razioni erano molto misere». Cosa si mangiava? «La dieta era composta principalmente di legumi. Solo per le occasioni si potevano comprare carne e frutta che a quell’epoca erano cibi prelibati. Per tutta la durata della guerra non abbiamo mai assaggiato dolci o altre niccherie». Mancava solo il cibo? «Si era privi di tutto. Erano razionati anche il sapone, le stoffe e il filo per cucire. Così ci si lavava poco e festeggiavano i pidocchi. I vestiti e le scarpe si consumavano e era difficile perfino rattopparli. Erano lisi ma li indossavamo ugualmente perché non avevamo altro».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata da Martin Angel Berroa Tarazona, Martina Bibi, Maria Alejandra Capponi Costa, Alex Chiovoloni, Nicola Chiovoloni, Leonardo Cingolo, Rodrigo Alan Fernandez, Safoa Gbali, Marina
Gbeuli Bolia Rolande, Aurora Gori, Vittoria Belen Juncos, Sokaina Laadam, Giulia Lolli, Alex Los, Giulia Mazzeo, Marcella Miroslavova Lyubenova, Riccardo Proietti, Romelda Shtara, Laura Stafisso, Emanuel
Tosti, Emanuele Trubbianelli, Matteo Virecci Fana, Jun Jie Zhou. Ha collaborato Filippo Passerini (2 C). I docenti: Maria Daniela Ragni, Simone Piastrelli, Lorenzo Pulcini. La dirigente è Angela Piccionne.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 17 GENNAIO 2012
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Scuola media
Mameli Deruta
A lezione nella ’fabbrica grande’ Un esempio di archeologia industriale: aule al posto dei laboratori IL 15 DICEMBRE 2009, una scossa di terremoto ha lesionato i locali della Scuola rendendola inagibile, il comune e la dirigenza scolastica individuano i locali dalla ex Fabbrica Grande, come possibile nuova sede. Il vice preside Arch. Massimo Boco, accoglie immediatamente la sfida e si mette al lavoro, come lui stesso ci racconta, ‘con entusiasmo e ritmi incessanti’ per apportare le necessarie migliorie alla struttura: razionalizzazione degli spazi, impianti elettrici, pavimentazione e tinteggiatura finendo i lavori in due settimane. Grazie a questa esperienza, noi ragazzi abbiamo appreso la grandezza della sua passata storia, che ora ripercorreremo. Nel 1910 viene fondata la Società Anonima Maioliche Deruta, sulle ceneri della Cooperativa Fabbriche di Deruta costituita nel 1903 da Cesare Boschi. Nel 1920 viene rilevata da un gruppo di imprenditori locali, tra cui Biagio Biagiotti, che ne affiderà la direzione tecnica ed artistica ad Alpinolo Magnini, che risulterà essere lungimirante e innovativo nelle scelte operative, aprendo la maiolica derutese a tematiche figurative ispirate all’arte contemporanea.
I CRONISTI Gli studenti del Mameli, classi III A e III B
L’intento del Biagiotti è quello di istituire un consorzio tra le più importanti fabbriche di ceramiche artistiche e, intorno al 1920 la neonata Cooperativa Fabbriche di Deruta assorbe Società Anonima Combattenti Grazia e le altre piccole fabbriche operanti nella cittadina umbra. Nel 1923 il Biagiotti chiama a lavorare il cerami-
sta faentino Davide Fabbri e poco tempo dopo nel 1925, fonda la «Cima» (Consorzio italiano maioliche atistiche) con laboratori a Deruta, Perugia, Gubbio e Gualdo Tadino. Abbandonato il progetto di realizzare un consorzio nazionale Biagio Biagiotti si dedica alla cura della ceramica derutese e nel 1927 le sue fabbriche, che
hanno ormai sede nell’attuale scuola vengono dotate di forni elettrici ed iniziano una produzione su vasta scala marcata «Derutanova» o «Perugia», producendo anche su committenza della ‘Perugina’. Negli anni Trenta le maioliche di Deruta, la cui modernità si basa più sulla forma che sul decoro, riscuotono un buon successo di vendite in Italia esportando anche all’estero. Rallentata la produzione quasi fino all’azzeramento, negli anni della guerra dai forni della ditta si ritorna alla produzione di maioliche tradizionali, rustiche, copie dall’antico e moderne. Dagli anni ’60 inizia un lento declino che porterà ad un’inevitabile chiusura di quella che tutta la popolazione ormai conosce come «fabbrica grande». Nei primi anni ’80 per prevenire la fatiscenza e lo smantellamento dell’edificio, l’immobile è stato acquistato dall’amministrazione e dalla provincia, che lo avrebbero destinato a divenire sede del centro della ceramica e sede espositiva. Solo con la destinazione ad uso scolastico il piano terra dell’edificio è tornato ad essere di nuovo un centro propulsore della vita della nostra città.
LA STORIA IL PALIO DELLA BROCCA: UNA GARA TRA QUARTIERI CHE RIPORTA A GALLA IL PASSATO
Acqua per salvare l’arte della maiolica
INTERNI Il corridoio della fabbrica scuola
«… LA MAGISTRATURA e consiglio locale nel 1844 risolvette provvedere abbondanti acque potabili, anco perché non iscapitasse l’ arte della maiolica, antico vanto del luogo ed attualmente risorsa della popolazione …» Così, Giuseppe Bianconi in sua descrizione storica di Deruta e del territorio, narrava la circostanza in cui si rese necessaria la costruzione di una nuova condotta per l’acqua potabile e della fontana di Piazza dei Consoli, dopo che, malaugurati terremoti del 1832 avevano reso quasi inservibile il pozzo di ampia grandezza ubicato nei pressi dell’ attuale fontana. Dalle parole del Bianconi si evince, come prima preoccupazione quella di fornire l’acqua alla produzione dalla maiolica che rappresenta la risorsa fondamentale per la popolazione. Partendo da questa memoria
storica, nasce in tempi recenti l’idea di una rievocazione di questo evento: un Palio disputato tra i tre Rioni del paese in cui protagonista sia appunto l’acqua, trasportata con vasi tipici in maiolica. NEL GIORNO del 25 novembre, in ricorrenza di S. Caterina d’Alessandria - la patrona dei ceramisti - e di S. Semplicio - patrono del comune-, i tre Rioni storici della città (Piazza- Valle-Borgo) si sfidano in una competizione popolare suddivisa in vari giochi che portano all’assegnazione del Palio della Brocca. Il rione che si distinguerà per bravura e destrezza riceverà il trofeo/brocca in maiolica, simbolo della disputa e Deruta. Per noi ragazzi è un vero divertimento, ci sentiamo parte integrante del nostro rione, sentiamo moltissimo la sfida e cerchiamo di essere utili in ogni modo possibile.
LA REDAZIONE LA SEGUENTE pagina è stata realizzata dagli studenti dell’Istituto comprensivo «Mameli» con i seguenti ragazzi della classi III A e III B coordinati dalla professoressa
Elena Sciuga: bellini luca, boco celse, bodanzi melissa,brozzi alessio, gentili gioele, hutter lorena beatrice, kuznetosov grigoriy, leandri sara, leka klaudio, margari-
telli giacomo, nicolini giacomo, picoltrini nicolo’, rivecci marco, ronca matteo, simonetti ciro, tarquinio claudio, tomassini aldemiro, vescera nicolo’, zeneli daniela. Il dirigente scolastico è Lucio Raspa
LA RIFLESSIONE
Il ceramista Professione da riscoprire QUEST’ATTIVITÀ ha dato la possibilità a noi ragazzi di incontrare ceramisti di diverse età e confrontarci con loro su questo mestiere antico quanto l’uomo, ma in grave crisi a causa di un mercato estero sempre più inflazionato. Dalle nostre interviste è emerso che gran parte di coloro che operano nel settore, hanno scelto con orgoglio questo mestiere per proseguire una tradizione di famiglia e tutti hanno iniziato anche per gioco, ad operare con la ceramica intorno alla nostra età. I più anziani ci raccontano aneddoti piacevoli, come le grandi amicizie che sono nate e le storie d’amore durate tutta una vita, ma non dimenticano che la vita di fabbrica era difficile, era spesso molto freddo in alcune aree, oppure faceva un caldo asfissiante nei pressi dei forni, nella zona della verniciatura si respirava un’aria malsana e comunque si era controllati a vista dai capireparto che facevano pagare delle ammende se si arrivava in ritardo. E così dicendo gran parte degli intervistati proseguono il discorso sconsigliando noi giovani ad intraprendere una professione così dura, tuttavia, in molti dei loro occhi abbiamo visto l’orgoglio di essere parte di una maestranza così antica ed illustre e questo ci ha fatto riflettere seriamente, su quanto sia importante conoscere la storia della nostra cittadina e sulle possibilità di lavoro anche per noi giovani, magari avendo la forza di rinnovare certi aspetti e riuscendo a coniugare con coraggio tradizione e modernità, rispettando quello che eravamo in virtù di ciò che saremo.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 19 GENNAIO 2012
Scuola media
La Meridiana Bettona
Il passato insegna ed emoziona Gli studenti del «Meridiana» alla scoperta dei luoghi della storia LA RIFLESSIONE
I monumenti raccontano... Eroi e ideali NEL PAESAGGIO incontaminato dei boschi di Bettona, in località Cinque Cerri, si trova un cippo che commemora i partigiani della Brigata Leoni. Il 5 marzo 1944 i tedeschi circondano la zona di Bettona con un centinaio di camion, carichi di soldati. I partigiani capiscono che le loro armi sono insufficienti per resistere con successo ai molti battaglioni tedeschi. Sei di loro si offrono volontari per il primo contatto a fuoco e permettono ai compagni di mettersi in salvo. Resistono valorosamente per molte ore contro le truppe ben armate ed addestrate dei tedeschi. Tutti i partigiani rimangono uccisi tranne Mario Grecchi, un ragazzo appena diciottenne, che, più volte ferito, viene tenuto in vita per essere fucilato, il 17 marzo, con lo scopo di fare impressione sulla cittadinanza. Questo episodio ci ha fatto riflettere sulle persone che si sono sacrificate per il nostro Paese, che hanno sconvolto la loro vita rinunciando ai loro sogni, ad una famiglia, dei figli ed una vita felice, convinti che le loro azioni avrebbero portato alla sconfitta del nemico e con esso del male e della mancanza di libertà. Infatti sul cippo si legge: “Non ideali retorici, ma convinzioni concrete ci univano coscienti che la nostra libera scelta serviva a noi e agli altri come sempre è servita nel mondo, la ribellione contro la violenza e l’assassinio”. Altre volte ci è capitato di passare davanti a questi luoghi, senza considerare il perché di questo monumento.
NOI GIOVANI abbiamo la tendenza a pensare esclusivamente al presente, a vivere bene ora e adesso, senza considerare le possibili conseguenze delle nostre azioni. Spesso ci prefiggiamo un obiettivo da raggiungere, eppure al momento di fare sacrifici, ci arrendiamo. Per esempio ad ogni inizio di anno scolastico facciamo propositi di impegnarci per ottenere risultati apprezzabili, ma poi la volontà è poca. Ma se riflettiamo ci accorgiamo di essere più legati al passato di quanto pensiamo: è il passato che ci dice chi siamo. Infatti comprendiamo la realtà che ci circonda attraverso i documenti storici e le testimonianze giunte fino a noi, insieme ai ricordi più significativi che ognuno interpreta soggettivamente, secondo le esperienze vissute e le emozioni provate. Tutti gli eventi del passato sono serviti a formare il nostro bagaglio culturale, affettivo ed emozionale. Questo non potrà mai essere cancellato: cambieranno modi e mezzi, ma il trascorrere del tempo, in particolare «un certo tempo», contribuirà alla formazione della nostra personalità!
IL MONUMENTO Una lapide in ricordo dei Partigiani
Nessuno può illudersi di partire dal nulla e ignorare la Storia. Fatti ed avvenimenti che sembrano lontani da noi, sono in realtà vicini e collegati da un invisibile legame, la memoria dell’uomo, che, oltre a dare significato alle vicende storiche, porta con sé innumerevoli emozioni. Le nostre città sono piene di testimonianze che ri-
cordano fatti e personaggi storici che meritano interesse e considerazione. Visitando i luoghi della guerra partigiana del nostro territorio abbiamo provato tante emozioni. Siamo passati da un’iniziale curiosità ad un sentimento di viva partecipazione per le vicende studiate. Le parole delle nostre insegnanti che raccontavano gli epi-
sodi di questi “eroi sconosciuti” hanno fatto svanire quel distacco iniziale. Abbiamo provato una grande rabbia quando ci siamo accorti dell’ingiustizia subita da quei giovani, per poi renderci conto che la nostra libertà è frutto del sacrificio di quei ragazzi. Il passato, come il futuro ed il presente, non è solo una semplice data, ma un ricordo che fa scaturire un’ emozione. Ritrovare una vecchia foto, ascoltare un brano musicale di qualche tempo fa, sentire un profumo, sono tutte sensazioni che associamo ad un ricordo e con esso ad un’emozione. Il passato non è solo il tempo che trascorre, ma la comunione tra i ricordi che evoca e i sentimenti che provoca. Tutti gli esseri umani provano emozioni, anche i più duri che non vogliono farsi coinvolgere e si vergognano di emozionarsi. In una canzone Vasco Rossi dice: «Ho fatto un patto con le mie emozioni, le lascio vivere e loro non mi fanno fuori». Il passato è formato da ricordi, ma i ricordi sono soprattutto emozioni.
L’INTERVISTA MAURO BINI E VALERIANO TASCINI CI PARLANO DELL’«ANPI» DI MARSCIANO
«Ragazzi, vi spieghiamo l’eredità partigiana»
EMOZIONI Ascoltiamo i grandi «vecchi»
ABBIAMO incontrato Mauro Bini e Valeriano Tascini del direttivo Associazione Nazionale Partigiani Italiani di Marsciano che ci hanno fatto capire l’importanza dell’Anpi ai giorni nostri. Che cos’è l’Anpi? «È un’associazione nata dopo la seconda guerra mondiale quando i partigiani avevano contribuito, con la Resistenza, alla liberazione dell’Italia dopo il 1943. Da qualche anno si è deciso di permettere anche a chi non ha vissuto quei fatti storici di far parte dell’Anpi, purché abbia principi di libertà e di democrazia». Quante associazioni Anpi sono presenti nel nostro territorio? «In Umbria è una presenza molto diffusa con circa 30-40 circoli importanti». Quanto è impegnativo, per voi, far parte di questa associazione?
«È un impegno spontaneo, ma non è sacrificio, è gioia». Quanti partigiani sono ancora vivi? «Tre partigiani, tra cui una donna molto grintosa. Abbiamo fatto conoscere le azioni dei giovani delle Brigate Leoni e Innamorati che, nei nostri boschi, si difendevano dalle rappresaglie dei tedeschi». Cosa vuol far capire a noi giovani questa Associazione? «L’Anpi vuole ricordare i motivi che hanno spinto i giovani partigiani a combattere per la libertà. Il ricordo vuole scongiurare il riproporsi di questi dolorosi avvenimenti. Nelle scuole cerchiamo di divulgare l’esempio di questi eroi per insegnare a voi giovani quanto è importante e preziosa la libertà di cui godiamo oggi».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti delle classi III A e IIIB dell’Istituto Comprensivo di Bettona: Paolo, Angelica, Beatrice, Nicolò, Francesco, Celeste, Lorenzo, Mattia, Kevin, Diletta, Sara, Donia,
Francesca, Gian Marco, Laura, Valentina, i Francesco, Davide, Vittorio, Alessia, Francesco, Gentian, Pietro, Clarissa, Ludovica, Ana, Achraf, Rosa, Giacomo, Andrea, Gloria, Michael, Andrea, Dario, Kevin, Ales-
sia, Francesco. Docenti tutor: Cosetta Checcarelli, Ida Paola Faloia. Dirigente scolastico Giovanni Pace.
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GIOVEDÌ 19 GENNAIO 2012
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Scuola media
Mazzini Magione
Mafia e illegalità game over! Le giovani generazioni si ribellano al crimine. Da protagoniste STOP PIZZO, stop ricatti, stop omertà! La vittoria sulla mafia è finalmente un dato di fatto. L’Italia è libera di gridare vittoria sull’enorme polipo, sulla piovra che da secoli tiene in ostaggio la Sicilia, quel meraviglioso paradiso troppe volte trasformato in inferno. Questa notte le forze dell’ordine hanno catturato gli ultimi tre boss mafiosi, facendo irruzione nel covo di Palermo, in pieno centro: via Libertà, che ospitava l’assemblea assassina, facendo, così, piazza pulita di tutte le nefandezze di cui si erano macchiati. Non se la caveranno per mancanza di prove: le prove esistono e sono schiaccianti. Arresti in tutta Italia, al Sud stroncato grande traffico di droga: 40 fermi; al centro 20 per licenze edilizie firmate da funzionari comunali corrotti; al Nord altri 30 per traffico di prostitute. Si contano più di cento criminali tra uomini d’onore, picciotti e semplici cittadini che per anni hanno alimentato Cosa Nostra in silenzio e omertà. I colpe-
MOSTRO La piovra che tutto inghiotte e minaccia
voli, ancora liberi, si arrendono all’evidenza: non sono mai stati uomini d’onore, nonostante si fossero sempre considerati tali, ma solo uomini senza dignità che nutrivano il mostro diffondendo paura e terrore. Ma il merito della grande vittoria non va solo alle forze dell’ordine che hanno agito
questa notte: grandi colpi alla mafia sono stati sferrati anche da Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oltre che da decine di altri giudici italiani, eroi che hanno sacrificato la vita per proteggere la patria e per permetterle di dormire sonni tranquilli, che hanno contribuito
ad abbattere l’assedio che durava da più di un secolo, liberandola dalle catene che l’hanno intrappolata nell’oscurità senza luce del crimine...ma finalmente luce fu! Una battaglia dura ed estenuante combattuta, però, anche da tutti coloro che sono riusciti a dire no alla corruzione, a chi si è rifiutato di pagare il pizzo, a chi non tollerava più compromessi e illegalità, a chi non voleva più assistere, impotenti, ad attentati e a stragi. Il muro di omertà costruito da Cosa Nostra è stato demolito. D’ora in poi le nuove generazioni conosceranno Cosa Nostra solo nei libri di testo. Cari signori e signore, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, uscite in strada alla luce del sole, formate una folla, ringraziate il Signore, onorate i morti: nulla può più fermarvi, perché finché si starà uniti l’ unico, grande, imbattibile “eroe” saremo noi! Noi sappiamo rialzarci quando cadiamo, asciugarci le lacrime quando piangiamo e abbracciarci nella gioia e nel dolore...questo è un momento di gioia.
ESPERIENZA SUL CAMPO A BORDO DELLA NAVE DELLA LEGALITA’: CRONACA DI UNA GIORNATA
Da Napoli a Palermo contro i soprusi
PROTAGONISTI I giovani redattori a bordo della «Legalità»
IL TRIONFO DELLA LEGALITÀ e il valore della memoria: questi i temi del concorso «Il mondo che vorrei» a cui hanno partecipato, nello scorso maggio, alcune classi terze della nostra scuola guidate dal professore di Educazione Artistica, Claudio Nicoli e dalle insegnanti di Lettere, per testimoniare con convinzione il nostro «no» alla mafia. Ogni classe si è impegnata nella realizzazione di lenzuola dipinte affiancate da slogan capaci di arrivare diritti ai cuori. Non dimenticheremo mai la straordinaria esperienza di un lavoro di gruppo che ci ha portato a raggiungere quei risultati che tanto speravamo di ottenere; infatti la nostra scuola, insieme ad altre due in tutta l’ Umbria, vincendo il concorso, si è guadagnata la presenza simbolica sulla “Nave del-
la Legalità”, in un viaggio da Napoli a Palermo, attraverso quattro nostri compagni, che hanno espresso la solidarietà di tutti i giovani umbri alla lotta contro la piovra... «loro c’erano e noi con loro!». UN TRAGUARDO importante per la nostra scuola, a cui miravamo da almeno due anni, che ha reso fieri tutti noi, gli insegnanti e il preside; una tappa in più, dopo l’incontro, avvenuto tre anni fa, di tutti noi studenti con la professoressa Falcone, sorella del giudice vittima della mafia, ucciso con la sua scorta nell’attentato di Capaci. Una bella soddisfazione, ma soprattutto una grande lezione di vita, che lascerà il segno in ciascuno di noi.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dalla redazione del giornalino scolastico la Zzurla: Michela Mariuccini, Sara Cesarini, Beatrice Minelli, Giulia Locchi, Maria Dorillo, Sara Filugelli, Giulia Poggioni, Alessia Fer-
retti, Lorenzo Rossi, Michele Versiglioni, Alice Gargagli, Sara Tortoioli, Marta Fumanti, Marta Mallamace, Matilde Faraghini, Gabriel Magnini, Sophia Mencarelli, Matteo Trottolini, Chiara Ceci, Lorenzo Ba-
lucani, Lorenzo Locco, coordinati dalle professoresse Lorena Beneduce e Elisa Pietropaoli, il dirigente scolastico è Giuseppe Materia.
LA RIFLESSIONE
Viviamo un sogno... Sarà realtà? LA MAFIA, quel mostro imbattibile, cruento, sanguinario, assassino, con il suo giro d’affari ampio e disonesto non esiste più. Niente più spaccio di stupefacenti, ricatti, pizzo, traffico di esseri umani, prostituzione, appalti corrotti. Stop alla criminalità organizzata,stop alle pallottole vaganti, stop al riciclaggio di denaro sporco...finalmente bambini liberi di giocare in strada, ragazzi dal viso pulito, madri e padri fiduciosi nella giustizia e nello Stato. Niente più soldi utilizzati per combattere Cosa Nostra. E oggi giovani provenienti da ogni parte d’Italia hanno riempito la terra di Sicilia per festeggiare la fine della prepotenza mafiosa. Giovani che sorridono e tengono le braccia aperte verso il cielo. Questi giovani manifestano con fermezza la loro gioia per un sogno che si è finalmente realizzato: la testa velenosa della piovra è stata mozzata...e vorremmo che tutto ciò fosse realtà, vorremmo tutti poter leggere un giorno molto vicino il riscatto di tanti uomini perbene che hanno sacrificato se stessi nella lotta contro “Cosa Nostra”. La strada è lunga ma si arriverà in fondo, lenti inesorabili sono i successi dello Stato, non ultimi i cinque ergastoli per i responsabili della morte del piccolo Giuseppe di Matteo, ucciso e sciolto nell’ acido quindici anni fa. Ma importante è anche l’ aiuto di noi giovani, di tutti i giovani non solo siciliani, che non hanno più paura di dire no alla Cupola.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 24 GENNAIO 2012
Scuola media
Beato Simone Cascia
Ecco sua maestà lo zafferano L’«oro giallo» è un prodotto che ha un forte impatto sul territorio IL PUNTO
La storia Una giornata in archivio LA NOSTRA avventura alla scoperta dello zafferano è iniziata all’archivio storico del Comune di Cascia, dove sono custoditi diversi manoscritti che testimoniano come tra il XIV e il XVI secolo Cascia fosse un centro importantissimo nella produzione e nel commercio della preziosa spezia. E’ probabile che l’economia del libero Comune di Cascia traesse notevoli guadagni dal commercio della spezia, tanto che nella XII rubrica dello Statuto del 1384 vengono elencate le sanzioni da pagare in caso di danneggiamento delle coltivazioni. Un’altra testimonianza importante è del XVI secolo: Cascia fa ormai parte dello Stato Pontificio e intorno al 1540 riceve la visita del funzionario apostolico Cipriano Piccolpasso il quale scrive nella sua relazione al pontefice Pio IV che i casciani traggono molto guadagno dal commercio dello «zafforame». La relazione di Piccolpasso è però uno degli ultimi documenti in cui si parla di zafferano a Cascia; infatti senza un preciso motivo questa spezia non viene più menzionata in nessun documento ed in nessun testo. La più accreditata delle ipotesi è quella che riguarda l’utilizzo dello zafferano come correttore di sapori per quei prodotti che tendevano a deteriorarsi facilmente. E’ probabile che con l’arrivo dalle Americhe di nuovi alimenti a più lunga conservazione si modificò il modo di mangiare della gente e non vi fu più una grande richiesta di zafferano.
CASCIA è una piccola cittadina abitata soprattutto da agricoltori, commercianti e artigiani, non ci sono industrie, ma ciò non significa che non abbia delle ricchezze. Conosciuta come la città di Santa Rita vanta dunque una ricca tradizione spirituale, storica, artistica ed anche gastronomica; infatti da undici anni è la protagonista di un importantissimo evento interamente dedicato allo zafferano. Anche nell’anno appena trascorso, dal 29 ottobre al 1 novembre si è svolta la «Mostra Mercato dello Zaffarame di Cascia» che in questa XI edizione ha fatto registrare un boom di visitatori: le stime parlano di circa 3500 persone giunte a Cascia per assaporare la preziosa spezia. La produzione di zafferano a Cascia è antichissima, vi sono infatti testimonianze già nel XIV secolo, ma l’idea di promuovere questa spezia risale alla fine degli anni ’90 con la ripresa della produzione da parte di alcune aziende agricole che poi hanno dato vita all’ Associazione «Zafferano di Cascia - Zafferano purissimo dell’Umbria», proprio per di-
REPORTER IN ERBA Gli studenti delle classi I A e I B
fendere la tipicità di questo prodotto. Lo zafferano ha bisogno di molto tempo in ogni fase della sua produzione e richiede un grande lavoro manuale: per ottenere un grammo di zafferano occorrono circa 200 fiori, ecco perchè il suo prezzo è come quello dell’oro!
Vi chiederete sicuramente come facciamo ad avere tutte queste informazioni sullo zafferano! Semplice.. anche noi ci siamo tuffati in questo mondo! Siamo andati tutti a studiare, a raccogliere e a mangiare lo zafferano grazie alla disponibilità di alcune persone che ci hanno permesso di fare que-
sta esperienza: il dottor Porena che ci ha accolto all’Archivio Storico del Comune aiutandoci a ricostruire la storia dello zafferano di Cascia attraverso antichissimi manoscritti e le signore Silvana e Geltrude che nella loro azienda agricola ci hanno mostrato ed insegnato tutte le fasi della lavorazione di questo fiore. Abbiamo così avuto l’opportunità di realizzare un lavoro che è stato esposto alla Mostra-Mercato in uno stand completamente gestito da noi ragazzi della prima media di Cascia. Inoltre insieme alle nostre mamme abbiamo preparato dolci allo zafferano che abbiamo offerto ai visitatori. Grazie a questa esperienza abbiamo capito quanto sia importante la produzione dello zafferano per la nostra cittadina e con certezza possiamo dire che lo zafferano è una grande ricchezza che affascina non solo noi abitanti, ma anche i turisti. Per questo motivo noi ragazzi ci impegneremo perchè questa tradizione non si perda nel tempo e cercheremo di garantire a questo fiore il successo che ha oggi.
L’INTERVISTA LA STORIA DI SILVANA E GELTRUDE: COLTIVATRICI PER PASSIONE
«E’ una magia, il fiore cambia colore... » AD OTTOBRE abbiamo fatto un’uscita didattica a Civita di Cascia per avere delle notizie sullo zafferano. Ci hanno accolto nella loro azienda agricola Silvana e Geltrude che, molto cordialmente, ci hanno dato informazioni su questo prezioso fiore ed hanno soddisfatto la nostra curiosità permettendoci di realizzare l’intervista. Signora Silvana, come e quando le è nata la passione per lo zafferano?
«Nel 1999 è partita un’iniziativa della Provincia per reintrodurre la coltivazione di prodotti di nicchia, quali lo zafferano. Con l’aiuto del Comune e grazie alla condivisione di idee e di sogni con il dottor Porena che in archivio aveva trovato antichi documenti riguardanti lo zafferano, ho aderito al progetto». ORO GIALLO Lo zafferano: storia e business
Perchè le piace coltivare lo zafferano?
«Lo zafferano è un innamorato che dà appunta-
mento nelle fredde mattine d’ottobre; trovare il campo pieno di fiori è una gioia immensa ed è bello chinarsi a raccoglierli. Oggi non conosciamo più il senso del chinarsi sulla terra, ma è questo un gesto di grande umiltà che porta ricchezza. Lo zafferano poi è una magia: cambia il suo colore se immerso nell’acqua e il suo fiore contrasta con il paesaggio invernale in cui fiorisce». E’ impegnativo coltivare lo zafferano?
