Tesina rachele coppola impaginata

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LA PUBBLICITÀ Incantare, Comunicare, Persuadere


(Henry Ford)

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Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina.


Classe V B - indirizzo Audiovisivo e Multimediale Anno Scolastico 2016-2017

Tesina di MaturitĂ

Rachele Coppola

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Introduzione

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oncetto apparentemente semplice, ma in realtà piuttosto complesso la pubblicità. Ognuno di noi la conosce e saprebbe darne, senza alcuna difficoltà, una propria definizione. La pubblicità è, tuttavia, una forma di comunicazione altamente complessa. Decantata e disprezzata, giustificata e accusata nel corso degli anni, la pubblicità, lo si voglia o no, è oggi parte integrante della nostra vita di tutti i giorni. È onnipresente e onnipotente. Onnipresente in quanto è protagonista, come un’ombra che ci segue ovunque e della quale non ci si può liberare. Onnipotente in quanto usa ed abusa di qualunque mezzo e ha assunto il ruolo di guida della comunicazione di massa diventando il motore trainante e, a volte, inquinante dell’intero sistema dei mass media. C’è chi la odia e chi la ama. Io appartengo alla seconda fazione. La scelta di questo tema per concludere il mio viaggio liceale non è quindi casuale ma dettata dal cuore. Sin dalla tenera età infatti sono rimasta affascinata da quest’arte particolare, tanto da dover costringere i miei genitori a

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registrare ben 4 ore di videocassette interamente gremite di pubblicità, per riuscire a farmi mangiare e stare tranquilla. Così ho deciso di approfondire questa mia passione e di scoprirne le diverse sfaccettature, particolarità e curiosità che erano, fino ad ora, a me sconosciute, e che spero riuscirò a esporre nel migliore dei modi. All’interno di questo elaborato si affronterà un piccolo viaggio all’interno della storia della pubblicità, in particolar modo quella italiana, analizzando le tappe fondamentali e imprescindibili di questo percorso tanto complesso e ricco. Poi si capirà cosa significa persuadere, e la polivalenza di questo termine; come fare a persuadere qualcuno, e come persuadere anche sè stessi, poiché non si può persuadere qualcuno se non si riesce a persuadersi. Infine, avendo preso coscienza, e un minimo di esperienza, con la persuasione, capirete meglio come questa tecnica è stata applicata nella storia moderna e contemporanea, in particolare modo nell’affermazione del movimento futurista, dei regimi totalitari, e come, anche oggi, riesce a influenzare la politica e l’opinione pubblica. 5


Indice

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Che cos’è la pubblicità ?

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Piccolo excursus sulla storia della pubblicità

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Tra pubblicità e propaganda: Futurismo, Totalitarismo e attualità

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Indice

L’arte di persuadere

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Che cos’è la pubblicità?

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ra le diverse e più o meno discutibili definizioni di pubblicità, ce n’è una adottata dalla Camera di Commercio di Milano, su proposta di una commissione di esperti. La pubblicità viene qui intesa come

Qualsiasi forma di comunicazione che sia diffusa nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi.

Ad ogni modo, la definizione di pubblicità incontra una serie di difficoltà. È difficile dare una definizione univoca, ufficiale, precisa e concisa poiché la pubblicità può assumere aspetti sempre diversi e servire le cause più impensate. La definizione ufficiale sopra menzionata ha il difetto di essere troppo generica. Cercherò dunque di superare, per quanto è possibile, tale genericità proponendo una definizione di Vanni Candeluppi:

la pubblicità è una forma di comunicazione impersonale, diffusa, con qualsiasi mezzo, da soggetti economici che devono essere sempre identificabili, e tesa ad influenzare, regolarmente e intenzionalmente, il comportamento del singolo nei confronti dei prodotti, dove con questi ultimi si intende sia i beni e i servizi offerti, sia le imprese che li offrono.

Definendo pubblicità come comunicazione che mira intenzionalmente a influenzare atteggiamenti e comportamenti dei potenziali consumatori si evidenzia, in particolare, il suo aspetto fondamentalmente persuasorio. Inoltre, in tale definizione l’oggetto della pubblici10


tà non è limitato soltanto ai beni e servizi, ma esteso a qualsiasi comunicazione che riguarda l’azienda nella sua totalità. Numerose sono state le metafore usate per definire la pubblicità.Una di queste è la pubblicità intesa come specchio che riproduce la società, a volte in modo fedele, a volte distorcendola. Uno specchio nel quale noi ci riflettiamo e ci contempliamo. È “uno specchio spudorato, rivelatore di tutto ciò che si è sedimentato nella coscienza e nell’inconscio collettivo. Una gigantesca rete che, raccogliendo e spettacolarizzando frammenti e detriti della cultura, del costume, degli usi, delle buone e cattive abitudini del nostro tempo, può realizzare combinazioni spesso sorprendenti, e sintetizzare materiali nuovi e pronti per essere adoperati dal pubblico, che si appropria di segnali e di modi di dire pubblicitari e nuovamente li modifica” (Armando Testa, pubblicitario). Riassumendo, potremmo affermare che per pubblicità si intende, una comunicazione prevalentemente persuasoria, impersonale e unilaterale, promossa da una fonte che deve essere sempre identificabile e diffusa con qualsiasi mezzo (generalmente dai mass media), tesa ad influenzare il comportamento del singolo nei confronti del prodotto, dove con questo si intende sia il bene e il servizio offerti, sia l’impresa che lo offre, sia una causa sociale (pubblicità sociale), sia lo Stato (pubblicità pubblica), un partito o un personaggio politico. Con tale definizione conclusiva si allarga la visione di pubblicità da un ambito strettamente economico, ovvero pubblicità commerciale ad altri ambiti come quello sociale, politico, pubblico, in cui la pubblicità di fatto opera. 11


Atteggiamenti, vantaggi e svantaggi della pubblicità

Vantaggi della pubblicità:

