BBCHistory-N14_Giugno2012

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l’autorevole mensile che va oltre la solita storia

italia

LA battaglia di montecassino

R ni D& o li nazi

Tariffa R.O.C. - Poste Italiane Spa Sped. In Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. In L. 27.02.2004, n° 46), art.1, comma 1, DCB Milano In caso di mancato recapito inviare al CMP di Roserio per la restituzione al mittente

qua cero si fe ra guer io? pp per l’o

numero 14 giugno 2012 e 3.90

ANTICO EGITTO Dai tesori alle città scomparse, ecco cosa resta da scoprire

Engels Il comunista capitalista

Passi da gigante Le tappe che hanno cambiato l’umanità

Uruk La prima città del mondo


UNA CASA DEGNA DI

UNA REGINA

I palazzi della regina per London Calling Martedi 5 giugno alle 21.00

Channel 332


Editoriale GIUGNO 2012

È

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Realizzazione editoriale della versione italiana:

a cura di Giuseppe Brillante giuseppebrillante@bbchistory.it Studio Editoriale Brillante - redazione@bbchistory.it Principali collaboratori: Claudia Reali, Alberto Ferrari (impaginazione grafica). Hanno collaborato: Chiara Ujka Rosaria Fiore, Marco Merola, Claudio Razeto, Elisabetta Di Minico, Domenico Vecchioni, Alex Revelli Sorini, Susanna Cutini, Luca Tarlazzi Segretaria di redazione: Laura Alessandroni Digital Media Coordinator: Massimo Allievi Direttore responsabile: Luca Sprea Direttore editoriale: Stefano Spagnolo

Giugno 2012 BBC History Italia

Egitto che verrà Mummie, tombe decorate, tesori e grandi monumenti. L’Egitto ha regalato pagine incredibili alla storia dell’archeologia. Ecco cosa resta ancora da scoprire E PAG. 24

l’autorevole mensile che va oltre la solita storia

A IE RI SP TO LE A S L EL N

ITALIA

LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO

R NI D& I NAZIO

QUAL CERO SI FE RA GUER IO? PP PER L’O

numero 14 giugno 2012 € 3.90

La prima città Il sito archeologico di Uruk svela agli scienziati perché si passò dai piccoli villaggi tribali agli insediamenti urbani E PAG. 18

TARIFFA R.O.C. - POSTE ITALIANE SPA SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N° 46), ART.1, COMMA 1, DCB MILANO IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE AL CMP DI ROSERIO PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE

giusto chiedere scusa per gli errori del passato? Siamo responsabili delle colpe di cui si sono macchiati i nostri padri? Domande che tolgono il sonno. Secondo Rab Houston, che firma il pezzo sull’argomento in questo numero, “scusarsi per le colpe della storia non è solo possibile, ma necessario perché le persone sono plasmate dal loro passato. Essere vivi significa essere consapevoli della storia, nel bene e nel male”. Solo in questo modo, aggiungo io, si potrà evitare che certe tragedie si ripetano e si potrà sperare in un futuro in cui le guerre siano messe al bando, la solidarietà tra i popoli regni sovrana e si lavori per la giustizia e la democrazia anche negli angoli più remoti del Pianeta. Naturalmente, e legittimamente, non tutti la pensano così. C’è chi sostiene che la responsabilità è personale e chi invece teme che le scuse siano solo l’anticamera di una richiesta di risarcimento per i danni arrecati nei secoli ad altri popoli, con guerre, occupazioni, colonialismo. Insomma, il dibattito è aperto (fateci sapere come la pensate scrivendo alla redazione o intervenendo sulla pagina Facebook) e il tema appassionante. Come sono appassionanti gli articoli di questo numero. Per esempio, abbiamo domandato a un gruppo di studiosi di indicarci quali sono i passi fondamentali che l’Umanità ha compiuto fino a oggi. E poi vi portiamo a Uruk, la prima città della storia, vi raccontiamo la sanguinosa battaglia di Montecassino, durante la Seconda guerra mondiale, e il Brigantaggio, dopo l’Unità d’Italia, chiedendoci se fu un movimento di rivolta o semplice delinquenza. Come articolo di copertina abbiamo deciso di parlarvi dell’Antico Egitto, ma non attraverso i ritrovamenti già fatti, piuttosto cercando di capire cosa resta da scoprire tra le sabbie infuocate del deserto. Tutto questo è solo una parte di ciò che vi aspetta nelle pagine di BBC History che avete tra le mani. Buona lettura.

ANTICO EGITTO Dai tesori alle città scomparse Ecco cosa resta da scoprire

Engels Il comunista capitalista

Passi da gigante Le tappe che hanno cambiato l’umanità

Uruk La prima città del mondo

BBCH14_copertina_ultima RED.indd 1

26/04/12 18:16

Storia dell’uomo

Breve biografia del padre meno noto del comunismo

Tappa per tappa, i momenti fondamentali nel cammino dell’Umanità

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E PAG. 33

Engels segreto

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Sommario GIUGNO 2012

SERVIZI 18 URUK, LA PRIMA CITTÀ Nell’odierno Iraq meridionale, seimila anni fa nasceva il primo complesso urbano della storia: le ragioni e le conseguenze di una rivoluzione sociale destinata a cambiare il mondo

33 PASSI DA GIGANTE Dal bipedismo al linguaggio, passando dalla democrazia e dallo sviluppo delle scuole. Gli storici individuano i momenti fondamentali nell’evoluzione dell’umanità

40 BRIGANTI SI MUORE Banditi o eroi? La diatriba è accesa e BBC History indaga sulle origini di un fenomeno nato a cavallo della proclamazione del Regno d’Italia nel Meridione

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ANTICO EGITTO: COSA RESTA DA SCOPRIRE Quali sono i segreti che si celano ancora sotto le sabbie infuocate del deserto? Città perdute, tombe, tesori nascosti

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BBC History Italia Giugno 2012


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L’INFERNO DI MONTECASSINO La disperazione, il sangue, il tempo inclemente: le testimonianze dei D-Day Dodgers, i sopravvissuti dell’esercito alleato a una delle battaglie più sanguinose della Seconda guerra mondiale

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Pietre miliari Avvenne a giugno L’opinione è giusto chiedere perdono per gli errori del passato?

News 6 9 10

La storia del mese A Fes, tintori in via d’estinzione In breve Notizie dal mondo Terre in conflitto Stretto di Gibilterra

Rivivere la storia 84 86 92

Macchina del tempo Hedeby, 950 d.C. IN VIAGGIO nei luoghi della storia Egitto Appuntamenti Rievocazioni, mostre, eventi

Miscellanea

48 SPY STORY Dalle prime spie dei Sumeri all’eclettico operatore di intelligence moderno: l’affascinante racconto del mestiere più “top secret” del mondo

56 FRIEDRICH ENGELS Il capitalista comunista: la vita di uno dei più grandi pensatori del XIX secolo, tra contraddizioni sociali e l’imponente figura del compagno Marx

94 96

Libri Le nostre recensioni La Storia in tavola Pollo alla Marengo

D&R

Domande&Risposte

62 IL SERIAL KILLER NAZISTA Nel 1940 la Berlino di Hitler era scossa dall’inquietante incedere dei delitti lungo la S-Bahn Il responsabile era l’operaio delle ferrovie berlinesi, Paul Ogorzow Giugno 2012 BBC History Italia

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Pietre miliari Avvenne a giugno

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GIUGNO 1983

Il fisico italiano Carlo Rubbia dà l’annuncio della scoperta di particelle elementari, chiamate Z°, confermando la teoria dell’interazione debole e dell’unificazione delle forze elettromagnetiche.

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GIUGNO 1896

L’inventore italiano Guglielmo Marconi (1874-1937), emigrato a Londra, deposita la domanda di brevetto per il telegrafo senza fili.

Una lapide celebra l’ultima dimora del cuore di Bruce (“Un cuore nobile non può riposare in pace, se manca la libertà”)

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GIUGNO 1959

Singapore ottiene la gestione autonoma degli affari interni. Nel 1963 annuncia la sua completa indipendenza dal Commonwealth britannico unendosi alla Confederazione della Malesia, mentre nel 1965 viene proclamata l’indipendenza della Repubblica di Singapore.

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GIUGNO 1989

A Pechino, in piazza Tienanmen, centinaia di civili che manifestano per ottenere riforme democratiche vengono falcidiati dall’esercito cinese durante un tentativo di repressione della protesta. L’asso del volante Alice Huyler Ramsey attraversa gli Stati Uniti nel 1909

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GIUGNO 1329

GIUGNO 1638

Robert Bruce, re di Scozia, muore di lebbra all’età di 55 anni nella sua casa di Cardross, vicino a Dumbarton. La salma viene sepolta nel coro dell’abbazia di Dunfermline ma, rispettando il volere dello stesso Bruce, il suo cuore viene estratto, imbalsamato e portato in combattimento nelle crociate di Spagna dal suo vecchio compagno d’armi Sir James Douglas, che lo ha ancora con sé quando cade in battaglia l’anno seguente, durante uno scontro con i Mori di Granada. Il cuore di Bruce viene poi recuperato, riportato in Scozia e sepolto nell’abbazia di Melrose.

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GIUGNO 1809

GIUGNO 1929

Nasce Anna Frank, autrice del celebre Diario omonimo, a Francoforte sul Meno, in Germania.

GIUGNO 1953

GIUGNO 1789

I coniugi Ethel e Julius Rosenberg, cittadini americani, vengono giustiziati sulla sedia elettrica nel penitenziario di Sing Sing, dopo essere stati accusati di essere spie e di aver consegnato ai sovietici informazioni top secret sulla bomba atomica.

Costretti da Luigi XVI a lasciare la sala dove abitualmente si riunivano, i rappresentanti del Terzo Stato decidono di incontrarsi a Versailles in una sala adibita al gioco del tennis, giurando di non disperdersi fino a quando fosse stata stabilita la Costituzione.

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GIUGNO 1799

Nasce a Scone David Douglas, botanico e viaggiatore scozzese, cui si deve la scoperta dell’omonimo abete di Douglas. Muore alle Hawaii nel 1834, cadendo accidentalmente in una trappola per buoi selvatici.

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John Dickens, impiegato presso l’ufficio paghe della marina britannica a Portsmouth, sposa Elizabeth Barrow, figlia di un alto funzionario statale in servizio. Il loro secondogenito Charles nasce a Portsmouth due anni e mezzo dopo.

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GIUGNO 1789

Costretto dagli ammutinati del Bounty ad abbandonare la nave a bordo di una lancia, il Capitano William Bligh e 17 membri dell’equipaggio rimastigli fedeli riescono a raggiungere l’isola di Timor, dopo un viaggio massacrante di 5800 chilometri.

