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Reggio Emilia

Relazione di Roberto Ferrari Direzione del 12 marzo 2013

PARTITO DEMOCRATICO – UNIONE PROVINCIALE DI REGGIO EMILIA Via M. K. Gandhi 22 – 42123 Reggio Emilia - Tel. 0522-237901 Fax 0522-2379200 Mail: organizzazione@pdreggioemilia.it web: www.pdreggioemilia.it


Bozza Avete tutti ricevuto una sintesi dell’analisi del voto elaborata dall’Istituto Cattaneo e avrete avuto modo di leggere e studiare i risultati elettorali confrontandoli con le precedenti politiche del 2008 e con le regionali del 2010. Le elezioni politiche 2013 sono per il PD una sconfitta , poiché ci siamo candidati per governare il paese ma il risultato non ce lo consente. Con questa legge elettorale la coalizione vincente alla Camera per soli 124.000 voti prende la maggioranza assoluta dei Deputati e la stessa coalizione al Senato con 280.000 voti ottiene solo la maggioranza relativa. Il PD ottiene anche il peggior risultato elettorale dalla sua nascita. Ma per effetto di questa legge elettorale, per il divario ottenuto nel risultato fra la nostra regione e il dato nazionale e per lo scarso risultato dei nostri alleati in coalizione, in Emilia Romagna otteniamo il massimo della rappresentanza: 13 Senatori (100%) e 28 Deputati, anche a Reggio beneficiamo di questo con 5 Parlamentari eletti (1 Senatrice e 4 Deputati). Buon lavoro agli eletti, un ringraziamento a tutti i candidati e un ringraziamento a coloro che hanno concluso l’esperienza parlamentare. Possiamo iniziare il nostro dibattito con una considerazione: la crisi, da prima finanziaria poi economica e sociale, è iniziata nel 2008. Da quel momento ci ripetiamo che il cambiamento in atto avrebbe fatto si che nulla sarebbe stato come prima, non avevamo risposte immediate, ma solo questa unica certezza. Sono passati 5 anni e dobbiamo ammettere che è finito un ciclo politico, è passato troppo tempo, la politica, la nostra politica è stata troppo lenta a reagire, sicuramente complice il fatto che eravamo appena nati, ma non abbiamo approfittato della nostra novità per imporre una accelerazione al cambiamento delle politiche. Ci siamo aggrappati fiduciosi all’idea che, nonostante la crisi, l’apparente pace sociale e l’introduzione delle primarie come innovazione politica fossero sufficienti per portarci alla vittoria elettorale. Abbiamo misurato il concetto di pace sociale con il livello delle manifestazioni, il numero degli scioperi e la violenza delle piazze, confrontandole con quello che succedeva e succede in Grecia, invece che con la sfiducia, la lontananza e il discredito crescente nei confronti della classe dirigente, a partire da quella dei partiti per poi ampliarsi progressivamente ai corpi intermedi. L’analisi pubblicata lunedì 11 marzo da Ilvo Diamanti è particolarmente chiarificatrice sul profondo smottamento avvenuto, con il M5S che assume caratteristiche di partito di massa, o interclassiste come si diceva un tempo, pescando consenso nel 40% degli operai, il 43% fra i disoccupati, il 31% fra i liberi professionisti e il 29 % fra i giovani, in ogni regione d’Italia. Mentre il PD cede 2