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Gli atteggiamenti e i giudizi espressi, nel corso degli anni, dal pubblico nei confronti della pubblicità non sono stati mai neutrali, ma dettati sempre da un sentimento di amore/odio, legittimazione/disapprovazione. In generale possiamo riscontrare due grandi categorie di opinioni sul fenomeno pubblicitario: le opinioni in sua difesa e le opinioni sfavorevoli. La pubblicità svolge prima di tutto una funzione informativa: è uno strumento che permette di far conoscere al consumatore i prodotti esistenti sul mercato. Si mostra come finestra sui prodotti, offrendo un ampio ventaglio di proposte che consente di confrontare, di valutare e quindi di scegliere. Svolge una funzione ludica in quanto intrattiene lo spettatore, lo fa evadere dalla grigia realtà di tutti i giorni per entrare in un mondo fantastico, lo fa divertire e rilassare. Inoltre non richiede molto tempo né un grande sforzo o concentrazione ed è adatta a tutti e universalmente fruibile. La pubblicità diverte non solo perché fa ridere o sorridere ma anche perché “riesce a fornire momenti di evasione e processi identificativi considerati gratificanti” (Fabris, pubblicitario). Ha una funzione educatrice dell’estetica e del gusto. Per essere “attraente” utilizza spesso le stesse tecniche delle maggiori forme artistiche ed espressive, tanto da essere considerata una vera e propria forma d’arte. Svolge un’importante funzione educativa/formativa in quanto insegna, spiega, dimostra. È “una palestra di sperimentazione di linguaggi ed immagini, arricchisce il vocabolario” (Fabris), soprattutto per gli strati meno colti della popolazione.


Tra gli svantaggi più percepibili della pubblicità vi sono alcune sue caratteristiche strutturali quali la sua ripetitività e la sua invadenza (per cui lo spettatore è esposto, anche contro la sua volontà, ai messaggi pubblicitari, che diventano addirittura irritanti). Talvolta propone dei modelli cui ispirarsi che, a volte, sono troppo “lontani” dalla realtà. È un potentissimo strumento di persuasione e manipolazione. È martellante, petulante, ti entra nel cervello e non ti rende più in grado di decidere autonomamente. Per raggiungere il suo scopo la pubblicità usa ed abusa, senza alcuno scrupolo, di qualsiasi mezzo: la tenerezza suscitata da un animale o da un bambino, il nudo femminile, fino al simpatico “modo di parlare” dei giovani.

Svantaggi della pubblicità:

Dunque, la pubblicità ha aspetti positivi e negativi; può essere amata e criticata. Le critiche rivolte alla pubblicità riguardano soprattutto i suoi effetti, che oltrepassano i confini dell’economia sconfinando nella vita sociale e politica. Essendo diffusa prevalentemente dai mezzi di comunicazione di massa, i suoi effetti riguardano un pubblico molto differenziato. Nel corso degli anni l’atteggiamento degli italiani nei confronti del fenomeno pubblicitario ha subito un’evoluzione ed è diventato più favorevole. Oggi il consumatore è meno diffidente di 40–50 anni fa. Egli è persuaso, ma non passivamente. Sa che la pubblicità ha un suo scopo preciso (che è quello di spingerlo ad acquistare quel determinato prodotto) e che può essere utile e piacevole, ma anche arrogante, antipatica e sgradevole, di buona come di cattiva qualità. In altre parole egli è, per così dire, “consapevolmente persuaso”. 13


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Piccolo excursus sulla storia della pubblicità

L Prima della pubblicità

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a pubblicità non ha una vera e propria data di nascita. Sicuramente la fase più intensa della sua evoluzione è strettamente collegata allo sviluppo della cultura industriale moderna. Pertanto, è stato solo con la seconda rivoluzione industriale dell’Ottocento che essa è entrata in quella fase matura che le ha attribuito le odierne sembianze. Ad ogni modo, la sua origine risale a molto tempo prima di questo periodo. Nelle civiltà del passato il tipo di comunicazione più vicino alla pubblicità come la intendiamo oggi era probabilmente rappresentato dalle insegne utilizzate dai commercianti per attirare i clienti. Già nell’antico Egitto, nell’antica Grecia, Roma e Pompei i commercianti facevano uso di insegne in rilievo, dipinte o a mosaico che presentavano scritte o simboli facilmente riconoscibili anche per le grandi masse analfabete. Solo con l’invenzione della stampa a caratteri mobili nel xv secolo è stata possibile la creazione dei primi manifesti per i muri. Nel Seicento, grazie all’evoluzione delle tecniche di stampa, è iniziata la diffusione, nei principali paesi europei, delle cosiddette “Gazzette” che uscivano generalmente una volta alla settimana, importanti perché hanno dato largo spazio alla “réclame”, termine francese che veniva impiegato all’epoca per indicare quella che possiamo considerare la prima vera forma di pubblicità, priva ancora di illustrazioni, e che si basava su testi simili agli articoli giornalistici. Le prime forme di réclame sono comparse nel 1625 all’interno del giornale inglese “Mercurius Britannicus”. Addirittura sempre in Inghilterra da lì a poco vennero diffusi settimanali contenenti esclusivamente annunci pubblicitari. Il più famoso


“Public Adviser” 1657. In Francia abbiamo come esempio la “Gazette” di Théophraste Renaudot. Anche in Italia tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento sviluppò queste prime forme di giornali contenenti réclame . Il più vecchio appare nel 1691 sul “Protogiornale Veneto Perpetuo”. Ma il vero punto di svolta si ebbe a partire dalla metà dell’Ottocento. La grande espansione dell’economia e dei consumi determinata dalla seconda rivoluzione industriale ha reso i piccoli annunci sui quotidiani non più sufficienti; pertanto il più ampio e potente manifesto si fece largo e divenne il principale strumento di comunicazione. Per la realizzazione di questi manifesti si ricorreva a importanti artisti dell’epoca, come Edouard Manet che realizza a Parigi nel 1868 il manifesto “Les Chats” per promuovere il libro dal titolo omonimo. Questo manifesto è una tappa importante nell’evoluzione del linguaggio pubblicitario. Ma è solo con l’arrivo della cromolitografia, usata per i manifesti a colore realizzati da Jules Chéret, il quale riesce a far convivere armonicamente l’immagine e il testo verbale , che si può iniziare a parlare di manifesto moderno. Nell’evoluzione del manifesto pubblicitario moderno, è stato fondamentale l’aiuto fornito da altri due artisti: Henri de Toulouse-Lautrec, che ha realizzato ad esempio “Divan Japonais” (1892) e Alphonse Marie Mucha, con “Biéres de la Meuse” (1898). Il primo, pur avendo tratto ispirazione dall’essenziale grafica giapponese, ha saputo dare nei manifesti uno stile assolutamente personale. Il secondo, invece, ha fatto ricorso alle caratteristiche figurazioni floreali ideate dagli artisti dell’Art Nouveau, la corrente artistica che all’ epoca