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GIUGNO 1919

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GIUGNO 1864

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GIUGNO 1929

A Milano nasce la Croce Rossa Italiana con il nome di “Comitato dell’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti e ai malati in guerra” grazie al Comitato Medico Milanese dell’Associazione Medica Italiana.

Le navi della Hochseeflotte tedesca (flotta d’alto mare) vengono autoaffondate nella baia di Scapa Flow dove erano internate dal novembre del 1918. Il comandante tedesco, contrammiraglio Ludwig Von Reuter, ordina l’autoaffondamento per evitare che le unità, ormai divenute una sorta di attrazione turistica, venissero spartite tra le potenze vincitrici. Le forze britanniche riescono a far arenare in acque basse alcune unità ma non riescono a impedire l’affondamento di oltre 400mila tonnellate di navi militari, la maggiore perdita navale della storia mai avvenuta in un solo giorno. Alcune navi sono state successivamente recuperate, ma ancora otto giacciono in fondo alla baia.

GIUGNO 1409

In un vano tentativo di porre fine al Grande Scisma della Chiesa d’Occidente, il Concilio di Pisa depone i papi Gregorio XII di Roma e Benedetto XIII di Avignone ed elegge papa il Cardinale Pietro Philarghi, che prende il nome di Alessandro V.

La terra trema nuovamente in Calabria. Dopo il sisma di marzo, un nuovo terremoto porta con sé morti e distruzione. Nell’epicentro nell’area del Crotonese si raggiunge il X grado della scala Mercalli. Si contano numerose vittime e alcuni paesi vengono rasi al suolo.

Muore Bramwell Booth, primogenito di William Booth, fondatore dell’Esercito della Salvezza. Ne era diventato il secondo generale alla morte del padre, nel 1912.

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GIUGNO 1679

James, duca di Monmouth, sconfigge i Covenanter scozzesi a Bothwell Bridge, sul fiume Clyde vicino a Hamilton. I Covenanter si opponevano a quelle che ritenevano le politiche repressive del Duca di Lauderdale, segretario di stato di Carlo II in Scozia.

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GIUGNO 1659

Giugno 1919. I tedeschi autoaffondano la propria flotta internata nella baia di Scapa Flow

Mentre la Repubblica d’Inghilterra comincia a dare segni di cedimento, l’ex Lord Luogotenente d’Irlanda Henry Cromwell espatria per sempre. Gli sarà concesso di vivere tranquillamente nel Cambridgeshire fino alla sua morte, nel 1674.

BBC History Italia Giugno 2012


giorno per giorno, gli eventi che hanno fatto la storia

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GIUGNO 1829

Al termine di uno scontro di 80 minuti al largo di Cuba, la HMS Pickle cattura la famigerata nave negriera Voladora. Al timone della Pickle c’è il ventisettenne luogotenente John McHardy. Dieci anni dopo diventerà il primo capo della polizia dell’Essex.

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GIUGNO 1909

Alice Huyler Ramsey, casalinga e mamma ventunenne di Hackensack, New Jersey, parte da Manhattan e percorre 6115 chilometri in un viaggio coast to coast che la renderà la prima donna ad aver attraversato gli Stati Uniti in macchina. Insieme con lei viaggiano due cognate più grandi e un’amica, nessuna delle quali sa guidare. A bordo della sua Maxwell 30 cavalli completerà il viaggio in 59 giorni, nonostante le decine di forature e la rottura di due semiassi. Nei decenni successivi percorrerà il paese più di 30 volte.

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GIUGNO 1905

L’Aeronave Italia, il primo dirigibile italiano opera del conte Almerico Da Schio, prende il volo da Schio (Vicenza). Raggiunge i 200 metri di altezza e resta in aria per circa un’ora.

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GIUGNO 1994

La Repubblica Sudafricana viene riammessa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dopo l’abolizione delle leggi sull’Apartheid, la politica di segregazione razziale praticata a partire dalla metà del Novecento.

Il Sultano Murad I, ucciso nel 1389

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GIUGNO 1924

Giacomo Matteotti, politico italiano e antifascista, viene rapito mentre si reca a Montecitorio, pochi giorni dopo la denuncia dei brogli di cui secondo lui si erano resi colpevoli i fascisti durante le elezioni. Verrà pugnalato a morte.

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GIUGNO 1861

Muore a Torino il politico e patriota italiano Camillo Benso Conte di Cavour. Figura di spicco del Risorgimento, è stato il primo presidente del Consiglio dei Ministri dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861.

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GIUGNO 2002

Il Congresso degli Stati Uniti riconosce ufficialmente Antonio Meucci (1808-1889) come vero inventore del telefono. Fin dal 1876 si era arrogato il riconoscimento l’inventore scozzese Alexander Graham Bell.

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Federico Barbarossa viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero a Roma, da papa Adriano IV.

Una caricatura del funambolo Charles Blondin del 1859

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GIUGNO 1859

Durante la seconda guerra di Indipendenza italiana si combatte la Battaglia di Solferino (Mantova) fra l’esercito franco-piemontese e gli austriaci. Lo scontro coinvolge oltre 200mila soldati ed è un bagno di sangue.

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Il Sultano ottomano Murad I sconfigge il Principe Lazzaro di Serbia nella battaglia di Kosovo. Entrambi i sovrani rimangono uccisi e insieme a loro cade molta della nobiltà serba. La Serbia diventerà stato vassallo dell’Impero Ottomano.

Giugno 2012 BBC History Italia

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GIUGNO 1944

Il comune di Civitella in Val di Chiana, in provincia di Arezzo, durante la Seconda guerra mondiale diventa teatro di una strage per mano dei soldati tedeschi. Per rappresaglia, dopo l’uccisione di tre militari tedeschi, vengono trucidati 244 civili.

A distanza di 70 anni, ripercorriamo gli eventi di giugno che portarono allo scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre 1939

Giugno 1939

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GIUGNO 1389

COUNTDOWN Seconda guerra mondiale

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GIUGNO 1859

L’acrobata francese Charles Blondin (vero nome Jean-François Gravelet) attraversa le Cascate del Niagara su una corda tesa. In futuro ripeterà l’impresa con bizzarre varianti: per esempio si fermerà a metà strada per cucinarsi un’omelette!

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GIUGNO

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GIUGNO

Le forze di occupazione nipponiche bloccano le concessioni britanniche e francesi nel treaty port (città portuali in Cina, Giappone e Corea aperte al traffico commerciale internazionale) di Tientsin nella Cina settentrionale. A far scoppiare l’incidente era stato il rifiuto delle autorità britanniche di riconsegnare i 4 cinesi rifugiatisi nella concessione, in seguito all’accusa di aver assassinato un funzionario del governo fantoccio giapponese. Mentre continua l’escalation di tensione sullo status della Libera Città di Danzica, il ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels condanna le aggressioni polacche, auspicandone la riannessione al Reich. Hitler aveva affermato che “Danzica è tedesca, lo è sempre stata e sempre lo sarà”.

Nasce in Gran Bretagna la WAAF (Womens’ Auxiliary Air Force – corpo ausiliario femminile dell’aeronautica). Già nel settembre precedente era stato creato l’ATS, servizio territoriale ausiliario, mentre in aprile si era riformato il Women’s Royal Naval Service, sezione femminile della Reale Marina britannica.

vizio In giugno prendono ser i membri della WAAF

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News 2012 GIUGNO

La grande storia

I tintori di Fes lavorano le pelli in pozzi di colore che, in molti casi, risalgono a centinaia di anni fa. Industrie moderne e pressioni economiche minacciano di spazzare via questo antico mestiere

La moderna sfida della Storia vivente

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no dei massimi esempi mondiali di “Storia vivente” è in pericolo. La più grande città risalente al Medioevo e alla prima età moderna, Fes in Marocco, è la patria di centinaia di artigiani, molti dei quali continuano a lavorare nel più antico complesso industriale funzionante al mondo. Ma il cambiamento delle condizioni economiche e sociali minaccia di spazzare via entro il prossimo decennio oltre mille anni di tradizione. Ancora oggi i visitatori possono ammirare l’abilità

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straordinaria dei tessitori di tappeti, dei costruttori di pettini, dei tintori di pelli, dei fabbri che lavorano il rame, degli intagliatori di legno, dei lavoratori di metalli, mentre gestiscono i loro commerci in diversi quartieri della città, proprio come facevano centinaia di anni fa gli artigiani nelle città europee. Ma la competizione della produzione di massa da parte di fabbriche moderne in altri luoghi del Marocco e all’estero sta rapidamente riducendo la redditività economica di questo antico stile di vita. Inoltre, i Paesi occidentali, schierati contro il

lavoro minorile, fanno pressione sul governo marocchino affinché impedisca a bambini e adolescenti di lavorare (e quindi di apprendere le competenze artigianali) durante le vacanze scolastiche a fianco dei propri genitori. Secondo le statistiche raccolte da El Janah Hassan, segretario generale dell’Associazione guide turistiche di Fes, presso i principali artigiani della città, il numero di tessitori di tappeti a Fes è sceso dai 1500 di una trentina d’anni fa ai circa 200 di oggi. Centinaia di vecchi telai sono stati eliminati negli anni

Novanta. Nel 1980 a Fes vi erano circa trenta mastri fabbri che lavoravano il rame; oggi sono solo cinque. Qui tre decenni fa c’erano migliaia di ricamatrici tradizionali; oggi sono scese a circa 900. Anche la fabbricazione di gioielli in argento è calata da un valore stimato di 1000 artigiani nel 1980 a circa 200 oggi. L’intreccio di cesti è sparito quasi del tutto: da più di 100 artigiani trent’anni fa ad appena tre oggi. Anche la tintura delle pelli, con cui Fes è sempre stata associata fin dalla sua fondazione nell’VIII secolo, è in pericolo. Nel 1980 vi erano circa 200 maestri BBC History Italia Giugno 2012

corbis

Il cambiamento delle condizioni economiche sta mettendo in pericolo il più antico complesso industriale del mondo. David Keys spiega perché gli artigiani di Fes in Marocco hanno davanti un futuro incerto


alamy/Robert Bernhoft, Lake Vänern Museum

tintori; oggi sono solo sessanta. Fondata nel X secolo, la più grande tintoria a cielo aperto della città è forse il più antico complesso industriale ancora funzionante al mondo. Le strutture odierne della tintoria (costituite da decine di vasche in mattoni e argilla) sono state costruite nel XIV secolo, mentre le famiglie artigiane che lavorano nelle vasche hanno una competenza trasmessa di padre in figlio da più di quindici generazioni. Ma con l’attuale tasso di declino, le prossime due generazioni di artigiani professionisti potrebbero essere le ultime in città a praticare questo antico mestiere. La lavorazione del legno e la falegnameria sono relativamente stabili; impiegano ancora centinaia di artigiani. Eppure i fabbricanti di pettini di Fes (un mestiere particolare che prevede una complessa lavorazione dell’osso) presto saranno pressoché estinti. Nel 1980 c’erano otto laboratori che impiegavano ventiquattro artigiani. Oggi solo due artigiani portano avanti la tradizione. Anche la costruzione di stampi in argilla si è esaurita. Trent’anni fa c’erano circa 100 stampisti; nel 1990 erano una trentina; l’ultimo ha cessato l’attività lavorativa nel 2006. La situazione di Fes ha ramificazioni che vanno ben oltre i confini del Marocco, perché simboleggia il rapido declino di