gran parte del proprio elettorato di riferimento, rimanendo forte solo fra i pensionati con il 37%, una categoria di fatto esterna al mondo del lavoro. Il sondaggio più azzeccato e di maggior indicazione per noi doveva essere quello che indica al 4% gli italiani che hanno ancora fiducia nei partiti, o se preferite il 96% che non ha fiducia nei partiti. E’ il sondaggio che abbiamo ascoltato meno e infatti, in buona fede, abbiamo fatto la campagna elettorale vantandoci di essere un partito, l’unico vero partito. Questo è l’errore di valutazione che oggi dovremmo approfondire, prima e più del colore dei manifesti o altro. Nell’intervista a Repubblica rilasciata dal Segretario dopo le elezioni c’è un passaggio che esplicita la corretta lettura della campagna elettorale e i possibili rischi derivanti dall’esito del voto: quando riconosce che la campagna elettorale, vincente per alcuni, si è basata sulla domanda “quanto ci costa un parlamentare” ma che il rischio, dichiarato e teorizzato dagli stessi, è il passaggio a “a cosa serve un parlamentare”, da cui ne deriva che chiunque può fare il parlamentare, le decisioni si prendono in altri luoghi(es. la rete). La consapevolezza di questo rischio per la democrazia ci deve guidare in questa fase di analisi e di proposte. La sfida in gioco riguarda anche il futuro della nostra democrazia. Abbiamo definito svanito l’effetto delle primarie (è bene ricordarci che quando le abbiamo fatte eravamo in campo solo noi e che quindi le proiezioni erano falsate) ma è indubbio che l’esito elettorale è distante dalle aspettative attese e che l’effetto traino non c’è stato. Eviterei di imbarcarci in una discussione fatta con i SE (e avesse vinto Renzi?, e se non le avessimo fatte?…non finiremmo più). Una cosa credo sia importante dirci oggi: dobbiamo ancora lavorare perché la cultura delle primarie sia un patrimonio condiviso e a servizio dell’iniziativa politica. Le primarie si concludono con l’individuazione di un candidato e non con vincitori e vinti, se sul fronte organizzativo abbiamo dimostrato grande capacità su questo aspetto abbiamo tutti bisogno di fare notevoli progressi. Poi spetta a ognuno di noi chiedersi e rispondersi se nella campagna per le secondarie ci ha messo entusiasmo e disponibilità pari a quelle messe in occasione delle primarie. Le primarie ci hanno permesso di costruire l’Albo degli elettori, per noi questo importante strumento deve diventare base di riferimento, sia per la consistenza numerica che è enormemente più rappresentativa dell’Albo degli iscritti, sia perché rappresenta una base di cittadini e cittadine che hanno dimostrato, votando e pagando, di voler partecipare attivamente alle scelte del nostro schieramento politico. Troviamo e pratichiamo forme di coinvolgimento e di consultazione che mantengano forte questo legame, tra l’altro il nostro Statuto le prevede. Iniziamo da subito in questa fase di dibattito post elezioni 3


organizzando appuntamenti sul territorio aperti, invitando gli iscritti all’albo degli elettori. Le primarie ci hanno lascito anche un’altra eredità: l’idea di aver già vinto. Ci siamo immedesimati nei vincitori, cominciando a prefigurare ruoli e carriere, immaginando scenari e nuovi equilibri. Da cui ne è derivata una campagna elettorale fatta prevalentemente o esclusivamente parlando solo ai nostri, sicuramente riuscendo a galvanizzare buona parte del nostro elettorato ma comunque senza prestare la dovuta attenzione al fatto che anche alla fine delle nostre iniziative, presenti i nostri fedelissimi, si finiva sempre per parlare dei costi della politica lamentandosi dei nostri mancati interventi e delle occasioni sprecate, appariva, anche in quel contesto comunque a noi favorevole, una mancanza di fiducia, di chiara volontà di cambiare. I tempi della campagna elettorale non sono stati a noi favorevoli, siamo arrivati un po’ stanchi, SB ha avuto la possibilità di stabilire di fatto la data delle elezioni, a lui più favorevole, facendola incrociare anche con la scadenza del mandato del Presidente della Repubblica per favorire la creazione di un contesto oggettivamente molto complicato, per le responsabilità e le decisioni che si dovranno prendere contestualmente. PDL, M5S e RC tutti a fare campagna contro il Governo Monti e noi costretti ad essere prudenti e misurati nel dibattito con Scelta Civica in quanto preoccupati di un eventuale accordo. Mi permetto di sottolineare che soprattutto negli ultimi mesi del Governo Monti siamo stati noi, o perlomeno abbiamo dato l’impressione di essere soprattutto noi i principali sostenitori dell’azione di quel Governo. Doveva essere la ragione per farci protagonisti dell’agenda del Governo, essere noi a stabilire le priorità ed eventualmente i tempio della fine della legislatura. Questa è l’errore politico di cui oggi dovremmo sentire la maggiore responsabilità. Ma non lo abbiamo fatto: abbiamo preferito tenerci la “colpa” di sostenere Monti piuttosto che rischiare di essere “colpevoli” di staccare la spina, abbiamo scelto di non sfidare il Presidente della Repubblica e spero che nessuno fosse spaventato di aver PLB troppo forte in quel momento. Abbiamo ascoltato la proposta avanzata dal Segretario alla direzione del 6 Marzo, seguito il dibattito e apprezzato la condivisione unanime, anche a Reggio abbiamo ricevuto tanti documenti e odg approvati dai nostri circoli in cui si invita il PD a non fare accordi con il PDL.