L’epoca d’oro dei manifesti e la nascita della pubblicità in Italia

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rivestiva il ruolo più importante. La Francia, nell’Ottocento era il paese più avanzato dal punto di vista dello sviluppo socio-economico. Sulla scia dei francesi, anche in Italia, con qualche anno di ritardo le cose iniziano ad evolversi. Il primo manifesto a colori che appare in Italia è stato realizzato nel 1863 dal litografo Rossetti, per l’opera lirica Faust, ma il suo livello espressivo era modesto se paragonato ai colossi francesi. Andando verso i primi del Novecento, l’Italia vede operare grandi artisti che portarono numerose innovazioni e una ventata di aria fresca per quanto riguarda la realizzazione dei manifesti: Leonetto Capiello e Marcello Dudovich. Con Capiello nasce addirittura il manifesto-marchio, ovvero un’immagine grafica direttamente riconoscibile, che sappia comunicare l’essenza del prodotto e renderla memorabile: una concezione assolutamente moderna. 18


Nuovo secolo, nuovi messaggi Ma la fase di cambiamento più intensa attraversata dalla pubblicità sono stati gli anni Venti e Trenta del Novecento. La pubblicità si era trasformata in un vero e proprio sistema industriale e di comunicazione che ha contribuito alla creazione di una cultura di massa per la nascente società dei consumi. Questo processo fu rilevante in America rispetto a tutti gli altri paesi europei per il suo crescente livello di industrializzazione che era giunto a livelli molto alti. Nacquero così le numerose aziende, molte delle quali insediate nel cuore della grande mela, dove vi saranno le sedi delle più grandi agenzie di pubblicità. Anche in Italia si notano alcuni cambiamenti: è subentrato un orientamento finalizzato a mostrare ed esaltare le qualità e le prestazioni del prodotto. 19


Il messaggio risulta così meno immediato ma più articolato e completo. A occuparsi di pubblicità nei primi anni del Novecento erano soprattutto gli artisti. I professionisti della comunicazione erano ancora pressoché assenti. Affinché il messaggio pubblicitario sia più efficace, si inizia a fare ricorso anche a personaggi che erano già noti e che potevano esercitare un ulteriore richiamo sul pubblico. L’artista poteva dunque essere impiegato come testimonial. I casi d’artista “prestati” alla pubblicità sono numerosi. Il più noto e, sicuramente, colui che viene alla mente di tutti è Gabriele d’Annunzio; poeta, scrittore e giornalista, ma anche testimonial pubblicitario. La sezione si propone di ripercorrere l’attività pubblicitaria di d’Annunzio, di certo collaterale ma non meno artistica, di d’Annunzio. Oltre che abile pubblicitario di sé stesso, il Vate, simbolo di una vita elegante e dispendiosa, fu allo stesso tempo un attivo testimonial pubblicitario e un efficace creatore di slogan. Preconizzando i futuristi, egli impiegò più di una volta metodi pubblicitari per imporsi all’attenzione del pubblico, convinto che la réclame, lo scandalo, servivano per creare un contatto con il pubblico. Anche per ragioni economiche, sull’esempio dei Pre-Raffaelliti inglesi, d’Annunzio sfruttò la sua celebrità per pubblicizzare molti prodotti, coniando slogan per l’Amaro Montenegro, l’Amaretto di Saronno e il Sangue Morlacco. Battezzò diversi articoli, dai dolci (Saiwa, Parrozzo) ai liquori (Aurum), dai profumi (celebre la serie di nomi ideata per La Casa Profumiera Bolognese, tra cui L’ardore del Carso, La Fiumanella, La brezza del Carnaro) a generi più prosaici, come le gallette, l’inchiostro, un lubrificante per automobili, perfino uno sciroppo contro 20


il catarro. Il suo nome resta indissolubilmente legato a quello dei grandi magazzini La Rinascente, così ribattezzati in quanto nati dalle ceneri dell’incendio che aveva distrutto i “Magazzini Bocconi”. La sua prodigiosa capacità di trasfigurare ogni cosa, d’esaltarsi e di esaltare gli altri è sfruttata con acume da industriali e da politici che la usano ai loro fini, ma anche d’Annunzio, ben consapevole degli indiretti vantaggi, d’immagine oltre che rimunerativi, e della grande risonanza che tale attività offriva alla sua opera e alla sua figura. Negli anni 30 in Italia operavano dei grafici di grande talento che creavano i disegni, mentre per i testo verbale ci si rivolgeva principalmente all’esperienza dei giornalisti. In particolar modo in questo periodo i grafici erano fortemente influenzati dall’estetica essenziale e razionale proposta con successo a livello internazionale dalla scuola della Bauhaus. Il mondo della pubblicità è stato profondamente influenzato dalla progressiva diffusione degli apparecchi radiofonici, avvenuta a partire dagli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale. Con le radio infatti i messaggi pubblicitari arrivavano direttamente all’interno delle abitazioni e potevano così comunicare in maniera più “intima” con i consumatori. Nei primi anni, la pubblicità italiana ha scarsamente impiegato le possibilità comunicative proprie della radio. A partire dagli anni trenta però fu importata anche in Italia la tecnica della sponsorizzazione, già attiva in America. L’utilizzo della radio per fare pubblicità ha portato ad una progressiva rivalutazione dell’uso della parola non solo all’interno della stessa radio, ma anche nei manifesti, con la ripresa dello slogan.