ARCHEOLOGIA

In Svezia rinascono i Reali Gli archeologi hanno riportato alla luce uno dei cimiteri più importanti mai scoperti in Scandinavia. La tomba reale pre-vichinga trovata nei pressi della città svedese di Lidköping conteneva i resti della cremazione di due uomini di alto lignaggio del settimo secolo d.C., accompagnati da circa una dozzina di altri individui, probabilmente servitori o prigionieri sacrificati durante il funerale. I due uomini furono sepolti con i loro scudi, armi, un anello d’oro, finimenti di bronzo per cavalli, un set di pezzi

La situazione di Fes è particolarmente complessa, perché non è solo l’economia artigianale - la linfa vitale storica della città - ad aver bisogno di protezione, ma anche le sue strutture fisiche. Il problema è che preservare l’ambiente fisico (vale Fes simboleggia il rapido a dire gli edifici), declino di antiche abilità potrebbe voler dire artigianali in tutto il mondo contribuire a distruggere la tradizionale economia artigianale antiche abilità artigianali in tutto della città. il mondo. Il patrimonio storicoPerché? Al fine di restaurare e culturale non si limita conservare gli edifici, le semplicemente ai vecchi edifici e autorità devono attirare alle antiche rovine, ma proprietari più ricchi. Nel comprende anche la frattempo, gli abitanti sopravvivenza di tradizioni e tradizionali come gli artigiani competenze che risalgono a sono sempre più schiacciati centinaia, e in alcuni casi a dalle nuove regole che cercano di migliaia, di anni orsono. Giugno 2012 BBC History Italia

da gioco in osso, un pettine e un delicato contenitore azzurro di vetro fatto in Inghilterra o in Francia. Altri corredi funebri scoperti nello scavo, durato quattro anni, comprendono ceramiche e una cassa di legno (di cui sono rimasti solo i chiodi di ferro). In quello che è stato il primo scavo di una grande tomba reale scandinava da oltre vent’anni, gli archeologi del museo Lake Vänern, nel sud-ovest della Svezia hanno trovato prove che cavalli e cani erano stati uccisi in maniera rituale come parte della funzione funeraria. Hanno inoltre

scoperto i resti di ovini, suini e bovini, probabilmente consumati come parte di un sontuoso banchetto funebre. È la prima volta che tecniche archeologiche all’avanguardia vengono usate per studiare un sito del genere. Le indagini sul materiale di scavo proseguiranno in diversi laboratori nei musei locali e presso le università di Stoccolma e Uppsala. Gli archeologi sperano che l’analisi delle ossa, dei metalli e delle ceramiche getti ulteriore luce sulle loro scoperte. David Keys

L’immagine creata da un artista che ricostruisce un funerale reale pre-vichingo sulle rive del Lago Vänern in Svezia

limitare il numero di famiglie per casa. Ad aggravare il problema vi sono stati gli aumenti repentini dei valori delle proprietà (300 per cento tra il 2004 e il 2009), causati da ricchi marocchini e dal crescente interesse per l’ambiente storico della città da parte di espatriati europei. Fes è senza dubbio uno dei più grandi tesori storici della Terra.

Ha 10.572 edifici antichi prevalentemente residenziali che sono ufficialmente elencati dall’Unesco come di particolare rilievo architettonico e storico. L’intera città è Patrimonio mondiale dell’Unesco. La sfida che il governo marocchino ha ora di fronte è quella di trovare il modo di salvaguardare le bellezze del luogo e ridurre il sovraffollamento in alcuni quartieri, senza distruggere l’altrettanto notevole bagaglio di competenze e mestieri tradizionali, molti dei quali sono più antichi del tessuto della città stessa.

Un’elaborata iscrizione araba sulla madrasa Bou Inania Medersa, a Fes, risalente al XIV secolo

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Celebrità ermafrodite

N

egli anni Sessanta e settanta dell’Ottocento, Katharina (nota anche come Karl) Hohmann era una celebrità, viaggiava per tutta Europa e si metteva in mostra davanti a un pubblico di curiosi affermando di avere le funzioni sessuali sia femminili sia maschili, offrendo la possibilità di poter vedere dal vivo un ermafrodito. Ma gli ermafroditi in questo periodo non erano solo un intrattenimento pubblico.

Molti ermafroditi - tra cui Hohmann - erano favorevoli a sottoporsi a esami clinici, attratti dall’idea di ricevere “certificati di autenticazione che di fronte al grande pubblico aggiungessero credibilità ai loro show”. Come nota Mak, Hohmann teneva con sé una bella collezione di tali certificati sanitari. Sapendo quanti benefici economici potevano portare agli ermafroditi i loro certificati, i medici esaminatori facevano del loro meglio per smascherare

Gli ermafroditi venivano considerati un mondo a sé rispetto al resto della società Come rivela Geertje Mak in Hermaphrodites on Show: The Case of Katharina/Karl Hohmann and Its Use in 19th Century Medical Science (Social History of Medicine, vol. 25, n. 1, OUP), un interesse altrettanto forte proveniva dalla scienza. Hohmann, infatti, fu esaminato da medici di tutta Europa, i quali applicarono le leggi della medicina a quelle che, ai loro occhi, erano affermazioni soggettive.

eventuali truffe, impegnandosi a raccogliere prove scientifiche inconfutabili. L’attività delle ghiandole riproduttive era il loro unico centro di attenzione e le diagnosi ignoravano fattori meno assoluti, quali l’attrazione o l’attività sessuale. Come indica Mak: “Questi temi non venivano mai discussi; sembravano totalmente irrilevanti per l’impresa collettiva dei medici dell’epoca”. Considerati inaffidabili agli occhi di coloro che cercavano prove

Un diagramma del corpo umano risalente al XIX secolo

inoppugnabili, questi aspetti erano destinati allo studio della psicologia. Una serie di medici mise alla prova le affermazioni di Hohmann sia di avere il ciclo mestruale sia di poter eiaculare. Per determinare la presenza del primo, il dottor N. Friedrich tenne il, o meglio la, paziente ricoverata per trenta giorni, dopo i quali escluse qualunque frode o truffa attraverso ferite autoinflitte. Diversi medici testarono la virilità di Hohmann (e le sue affermazioni di aver messo incinta una donna) chiedendole di compiere, per usare le parole del ginecologo Paul Mundé, “l’atto sessuale alla presenza di scettici, i quali avrebbero fornito la femmina necessaria allo scopo”. Tali pratiche in qualunque altra circostanza sarebbero state considerate indecenti. Ma l’indecenza veniva elusa dichiarando che Hohmann e gli altri ermafroditi erano da considerarsi un mondo a sé rispetto al resto della società e che venivano esaminati all’interno di quella che Mak descrive come “l’isola sociale e

morale” del distacco scientifico. E il distacco dei medici nei confronti di Hohmann si rivela in tutta la sua evidenza nella riflessione su come poter portare a termine con il massimo successo la loro impresa. La certezza avrebbe potuto essere fornita solo da un’autopsia che, come si lamentò uno di loro, “a giudicare dalla buona salute del soggetto, non sarà eseguibile ancora per parecchio tempo.”

ritrovamenti

Durante alcuni scavi nella zona industriale di Padova sono venute alla luce cinque sepolture romane, databili probabilmente intorno al I secolo dopo Cristo, con tanto di corredo funerario in terracotta, vetro e metallo. Grazie alle ruspe che stavano lavorando per il Consorzio Zip, ora gli archeologi hanno fra le mani un pezzetto di storia della Padova romana da studiare. Si pensa, infatti, che 8

questa in età imperiale fosse una fiorente zona agricola, a poca distanza dalla via Annia, una strada importante in epoca augustea. Nelle tombe sono stati ritrovati vasi ossuari con coperchi in ceramica, con le ossa bruciate dei defunti, e oggetti legati ai rituali funebri romani, come vasellame da mensa, per le offerte di cibo ai morti, e balsamari vitrei, che dovevano contenere oli e unguenti. Prossimamente il Consorzio Zip inizierà una mappatura con l’ausilio di un georadar in tutta l’area, alla ricerca di nuove tessere del mosaico.

Corredi in terracotta delle cinque sepolture di epoca romana venute alla luce nella zona industriale a Padova MARY EVans PICTURE LIBRARY, bridgeman art library, ANSA

Sepolture romane a Padova

BBC History Italia Giugno 2012


News in breve in mostra

A sinistra: il cranio della ragazza sepolta con la croce. In basso: la croce anglosassone dopo il restauro

Gioielli dalla Collezione Reale sono in esposizione alla Queen’s Gallery, nel Palazzo di Holyroodhouse, Edimburgo. Alcune immagini si trovano sul sito: www.historyextra.com/treasures

Ross & Cromarty Archaeological Services/alamy/the Royal Collection, 2012, HM Queen Elizabeth II/Cambridge Archaeological Unit/RCAHMW

Vasellame neolitico scoperto a Inverness Sei vasi risalenti al Neolitico, e frammenti di altro vasellame databili al periodo tra il Neolitico superiore e il Neolitico medio e al Neolitico inferiore, sono stati rinvenuti in un sito nell’area di Culduthel vicino a Inverness. Gli archeologi del Ross and Cromarty Archaeological Services stanno operando sul sito prima che venga costruito un canale scolmatore. Tra le scoperte vi sono anche parte di un’ascia in pietra levigata, metà di una boccia in pietra e un possibile frammento d’incudine in pietra.

Vaso neolitico con scanalature trovato sul sito del canale scolmatore a Inverness

Giugno 2012 BBC History Italia

Tomba anglosassone cristiana trovata a Cambridge Secondo gli archeologi, lo scheletro di una ragazza adolescente trovato sepolto a Cambridge potrebbe costituire una delle prime testimonianze dell’eclissi del paganesimo a favore del Cristianesimo tra gli anglosassoni. La tomba, che si ritiene databile alla metà del VII secolo d.C., è stata scoperta a Trumpington Meadows dalla Cambridge Archaeological Unit. Lo scheletro era sepolto su una tavola di legno unito da staffe metalliche, con una croce d’oro e granati sul petto. Quella dell’adolescente, che si ritiene avesse circa 16 anni, è una di quattro tombe scoperte nello stesso sito, ma è l’unica che porti i segni del Cristianesimo. Gli archeologi sostengono che il metodo di sepoltura e la qualità dei gioielli indichino che la ragazza apparteneva a una famiglia nobile o reale.