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Non possiamo non vedere che nonostante le parole chiare usate dal Segretario già nella conferenza stampa del 26 febbraio,”no a governissimi”, il fatto che comunque questa richiesta venisse formulata da parte dei nostri circoli mi fa pensare che i nostri iscritti e militanti, oltre a voler far sentire la loro voce in questo particolare momento, non si fidano del tutto della nostra classe dirigente. Per noi non può esistere un partito in cui la base non si fida dei propri rappresentanti. Abbiamo spesso detto di voler essere riformisti ma poi ci siamo comportati il più delle volte come dei conservatori, ci siamo adagiati (per comodità, per equilibrio, per rendita) sono più le battaglie annunciate di quelle veramente combattute. Anche quando le abbiamo fatte abbiamo dato l’impressione di essere stati costretti dagli avvenimenti e che fossero indotte più che spontanee, come nel caso dell’abolizione dei vitalizi in Regione ER, scelta avvenuta nella legislatura in cui due del M5S sono entrati in Consiglio Regionale e non prima. Da quanto tempo e da quante persone abbiamo sentito dire che il trattamento dei Cons. Regionali è sproporzionato in confronto a quello di tanti Sindaci, quanti ex amministratori locali sono poi diventati Cons. Regionali e poco è cambiato. Vale la pena fare qualche altro esempio, soprattutto per inquadrare gli obiettivi che devono qualificare e contraddistinguere la nostra proposta politica. Non solo sul piano nazionale, dal conflitto di interessi, alle riforme istituzionali fino al finanziamento pubblico ai partiti ( sul quale dobbiamo ammettere di aver mancato una occasione e oggi siamo costretti ad accettare soluzioni drastiche per recuperare credibilità, chiediamo scusa oggi per poter continuare a garantire democraticamente a tutti il diritto di fare politica, una formula simile a quella del 5 per mille potrebbe funzionare) ma possiamo individuare anche sul piano locale dei temi di riflessione. Con la fusione fra ENIA ed IRIDE avevamo sostenuto che fra i vantaggi che ne avremmo ricavato vi sarebbe stato quello di diventare protagonisti e propositivi nei settori della ricerca e della innovazione, in particolare nel campo delle energie rinnovabili; una grande sfida tipica della storia delle nostre multiutility che sono servite anche quali strumenti per qualificare le politiche di sviluppo del territorio in particolare quelle che hanno bisogno di investimenti e di strategie che i singoli EE. LL. non possono permettersi. Invece il settore dove più di ogni altro siamo rimasti al palo, mettendo anche in difficoltà molti nostri Comuni, è proprio quello delle rinnovabili ( mentre in cambio ci rimane da gestire la vicenda degli affidamenti al massimo ribasso o le difficoltà a garantire l’impiego delle nostre cooperative sociali ).