L’arrivo della radio

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Il Carosello: un invenzione made in Italy

Pop Art e pubblicità: un legame indissolubile

anni trenta però fu importata anche in Italia la tecnica della sponsorizzazione, già attiva in America. L’utilizzo della radio per fare pubblicità ha portato ad una progressiva rivalutazione dell’uso della parola non solo all’interno della stessa radio, ma anche nei manifesti, con la ripresa dello slogan. Dopo la pubblicità radiofonica, è arrivata anche quella televisiva. La televisione italiana, il 3 febbraio 1957, inizia a trasmettere dei messaggi pubblicitari molto particolari all’interno della trasmissione Carosello. Tale trasmissione ha ottenuto un elevato successo popolare. Anche il mondo pubblicitario ha dovuto adeguarsi pertanto al nuovo strumento. Nacquero infatti società in grado di produrre cortometraggi. Carosello è stata un’invenzione tutta italiana. Presentava delle pubblicità che erano delle specie di spettacoli, da questo derivava la necessità di coinvolgere l’intero mondo dello spettacolo. Carosello non era però solo pubblicità, era un mondo fiabesco dove regnavano la felicità e il benessere, un mondo affascinante per una popolazione come quella italiana che proveniva da un lungo periodo di povertà e disagi. Mentre gli italiani si divertivano con le scenette del Carosello, che sono durate per venti anni esatti, il nostro paese accentuava il suo ritardo dal punto di vista del linguaggio pubblicitario. In tutto il mondo infatti la pubblicità proseguiva il suo rapido processo di sviluppo. La Popular Art, più nota al pubblico con il nome di Pop Art è un esempio calzante per inquadrare meglio la situazione sociale ed economica post bellica, poiché il

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legame con questa corrente artistica è imprescindibile. Dagli anni 50 infatti protagonista principale è il cosiddetto “boom” economico, grazie al quale masse sempre più ampie riescono ad innalzare il proprio livello di benessere, facendo così nascere e sviluppare il fenomeno del consumismo. Si espande a macchia d’olio la comunicazione di massa, la diffusione di notizie, immagini, e avvenimenti attraverso la radio, cinema, giornali, riviste e televisione. Atta a criticare il consumismo che si diffondeva negli anni sessanta, la pop art respinge l’espressione dell’interiorità e dell’istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo: il cosiddetto “folklore urbano”. È infatti un’arte aperta alle forme più popolari di comunicazione: i fumetti, la pubblicità, i quadri riprodotti in serie. Maestro riconosciuto della pop art fu Andy Warhol le cui creazioni, basate su una tecnica meccanica, la serigrafia, sono realizzate partendo dalla consapevolezza che nella società moderna la pittura è stata parzialmente sostituita dalla fotografia, più veloce e precisa. Le sue opere sono fortemente provocatorie e ammiccanti allo spettatore come lo sono le pubblicità di diversi prodotti. Sceglie soggetti ed oggetti comuni, familiari, basandosi sul fascino che la cultura del consumismo degli anni ’60 aveva su di lui. Affascinato dalla cultura del consumismo che negli anni Sessanta vedeva la sua massima espansione e accelerazione, Warhol ebbe lo straordinario intuito di battezzare come arte oggetti e prodotti della cultura di massa, creando quelle che sono diventate alcune delle icone più eloquenti e rappresentative del XX secolo. 23


Egli trasformò l’opera d’arte da oggetto unico in un prodotto in serie, come nella celebre serie dei barattoli di zuppa di pomodoro Campbell, con la quale egli confermò, di fatto, che il linguaggio della pubblicità era ormai diventato arte e che i gusti del pubblico si erano a esso uniformati e standardizzati La cultura del consumo che viene rimanipolata da alcuni dei più grandi artisti internazionali che si avvicinano così alle masse per l’utilizzo dei simboli e del linguaggio che stavano entrando nella loro cultura. Esempi calzanti sono La riproduzione serigrafica di bottigliette di Coca-Cola, Ritratti di Marylin Monroe o la famosa zuppa di Del Monte (oggi grande multinazionale) realizzate dal già sopra citato Andy Warhol, o il mega-tubetto di dentifricio e il Lipstick di Claes Oldenburg; e poi ancora i fumetti e la ragazza con la palla di Roy Lichtenstein che riproduceva un manifesto pubblicitario di una stazione sciistica. Tutte opere che facevano in un certo senso il verso al consumo di massa . La Pop-Art rubò l’iconografia degli anni ‘60, la sua pubblicità, le sue immagini, i concetti del consumismo di massa del suo periodo, per esasperarli e ironizzarli. 24



La crisi degli anni 70 e i gloriosi anni 80

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Egli trasformò l’opera d’arte da oggetto unico in un prodotto in serie, come nella celebre serie dei barattoli di zuppa di pomodoro Campbell, con la quale egli confermò, di fatto, che il linguaggio della pubblicità era ormai diventato arte e che i gusti del pubblico si erano a esso uniformati e standardizzati La cultura del consumo che viene rimanipolata da alcuni dei più grandi artisti internazionali che si avvicinano così alle masse per l’utilizzo dei simboli e del linguaggio che stavano entrando nella loro cultura. Esempi calzanti sono La riproduzione serigrafica di bottigliette di Coca-Cola o la famosa zuppa di Del Monte (oggi grande multinazionale) realizzate dal già sopra citato Andy Warhol, o il mega-tubetto di dentifricio e il Lipstick di Claes Oldenburg; e poi ancora i fumetti e la ragazza con la palla di Roy Lichtenstein che riproduceva un manifesto pubblicitario di una stazione sciistica. Tutte opere che facevano in un certo senso il verso al consumo di massa . La Pop-Art rubò l’iconografia degli anni ‘60, la sua pubblicità, le sue immagini, i concetti del consumismo di massa del suo periodo, per esasperarli e ironizzarli. Dopo gli anni del boom economico, il mondo della pubblicità ha dovuto affrontare in tutti i paesi industrializzati, durante gli anni settanta, una situazione di crisi. I pubblicitari erano oggetto di numerose critiche da parte soprattutto dei movimenti giovanili, i quali aderi-