«Non è complicato, ma richiede tenacia e fatica fisica durante la semina, nelle calde giornate d’agosto, e durante la raccolta con tempi molto serrati per non deteriorarne il fiore». Avrebbe mai immaginato da bambina di diventare coltivatrice di zafferano?
«No. Sono nata e cresciuta a Roma. Avevo altri progetti, ma ho sempre avuto un amore profondo e un grande rispetto per la terra. Non ho rimpianti».
LA REDAZIONE Angelini Jacopo, Aramini Nicolas, Bigotti Giulio, Colasanti Emma, Del Marro Agnese, Demofonti Alessandro, Di Crescenzio Kristina, Di Porzio Alessia, Flammini Elisa, Giacomini Azzurra, Islami Destan, Na-
varro Leon Kevin, Pascucci Armando, Pettaccio Giulia, Rasi Laura, Recchi Gioele, Serban Janut Gabriel, Soni Pintu, Benedetti Francesca, Cherubini Martina, Chiaretti Fabrizio, Del Marro Andrea, Di Curzio Mat-
teo, Di Pasquale Lucrezia, Giulivi Elias, Kadrii Ilzana, Loretucci Manuel, Marrazzo Sara, Miarelli Rita, Moretti Natalia, Piconi Moreno, Santini Serena, Sciattella Alessio, Simoni Valerio, Veliji Arb.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 24 GENNAIO 2012
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Scuola media
Vera Amelia
1944: quella bomba sul cuore Amelia ricorda ancora la tragica giornata di sangue e distruzione IL GIORNO 25 gennaio tutti gli anni ad Amelia, nella nostra piccola città, si ricorda l’anniversario del bombardamento che è avvenuto proprio in questo giorno del 1944 durante la seconda guerra mondiale. Sembrava una giornata come le altre, ogni tanto si sentivano gli aerei passare, il popolo amerino si era ormai abituato, generalmente non avveniva niente di grave. I bambini erano andati normalmente a scuola. Qualcuno di loro quel giorno era assente e più tardi scoprì che era stata una fortuna. A metà mattinata, verso le ore 10.00, dopo il passaggio a bassa quota di alcuni aerei caccia B29 delle truppe anglo-americane, si udì un boato assordante, tutti uscirono dalle loro case per vedere cosa fosse accaduto. ARRIVATI sul posto si trovarono davanti una scena agghiacciante. La chiesa di Santa Elisabetta e l’annessa scuola femminile delle maestre Pie Venerini, erano state bombardate; la chiesa quasi scomparsa, macerie ovunque, persone urlanti e ferite, genitori in lacri-
TESTIMONIANZE
«Il rombo degli aerei... Poi la morte» I REPORTER Un po’ giornalisti un po’ appassionati di storia
me che cercavano le loro bambine tra le rovine e tanta polvere. Il bilancio della tragedia fu di diciassette morti: dodici alunne, che non avendo ascoltato l’ordine delle suore di recarsi nella legnaia si erano dirette all’esterno, prese dal panico, proprio nell’attimo in cui la bomba era caduta nell’atrio della scuola, la direttrice Jole Orsini a cui oggi è dedicata la scuola primaria successivamente costruita, un operaio e tre suore. Ma perché gli alleati avevano sganciato la bomba? Era stato un tragico errore: quel giorno i solda-
ti americani avevano intenzione di bombardare il ponte “Grande” che fungeva da collegamento con i paesini circostanti e soprattutto era posto sulla strada per Orvieto, importante tramite per il trasporto delle armi dei tedeschi che si stavano ritirando verso il nord della penisola. E invece la bomba letale era andata a colpire nel cuore due edifici simbolo della città. Ancora oggi i testimoni viventi raccontano a noi giovani con sgomento che quando sentono il rumore di un aereo hanno paura e si
commuovono ripensando all’attimo in cui hanno perso le persone a loro care. Domani come tutti gli anni, la rievocazione del bombardamento avverrà con una fiaccolata pubblica preceduta dal suono di una sirena e da una celebrazione liturgica nella chiesa di Santa Lucia, ricostruita sulle rovine dell’edificio precedente. Per noi è molto importante che venga ricordato questo avvenimento per non dimenticare una tragedia che rimarrà scritta per sempre nella storia della nostra città e nei cuori dei suoi abitanti.
LA STORIA GLI STUDENTI VISITANO I LUOGHI DELLA MEMORIA E RIFLETTONO...
Nei campi di sterminio per non dimenticare IL 27 GENNAIO 1945, gli americani e i sovietici liberarono gli ebrei rinchiusi nel campo di concentramento di Auschwitz; quest’anno si celebra il 67˚ anniversario di questo evento, in questi giorni molti paesi europei ricordano tutte le persone innocenti, morte a causa della persecuzione inflitta da Hitler. I campi di concentramento non ghettizzavano solo gli ebrei, ma anche gli zingari, le persone di colore, gli omosessuali, i disabili. Questi campi si trovavano in varie zone d’Europa; in Italia, Mussolini fece realizzare dei campi di lavoro, ma esisteva anche un campo di smistamento-sterminio a Trieste. LA LAPIDE In onore dei caduti della guerra
I RAGAZZI della 3˚B sono andati, in occasione dei 150 anni dall’unità d’Italia,nella prima capitale: Torino. In questa magnifica città han-
no potuto visitare la mole Antonelliana,edificata inizialmente come luogo di culto per gli ebrei (il governo Cavour sanciva la libertà di religione). Hanno visto anche la “Torre Littoria”da cui Mussolini ha fatto il discorso sulla discriminazione ebrea: un passo indietro sul rispetto dei diritti umani. IL RICORDO dello sterminio scuote le nostre coscienze perché ci rendiamo conto di essere quello che siamo per quello che siamo stati. Questo è l’obiettivo dello studio della storia. Ma il ricordo da solo non può bastare se non capiamo che la memoria non è soltanto ciò che è accaduto, ma anche ciò che accade oggi: sapete perché? Perché la storia siamo noi.
LA REDAZIONE LA SEGUENTE PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Augusto Vera» di Amelia. Hanno partecipato alla stesura dei pezzi i ragazzi delle classi III B e III D coordinati dall’insegnante tu-
tor Carla Egizi. La scuola è diretta dalla preside Graziella Cacafave. La scuola ha partecipato a tutte le edizioni del campionato di giornalismo. Le foto sono state prodotte dagli studenti. Un grup-
po di loro ha visitato, durante un viaggio didattico, la prima capitale d’Italia, Torino, alla ricerca di alcuni monumenti simbolo della loro inchiesta.
GRAZIE al concorso regionale «Le Pietre della Memoria», ci siamo messi a contatto diretto con la memoria di testimoni che in prima persona hanno vissuto le tragiche esperienze delle Guerre e del bombardamento alle scuole Pie Venerini della nostra città. Abbiamo quindi intervistato alcuni nostri nonni che ci hanno riportato indietro nel tempo facendoci rivivere le loro emozioni. Cosa ricorda del giorno del bombardamento di Amelia? «Tornai dal lavoro la mattina presto. Vivevo nel palazzo di fronte alla scuola elementare delle Maestre Pie Venerini. D’improvviso sentii come un tuono e mi svegliai. Affacciandomi dalla finestra mi accorsi che la chiesa di S.Lucia era crollata e, insieme a lei, anche la scuola elementare. Ero preoccupato, poiché lì dentro c’era anche la figlia di mia sorella. Corsi giù in piazza. Cercai tra le macerie e la trovai ferita e di corsa la portai in ospedale. L’impressione fu terribile. Il ricordo indelebile». (Arsenio Mucca) «Ritornavo dalla scuola di Croce d’Alvo dove insegnavo nel fiore dei miei 20 anni. All’improvviso il rombo degli aerei, uscii in strada e li vidi carichi di bombe. Non feci in tempo a rientrare che le sganciarono; la terra tremava sotto i piedi e risuonarono boati e grida. Mia madre mi venne incontro e ci dirigemmo verso casa. La chiesa di S.Lucia non c’era più, così come la scuola». (Maria Luisa Chieruzzi)
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 26 GENNAIO 2012
Scuola media
Storelli Gualdo Gualdo Tadino Tadino
Daria, manager della ceramica La Rubboli fu tra le prime donne imprenditrici e ‘maestra del terzo fuoco’ IL CERVELLO
Cinzia: la scienziata anticancro IL 15 GENNAIO il Comune ha assegnato alla sua concittadina, Cinzia Allegrucci, il premio «Beato Angelo» come prestigioso riconoscimento al suo lavoro svolto nell’ambito della ricerca scientifica. Cinzia è nata a Gualdo Tadino e si è laureata a Perugia in chimica e tecnologie farmaceutiche. Dopo il dottorato di ricerca, ha lavorato in Spagna, in Svezia e negli USA. Nel 2007 è entrata a far parte dell’Istituto di genetica dell’Università di Nottingham, in Inghilterra, dove nel 2009 ha avuto l’incarico di docente presso la facoltà di medicina e scienze della salute. Allegrucci, specializzata in biologia cellulare e genetica molecolare, insieme al suo team di ricercatori, ha scoperto una modalità di trasformazione delle cellule cancerogene maligne in benigne, bloccandone la diffusione nell’organismo. Questa importante intuizione dà una speranza di vita ai malati di cancro. L’approccio rivoluzionario funziona utilizzando proteine estratte dalla salamandra. Nel 100% dei test, eseguiti sugli animali, l’iniezione di queste proteine blocca lo sviluppo del tumore e il suo diffondersi. Questa ricerca porterà a nuovi trattamenti anticancro con tecniche di riprogrammazione cellulare. Esprimiamo con orgoglio tutto l’apprezzamento e la gratitudine a questa giovane ricercatrice gualdese che, a soli 42 anni, ha già lasciato un’impronta significativa ed è esempio di determinazione, intraprendenza e capacità di raggiungimento degli obiettivi.
ALLA DONNA è sempre stato riconosciuto un ruolo secondario rispetto all’uomo nel lavoro, nella storia, nella letteratura, nell’arte e nella cultura in genere. A causa della mentalità dell’epoca passata, non è stato facile al gentil sesso mostrare il proprio valore. Ora, nel III millennio, finalmente, si ammette il merito del suo operato e non c’è luogo dove non emergano o non siano emerse grandi personalità femminili. Noi alunni, mentre facevamo una ricerca per un concorso, che aveva come protagonista la donna nel nostro territorio, ne abbiamo scoperte due che ci sono parse particolarmente interessanti: Daria Rubboli e Cinzia Allegrucci. Daria Rubboli, caso quasi unico di imprenditrice di fine Ottocento in Umbria ed immagine della donna lavoratrice in un periodo in cui il lavoro femminile era sommerso e socialmente invisibile, ci ha colpito per le sue doti artistiche e per sua energia. Daria nasce nel 1852, nel momen-
REPORTER Gli studenti della Storelli sulle orme delle grandi donne
to più intenso della costruzione dello Stato italiano. Quando gli Italiani festeggiano Roma capitale d’Italia, incontra a Fabriano, suo luogo nativo, Paolo Rubboli, che sposa e con il quale ha tre figli. Paolo la coinvolge nel suo lavoro di ceramista e la fa partecipe dei suoi segreti nell’arte della ma-
iolica a lustro. Insieme danno vita ad un’impresa di ceramica a Gualdo Tadino, dove si trasferiscono nel 1878. Dopo la morte del marito, avvenuta improvvisamente nel 1890, l’ unica preoccupazione di Daria è la crescita dei figli e dell’opificio. Inizia così l’ attività dell’imprenditrice donna in un
momento storico che vedeva la figura femminile sottomessa e relegata alle pareti domestiche. Al tempo della Grande Guerra viene costruita la ditta Daria Rubboli e figli con il suo nome scritto per esteso come riconoscimento al suo importante ruolo imprenditoriale. Daria muore nel dicembre del 1929. I suoi concittadini vollero che nei manifesti fosse scritto: «Daria Rubboli, maestra del terzo fuoco». La famiglia Rubboli le deve tutto e così la nostra città perché ha permesso la sopravvivenza di tecniche straordinarie nella decorazione a riverbero che hanno cambiato il destino ceramico di un paese. Il segreto del colore iridato dei Rubboli è stato tramandato da madre a figli e nipoti; ora è custodito da Maurizio Tittarelli Rubboli, pronipote di Daria, il quale ci ha detto che è in corso di allestimento il museo Fondazione Rubboli e che alcune opere della sua famiglia sono esposte al Louvre a testimonianza della ceramica iridata italiana.
L’INTERVISTA IL PROFESSOR MAURIZIO TITTARELLI RUBBOLI CI PARLA DELLA BISNONNA
«Per anni tenne nascosta la sua identità» PER CONOSCERE meglio la figura di Daria abbiamo incontrato il pronipote, il professor Maurizio Tittarelli Rubboli. Attraverso i suoi racconti, ci siamo «immersi» nella storia umana e professionale di questa donna eccezionale. Ecco alcuni passi della nostra intervista. «Chi è Daria Rubboli»?
«Daria è uno di quei piccoli, ma grandissimi personaggi che rimangono un po’ nell’ombra, come quelle figure nei quadri del Seicento che fanno sempre da sottofondo ai più grandi. E’, però, un personaggio importantissimo per Gualdo Tadino perché ha portato avanti la tradizione della ceramica iridata». ATTESTATO Il diploma della Rubboli
Quando iniziò il ruolo di imprenditrice della sua bisnonna?
«Dopo la morte del marito; però conservò quasi nascosta la sua identità, anche quando, nel 1899, vinse un premio importantissimo, la medaglia d’oro per la ceramica iridata all’Esposizione di Perugia. Nella pergamena del suo diploma c’è scritto il nome Dario con aggiunto un segnettino a penna. Evidentemente la Commissione, resasi conto che il vincitore era una donna, aveva trasformato il nome in Daria». Come mai non si firmava mai con il suo nome per esteso?
«Quelli di Daria erano momenti difficili per una donna, non c’era nessun sentore di emancipazione. All’inizio della sua attività, aveva tenuto l’ identità nascosta perché essere donna nel suo periodo poteva risultare scomodo per portare avanti un’imprenditoria».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli alunni delle classi prime e seconde: Cossa Alessandra (I A), Chiocci Melissa, Mariotti Luca, Minelli Gabriele, Passeri Matteo, Santinelli Alessandro ( I B), Diallo Bilghissou,
Rudnytska Violeta, Scassellati Michele, Siliberto Giulia, Toteri Marco (I F), Cencetti Asia, Cioccoloni Leonardo, Fortini Giulia, Frillici Beatrice, Ibrahim Angelo, Llulla Elion, Mancini Gabriele, Ricci Sara, Rondo-
ni Nicola, Sborzacchi Sara, Zeni Antonio (II A), Ascani Anna, Marcacci Alisia (II B), coordinati dalle professoresse Ascani Nadia, Guerra Rosanna, Mariani Giuliana. La dirigente scolastica è Maria Marinangeli.
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GIOVEDÌ 26 GENNAIO 2012
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Scuola media
Trabalza Bevagna Bevagna
L’ uomo? Un eterno «viator» Il viaggio è una componente fondamentale del nostro Dna FIN DAGLI ALBORI l’umanità ha solcato ogni via di comunicazione esistente per diversi motivi. Anche l’arte si è impossessata del viaggio, divenuto metafora dell’esistenza e della curiosità umane. Il simbolo più amato e ripreso dai poeti di tutte le epoche è senz’altro Ulisse, che viaggiava per una maledizione che lo spingeva lontano dalla sua terra ed ebbe così l’occasione di vivere molte esperienze avventurose e conoscere tante persone. Nel Medioevo non erano soltanto i pellegrini a rischiare la vita per giungere in terre lontane e acquistare la salvezza dell’anima; Marco Polo, ad esempio, compì un tragitto lunghissimo fino ad arrivare in Cina e quindi scoprire una civiltà prospera ed affascinante con cui stringere relazioni commerciali. Nell’età moderna il viaggio si connotò di un forte significato economico: infatti la “scoperta” dell’America da parte di Cristoforo Colombo portò all’Europa molti vantaggi economici, grazie alle
li che, come Goethe, valicavano le Alpi lasciando le loro fredde terre alla scoperta delle bellezze storico-artistico-naturalistiche dell’Italia. Erano viaggi dal sapore romantico e dai ritmi molto lenti che permettevano a chi li compiva di “respirare” i luoghi che visitava.
Si’ VIAGGIARE Ora va di moda il «mordi e fuggi»
numerose risorse che il Paese custodiva, ma causò anche allo sterminio di intere popolazioni indigene. QUESTA MENTALITÀ aggressiva si sviluppò nei secoli fino a giungere alla spartizione di interi continenti da parte degli Stati
colonialisti. Fortunatamente c’era anche chi viaggiava spinto da nobili impulsi: esploratori, naturalisti, antropologi inaugurarono tragitti inesplorati in nome della scienza. Anche la cultura forniva un’importante motivazione: nel XIX secolo si intensificarono i grand tour da parte di intellettua-
OGGI INVECE si viaggia diversamente: le nostre vite affannate permettono esperienze alla “mordi e fuggi”, rapide e un po’ superficiali, che lasciano un mare di scatti fotografici ma, forse, poche emozioni profonde e durevoli. Però, nonostante questo, l’uomo continua a viaggiare per aprire la mente e conoscere modi di vivere, realtà e persone diverse e poter così riflettere su pregiudizi e stereotipi errati. Infatti, solo attraverso l’esperienza diretta di ciò che si ritiene lontano da sè, si può apprezzare la diversità etnica come patrimonio comune a tutta l’umanità. Viaggiare rende più tolleranti e maturi perché accresce l’autonomia e la libertà intellettuale.
L’ESPERIENZA GLI STUDENTI IN TRASFERTA A VERBANIA PER UN’ESIBIZIONE CANORA
Musica senza confini e a mente aperta
ENSAMBLE L’esultanza per la vittoria a Verbania
L’ENSAMBLE di musica medievale di Bevagna è da tempo una realtà prestigiosa. Nato nel 1992 dall’idea del professore e musicista Filippo Salemmi, è composto da un affiatato gruppo di alunni della scuola del nostro Istituto, accomunati dalla stessa passione: la musica e il canto. Le nostre esibizioni, dirette dallo stesso maestro Filippo, sono sempre accolte da consensi e riconoscimenti significativi perché offrono uno spettacolo appassionante che riporta indietro nel tempo fino al Medioevo. L’anno scorso abbiamo partecipato al concorso nazionale «Insieme per suonare, cantare, danzare 2011», a Verbania, vincendo la competizione. Tutte le esperienze che abbiamo avuto modo di fare in tante città d’Italia ci hanno offerto la possibilità di conoscere luoghi e persone diverse e di vivere momenti indimenticabili insieme ai nostri amici. Abbiamo posto alcune domande al maestro Salemmi.
Che soddisfazione le ha fatto, vincere a Verbania l’anno scorso? E’ stato veramente un bel successo e una grande soddisfazione per la scuola, per i ragazzi e anche per me, come direttore. Abbiamo ottenuto il primo premio con un punteggio di 100/100 e una borsa di studio. E’ un importante riconoscimento per il grande lavoro fatto in questi anni e una spinta a proseguire su questa strada. E questo anno? Spero che si potrà realizzare un’esperienza a Santiago de Compostela, dove terremo un concerto nell’auditorium dell’Università ed eseguiremo, in particolare, alcuni brani estratti dal «Llivre Vermell», un testo musicale di origine spagnola contenente brani medievali che fanno riferimenti specifici al pellegrinaggio a Santiago. Sono certo che potrà essere una bella esperienza per tutti. Cosa può dare la musica all’umanità in generale e soprattutto ai giovani? Può, in un certo senso, far viaggiare, aprendo le menti?
LA REDAZIONE QUESTA PAGINA è stata realizzata dagli alunni delle classi III A e III B della scuola secondaria di primo grado di Bevagna, coordinati dalla professoressa Antonella
Rossiello, che ha poi indirizzato il lavoro degli studenti. Il dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo «Ugo Marini», è la dottoressa Mirella Palmucci.
La scuola media Trabalza ha partecipato a tutte le edizioni del campionato di giornalismo. A corredo dell’inchiesta ha prodotto una foto e una vignetta realizzata dai ragazzi.
IL PUNTO
Vademecum per vacanze risparmiose RISPARMIARE è la parola d’ordine in questo angosciante tempo di crisi, in cui si devono evitare spese inutili e perciò le scelte si fanno più attente. Secondo noi viaggiare è un’ottima esperienza formativa per i giovani. I genitori dovrebbero considerare il viaggio come uno strumento che potrà servire ai figli quando si troveranno alla ricerca di un lavoro. Per questo motivo è importante sfruttare le opportunità che offre oggi la scuola, come le vacanzestudio, il progetto Leonardo, che prevede stages gratuiti all’estero, gli scambi culturali e così via. Infine, ci sono comportamenti da seguire per evitare salassi: per prima cosa documentatevi bene sulla vostra destinazione, progettando un itinerario di visita prima di partire: internet offre un mare di informazioni, dalle più semplici a quelle più approfondite. Per rendere significativa l’esperienza, inserite nella lista un museo, come pure edifici di valore storico-artistico. Non è necessario che viaggiate in top class: oggi si può risparmiare molto con voli “low cost” e strutture come ostelli o bed&breakfast sono di solito confortevoli. Una volta lì, trovate il tempo per fermarvi a respirare l’atmosfera: seduti su una panchina, concentratevi ed osservate le persone, il loro modo di muoversi e di relazionarsi, per cogliere informazioni interessanti. Soprattutto, sforzatevi di parlare il più possibile per esercitare la lingua: è l’esercizio migliore!
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CAMPIONATO GIORNALISMO
MARTEDÌ 31 GENNAIO 2012
Scuola media
Antonietti Bastia Bastia
Occhio al prepotente del web Il fenomeno è in aumento e adesso compare anche il cyberbullo «ATTENTI ONLINE»
Un sito utile per non cadere nelle trappole QUANDO in classe abbiamo aperto i depliant blu della Regione Umbria, ci è sembrato veramente di non essere più soli con i nostri problemi di internauti, cioè di naviganti di Internet. Nella nostra classe le tecnologie sono state sempre delle risorse a portata di mano, perché siamo una Cl@sse2.0, cioè una classe che utilizza quotidianamente le tecnologie per l’apprendimento. Mentre però a scuola abbiamo accanto i nostri professori, che fanno di tutto per evitarci qualsiasi disavventura nel web, a casa ci troviamo spesso da soli ad affrontare questa «giungla» incantevole, ma anche pericolosa. La nostra regione, perciò, insieme all’Ufficio scolastico regionale, ci ha messo a disposizione un ambiente virtuale chiamato «Attenti Online» dove possiamo trovare tantissimi consigli su come utilizzare senza pericoli Internet. Il sito ci è piaciuto molto perché è semplice, chiaro e allegro, anche se affronta argomenti seri e complessi. Ci sono vari link: uno ci aiuta a comprendere meglio tutti quei termini che ogni giorno incontriamo nel web, uno ci aiuta a navigare in modo consapevole, un altro ci spiega cos’è la privacy ed infine ce n’è uno anche dedicato ai nostri genitori. Oltre a ciò ci sono tante altre notizie interessanti, che subito siamo andati a leggere, come «Il web a dieta» e «Noi non abbocchiamo!». Di cosa trattano? Venite anche voi a scoprirlo su www.attentionline. it !
SOLO IERI il bullo umiliava e intimidiva i nostri coetanei nei corridoi delle scuole e tutti ormai lo conoscevano e sapevano come affrontarlo. Pochi però sanno che oggi il bullismo ha subito una vera e propria trasformazione.Le nuove tecnologie ci hanno regalato un diverso modo di partecipare e di socializzare, tanto che siamo chiamati «nativi digitali» proprio perché le padroneggiamo come una lingua madre. Siamo anche definiti «generazione sempre connessa» perché stiamo di continuo davanti ad un pc, usiamo cellulari o smartphone. Così ci è sfuggito che l’evolversi delle tecnologie nascondeva dietro la sua facciata un lato oscuro: il cyberbullismo, il bullismo informatico. Cyberbullo è chi si nasconde nelle comunità virtuali, nelle chat, nei forum, nella posta elettronica e naturalmente nei cellulari. Mette su YouTube video imbarazzanti, bombarda la vittima con sms volgari e minacciosi, invia e-mail con insulti e usa i social network per offende-
CYBERBULLISMO La violenza adesso corre anche su internet
re. Il cyberbullismo è molto più crudele del bullismo: ci colpisce nella nostra intimità e ci fa sentire impotenti perché non sappiamo come difenderci. Il cyberbullo si cela, infatti, dietro l’anonimato e colpisce all’improvviso, così la sua azione diventa ancora più terribile per chi la subisce. Analiz-
zando questo fenomeno, abbiamo scoperto che molti di noi avevano già subito cyber-prepotenze, ma si erano tenuto nascosto tutto dentro. I RISULTATI della ricerca Eu Kids Online su 25.000 ragazzi in 25 paesi europei, hanno evidenzia-
to che il 41% di loro aveva subito un atto di cyberbullismo e il 12% ne aveva tratto un danno reale. Nella 12˚ Indagine nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza di Telefono Azzurro ed Eurispes (2011) è poi emerso che1/5 dei ragazzi intervistati erano stati calunniati con informazioni false sul proprio conto e il 15,4% aveva ricevuto messaggi, foto o video offensivi e umilianti. Come abbiamo poi verificato dalla nostra esperienza, il 22,3% delle vittime non parla con nessuno, il 29,2% si confida con un amico che, però non sa dare consigli utili, e solo il 10,1% sceglie di parlare con un genitore. Quindi dobbiamo stare attenti quando cyber-comunichiamo e, se siamo cyber-aggrediti, non dobbiamo tenerci tutto dentro, ma parlarne con una persona fidata perché anche un cyberbullo può essere trovato, affrontato e denunciato: chi domina gli altri sarà pure forte, ma solo chi ha il coraggio di combattere e non mollare è potente
L’INTERVISTA PARLANO I VERTICI DELLA FORINICOM, AZIENDA CHE OPERA NELLE TELECOMUNICAZIONI
«La Polizia postale sulle orme del colpevole»
ESPERTO Il dottor Marinangeli della Forinicom
INTERNET fa ormai parte della nostra vita, ma, come la ragnatela di un ragno, è allo stesso tempo affascinante e pericoloso. Abbiamo chiesto così al dottor Piermarini, direttore della Forinicom, azienda umbra che opera nel settore delle telecomunicazioni, di aiutarci a non «cadere nella rete» dei cyberbulli. «Il web è una platea illimitata di spettatori che danno gloria al bullo e ridono della vittima. Non dovete uniformarvi ad essere lo spettatore che avvalla un comportamento sbagliato, perché così lo rendete più forte e più importante!», ci ha raccomandato Piermarini. Come è possibile scovare il cyberbullo? Il dottor Marinangeli, responsabile dell’area Web ci ha risposto che, quando ci connettiamo, lascia-
mo molte tracce, per esempio Facebook registra tutto ciò che facciamo e crea un profilo di ognuno di noi. «Ogni utente ha un IP che lo identifica e permette di tracciare tutte le sue attività. Chi prende i nostri dati e li diffonde senza permesso commette un reato, così come fa chi scarica film o musica. La Polizia Postale allora per mezzo di aziende come la nostra, che hanno l’obbligo di salvare i dati dei propri clienti, risale al colpevole». Il dottor Piermarini ci ha anche detto che dobbiamo, però, imparare a difenderci da soli:«Non dovete fornire i vostri dati personali, né rispondere a messaggi anonimi, né dare confidenza a persone sconosciute e, soprattutto, chiedete sempre aiuto agli adulti. L’importante — ha concluso — è fare scelte consapevoli e usare in modo responsabile e critico le nuove tecnologie».
LA REDAZIONE LA SEGUENTE PAGINA è stata realizzata dai ragazzi della III G: Apostolico Leonardo, Aristei Francesco, Aristei Ylenia, Bevilacqua Marco, Bocciolini Valeria, Bonacci Erika, Busciantella Federico, Butu Tedy,
Canestri Nicola, Cerqueto Rita, Comotti Riccardo, Durante Riccardo, Frunza Sabina, Galoppini Alberto, Granocchia Lucia, Lombardi Martina, Manuali Filippo, Menerella Mara, Morra Damiano, Parrini Auro-
ra,Quarta Agnese, Rosati Gabriele, Roscini matteo, Rossi Nicholas, Sbraletta Gaia, Tizi Nicolò, Tomassini Aurora. Insegnante tutor Margherita Ventura; il preside è Lucio Raspa.