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Altro esempio la mobilità: in tutta Italia nascono movimenti NO TAV, anche dove la TAV non passa, forse non è tutto puro antagonismo fine a se stesso. Forse sapere quanto tempo ci metto ad andare a Lione è insufficiente di fronte alla domanda che tanti si fanno quando partono da casa per andare al lavoro o a studiare a Reggio (o in altre città). Mio figlio fra 11 anni molto probabilmente verrà a Reggio ancora in macchina, ma noi gli avevamo promesso che a Novellara avrebbe potuto prendere la metropolitana di superficie . Con i soldi della TAV(ferro) abbiamo investito, come opere di compensazione, prevalentemente in strade (gomma). Legge di riordino territoriale: dal 1999 questa Regione ha avviato un percorso legislativo che aveva intuito e definito una riorganizzazione degli ambiti ottimali di governo, nella prima legge era scritto che dopo 10 anni le Unioni di Comuni dovevano approdare alla fusione, e ci sono stati messi anche un sacco di soldi, e invece negli anni abbiamo progressivamente annacquato questo quadro normativo, perdendo tempo per una riforma che oggi siamo costretti a subire, lo stesso dibattito sul ruolo delle Province avrebbe avuto tutta un altro significato e non sarebbe stato improvvisato come poi è avvenuto. Ma la sfida più grande si chiama Europa. Quando martedì 26 febbraio PLB è intervenuto nella conferenza stampa post elezioni ha pronunciato un passaggio molto forte e dai toni drammatici rivolto alle istituzioni europee, quasi ad invocare un ammonimento all’Europa. Ha chiesto di non sottovalutare quello che è accaduto in Italia con il voto, di non trattarci come degli alieni, perché è nell’interesse dell’Europa ridiscutere e ripensare le politiche di rigore e di crescita, le prime le abbiamo viste le seconde non sono pervenute, perché a crescere è solo la disoccupazione. Noi siamo da sempre convinti sostenitori dell’Unione Europea, ma la nostra battaglia a difesa dell’EURO è imprescindibile dalla creazione degli Stati Uniti d’Europa, dalla nascita di una Europa dei popoli in cui il percorso democratico e partecipativo arrivi fino alla legittimazione diretta delle istituzioni europee. Ripeto cose già dette: troppo debole è stata la mobilitazione in difesa del popolo Greco, troppa attenzione ai conti di quel paese e troppo poca ai cittadini greci nostri concittadini europei. L’appello fatto da PLB è una chiara richiesta d’aiuto, conviene all’Europa aiutare l’Italia ma è anche un ammonimento al futuro economico sociale e democratico del nostro continente. Prendo a prestito le parole di Joseph Stiglitz: “in una democrazia che voglia essere tale, dove le voci dei comuni cittadini vengono ascoltate, non possiamo mantenere un sistema di mercato aperto e globalizzato, perlomeno nella forma 6