IN NUMERI

1.149 La lunghezza in metri del Sydney Harbour Bridge in Australia, che ha recentemente festeggiato il suo 80° compleanno. Circa 160mila veicoli ogni giorno attraversano il ponte

Ci sono voluti otto anni per costruire il Sydney Harbour Bridge, inaugurato ufficialmente il 19 marzo 1932

Impronte antiche trovate a Borth beach In una torbiera di Ceredigion, sulla spiaggia di Borth, sono state scoperte impronte fossili umane e animali che potrebbero risalire all’Età del Bronzo. Tra quelle identificate sul sito ve ne sono alcune che si pensa siano state lasciate da un bambino di circa quattro anni. Tra il 3000 e il 2500 a.C., la zona era ricoperta di foreste che furono gradualmente inondate dal mare con la conseguente crescita di torba. Un team di archeologi è ora in corsa contro l’andamento delle maree per registrare e asportare il ritrovamento. Accanto alle impronte è stata anche trovata una linea di buchi lasciati da pali. Gli esperti ritengono che potrebbe trattarsi di un’antica strada rialzata.

Orme dell’Età del Bronzo scoperte nella torba sulla spiaggia di Borth

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Terre in conflitto

La contesa di Gibilterra Per 300 anni, la Gran Bretagna è riuscita a respingere ogni tentativo della Spagna di riappropriarsi della minuscola penisola sulla sua costa meridionale. David Keys approfondisce un tema scottante per l’Europa È possibile che in futuro la Spagna faccia sempre maggiore pressione sulla Gran Bretagna per la restituzione di Gibilterra? Molti osservatori politici sostengono di sì. Sebbene i rapporti tra i due governi siano al momento alquanto amichevoli, la polizia e alcune unità navali iberiche hanno violato le acque territoriali gibilterrine, peraltro mai riconosciute dalla Spagna, almeno 15 volte negli ultimi anni. Inoltre, la Spagna continua a impedire la partecipazione di Gibilterra a numerose organizzazioni internazionali ed enti sportivi. Le secolari tensioni alimentate tra le due potenze europee da questa piccola penisola della costa mediterranea risalgono alla Guerra di Successione Spagnola (1701-1714) quando, per la prima volta, Gibilterra cadde in mani britanniche.

La mappa

Abbasso i francesi La Guerra di Successione Spagnola ebbe inizio quando il governo inglese appoggiò un candidato non francese al trono di Spagna. Lo scopo degli inglesi era non solo impedire che la Spagna cadesse sotto il controllo della Francia, ma anche punire quest’ultima per aver appoggiato i Giacobiti e aver escluso le navi inglesi dai commerci con la Spagna. Così, insieme alla Repubblica Olandese, all’Austria, a molti stati tedeschi e alle regioni settentrionali e orientali spagnole, la Gran Bretagna appoggiò l’Arciduca austriaco Carlo d’Asburgo, pretendente al trono di Spagna. Nel frattempo la Francia, la Baviera e gran parte della Spagna sostenevano il legittimo erede al trono, il nipote

Come mostra la mappa, il confine tra Gibilterra e Spagna si è modificato nel corso degli ultimi 300 anni, ma il territorio è rimasto assolutamente britannico

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Timeline

Breve storia di Gibilterra 1700 Il re di Spagna muore senza eredi. Si profila minacciosa la guerra per la successione 1701 Ha inizio la Guerra di Successione Spagnola 1704 Truppe anglo-olandesi conquistano Gibilterra. La popolazione spagnola emigra 1713 Trattato di Utrecht: la Spagna cede Gibilterra alla Gran Bretagna 1727 e 1779–83 La Spagna tenta di riconquistare Gibilterra 1869 Gibilterra diventa economicamente appetibile, con l’apertura del Canale di Suez 1908 La Gran Bretagna detta nuovi confini, la Spagna protesta 1940 Franco respinge la proposta nazista di occupare Gibilterra

restituzione della “Rocca” sulla sua costa meridionale. Già nel 1625 alcuni grandi comandanti inglesi avevano proposto la presa di Gibilterra. In seguito l’Admiralty, la marina mercantile e la città di Londra si opposero fermamente alla sua restituzione, riconoscendo il ruolo strategico di Gibilterra nel potenziare la capacità della Royal Navy di difendere i traffici marittimi, grazie alla sua presenza nel bacino del Mediterraneo. Sir Robert Walpole, primo ministro britannico de facto, se ne rese conto a sue spese quando propose di restituire Gibilterra alla Spagna per tagliare le spese militari e quindi le tasse,

1969 Nuova costituzione: Gibilterra ottiene la sovranità sul suo futuro. La Spagna reagisce chiudendo i confini per 13 anni 2002 Il referendum a Gibilterra respinge la proposta britannica di spartire la sovranità con la Spagna 2009–10 Incursioni spagnole nelle acque territoriali di Gibilterra

incontrando però una decisa e secca opposizione. Anche i piani del primo ministro Shelburne di riconsegnare la Rocca, tra il 1780 e il 1790, vennero mandati a monte per ragioni analoghe. Tuttavia, la sola determinazione strategica non basta a spiegare il BBC History Italia Giugno 2012

martin sanders–mapart

del re francese, Filippo Duca d’Anjou. Dopo tre anni di scontri, le truppe olandesi e britanniche occuparono Gibilterra, considerata una comoda testa di ponte per l’avanzata delle forze alleate verso Madrid. L’invasione del territorio doveva, inoltre, risarcire in qualche modo le sconfitte subite in Spagna all’inizio dell’estate. Il tentativo di insediare Carlo fallì (Filippo rimase re di Spagna), ma nel 1713 il Trattato di Utrecht portò alla fine della guerra, stabilendo la cessione dell’intero territorio alla Gran Bretagna. Da allora (salvo una lunga tregua nel XIX e inizio del XX secolo) la Spagna ha sempre reclamato la

1954 La visita di Elisabetta II a Gibilterra fa infuriare Franco


Gibilterra

La popolazione scende in strada durante il Gibraltar’s National Day, per dichiarare la propria opposizione alla restituzione del territorio alla Spagna (10 settembre 2007)

anton meres–reuters

successo inglese nel detenere il possesso di Gibilterra per 300 anni. Un altro fattore determinante fu senz’altro la natura violenta dell’occupazione nelle sue prime fasi. Gli alti ufficiali persero il controllo delle truppe, ne seguirono stupri e saccheggi, oltre al fatto che il divario religioso tra assedianti e assediati scatenò ulteriori violenze. Le truppe protestanti britanniche e olandesi depredarono le chiese distruggendo tutti i simboli cattolici che incontrarono sul loro cammino. Alcune chiese vennero persino trasformate in depositi militari.

Esilio di massa Sconvolti da ciò che stava accadendo sotto i loro occhi, appena tre giorni dopo l’inizio dell’occupazione, praticamente l’intero popolo di Gibilterra decise di abbandonare le proprie case per fuggire altrove. Oltre 3mila persone si misero in marcia e oltrepassarono i confini, con la segreta speranza di tornare presto, ma i vari tentativi spagnoli di riconquistare la Giugno 2012 BBC History Italia

Rocca fallirono inesorabilmente, facendo sì che i discendenti di quelle persone rimanessero in esilio fino ai giorni nostri. Oltre il confine sorse una nuova Gibilterra: la città di San Roque i cui attuali abitanti discendono dai profughi del 1704, dei quali conservano tuttora i cimeli religiosi e civili che gli esuli portarono con sé durante la fuga. La decisione di abbandonare Gibilterra fu determinante perché, in brevissimo tempo, la città svuotata si ripopolò di gente non spagnola: soprattutto

a patto che nessun ebreo potesse mai abitarvi. La nascita di una nuova popolazione a maggioranza non iberica, parte della quale non nutriva molto affetto nei confronti della Spagna, fece sì che non si sviluppasse mai alcuna istanza interna di ricongiungimento alla madrepatria. Sebbene la mancanza di identità culturale spagnola fosse alquanto irrilevante nel corso del 1700 e 1800, nel Ventesimo secolo la Gran Bretagna avrebbe avuto qualche difficoltà a tenersi

Tre giorni dopo l’invasione britannica, 3mila profughi abbandonarono Gibilterra genovesi, britannici, ebrei sefarditi (i cui antenati erano stati cacciati dalla Spagna due secoli prima) e, in seguito, maltesi. In particolare, l’arrivo degli ebrei fece infuriare il governo spagnolo, poiché il Trattato di Utrecht del 1713 sanciva la cessione di Gibilterra alla Gran Bretagna,

stretto il territorio. Infatti, la contesa di Gibilterra non deve essere vista solo nell’ottica della Gran Bretagna che, appoggiata dai gibilterrini, intende mantenere la proprietà della Rocca. Perché, oltre il confine, anche la Spagna è sempre più agguerrita nel reclamare il possesso politico del

territorio, come testimoniano le sue rivendicazioni degli ultimi 50 anni. La storia dei tentativi spagnoli di riconquistare Gibilterra è lunga e complessa. Nel Diciottesimo secolo tentò invano di riprendersela con la forza (nel 1704, 1727 e tra il 1779 e il 1783) e addirittura di barattarla con Porto Rico (1783). Nel Diciannovesimo secolo la Gran Bretagna godeva di status di superpotenza mondiale e la Spagna si guardò bene dal rivendicare alcunché. Ma quando, negli anni Trenta, il dittatore ultranazionalista Francisco Franco salì al potere al termine della guerra civile spagnola, il governo madrileno ricominciò a reclamare per sé Gibilterra. Infatti, nel corso della Seconda guerra mondiale, spagnoli e tedeschi valutarono la possibilità di inviare truppe naziste all’assedio di Gibilterra per restituirla alla Spagna (ricacciando così le forze britanniche dall’imbocco del Mediterraneo). Ma Franco diffidava di Hitler e temeva 11


Gibilterra Questo quadro a olio dell’epoca ritrae una flotta anglo-olandese alla conquista della fortezza di Gibilterra, durante la Guerra di Successi one Spagnola

4 personaggi chiave

Principe Giorgio di Assia-Darmstadt (1669–1705)

George Augustus Eliott (1717–90)

Comandante britannico che condusse la vittoriosa difesa di Gibilterra durante l’assedio del 1779-83 contro forze spagnole decisamente superiori - 100mila uomini, 48 navi e 450 pezzi di artiglieria. Grazie alle sue gesta, divenne eroe nazionale inglese.