vano a ideologie marxiste e anti-consumiste che rimproveravano a chi promuoveva i prodotti di creare negli individui dei bisogni di consumo falsi e superflui. La crisi porta ad un pesante rallentamento degli investimenti delle aziende in pubblicità. Inoltre, il clima di libertà che predominava negli anni settanta, ha consentito la realizzazione di annunci originali e innovativi, come i due creati nel 1972-73 per i jeans Jesus, uno dal pubblicitario Emanuele Pirella (“non avrai altro jeans all’infuori di me”) e l’altro dal fotografo Oliviero Toscani (“Chi mi ama mi segua”). Oliviero Toscani è un nome molto conosciuto in Italia e nel mondo ed è spesso collegato alle campagne pubblicitarie della Benetton. Questo noto marchio infatti affidò negli anni molte campagne pubblicitarie a questo fotografo: tra il 1985 e il 91 la campagna basata sullo slogan “United Colors of Benetton” che invitava all’unione tra le razze, aveva raccolto il plauso di tutti, in quanto proponeva un valore di fratellanza tra i popoli che era universalmente condiviso. Ma quando la Benetton ha preso esplicitamente posizione su temi sociali scottanti e controversi, a volte utilizzando anche un linguaggio molto aggressivo e delle immagini molto forti, è stata spesso accusata di voler invadere un territorio estraneo al mondo della pubblicità, e Oliviero Toscani stesso fu aspramente criticato. Con l’arrivo degli anni ottanta, il mondo italiano della pubblicità ha mutato ancora una volta la sua natura. La televisione è stata uno dei principali fattori di questo cambiamento. La RAI ha fatto morire il Carosello, 27


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troppo limitato, e necessitava di maggiori spazi di comunicazione. Inoltre la RAI comincia a tramettere a colori, e come era stato con l’inserimento della cromolitografia, è una vera rivoluzione che allarga la gamma delle possibilità espressive del linguaggio pubblicitario. Al posto del Carosello, prende largo lo spot da 30 secondi, che diventatò il centro della strategia di comunicazione delle imprese. “L’osmosi tra televisione e pubblicità si attua pienamente, attraverso un rapporto biunivoco, grazie al quale ciascuna è determinante per la sopravvivenza dell’altra. Non si tratta più della sola dipendenza economica della televisione commerciale della pubblicità. Il processo di integrazione riguarda nella sua interezza il modello televisivo televisivo italiano, quello comune alla tv privata e a quella pubblica.” (Daniele Pitteri). Negli anni Ottanta si è intensificata fortemente la presenza in pubblicità di personaggi provenienti da mezzi di comunicazione di massa come la televisione e il cinema. Così si è potenziato quel vecchio meccanismo che comporta l’utilizzo di personaggi famosi in qualità di testimonial. Negli anni ottanta, c’è stato anche un estremo tentativo della pubblicità a stampa di coinvolgere i consumatori giocando con le parole per mantenere quel predominio culturale che le stava progressivamente sfuggendo di mano a causa della forte concorrenza esercitata dalla televisione. Ne sono un esempio le campagne di Ferrarelle e Golia Bianca, Entrambe queste campagne si devono alla creatività della pubblicitaria italiana Anna Maria Testa. In generale va detto che gli anni ottanta vanno ricordati come il primo periodo nella quale è stata riconosciuta da parte della società italiana, l’importanza del ruolo economico e sociale svolto dalla pubblicità. 29



immagine golia


La pubblicità italiana del terzo millennio

La pubblicità a partire dal terzo millennio ha dovuto imparare a farsi da parte. Ha dovuto cioè sfruttare le possibilità d’interazione offerte da Internet e dai mezzi di comunicazione più avanzati per far “lavorare” il consumatore. In apparenza, dunque, la pubblicità sembra vivere una situazione di debolezza perché cerca sempre meno di persuadere direttamente all’acquisto di un prodotto. In realtà, utilizza delle modalità di persuasione che, quando funzionano, sono più coinvolgenti ed efficaci rispetto al passato. Va considerato , come ha scritto Paola Panarese, che in pubblicità oggi

il linguaggio televisivo prima e quello di alcuni new media come Internet poi, hanno reso inefficiente il verbalismo per la sua lentezza comunicativa e la forte rigidità, costringendolo a trascurare le sue capacità semantiche per svilupparne invece gli aspetti grafici, in una sorta di iconismo linguistico, un ibrido parola-immagine.

In Italia la pubblicità ha continuato a presentarsi prevalentemente nelle sue forme tradizionali, con diverse serie di spot televisivi molto popolari perché semplici, divertenti e programmati con elevata frequenza, e di modesto livello qualitativo. 32


immagine zucchi puro cotone su tela

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L’arte di persuadere

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on si da comunicazione senza connettere intrinsecamente un tentativo di persuasione. Comunicare per persuadere o meglio, comunicare in modo da persuadere. Tutti quanti noi usiamo l’arte della persuasione in ogni categoria o ceto sociale: il negoziante per vendere le merci, il diplomatico per trattare gli affari politici, il capitano per esortare i soldati, il medico per convincere l’ammalato, l’innamorato per sedurre la bella. Chi rifiuta la persuasione sogna un mondo impossibile, nel quale tutti ragionano o agiscono in accordo, o in modo terribile, in cui tutti sono obbligati con la forza a ragionare e agire univocamente. La comunicazione persuasiva orienta opinioni e scelte che il destinatario resta libero in ogni modo di fare autonomamente. Le tecniche della comunicazione persuasiva hanno origini molto antiche e possiamo individuarle nella retorica. Il compito di un persuasore è quindi quello di

analizzare i bisogni fisici e psicologici dei suoi ascoltatori, di trovare il modo di essere apprezzato e creduto a propria volta e di scoprire in che modo essi vengano colpiti dalle singole unità di linguaggio.