che conosciamo, se anno per anno questi stessi cittadini si impoveriscono. Una delle due, la politica o l’economia, dovrà dare qualcosa“. Aggiungo io che le conseguenze possono prendere la forma di “dittatura“. Il risultato elettorale ci consegna alcuni dati: 1) Il PDL è ancora forte, a questo si aggiunge circa 8,5% degli alleati, coagulato attorno alla figura di SB, il quale ha deciso quando e come fare la campagna elettorale. Questa forza non è solo sorprendente ma anche molto allarmante, in particolare dopo l’arroganza ed il disprezzo dimostrato ieri al tribunale di Milano dove rappresentanti delle istituzioni hanno voluto palesemente sfidare altri rappresentanti delle istituzioni, una cosa mai vista che deve essere condannata e respinta. SB ha puntato alla ingovernabilità e a garantirsi il sistema in cui è nato, vedi Lombardia, dove nonostante tutto quello che è successo hanno vinto, contribuendo alla nascita della Padania senza i padani, come l’ha definita Ilvo Diamanti (Piemonte, Lombardia, Veneto governate da tre leghisti) configurando un altro bel problema che si aggiunge al rischio ingovernabilità. 2) Il confronto delle regionali fra Lombardia e Lazio, due regioni travolte dagli scandali, con candidature molto differenti (una civica, l’altra di partito) ed esiti molto diversi. Possiamo dire che non esistono schemi unici e che dobbiamo interpretare al meglio le varie realtà adeguandoci al contesto, noi siamo quelli che quando è nato il PD lo abbiamo voluto come un partito federativo e anche questo ce lo siamo in parte dimenticato. 3) Inconsistenza di Monti: numericamente non determinante in Parlamento, e noi avevamo considerato lo schema inverso. La candidatura di Monti ha impoverito le carte del Presidente della Repubblica da poter giocare in questa difficilissima fase. Scelta Civica ha svuotato l’UDC e azzerato FLI, aggiungendo molto poco dalla destra moderata italiana. 4) Alla nostra sinistra c’è rimasto veramente poco, sia dentro alla alleanza Italia Bene Comune sia fuori. Da un punto di vista politico ne segna il ruolo di solo testimonianza, per quanto riguarda il quadro delle alleanze in corso nell’ambito degli Enti Locali diventa difficile dialogare con alleati inconsistenti ma tuttora presenti in modo diffuso, fibrillazioni già si vedono e per il futuro rischiamo di intavolare rapporti con i portavoce di nessuno o quasi. 5) Per quanto riguarda le Amministrative a partire da quelli imminenti rimanderei ad una prossima riunione da convocarsi a breve dove fare il punto non solo delle elezioni amministrative 2013 ma anche un approfondimento sul voto reggiano in prospettiva 2014. 6) Il M5S ha pescato in tutti gli elettorati, partite IVA in Veneto e nelle Marche, disoccupati in Sicilia e Sardegna, operai ovunque (dopo aver invocato l’abolizione dei sindacati, ripensiamo alla crisi del sistema di rappresentanza che va ben oltre i partiti). Ha pescato a destra e a sinistra attingendo in tutti gli elettorati e in ogni territorio, tranne dove sono presenti i partiti fortemente territoriali ed autonomi (Valle d’Aosta e Trento e Bolzano), non è solo un fenomeno Emiliano Romagnolo come per 7