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MARTEDÌ 31 GENNAIO 2012
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Scuola media
Fra’ Ludovico Pietralunga Pietralunga
Ecco la «cittadella energetica» L’Istituto si è trasformato in un’isola ecologica rispettosa dell’ambiente NOI ALUNNI della classe II B della scuola di Pietralunga, abbiamo deciso di parlarvi del nostro paese e di illustrarvi le sue fonti di energia alternative. Abbiamo intervistato gli esperti del settore e il sindaco Ceci, raccogliendo informazioni e materiale per conoscere i progetti in merito, attuati e futuri. Il sindaco ci ha informati di come per rispettare «Il patto di solidarietà» tra Comuni sia necessario ridurre le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020 e diminuire progressivamente, partendo proprio dal riscaldamento degli edifici comunali, l’utilizzo dei derivati del petrolio, come il gasolio, fonte energetica non rinnovabile e sempre più costosa. Nasce in questa ottica il progetto dell’impianto fotovoltaico “la Cittadella energetica” per cui sono stati impiantati 384 pannelli fotovoltaici sul tetto della scuola e della palestra. Già sapevamo che la nostra scuola è ben esposta ai raggi solari, ora possiamo dire che questo ci aiuta a risparmiare. Infatti il pannello fotovoltaico
ALTERNATIVO Il Fra’ Ludovico si alimenta con il fotovoltaico
converte l’energia solare in energia elettrica, dando un cospicuo risparmio e producendo più energia di quella utilizzata. I 280 pannelli sulla palestra sono montati su delle strutture triangolari che garantiscono un orientamento ottimale. Per i 104 sul tetto della scuola sono stati usati profilati.
Ogni pannello è composto da: silicio, vetro, metalli e componenti elettrici. Circa il 95% del peso del pannello è composto da materiali “nobili” cioè riciclabili. Anche se di fatto la produttività dei pannelli ha una durata di almeno venti anni e sono composti da materiali non dannosi per l’ambiente.
Il sindaco ci ha poi detto che il comune di Pietralunga è l’unico in Umbria a far parte dell’associazione «Borghi autentici» e che esistono anche altri accordi tra vari Comuni grazie a cui, entro la fine dell’anno, potranno essere presentati altri progetti per ricevere finanziamenti dall’Unione Europea con ulteriori applicazioni delle energie alternative. Inoltre, entro aprile, partirà la raccolta differenziata porta a porta e siamo tutti invitati a prendervi parte attiva nell’aver cura di separare i nostri rifiuti. Perciò anche noi ragazzi potremo avere un ruolo nella riuscita del progetto. Dobbiamo tutti dare il nostro contributo e produrre meno rifiuti, riempiendo le bottiglie di plastica e vetro al nostro nuovo distributore d’acqua inaugurato a Dicembre. Tutti questi sono degli esempi di come tutelare il nostro territorio, perché, oltre alle parole che vengono dette o scritte, quello che conta veramente sono anche i piccoli gesti e la sensibilità nei confronti del pianeta che abitiamo
PROGETTO PROBIO STUDENTI AL LAVORO PER PRODUZIONI A «CHILOMETRO ZERO»
La scuola? Un orto da coltivare e mangiare
GENUINE Marmellate ricavate dalla frutta dell’orto didattico
DALLE RISORSE dell’energia «naturale» ai prodotti della terra: la nostra scuola offre un esempio di produzione nostrale, davvero a km 0! Dal 2010, è attivo il progetto di un orto biologico, nato dalla creatività degli alunni della I media e della IV elementare, intervistati da noi.Tutto iniziò dalla curiosità per l’agricoltura manifestata dagli alunni, affascinati dall’arte dei nostri nonni nel maneggiare attrezzi e coltivare la terra. Le insegnanti diedero così vita al progetto «la scuola un orto da coltivare» con l’ausilio del Comune e della Comunità Montana. I bambini cominciarono a dedicarsi al lavoro; muniti di attrezzi e stivali «con la testa sotto al sole e le mani sulla terra» preparararono il terreno, piantando i primi semi. Mese dopo mese l’orto si arricchiva di ortaggi e diventava sempre più rigoglioso. Divenne un’abitudine: quasi tutti i giorni
andavano a prendersi cura delle loro piantine occupandosene sempre più con determinazione. Il lavoro fu duro e impegnativo, ma la soddisfazione di vedere quei piccoli semi diventare piante fu grandissima. LA GIOIA più grande fu quando venne il momento di raccogliere i primi frutti che finirono dritti sui nostri piatti, cucinati dalle cuoche della mensa. Infine vennero allestite, con gran successo, delle bancarelle durante le feste paesane (festa del Tartufo e della Patata). Dopo due anni, i ragazzi ricordano entusiasti: «Abbiamo imparato a seminare, zappare, raccogliere, ma, soprattutto, ad avere pazienza: è stata una bellissima esperienza che ci ha insegnato come da un piccolo seme cresca una grande pianta!».
LA REDAZIONE La pagina è stata realizzata dalla classe II B: Angeloni Daniele, Anghel Corina Ionela, Arnone Leonardo, Bei Nicolas, Casamento Sara, Clementi Lorenzo, Dimovic David, Cèline Duranti, El Kalil Adil, Girelli
Michele, Granci Alexandro, Kamil Souhail, Khouioudi Imed, Marconi M. Letizia, Marsili Gionata, Ortali Costanza, Pierini Francesco, Troina Naima Dora, Vignati Viola. Hanno contribuito la classe I B della scuo-
la media e IV B della scuola primaria, coordinati della professoressa Angela Albizi. L’istituto comprensivo è diretto da Gabriella Bartocci.
SOSTENIBILITA’
Dal sole al bosco: energia pulita I DUE TERZI del territorio del Comune di Pietralunga sono ricoperti da boschi, che noi possiamo sfruttare e da tanto ci riscaldano nei freddi inverni: un esteso patrimonio boschivo di 3.900 ettari. Grazie a queste risorse naturali, con il progetto pilota della «Filiera legno- energia», è arrivata l’alternativa energetica per il riscaldamento della nostra scuola. Dal 2007 è infatti in funzione l’impianto della centrale termica a biomasse, che riscalda la scuola e la palestra e che abbiamo visitato con il geometra Ruggeri e l’ex sindaco Sborzacchi. La centrale termica è stata realizzata nella parte retrostante gli edifici del complesso scolastico. La caldaia è come una grande stufa, alimentata però con il cippato, cioè scarti di legname e ramaglie, ridotti in scaglie di lunghezza da 2-7 cm, che arrivano al vano caldaia, da un deposito di stoccaggio (silo), attraverso un sistema di coclee (viti senza fine). Con legna e cippato l’energia è pulita, mentre con il gasolio, all’anno venivano emessi 60.000 kg di CO2 in più: ora, con il cippato, l’inquinamento è dimezzato e si calcola all’anno un risparmio di oltre 20 mila euro. Dunque il costo sostenuto per l’impianto si è praticamente. Questo intervento è stato molto gradito dalla popolazione di Pietralunga, sia per il fatto che il cippato è un combustibile eco-sostenibile e locale, sia perché è molto economico.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2012
Scuola media
De Gasperi Norcia Norcia
I più piccoli sorridono ancora Il difficile rapporto tra giovani e società. Benvenuti a Bimbolandia... LA RIFLESSIONE
«Vorrei tornare a essere spensierato» MI RIVOLGO alla tua culla. Vorrei tornare il bambino di una volta, spensierato e senza pesi sulla coscienza, trascorrendo le giornate alla luce del sole e in armonia con la natura. Io, legale di grande esperienza e lustro, ho appena vinto una causa molto complessa e delicata. Ed eccomi da Te per staccare la spina dalla vita frenetica e stressante, ed entrare così in un luogo ove la fantasia è l’unico caso da studiare. Qui, nel mio cuore, ritrovo la parte più vera e giusta di me, scansando quella parte faziosa ed artefatta che il canovaccio della società m’impone di recitare. Solo con Te riesco ad esprimermi incurante di codici, procedure e tanto meno di sentenze senza appello: per Te il sorriso è legge e «il sorriso è uguale per tutti». Mi manca la tua visione dolce e colorata del mondo, sempre emozionante e giocosa. I grandi invece si prendono troppo sul serio, vedono in bianco e nero ogni cosa. «Colpevole!» che brutta parola … vorrei non doverla adoperare mai. Eppure ogni volta che la sento pronunciare in quella fredda aula provo una forte stretta al cuore, come se un senso d’intima innocenza morisse un po’ alla volta, la mia parte migliore. E mi duole vederti così, tutto raggomitolato dalla paura: so che ti sto sacrificando per un’insulsa carriera ed imploro il mea culpa perché ti costringo, processo dopo processo, a subire il peggio della natura umana. Sarai mai in grado di perdonarmi? Stavolta ho come l’impressione di averti inflitto il colpo di grazia.
C’ERA UNA VOLTA un piccolo paese nel lontano mondo di Bimbolandia …questo posto era abitato da soli bambini fino ai dodici anni, dopo di che essi intraprendevano un lungo, tortuoso viaggio verso mete sconosciute. I disegni della loro realtà si disponevano a formare fantastici castelli per aria ed erano costruiti con immagini colorate che piovevano dal cielo … questo mondo era separato dagli ignoti orizzonti con un impetuoso fiume: il fiume stellare che, nella lieve e silente notte del suo corso, menava ad un mare di sogno carichi di stelle. Un giorno un bambino di nome Puk, nell’atto di rincorrere il suo adorato aquilone, caduto al di là del fiume, scoprì un ponticello di fiori e spine sostenuto da una fitta trama d’edera rampicante …dopo aver raggiunto di corsa il misterioso passaggio, lo superò e da dietro un grande tronco di quercia scoprì degli individui in apparenza pacifici: essi erano somiglianti a loro, soltanto un po’ più alti, robusti, con strane pieghe sui visi ed erano alle prese con astruse attività manuali e razionali, tutti abbigliati in maniera conformista. Puk rimase a bocca aperta di fron-
AL LAVORO La classe II A della media «Alcide de Gasperi»
te allo spettacolo di quel paese: ogni singola casa aveva la sua cassetta della posta verniciata, a pochi passi dalla porta, le ringhiere di ogni balcone sporgevano allineate l’una all’altra, i giardini erano curati e l’erba appariva perfettamente tagliata; vi erano delle botteghe e delle taverne; c’erano poi dei parchi privi di giochi, con ele-
ganti panchine dove sedevano uomini dai capelli bigi che confabulavano delle questioni più disparate; gli alberi e le siepi apparivano a forma quadrata, rettangolare o a sfera. Insomma era un’antropizzata dimensione dove la disciplina regnava sovrana e dove tutto, proprio tutto, era concepito secondo una stringente logica. Puk ritor-
nò indietro e raccontò la sua straordinaria avventura ai compagni. I bambini andarono subito a far amicizia, ma non si aspettavano di incontrare persone dalle menti dure e prese dalla loro operosità. Appena giunti, furono accolti in fretta e furia nell’ordinato ed efficiente Stato di Adultilandia. Qui, si trovarono impegnati a studiare sodo e ad apprendere i mestieri perché, come i grandi solevano dire, «la cosa più importante nella vita è il lavoro e la disciplina». Essi infatti sembravano interessati solo ai numeri, alle vocali e alle consonanti. Durante la ricreazione i nuovi venuti, non riuscendo più a sorridere in quell’alienante società ruba allegria, si riunirono tutti insieme e all’unisono deplorarono: «Che brutto stare così! E’ troppo noioso e complicato». Nottetempo uscirono di soppiatto dalle loro camerette, tutte uguali, e si misero in marcia … appena messo piede nel loro mondo scordarono il ponte: avrebbero voluto restare fanciulli con l’unico pensiero di vivere il presente nella loro beata innocenza, tuttavia in fondo sapevano che, un domani, perfino loro sarebbero diventati grandi.
APPELLO... DI CUORE PROTEGGERE L’ARMONIOSO SORRISO DELL’INNOCENZA. ANCHE DA ADULTI
«Non dimenticate il bimbo che c’è in voi»
PROTAGONISTI La classe II B
IL CUORE dell’essere umano è un intimo pianeta dove germogliano erbe buone o cattive perché esistono semi in noi che dormono in attesa di svegliarsi un giorno: da questi può nascere un affetto come una rosa o un’ortica come un’offesa …quindi, per conservarlo nella morale, bisogna sradicare dall’animo le radici del male. Ciascun bambino coltiva nel suo cantuccio un giardino verde speranza cosparso di emozioni e fantasie, colorate orefiori che emanano il loro mielato profumo nell’atmosfera attraversata da un arcobaleno che porta serenità. Ma lo sguardo sul mondo, come su un disegno astratto da interpretare, muta nello spazio e nel tempo, perché il cambiamento prima di essere fuori è dentro di noi. Nella vita è questione di disciplina, nelle piccole come nelle grandi cose e la fervida curiosità del bambino prende la disciplina con in-
genua adesione: così, da essere umano smanioso di crescere qual è, va in cerca di risposte sempre nuove alienandosi tra pene ed errori in nome della realizzazione personale da raggiungere … finché un giorno, cammino dopo cammino, meta dopo meta, ritrova pace e felicità proprio nel posto più vicino dove non osava più cercare: nel suo cuore di bambino. E quando ormai adulto, a distanza di tanto tempo, s’imbatte per caso nel bambino che è stato un tempo, quasi non lo riconosce più, è come se avesse perso il contatto con la parte più pura, semplice e vera di sé è come se quegli occhioni e quelle parole piene di tenerezza venissero da un altro mondo. Perciò non lo si metta a tacere giammai in nome della maturità: non dimenticate, per favore, il bimbo che c’è in voi, anzi proteggete l’armonioso sorriso dell’innocenza sua fin in fondo.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Alcide de Gasperi» di Norcia, Classe II A: Liberatori Claudia, Regoli Leonardo, Veneri Andrea; Classe II
B: Civitenga Camilla, Mattioli Michela; Testa Michela; Classe II C: Cerasari Francesca, Di Giovanbattista Mirko, Giannangeli Susanna, Giudici Daniele, Leoncilli Gior-
gia, Marcelloni Alessio. Dirigente scolastico Rosella Tonti. Insegnante tutor Massimo Parbono. La scuola ha partecipato a tutte le edizioni del Campionato.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2012
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Scuola media
«Gentile da da Foligno» Foligno»
Paralimpiadi, lo sport è di tutti Dal basket in carrozzina al tiro con l’arco: ecco quali scegliere ESISTONO molte disabilità che vanno dal non poter vedere, al non poter parlare, al non poter camminare e le persone che hanno queste disabilità si pongono molto spesso un piccolo problema, che noi non ci poniamo: «il problema dello sport». Penseremmo così che non esistono sport per disabili, ma in realtà ci sono tantissimi sport che vanno dal calcio per i non vedenti, al basket per coloro che non possono camminare, al tiro con l’arco per i non vedenti e molti altri: ne esistono quasi mille! Noi ragazzi delle classi di terza C e terza D della sezione media dell’Istituto Comprensivo «Gentile da Foligno» abbiamo effettuato un’uscita didattica a proposito degli sport per disabili e abbiamo provato ad «essere disabili per una mattina». Tutto questo è avvenuto a Terni in occasione della «Sesta giornata paralimpica». Le Paralimpiadi sono delle Olimpiadi per coloro che hanno delle disabilità. La parola «Paralimpico» deriva dal greco e unisce il prefisso “Para” (che significa “parallelo”) con il termine “Olimpico” (le “Olimpiadi”), quindi sono una manifestazione sportiva
me punto di riferimento un tappetino che consente l’orientamento.
L’ESEMPIO Il campione paralimpico Oscar Pistorius
parallela alle Olimpiadi. “Paralimpici” è stato il termine ufficiale per i Giochi dal 1988. Bellissimo, vero! Ma ritorniamo alla nostra uscita. ABBIAMO provato per primo il torball, un gioco che prevede l’impiego di un pallone al cui interno sono presenti dei campanelli in
modo che il suono — e quindi la traiettoria del pallone — sia percepito e intuita dai giocatori. Il campo di gioco è diviso in due metà da tre cordicelle tese dotate di campanellini. I giocatori (che possono essere non vedenti assoluti o ipovedenti) sono dotati di una benda oculare che impedisce completamente la vista ed hanno co-
LO SCOPO è tirare con le mani la palla verso la porta avversaria per segnare i goal, facendola passare sotto le cordicelle che dividono il campo. Se il pallone tocca le cordicelle si compie un fallo con la conseguente uscita momentanea di chi ha effettuato il tiro per la durata dell’azione successiva (punizione a tempo fermo) in modo da scontare la penalità; ogni tre falli si assegna un rigore agli avversari (punizione di squadra a tempo fermo con un solo giocatore per squadra in campo). La partita dura dieci minuti effettivi di gioco ed è divisa in due tempi, le punizioni si eseguono a tempo fermo. È vincitrice la squadra che totalizza il maggior numero di reti. Successivamente abbiamo provato il tiro con l’arco, anche per non vedenti, e sempre noi abbiamo visto il campione italiano di tiro con l’arco. Inoltre c’erano il basket per coloro che non possono camminare, il calcio per coloro che hanno diverse disabilità, l’arrampicata sportiva e le bocce. E’ stata un’esperienza bellissima, che non dimenticherò mai.
LA RIFLESSIONE I NOSTRI COMMENTI SULLA MANIFESTAZIONE CHE SI E’ SVOLTA A TERNI
Ecco cosa pensiamo dei giochi paralimpici «PARTECIPANDO a questa giornata, ho potuto assistere e praticare anche io di persona alcuni sport insieme a dei ragazzi diversamente abili. Ho notato che, nonostante qualche limite fisico, tutti si divertivano e giocavano pieni d’entusiasmo. Mi sono sentita bene accolta. Secondo me, se credi in qualcosa, arrivi sempre al traguardo, anche se a metà strada ti capita un ‘imprevisto’». «Partecipando a questa manifestazione ho capito che se io dovessi diventare una persona disabile, questo per me rappresenterebbe un grande problema. Invece, durante la dimostrazione di tutti queste attività sportive, ho visto delle persone veramente coraggiose… » «La cosa che mi è piaciuta di più è stata provare degli sport di cui non conoscevo neanche l’esistenza! Ho visto dei giocatori di basket in carrozzina che sono molto più bravi di quelli senza!»
«E’ stata un’esperienza che mi ha toccato molto, perché ho assistito a delle gare tra persone con seri problemi fisici e psichici. Eppure, erano lì… a fronteggiarsi, a sfidarsi, a caricarsi a vicenda, ad entusiasmarsi proprio come noi! Lottavano con una grinta inaspettata e sorprendente, si muovevano su sedie a rotelle come se fossero le loro gambe!Sembravano ‘grandi’, con quelle loro braccia potenti, eppure fragili a causa della loro condizione… ». «Da questa esperienza ho capito che queste persone non avranno alcune capacità fisiche, ma sicuramente hanno più tenacia e determinazione di qualsiasi altro essere umano!». «E’ stata un’esperienza diversa, che mi ha resa ‘cieca’ per qualche momento in modo che io imparassi a vedere il mondo con occhi diversi».
«E’ stato incredibile vedere risplendere sui loro volti serenità e gioia di vivere. Sono stati un grande esempio e dovrebbero esserlo per coloro che si arrendono di fronte alle prime difficoltà». «Per me chi ha delle disabilità ha una grande forza per andare avanti, dimostrando grande passione per qualcosa che si può seguire con il cuore, anche se non con le gambe. Sono più forti di noi». «Spesso mi arrendo di fronte all’ostacolo più semplice e mi faccio compatire al primo malessere!La forza di volontà di queste persone mi ha fatto pensare a quanto spesso sono egoista, a quanto tenda a mollare davanti al minimo sacrificio o alla prima difficoltà. Mi hanno dato un grande insegnamento: nella vita la volontà e la gioia di vivere ti fanno riuscire in tutto».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli alunni: Irene Amirante, Sofia Cambiotti, Lorenzo Dionigi (3˚C); Dimitri Agostinelli, Tobia Alunni Tullini, Kevin Ambrogioni, Donatella Antinori, Giada Bocchini, Aurori Carilli, Maria
Cristina Casini, Maria Ceccarelli, Francesca Donati, Ehigiator Itohan Uvonne, Leonardo Fancelli, Ilaria Governatori Leonardi, Chiara Infussi, Angela Leli, Massimo Luccioli, Giada Ortolani, Paola Persico, Sofia Ramin,
Gloria Ricci, Valentina Ricci, Nico Scafuto (3˚D); Francesca Naima Bartocci (3˚E). Le insegnanti tutor: Patrizia Stefanetti, Barbara Palcani, Giulia Di Sandro, Graziella Tacchi, Paola Grisanti, Stefania Giacomucci. Il dirigente scolastico Giuseppa Zuccarini.
SIAMO TUTTI UGUALI
«La diversità? Non dovrebbe esistere... » LA DIVERSITÀ… quella che tutti criticano, tutti apprezzano, quella cosa che, dopotutto, ci accomuna. Siamo tutti uguali, con la stessa conformazione. Democraticamente siamo tutti uguali, con gli stessi diritti. A parole tra individui di sesso femminile e sesso maschile non c’è differenza, tra neri, gialli, bianchi… ugualmente non c’è differenza. Nella nostra società, ci sono i “normali” e i “disabili”, i “diversi”. I “Normali” hanno creato strutture ed oggetti speciali per i “Diversi”, che a volte sono state molto di aiuto, ma a volte, invece li hanno danneggiati, emarginandoli. E perché sarebbero loro i «Diversi»? Anche noi siamo diversi da loro, e loro, quindi a ragione, potrebbero chiamare noi «diversi». È sempre stato un ragionamento sbagliato questo della diversità, che ha portato tante ingiustizie. Io conosco tante persone «diverse», per il comportamento, per la forma del corpo, l’intelligenza… Queste persone sono emarginate, a volte purtroppo prese in giro. Conosco una ragazza che viene presa in giro. E rimane sempre più silenziosa e sola. Tutti vorremmo parlarci, stare insieme a lei, ma alla fine si segue la “moda”. Io non prendo in giro le persone diverse, ma purtroppo seguo i miei amici, e parlo e gioco con loro, mentre lei ci guarda a tratti, aspettando di raccontare della sua vita, di poterci anche indicare il suo punto di vista, di farci notare cose che noi non abbiamo avuto il tempo di osservare, per inseguire il flusso, quella moda che rovina la vita alle persone diverse e normali… a tutti, ma che nessuno abbandona.
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MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2012
Scuola media
Pascoli Perugia
Noi, gli altri e la felicità Vi spieghiamo questo meraviglioso stato di benessere RIFLESSIONE
La macchina di lusso o la serenità? C’È CHI FAREBBE carte false per l’ultimo modello di Suv in arrivo direttamente dal Giappone, chi nel proprio ufficio lavora per guadagnare milioni, chi trascorre le notti da sballo sotto le luci della discoteca preferita, chi indossa il giubbotto trendy pagato mezzo stipendio del papà, chi non si accontenta più dello smartphone precedente all’ultimo modello. I luccichii del mondo materiale ci attraggono, sono calamite, sono i lampioni delle notti d’estate verso i quali tutti tendiamo come le falene. Sono gli uomini di successo i nuovi miti da imitare: icone della musica come Madonna, calciatori come Beckham, oppure trasgressivi come Johnny Depp, che incarnano i desideri, le aspirazioni di giovani e meno giovani; sono coloro attraverso cui si vedono realizzati quei sogni illusori che appartengono alla fame di potere e successo. Abituati come siamo a bisogni sempre nuovi che si ricreano come in una catena di montaggio, appena abbiamo esaurito però l’ultima voglia, appena ci siamo tolti l’ultimo sfizio, pronto si ripresenta un ulteriore bisogno. Forse la crisi, che ci sta attanagliando e che ci costringe a rinunce che non avremmo supposto, ci permetterà di riscoprire che la sete di potere e l’egoismo del nostro piacere non conduce alla felicità e allora ci porremo più consapevolmente la domanda: cosa è la felicità?
CAMMINA cammina… ecco, all’improvviso, la felicità. Questa immagine propria della fiaba sembra la più adeguata per sintetizzare che cosa sia la felicità e in che modo si possa raggiungere. Occorrerebbe diventare «scienziati della felicità» per indagarne cause, sintomi, conseguenze. Sono i piccoli e i grandi eventi quotidiani che possono renderci felici, l’abbraccio collettivo con i familiari, una carezza della mamma dopo una delusione, le parole e soprattutto lo sguardo di soddisfazione di un’insegnante dopo un successo scolastico, una magica parata che cambia il risultato di una partita, mentre il papà esulta sugli spalti, il sospirato appuntamento con la ragazza che ci piace. Ecco la felicità potrebbe essere tutta qui. La felicità ha comunque dei sintomi inequivocabili, come una malattia. Ci si sente così poco attaccati a terra e così leggeri che manca poco per spiccare il volo; dentro di noi penetra una sensazione indescrivibile e bellissima,
GIOIA Gli studenti si interrogano sul significato di questo «bene»
che prende il sopravvento su tutte le altre; tutto il resto è improvvisamente secondario; tutto è improvvisamente bello, persone, cose, situazioni, e le emozioni che si provano sono contagiose e trascinanti. LA FELICITÀ però è un’espe-
rienza breve, una volta raggiunta, già sentiamo che è svanita, che ci manca di nuovo qualcosa. E ricomincia il cammino… Forse, allora, è più interessante e appagante la ricerca della felicità che la felicità vera e propria, questo significa che ci poniamo nuovi obiettivi e scopi senza acconten-
tarci. Per questo la felicità sembra un gioco senza fine. Ogni essere umano ha diritto al suo sogno e alla sua felicità, qualunque forma essa abbia senza comunque calpestare i sogni altrui, senza cancellare il benessere altrui a favore del proprio. Viene da chiedersi se è possibile imparare ad essere felici. La felicità è però soprattutto un’esperienza che va condivisa: gli altri sono importanti più che mai proprio nei momenti più intensi della vita, nella felicità e nel dolore; se il dolore può essere vissuto in solitudine, la felicità ha bisogno della partecipazione degli altri. Infatti nella vita la felicità è comunque un bene essenziale e ancora più la si gode e la si apprezza se sono presenti nella vita dell’uomo momenti che la contrastano. Un mondo di sola felicità diventerebbe forse monotono e senza traguardi. Proprio per questo nella vita devono essere accettate e vissute tutte le situazioni. Sarebbe bello essere sempre felici! Ma ce ne accorgeremmo?
IL DECALOGO GLI STUDENTI DELLA «PASCOLI» SINTETIZZANO IL CONCETTO IN DIECI PUNTI
«L’abbraccio di un amico nei momenti bui»
LA RICETTA Basta poco per essere felici
TUTTI POTREMMO parlare della felicità, ma per nessuno questa parola avrà lo stesso significato. Ognuno ha le sue ragioni per essere felice, per tutti diverse. E’ un sentimento soggettivo, ma, in genere, i ragazzi attribuiscono ad esso questi significati: 1) felicità è sapere che le persone a cui teniamo ci sono vicine e ci fanno sentire amati con piccoli gesti preziosi, con il loro affetto e ci sostengono in ogni nostra azione; 2) felicità è stare bene con se stessi, apprezzare il proprio corpo, senza volerlo cambiare, valorizzandone i pregi e accettandone con il sorriso i difetti; 3) felicità è sentirsi stimati dagli altri per ciò che si fa; 4) felicità è vedere il sorriso comparire sul volto di coloro a cui vogliamo bene, magari dopo una
cascata di lacrime amare. ED ANCORA : 5) felicità è sentire che dobbiamo continuare a inseguire sia i nostri sogni più grandi, sia quelli apparentemente insignificanti, che danno colore alla vita; 6). felicità è sentirsi liberi di avere le proprie idee e di agire come meglio si crede; 7) felicità è l’abbraccio di un amico nei momenti bui, le sue parole di conforto e il suo sorriso sincero; 8) felicità è essere soddisfatti fino in fondo di ciò che si fa, senza alcun rimpianto; 9) felicità è godersi appieno la vita minuto per minuto; 10) felicità è mettersi alla prova per aiutare gli altri, sfruttando tutti i propri mezzi, per vedere il sorriso illuminare volti tristi.