La pubblicità non è altro che un’applicazione contemporanea di tecniche retoriche orientate ala persuasione: utilizza prevalentemente (ma non solo) i mass media per convincere segmenti di popolazione più o meno ampi, a compiere determinate scelte. Il persuadere può essere un’arte o semplicemente una tecnica. L’arte del persuadere, in punto arte, non ha altro fine se non quello della persuasione; come la 36


pittura non ha altro fine se non quello di dipingere e cessa di essere arte o pittura quando vuole moralizzare o insegnare qualcosa. Il primo, più ovvio, più ampio, più antico e una volta anche l’unico mezzo di persuasione, e perciò l’unico coltivato dall’arte di coltivare passata, è la retorica, ovvero la parola. L’artista della persuasione deve essere un principe del verbo, deve conoscere non solo il significato e il valore estetico della parola, ma soprattutto deve conoscerne il valore logico e psicologico, i suoi difetti e i suoi pregi. La parola non è tutto nel mondo, ma è molto. Uno dei primi e più noti difetti della parola è il doppio senso. è la base dei calembours, di molte ironie e di molti giochi logici, tutti e tre mezzi efficaci della persuasione. Altre tecniche efficaci per persuadere con le parole sono le rime e le assonanze, che rientrano nel campo della pratica persuasiva. Esse rendono più facile il ricordo, delle proposizioni, le imprimono meglio nell’animo. I poeti, i quali nelle loro opere fanno uso di tutte queste tecniche sono degli abili persuasori: si pensi al grande vate d’Italia Gabriele D’Annunzio, che con la sua parola incantò e ammaliò il popolo italiano, e la forza delle sue parole arrivano dritte al lettore anche ai giorni nostri, dopo quasi un secolo. La parola, ogni parola non ha un valore universale, fisso e immutabile ma ha il valore che le verrà dato in diversi momenti, da diversa persone secondo le loro diverse esperienze. Una stessa parola pronunciata a individui diversi può avere nello stesso tempo significati molto diversi. Di qui risulta ancora più necessario il principio dell’accomodarsi agli ascoltatori, giacché di tutte le parole che sentiranno, comprenderanno solamente quelle che svegliare qualche cosa che già possedevano o si stava già formando in loro. 37


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Tra pubblicità e propaganda:

Futurismo, totalitarismo e attualità

Futurismo: il genio di Marinetti

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Il Futurismo è universalmente noto ma scarsamente conosciuto. Questo perché non fu un progetto ma una pratica, specialmente una pratica comunicazionale. Non si adattò ai media, ma li adottò come materia prima. E si produsse in una molteplicità di esperimenti comunicazionali, che superarono in audacia perfino le grandi novità del suo tempo, così sconfinando con l’immaginazione ben oltre le possibilità tecniche dell’epoca. Ad esempio, il numero dell’aprile-luglio 1909 si apre con i punti del manifesto apparso su «Le Figaro», ma proposti in inglese. La lingua internazionale dell’aristocrazia, della diplomazia e della cultura era il francese, ma l’inglese iniziava la sua inarrestabile ascesa. In certa misura era già l’interlingua della scienza, della tecnica e della finanza La genesi della pubblicazione del “manifesto di fondazione” su «Le Figaro» è narrata dallo stesso Marinetti, ma non è chiaro quanta parte del racconto sia invenzione e quanta realtà. Basilare, comunque, è la scelta di quel giornale di grande prestigio, che annoverava, o aveva annoverato, tra i collaboratori scrittori come Marcel Proust, allora trentottenne e destinato alla fama, o come George Sand ed Émile Zola, morto da alcuni anni, di perdurante celebrità. Ma «Le Figaro» era anche il giornale che nel 1886 aveva pubblicato il Manifesto del Simbolismo di Jean Moréas. Marinetti ottenne il suo scopo, che era quello di lanciare il futurismo da Parigi: scelta d’elezione, se si considera che la “ville lumiére” era all’epoca, assieme a quella inglese, al centro del sistema internazionale della comunicazione. Così, l’eco prodigioso del lancio di “Le Futurisme” premia la strategia comunicazionale di Marinetti.


Il quale, peraltro, non trascura alcune pubblicazioni locali italiane, da «La Gazzetta dell’Emilia» a «La tavola Rotonda di Napoli, alle quali darà in anticipo frammenti del testo che apparirà su «Le Figaro». In conclusione, con la pubblicazione del suo testo su «Le Figaro» Marinetti riuscì nell’intento di trasformare in dispositivo comunicazionale un’articolata, complessa proposta culturale. Un’impresa straordinaria. Marinetti comprese il potenziale dei volantini, dei manifesti murali e delle affiches figurate per raggiungere un pubblico ampio. Queste, per essere realizzate in litografia, risultavano costose, sicché ne fu scoraggiato l’uso. Anche il volantino e l’affiche furono utilizzati per il loro potenziale comunicazionale. Per esempio, il 4 febbraio del 1914, in una lettera a Sprovieri, Marinetti disse che non le riteneva necessarie per una mostra di Severini. Anche in occasione dell’esposizione delle sculture di Boccioni a Parigi, nel 1913, sembra che, dopo alcune “prove di stampa”, si rinunciò alla tiratura di un cartello-réclame che si richiamava a Forme uniche della continuità nello spazio. Al contrario, Marinetti faceva maggiore affidamento sui volantini: fogli volanti, appunto, da lanciarsi dalle automobili, dai treni nelle stazioni o dai luoghi alti. Celebre resta il lancio dei volantini Contro Venezia passatista, compiuto il 27 aprile 1910 dal Campanile di San Marco. Questo lancio di volantini ricorda un’episodio noto alla storia italiana: Il volo su Vienna del 9 agosto 1918, ideato dal grande poeta Gabriele d’Annunzio, con la quale vennero lanciati nel cielo di Vienna migliaia di manifestini tricolori contenenti una provocatoria esortazione alla resa e a porre fine alle belligeranze. 41