troppo tempo è stato considerato. Noi gli abbiamo travasato quasi il del 50% del nostro consenso. E’ il primo partito con il 25,5 %, si tratta di una percentuale che non si ottiene solo con il voto di militanza o da parte dei fanatici della Casaleggio e Associati ma ingloba una buona parte di voto di opinione, mai come in queste elezioni è stata determinante la mobilità del voto, è un aspetto che ci ha danneggiati ma che in prospettiva ci lascia aperte delle opportunità e ci indica una strada su cui lavorare. Ora ci sono 163 eletti del M5S che vivranno la politica non solo in rete ma fisicamente dentro le istituzioni, dovranno incontrarsi, parlarsi, ascoltare la voce dei territori, confrontarsi e rispondere della loro azione dentro e fuori l’aula. Dal momento che il movimento ha deciso di accettare la sfida del cambiamento stando dentro le istituzioni, anche per cambiarle, dobbiamo sfidarli e provocarli a dimostrare la loro volontà reale e la loro capacità. 7) Noi: cosa possiamo fare e cosa ci conviene fare dato questo quadro di riferimento. Abbiamo sempre detto prima l’Italia poi il PD, ma se vogliamo che il PD continui ad essere utile per l’Italia deve perlomeno esistere. Il 25 % ci dice che ci siamo, ma oltre ad essere il peggior risultato di sempre, siamo vicini ad una soglia sotto la quale scompariamo, il PD non può essere un partito del 20% , sarebbe fallita l’idea stessa che lo ha generato. Ora siamo in campo per giocare una partita difficilissima, in cui gli avversari sono ben contenti di lasciarci il calcio d’inizio. Ci siamo arrivati con un capitano al quale ora ci stringiamo intorno tutti come si fa nei momenti difficili, ma tutti, nessuno in panchina. Nessuno può permettersi, data la posta in gioco, di pensare di risparmiarsi in vista della partita successiva (spesso pensiamo troppo alla formazione della prossima partita che per noi rappresenta sempre la partita perfetta, ma è sempre la prossima da giocare) oggi siamo obbligati a giocare bene questa, il cui esito potrà dirci come giocare la prossima. Allora agiamo come un squadra, un collettivo, a cui le vecchie glorie devono dare il loro incoraggiamento ma essendo fuori rosa non possono pretendere di tirare le punizioni. Il capitano non può e non deve fare tutto da solo deve potersi fidare dei compagni, ed il rigore, se ci sarà assegnato, può tirarlo anche un altro giocatore nel caso in cui fosse troppo dolorante dopo il fallo ricevuto. E non dimentichiamoci che la partita è ora condotta da un arbitro, bravo e rispettato, ma che può solo ammonire e non espellere, non avendo in questo momento il cartellino rosso a disposizione. Oggi dovremmo mettere come priorità tutto ciò che ci permette di recuperare credibilità, a partire da coloro che ci hanno abbandonato ma che comunque sono lontani dal fanatismo di Grillo e Casaleggio, e nei confronti di coloro che cercano dalla politica risposte alle loro difficoltà e a quelle del paese. Poi faremo necessariamente il nostro Congresso, ma ora dimostriamo di saper interpretare questo voto e di agire con responsabilità ma con distinzione, garantendo ciò che è praticabile da parte nostra, passo dopo passo, distinguendo ciò che possiamo sostenere sapendo di non essere autosufficienti da ciò che non è politicamente attuabile, perché già sperimentato ed inutile al paese reale. 8


I punti proposti e votati pressoché all’unanimità all’ultima direzione nazionale rappresentano la base di programma per cercare in Parlamento una maggioranza indispensabile a sostenere l’azione riformatrice di cui questo paese ha bisogno, è bene che in quella sede venga presentata, discussa, emendata se necessario e mi auguro approvata, altrimenti deve emergere con chiarezza chi si assume la responsabilità di lasciare il paese nel caos dell’ingovernabilità e comunque di rinviare la stagione dei necessari e possibili cambiamenti. Un partito non deve mai avere paura delle voto. Ci sono però decisioni che devono essere assunte rapidamente e possibilmente da una maggioranza politica, mi riferisco a come evitare l’aumento previsto dell’IVA, l’introduzione della TARES, gli effetti della spending review che sono troppo uguali ai tagli lineari, la modifica del patto di stabilità per evitare che i mancati pagamenti da parte della P.A. possano provocare la morte di tante piccole e medie imprese soffocate dalla mancanza di liquidità, per citare solo alcuni provvedimenti urgentissimi ed inderogabili per ridare subito ossigeno alla nostra economia. Il voto degli italiani va rispettato, ma va onorata anche la richiesta di cambiamento che questo voto ha espresso, pur se indirizzato verso forze e proposte politiche diverse, è emersa una maggioranza che vuole cambiare il paese, diventa indispensabile provare ad affrontare questa stagione che segna la fine di un ciclo politico ma anche la spinta ad agire in modo radicale prima di essere colpevolmente travolti. Noi stiamo dimostrando di averlo capito e dobbiamo continuare su questa strada, ci siamo messi in discussione, non vogliamo inseguire il facile consenso ma non accettiamo di rinunciare al compito che ci è stato affidato e soprattutto cerchiamo di dare risposte ai tanti che nella sofferenza, nell’ingiustizia e nella mancanza di speranza trovano quotidianamente come unica risposta la sfiducia nella politica.

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