LA REDAZIONE LA SEGUENTE pagina è stata realizzata dagli alunni delle classi 3B e 3H della scuola media «Giovanni Pascoli» di Perugia. Il dirigente scolastico dell’istituto è Aldo
Covarelli. Le insegnanti che hanno seguito i ragazzi nella stesura degli articoli e nella realizzazione della pagina nel suo complesso so-
no le professoresse Fecchi e Mazzoccone. Al lavoro sono stati aggiunti due disegni relaizzati dai ragazzi. La «Pascoli» ha partecipato a tutte le edizioni del campionato di giornalismo.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2012
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Scuola media
Alessi S.Maria degli Angeli
Crisi, austerity: si salvi chi può La gente ha paura del futuro. I giovani sono senza lavoro «LA GENTE ha paura del futuro, i pensionati avranno meno soldi, i giovani rischiano la disoccupazione, gli italiani mettono in discussione le conquiste di anni di lavoro…». Questo ed altro ci raccontano da mesi i giornali e le televisioni. C’è crisi. Ce ne rendiamo conto quando i nostri genitori fanno un pieno di benzina o la spesa. I prezzi sono aumentati e, poichè l’Italia sta pericolosamente avvicinandosi al default, il potere d’acquisto della moneta diminuisce e i costi lievitano: questo effetto della crisi si chiama inflazione. Facciamo un piccolo esempio pratico: se prima con venti euro andavi avanti per qualche giorno ora, con la stessa cifra, non metti insieme il pranzo con la cena… avete capito? La crisi è una cosa seria! I DATI sono dunque allarmanti: sono ferme la cultura e la sanità, i soldi in cassa sono pochi e quei pochi vengono usati per pagare il debito pubblico, lo spread è in rialzo. Tutta l’Italia sta soffrendo la crisi: diversi settori, dalle industrie che chiudono i battenti alle attività commerciali, sono sta-
PROTAGONISTI Provate a riconsocere questi signori...
gnanti. La crisi si riflette anche sulla scuola. Lo si può notare dai materiali che scarseggiano, dalla qualità dei servizi offerti, dalla diminuzione del personale. La stessa unità europea è in pericolo: aumentano le proposte di abbandonare la moneta unica per tornare alla vecchia lira. «E la benzina ogni giorno costa sempre di più e
la lira cede e precipita giù, svalutation, svalutation...». Già negli anni ‘70 Celentano ne parlava: puro spirito profetico o fin d’allora c’era qualche sentore di crisi? Eppure ci dicono che l’Italia è uno dei paesi più ricchi del mondo e noi stessi vediamo ogni mattina gente che va a lavorare…allora perché mai dovremmo diventare
poveri? Alcuni se la prendono con i politici che guadagnano un sacco di soldi, tra stipendi e indennità, taluni con gli evasori fiscali, altri con i perdigiorno, altri ancora con gli immigrati… ma che c’entrano loro? Mica fanno i banchieri! L’unica speranza è che il Parlamento riesca a far compiere una svolta al nostro paese, abbassando il prezzo della benzina e dei generi alimentari, creando posti di lavoro, garantendo uno stile di vita dignitoso per tutti. E noi ragazzi? Discutendone in classe abbiamo proposto delle soluzioni praticabili nella vita quotidiana: essere laboriosi, affidabili e impegnarci a scuola; sprecare di meno facendo nostra la logica dello sviluppo sostenibile (parole d’ordine: riduzione, recupero, riutilizzo, riciclaggio); acquisire competenze, in termini di abilità e saperi che sfrutteremo da grandi, insomma: investire in cultura. In conclusione, non fatevi l’idea che questa crisi sia qualcosa di negativo: la parola deriva dal greco krino, che significa giudico, valuto. Il nostro augurio è che essa diventi un momento di riflessione e un’occasione di impegno e di miglioramento per tutti.
VOCABOLARIO ABBIAMO INTERVISTATO UN’ ESPERTA DI ECONOMIA. A CACCIA DI PAROLE
«Default? Bond? Ora sappiamo cosa sono»
CANCELLIERA DI FERRO La Merkel tra i banchi di scuola
BTP, BOND, DEFAULT, SPREAD, PIL… sono tante le parole che non conosciamo! Gli adulti le usano molto spesso riferendosi alla recente crisi. Per capirne di più abbiamo intervistato la madre di un nostro coetaneo, che lavora in banca, chiedendole informazioni sul significato di questi termini che per noi erano… arabo! Spread: rappresenta la percentuale che la BCE (Banca Centrale Europea) decide di aggiungere al costo del denaro quale proprio ricavo. Default: è l’incapacità tecnica di rispettare le clausole contrattuali del finanziamento, in parole povere è un fallimento. Recessione: è una condizione economica caratterizzata da livelli di attività produttiva più bassi di quelli ordinari ; si ha la recessione quando il PIL è
negativo per due trimestri consecutivi Pil (prodotto interno lordo): esprime il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all’interno di un paese in un certo intervallo di tempo. INFLAZIONE: indica un generale e continuo aumento dei prezzi di beni e servizi, che genera una diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Btp e Bond :Anche gli stati, come l’Italia, chiedono prestiti di denaro per far fronte alle spese; possono chiederli ai cittadini, che acquistano le speciali obbligazioni dette BTP. Lo stato viene così ad avere denaro liquido,che si impegna a restituire entro un certo lasso di tempo con gli interessi. Anche la Germania fa lo stesso, emettendo i BOND.
LA REDAZIONE LA SEGUENTE PAGINA è stata redatta dalle classi II A, II B, II C e II D della scuola secondaria di primo grado «Galeazzo Alessi» di Santa Maria degli Angeli. I ragazzi
sono stati coordinati nel loro lavoro dalle insegnanti Schiavi Orsola, Masciotti Anna, Gorietti Roberta e Ascani Fiorella. Gli studenti hanno poi completato il lavoro con
due vignette. Il dirigente scolastico dell’istituto è Dante Siena. La scuola ha partecipato a tutte le edizioni del campionato di giornalismo.
LA RIFLESSIONE
Tecnici al potere: la Merkel In questo periodo di forte crisi, con le tasse in continuo aumento, il rincaro del petrolio e frequenti i scioperi, è senz’altro lei il personaggio più famoso e discusso. Da quando è iniziata la crisi la donna, che è alla guida del Paese più potente d’Europa, la Germania, ha monopolizzato le prime pagine dei giornali. Ultimamente anche il settimanale americano Newsweek le ha dedicato la copertina. La sua strategia economica è molto discussa, si sta cercando di farle capire che una politica fiscale repressiva, come sta avvenendo ora in Italia, può portare solo alla depressione, danneggiando anche le esportazioni tedesche. La Germania, però, è decisa a non voler pagare i debiti dei paesi “ poco virtuosi” ( Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e anche Italia). Per fortuna il nostro capo del Governo, Monti, con la sua autorevolezza ha saputo in poco tempo dare credibilità al nostro paese, adottando diverse contromisure per incentivare il lavoro e diminuire il debito pubblico. Per gli italiani è come accendere una fiammella nel buio,nonostante l’impopolarità di tali necessarie manovre. I giornalisti stranieri già parlano di “Merkonti” al posto dell’ormai superato “Merkosy”. Un noto giornalista, ricordando i suoi incubi di studente di scuola media, paragona la Merkel alla sua insegnante di Matematica, cortese, di preparazione ineccepibile, ma severa e intransigente, che spesso, entrando in classe, portava il gelo nelle ossa di molti alunni e anche nelle sue.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 9 FEBBRAIO 2012
Scuola media
Carducci Purgotti Perugia Perugia
La forza del sole che splende Gli studenti della Leone XIII a «lezione» di ambiente e sostenibilità IL PUNTO
Fotoelettrico: Einstein ci vinse il Nobel Il fotovoltaico consiste nella trasformazione diretta della luce del sole in elettricità attraverso una reazione fisica. Albert Einstein non ha ricevuto il premio Nobel nel 1921 per la teoria della relatività, come si pensa, ma per il suo lavoro sull’effetto fotoelettrico. Un colpo di genio che, col nome di “fotovoltaico”, ha compiuto notevoli progressi diventando la forma di produzione energetica più rispettosa dell’ambiente. Negli ultimi anni il fotovoltaico è stato utilizzato con maggiore frequenza. L’aumento dei consumi e dei costi dell’energia, i cambiamenti climatici ed il progressivo esaurimento delle risorse energetiche fossili hanno reso sempre più evidente la necessità di ricorrere a soluzioni energetiche sostenibili, a basso impatto ambientale e sostanzialmente inesauribili. Tra queste, il Sole può offrire energia pulita per i prossimi 5 miliardi di anni e potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico dell’intera popolazione mondiale. Un impianto fotovoltaico cattura l’energia solare e la trasforma in energia elettrica in corrente alternata. La tecnologia fotovoltaica sfrutta il cosiddetto “effetto fotovoltaico”, basato sulle proprietà di alcuni materiali semiconduttori, come il silicio o l’arseniuro di gallio, di generare elettricità quando vengono colpiti da radiazione solare. Questo processo di elettrificazione viene realizzato dalle celle solari, che sono collegate in serie e formano dei moduli fotovoltaici. Più moduli formano un pannello, più pannelli una stringa, più stringhe un campo.
«OSSERVA, Osserva il falco che cala sulla preda, Osserva l’acqua che scorre nel ruscello, senti il vento che passa tra i capelli, senti la goccia che ti scivola sulla guancia, adesso fermati, fermati e pensa che tutto ciò che ti circonda è tuo pensa che tu e il falco, e ogni cosa che ti circonda siete una cosa sola ed ora apri veramente gli occhi e comprenderai di non essere più un uomo, ma qualcosa di più grande!», (anonimo). Sono versi che fanno riflettere molto. Fanno pensare a tutto ciò che è intorno a noi, all’importanza della natura e alla sua forza. Leggendola si notano le piccole cose: la goccia, il vento, un animale… E’ giusto che almeno ogni tanto si pensi anche al resto, a ciò che ci circonda e non solo a noi stessi o a ciò che ci interessa. La poesia sembra voler mettere in risalto la nostra presenza nella natura, d’altronde anche noi ne facciamo parte, né più né meno delle altre creature, e invitarci ad utilizzare tutti i nostri cinque sensi nell’avvicinarci a ciò che ci
cali, il quale ha detto che «noi dovremmo avere il pallino fisso di restituire il luogo in cui abbiamo vissuto migliore di come lo abbiamo trovato, cercando di rendere più bella la nostra vita e quella di coloro che verranno».
ALL’AVANGUARDIA Il tetto fotovoltaico della scuola
circonda. Ecco che allora sentiamo nascere in noi una sensazione di importanza che ci spinge a migliorarci, a realizzare le nostre passioni ed i nostri desideri, rispettando però quello che abbiamo intorno. Dobbiamo pensare sempre che anche gli altri vogliono migliorarsi e rendersi “qualcosa di
più grande!”. Sappiamo che la natura è parte della nostra vita e che se anche volessimo escluderla non potremmo; anche l’aria è natura, come l’acqua. Sono indispensabili, per noi e per tutti gli altri esseri viventi. Siamo quindi per un ambiente pulito, proprio come il nostro Sindaco, Vladimiro Boc-
QUESTA POESIA, martedì 21 Novembre 2011, è stata declamata da un’alunna della scuola secondaria di primo grado “Carducci – Purgotti ”, sede “Leone XIII” , per l’inaugurazione dell’impianto fotovoltaico installato su una parte del tetto dell’edificio. L’impianto è stato il primo ad essere montato su una scuola del nostro Comune. Una breve cerimonia, presenti i ragazzi delle classi terze della scuola secondaria di primo grado e i bambini della scuola elementare “Giacomo Santucci”, ha fatto conoscere al quartiere l’importanza del rispetto e della cura per il nostro pianeta sfruttando un’energia che sicuramente diventerà la protagonista del futuro. «The sun is shining, i love the sun … me too!».
IL PROGETTO GLI STUDENTI COSTRUISCONO UN PROTOTIPO DI PANNELLO FOTOVOLTAICO
Ecco la squadra di scienziati-inventori PER COMPLETARE il nostro progetto di contributo al salvataggio della Terra, abbiamo concluso lo studio in modo originale e creativo. Con l’aiuto del nostro professore di Tecnologia, abbiamo realizzato, in un modo semplice ed efficace, dei pannelli solari “fai da te”. Per costruirli ci siamo serviti di materiali comuni e pratici: una scatola di cartone non molto profonda di colore nero, perché come si sa il nero attira i raggi solari, una bottiglia di plastica di colore chiaro, un tubo di plastica trasparente, un foglio di acetato e del silicone.
L’OPERA Il pannello fotovoltaico costruito dai ragazzi
SICCOME era difficile trovare una scatola di colore nero, ne abbiamo presa una qualsiasi e l’abbiamo dipinta con una vernice spray. Sul fondo abbiamo poi attaccato con il silicone il tubo trasparente formando delle anse, insomma abbiamo ottenuto
una serpentina. Il tubo è stato poi collegato alla bottiglia che deve essere riempita di acqua. Per controllare il buon funzionamento del nostro prototipo di pannello solare non ci resta che esporlo alla luce diretta della nostra Stella. AMMETTIAMO di esserci trovati un po’ in difficoltà durante la realizzazione , ma lavorando insieme abbiamo ottenuto un buon risultato e, ad essere sinceri, ci siamo anche divertiti. Eh, … il pannello funziona!!! L’alternanza delle stagioni, del giorno e della notte, delle condizioni meteorologiche fanno si che la quantità di energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico non sia costante; questo è infatti uno dei pochi svantaggi dell’energia solare, oltre ad un notevole, iniziale, costo degli impianti e ad un eventuale smaltimento finale.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dalla scuola secondaria di primo grado «Carducci Purgotti», sede Leone XIII, classe 3˚H: Albi Samuele – Barbanera Luca – Cecchini Alessandro – Ciacca Caterina – Consalvi
Matteo – Doyal Makeda – Galanello Aurora – Galanello Benedetta – Giordano Sara – Gobbo Margherita – Grassi Eleonora – Lupattelli William – Mattioli Simone – Miraldi Lucrezia – Montagnoli Luca – Pier-
gentili Alessandro – Ricci Federica – Trastulla Martina – Ubaldinelli Giorgia – Valocchia Federico – Yang Perla. Docente di classe: Mommi Marisa Dirigente scolastico: Iva Rossi
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
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Scuola media
Scalza Signorelli Orvieto Orvieto
A parlare è la magia del silenzio La biblioteca «Luigi Fumi» rivela i suoi tesori agli studenti di Orvieto DUEMILA metri quadri di estensione, oltre 100.000 volumi al suo interno con una media di 100 visitatori al giorno, così si presenta oggi la Nuova Biblioteca Luigi Fumi di Orvieto. Noi alunni-reporter della secondaria «Scalza e Signorelli» veniamo accolti da Teresa che ci condurrà in un affascinante viaggio alla scoperta dei tesori della Biblioteca. Il nucleo più antico di testi proviene dai monasteri della zona. Inizialmente furono custoditi nella torre del Palazzo Sant’Andrea, che era addirittura sprovvista di copertura, così molti di essi furono danneggiati. Nel 1921 l’illustre studioso orvietano Luigi Fumi donò alla città un’importante collezione libraria. Dieci anni dopo la Biblioteca fu inaugurata al pianterreno di Palazzo Gualterio, per poi trasferirsi, nel 2009, all’interno del Convento di San Francesco. Il nostro viaggio è appena iniziato ma subito siamo colpiti dal contrasto fra antico e moderno, tra
CULTURA E DESIGN Una sala ristrutturata della biblioteca Fumi
tradizione e innovazione. La Biblioteca «si compiace di essere moderna», afferma Teresa: all’entrata vediamo uno schermo che informa i visitatori sugli eventi in programmazione, subito dopo si ha accesso ad una saletta dotata di computer e connessione ad Internet, ma a fianco si possono vedere
ancora i vecchi schedari all’interno di grandi cassettiere in legno, in cui i libri sono ordinati per autore o per argomento. Sembra preistoria ormai… Successivamente veniamo introdotti in una sala ampia e luminosa, piena di vetrate: è il portico del Convento che ospita adesso un’accogliente sala di lettu-
ra. Dopo aver visitato uno degli spazi più innovativi, la Biblioteca Ragazzi, saliamo al piano superiore, nella grande Sala dei Lettori. «I libri sono di chi li legge», afferma A. De Carlo ed è proprio in quest’ottica che i testi sono stati sistemati, in modo da essere facilmente consultabili, grazie a cataloghi multimediali o alla visione diretta sugli scaffali. Ed ora un tuffo nel passato: entriamo all’interno della Sezione Storica, passando attraverso la Galleria Sovena, ricca di opere pittoriche e sculture. Arriviamo quindi nella Sala delle Cinquecentine, che raccoglie testi del XVI secolo e incunaboli, i primi documenti a stampa. Sotto i nostri occhi scorrono pagine di testi scritti a mano e a stampa, decorati con eleganti miniature, alcuni mostrano sigilli in ceralacca e ne conservano la custodia, una raffinata scatolina che fa pensare ai nostri portacipria…Il tempo sembra volare, è già ora di tornare a scuola, con l’importante missione di svelare a tutti i segreti della Biblioteca della nostra città.
IL PROGETTO LA STRUTTURA COINVOLGE ANCHE GENITORI E NEONATI CON INIZIATIVE MIRATE
Tutti noi siamo… «Nati per leggere»
IN BUONA COMPAGNIA Cosa c’è di meglio di un libro?
«LEGGIMI SUBITO, leggimi forte Dimmi ogni nome che apre le porte Chiama ogni cosa, così il mondo viene Leggimi tutto, leggimi bene Dimmi la rosa, dammi la rima Leggimi in prosa, leggimi prima». Con questa filastrocca di Bruno Tognolini, entriamo nel progetto «Nati per leggere», a cui anche la Biblioteca di Orvieto aderisce. Si tratta di un’iniziativa rivolta ai neo-genitori, il progetto è attivo su tutto il territorio nazionale a partire dal 1999 e coinvolge 1195 comuni italiani. I primi incontri fra bibliotecari e famiglie avvengono già durante la gravidanza, al fine di sensibilizzare i futuri papà e mamme sull’importanza della lettura, sia dal punto di vista relazionale e affettivo, sia cognitivo. Recenti ricerche scientifiche hanno infatti dimostra-
to che leggere regolarmente ad alta voce ai bambini in età prescolare offre ai genitori un’importante opportunità di relazione con i figli e nello stesso tempo sviluppa la capacità di comprensione del linguaggio e la capacità di lettura. Nelle attività di lettura sono coinvolti i bambini di età compresa fra i sei mesi e i sei anni. Accompagnati da un adulto, si incontrano nella Biblioteca Ragazzi ogni giovedì pomeriggio per vivere insieme il piacere di una storia da leggere… La Biblioteca diviene «a misura di bambino»: tappeti colorati, cuscini, peluches, scaffali bassi, un grande castello in cui rifugiarsi per iniziare una prima lettura individuale, magari illustrata… Anche attraverso questo progetto le bibliotecarie, infaticabili, cercano di far diventare la lettura una piacevole abitudine in ogni famiglia.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli alunni della «Scalza e Signorelli» di Orvieto nell’ambito di un laboratorio a classi aperte che coinvolge gli alunni delle classi III- III A e B. I loro nomi sono: Foglia Gabrie-
le, Abdiji Fikrete, Blascu Anna Maria, Simoncini Maria, Ajruli Rusadije, Marchino Elena, Haughton Amy, Sole Carolina, Cherubini Maria Chiara, D’Urbano Giosuè, Mearilli Sofia Blu, Rocchini Ilaria, Maurich No-
velli Asia, Nuccioni Michele, Uffreduzzi Olga, Zanchi Gabriele. Insegnante tutor: Elisa Tiberi. Il dirigente scolastico: Anna Rita Bellini. Un ringraziamento particolare alle bibliotecarie Anna e Teresa.
LA NOVITA’
Benvenuti nella Sala Eufonica GIROVAGANDO nelle sale della Biblioteca trovi anche ciò che non ti aspetti: una Sala Eufonica all’avanguardia, fra le poche disponibili in Europa! La comunicazione passa attraverso molti canali e il testo scritto non è l’unico mezzo per trasmettere informazioni, narrare storie e far nascere emozioni. E’ per questo che la Biblioteca apre un varco al suo interno per permettere l’ascolto e la visione ottimale di audiovisivi. L’uso della sala è gratuito e nell’ultimo anno ne hanno usufruito oltre 2000 persone. Noi ragazzi veniamo accolti in una piccola stanza, davanti a noi un maxi-schermo e strumentazioni molto sofisticate. Questa volta è la bibliotecaria Anna che ci accompagna nel nostro percorso. Subito veniamo rapiti dalle suggestioni evocate da un canto tradizionale africano: non ci sono immagini, è solo la musica a parlare. L’acustica è quasi perfetta, si sentono voci di bambini, acqua che scorre, cinguettii… Sembra di trovarsi in un altro posto, liberi. Negli ascolti successivi spaziamo dallo Schiaccianoci di Ciaikovski alle arie più famose della Carmen di Bizet, fino ad arrivare ad un compositore contemporaneo, Vangelis. E’ un trionfo di suggestioni, il tempio di Zeus in Grecia fa da cornice al concerto, il luogo ideale per celebrare le imprese epiche dell’uomo contemporaneo. Quasi ogni settimana vengono programmati eventi che richiamano un gran numero di persone.
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MARTEDÌ 14 FEBBRAIO 2012
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Da Vinci Colombo Perugia Perugia
Nobel, tre africane sul podio Sono donne che lottano ogni giorno per le loro connazionali LA RIFLESSIONE
Fondazioni e comitati anti-ingiustizie «SE ISTRUISCI un ragazzo farai un uomo istruito, se istruisci una ragazza farai una donna, una famiglia ed una nazione istruita»: così recita un antico adagio africano. Ma nel Malawi, a causa delle precarie condizioni dell’insegnamento (le classi possono contare da 60 a 120 alunni), della mancanza di adeguate strutture sanitarie, solo il 26% dei ragazzi conclude la scuola primaria e appena l’8,5% prosegue gli studi. Ulteriori discriminazioni subiscono le bambine, di cui solo il 16% termina il primo ciclo: a loro l’istruzione non serve, essendo destinate dalla famiglia ai lavori domestici, e diventando in casi estremi vittime delle peggiori forme di lavoro minorile, della schiavitù e della prostituzione. Spesso l’allontanamento dalla scuola avviene per fattori culturali legati ai crudeli riti di iniziazione all’adolescenza. Tuttavia, puntare sull’istruzione femminile come sostengono, tra gli altri, Unicef, Save the children, Unesco e la «Fondazione Rita Levi Montalcini» conseguirebbe anche altri grandi obiettivi come il controllo delle nascite e la riduzione dell’Aids. Le donne del Malawi sono state definite «una pietra preziosa e un orgoglio per il continente», ma non é raro vederle sotto il sole, dopo ore di lavoro nei campi, con un pesante fardello sulla testa e l’ultimo nato sulle spalle o, rivolgendosi ad un uomo, inginocchiarsi davanti a lui. La giustizia sociale è, quindi, lontana e richiede la solidarietà di tutti, poiché i diritti delle donne sono irrinunciabili.
NEL 2011 il Premio Nobel per la pace è stato attribuito, secondo noi meritatamente, a tre donne africane: la presidentessa liberiana Ellen Johnson Sirleaf, la connazionale pacifista Leymah Gbowee, avvocato impegnato per i diritti femminili, e l’attivista yemenita Tawakkul Barman. Il premio ha voluto valorizzare pienamente la battaglia non violenta per la sicurezza delle donne nel pieno diritto a partecipare alla costruzione della pace. La commissione norvegese auspica che l’assegnazione del premio alle tre esponenti femminili, di cui due africane, “aiuti a porre fine all’oppressione delle donne, che ancora esiste in molti Paesi, e a realizzare «il grande potenziale» che esse possono rappresentare per la pace e la democrazia; le donne africane hanno un ruolo trainante per la loro società e per lo sviluppo di essa. Grazie al Premio Nobel il mondo riscopre la Liberia, afferma la Sirleaf che, in un’intervista del 2006 disse: «Credo che le donne
SENZA DIRITTI Molte donne sono ancora vittime di ingiustizie sociali
si sentano maggiormente rispettate grazie alla mia posizione». Anche la Gbowee dice la sua: «Per me questo premio rappresenta una dichiarazione forte. La condizione della donna, il coinvolgimento delle donne, le loro esigenze e priorità, non potranno più essere ignorate in questo mondo».
Ci ha particolarmente colpito la vicenda di Wangari Maathai, scomparsa il 25 settembre scorso e conosciuta come “la donna che piantava gli alberi” è stata la prima donna africana a ricevere nel 2004 il Nobel per la pace. La Wangari, biologa e fondatrice del Gren Belt Movement, grazie alla
collaborazione con il Ministero per l’ambiente del Kenya ha piantato ben quaranta milioni di alberi, salvando il Kenya dalla desertificazione ed è riuscita a cambiare l’atteggiamento e il carattere della popolazione. Per Maathai gli alberi «sono una cosa viva di fronte alla quale scopriamo di avere reazioni diverse; nel vedere crescere un albero riusciamo a cambiare il nostro atteggiamento, eliminando la paura, abbiamo coscienza di fare qualcosa per noi stessi». Questa donna coraggiosa realizza concretamente ciò che il protagonista del racconto «L’uomo che piantava gli alberi» di Jean Giono, fa ogni giorno della sua vita, deciso a migliorare il luogo desolato in cui viveva facendovi crescere una foresta, un albero per volta, pianta oltre 100mila alberi. Nel caso di Wangari un semplice gesto ha potuto cambiare un’intera area geografica e la vita degli abitanti stessi che ora possono raccogliere i frutti di quegli alberi dalle radici forti che crescono come giustizia e verità indistruttibili.
L’INTERVISTA PARLA L’ASSESSORE PROVINCIALE ALLE PARI OPPORTUNITA’, ORNELLA BELLINI
«Con le scuole per affermare i diritti negati»
IMPEGNATA L’assessore Ornella Bellini
LA NOSTRA SCUOLA è stata più volte coinvolta nelle attività dell’assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Perugia, come per il convegno «Eva era africana», a sostegno di iniziative per l’istruzione femminile in Africa. Abbiamo quindi voluto approfondire, con l’assessore Ornella Bellini, il ruolo giocato dalle Pari Opportunità a livello istituzionale. Quali sono i principali Progetti ideati o seguiti da questo Assessorato? «Tanti e diversi sono i progetti messi in campo, a partire dalle esperienze con il mondo della Scuola. C’è bisogno, oggi più che mai, di azioni incisive per abbattere gli stereotipi ancora presenti, frutto di differenziazioni socialmente costruite. E non vi è dubbio che per sviluppare tali processi di evoluzione culturale e sociale, il mondo dell’istruzione riveste un ruolo centrale. Dopo la positiva espe-
rienza del Progetto “Genere e diritto di cittadinanza a scuola”, realizzato negli scorsi anni con 8 Istituti scolastici, abbiamo sviluppato altri percorsi progettuali simili. Ricorderete poi la collaborazione proprio con la vostra scuola per il progetto “Orientare in ottica di genere”, con l’obiettivo di promuovere scelte formative e professionali al riparo da tutti i pregiudizi e, in particolare, di sostenere le ragazze nell’esplorazione di nuove possibilità professionali in campo scientifico-tecnologico». Perché scegliete progetti riguardanti anche realtà geograficamente molto lontane? «Contribuire, anche se in minima parte, a dare una mano a quelle donne che in altre parti del mondo subiscono troppe ingiustizie e disuguaglianze, non può non essere un nostro impegno politico istituzionale. Da anni collaboriamo con la Fondazione “Levi Montalcini” per sostenere l’istruzione femminile nel continente africano».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli alunni della Scuola secondaria di primo grado «Da Vinci-Colombo» di Perugia. Hanno partecipato le classi IIIA e IIIB della sede
di Elce e la classe III BM sede di Montegrillo. Gli insegnanti tutor che hanno seguito i ragazzi nella realizzazione della pagina sono rispettivamente: Silvia Gigante, Pa-
trizia Ferrarato, Sara Zerilli. Il dirigente scolastico della scuola «Da Vinci Colombo» è Massimo Mariani. La scuola ha già partecipato alle altre edizioni del Campionato di giornalismo.