Sir Joshua Hassan (1915–97)

Primo sindaco e primo ministro di Gibilterra. Uno dei negoziatori che persuasero la Gran Bretagna a concedere a Gibilterra una nuova costituzione nel 1969, mossa che spinse il regime franchista a chiudere le frontiere per 13 anni.

Generale Francisco Franco (1892–1975)

Dittatore spagnolo dal 1939 al 1975, tentò invano di riconquistare Gibilterra negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Durante la Seconda guerra mondiale, respinse la proposta nazista di occupare Gibilterra per conto della Spagna. 12

che le truppe naziste sarebbero rimaste a Gibilterra e nel resto della Spagna, come ospiti ben armati e oltremodo indesiderati. Sembra, inoltre, (come affermato negli anni Cinquanta dagli spagnoli), che il governo bellico britannico avesse lasciato intendere a quello spagnolo che se fosse rimasto neutrale, evitando anche l’entrata dei tedeschi a Gibilterra, la Rocca sarebbe potuta tornare di sua proprietà al termine del conflitto. Il governo britannico non ha mai ammesso alcuna negoziazione in merito, liquidando la pretesa spagnola come “inconsistente e inverosimile”. L’avvio di un altro conflitto geopolitico di portata internazionale, la Guerra Fredda, diede spunto a Franco per rivendicare seriamente il possesso di Gibilterra. Mentre all’inizio degli anni Cinquanta ferveva la corsa agli armamenti, gli Stati Uniti, desiderosi di stabilire un controllo strategico nel bacino del Mediterraneo, negoziarono con la Spagna la creazione di una “loro Gibilterra” ovvero una base navale/aerea condivisa in territorio spagnolo, situata a Rota, 97 chilometri a nordovest della Rocca. Fu così che, nel 1953, la potenza leader del “mondo libero” firmò accordi economici

e militari con la dittatura franchista, favorendo l’inizio della reintegrazione spagnola nell’assetto geopolitico occidentale, da cui la Spagna si era tenuta fuori sia prima sia durante la Seconda guerra mondiale. Il negoziato tra Spagna e Stati Uniti aveva di fatto isolato Gibilterra, e la Gran Bretagna, che mal si adattava al nuovo assetto mondiale dominato dalla superpotenza statunitense, fece un passo falso mandando la nuova regina Elisabetta II in visita a Gibilterra, in occasione del 250° anniversario della presa dagli spagnoli nel 1704. Un evento solenne di questa portata, che seguiva di poche settimane l’entrata in vigore dell’accordo sulla base navale voluta da Spagna e Stati Uniti, provocò la reazione dell’ultranazionalista dittatore spagnolo che dapprima chiuse il consolato a Gibilterra, poi introdusse restrizioni lungo i confini e, infine, nel 1966 convinse l’assemblea generale delle Nazioni Unite ad appoggiare la sua rivendicazione del territorio. Il gelo che caratterizzò i rapporti tra Spagna e Gran Bretagna nella metà degli anni Sessanta si intensificò ulteriormente nel 1969, quando gli inglesi posero un vero e proprio veto costituzionale a

Gibilterra circa la restituzione della Rocca agli spagnoli. In base al Trattato di Utrecht, la sovranità spettava interamente al governo britannico, una decisione di diritto internazionale che la Spagna, seppur controvoglia, ha sempre accettato anche se avrebbe voluto che fosse rettificata bilateralmente. Il nuovo veto (parte della costituzione di Gibilterra del 1969) poneva di fatto il futuro del territorio nelle mani dei suoi abitanti anziché in quelle del governo britannico. Nell’ottica di suscitare fervore patriottico in un clima di malcontento nazionale diffuso, Franco reagì rapidamente al cambiamento unilaterale apportato ad uno status quo apparentemente legale, chiudendo i confini e tagliando tutte le vie di comunicazione, isolando Gibilterra dal mondo esterno per 13 lunghissimi anni. Ma tutti gli anni perduti e le successive lievi restrizioni che la Spagna impose alla Rocca, non fecero che alimentare il risentimento della popolazione nei confronti del governo madrileno, contribuendo significativamente al netto rifiuto dei gibilterrini di ritornare alla Spagna, stato d’animo che a distanza di 300 anni dall’occupazione britannica/alleata, permane ancora oggi. BBC History Italia Giugno 2012

national portrait gallery/hulton–getty/mary evans/national maritime museum

Maresciallo di campo austriaco alla guida delle truppe inglesi, olandesi e altre truppe alleate che strapparono Gibilterra agli spagnoli nel 1704. Precedentemente, aveva combattuto contro i Turchi e difeso la Catalogna dalla Francia.


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A cosa serve chiedere scusa per gli errori del passato?

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Leon Greenman, sopravvissuto ad Auschwitz, mostra il suo tatuaggio al Museo Ebraico di Londra il 9 dicembre 2004

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l Girasole di Simon Wiesenthal narra la storia vera di un incontro avvenuto nel 1943, quello tra l’autore, un ebreo rinchiuso in un campo di concentramento, e un soldato nazista sul letto di morte. Il soldato, Karl Seidl, chiese all’ebreo di essere perdonato per avere dato alle fiamme una casa all’interno della quale erano state rinchiuse 150 persone. I due uomini non si conoscevano. Wiesenthal se ne andò senza dare una risposta, ma in seguito domandò ad altri prigionieri che cosa avrebbe dovuto fare. L’obiettivo del libro è quello di scoprire se alcune colpe siano talmente atroci da non poter essere perdonate e invita il lettore a

domandarsi: “Che cosa avrei fatto io?”. Al contempo solleva anche un’importante questione circa il valore del chiedere venia per ciò che si è compiuto, dal momento che l’incontro non si rivelò risolutivo né per il soldato né per il detenuto. La colpa di Seidl non fu cancellata e Wiesenthal continuò a tormentarsi a lungo, interrogandosi sulla validità della sua condotta morale di fronte a Dio, al popolo e all’uomo. Seidl cercava l’assoluzione per un’offesa recente da parte di un rappresentante di coloro che aveva ingiuriato. La portata di quel gesto era evidente a entrambi, che pure non erano che figure minori in un quadro di persecuzione e di paura molto più grande e più atroce.

Più attinente al recente dibattito è però la tendenza a domandare e offrire manifestazioni di rimorso o ammissioni di colpa per eventi accaduti molto tempo fa. Alcuni ritengono che chiedere perdono sia un modo necessario per porre in evidenza gli aspetti spiacevoli del passato, sostenendo che l’incapacità di esprimere un giudizio morale e di avvalorarlo impedirebbe di porre alla base della cultura un codice di comportamento civile. Altri, invece, sostengono che arrendersi a questa esigenza sia una reazione istintiva al politicamente corretto, che finisce con il generare un circolo vizioso di colpe imprecise se non addirittura di tentativi disonesti di espiazione. BBC History Italia Giugno 2012

getty images news

Siamo responsabili delle colpe di cui si sono macchiati i nostri progenitori? Rab Houston parla dei tentativi di fare ammenda per le offese della storia e si chiede se ne valga la pena


L’opinione

riparazione e/o di emendamento. Ma è necessario che ci sia anche qualcuno disposto ad accogliere queste scuse. Scusarsi ha un valore solo se permette di raggiungere una riconciliazione e tale scopo può essere ottenuto solo se donatore e destinatario adottano un atteggiamento di apertura reciproca e sono poi disposti a impegnarsi in un dialogo. Nel 1997, per esempio, Helmut Kohl e Václav Klaus, leader della Germania e della Repubblica Ceca, hanno congiuntamente riconosciuto le colpe commesse dai rispettivi Paesi tra il 1938 e il 1946. Il perdonare e l’essere

essere accettate con più facilità in parte per via della parità di stato giuridico e della chiarezza di intenzioni delle due autorità, ma soprattutto per le possibilità di riconciliazione che vengono aperte dal perdono. Rifiutare una richiesta di scuse sembrerebbe suggerire che la condiscendenza, la discriminazione o lo sfruttamento sono un modo appropriato di relazionarsi con un individuo o un gruppo. Chiedere scusa per le offese arrecate nel passato è importante proprio perché quelle ferite e quelle ingiustizie non sono morte. Se è vero

AKG/ullstein bild

Se la storia si occupa soprattutto dei morti, è altrettanto vero che l’assoluzione può venire solo da coloro che sono ancora vivi

Costoro sono convinti che un gruppo (o una società) forte e dinamico dovrebbe progredire gestendo in modo autonomo le colpe del passato e forgiando al tempo stesso un futuro migliore. Chiedere perdono sembra un atteggiamento particolarmente accettabile presso i governi tendenti a sinistra e da parte di quegli individui progressisti e proiettati su se stessi. Ciò è in linea con altre tendenze presenti all’interno della società occidentale come l’esibizione quasi religiosa delle emozioni: il cosiddetto “neoconfessionalismo”. In effetti, la discussione sull’esigenza di scusarsi per determinati eventi storici si è focalizzata principalmente sulle ragioni profonde che spingono una persona o un gruppo a domandare perdono e sulla sincerità di tale gesto. In alcuni casi le scuse appaiono come gesti vuoti, retorici, egoisti, di cui è facile farsi beffe, ma la cui validità è difficile da misurare. Fortunatamente, invece, valutarne l’utilità è molto più semplice. Chiedere scusa serve ad assumersi la responsabilità di un’offesa, di una ferita o di un’ingiustizia specifica, a esprimere il proprio rammarico e a promettere una qualche forma di Giugno 2012 BBC History Italia

perdonati erano connaturati in questo scambio. Le scuse proferite dal Giappone nel 1998 per le sofferenze causate in seguito all’invasione e all’occupazione del Sudest asiatico durante la Seconda guerra mondiale forse avevano un secondo fine, considerato il coinvolgimento del Giappone nella crescente economia della regione e, tuttavia, il fatto che siano state accettate suggerisce che il gesto è stato percepito come autentico. Le scuse sono state convincenti e hanno contribuito ad alleggerire le relazioni tra il Giappone e una parte dell’Asia, ma sono state selettive. Il Giappone si è scusato per iscritto per l’aggressione militare alla Corea del Sud, perché il presidente Kim Dae Jung aveva adottato un atteggiamento conciliante e perché il Giappone vedeva in quel Paese un partner e non una minaccia o un rivale. Nel 1995 quando il primo ministro Tomiichi Murayama espresse scuse “ugualmente sentite”, queste si rivelarono meno efficaci, in particolare con la Cina, a causa della mancanza di fiducia tra i due Paesi e per il timore che una formale richiesta di scuse avrebbe potuto essere utilizzata per costringere il Giappone a offrire una ricompensa materiale e a sostenere la posizione della Cina nei confronti di Taiwan. Il peso dell’offesa è rimasto. Le scuse espresse da un capo di stato a un altro capo di stato tendono a

che la storia si occupa soprattutto dei morti, è altrettanto vero che l’assoluzione può venire solo da coloro che sono ancora vivi e che continuano a sentire il peso dell’ingiuria subita. È un processo di dare e avere. Scusarsi per le colpe della storia non è solo possibile, ma necessario perché le persone sono plasmate dalla loro storia. Essere vivi significa essere consapevoli della storia, nel bene e nel male. Ereditiamo degli obblighi dal passato e li trasmettiamo ai nostri successori insieme a tutti gli altri fardelli di cui ci carichiamo nel nostro percorso. Chiedere scusa e perdonare hanno valore non tanto perché permettono di chiudere i conti con il passato, ma perché permettono di stabilire un dialogo costruttivo e duraturo per il futuro. Rab Houston è professore universitario di Storia moderna e autore di libri sulla storia d’Europa