Totalitarismo: l’astuzia di Mussolini

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Il grande Vate, è anche famoso per i suoi rapporti controversi con Benito Mussolini, esponente principale e fondatore del partito Fascista. Inizialmente pro questo movimento, solo successivamente si schierò contro, ovvero quando furono chiare le intenzioni e le linee politiche e culturali del neo-partito. Ma come fece il fascismo a prendere così tanto piede in Italia? tutto fu dovuto al magistrale approccio che Benito Mussolini aveva con le masse, la sua efficace propaganda politica, la comunicazione chiara, diretta e talvolta anche illusoria, che riusciva ad incantare e abbindolare la maggioranza della popolazione. Con l’avvento del Fascismo si assiste alla coesistenza di due tipologie di cartellonistica: quella di propaganda e quella pubblicitaria. Sui muri delle strade di allora si potevano osservare messaggi di propaganda, in bianco e nero e in caratteri cubitali, e splendidi e coloratissimi manifesti pubblicitari. A realizzarli erano le più eminenti personalità artistiche dell’epoca: Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Seneca, Sepo e molti altri. Una grandissima influenza fu indubbiamente rivestita da un movimento culturale particolare, il Futurismo. Il lettering obliquo dei manifesti della Campari, le ambientazioni surreali e fantastiche, il messaggio forte e di impatto erano le caratteristiche della pubblicità di ispirazione futurista. Così come una grandissima influenza fu rappresentata dal mito della velocità, del volo, del progresso. Chiaramente, il tutto avveniva sotto un regime dittatoriale. Mussolini rinnegava la società consumistica, indirizzando gli Italiani verso la vita contadina, fatta di austerità. Grazie alle sue esperienze giornalistiche e ai suggerimenti di Le Bon, Mussolini progettò un modo


immaginecampari futurismo

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di comunicare che si basava su diverse caratteristiche: l’oratoria giornalistica, che non scontentava i dotti e non metteva a disagio gli umili, volta a esortare e spingere più che ad affascinare, il suscitare certi stati d’animo, gli slogans, recuperati anche da fonti non del tutto attinenti al messaggio fascista, ma validi alla finalità di incitare all’azione, i dialoghi con la folla e la coralità, incentrati su frasi che pretendevano una risposta corale da parte dell’uditorio, le frasi ad effetto, nelle quali Mussolini stato impareggiabile, ed infine gli aspetti riguardanti i toni e le pause, da modificarsi a seconda del carattere che si voleva dare al messaggio. La propaganda fascista conquistò terreno e, senza far segreto di una volontà autoritaria, dichiaratamente antidemocratica; Il fascismo faceva appello al principio della superiore “unità nazionale”, l’esaltazione di un ipotetico primato nazionale, da raggiungere non più nel segno della politica liberale, che aveva caratterizzato tutto il periodo del Risorgimento e la storia postunitaria, ma attraverso un esplicito rifiuto degli ideali democratici e una vigorosa difesa della “diseguaglianza irrimediabile e benefica degli uomini”. Mussolini espose nella sua Dottrina del fascismo una concezione dello stato che sembrava riallacciarsi al pensiero risorgimentale, ma in realtà il fascismo pretese di costruire uno Stato che accogliesse in sé ogni individualità per annullarla nella concezione di una propria priorità assoluta volta ad affermare il primato del dominio e della forza. Vi fu l’intelligente opera di strumentalizzazione che sfruttò le capacità di indottrinamento delle masse. Avvenne un drastico annullamento della volontà individuale per l’esaltazione assoluta del sacrificio 44


e sottomissione alla volontà del capo per il bene della patria. Tramite la propaganda che effettuò un controllo politico su tutti i mezzi di comunicazione, avvenne il processo di fascistizzazione del paese, con lo scopo di orientare l’opinione pubblica, di caricarla, comunicando l’esaltazione della missione nazionale. I messaggi furono rivolti a tutte le categorie della società italiana e vennero diffusi incessantemente attraverso la radio, la stampa e il cinema. In seguito alla nascita dell’impero l’Italia fascista venne celebrata sulla stampa con tutta l’enfasi comunicativa possibile;.le popolazioni furono investite da una emissione continua di messaggi in cui era prevalente il tema dello scontro ideologico. Si cercò di dare una giustificazione alle iniziative di guerra e di conquista dell’impero, qui è evidente l’uso politico che viene fatto della storia e sulla sua riscrittura sulla base dei miti della romanità e delle imprese coloniali riviste in chiave eroica, per la costruzione del consenso al fascismo. L’uso dei mass media, assume un’importanza dovuta anche al sapore di novità dei moderni mezzi di comunicazione. La radio, più di ogni altro mezzo assunse un ruolo di primo piano. I programmi trasmessi , in cui erano presenti svago ed informazioni allo stesso tempo per aumentare il numero degli ascoltatori, erano costituiti per lo più da discorsi del Duce o del Furer, marce ufficiali o conversazioni sul razzismo. La radio diventava, così, la voce ufficiale dello stato. Nel 1928 nacque l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR) e la radio grazie a questo acquistò molta importanza tra i mass-media utilizzati dal fascismo e tra la popolazione; In un regime totalitario, l’informazione è un elemento di questo regime, 45


in un regime unitario, l’informazione non può essere estranea a questa unità. Partendo da questo incontrovertibile dato di fatto si ha un indicazione per quanto concerne l’attività pratica del controllo dell’informazione fascista: ciò che è nocivo si evita e ciò che è utile al Regime si fa! La stampa: è importante sottolineare il controllo attuato dai regimi sulle informazioni. I quotidiani, dunque, presentavano, attuando una censura su cronache nere e di fallimenti economici, il periodo fascista come un modello storico di pace e moralità. Lo stesso accadde anche nei giornali per bambini i cui argomenti erano strettamente legati all’ideologia fascista (superiorità dei bianchi sui neri, malvagità degli ebrei). Nei primi anni del regime la stampa fu sottoposta ad un controllo formale. Mussolini acquistò i maggiori giornali italiani per portare avanti il suo progetto teso ad accrescere il consenso intorno al regime. Nonostante il controllo attuato dal fascismo però, alcuni giornali d’opposizione come La Stampa e Il Corriere della Sera riuscirono a sopravvivere. Mussolini creò l’Ufficio Stampa, che nel 1937 venne trasformato in Ministero Della Cultura Popolare (Min. Cul.Pop.) Questo Ministero aveva l’incarico di controllare ogni pubblicazione sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime. A capo di questo Ministero c’era Galeazzo Ciano, che poi diventò Ministro degli Esteri e che s’interessò anche dei mezzi di comunicazione di massa, cioè la radio e il cinema. Il Min.Cul.Pop., oltre a controllare le pubblicazioni, si pose come obiettivo quello di suscitare entusiasmo intorno alla guerra d’Etiopia e di esaltare il mito del Duce. 46