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Alighieri Città Città di di Castello Castello
Istruzione a misura di studente I Centri per l’educazione degli adulti svolgono una funzione importante LA PROFESSORESSA Andreina Chieli, responsabile del Ctp EdA di Città di Castello-Umbertide, il cui dirigente è il professor Roberto Cuccolini, ci ha spiegato cos’è l’«educazione degli adulti» e come sono nati i Ctp in Italia. L’ educazione degli adulti, c’informa la signora Chieli, nata per combattere l’analfabetismo, oggi contribuisce a raggiungere gli obiettivi indicati dall’Unione Europea, pur nella riformulazione del trattato di Lisbona del 2007. Gli obiettivi sono i seguenti: avere almeno il 15% degli adulti in percorsi d’apprendimento, la proporzione degli studenti al livello basso negli apprendimenti linguistici, matematici e scientifici deve scendere al di sotto del 15%, avere almeno il 40% di persone tra i 30-34 anni con un titolo di studio d’istruzione terziaria, portare al di sotto del 10% la percentuale di giovani che escono precocemente dal sistema d’istruzione e formazione. Oggi nel nostro Paese il tasso di alfabetizzazione è alto, ma il costante arrivo di uomini e donne da Paesi stranieri, soprattutto del nord-Africa , dove al contrario è
PROTAGONISTI Gli studenti reporter dell’Alighieri
altissimo il tasso di analfabetismo, ha evidenziato la necessità di creare strutture in grado di soddisfare il diritto all’istruzione degli stranieri che vogliono conoscere la lingua italiana o le lingue straniere per crearsi una cultura personale e soprattutto per vivere e lavorare in un paese straniero. Frequentano il Ctp anche adulti e
giovani interessati a soddisfare i propri interessi culturali o professionali, desiderosi di acquisire/approfondire competenze nell’ambito informatico per riavvicinarsi o rientrare nel mercato del lavoro. In Umbria sono 8 i Ctp collegati alla regione; quello di Città di Castello-Umbertide, con sede presso la scuola «Dante Alighieri», il più
grande dopo quello di Ponte S.Giovanni, è nato nel 1998. Si tratta in pratica di una agenzia formativa pubblica, accreditata presso la regione Umbria, che dal 1999 opera nei comuni del Distretto scolastico. La finalità del centro è quella di fornire occasioni per esercitare una cittadinanza consapevole ed attiva che permetta l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro ed anche nel percorso scolastico attraverso vari passaggi. Molti dei corsi come quelli per il conseguimento della licenza media ed il corso per alfabetizzazione di lingua italiana per stranieri, sono completamente gratuiti, mentre per gli altri, come quelli per l’approfondimento della lingua straniera o dell’informatica, prevedono una quota di iscrizione. Alle lingue ed all’ informatica si aggiungono altri corsi brevi di area artistico-espressiva, quelli di disegno, teatro, fotografia o altri legati al tempo libero come lo yoga e la cucina. Inoltre per gli stranieri che hanno bisogno di una conoscenza meno superficiale della lingua italiana, utile per la vita quotidiana ed il lavoro, sono previsti anche corsi annuali, gratuiti, diversificati per livelli.
L’INTERVISTA HASSOUNA EL HASSAN E’ ARRIVATO IN ITALIA NEL 1998. ORA VUOLE DIPLOMARSI
«Ragazzi, investite nella scuola e nello studio»
PREZIOSI I centri territoriali permanenti
MOLTI DEGLI ISCRITTI al Ctp sono stranieri, come Hassouna El Hassan, uno studente originario del Marocco. Da quanto tempo si trova in Italia? «Era il 1998 quando sono arrivato in Italia dal Marocco e subito ho frequentato il corso di falegnameria in un istituto professionale della città, per imparare la lingua e perché mi piace il lavoro di falegnameria». Perché si è iscritto al corso di licenza media? «Ho sempre avuto il desiderio di conoscere ed imparare sempre di più, grazie anche a mio padre che mi ha sempre stimolato a conoscere il Paese in cui sono venuto per poter meglio integrarmi. Ho saputo del Ctp da un mio amico e mi sono iscritto per ottenere la licenza media, per conoscere ancora meglio la lingua italiana e perchè voglio trovare lavoro. Inoltre m’incuriosisce molto la storia dell’Italia».
Perchè pur avendo conseguito un diploma in Marocco, studia ancora? «Il diploma ottenuto nel mio Paese, quello di terza superiore, non è stato riconosciuto in Italia. La stessa cosa è successa alla mia compagna di classe, che è russa ed è laureata in economia e commercio; anche lei studia al Ctp. Il corso è iniziato quest’anno ad ottobre ed a giugno avremo l’esame. Si sta in classe dal lunedì al giovedì e studiamo le principali materie del piano di studio della scuola secondaria di primo grado». Com’è il rapporto con gli altri studenti? « Nella mia classe ci sono alunni che vengono da tutto il mondo e non ci sono stati problemi di convivenza neanche con i professori che sono molto pazienti e gentili ed anzi sono incuriositi dei nostri usi e costumi, della nostra religione».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dalla classe III F (sede Alighieri): Alberati Francesco, Beccari Martino, Bracchini Veronica, Crocioni Cesare Piero, Del Gaia Francesco, Diamante Cesare Louis Carlo, Feligioni Fi-
lippo, Fontanelli Filippo, Guerrini Federico, Leo Gianmarco, Mannucci Paolo, Milanesi Nicolò, Montedori Angelo, Perfetti Andrea, Trento Fabiana, Veschi Francesco, Vittoriani Salvatore, Zangarelli Riccardo.
Il lavoro, sostenuto dal dirigente Roberto Cuccolini, è stato coordinato dalla professoressa Marisa Milli con la collaborazione dei professori del CTP, Andreina Chieli, Daniele Fiorucci e Simona Beccari.
IL PUNTO
Analfabetismo Un fenomeno che riemerge SUBITO dopo l’Unità d’Italia, il 78% della popolazione risultava analfabeta. Oggi questa percentuale si è notevolmente abbassata, tuttavia rimane il fatto che ancora il 12 % della popolazione italiana è analfabeta e senza alcun titolo di studio. Il 33% della popolazione, tra laureati e diplomati, è in grado di affrontare le sfide della società contemporanea in quanto ha la formazione di base necessaria. Il 66% dispone di una formazione insufficiente per partecipare, informata, allo sviluppo della società della conoscenza. Secondo una definizione redatta dall’Unesco, «l’analfabetismo è la condizione di una persona che non sa né leggere né scrivere, capendolo, un brano semplice in rapporto alla sua vita quotidiana». Si tratta di circa sei milioni di cittadini italiani da considerare analfabeti totali, semi-analfabeti o analfabeti di ritorno, comunque non in grado di affacciarsi sul mondo del lavoro e difendersi di fronte ai continui cambiamenti che lo hanno investito. Investire sulla formazione continua degli adulti consente di acquisire i risultati in tempi relativamente brevi. Su questa direzione diventa fondamentale il ruolo del Ctp EdA di Città di Castello e di tutti quelli sparsi nelle altre regioni. A secondo della necessità della propria formazione personale si può accedere ai corsi per la licenza media, corsi di alfabetizzazione e lingua italiana per stranieri, corsi di lingua straniera, informatica o altri corsi brevi.
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Amicizia: un tesoro a rischio Tra le tante insidie, l’invidia è il sentimento più minaccioso ECCO LA RICETTA
Generosità e devozione Ingredienti ok GENEROSITÀ e devozione si possono considerare, tra le altre, qualità importanti per instaurare e mantenere una buona amicizia. Queste due parole a volte vengono accostate in modo quasi automatico e scontato al termine amicizia. Occorre invece rivalutare il loro significato profondo, specialmente in questo periodo di crisi in cui le persone pensano egoisticamente più al proprio bene che alla condivisione o al bene altrui. Unendo le proprie forze si possono superare anche i momenti più difficili; viceversa da soli si può contare solo su se stessi e questo non sempre basta. In un’amicizia la devozione è un valore che implica rispetto e attaccamento verso un’altra persona. Essere amici è qualcosa di straordinario: un vero amico è sempre al tuo fianco, specialmente nelle difficoltà. E’ anche vero però che quando la generosità e la devozione non sono reciproche, l’amicizia si può interrompere. Ma allora era amicizia vera? Il racconto di Oscar Wilde “L’amico devoto” è un esempio di amicizia in cui la devozione e la generosità non sono ricambiate: Hugh, ricco mugnaio, approfitta continuamente dell’infinita disponibilità del piccolo e ingenuo Hans. Quest’ultimo, pur essendo povero, è sempre pronto ad esaudire le richieste di Hugh che, al contrario, non prova affetto per lui, anzi lo sfrutta chiedendo favori e regali senza dare nulla in cambio. Dopo aver aiutato più e più volte il mugnaio, il piccolo Hans muore a causa dell’ennesimo favore chiesto dal mugnaio Hugh.
«SEI UN VERO AMICO». Chissà quante volte l’avrete sentito dire! Beh, quel vostro amico potrebbe anche essere sincero, ma in molti casi non è così. Può capitare infatti che un legame si interrompa a causa dell’invidia. Mentre l’amicizia è sostenuta da generosità, altruismo, solidarietà, affidabilità, premurosità, amore, l’invidia comporta una disposizione dell’animo astiosa e maligna verso l’altro ritenuto particolarmente fortunato o di valore. L’invidioso vorrebbe appropriarsi delle qualità dell’altro, annichilendolo. Questo cattivo sentimento procura dolore, rabbia, rivalità, senso di inadeguatezza nel cuore di tutti gli «amici» che lo subiscono, avvertendolo, o lo provano. Alberto Moravia ha ben espresso il rapporto che può esistere tra invidia ed amicizia nel suo racconto «Quant’è caro», tratto da Nuovi Racconti Romani. Lo scrittore narra l’amicizia tra Luigi Proietti e Arturo. Siamo nella Roma degli anni ’50. Luigi è un macellaio mentre Arturo un umile carto-
«Quant’è caro1» detta in seguito all’ennesimo vanto di Luigi. La cena termina con una lite furibonda e penosa che metterà la parola fine a quell’amicizia. Iole, la moglie di Luigi, dice al marito che nella vita gli amici veri sono solo i soldi e che gli altri vanno e vengono. Così termina il racconto di Moravia.
QUEL TARLO IN AGGUATO Occhio all’invidia
laio. Grazie ai proficui incassi della sua macelleria e all’aiuto economico del suocero, Luigi diventa sempre più ricco e con il denaro accumulato compra cose che l’amico non si può permettere, mostrandogliele con uno sfacciato orgoglio, anche un po’ provocatorio. Ed è così che piano piano
Arturo diventa invidioso di quello che prima era il suo più caro amico. Fra i tanti acquisti, Luigi compra anche un nuovo lussuoso appartamento. Per inaugurarlo decide di invitare Arturo e la moglie. Durante la cena le strade dei due amici si dividono per colpa dell’infelice espressione di Arturo
QUESTA FRASE a noi non è piaciuta affatto perché riteniamo che nella vita i soldi, pur essendo certamente indispensabili, non possono avere la priorità sul valore dell’amicizia. Gli amici sono da ritenersi come l’acqua nel deserto: sono la vita. Per concludere vogliamo proporre il seguente decalogo a cui ognuno può far riferimento per mantenere viva l’amicizia: l’amicizia è generosa, l’amicizia è fedele e devota, l’amicizia è sincera, l’amicizia è disinteressata, l’amicizia è solidale, l’amicizia è nel bene e nel male, l’amicizia è vitale, l’amicizia è leale, l’amicizia è gratuita, l’amicizia è per sempre.
IL DILEMMA RICCHEZZA E POVERTA’ POSSONO MINARE UN BEL RAPPORTO?
«Da bambini contano affetto e amore»
SEMPRE UNITI Affetto e stima superano ogni barriera
RICCHI E POVERI possono diventare grandi amici? Tutti noi ci siamo chiesti se le differenze sociali possano ostacolare l’amicizia. Secondo alcuni una persona ricca e importante non può essere amica di una povera e modesta perché verrebbe a mancare quella affinità che rende il rapporto paritario e le differenze sociali potrebbero costituire un muro insormontabile nel costruire il rapporto d’amicizia. Questo però non vale per i bambini per i quali è facilissimo superare le differenze sociali in quanto non vengono percepite affatto, come è ben espresso nel film «Il bambino con il pigiama a righe»: due bambini, uno tedesco, figlio di un alto funzionario nazista, e l’altro ebreo, fanno amicizia nonostante il bambino ebreo sia chiuso in un campo di concentramento. Da bambini le differenze sociali non si avvertono, ma man mano che si cresce emergono fortemente e da adulti possono di-
ventare un vero e proprio ostacolo per l’amicizia. Il ricco potrebbe vantarsi dei propri averi, mentre il povero potrebbe sfruttare il benessere dell’amico; oppure non si sentirebbe all’altezza, ritenendosi inappropriato. Questo è quanto racconta Anton Cechov nel brano «Il grasso e il magro». Lo scrittore russo descrive il rapporto tra due amici fin dall’infanzia: il ricco (grasso) Misa e il povero (magro) Porfirij. I due si rivedono per caso dopo tanto tempo in una stazione ferroviaria. Tra baci e abbracci cominciano a parlare della loro vita. Si scopre così che il magro è un umile impiegato che con il suo misero stipendio riesce a malapena a portare avanti la famiglia; invece il grasso è diventato un importante funzionario dello stato, che guadagna uno stipendio da favola. L’incontro, prima caldo e affettuoso, subito si raffredda trasformandosi in un rapporto distaccato e formale.
LA REDAZIONE PAGINA realizzata dagli studenti della «Nelli», coordinati da Anna Maria Menichetti. Classe 2 E: Bazzucchi Lorenzo, Belardi Nicolò, Bettelli Ubaldo, Bellucci Diletta Maria Beatrice, Bianconi Leonardo, Bou-
dinar Marouan, Brugnoni Angelica, Ceccarini Jacopo, Cerafischi Gloria, Chiarenza Daniela, Francioni Elisa, Gaggiotti Deborah, Marchi Cristina, Minelli Federico, Orsini Maria Letizia, Pannacci Letizia, Pasco-
lini Jacopo, Pascolini Martina, Piccotti Roberta, Radicchi Sofia, Ragni Calzuola Pietro, Santi Riccardo, Sollevanti Chiara, Stocchi Stefania, Ticà Leonardo, Vinciarelli Alessio. Preside: Carlo Chianelli.
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C’era una volta il ciabattino... Storia degli antichi mestieri. Quando andavamo dall’ombrellaio ARROTINI, carrettieri, lavandaie, carbonai, ombrellari, tessitrici e tanti altri e simili e appassionati artigiani, che fine hanno fatto? Chi erano? Oggi molte persone non conoscono nemmeno il nome di tanti mestieri che un tempo erano numerosi e facevano parte della vita di tutti i giorni. Un intero mondo con i suoi mestieri, gli specifici attrezzi, le tipiche doti e abilità sono spariti, soppiantati e sostituiti da un nuovo mondo e da altrettanti nuovi mestieri. Conoscere quel mondo è necessario e interessante, anzi, fondamentale, se non si vuole che con i vecchi artigiani scompaia anche il senso della continuità che ci lega al passato. Cogliere l’evoluzione tra passato e presente e la relativa continuità mettendo a contatto le nuove generazioni con i mestieri che furono dei nostri nonni, collegare le professionalità e le abilità di oggi con quelle di ieri, permette di far cogliere l’essenza delle attività umane e la profonda dedizione che con quella operosità realizzavano completamente e profondamente se stessi. La scomparsa di tanti mestieri relegati ormai sol-
ARTISTI Una squadra di ciabattini (la foto è di Giuseppe Fantaulli)
tanto nella memoria, costituisce una grande perdita, dal momento che si pone l’esigenza di conservare la memoria storica per comprendere il nostro presente. Gli antichi mestieri oggi sono per lo più scomparsi a causa dell’evoluta tecnologia e del consumismo. Ma se attraversiamo le vie suggestive di città e borghi e osserviamo at-
tentamente, si scoprono tante forme di artigianato che, affondano le loro radici nel passato e rappresentano un irrinunciabile momento di salvaguardia di un patrimonio culturale a rischio di estinzione. Proprio oggi abbiamo trascorso un giorno alla ricerca di botteghe e artigiani del nostro territorio e abbiamo concluso che se
da un lato gli antichi mestieri sono in via di estinzione, dall’altro i pochi “mastri” e artigiani che ancora li praticano, sono conosciuti dalla nostra comunità, che non potrebbe fare a meno di loro, si conoscono per nome, si può chiedere a chiunque chi siano e dove si trovano. Nella piazza del nostro paese, il mercato è il furgone di Mario, un contadino che vende frutta e verdura della sua terra e olio di sua produzione. È fiero dei suoi prodotti e aggiunge che tutto quello che vende va dal produttore al consumatore. Sa che non ce ne sono oggi come lui. Un tempo erano tanti a fare il mercato in questa piazza, che al mattino si popolava di voci, di passi, di mani. Ora c’è solo lui e mostra orgoglioso i cavoli e i finocchi, sono così buoni e saporiti che si possono mangiare anche crudi. Passando per il vicolo ci colpisce il negozio del barbiere. L’arredamento è chiaramente anni sessanta, con le poltrone in pelle un po’ scolorite e consumate ma ancora molto comode. Il padrone è Elio, un signore cordiale che s’intrattiene a parlare con noi, ci lascia girare per il negozio a curiosare tra pennelli e rasoi.
PROTAGONISTI LUIGI IL CIABATTINO E GIOVANNI IL SARTO DI MERCATELLO RACCONTANO LA LORO STORIA
«Fatica, pochi soldi, ma c’era soddisfazione»
AL LAVORO Giovanni tagliava e cuciva a mano
LUIGI non aveva una vera e propria bottega fissa, ma andava a riparare o a fare le scarpe soprattutto nelle case e nei casali di campagna dove vivevano i contadini. Le loro famiglie erano molto numerose, le possibilità economiche scarse, quindi un paio scarpe spesso doveva bastare per più figli. Il ciabattino utilizzava materiale diverso secondo le possibilità di denaro dei clienti; la «vacchetta» era un tipo di cuoio meno pregiato di colore chiaro, la suola e la gomma venivano invece usate per i fondi delle scarpe. Prima di essere adoperate, le suole venivano messe a bagno nell’acqua e poi battute per ore sulla scarpetta di ferro per renderle più resistenti. Quando andava nelle case, il ciabattino portava una cassetta di legno con dentro gli attrezzi: martelli, lesine che servivano per cucire, coltelli da calzolaio e il “coltello da ruota” usato per rifinire la suola delle scarpe. Nella cassettina inoltre c’era-
no: lo spago, la pece, colla, semenze, chiodi, bolle, forme di legno di varie misure, le stampelle, le tenaglie e le pinze per tirare il cuoio e per togliere i chiodi rovinati. I ciabattini, di solito quando andavano nei poderi si fermavano tutto il giorno finché non terminavano il lavoro. Il compenso veniva dato alla fine dei raccolti, se questo era buono, altrimenti si rimandava la paga all’anno successivo. Erano tempi duri, ma la gente era contenta. GIOVANNI, il sarto di Mercatello, lavorava per donne e per uomini, minimo dodici ore al giorno, il suo era un lavoro faticoso perché doveva stare curvo per diverso tempo: taglio, imbastitura, cucito a mano e a macchina, stiratura. Gli strumenti che usava erano: il ditale, l’ago, le forbici, il gessetto, il metro, la macchina da cucire a pedale, il ferro da stiro, un cuscinotto per stirare e il manichino. Una giacca e un paio di pantaloni? 3500 lire.
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti dell’Istituto comprensivo «G.Parini» (Scuola Secondaria di primo grado) di Castel Ritaldi delle classi II A e II B. I docenti
che hanno coordinato i ragazzi nella stesura degli articoli e nella realizzazione della pagina sono: Pina Capaldini , Carla Guglielmi, Romeo Malvestiti, Valter Piambianchi.
Ha collaborato anche la dirigente scolastica Maria Cristina Rosi. La scuola Parini di Castel Ritaldi ha partecipato a tutte le edizioni del Campionato di giornalismo.
LA RIFLESSIONE
Gli artigiani e il «sapere» nelle mani «I MESTIERI antichi» sono parole che ci fanno riflettere sul secolo passato, un secolo diverso dal nostro, dove si lavorava molto, facendo più lavori artigianali e dove la fatica e la qualità dei prodotti erano maggiori e la quantità degli stessi minore. Oggi, anche se ci sono più categorie di lavori, viene impiegato meno personale perché ci sono molte macchine che svolgono il lavoro al posto delle persone e la tecnologia è più avanzata. Questo cambiamento ha lati positivi e lati negativi: positivi perché mentre negli anni passati le persone lavoravano tutto il giorno, oggi possono avere più tempo libero; negativi per l’inquinamento che producono i macchinari delle industrie e la disoccupazione che è molto diffusa, specialmente tra i giovani. Ripensando ai mestieri antichi, gli artigiani quali: gli ombrellai, le sarte, i cestai, le lavandaie, impiegavano la maggior parte del loro tempo utilizzando le proprie mani, elemento fondamentale del lavoro. Secondo noi, questi importanti mestieri che un tempo erano essenziali, ora sono purtroppo totalmente dimenticati. Sarebbe bello che oltre a tenere viva la loro memoria attraverso i racconti dei nostri nonni, venisse data la possibilità ai pochi artigiani ancora in attività, di poter vivere del loro lavoro. Anche se siamo consapevoli che non potranno mai competere con i prodotti industriali di oggi, chiediamo ai nostri governanti, l’istituzione della “Giornata dell’artigianato”, una giornata in cui i nostri piccoli e grandi “artisti” del passato possano mostrare a tutti, la loro bravura.
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CAMPIONATO GIORNALISMO
MARTEDÌ 21 FEBBRAIO 2012
Scuola media
Cocchi Aosta Todi Todi
Io «Emo». E tu di che tribù sei? Viaggio tra riti e mode giovanili. Capelli e abiti come una divisa IL SONDAGGIO
Facebook l’amico «virtuale» IL RISULTATO del sondaggio eseguito fra le classi seconde della scuola media Cocchi-Aosta di Todi è che il 70% degli alunni usano Facebook mentre solo il 30% non lo ha e la maggior parte dei ragazzi trascorre più di 2 ore davanti al computer. Per questo sondaggio abbiamo preparato dei biglietti uguali anonimi per tutti gli alunni delle seconde e poi li abbiamo distribuiti. Face book può avere aspetti negativi come restare troppo tempo al computer provoca danni alla vista, sottrae tempo allo studio e ai giochi all’aria aperta. Inoltre i ragazzi comunicando solo attraverso il computer perdono la capacità di scrivere con una corretta scrittura, abbreviando troppo non conoscono più la loro lingua madre. Grazie al sondaggio possiamo affermare che piace a tutti loro che lo possiedono. I nostri commenti: Virginia:per me avere Facebook è importante perché puoi conoscere nuovi amici, pero può essere pericoloso se dai confidenza a persone estranee. Bruno: Facebook è utile perché quando uno si annoia sa cosa fare, tipo: chattare o condividere link. Alessia e Sofia: noi che non abbiamo Facebook non ne sentiamo il bisogno perché pensiamo che sia inutile e che è una perdita di tempo. Federica: Facebook ha molti lati negativi ma esserci è come un’altra vita, ti permette di contattare persone a te lontane e puoi anche essere come tu preferisci.
STARE alla moda significa anche stare al passo con i tempi, sia in ambito di abbigliamento che nei comportamenti, a volte questa scelta può essere innovativa e molto diversa rispetto alle inclinazioni. Oggi la moda, soprattutto quella seguita dai giovani, è basata sul casual, sull’improvvisazione, sull’invenzione creativa. La moda è la tendenza dell’uomo ad appartenere un gruppo sociale, e questo è importante, ciò condiziona e permette di catalogare ogni individuo. Tra i giovani il fatto di entrare a fare parte di un gruppo significa anche acquisire caratteristiche come il modo di vestire che lo rendano simile agli altri. NEGLI ULTIMI anni la moda è cambiata. A differenza degli anni ’50quando andavano di moda abiti come le gonne larghe o i bustini, oggi vanno di moda tra i ragazzi gli indumenti più larghi e grandi rispetto al corpo, come i pantaloni a cavallo basso, le scar-
dumenti sono di solito neri come i capelli; solitamente hanno un atteggiamento triste e solitario; questa tendenza è più sviluppata nei ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Il condizionamento dei mass-media sui ragazzi li porta a seguire la moda.
PROTAGONISTI Gli studenti di Todi «studiano» i loro coetanei
pe due o tre numeri più grandi rispetto al proprio o le magliette che arrivano quasi fino alle cosce. Vanno di moda anche i pantaloni molto attillati, ma non sono molto comodi. Negli ultimi anni è cambiata anche la pettinatura; al giorno d’oggi è diffusa la “cresta” soprattutto tra punk:
una subcultura giovanile nata nel Regno Unito, nella metà degli anni Settanta,ma ancora oggi è molto diffusa. Un altro gruppo invece sviluppato da poco è quello degli Emo: i loro capelli sono quasi sempre lisci con una frangia a punta che cade su una parte del viso. Gli in-
ACCADE però che alcuni ragazzi, che magari preferiscono vestirsi diversamente degli altri, oggi vengano esclusi dal gruppo. L’individuo stesso è portato a fare una scelta: o cambiare il proprio look, per essere accettato, o rimanere delle proprie opinioni, continuando a indossare capi non altamente alla moda, consapevole però che in questo modo non avrà molti amici. Questo avvenimento si verifica ormai dappertutto anche se è sbagliato perché ognuno dovrebbe essere libero di indossare ciò che preferisce e non dovrebbe essere giudicato solo dal modo di vestirsi.
L’INDAGINE L’ALTRA FACCIA DELLA TECNOLOGIA. ATTENTI ALL’USO DISTORTO DELLA RETE
L’allarme: Internet e il cyberbullismo I RAGAZZI di questi ultimi anni sono cresciuti con gli apparecchi tecnologici invece che con i libri, per questo sono molto più esperti degli adulti. Ogni ragazzino possiede un telefonino al giorno d’oggi e sa manovrarlo come un giocattolo. Il telefonino più diffuso è quello a touch screen, cioè in grado di poter eseguire un comando solo sfiorando lo schermo con le dita o con un apposito stilo. Un altro mezzo tecnologico che la maggior parte dei ragazzi ha, è l’mp3: che permette di riprodurre musica nelle cuffiette.
TRIBU’ EMERGENTI Una giovane «Emo»
MOLTO DIFFUSO è il computer fisso o portatile che i ragazzi usano soprattutto per accedere ai social network, per fare ricerche o semplicemente per la navigazione in Internet. Il progresso della tecnologia è un aspetto positivo;
ma usando così frequentemente i social network per i ragazzi può risultare pericoloso. Negli ultimi tempi si è sviluppato il fenomeno di cyberbullismo: esso consiste nell’usare varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel corso del tempo contro una vittima che ha difficoltà a difendersi. IL CYBERBULLISMO può essere distinto in varie tipologie, tra le quali. «Cyberstalking»: messaggi contenenti minacce o messaggi intimidatori. «Impersonation»: il bullo con l’account di qualcuno, si fa passare per questa persona e invia messaggi agli altri rovinandogli la reputazione o qualche amicizia. «Outing and trickery» : condivisione di segreti o informazioni importanti della “vittima”e spingere qualcuno a rivelare segreti e a condividerli online.
LA REDAZIONE PAGINA realizzata dagli studenti della scuola media Cocchi-Aosta, coordinati dalle professoresse Marilena Toppetti e Cinzia Vergari. Classe 3 D : Adushi Brunildo,
Brozzetti Riccardo, Calistroni Elena, Carpinelli Lorenzo, Cruciani Simone, Ferretti Maddalena, Galletti Sara, Gilocchi Simone, Mechella Federica, Moscatelli France-
sco, Orlandi Virginia, Pasteni Edoardo, Petrini Michele, Pianegiani Anna Maria, Prendi Francesca, Settembre Sofia, Silvi Ester Asia, Todini Lorenzo, Ulianovschi Doina, Zhar Jallal. Preside: Cristina Maravalle.