Praga 1997: il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il primo ministro ceco Václav Klaus prendono parte alla storica cerimonia di dichiarazione di riconciliazione

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A sinistra: Richard Miles tiene in mano una ciotola a forma conica risalente al IV millennio avanti Cristo. Sullo sfondo: Tell Brak, come Uruk, era una grande città dell’antica Mesopotamia. A destra: statua in pietra di Gilgamesh, eroe sumero di una delle prime opere della letteratura epica

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eimila anni fa in quello che ora è l’Iraq meridionale accadde qualcosa di straordinario. Gli abitanti, che per millenni avevano vissuto in piccole comunità sparse, composte al massimo da un migliaio di persone, rinunciarono alla sicurezza dei loro insediamenti familiari e dei villaggi tribali e si unirono con altri sconosciuti per creare qualcosa di molto più complesso e difficile: una civiltà, una città. Fu qui, nella regione che gli antichi Greci chiamavano Mesopotamia, che ebbe inizio uno dei più grandi progetti della storia, un progetto che definì l’umanità stessa. Gli inizi della civiltà dei Sumeri, come noi oggi la chiamiamo, risalgono a quando i capi di gruppi di famiglie diverse capirono che le loro possibilità di un futuro prospero e sicuro sarebbero aumentate se essi avessero lavorato

La documentazione archeologica di Uruk è complessa, ma suggestiva insieme come una collettività più o meno permanente. Fu questa la decisione che portò alla creazione di Uruk, la prima città del mondo. Recentemente ho intrapreso il difficile viaggio fino a Uruk, che si trova circa 250 chilometri a sud di Baghdad. Non è rimasto molto, ma vi sono comunque prove sufficienti che dimostrano ancora oggi il successo straordinario di questo primo esperimento di vita in un ambito urbano. A quei tempi, intorno al 3000 a.C., qui vivevano tra le 40mila e le 50mila persone. Le mura della città avevano una circonferenza di quasi 11 chilometri e racchiudevano una zona di circa 6,5 chilometri quadrati. Un’area più grande di quanto sarebbe diventata Atene al culmine del periodo classico (4,8 chilometri quadrati). Giugno 2012 BBC History Italia

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low res

Ningirsu, il dio della la città di Lagash, è raffigurato come un’aquila dalla testa leonina in questo gioiello sumero a foglia d’oro

I primi progressi Uruk non fu l’unica città della civiltà sumerica. Mentre la maggior parte del genere umano lottava per progredire al di là delle semplici tecniche agricole, il popolo dei Sumeri nelle pianure della Mesopotamia meridionale assaporava già molti dei vantaggi e dei benefici di una vita civile urbana. I corsi d’acqua del Tigri e dell’Eufrate, che attraversavano la Mesopotamia, fornivano un buon sistema per le comunicazioni, essenziali per la diffusione delle nuove idee. Sorsero sofisticate credenze religiose; furono costruiti immensi edifici sacri in cui si celebravano riti articolati in onore di un pantheon di divinità. La società era governata dallo stato di diritto; le leggi erano in forma scritta. Gli artigiani producevano oggetti di lusso, spesso con elaborate decorazioni e significati complessi. I mercanti viaggiavano in tutto il Medio Oriente per vendere e barattare merci, a volte in cambio delle materie prime necessarie per produrre ulteriori beni. Si pensi che ai tempi in cui vennero posate le prime pietre dell’imponente monumento preistorico di Stonehenge in Gran Bretagna (intorno al 2500 a.C.) l’ottanta per cento degli abitanti della Mesopotamia viveva in città di oltre

Le rovine di un edificio sumero a Uruk. La documentazione archeologica rivela, circa 6mila anni fa, un periodo di intensa attività di costruzione in città. Circa 5mila anni fa a Uruk vivevano quasi 50mila persone

risiede in parte nelle asprezze dell’ambiente. La civiltà nacque in un’area dove la vita non poteva essere garantita se non con il massimo ingegno e una vigilanza costante da parte della popolazione. Questo mondo, che i suoi abitanti chiamavano semplicemente Kalam, letteralmente “la terra”, era un luogo dalle caratteristiche estreme, in cui le sottili strisce fertili della valle del fiume erano delimitate da migliaia di chilometri di deserto sterile e paludi insalubri. Dato che le scarse precipitazioni nella regione non erano in grado di sostenere l’agricoltura, solo attraverso un sofisticato sistema d’irrigazione fu possibile mantenere fertili degli appezzamenti isolati di terra. I fiumi Tigri ed Eufrate fornivano l’acqua per l’irrigazione, oltre alle vie di comunicazione che diffusero le nuove idee agricole. L’agricoltura era già presente in queste prime città da migliaia di anni, ma le tecniche agricole divennero più intensive a partire circa dal 5300 avanti Cristo. L’irrigazione, e metodi più avanzati come la monocoltura (il contrario della rotazione delle colture

Al tempo in cui fu eretta Stonehenge, l’ottanta per cento degli abitanti della Mesopotamia viveva in città Una tazza rituale mesopotamica con un animale in rilievo (da Uruk, circa 3000 avanti Cristo)

quaranta ettari di estensione, con popolazioni variabili tra le 15mila e le 30mila persone. L’emergere di queste fiorenti comunità costituite da individui e gruppi senza legami di sangue non aveva precedenti nell’esperienza umana. Come poterono verificarsi questi straordinari progressi? Le comunità stanziali hanno spesso avuto bisogno di riunirsi per trovare protezione contro i loro nemici naturali: le tribù nomadi di montagna e il deserto che le minacciava. Tuttavia, più in particolare, la risposta

BBC History Italia Giugno 2012

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La prima città del mondo viene celebrata in una delle più antiche opere della letteratura epica. La leggenda di Gilgamesh racconta la storia del re della Mesopotamia, Gilgamesh appunto, per due terzi dio e per un terzo uomo, onorato per la costruzione delle famose mura di Uruk. Lodando la grandezza della città e la sua bellezza, questa prima epopea dà inizio a una tradizione che diventerà ricorrente nel mondo antico: la celebrazione letteraria di una civiltà, che finisce per sopravvivere alla civiltà stessa. La documentazione archeologica di Uruk è complessa, ma suggestiva. Con le prime testimonianze che risalgono a poco meno di 6000 anni fa, essa rivela un’epoca di intense costruzioni e ricostruzioni, proseguita per quattro o cinque secoli. In quel periodo, gli abitanti di Uruk innalzarono una dozzina o più di grandi edifici pubblici. Che cos’erano? Templi, palazzi, luoghi di assemblea? Nessuno lo sa con certezza. Gli abitanti spianavano accuratamente i resti di ciò che vi era stato in precedenza, sigillando in modo rituale i materiali che erano stati usati, per poi costruirvi qualcosa di completamente nuovo, provando spesso un composto o una tecnica innovativi, come il caratteristico mosaico a cono che è stato rinvenuto tra le rovine. L’archeologo percepisce che a Uruk, dietro tutto questo costruire e ricostruire, vi era una ricerca di modalità utile a esprimere attraverso l’architettura la nuova e rivoluzionaria struttura sociale che qui si era formata e che in futuro si sarebbe sviluppata altrove.


corbis/akg images/trustees of the british museum

Civiltà remote

o di metodi come il “taglia-e-brucia”) per massimizzare la produzione alimentare, si svilupparono intorno al 5000 avanti Cristo. In un ambiente simile, l’unica soluzione a disposizione degli esseri umani per prosperare fu quella di formare dei gruppi che potessero lavorare insieme: l’agricoltura doveva essere ben organizzata. Unendo le loro risorse, gli abitanti della Mesopotamia cercarono di sfruttare i grandi fiumi che passavano attraverso i loro territori, in modo da rompere il ciclo di abbondanza o carestia che dominava la loro esistenza. Le valli fluviali della Mesopotamia erano arterie vivaci che tagliavano un arido deserto. Se fosse stato possibile deviare il corso dell’acqua, allora quello sterile paesaggio avrebbe potuto rapidamente trasformarsi in un mosaico di campi fertili, permettendo l’adozione di uno stile di vita stanziale dedito all’agricoltura. I vantaggi della cooperazione erano facili da comprendere; i primi tentativi dell’uomo di controllare l’ambiente fisico che lo circondava avvennero sin dalla nascita delle città. Così, la lotta incessante per la sopravvivenza nelle calde pianure Giugno 2012 BBC History Italia

Una statua in bronzo di Ur-Nammu, re mesopotamico, ca. 2112-2095 avanti Cristo

dell’Iraq fece da sfondo alle prime civiltà. La minaccia di una carestia causata magari da una crisi ambientale sotto forma di siccità prolungata o improvvisa, o dal drastico cambiamento del corso di un fiume di fondamentale importanza spinse la gente a pensare oltre la propria piccola visione del nucleo familiare e a unirsi ai vicini per creare un’elaborata e complessa infrastruttura di dighe e canali in grado di gestire le acque, da cui dipendeva la loro sopravvivenza. Questi progetti richiesero operai specializzati e la suddivisione del lavoro, il che cementò modelli più sofisticati di dipendenza reciproca, che rappresentano il cuore della civilizzazione. Le conseguenze sociali di questa rivoluzione agricola furono determinanti. Da qui la civiltà sarebbe cresciuta. Lo stoccaggio dei raccolti Si è tentati di vedere la quantità di trionfi di questo breve periodo come prova di ciò che l’umanità potrebbe ottenere se si allentassero le catene della routine quotidiana. L’agricoltura intensiva è più produttiva e può dunque generare un surplus

alimentare, consentendo di immagazzinare i raccolti di un’annata eccezionale come riserva contro possibili carestie future. Le eccedenze agricole possono, inoltre, essere usate per il sostentamento di altre categorie all’interno della popolazione: soldati, artigiani, commercianti, costruttori, musicisti, medici, indovini, prostitute, tutti supportati, direttamente o indirettamente, dal cibo in eccesso. La capacità di specializzarsi fu uno dei grandi doni della città. Eppure, allo stesso tempo, la specializzazione aumentò il controllo che potenti istituzioni, emergenti a poco a poco in queste prime città, avevano sulla popolazione urbana. In realtà, anche se un gran numero di persone fu a quel punto libero dalla lotta per la sussistenza, vi fu una dipendenza totale dalle istituzioni che le impiegavano per il loro sostentamento quotidiano. La prima e più potente di queste istituzioni era il tempio. La religione in sé era molto più antica delle città, ma rimase il punto cruciale per le