Il cinema: avvenne la costituzione nel 1925 dell’istituto nazionale L.U.C.E., ovvero L’Unione Cinematografica Educativa, ente parastatale e poi di stato per la propaganda e la diffusione della cultura popolare. Questo istituto, i cui cinegiornali venivano proiettati obbligatoriamente in tutte le sale cinematografiche a partire dal 1926, rappresenta il più efficace mezzo del regime nel campo dello spettacolo. La tematica più ricorrente diventa il mito bellico con il conseguente elogio del patriottismo. L’Unione Cinematografica Educativa divenne il fulcro del cinema e venne posto alle dirette dipendenze del Capo del governo con l’obbligo della supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati.

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Attualità: l’audacia di Shepard Fairey

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Artista contemporaneo poco noto, ma di grande importanza e influenza. Shepard Fairey compie studi artistici e nel 1988 si diploma presso l’Accademia d’arte. Nel 1989 idea e realizza l’iniziativa “Andre the Giant Has a Posse”; dissemina i muri della città con degli adesivi che riproducono il volto del lottatore di lotta libera André the Giant; gli stessi sono stati poi replicati da altri artisti in altre città. Lo stesso Fairey ha poi spiegato che non vi era nessun significato particolare nella scelta del soggetto, il senso della campagna era quello di produrre un fenomeno mediatico e di far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con l’ambiente urbano. Ma l’iniziativa che ha dato visibilità internazionale a Fairey è stato il manifesto Hope che riproduce il volto stilizzato di Barack Obama in quadricromia, diventato l’icona della campagna elettorale che ha poi portato il rappresentante democratico alla Casa Bianca. Il critico d’arte Peter Schjeldahl ha definito il poster “la più efficace illustrazione politica americana dai tempi dello Zio Sam”. Il manifesto apparve, sempre durante la campagna elettorale del 2008, con altre due scritte: “Change” e “Vote”. Il comitato elettorale di Obama non ufficializzò mai la collaborazione con Fairey, probabilmente perché i manifesti venivano affissi illegalmente, come nella tradizione della street-art, ma il presidente, una volta eletto, inviò una lettera all’artista, resa poi pubblica, in cui ringraziava Fairey per l’apporto creativo alla sua campagna. La lettera si chiude con queste parole: “Ho il privilegio di essere parte della tua opera d’arte e sono orgoglioso di avere il tuo sostegno”.


D’altro canto, se lo street-artist si schierò a favore dell’ascesa alla Casa Bianca di Obama, non rimase molto contento della fresca salita al potere di Donald Trump, personalità piuttosto influente e abile da essere riuscito nell’impensabile impresa di diventare il 45° presidente degli stati uniti d’America . Fairey, per mostrare il suo totale dissenso è tornato alla carica con una serie di ritratti anti-Trump; ha preso parte a un’iniziativa commissionata da Amplifier Foundation, “We the People”, una campagna volta a combattere ciò che i suoi organizzatori definiscono «l’odio, la paura e gli atteggiamenti apertamente razzisti». Nel riconoscibile stile usato per il poster del 2008, l’artista stavolta ha ritratto quattro tipi di persone comuni, americani che non rispondono allo stereotipo del maschio bianco, tanto esaltato da Mr. Trump (ci sono una donna musulmana e un ragazzino afroamericano, tra gli altri soggetti). Fairey ha reso disponibili i disegni sul suo sito, invitando i partecipanti alla Women’s March, una contestazione femminile tenuta a Washington a stamparli e portarli con loro durante la manifestazione.

Questo è il potere della pubblicità, tanto forte adesso quanto nei decenni e addirittura nei secoli passati: comunicare, incantare, persuadere. Non costringe mai la pubblicità, lascia sempre spazio al libero arbitrio: la persona, è sempre libera di scegliere, ciò che è meglio per lei. 49


immagine obama hope

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immagine donna fairey

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Bibliografia e Sitografia VANNI CANDELUPPI, Storia della pubblicità italiana, (Carocci editore, 2010)

ANNAMARIA TESTA, La pubblicità (Il mulino, terza edizione aggiornata, 2007)

EMANUELA BRUNI, La comunicazione istituzionale per imma-

gini (Carocci editore, 2008)

GIUSEPPE PREZZOLINI, L’arte del persuadere (Liguori Editore, 1991) (scritto nel 1907)

FILIPPO TOMMASO MARINETTI, Il manifesto del futurismo e altri scritti (Ledizioni, 2015) MARCO VECCHIA, Hapù, manuale della tecnica della comunicazione pubblicitaria (Lupetti, 2012) SIEGFRIED KRACAUER, Da Caligari a Hitler, una storia psicologica del cinema tedesco (ed. Lindau,2002) www.riccardonotte.com/futurismo-come-comunicazione/ www.ilgiornaleditalia.org/news/cultura/849840/La-comunicazione-fascista.html www.pixem.it/pixshoah/argomenti/propaganda.htm

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Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale: ai miei genitori, i quali mi hanno sempre appoggiato in qualsiasi scelta io abbia fatto, anche se non era quella giusta e che mi hanno sostenuto; al mio ragazzo e alle mie amiche, che mi hanno sopportato e supportato; ai miei compagni di classe, con i quali ho condiviso questo percorso fatto di pianti e risate; ai miei professori, che mi hanno nutrito con la loro conoscenza e aiutata nei momenti difficili. Infine credo proprio che debba ringraziare anche me stessa: finalmente sono riuscita a concludere qualcosa di buono. GRAZIE.

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