CAMPIONATO GIORNALISMO
MARTEDÌ 21 FEBBRAIO 2012
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Scuola media
Melanzio Montefalco Montefalco
Poesia, specchio dell’anima Dai versi impegnati a quelli d’amore: la potenza delle parole COS’È LA POESIA? Chi sono i poeti? Ha senso fare poesia? Tutti possono essere poeti? La nostra esperienza con il Concorso di Poesia Sacra ci ha portato a riflettere sulla poesia. Abbiamo scoperto che, nella storia dell’uomo, questa forma espressiva è stata accompagnata inizialmente dalla musica. E’ stato così nelle civiltà primitive, dove al ritmo dei tamburi si è presto unito il ritmo delle parole. E’ stato così per Omero e i suoi poemi epici e per i trovatori medioevali. La poesia si è resa autonoma dalla musica solo quando è diventata un fatto privato, questo con la diffusione della stampa e la conseguente lettura individuale. Musica e poesia s’incontrano ancora oggi grazie ai cantautori. Molte canzoni sono vere e proprie poesie. Ascoltando De Andrè, Vasco, Jovanotti, Battisti e tanti altri, non si può fare a meno di “emozionarsi”. É proprio l’“emozione” il sentimento su cui fa leva il poeta. Un vero poeta è chi trova sempre dentro di sé la necessità del “fare” poesia, per comunicare emozioni e arrivare agli altri. La sua arma segreta è l’analisi delle proprie debolezze,
RARO E PREZIOSO La Merini diceva che il poeta è come un unicorno
dei suoi desideri e dei propri progetti. Tante sono le poesie sull’amore. I nostri diari sono pieni di poesie. Attraverso la poesia noi dichiariamo i nostri sentimenti più segreti e intimi. La poesia è amore. La poesia è anche il mezzo che unisce, trasmette valori, apre alla libertà. Abbiamo studiato, in occasione dei 150 anni dall’Unità
d’Italia, molte poesie che hanno incoraggiato tanti giovani a impegnarsi e lottare per avere una patria. Poesia che denuncia e spinge alla ricerca di un mondo libero e giusto. La poesia è stata ed è il mezzo attraverso cui un popolo può aver voce. Poesia è libertà. Ci sono condizioni indispensabili per fare poesia: il poeta non deve
avere vergogna, non deve temere giudizi sciocchi, deve uscire dagli schemi, deve poter andare controcorrente, deve essere libero. Libero il poeta di esprimersi e libero il lettore di interpretare la poesia. Come diceva Massimo Troisi nel film “Il postino”: la poesia non è di chi la fa, ma di chi la usa. Infatti, la poesia diventa immediatamente proprietà di chi la legge. La poesia non si consuma, non ha una data di scadenza. La poesia dei vari poeti passa di mano in mano, ognuno sceglie quella che sente più vicina al suo modo di pensare, quella che esprime meglio i suoi sentimenti. Ci colpisce di più la poesia che ci assomiglia: tra lettore e poesia c’è sempre un legame strettamente personale. Tutti possono allora diventare un poeta? Per essere un poeta, bisogna stare in silenzio, ascoltare il rumore dei pensieri, unirlo ai sentimenti ed esprimerlo sinceramente con il linguaggio proprio della poesia. Ma il poeta ha qualche cosa in più delle altre persone. Alda Merini: «il poeta è un unicorno. I poeti sono una specie rara e per questo preziosa. Il mondo ha e avrà sempre bisogno della poesia e dei poeti!».
L’INTERVISTA PARLA GAMBACURTA, ESPERTO DI RICERCA STORICA E DI USI DIALETTALI
«Il sonetto, piccolo miracolo dell’armonia» IL SIGNOR GAMBACURTA è una figura nota a Montefalco per il suo impegno civile e soprattutto per l’opera di ricostruzione e ricerca storica relativa al territorio e alle sue tradizioni scomparse. Quando compone una poesia a cosa s’ispira ?
«Ragazzi, la poesia è qualcosa che è dentro di noi e ci aiuta a capire ciò che c’è fuori, all’esterno. Il poeta sente dentro di sé l’esigenza di esprimersi e tutto può essere fonte d’ispirazione». Quando ha iniziato a comporre poesie ?
«Non presto. Ho iniziato a scrivere poiché la lettura dei testi in dialetto mi ha affascinato. Diversi sono i libri che ho pubblicato e ho partecipato a molti concorsi di poesia». Con che schema metrico scrive le sue poesie ?
«Utilizzo il sonetto, perché lo ritengo più adatto al mio modo di fare poesia. La poesia è molto vicina alla musica e il sonetto “piccolo suono”, permette di costruire un’armonia. All’interno del verso ci deve essere l’armonia, non si ammettono stonature d’accento».
L’ARTISTA Gli studenti con Gambacurta Perché usa il dialetto ?
«Il dialetto è la mia lingua madre, mi é stata insegnata dai genitori e attraverso questa lingua posso esprimermi con maggiore completezza e libertà». Scrive sempre poesie ?
«Ho iniziato a scrivere poesie perché mi trovavo nello “stato di grazia” per poterlo fare, oggi mi occupo soprattutto di ricerca storica sul nostro territorio e utilizzo la prosa, ma la poesia è secondo me il linguaggio più adatto e profondo per potersi esprimere, devi però sentirla, essere ispirato». Ha senso oggi fare poesia?
«Sì, oggi più che mai c’è bisogno di poesia e dei poeti, anche se pochi se ne rendono conto. La poesia è uno specchio in cui vediamo noi stessi felici o addolorati, una pagina della nostra vita che poi si ritroverà nel futuro».
LA REDAZIONE LA SEGUENTE pagina è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Francesco Melanzio» di Montefalco. Hanno partecipato le classi II A e II B.
L’insegnate che ha coordinato gli studenti nel loro lavoro e nella stesura dei testi è la professoressa Gabriella Del Zotto. Il dirigente della «Melanzio» è la profes-
soressa Mirella Palmucci. La scuola di Montefalco ha partecipato a tutte le edizioni del campionato. Vignetta e fotografia con il poeta Gambacurta sono opera degli studenti.
IL CONCORSO
Ecco i tre «cantori» della Cocchi NEL COMPLESSO del museo di San Francesco sono stati premiati gli alunni della «Melanzio», che hanno partecipato con le loro poesie al Concorso internazionale di Poesia Sacra Santa Chiara della Croce. Il Concorso era rivolto a tutte le persone alla ricerca della spiritualità, dell’amore per le cose belle, della riflessione sul «sacro» inteso nel senso più ampio e aperto. Gli elaborati prodotti dagli alunni, molto apprezzati, hanno evidenziato la grande sensibilità dei giovani nei confronti di temi profondi e toccanti. Non è usuale che ragazzi così giovani possano partecipare a un concorso di poesia, ma si sono rivelati sensibili e capaci di una profonda riflessione. Il percorso educativo-didattico intrapreso dall’Istituto Melanzio per far conoscere il proprio territorio e la cultura a esso relativa è stato da stimolo. Il lavoro ha inoltre contribuito a far comprendere ai ragazzi di Montefalco quanto sia importante conoscere la propria cultura e le proprie tradizioni per trasmetterle in un prossimo futuro. La manifestazione si è svolta dando spazio e voce ai ragazzi attraverso una performance che celebrava i 150 anni dell’Unità d’Italia. Quest’anno i vincitori sono stati: Cramer Davide con la poesia «Barca di Dio», Pierantozzi Leonardo con la poesia «La scelta», Coccetta Vanessa con la poesia. «Indispensabile». I ragazzi si sono alternati sul palco, dove hanno letto le loro poesie e hanno ricevuto il premio tra gli applausi del pubblico.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2012
Scuola media
Tavernelle Panicale
La fabbrica dei sogni concreti La scuola, se propedeutica al lavoro, è un valido trampolino sociale IL SINDACO
«Solidarietà, innovazione e ambiente» UNA CRISI non solo regionale ma anche nazionale e mondiale, che preoccupa la gente e soprattutto i giovani che rischiano di perdere la speranza di vedere un futuro migliore. Così Luciana Bianco, sindaco di Panicale, ha definito davanti ai nostri microfoni l’attuale situazione socio-economica. In particolare, il nostro territorio è stato colpito soprattutto nel suo comparto manifatturiero e oggi conta la presenza di 400 fra disoccupati e cassaintegrati. Purtroppo le risorse economiche e gli interventi di sostegno alle imprese e alle famiglie in difficoltà che gli enti locali possono mettere in campo sono attualmente piuttosto esigui e limitati e pertanto occorre che tutti i cittadini contribuiscano, come possono, ad alleviare gli effetti della crisi. Anzitutto, afferma il sindaco, i cittadini sono chiamati a partecipare di più al dialogo con le istituzioni, dimostrando maggiore spirito di comprensione e di collaborazione. Si dovrebbe riscoprire il gusto e la voglia di fare volontariato e di dimostrare solidarietà verso il prossimo aiutando i più bisognosi. E per quanto riguarda il futuro di noi giovani, che proprio quest’anno siamo chiamati a scegliere in quale scuola proseguire in nostri studi? Il sindaco non ha dubbi: «privilegiare quegli indirizzi di studio che possono orientarci verso sbocchi professionali in settori scientifico-tecnologici emergenti sembra la scelta più giusta in questo momento».
SIAMO RAGAZZI di tredici anni che si trovano, loro malgrado, a vivere in una società «malata», «in crisi», come dicono gli esperti e gli economisti. Fra i tanti problemi che ci affliggono c’è la mancanza di lavoro e quindi la probabilità di non avere un futuro roseo o almeno tranquillo come quello dei nostri genitori. Per il momento studiamo, siamo «parcheggiati» a scuola, dobbiamo anche scegliere una scuola superiore che ci apra delle prospettive future, ma come possiamo decidere se tutti ci ripetono che «tanto non ci sono sbocchi?» E’ ANCORA possibile seguire i propri sogni o è un lusso che non possiamo permetterci? Perché chiederci di scegliere se l’unica alternativa sarà tra il lavoro precario e la disoccupazione? Alcuni di noi pensano che l’unica cosa che si possa fare è seguire le proprie passioni: dipingere o cantare. Poi sfogli il giornale e vedi che anche questo non è vero: anche chi ha
stra di vita. Se è vero che la scuola non serve direttamente a trovare il lavoro, è vero anche che il mondo del lavoro ha sempre più bisogno di persone che siano andate a scuola. Persone formate e pronte a spaziare, perché anche questa è formazione. Ragazzi che sappiano reinventarsi e scommettere sulle proprie passioni.
DILEMMI Carriera, famiglia e amici non sempre si conciliano
raggiunto il successo poi ne viene travolto dalla «congiuntura negativa». Allora di cosa abbiamo bisogno? LA SCUOLA costituisce un’importante occasione di socializzazione e di confronto: è uno spazio in cui è possibile sperimentarsi in competenze trasversali come la re-
golazione dell’autostima, l’organizzazione, il perseguimento di un obiettivo e la gestione dei conflitti. Al suo interno si riproduce un sistema sociale, con tutte le interazioni tipiche: delusioni, aspettative, competizioni, premi, e proprio per questo è un’ottima pale-
È FONDAMENTALE che essa prepari i giovani all’economia reale, un’economia fatta di decisioni rapide e di scelte coraggiose e che necessita quindi di competenze sempre più vaste e approfondite. Il collegamento tra scuola e mondo del lavoro si può realizzare con percorsi formativi aperti all’esterno, che connettano i giovani con la società. Da qui l’importanza cruciale che rivestono l’orientamento e il rapporto scuola-famiglia-società. Perchè una scuola che investe sulal fromazione può diventare un «sogno concreto» e non un «futuro rubato».
IL PERSONAGGIO L’ESPERIENZA DELLO SCULTORE SIMONE FILOSI. SI E’ INVENTATO UN’ATTIVITA’
«Arte e passione per sconfiggere la crisi» IN UN MOMENTO di crisi economica mondiale nessun lavoro è stabile e sicuro ma qualcuno riesce anche a inventarsi un’attività seguendo le proprie passioni, riuscendo così «nonostante tutto» a non rimanere deluso e sconfitto. Abbiamo intervistato Simone Filosi, scultore umbro, che si è fatto conoscere grazie all’opera dedicata a Giovanni Paolo II presso l’ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia. La tua professione è molto insolita, era questo il tuo sogno fin da piccolo?
«No, da piccolo volevo fare l’ingegnere. Ora però lavori il marmo». CREATIVO Simone accanto alla scultura di Giovanni Paolo II
Quando hai capito che avresti voluto scolpire?
«Guardando uno scultore, tredici anni fa, ho capito di voler fare la stessa cosa, creare qualcosa dal nulla,
dare forma alle idee». Ti piace molto il tuo attuale lavoro?
«Mi piace ma non è il mio lavoro, è la mia passione!». I tuoi genitori si sono opposti?
«Non ho dovuto convincerli, sono stati contenti che io avessi trovato la mia strada». Il tuo lavoro ha risentito della crisi attuale?
«Naturalmente sì, è molto più difficile trovare qualcuno disposto ad investire soldi nell’arte e nella bellezza ora che ogni ente e associazione deve fare i conti con l’economia». A chi e a che cosa ti ispiri per creare le tue opere?
«Mi ispiro alla vita… e alla fede. A noi ragazzi consiglieresti di seguire le nostre passioni? Si, ma avvertendoli che ci sono delle difficoltà e delle frustrazioni da affrontare!».
LA REDAZIONE Classi terze delle sezioni A, B e C: Melissa, Dario, Laura, Gabriele, Roberto, Gabriele, Chiara, Matteo, Giulia, Nicola, Giulia, N a dia, Valentina, Alessia, Michele, Carlo, Ciro, Sabrina, Miriam, Meghi, Raffaella, Martina, Alessandro, Giulio,Erika, Humije, Gio-
vanni, Luca, Jessica, Eleonora, Thomas, Maria, Susanna, Laura, Chiara, Irene, Michelangelo, Marco, Matteo, Bouabid, Lavdrim, Antonio, Claudio, Denys, Vladislav, Gallardo Edison Sebastian, Giovanni, Cristian, Fi-
lippo, Maddalena, Matilda, Margherita, i Ilaria, Chiara, Federico, Caterina. Docenti tutor Giselda Bruni, Luana Nodessi, Sandro Piermattei, Beatrice Dorillo, Mauro Martelli. Dirigente scolastico: Eleonora Tesei.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2012
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Scuola media
Polidori Montone
Diamo un’altra vita ai rifiuti La raccolta differenziata, alleata preziosa dell’ambiente DA QUALCHE decennio viene proposta in quasi tutti i Comuni d’Italia la raccolta differenziata. Abbiamo fatto una piccola ricerca per cercare di capirne la necessità e sono venute fuori cose interessanti. Negli ultimi 30 anni la produzione giornaliera di rifiuti è raddoppiata: siamo nell’era dell’ «usa e getta» e tantissime confezioni o contenitori di carta, cartone, plastica, vetro e alluminio vengono buttati quotidianamente insieme ai residui di cibo, che costituiscono la frazione organica. Il problema è questo: controllare l’ aumento indiscriminato delle quantità di rifiuti che vengono prodotti. Alle discariche si sono affiancate nuove possibilità di smaltimento: il riciclaggio, il compostaggio della frazione organica e la termovalorizzazione. IL DECRETO RONCHI del 1997 e la successiva normativa del 2006, che regolamentano la gestione dei rifiuti solidi urbani, impongono alle amministrazioni locali di ridurre la quantità di rifiuti me-
circa 1400˚c , mentre per la realizzazione della stessa bottiglia ex novo, occorrono 420g di materie prime tradizionali (sabbia silicea, soda e carbonato di calcio) di natura estrattiva da fondere ad una temperatura intorno ai 1600˚c. Il vetro è riciclabile all’ infinito. Anche la carta riciclata garantisce un’ alta qualità, e oggi l’utilizzo della carta è sei volte quello di 50 anni fa.
L’ARTE DEL RICICLO Una bici realizzata con gli scarti
diante il reimpiego e il riciclaggio, garantendo incentivi alle aziende che utilizzano prodotti realizzati con materiale riciclato. In molti paesi del nord Europa la raccolta differenziata è molto più elevata di quella condotta in Italia: essa mira al riutilizzo dei prodotti di scarto della nostra «azienda ca-
salinga» per poterne produrre di nuovi, ottenendo diversi vantaggi sia a livello ecologico che economico. Basti pensare che per realizzare una bottiglia di vetro del peso di 350g, con materiale riciclato, occorrono solo 350g di rottame di vetro infuso alla temperatura di
ANCHE LA PLASTICA può avere una seconda vita: vi diremo solo che con 20 bottiglie di plastica in pet si riesce a ricavare una coperta in pile, o che al Salone del Mobile di Milano del 2007 è stata realizzata una macchina tutta in plastica riciclata!! Per aiutare l’ambiente non basta però differenziare e riciclare: è necessario soprattutto sprecare di meno e produrre rifiuti più “ecosostenibili” già dall’imballaggio e confezionamento iniziando un nuovo percorso di utilizzo di materiali «naturali» che assicuri a questa terra un futuro più «ecosostenibile».
IL PERSONAGGIO L’ESPERIENZA DI PIERLUIGI MONSIGNORI, PER TUTTI «POTSY»
«Land art», la spazzatura diventa emozione NELLA NOSTRA scuola è venuto a trovarci Pierluigi Monsignori, «Potsy», che ci ha raccontato come realizza le sue creazioni: lui vuole fare i conti con la plastica e i materiali di scarto che invadono la nostra società. Il suo modo di fare arte è quello di assemblare i rifiuti inserendoli in normali contesti di vita quotidiana, dove nessuno si aspetterebbe di trovarli: campi dove i fiori sono vecchi ombrelloni colorati o dove la paglia è sostituita da enormi presse di rifiuti...
ALTERNATIVO Pierluigi Monsignori
«LAND ART SI CHIAMA», ed è un invito a percorrere un ambiente naturale contaminato, paradossale e provocatorio, ma forse, in alcune zone già visibile. «Sopravviviamo in una società che cerca in tutti i modi di manipolare la normale natura
delle cose ( viventi e semplici ), che ha fatto diventare carnivori gli erbivori, in una logica di profitto perversa che alla fine ci si è ritorta contro. Plastic food, ad esempio, non è che un invito ad una passegiata in un paesaggio futuribile purtroppo presente. E ci invita ad una riflessione semplice ed immediata: dobbiamo ridurre la produzione di rifiuti. LA MIA MOSTRA RAPPRESENTA ciò che vivremo, ciò che ci attende e che purtroppo in altre regioni (vedi Campania) è già passato-presente». Recentemente Potsy è stato chiamato a realizzare una sua installazione a Bruxelles e poi andrà a Rio de Janeiro: eventi importanti che colgono il significato universale della sua opera e ci invitano a riflettere e ad agire su quello che potrà essere il nostro futuro.
LA REDAZIONE LA SEGUENTE PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media di Montone. per il progetto della Nazione «Cronisti in classe». Ecco i nomi dei reporter: Assa-
li Donia, Beffanini Jacopo, Urbanelli Fabio, Jacopo Ciani, Boschi Benedetta e Facciadio Maria Letizia, delle classi II e III Media della scuola Polidori. Gli studenti sono
stati seguiti dagli insegnanti Floridi Dalia e Ciocchetti Fabrizio. Il direttore scolastico della Polidori è Gabriella Bartocci. La scuola ha partecipato a tutte le edizioni del campionato.
IL PROGETTO
A Montone il riciclo si fa così TEMPO fa l’iniziativa «Fiuta i Rifiuti» in collaborazione con l’Amministrazione comunale, voleva educare tutti al rispetto dell’ambiente: le classi della media partecipavano alla pulizia di alcune zone del paese, dove cittadini poco responsabili abbandonano spesso i rifiuti. Ora la sensibilità è cresciuta e pure la necessità: i rifiuti non vanno solo raccolti ma vanno differenziati e riciclati per evitare l’espandersi abnorme delle discariche o la contaminazione dell’aria da parte degli inceneritori. ANCHE IL NOSTRO territorio si sta muovendo e a breve partirà la raccolta differenziata «porta a porta». Per saperne di più abbiamo intervistato il Sindaco Tirimagni che ci ha detto che il «porta a porta» partirà a Montone da Giugno; che è un sistema di raccolta migliore perché differenzia alte quote di rifiuti, compreso l’umido; che ogni famiglia avrà a disposizione tre contenitori che verranno sistemati differentemente per la raccolta se abitiamo in paese, in un condominio o in campagna. CI HA DETTO che la legge obbliga tutti i comuni dell’Alta Umbria a coordinarsi e che è assai importante il momento della informazione e sensibilizzazione che sarà paziente e capillare. Si dice certo che i cittadini avranno una reazione positiva e collaboreranno al massimo perché pensa che siano intelligenti e capiscano la urgente necessità! Ricevuto sindaco... conti su di noi!
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 28 FEBBRAIO 2012
Scuola media
Pianciani Spoleto Spoleto
«Noi, profughi della speranza» La storia di John: dalla Nigeria a Spoleto per cambiare vita ESPERIENZE
Lampedusa ora è solo un ricordo Da circa nove mesi, la tranquilla città di Spoleto, accoglie un gruppo di ragazzi di Lampedusa. In una realtà come Spoleto, quando arrivano venti ragazzi di colore, te ne accorgi subito. Prima era difficile incontrare un africano… una vera rarità. Si incontravano solo quelli di passaggio, qualche ambulante venuto da Foligno o da Roma che a fine giornata se ne andava. Ora invece siamo abituati a vederli passare in Borgo, diretti verso la biblioteca dove possono mettersi in contatto con le loro famiglie tramite internet. I primi mesi, li trovavi in gruppo, sotto il chiostro di San Nicolò, alla mensa della Caritas e davvero sembrava di stare in un’altra città. Ma come ha reagito la cittadinanza? Siamo andati in Borgo a chiedere se l’arrivo degli africani ha guastato la quieta routine quotidiana. Tutti ci dicono di no. Dicono che i ragazzi sono gentili, educati, riservati. Cominciamo a fermare freneticamente tutti, soprattutto gli anziani che in genere sono i più spaventati dai cambiamenti, ma niente da fare, nessuno che possa raccontare un episodio, un “sentito dire” poco onorevole su questi ragazzi, nessuno che si augura che vengano rimpatriati.Ma allora ci chiediamo: era motivato l’allarmismo di quei mesi di Primavera? Quando province e comuni d’Italia si rimpallavano «la patata bollente» dei profughi di Lampedusa? In molti non li volevano, dicevano che avrebbero rovinato le nostre città, portato violenza, droga e prostituzione…
VI RICORDATE un anno fa l’inizio della guerra in Libia? Gli sbarchi a Lampedusa? Le discussioni su dove smistare i profughi? Molti di loro frequentano i corsi di italiano per stranieri della nostra scuola, siamo andati a conoscerli. Si chiama John, ma John è un nome di fantasia. Trent’anni, portamento elegante, sguardo profondo, ma tristissimo. Cresciuto in Nigeria. La parola Nigeria lo spaventa a morte. È infatti subito dopo averla pronunciata che ci chiede allarmato se il suo nome comparirà sul giornale. Lo rassicuriamo. In Nigeria ci spiega, cristiani e musulmani sono in lotta tra loro. Un giorno l’hanno obbligato ad andarsene perché non volevano più cristiani dalle sue parti e da allora tutti i rapporti con la sua famiglia sono stati interrotti. È andato in Libia, dove ha cominciato a lavorare la terra come bracciante. Ci parla bene della Libia, lì non c’era il razzismo e la
va: “piano, piano, altrimenti si rovescia”. Anche quando l’hanno messo su un pullman per Spoleto non aveva idea di dove fosse diretto. Gli chiediamo qual è la cosa che l’ha colpito appena sceso. Ci dice la bellezza incredibile di questo posto. E cosa sogna per il suo futuro: solo che vada meglio di come è andata finora. Se pensa di farsi una famiglia a Spoleto: gli piacerebbe, ma crede che sarà difficile a causa del colore della sua pelle. Gli chiediamo com’è la sua vita a Spoleto.
FOTO DI GRUPPO Gli studenti «serali» della Pianciani
domenica andare in chiesa era una festa. Qui a Spoleto invece, nella chiesa di San Nicolò, nessuno lo guarda negli occhi. E’ come se non esistesse. IN REALTÀ lui non aveva mai pensato di lasciare l’Africa. Ma un giorno di maggio dei militari
libici sono entrati a casa sua e gli hanno detto che doveva imbarcarsi insieme ad altri stranieri come lui perché non potevano più restare in Libia. Non sapeva dove era diretto e non conosceva nessuno su quella nave. Del viaggio ricorda solo la gente che dice-
MOLTO DURA CI DICE. Convive con altri sei ragazzi come lui in un appartamento pagato dalla protezione civile. È difficile vivere insieme, le persone hanno abitudini molto diverse. Nell’appartamento non sono nate amicizie. Quando il servizio mensa del comune gli porta da mangiare, ognuno si porta il vassoio sul suo letto e consuma il suo pasto in silenzio. Gli chiediamo se gli manca un amico: scoppia a piangere.
L’INTERVISTA MOHAMED E HAMZA ARRIVANO DA NIGER E TOGO. CERCANO LAVORO E FAMIGLIA
«Ci mancano il caldo e gli odori dell’Africa» Come vi chiamate? Quanti anni avete?
«M. Mohamed. H. Hamza; 37, 25». Da dove venite?
«Niger e Togo». Perché siete in Italia?
«Lavoravamo in Libia, stavamo bene, dopo lo scoppio della guerra Gheddafi ci ha chiesto se volevamo diventare mercenari. Abbiamo rifiutato e allora ci hanno imbarcato sul Mediterraneo». Perché eravate in Libia?
A SCUOLA Vogliono un diploma
«In Niger la situazione è molto pericolosa. Sette etnie si combattono. Il Governo non riesce a tenere a bada le bande di ribelli armati e violenti che razziano tutto il Paese. Non ti dirò perché ho dovuto andar via… Volevo mettere da parte un po’ di soldi per poi tornare in Togo e farmi una famiglia. Sono arrivato a piedi in Libia passando per l’Algeria. La
polizia libica mi ha fermato alla frontiera e mi ha portato da un patron che mi ha preso a lavorare. Dopo avergli versato i primi due mesi di paga, ho cominciato a mettere da parte i soldi. Ma al momento della guerra… tutto perduto…tre anni di lavoro!». Volevate venire in Italia?
«No volevamo restare in Libia, dove gli stranieri trovano subito lavoro e vivono bene». Come vi trovate qui a Spoleto?
«Il Governo italiano ha fatto tutto per noi, ci ha accolto, ci dà da mangiare e un tetto per vivere, ma la nostra vita è sospesa. Il nostro permesso come rifugiati è stato respinto. Abbiamo presentato ricorso: siamo in attesa di una regolarizzazione che ci permetta di iniziare a vivere, e soprattutto di cercare un lavoro. Senza lavoro non c’è famiglia, né amici, ogni giorno è vuoto e uguale all’altro… e il freddo, non potete capire cosa significhi per un africano trovarsi di colpo a tre, quattro gradi sotto zero».
LA REDAZIONE LA REDAZIONE. La seguente pagina è stata realizzata dai ragazzi della scuola media serale «Pianciani» di Spoleto: Federico Amadio,Yunisleidy Rodrigues, Salah Ed-
dine Fernane, Ilaz Bytyci, Erzana Krasniqi, Adrian Musca,Valentina Gashi, Vladian Selimi, Anxhelo Shabani, Lautaro Avalos, Mohamed Ayar. Le insegnanti tutor sono:
Maria Grazia Angeli e Chiara Mercuri. La dirigente scolastica è Manuela Dominici. La scuola Pianciani ha partecipato a diverse edizioni del Campionato di giornalismo.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 1 MARZO 2012
Scuola media
Valli Narni Narni
Il nome svela sempre una storia A Narni lezione di toponomastica. Ciò che si nasconde dietro un luogo LA CURIOSITA’
Il belvedere? «Terrazza panoramica» TUTTE le cose intorno a noi hanno un’origine, questo vale anche per i nostri nomi, pertanto … scopri insieme a noi il bellissimo e significativo mondo dei toponimi. Il «belvedere» allude ad un luogo panoramico da dove si può godere un’ampia veduta paesaggistica. Il termine, che è composto da bel( lo) e vedere, indica un luogo elevato, quasi una terrazza dominante sulla campagna circostante. «Valle»: termine che si riferisce ad aree intercollinari e più specificamente a depressioni presenti tra le alture. «Ripa»: esprime l’idea di un’area dirupata in cui la parete cade a picco ed è caratteristica delle aree collinari. «Fosso»:termine che il più delle volte designa il fondo di una valle, nella quale in genere scorre un corso d’acqua, mentre altre volte si riferisce a manifestazioni torrentizie di breve entità, le quali possono essere indicate anche con il termine rio. Il toponimo «erbabigia» è composto da due voci, «erba» e «bigia». Bigia generalmente significa bruciata, quindi, forse il termine si riferisce alla pratica agricola del «debbio», diffusa nell’Italia Centrale durante il XIX secolo e nei primi anni del successivo. Tale pratica mirava a far tornare produttivo un terreno incolto e consisteva nel falciare la vegetazione, costituita da erbe ed arbusti cresciuti spontaneamente, e una volta seccati bruciarli, con lo scopo di rendere il terreno più fertile.