Questo rilievo del 2500 a.C. mostra un falegname al lavoro

speranze e le paure di queste nuove comunità. Era la religione a creare le condizioni dei legami primari e più forti che univano insieme tutti i membri di una città, ricchi o poveri, giovani o vecchi, uomini o donne. La religione mesopotamica era permeata da un opprimente senso di fragilità. Tutto il duro lavoro, tutto ciò che veniva ottenuto, avrebbe potuto essere spazzato via in un attimo. Non è una coincidenza che il mito della grande alluvione abbia avuto origine in Mesopotamia; in una terra di

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paludi e fiumi, la linea che separava il solido dal liquido era incerta. Per i Sumeri e gli Accadi (l’impero accadico era anch’esso in Mesopotamia) l’acqua era l’origine della vita, ma rappresentava anche il caos a cui tutto avrebbe potuto tornare se non ci si fosse assicurata la benevolenza dei numerosi dèi. La fede e l’industria Ogni città-stato sumera aveva una sua propria divinità che proteggeva gli interessi della popolazione e ne rappresentava l’identità. Gli dèi si ergevano a monito non solo dei pericoli al di fuori delle mura della città, ma anche della protezione che solo la loro costante disponibilità poteva offrire alle persone. Con una base teologica così imponente sia per la fede sia per l’industria, non sorprende il fatto che i templi, così come i monasteri dell’Europa medievale, divennero potenti centri economici. Essi possedevano grandi appezzamenti di terreni agricoli e supervisionavano la produzione su scala industriale. I templi della città di Ur (a sud-est di Uruk), per esempio, davano lavoro a 40mila persone soprattutto nel settore tessile. 22

I sacerdoti si auto-nominavano custodi per conto degli dèi: creavano e controllavano il tempio, vale a dire l’abitazione delle divinità; così i templi divennero la prima grande istituzione della città. Strutture sempre più opulente vennero costruite con enormi magazzini per i prodotti coltivati su terre acquisite in via definitiva. I magazzini erano amministrati da un numeroso personale. Le pianure mesopotamiche erano dominate dalle ziqqurat, torri terrazzate a struttura piramidale in cima alle quali si ergevano i templi. Gli dei e le dee venivano rappresentati

Una tavoletta di argilla del 3000 a.C. riporta l’assegnazione delle razioni di birra

in forma umana. Le loro statue erano rivestite con abiti splendidi e ottimi cibi erano loro offerti. Il più grande vantaggio che possedeva il tempio era la capacità di monopolizzare il lavoro gratuito, dato che a ogni cittadino era richiesto di rinunciare a parte del proprio tempo per il servizio agli dèi. Con l’andare degli anni questo comportò che i templi ebbero la possibilità di costituirsi delle enormi scorte di eccedenze di prodotti agricoli, che potevano essere utilizzate per acquistare ulteriori terreni. Questo surplus veniva utilizzato a volte per sollevare artisti e artigiani dall’incombenza di coltivare il cibo. I ricavi generati da tali attività servivano al tempio per porsi anche come una primitiva forma di banca, concedendo prestiti e accogliendo i figli dei poveri. Il lavoro retribuito Le piccole aziende agricole che non erano in grado di competere con questo tipo di forza finanziaria furono rapidamente incorporate in questa sacra banca della terra e i loro precedenti proprietari assoldati come prestatori di lavoro retribuito. Il tempio fu il motore che guidò la BBC History Italia Giugno 2012

aaa collection/trustees of the british museum

Una ziqqurat sul sito dell’antica Uruk. Grandi strutture piramidali simili a questa dominavano la città 5000 anni fa


Civiltà remote

Il disegno di una ziqqurat del III secolo a.C.. Le ziqqurat erano centri economici di grande potere nella prima città del mondo

antichi Egizi e dai Greci. Grazie a questa peculiarità sono sopravvissuti molti più documenti dell’Età del Bronzo in Mesopotamia rispetto alla Grecia classica. Gli incendi che distrussero gli archivi, qui si limitarono solo a cuocere invece che a ridurre in cenere i documenti contenuti. La parola scritta facilitò grandemente il controllo dei molti da parte di pochi. Gli ordini potevano essere codificati e investiti da una nuova autorità, documentata dalla permanenza del resoconto scritto. Potevano essere scritte delle leggi che contrastavano o classificavano i costumi tribali e familiari, gli stessi che avevano a lungo costituito un riferimento sociale, religioso, economico e culturale per la popolazione mesopotamica dell’Età del Bronzo. Sono sopravvissuti enormi archivi di documenti che descrivevano i più

minuti aspetti mondani della vita urbana nelle prime città del vicino Oriente. Questi documenti mostrano come il sistema di vita in città possa aver dato alla maggior parte degli abitanti di Uruk l’affrancamento dalla lotta per la sussistenza agricola, ma anche separato i suoi cittadini dalla terra che lavoravano. Essi erano ormai totalmente dipendenti dalle istituzioni che li impiegavano. La scrittura, in altre parole, racchiude perfettamente il paradosso della vita urbana. E questo paradosso esiste ancora oggi: nascono nuove opportunità mentre altre vanno perdute; vengono offerte protezioni, mentre altre vengono rimosse; e vengono concesse delle libertà mentre altre vengono meno. Richard Miles è un archeologo e il presentatore della serie televisiva BBC Ancient Worlds.

formazione della prima economia ridistributiva. Siamo a conoscenza di una quantità sorprendente di nozioni sul modo in cui i templi e le prime città erano organizzati, grazie allo sviluppo di una nuova importante tecnologia: la scrittura, una delle pietre miliari su cui si basano tutte le civiltà. Le prime iscrizioni su

aaa collection/trustees of the british museum, CM Dixon/HIP/TopFoto

I templi, così come i monasteri dell’Europa medievale, divennero potenti centri economici tavolette di argilla umida a Uruk e in altre città erano costituite soltanto da dati: liste di persone e cose, semplice contabilità. Ma nel giro di poche centinaia di anni, i sistemi di scrittura divennero molto più sofisticati, in grado di registrare dei concetti oltre che delle liste. Poco dopo nacquero anche scuole ad hoc in cui l’arte della scrittura era insegnata da un nuovo importante specialista: lo scriba. Le tavolette di argilla che i Sumeri utilizzavano per la scrittura erano dure e resistenti al fuoco, in contrasto con i delicati papiri utilizzati dagli Giugno 2012 BBC History Italia

La dea Inanna, protettrice di Uruk, raffigurata nella facciata di un tempio

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Antico Egitto Dai fasti della tomba di Tutankhamon, alla misteriosa mummia di Ramses II fino alla mitica barca di Cheope che traghetterebbe le anime verso l’aldilà. L’Egitto non finisce mai di stupire e affascinare gli archeologi di tutto il mondo. Ma cosa resta da scoprire? Quali segreti sono ancora celati sotto la sabbia? 24

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ltre due secoli di scavi, milioni di metri cubi di terra sbancati e migliaia di archeologi di tutto il mondo impegnati nell’immane lavoro di ricerca non sono bastati a chiarire i misteri di una delle civiltà più affascinanti della storia. Il Regno dei Faraoni non lesina tesori, nascosti in tombe millenarie, tra le bende consunte delle mummie, nei cunicoli infiniti delle piramidi. E il “work in progress” diventa una condizione assoluta, senza tempo.

Anche oggi sulla scrivania di Mohamed Ibrahim, Ministro delle antichità del nuovo governo egiziano, salito al potere dopo la Primavera araba, ci sono montagne di documenti e rapporti provenienti da tutte le regioni della terra del Nilo. Migliaia di pagine, dense di notizie sugli scavi in corso (circa trecento) e sulle scoperte realizzate o realizzabili. BBC History ha provato, dunque, a tracciare un inventario virtuale dei tesori ancora sepolti e lo ha fatto anche con l’aiuto di un grande egittologo, Francesco Tiradritti, direttore della BBC History Italia Giugno 2012


Antico Egitto

work in progress André Klaassen/shutterstock

missione archeologica italiana a Luxor. “L’archeologia è una disciplina nata per essere declinata al passato: ‘io ho scoperto’. Ben più difficile è dire ‘io scoprirò’, ma è innegabile che ci siano dei luoghi in Egitto da cui ci attendiamo grandi sorprese”. I nuovi misteri “Partiamo proprio dalla grande piana di Giza, poco fuori Il Cairo, dove sorgono le famose piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Qui sono interrati i resti di una seconda barca solare, simile a quella recuperata e Giugno 2012 BBC History Italia

musealizzata diversi anni fa” dice Francesco Tiradritti. La barca solare, nelle credenze egizie, rappresentava il mezzo con il quale l’anima del faraone, in compagnia del dio Ra, navigava per raggiungere il regno dei morti. Nel 1954, a seguito di alcuni scavi accanto alla Grande Piramide, vennero scoperte cinque strutture che dovevano contenere altrettante barche dedicate al faraone Cheope (morto intorno al 2570 a.C.). Di queste, però, solo due ne ospitavano effettivamente e, solo una, quella a sud della Grande Piramide, fu poi portata

alla luce. Dopo la lunga opera di assemblaggio dei 1500 pezzi in cui era scomposta, ora può essere ammirata nella sua interezza e maestosità (è lunga 43 metri) in un museo creato

è innegabile che ci siano dei luoghi in Egitto da cui attendiamo grandi sorprese appositamente a fianco della Grande Piramide, progettato dall’architetto italiano Franco Minissi. Per quanto riguarda la seconda imbarcazione per