LA TOPONOMASTICA: alcuni lettori si chiederanno … che cos’è e di cosa tratta la toponomastica? Questa è la scienza che studia i nomi di luogo, più esattamente la loro origine, l’evoluzione, il significato e la funzione. Un toponimo, quindi, è un nome proprio di luogo. Partendo da questa premessa, nel nostro laboratorio abbiamo analizzato diverse carte topografiche in scala 1: 25000, in particolare quella di Narni (Foglio 138 IV S.O.) rilevata dall’I.G.M. nel 1944. In un primo momento abbiamo individuato la simbologia presente nella carta, realizzando al computer molti dei simboli identificati e relativa spiegazione. Successivamente abbiamo diviso tutti i toponimi rintracciati nella carta in diverse categorie, relativi: alle condizioni geomorfologiche e pedologiche (Le Piagge; C.se Renaro); alle condizioni idrografiche ( Rio Fiuminaccio); alla vegetazione (es. La Cerqua); alla fauna (Selva Lupara); all’insediamento (Casanova); all’attività agricola e all’allevamento (Podere La Vigna; La Palombara); alle attività extragrico-
REPORTER Gli studenti della III E della media «Valli»
le (Fornace di Fabbrucciano); alle vie di comunicazione (Via Flaminia); al sacro o agionimi ( Madonna delle Grazie); prediali (C. Rosciano). In particolare, i toponimi con suffisso in –ano e -ana si sono formati dall’aggettivazione del nome del proprietario del fondo sul quale è sorto l’insediamento (ad esem-
pio: Rosciano, da «fundus roscianus», cioè «fondo» (agricolo) appartenente a Roscius. Inoltre, è possibile individuare nomi di origine germanica risalenti per lo più al periodo delle invasioni barbariche, e in particolare alla dominazione longobarda; tra questi i più comuni sono nomi con il suffisso in -engo, -bergo, -aldo e no-
mi come fara (stirpe), dunque Fara in Sabina, marca (confine), sala (abitazione del padrone): Sala Biellese, guardia (guarnigione). Da ultimo abbiamo cercato, attraverso l’ausilio di più fonti, l’origine ed il significato dei toponimi che maggiormente hanno suscitato la nostra curiosità e il nostro interesse. Conoscere il significato di un toponimo, oltre ad ampliare il proprio bagaglio culturale ti permette di comprendere maggiormente ciò che ti sta intorno. Vorremmo citare la frase di una grande antropologa umbra, Anita Seppilli: «Non avere un nome significa non esistere, dare un nome significa creare». A qualsiasi persona, oggetto o luogo è importante, infatti, assegnare un nome, perché dal momento in cui gli viene dato, è come se iniziasse ad avere una storia, uno scopo, un ruolo, una funzione, un’identità. Non possedere un nome, quindi, è come non essere conosciuti, non avere importanza nel mondo e per il mondo. Inoltre, senza nomi non potremmo esprimerci, perché tutto intorno a noi possiede un nome.
IL PERSONAGGIO INTERVISTA A ELIO MIRIMAO. PROFONDO CONOSCITORE DEL TERRITORIO
«Funara, la strada delle funi di canapa» ELIO MIRIMAO è un ottantenne profondo conoscitore ed appassionato della storia locale. Ci ha condotto alla scoperta del significato di alcuni toponimi del territorio narnese di cui prima non ne conoscevamo l’origine. Da quanto tempo si interessa alla storia del territorio narnese?
«Da sempre, …. sin da quando, ancora bambino, accompagnai mio padre a macinare il grano al Mulino Eroli, che si trova sulla riva sinistra del fiume Nera, e guardando in alto vidi per la prima volta il Ponte d’Augusto». Come è nato il suo interesse?
«È bello sapere, ovvero quando si incontra qualcosa che prima non si conosceva, è bello scoprire cosa c’è dietro, chi, come e perché l’ha creato e ciò stimola la curiosità e la voglia di approfondire». SCORCIO Una veduta del Ponte d’Augusto
Perché la strada che corre sotto il Ponte si chiama “Strada di Funara”?
«Nel 1865, quando hanno scavato per la realizzare la ferrovia nei pressi di Narni Scalo sono state rinvenute delle tombe a tegoloni, perciò si è pensato che quello un tempo fosse un luogo funerario. Da qui alcuni hanno pensato che questa strada si chiamasse Funara a causa delle tombe ritrovate. In realtà il nome deriva dal fatto che presso la vicina località di Stifone si realizzavano delle funi con la canapa, le quali servivano per tenere insieme i materiali che venivano trasportati per via fluviale nell’antica Roma, in particolare i tronchi provenienti dal vicino Monte Santa Croce». Durante il nostro incontro abbiamo posto tante altre domande al signor Mirimao, alle quali ha risposto in maniera molto esauriente, per cui lo ringraziamo per il contributo apportato alla nostra ricerca toponomastica, permettendoci di farci rivivere alcuni momenti significativi della nostra storia locale.
LA NAZIONE CLASSE III E: Andreoni Eleonora, Arcangeli Aurora, Boccione Leonardo, Caprini Vittorio, Ceccarelli Carol, Ceccotti Michele, Chieruzzi Michelle, Cocchi Francesco, Danko Victoria, Di Pietro Ilaria, Giardinieri
Marta, Khrin Dmytro, Leonelli Simone, Lizzi Jacopo, Martelli Michele, Mendoza Bailon Sanderson Ney, Mincarelli Matteo, Pagliaro Maria Vittoria, Pioli Susanna, Piscicchia Chiara, Rattu Ajeet Singh, Rosca An-
dreea Ioana, Rossi Edoardo, Svizzeretto Damiano, Taglioni Alessio, Turnu Davide. I lavori sono stati coordinati dalle professoresse Patrizia Bertoni e Romina Cascioli. Il dirigente scolastico è Vilma Toni.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 1 MARZO 2012
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Scuola media
Da Vinci Nucula Terni Terni
L’amore ai tempi del Cioccolentino Terni capitale degli innamorati. Turisti in arrivo da tutto il mondo NON CI SAREBBE da stupirsi se a San Valentino 2012 fossero caduti fiocchi di cioccolato dal cielo al posto della neve. Terni, anche quest’anno, è riuscita a valorizzare il suo santo patrono con manifestazioni ed eventi come «Cioccolentino», che si svolge per corso Tacito a Terni. Nei quattro giorni di «Cioccolentino» la gente si ferma ad osservare le abilità nel lavorare il cioccolato e i suoi derivati in tante forme e dimensioni in bancarelle sparse per il Corso. Tra le delizie più gettonate c’erano quest’anno le uova di cioccolato con disegni, casette, scarpette con tacco e i-Phone, tutto di vari tipi di cioccolato: dal fondente a quello bianco. Il legame tra cioccolato e amore risale agli Aztechi: il loro sovrano Montezuma, era convinto che il cacao potesse renderlo più virile e che così potesse soddisfare meglio il suo harem. Anche quest’anno le vie di Terni erano affollate di gente nel giorno degli innamorati nonostante la crisi economica manifestatasi soprattutto in questi giorni. Con la sorpresa dei cittadini i prezzi ri-
STRADE IN FESTA La città onora il patrono con eventi spettacolari
sultavano bassi, da un bacio perugina a 50 centesimi, fino a una scarpa di Gucci in cioccolato a 15 euro. TRA UN CIOCCOLATINO e l’altro i turisti hanno avuto modo di vedere altre attrazioni, come il concerto tenutosi accanto alla se-
de municipale di palazzo Spada e i due ballerini luminosi in plexiglass di Marco Lodola. Ogni anno in onore del patrono della città e protettore degli innamorati, San Valentino, si svolge anche la fiera lungo il viale Trento, fino ad arrivare davanti alla Basilica di San Valentino, dove secondo la leg-
genda fu decapitato e sepolto il Santo, un appuntamento ormai tradizionale con quasi 300 bancarelle di merci varie. Più che una festa cristiana, questo giorno è dedicato ai giovani innamorati di qualsiasi età. Vengono, inotre, organizzate molte attività in città per far sì che questo giorno sia il top. Questa festa ormai, non è solo una festività locale, ma possiamo dire che sia festeggiata in gran parte del mondo. In questo giorno hanno una grande fortuna commerciale i «Baci» Perugina, per i bigliettini d’amore al loro interno. Ma questa ricorrenza è amata o odiata dai single? In base ad alcune interviste, i single disprezzano questo giorno, ma altri si alzano con la speranza di incontrare l’amore della loro vita e come sempre vengono delusi, quindi questo giorno non fa proprio per loro! Gli innamorati invece passano questa giornata a fare compere e regali al proprio compagno o compagna, arrivando a casa la sera con il portafogli vuoto!
L’INTERVISTA IMPOSSIBILE IL PATRONO SPIEGA ORIGINI E SIGNIFICATO DELLA SUA FESTA
’Quei fidanzati in rotta ai quali donai una rosa’
GADGET Un dolce pensiero per festeggiare
PER TUTTO il mese di febbraio Terni diventa la città dell’amore, organizzando manifestazioni di ogni tipo. La città si orna di tante luci, ma non quelle artificiali, bensì quelle dell’amore. Terni si fa romantica ed accogliente, offre grandi spettacoli, incontri culturali, itinerari dell’arte e del sapere.
me per invocare la benedizione del loro matrimonio. Questa è una delle tante leggende che hanno dato origine alla festa degli innamorati».
Come ha avuto origine questa giornata speciale e tanto attesa?
Il 14 febbraio si festeggia esclusivamente l’amore tra fidanzati?
«Cari ragazzi, un giorno sentii passare, al di là del mio giardino, due giovani fidanzati che stavano litigando. Decisi di andare loro incontro, portando in mano una magnifica rosa. Regalai la rosa ai due fidanzati e li pregai di riconciliarsi, stringendo insieme il gambo della rosa, ma facendo attenzione a non pungersi. In seguito li invitai a pregare insieme a me affinché il Signore mantenesse viva in eterno la fiamma del loro amore. Qualche tempo dopo la giovane coppia tornò da
A cosa serve questo giorno?
«Serve a ricordare a tutti quanto sia forte il filo che unisce due vite, il legame tra due persone». «Non è così, sono il protettore non solo degli innamorati, ma dell’amore in tutte le forme: amicizia, legame fraterno».
Che ne pensi delle iniziative adottate a Terni?
«Sono molto contento che nella mia città si organizzino numerosi eventi. Nella basilica il vescovo, Vincenzo Paglia, celebra il Solenne Pontificale alla presenza di tutte le autorità civili e religiose. Per i più golosi c’è Cioccolentino, dove la città ricopre il suo cuore con del buonissimo cioccolato fondente».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della classe III L: Antonini Cencicchio Aurora, Benedetti Emanuele, Bonifazi Paola, Bordoni Desiré, Cardinali Maria Rita, Cocchini Elena, De Angelis Alessandro, Di Spi-
rito Renato, Enache Ana Maria, Fanelli Valeria, Ficarelli Alessia, Giordi Nicole, Ientile Marco, Ilagan Jay Lord, Lolli Michela, Mari Chiara, Marotta Giulia, Moracci Ginevra, Muca Altea, Neri Sofia, Pacifici Tom-
maso, Rampiconi Irene, Sidouna Khadija, Spaccino Paolo, Tardio Elena, Venturi Alessandro. Gli insegnanti tutor sono: Anna Rita Lorenzani e Alessandro Vichi. Il dirigente scolastico è Maria Rita Chiassai.
SAN VALENTINO
Un martire e tante leggende SAN VALENTINO, patrono di questa città e degli innamorati di tutto il mondo, è nato a Terni nell’anno 175 d.C. E’ considerato il «santo» degli innamorati poiché si narra che egli fu il primo religioso che unì in matrimonio un legionario pagano e una giovane cristiana. Un’altra leggenda racconta che un giorno il vescovo sentì due giovani che stavano litigando. Andò loro incontro con una rosa invitandoli a riconciliarsi. Tempo dopo la coppia tornò da lui per la benedizione del loro matrimonio. Un’altra versione di questa storia narra che il vescovo sia riuscito a riconciliarli facendo volare intorno a loro coppie di piccioni che si scambiavano gesti d’affetto, da qui si crede possa derivare l’espressione «piccioncini». San Valentino fu decapitato il 14 febbraio 273 per ordine dell’imperatore Aureliano. La città di Terni anche quest’anno ha celebrato il patrono con degli eventi detti «Valentiniani», per esempio: la domenica precedente al 14 febbraio si è festeggiata la «Festa della promessa», nella quale le coppie che si sposano entro l’anno si scambiano una promessa d’amore davanti al vescovo e al sindaco. Si è celebrato poi la Festa delle Nozze d’Oro e quella delle Nozze d’Argento (50 e i 25 anni di matrimonio), lo «Stravalentino» o il concerto di San Valentino ed infine il «Cioccolentino». Per gli amanti dello sport si è disputata la classica «maratona di San Valentino» del 19 febbraio.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 27 MARZO 2012
Scuola media
Valli Narni
La statistica? Adesso ci piace Alla «Valli» un metodo accattivante per insegnare la materia I DATI
Le abitudini alimentari in cifre SCOPRIAMO se i giovani sono attenti alle buone e corrette abitudini alimentari. I tre quarti degli intervistati affermano di fare colazione prima di andare a scuola, mentre il restante si reca a scuola senza aver mangiato. Durante la giornata la maggioranza fa un solo spuntino. Preferiscono patatine e pizza, in estate il gelato e in pochi mangiano le merendine. Tra le bevande, la più gradita è la Coca Cola, ma molti bevono anche tè e succhi di frutta. Alla domanda: «Tra questi primi piatti, quale preferisci mangiare a pranzo?», i ragazzi hanno dichiarato di preferire la pasta; per la cena l’alimento più consumato risulta essere la carne, anche se molti hanno risposto di consumare pasta o minestre anche la sera. Alcune domande del nostro questionario riguardavano il tempo libero, di conseguenza il lettore si chiederà che cosa preferiscono fare i giovani quando hanno del tempo a disposizione, quindi quando non devono andare a scuola, fare i compiti o attività sportiva? Dal nostra ricerca emerge che ai i ragazzi di oggi piace giocare con la playstation, stare al computer, ascoltare la musica e guardare la tv, complessivamente il 47% degli intervistati fa uso di apparecchi elettronici durante il tempo libero. Da ciò si può constatare che la nostra generazione è molto legata all’elettronica, ma d’altronde siamo o non siamo, come ci definiscono in molti dei “nativi digitali”! Comunque, e per fortuna, a molti (il 38%) piace non restare sempre in casa davanti al computer, ma uscire e divertirsi con gli amici.
«È L’ARTE SUPREMA dell’insegnante, risvegliare la gioia della creatività e della conoscenza» affermava Albert Einstein, e ciò hanno fatto i nostri insegnanti nel corso dei tre anni di studio sia durante le ore curriculari del mattino che del tempo prolungato. In particolare, all’inizio di questo anno scolastico ci è stata prospettata da parte della nostra insegnante di matematica, Bertoni, la possibilità di studiare la statistica «sul campo». All’inizio abbiamo pensato che si trattasse di un argomento particolarmente difficile e complicato, poi … man mano che procedevamo con le nostre ricerche ci siamo appassionati sempre più al nostro lavoro e abbiamo compreso l’importanza e l’utilità della statistica. Questa è una disciplina molto antica, in uso già al tempo degli Egizi, che, partendo dall’osservazione e dall’analisi della realtà, studia un particolare fenomeno di cui non si ha una completa conoscenza, al fine di comprenderlo; inoltre, studia come raccogliere i dati e come analizzarli, per ottenere un’informazione che ci permetta di rispondere alle
AL LAVORO Gli studenti della Valli nell’aula multimediale
domande che ci poniamo su quel fenomeno. Tenendo conto di quanto detto ci sembra quanto mai appropriato citare una simpatica frase dello scrittore Mark Twain: «la gente di solito usa la statistica come un ubriaco il lampione: più per sostegno che per illuminazione». Nel procedere alla nostra indagine, per prima cosa
abbiamo scelto il nostro campione e cioè tutti gli alunni della scuola che frequentiamo, a cui abbiamo sottoposto un questionario di trentasei domande riguardanti peso, altezza, abitudini alimentari, tempo libero ed impegno scolastico, da noi stessi creato ed elaborato. A questo punto ci siamo divisi in gruppi, abbiamo ritirato i
questionari somministrati, li abbiamo analizzati e successivamente, lavorando in Excel, abbiamo tabulato, insieme ad altre due classi a tempo prolungato della nostra scuola, la IIC e la IIE, i dati raccolti e costruito i relativi grafici. Facendo un rapido calcolo, abbiamo lavorato su più di 12000 risposte, per cui per tutti noi è stata una grande mole di lavoro. Ma non è pur vero che, come sosteneva il matematico e fisico J.H. Poincaré «la scienza è fatta di dati, come una casa è fatta di pietre, ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una vera casa»? Quindi chi vuole fare ricerca, soprattutto in statistica, deve armarsi di buona volontà e di tanta tenacia e deve essere in grado di correlare i dati in modo che la loro interpretazione sia poi significativa e veritiera. «Equipaggiato dei suoi cinque sensi, l’uomo esplora l’universo attorno a lui e chiama l’avventura Scienza», sostenne l’astrofisico Edwin Hubble, ed è proprio questo che noi abbiamo fatto, vale a dire esplorare il mondo a noi più vicino, quello della nostra scuola o meglio dei nostri coetanei.
L’INTERVISTA LA PROFESSORESSA PATRIZIA BERTONI CI PARLA DEL SUO «SISTEMA»
«Sondaggi e grafici: un modo per raccontarci» INTERVISTA alla professoressa Patrizia Bertoni. Perché ha deciso di insegnare ai suoi studenti la statistica?
«Quando ho cominciato ad insegnare, circa meno di trent’anni fa, nei libri di testo non era trattata, solo successivamente è stata inserita nei programmi scolastici e da quel momento ho iniziato ad insegnarla ai miei alunni. Basta ascoltare la televisione, leggere i giornali, seguire un po’ di pubblicità per capire quanto oggi vengano realizzati sondaggi in tutti i campi,condotti utilizzando gli strumenti della statistica. Quest’anno poi è particolarmente d’attualità, visto che da poco abbiamo risposto alle domande del censimento, alle quali ora stanno lavorando gli istituti di statistica». TECNOLOGICI I ragazzi e la loro Lim
Perché ha deciso di svolgere questo tipo di indagine durante le ore del tempo prolungato?
«Ho deciso di utilizzare le ore pomeridiane per lo studio della statistica con gli studenti, perché il lavoro che ci si prospettava era molto complesso. La difficoltà maggiore consisteva nel dover lavorare su più di 12.000 dati raccolti, che poi dovevano essere sintetizzati attraverso dei grafici. Inoltre, la possibilità di poter utilizzare l’aula di informatica, che durante le ore pomeridiane è più disponibile è stato un altro elemento di decisione, poiché gli unici strumenti necessari agli alunni, oltre al materiale di testo erano dei computer che avessero il programma Excel. Abbiamo creato un tipo di lavoro laboratoriale che ha permesso agli studenti di applicare e studiare concretamente la statistica». È cambiato il suo modo di insegnare da quando ha la Lim in classe?
«L’uso della Lim ci ha permesso di seguire un percorso di studi molto più dettagliato».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della classe III E: Andreoni Eleonora, Arcangeli Aurora, Boccione Leonardo, Caprini Vittorio, Ceccarelli Carol, Ceccotti Michele, Chieruzzi Michelle, Cocchi France-
sco, Danko Victoria, Di Pietro Ilaria, Giardinieri Marta, Khrin Dmytro, Leonelli Simone, Lizzi Jacopo, Martelli Michele, Mendoza Bailon Sanderson Ney, Mincarelli Matteo, Pagliaro Maria Vittoria, Pioli Susan-
na, Piscicchia Chiara, Rattu Ajeet Singh, Rosca Andreea Ioana, Rossi Edoardo, Svizzeretto Damiano, Taglioni Alessio, Turnu Davide. Insegnanti tutor: Patrizia Bertoni, Romina Cascioli.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 27 MARZO 2012
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Scuola media
Storelli Gualdo Tadino
Emanuele, il più giovane top gun Fumanti ha 27 anni e si è diplomato sui banchi della Storelli IL VOLO è stato da sempre un grande desiderio degli uomini tanto che spesso ci ritroviamo con il naso all’insù a guardare verso l’alto e, quando vediamo qualcosa che vola, ne seguiamo invidiosi il tragitto. Grazie ai fratelli Wright il sogno di volare è diventato realtà e ora il cielo è solcato da elicotteri, alianti, deltaplani, piccoli e grandi aerei, perfino dai top gun, i potenti caccia delle più rinnomate aviazioni militari, che il film, interpretato da Tom Cruise, ha reso famosi. Vedere questi aerei da combattimento che sfrecciano veloci e che fanno evoluzioni proibitive è emozionante; pilotarli, però, non è facile, ci vogliono uomini qualificati, con requisiti psicologici e attitudinali di assoluta eccellenza. Noi ne conosciamo uno: Emanuele Fumanti, un giovane gualdese di 27 anni, ex alunno della nostra scuola, ora tenente dell’Aviazione Militare Nato e pilota pluripremiato di top gun. Di lui sappiamo che ha desiderato volare fin da piccolo. Il primo aereo l’ha pilotato a 16 anni,
COME TOM CRUISE Fumanti è un pilota pluripremiato
diventando il più giovane italiano che si è alzato in volo. Da allora non si è più fermato e ha coltivato questa sua passione con tenacia. Appena diplomato geometra, ha frequentato i corsi dell’Aeronautica Militare di Guidonia prima di Pozzuoli e Latina poi, classificandosi tra i primi. Nemmeno la fer-
rea disciplina militare lo ha fatto desistere! Dopo la laurea in Scienze aeronautiche, è andato in America, a Sheppard (Texas), nella Base aerea Nato più grande del mondo. PER IMPEGNO e dedizione alla carriera militare, nel 2010, il no-
stro sindaco gli ha assegnato il premio Beato Angelo, un importante riconoscimento che viene dato ai concittadini pieni di talento nell’ambito professionale e umano. Le doti di Emanuele sono state riconosciute anche negli Usa, dove, unico italiano ad aver conseguito tali risultati, si è aggiudicato tutti i prestigiosi “Award”, ben 5 premi, che vengono conferiti agli studenti che si sono maggiormente distinti nel corso per il conseguimento del brevetto di pilota militare di Jet. Per lui, però, il premio più bello è quello di poter volare, stare nell’azzurro del cielo e giocare con le nuvole, vedere dall’alto la bellezza del creato e ad alta quota osservare la Terra. Emanuele sa che quando va su, sempre più su, può contare solo su se stesso mentre pilota quell’amico metallico con cui da ragazzo ha ascoltato il sussurro del vento e con cui oggi, a 18000 metri di altezza, viene abbracciato dall’ immenso silenzio del cielo: grande è la sensazione di infinito che prova fuori e dentro di sé.
IL PERSONAGGIO LA STORIA DI LEANDRO PASSERI, UNO DEI PRIMI ELICOTTERISTI DELL’AVIAZIONE
«Dall’alto ho visto albe e tramonti stupendi»
PILOTA Leandro Passeri a bordo del suo elicottero
UN ALTRO GUALDESE che ha messo le ali al sogno è Leandro Passeri, uno dei primi elicotteristi dell’Aviazione dell’Esercito italiano: un pioniere in questo campo perché ha iniziato quando, negli anni ’50, nacquero e si svilupparono le prime Unità militari italiane dotate di velivoli ad ala rotante. Il signor Passeri, classe 1930, è stato brevettato pilota nel 1958. Quando arrivò la richiesta di piloti d’elicottero, lui non sapeva cosa fossero. Decise ugualmente di partecipare alle prove di reclutamento, che superò bene. Dopo un corso di sei mesi, fu mandato a Bolzano, dove, per dieci anni, effettuò il servizio di soccorso in montagna e ricognizioni lungo il confine per segnalare il pericolo di attentati ai tralicci.
TRA UN VOLO e un altro, ha potuto ammirare dall’alto spettacoli indimenticabili che pochi hanno la fortuna di vedere: albe stupende, affascinanti tramonti, un’infinità di cime bianche luccicanti al sole. I suoi ricordi però non sono solo piacevoli: ha assistito ad incidenti e visto morire colleghi. Il soccorso alpino era molto pericoloso perché, se c’era bisogno, doveva dirigersi verso le montagne, anche se le condizioni meteo non lo permettevano, mettendo a rischio la vita. Malgrado ciò, ha sempre fatto il suo dovere. L’orgoglio di aver pilotato un elicottero tutto italiano e la consapevolezza di aver espresso professionalità nel volo trapelano nel racconto del signor Leandro. Secondo il nostro parere, egli non ha salvato solo vite umane, con la sua dedizione al lavoro ha educato noi giovani attraverso il suo esempio.
LA REDAZIONE PAGINA realizzata dagli studenti del laboratorio Linguaggi multimediali della Storelli: Cossa Alessandra (1A), Chiocci Melissa, Mariotti Luca, Minelli Gabriele, Passeri Matteo, Santinelli Alessandro (1B), Dial-
lo Bilghissou, Rudnytska Violeta, Scassellati Michele, Siliberto Giulia, Toteri Marco (1F), Cencetti Asia, Cioccoloni Leonardo, Fortini Giulia, Frillici Beatrice, Ibrahim Angelo, Llulla Eljon, Mancini Gabriele, Ricci
Sara, Rondoni Nicola, Sborzacchi Sara, Zeni Antonio, Ascani Anna, Marcacci Alisia; coordinati dalle professoresse Nadia Ascani, Rosanna Guerra, Giuliana Mariani. Preside: Maria Marinangeli.
LA CURIOSITA’
Ieri e oggi Velivoli a confronto AFFASCINATI da tutto ciò che vola, al signor Leandro, tra tante domande, abbiamo chiesto la differenza tra aereo ed elicottero e come quest’ultimo sia cambiato nel tempo. «L’aereo — ci ha detto — rimane in volo perché ha la velocità di stallo. Vola finchè va oltre i 50 km l’ora; se scende sotto i 40, non viene più sorretto dall’aria e cade. L’elicottero si muove grazie alle pale: quando sono in movimento, spingono l’aria verso il basso, facendolo salire e volare nelle varie direzioni. Per farlo rimanere in volo, le pale non devono scendere sotto i 340 giri il minuto. Il suo atterraggio avviene in verticale come il decollo, in uno spazio che può essere anche di 12 metri, il necessario per il disco rotante; all’aereo, invece, servono 4 km circa di pista per atterrare. I primi elicotteri italiani, fabbricati negli anni ’50, erano molto più semplici e leggeri di quelli di oggi, avevano il motore a benzina e la potenza massima arrivava a 2500 metri. Una volta atterrati, spesso, non riuscivano più a ripartire, soprattutto quando cambiavano le condizioni atmosferiche. Se succedeva questo, i piloti dovevano scaricare qualcosa: radio, ruote, benzina o altro. Anche l’aspetto era diverso: davanti avevano un’enorme cupola di plexiglass, il sotto era di lamiera e la coda un traliccio di ferro. Ora vanno a turbina e sono più sicuri e potenti».
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10 CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 29 MARZO 2012
Scuola media
Pianciani Spoleto
Storie da dietro le sbarre «C’è una ricca biblioteca e il direttore è una persona speciale» LA SCHEDA
Numeri e curiosità della struttura L’ATTUALE struttura della casa di reclusione di Spoleto, ideata e realizzata per detenuti a regime di alta e altissima sicurezza, è stata consegnata nel 1982. E’ composta da 3 padiglioni, due cucine ben attrezzate, una grande lavanderia, una stireria, una chiesa dove vengono celebrati anche riti di religione non cattolica, una confortevole biblioteca, una palestra utilizzata spesso come sala polivalente, una falegnameria ed una tipografia. Fino a qualche anno fa il numero dei detenuti, distribuito su 131 celle, singole ma anche doppie e quadruple, aveva consentito una buona vivibilità e gestione di tutti gli spazi, ora per l’aumento della popolazione detenuta in tutto il territorio nazionale, sono stati trasferiti nella nostra struttura molti detenuti comuni e si è arrivati a circa 700 unità. Oltre al sovraffollamento, per la diversità del reato, c’è anche la presenza di circuiti diversi, dislocati in sezioni diverse per il divieto di incontro, che ha creato pesanti problemi nella gestione di tutte le attività interne. A Spoleto il carcere esiste da quasi 200 anni, la sede originaria fu la Rocca Albornoziana, lo splendido castello che domina Spoleto, edificato per volere del papa Innocenzo VI nel XIV secolo. Vi soggiornarono molti papi e la bella Lucrezia Borgia, governatrice della città e del ducato di Spoleto nel 1499. Verso il cinquecento la fortezza iniziò a perdere di importanza tanto che dal 1817 al 1982 fu adibita a carcere.
UN PASSO, un altro ancora dal blindo alla finestra e, a ritroso, dalla finestra al blindo: sempre nello stesso spazio, circondato da muri, sbarre e cancelli . Basta immaginare di trovarsi chiusi in un ascensore fermo tra i piani perché lo spazio non è tanto diverso. Il carcere di Spoleto però, per chi recluso ci deve pur stare, è uno dei migliori. Chi viene da Poggio Reale dice che quando ha ottenuto il trasferimento a Spoleto gli altri detenuti hanno commentato: «hai vinto un biglietto per il Paradiso!». IN GENERE i detenuti non si lamentano troppo perché, nonostante il sovraffollamento delle carceri, qui la maggior parte sta ancora in cella in due. Certo la cella spesso è di appena sette metri quadri e non c’è lo spazio per stare in piedi in due, così se uno sta in piedi, l’altro deve mettersi a letto. E in sette metri, la cosa più difficile, anche se può apparire strano, è indirizzare lo sguardo che,
CASA CIRCONDARIALE Il disegno è di Mohamed Alì
gioco-forza, si fissa al muro come un chiodo: non si può fissare troppo il compagno «che guardi?», e neppure l’agente, perché sennò diventa uno sguardo sospetto, irrispettoso, provocatorio. A Spoleto i reclusi hanno la possibilità di «ricostruirsi», di frequentare molti corsi educativi e professionali (cu-
cina, informatica, sartoria, falegnameria, tipografia) e si conseguono i relativi diplomi. Con speranze anche per il futuro professionale, una volta usciti dal carcere. LA SCUOLA è presente dalla primaria fino alla secondaria supe-
riore con i corsi dell’Istituto Alberghiero e dell’Istituto d’Arte. Le ore per il passeggio sono molte e anche quelle per la saletta di socializzazione. C’è una ricca biblioteca, una palestra attrezzata, un campo sportivo che ha «perfino il prato!». Quello che però lamentano i detenuti è che gli educatori, gli psicologi e gli assistenti sociali non riescono a vederli quasi mai. «Per parlare con gli ispettori o con il direttore, che comunque è una persona speciale, è necessaria una lunga attesa: non so se è un problema di tutte le carceri… ma certo qui c’è poco personale», lamentano i detenuti. L’altro problema è la fornitura: «Spesso ci manca perfino la carta igienica! Anche se la doccia è giornaliera e l’acqua è quasi sempre calda». Sul personale c’è unità di vedute: «Qui, cose turpi come in altre carceri, con gli agenti nazi-picchiatori, non si vedrebbero mai. Gli agenti sono persone civili, puoi trovare quello meno simpatico, ma sono quasi tutti umani, anche gli ispettori».
L’INTERVISTA PATRIZIA CRISTOFORI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI SPOLETO
«Il carcere? Una risorsa per il territorio» INTERVISTA a Patrizia Cristofori, presidente del Consiglio comunale. Che tipo di collaborazione c’è stata con l’amministrazione carceraria?
«Naturalmente il carcere non è mai stata un’istituzione estranea alla città e nel tempo sono stati stilati protocolli d’ intesa e di lavoro per garantire una fattiva collaborazione. Spoleto, anche nei momenti di maggiore difficoltà, ha sempre vissuto il carcere come una risorsa, e lo dimostra la presenza al suo interno di varie istituzioni come la scuola, i servizi sanitari e anche diversi soggetti sociali ed economici presenti sul territorio». La Costituzione recita che il detenuto deve essere reinserito nella società civile, secondo lei è un obiettivo raggiungibile?
AMMINISTRATORE Cristofori, presidente del Consiglio comunale
«Naturalmente le difficoltà ci sono ed in un momento di grave crisi economica aumentano; ciò nonostante non dobbiamo dimenticare che oltre al ri-
spetto del dettato costituzionale è dimostrato che il reinserimento sociale dell’ex detenuto riduce fortemente la possibilità che lo stesso torni a commettere reati. Vanno in questa direzione esempi a Spoleto noti come quello dell’ex ergastolano Peppino Pes, il quale, negli anni Ottanta, è diventato il custode di Villa Redenta, svolgendo un lavoro apprezzato da tutta la cittadinanza o quello di un detenuto che sta prestando un servizio apprezzato presso la nostra amministrazione». Parte della cittadinanza ritiene che la presenza del carcere a Spoleto possa favorire l’aumento della criminalità e delle infiltrazioni mafiose, lei cosa ne pensa?
«Penso che la città sia abituata a convivere con il carcere che non dimentichiamo è anche percepito come un’opportunità di lavoro per il territorio circostante. E’ chiaro che non va abbassata la guardia».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti della scuola media «Pianciani», sezione Casa di Reclusione: Angelo, Peter, Ciro, Zeher, Francesco, Orlando, Said, Ghità, Alì, Yizhou, Yankuba, Lakbir,Hamadi,
Kais, Leopoldo, Anis, Tarik, Seifeddin, Mahrez, Ernesto, Antonio, Dajgor, Noureddine, Dumitru, Alexandru, Walter Edy, Youssef, Bilbil, Haki, Hedfi, Abdelhak, Khaled, Lamjed, Bechir, Gheorghe. Le inse-
gnati tutor sono Nunzia Augugliaro e Carmelita Dominici, la Dirigente è Manuela Dominici. Il disegno è stato realizzato da Mohamed Alì.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
GIOVEDÌ 29 MARZO 2012
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Scuola media
Parini Castel Ritaldi
Ragazze, benvenute al castello Le studentesse della Parini si improvvisano dame per una notte OGGI VOGLIAMO ritornare indietro nel tempo, e immaginare di visitare un castello feudale. Ci troviamo nel XII secolo d.C. e siamo state invitate nel castello di San Giovanni. E’ sera, tutto è immerso nel silenzio. Il viottolo che porta al castello è pieno di sassi, io e le mie amiche ogni tanto inciampiamo in qualche sasso aguzzo. Sopra di noi si scorge un bel cielo stellato, e quando in lontananza vediamo la sagoma imponente del castello, ci avviciniamo e rimaniamo estasiate per le sue torri merlate, sulle quali vegliano le sentinelle, per la torre d’ingresso molto alta e per il ponte levatoio che si alza e si abbassa per far passare la gente. Ci accostiamo al fossato che circonda il castello, poi diciamo il nostro nome alle sentinelle e dopo qualche minuto il ponte levatoio si abbassa e ci ritroviamo nel vasto cortile. Siamo scortate da valletti che portano torce per illuminare la via Poi ci ritroviamo all’interno del castello dove alle pareti ci sono i trofei di caccia: teste di lupi e di cinghiali, corna di cervo e di ca-
COME IN UNA FAVOLA Castel San Giovanni
prioli che si mescolano ad armature e lance. Ed ecco venirci incontro il feudatario, vestito con magnifici abiti e accanto a lui la dama che indossa un meraviglioso abito azzurro. Un paggio ci porge un bacile d’argento colmo d’acqua, perché possiamo lavarci le mani. Poi entriamo tutti nella sala riscaldata da un immenso cami-
no e già pieno di ospiti. Un giullare ci volteggia davanti saltando e scherzando, mentre i musicisti suonano dolci melodie. ENTRA IL SERVITORE con un’enorme vassoio, sopra c’è un intero cinghiale. Che buon odorino! Io e le mie amiche cerchiamo la forchetta… Ma è vero: non so-
no ancora state inventate! Ci facciamo coraggio e afferriamo con le mani il pezzo di coscio che ci è stato messo davanti… Dopo una ventina di portate, la cena è finita. Siamo così piene che a fatica riusciamo a muoverci. Vorremmo andare a letto, ma invece dobbiamo subire il canto di un cantastorie che narra le imprese dei cavalieri. Sono molto belle, ma è molto tardi e non riusciamo a gustarcele. Finalmente arriviamo nella camera dove c’è il letto di legno basso e largo appoggiato al muro e disposto al centro della sala, fornito di morbidi cuscini e di lenzuola di lino e ci immergiamo in un sonno profondo. La mattina seguente salutiamo i padroni del castello, li ringraziamo dell’ospitalità e la magnifica serata trascorsa insieme e ci allontaniamo con la promessa di ritornare di nuovo. Felici e soddisfatte ci incamminiamo verso le nostre case e ritorniamo nella realtà del nostro tempo. Purtroppo era tutto finito, che peccato! Nei castelli Medievali si doveva vivere proprio bene!...
DIETRO LE QUINTE CURIOSITA’ E SEGRETI DEI VECCHI MANIERI SVELATI DALLA SIGNORA BIANCHINA
«I soldati di Barbarossa a Castel Ritaldi»
PICCOLA FORTEZZA Castel Ritaldi fu anche rifugio di soldati
I CASTELLI compaiono tra il IX e il XII secolo. Questi erano le abitazioni delle famiglie nobili, che possedevano un feudo, ma anche delle fortificazioni sfruttate come difesa. Incuriositi dalla bellezza del castello di Castel Ritaldi siamo andati a visitarlo. Entrando, si è fatta avanti una signora, Bianchina, che ci ha raccontato la storia del maniero di Castel Ritaldi. «Dentro al castello c’erano le case, la chiesa, i vicoli e i magazzini. In caso di pericolo lì si rifugiavano gli abitanti delle ville di Scigliano e della Pieve, non protetti. Qui il castello era un feudo delle famiglie Litardi (o Ritardi) Lombardi e Captanei. Si dice che i Litardi provenissero dalla Borgogna ed erano la casata più importante dello Spoletino. Verso la metà del XII secolo, questi estendevano i loro diritti feudali su Castel Ritaldi e Morcicchia. Quando Federico Barbarossa dette alle fiamme Spoleto, i suoi soldati, per sfuggire alla peste, si diressero verso Castel Ritaldi
e Giano. Allora il paese si chiamava Castrum Ritaldorum o Litardorum. Quando il potere del feudatario venne meno, si chiamò Castruin Ritaldi forse da un ultimo Ritaldo. Da qui deriva il nome Castel Ritaldi, che in dialetto è chiamato «Castritalli». Ora ci abitiamo io e la mia famiglia», conclude la signora Bianchina. A Castel S. Giovanni, uno dei Castelli feudali più belli dei dintorni, intervistiamo il professor D’Agata Alfiero. «Questo maniero — afferma — fu fatto costruire dal Cardinale Albornoz nel 1376. È ben conservato, la pianta è quadrata, ha quattro torri angolari a forma circolare. Era circondato, da un fosso profondo per difendersi dal nemico. Custodisce molti resti dell’epoca medioevale e il ponte levatoio che conduce alla torre d’ingresso, imponente e merlata; è la torre più grande del castello ed era considerata come una piccola fortezza, tanto che ci si rifugiavano per qualunque attacco nemico».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dall’Istituto comprensivo «G.Parini» (scuola secondaria di primo grado) di Castel Ritaldi dalle Classi II A e II B, ed è stata curata dai do-
centi: Pina Capaldini , Carla Guglielmi, Romeo Malvestiti, Valter Piambianchi. La dirigente scolastica è Maria Cristina Rosi.
A completare il lavoro dei ragazzi due foto d’archivio che ritraggono Castel Ritaldi e Castel san Giovanni. La scuola ha già partecipato ad altre edizioni del Campionato di giornalismo.
LA STORIA
Lucrezia Borgia? Abitò qui SECONDO noi i castelli del nostro Comune dovrebbero essere più valorizzati e ammirati, perché sono importanti monumenti storici. C’è da dire che comunque siamo un Comune fortunato, perché negli ultimi anni sono stati restaurati, anche se la nostra paura è che, a causa della pressante crisi, sarà sempre più difficile ottenere dallo Stato sovvenzioni per eventuali lavori di restauro. LA NOSTRA ZONA, come abbiamo già detto, è contornata dalle fortezze di Castel Ritaldi, Castel San Giovanni, Colle del Marchese. A Castel Ritaldi, ogni estate viene risvegliata l’attenzione della comunità, perché vi si svolge il «Palio del fantasma». In questa manifestazione, che richiama molti turisti, si ricorda la storia del maniero, in cui morì il Conte Ritaldi nel 1499, si fanno spettacoli, si offrono intrattenimenti in stile medievale, si servono nella taverna i piatti tipici dell’epoca, il tutto per tenere vivo il ricordo di quei tempi. Anche se questa festa dura solo dieci giorni, è importante per noi cittadini far conoscere ad altra gente la storia del nostro castello, che ha visto tra i nobili che l’hanno abitato anche Lucrezia Borgia, forse addirittura fautrice dell’assasinio del Conte Ritaldi.
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CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 17 APRILE 2012
Scuola media
Storelli Gualdo Tadino
«La notizia? La vivo in diretta» Il giornalista sportivo Mario Donnini si divide tra rischio e motori LA STORIA
Comunicare: un’esigenza antichissima ANNO 20000 a. C.: non era facile, allora, comunicare sulle pareti delle caverne le sensazioni di colui che scagliava una freccia mortale verso la preda. Ma l’essenza della comunicazione è questa: l’uomo che informa l’uomo. Dai segni alla scrittura, dalla carta stampata a internet la spinta comunicativa è sempre la stessa: curiosità, voglia di sapere, desiderio di trasmettere l’accertamento della verità e dei fatti. Tutto cresce e s’evolve grazie a questo circolo virtuoso che, nel tempo, si è avvalso di metodi e tecnologie che hanno visto crescere sempre più la figura del giornalista. Egli ha avuto ed ha, tuttora, il compito non semplice di portare il messaggio (cioè la notizia) a destinazione (al pubblico). Per questo scopo alcuni di essi si mettono in gioco e, come novelli Ulisse, varcano le colonne d’Ercole spinti dalla sete di conoscenza. Altri testimoniano in prima linea eventi straordinari. Altri ancora, in mille modi diversi, realizzano il pensiero espresso dal protagonista di «Balla coi lupi»: «… A un certo punto bisogna avere la poesia di andare a vedere la frontiera, prima che scompaia». È questo il messaggio fondamentale che ogni professionista della «parola» dà a noi giovani, attraverso lo stimolo a crescere insieme alla curiosità per la vita e per il sapere, perché, come scrisse Dante Alighieri, «... fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtude e canoscenza».
GIORNALISTI! Vederli da vicino e parlarci ci ha fatto capire che il loro mestiere è affascinante, importante e difficile. Ce ne siamo accorti quando abbiamo invitato a scuola il noto giornalista Piero Badaloni e Mario Donnini, professionista di origine gualdese e cronista del settimanale Autosprint. Pur così diversi, essi ci hanno trasmesso la loro curiosità di vivere, la continua ricerca della verità e l’amore per la conoscenza. Soprattutto per Donnini, che opera dentro gli sport del motore e del rischio, l’informazione è testimonianza diretta. La sua caratteristica è sperimentare, testimoniando la notizia dal di dentro. Solo ciò che si vive può essere trasmesso, comunicando emozioni e sensazioni. Secondo lui, la paura provoca danni maggiori che non il pericolo in sé, per cui mettersi in gioco e rischiare, utilizzando «la giusta adrenalina», rende il suo mestiere uno slancio creativo e diviene strumento di insegnamento per vivere la vita appieno.
ADRENALINICO Il reporter umbro Mario Donnini
La ricerca estrema e vissuta della notizia lo ha portato a varie esperienze: il mese scorso a Abu Dhabi è arrivato a toccare i 309,116 km/h su una F.1 biposto guidata dal pilota russo Vitaly Petrov, ultima tappa (per ora) di un cammino iniziato venti anni fa, volando con il deltaplano a motore sopra
Gualdo in una giornata di vento impossibile; ha continuato a catturare emozioni su una Dodge Viper a Indianapolis col grande JR Rutherford a 200 all’ora sulla sopraelevatissima Curva 3; ha fatto il Classic TT in moto e da passeggero di sidecar, ha percorso a velocità degne di nota strade della mi-
tica Targa Florio su una Porche 993 guidata da Nino Vaccarella, ha girato a randa su un minivan al vecchio Nurburgring e ha solcato una foresta inglese a 200 all’ora su una Ford Rally col mitico Waldegaard; ha fatto giri folli sull’Audi di Le Mans insieme a Dindo Capello a più di 260 all’ora, ha volato coi Sukhoi della pattuglia acrobatica Red Bull e, con un Dakotas, sui deserti della Dakar; quindi ha lasciato a terra un virgolone di caucciù all’Isola di Man grippando con una Gilera; infine, Donnini ha sperimentato le montagne russe più grandi del mondo a Abu Dhabi. Tutte cavolate, dichiara, a confronto del terremoto del ’97, che ha sentito dal quinto piano della sua abitazione di Gualdo. Questo per lui è il rischio vero perché non è calcolabile né accettabile, eppure «avvicinandosi al pericolo, si finisce con l’accostarsi di più alla vita e alla parte più profonda di noi». A lui, che rischia e sa rischiare, piacciono gli uomini che sfidando se stessi «cercano, frugano nei sotterranei della loro anima».
IL PERSONAGGIO PIERO BADALONI SPIEGA AGLI STUDENTI I «TRUCCHI» DEL MESTIERE
«Parole d’ordine: curiosità e correttezza» APPENA INIZIATA l’esperienza di «cronisti in classe», abbiamo avuto come insegnante Piero Badaloni, già volto noto e conduttore dei telegiornali Rai, che, invitato dalla nostra preside alla Storelli, ci ha parlato di comunicazione, informazione e giornalismo. Badaloni ci ha raccontato come è diventato giornalista, passione che ha coltivato fin da quando, studente come noi, ha iniziato a scrivere nel giornalino scolastico «La graticola»; ci ha parlato, poi, del suo mestiere, infine ci ha spronato a essere curiosi e a inte-
«COLLEGHI» I ragazzi della Storelli con il giornalista Badaloni
ressarci di tutto, dei fatti del «nostro orticello», ma soprattutto di quelli lontani perché viviamo in un «villaggio globale» e tutto ci coinvolge. Ci ha detto che il
giornalista deve garantire il diritto all’informazione di tutti i cittadini nel rispetto della verità dei fatti, ma anche della persona, della sua dignità e della sfera priva-
ta. Cosa che a volte non succede perché l’occhio della telecamera si sofferma un po’ troppo sui fatti tragici o di cronaca, riducendoli a circo mediatico della sofferenza. Questo modo d’informare la gente ha preso avvio nel 1981, da quando, cioè, è avvenuta la tragedia di Alfredino Rampi, uno sfortunato bambino, caduto in un pozzo artesiano e morto dopo tre giorni di tentativi di salvataggio. Alla domanda: «Che cosa bisogna fare per diventare come lei?», ha risposto che bisogna studiare, soprattutto le lingue straniere, viaggiare e fare esperienze culturali.
LA REDAZIONE PAGINA realizzata dagli studenti del laboratorio Linguaggi multimediali della Storelli: Cossa Alessandra (1A), Chiocci Melissa, Mariotti Luca, Minelli Gabriele, Passeri Matteo, Santinelli Alessandro (1B), Dial-
lo Bilghissou, Rudnytska Violeta, Scassellati Michele, Siliberto Giulia, Toteri Marco (1F), Cencetti Asia, Cioccoloni Leonardo, Fortini Giulia, Frillici Beatrice, Ibrahim Angelo, Llulla Eljon, Mancini Gabriele, Ricci
Sara, Rondoni Nicola, Sborzacchi Sara, Zeni Antonio, Ascani Anna, Marcacci Alisia; coordinati dalle professoresse Nadia Ascani, Rosanna Guerra, Giuliana Mariani. Preside: Maria Marinangeli.
CAMPIONATO DI GIORNALISMO
MARTEDÌ 17 APRILE 2012
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Scuola media
Parini Castel Ritaldi
«Acqua ai muri e vino ai muratori» Vecchi detti e racconti: alla scoperta delle tradizioni locali IL PICCOLO borgo di Castel Ritaldi sorge attorno all’aguzzo campanile sulle colline di Scigliano ed è circondato dai monti Martani. È un centro agricolo con varie aziende artigiane come molini e oleifici, e proprio in queste colline ci sono immensi uliveti che producono un ottimo olio. Passando lungo la strada che conduce a Colle del Marchese, incontriamo Pietro, un anziano che ci dice che nel corso dei secoli l’uomo, con il suo lavoro, ha creato un’ ambiente adatto alla vita della pianta d’ulivo che rappresentava spesso l’ unica fonte di sostentamento per le famiglie che lavoravano per buona parte dell’ anno curando gli uliveti. Quasi ogni famiglia possedeva «la chiusa» da cui si ricavava l’olio necessario per casa, l’olio veniva usato oltre che per condire anche come medicamento contro le scottature, la tosse, il mal d’orecchi. «Noi — afferma Pietro — produciamo quello classificato «extra vergine» che presenta un colore giallo oro con riflessioni verdi di media fluidità, di profumo intenso e di un sapore che sa di frutto».
STUDENTI REPORTER I ragazzi della «Parini»
Proseguendo il nostro giro in mezzo a queste meravigliose colline del nostro territorio, in lontananza scorgiamo un vigneto, ci avviciniamo per intervistare Natale che sta potando le viti, perché un altro prodotto del quale siamo curiosi di sapere delle notizie è proprio il vino. Natale ci racconta che il vino, per la gente della no-
stra zona, è sempre stato importante, era immancabile durante i pasti e accompagnava anche i contadini che lavoravano nei campi. «Acqua ai muri e vino ai muratori — afferma — è un proverbio ancora in voga ai nostri giorni e, nei cantieri edili, il boccione del vino è sempre presente. Un tempo era la bevanda che veniva offerta nel-
le case contadine agli ospiti: chi beveva il vino tutto d’un fiato dimostrava di averlo gradito e, da come riponeva il bicchiere sul tavolo, il padrone di casa capiva se ne desiderasse ancora, oppure no. Numerose erano le bettole nei paesini del nostro territorio o lungo le strade dove ci si fermava a bere vino, a mangiare alici e aringhe salate, e a giocare a morra. Con l’acqua della fontanella ci hai fatto casa bella… cantavano i clienti delle bettole all’oste, alludendo al vino allungato con l’acqua…Nel nostro territorio — continua Natale — famoso era il “Trebbiano Spoletino”, ormai raro e la “Malvagia”, la Malvasia toscana zuccherina, usata nella vinificazione per attenuare l’asprigno del Trebbiano. Per i vini rossi, il vitigno più usato era il Sangiovese e il Montepulciano e durante la bollitura veniva aggiunto al mosto cotto. Il vino rosato era ottenuto mescolando le uve rosse con quelle bianche. Nella cantina dei signori si vinificava il “vinsanto” ottenuto mettendo a passire, i grappoli scelti del Trebbiano Spoletino tenuti appesi nei magazzini».
L’INTERVISTA NONNA CATERINA SVELA L’ANTICA ARTE DELLA PANIFICAZIONE
«Sull’impasto sempre il segno della croce»
SAPORI DI CASA Olio, vino e pane: bontà eterne
QUANDO NOI RAGAZZI pensiamo al passato, ci viene spontaneo fare un confronto con il mondo di oggi. La vita dei nostri nonni, era veramente dura e ci porta a riflettere su come si procuravano i beni di sussistenza primari quali: il pane, l’olio, il vino. In una giornata un po’ speciale siamo andate indietro nel tempo insieme a nonna Caterina che ci ha raccontato come preparava il pane insieme alla mamma: cominciava la sera precedente al giorno in cui doveva fare il pane, impastava una piccola quantità di farina con acqua tiepida e lievito, ci tracciava il segno della croce, ci versava sopra della farina e lo lasciava lievitare per tutta la notte. La mattina seguente completava l’impasto nella madia mescolando l’acqua calda, in cui nel frattempo aveva fatto sciogliere del sale e della farina, ottenendo così della pasta. La lavorava con le mani a pugno chiuso per circa due ore, sino a farla diventa-
re solida e compatta. Dopo aver fatto lievitare l’impasto nella madia, distendeva sul tavolo la pasta lievitata cospargendola con un po’ di farina per non farla attaccare; l’allungava poi pian piano con il mattarello, e la tagliava a pezzi. Ogni pezzo veniva arrotondato con le mani dandogli la forma di un panetto, che avvolto in un canovaccio, lo deponeva in un cesto nella madia ( mattera ) per una seconda lievitazione. Infine i panetti li copriva con coperte di lana e li lasciava crescere per tre ore circa, poi li infornava uno alla volta su una pala di legno e li sistemava con ordine nel forno a legna già caldo. Dopo un’ora e mezza circa li sfornava con la pala e li metteva su una tavola per conservarli nello stipo. «Certo, il pane fatto in casa richiedeva lavoro — afferma nonna Caterina — ma almeno si aveva la soddisfazione di poterlo gustare caldo e croccante appena sfornato».
LA REDAZIONE LA PAGINA è stata realizzata dagli studenti dell’Istituto comprensivo «G.Parini» (scuola secondaria di primo grado) di Castel Ritaldi delle classi II A e II B. Gli stu-
denti sono stati coordinati nel loro lavoro dai docenti tutor: Pina Capaldini , Carla Guglielmi, Romeo Malvestiti, Valter Piambianchi.
La dirigente scolastica della Parini è Maria Cristina Rosi. La scuola ha partecipato a tutte le edizioni del campionato di giornalismo. La pagina è stata corredata con alcune foto.
FOLCLORE
I prodotti della terra Riti e feste CASTEL RITALDI: questo nostro borgo caratteristico, offre al turista prodotti che non mancheranno di dare piacere ai gusti più esigenti, infatti il pane, l’olio ed il vino sono piccoli ma importantissimi tesori del nostro territorio. «Lu pane bruscatu, co sopre l’olio en bicchiere de vinu è na favola”, queste sono le parole che le nostre nonne ci raccontano ogni volta che ci parlano della loro famiglia, perché un tempo alla base dell’alimentazione c’era questo, e quindi ciò ci spiega quanto sono importanti questi alimenti primari. Pensiamo solo che questi prodotti sono usati anche come simbolo nei riti religiosi della religione cristiana, quindi, codesti tesori non appartengono solo al nostro paese, ma a tutto il mondo. In questi ultimi anni il pane purtroppo non assume più nella nostra alimentazione un ruolo rilevante come un tempo lo era nelle classi popolari. Il vino è stato ed è tuttora una tradizione del nostro territorio ed è usato anche nelle feste popolari. Per questo, nelle nostre zone e dintorni, si producono vini molto pregiati e gustosi per il palato. L’olio è sicuramente il prodotto più pregiato delle nostre colline, è detto «oro liquido» perché è un prodotto molto pregiato e prezioso, soprattutto l’olio d’oliva, che dopo un periodo di crisi a causa dell’elevato prezzo ha riottenuto la sua importanza nelle nostre tavole. Secondo noi, questi prodotti dovrebbero riacquistare importanza e non devono essere messi da parte come è stato già fatto nella nostra alimentazione.
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