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La barca solare di Cheope, scoperta nel 1954, è ospitata in un museo realizzato appositamente accanto alla Grande Piramide di Giza. Attualmente un team nippo-egiziano sta recuperando un’imbarcazione analoga. In basso, una statuetta conservata al Museo del Cairo che rappresenta la regina Hatshepsut

anni si ritenne che fosse troppo fragile per essere dissepolta. Ma secondo gli archeologi di un team nippo-egiziano che stanno lavorando sul sito, oggi ci sono le condizioni per farlo. Sotto una lastra calcarea giacciono centinaia di fragili frammenti di legno. Verranno estratti e trasportati all’interno di una tensostruttura con atmosfera controllata. In ultimo si passerà alla ricomposizione del “puzzle”. Sempre a Giza c’è un sito molto importante su cui sta lavorando l’americano Mark Lehner: il villaggio

completare la costruzione. La paga, per loro, era “in natura”: orzo, grano, pane, carne, birra, sale, pesce, verdure, vino e legna da ardere. Talvolta potevano essere ricompensati con modiche quantità di argento. “Oggi più che in passato l’egittologia guarda all’antropologia e al sociale”, continua Tiradritti, “ecco perché scoprire brani di vita della gente dell’epoca può essere più interessante che ritrovare un altro tesoro di Tutankhamon”. Basta fare un giro al Museo de Il Cairo, vicino a Piazza Tahrir, lo stesso preso d’assalto un anno fa durante gli scontri tra rivoltosi e l’esercito, per capire le ragioni dello studioso. L’edificio conserva gioielli, ori, sculture, effigi, spesso in molteplici copie: oggetti che gli esperti non sono riusciti neppure a catalogare. Mancano invece i contesti, pagine ancora bianche che si sta cercando di riempire con storie importanti. “Purtroppo però questo tipo di ricerca” osserva Eleni Vassilika, direttrice del Museo Egizio di Torino “ha il difetto di essere meno ‘sexy’ di

A oggi però la tomba di Cleopatra continua a essere inafferrabile e la sua collocazione è solo ipotetica degli operai delle piramidi. Uno scavo su cui sono rivolti gli occhi del mondo intero, che punta a chiarire la struttura sociale della civiltà egizia e, ovviamente, ad approfondire i metodi di costruzione di una delle sette “meraviglie del mondo”. Nel villaggio vissero abili artigiani, manovali, intagliatori di pietra, minatori, controllori e ufficiali, insieme con schiavi e operai comuni chiamati da tutto l’Egitto per 26

quella che porta alla scoperta di nuovi tesori o di tombe dei celebri personaggi del passato”. “Di sicuro avrebbe una risonanza ben più elevata trovare le sepolture dei re appartenenti alla dinastia tolemaica che governarono l’Egitto per tre secoli, dal 305 a.C. al 30 a.C.” continua la direttrice. Il capostipite, Tolomeo I, fu uno dei Diadochi di Alessandro Magno (i generali macedoni che alla morte del “capo”, nel 323 a.C. si contesero il controllo del suo impero combattendo ben sei guerre). Le vicende dell’Egitto tolemaico sono molto intricate, a partire dal fatto che tutti i sovrani della famiglia presero il nome di Tolomeo, mentre le spose quello di Cleopatra. La più celebre tra le regine fu Cleopatra VII (69 a.C.-30 a.C.) la cui tomba, secondo l’archeologo Zahi Hawass, ex plenipotenziario BBC History Italia Giugno 2012


Antico Egitto

Città e lingue perdute Una delle scoperte più importanti dell’era moderna l’ha fatta proprio Zahi Hawass, detto l’Indiana Jones delle Piramidi per via del suo inseparabile cappellaccio: le diecimila mummie d’oro dell’Oasi di Bahariya. “Ma oggi la ricerca soffre di una cronica mancanza di fondi” dice Eleni Vassilika. “Howard Carter poteva permettersi il lusso di scavare estensivamente la Valle dei Re per cercare il tesoro di Tutankhamon, noi no. Abbiamo meno tempo e meno soldi” conferma Tiradritti. Nonostante sia imperativa una visione più pragmatica dell’archeologia c’è ancora spazio per indagare sul mistero. “Per esempio sul Mar Rosso, a est del Paese”, continua Tiradritti, “il pool di archeologi guidati dall’Orientale di Napoli e dall’Università americana di Boston sta per cogliere un successo importantissimo: definire con certezza i confini geografici e commerciali della terra di Punt”. Punt, citata nei testi geroglifici dell’Antico Regno (2200 a.C. circa), era il nome che gli Egizi davano alle ricche terre oltre i confini dei loro possedimenti. Una sorta di macroregione comprendente Sudan, Corno d’Africa, Arabia, Yemen. L’antico Giugno 2012 BBC History Italia

La comprensione dei geroglifici egiziani si deve al ritrovamento della “Stele di Rosetta”. Ma altri popoli vissero in Egitto, come i Meroitici, di cui si sta ancora cercando di decifrare la scrittura

Eldorado mediterraneo non è mai stato localizzato con precisione da nessuno, ma si favoleggia che fosse sede di ogni bene e ricchezza: alberi da incenso, avorio, ebano e, naturalmente, oro. Oggetti e manufatti provenienti da quelle esotiche latitudini sono stati trovati dunque nella località egizia di Mersa Gawasis, l’odierna Safaga. “Qui c’era un porto da cui probabilmente partivano bastimenti diretti verso la terra di Punt, dove

LE RICERCHE PIù PROMETTENTI MAR MEDITERRANEO DELTA DEL NILO

Alessandria

DESERTO DEL SINAI

Taposiris Magna GIZA Sakkara

IL CAIRO Z UE IS OD LF GO

Jack Sullivan/Alamy Sami Sarkis/Alamy, istockphoto

Segretario del Consiglio Superiore delle Antichità fino all’arrivo del “primavera araba” nel 2011, potrebbe essere a 30 chilometri da Alessandria d’Egitto, sotto un tempio dedicato a Iside (Taposiris Magna). Insieme con lei forse giace il suo amante, Marco Antonio, uno dei triumviri che governarono Roma in seguito al vuoto di potere conseguente la morte di Cesare. Gli scavi sotto Taposiris Magna sono iniziati nel 2005 e hanno portato alla luce oltre mille reperti: vasi, monete, gioielli in oro, teste di statue. Significativa è stata l’identificazione di un vasto cimitero fuori delle mura del tempio, perché tradizionalmente i sudditi desideravano essere sepolti vicino alle spoglie del loro sovrano. A oggi, però, la tomba di Cleopatra continua a essere inafferrabile e la sua collocazione è solo ipotetica. Trovarla significherebbe fare tanto clamore quanto ne fece nel 1922 Howard Carter con la tomba di Tutankhamon.

el-Lisht

Taposiris Magna Sotto questo tempio potrebbe trovarsi la tomba di Cleopatra

Giza

Safaga

Estrazione della seconda barca solare di Cheope

el-Lisht Città perduta di Itj-Tawy

Sakkara

Valle dei Re Deir el-Bahari

Antiche piramidi individuate con il telerilevamento

Safaga Manufatti della mitica terra di Punt

Valle dei Re L’ultima tomba trovata appartiene a una cantante

Deir el-Bahari Tomba di Harwa

Abu Simbel

Karnak Luxor

MAR ROSSO

andavano a rifornirsi di merci” sottolinea ancora Tiradritti. Qualcosa, di quei preziosi carichi, deve essere andato perso durante il trasbordo ed è stato così rinvenuto dagli studiosi dopo ben quattromila anni. Oggi costituisce la prova principe dell’esistenza di rotte commerciali prima ignote lungo tutta la costa del Mar Rosso e verso il Deserto Orientale, all’inizio del II millennio avanti Cristo. Altra ricerca importante è quella intrapresa dalla missione del Metropolitan Museum di New York pochi chilometri a sud de Il Cairo. Nella zona dell’odierna el-Lisht, infatti, si troverebbe la città perduta di Itj-Tawy. La sua storia risale all’epoca della XII dinastia (1990-1780 a.C.), quando i sovrani del regno egizio, finalmente riunificato dopo il crollo politico e amministrativo patito nei secoli precedenti, bonificarono e recuperarono al commercio anche aree profondamente depresse del Paese come Fayum, estendendo con successo la loro sfera di influenza economica alla profonda Nubia. La capitale del regno, che era stata fino a quel momento Tebe, fu spostata proprio a Itj-Tawy. Lo sforzo dell’archeologia non è indirizzato solo alle località scomparse ma anche alle civiltà poco conosciute. Come quella dei Meroitici che convissero con gli Egizi e ne condivisero le tradizioni, finanche il pantheon delle divinità, ma non la lingua. Il regno di questo popolo si trovava nell’area di Gebel Barkal, all’altezza della quarta cataratta del Nilo, in piena area nubiana. Durò meno di un millennio, dal IV-III secolo avanti Cristo al IV secolo dopo Cristo. 27


In quest’arco di tempo i Meroitici riuscirono a togliersi una soddisfazione non da poco: sconfiggere i Romani guidati dal Prefetto d’Egitto Cornelio Gallo che erano intervenuti per domare una rivolta intorno al 30 avanti Cristo. “Il loro idioma ci è tuttora ignoto. Indubbiamente sarebbe una scoperta sensazionale poter mettere le mani su una sorta di ‘stele di Rosetta’ come quella che ci ha permesso di decifrare

di Assasif di fronte al tempio dedicato ad Hatshepsut, la Grande Sposa Reale di Tuhmose II, c’è un’altra tomba particolarmente interessante. È quella di Harwa, un personaggio a dir poco oscuro eppure molto importante che visse intorno al VII secolo avanti Cristo. Secondo le fonti era il Grande Maggiordomo della Divina Adoratrice, un ruolo che gli consentiva di maneggiare grandi ricchezze ed esercitare molto potere. La tomba, studiata per anni da Tiradritti, rappresenta un’allegoria architettonica perfetta del percorso di andata e ritorno dalla vita alla morte, e ancora alla vita. Cioè, in altre parole, la possibilità per il defunto, che anche gli Egizi contemplavano, di risorgere sulla terra e non essere relegato in una dimensione altra, l’aldilà. “Gli ambienti della tomba sono suddivisi in modo da scandire perfettamente il passaggio dalla vita alla morte. Tra il cortile di ingresso e la prima sala ipostila c’è un geroglifico di saluto che dice ‘a voi che ancora esistete io dico quel che di bene ho fatto sulla terra... ho dato pane all’affamato e vestito l’ignudo...’. Poi tra la prima e la seconda sala ipostila c’è un rilievo dove si vede un Harwa vecchio e

C’è una regione che rappresenta in assoluto la vera terra promessa dell’archeologia. Il delta del Nilo i geroglifici. Un vocabolario di pietra scritto in meroitico e in almeno un’altra lingua a noi comprensibile, che ci potrebbe permettere di tradurlo”, dice ancora Tiradritti. Non solo faraoni Si dice Antico Egitto e si pronuncia Valle dei Re. Perché qui, vicino all’odierna Luxor, sono riunite le tombe dei faraoni più celebri, tra cui quella di Tutankhamon e di Ramses II. Ma non c’erano solo i sovrani, come dimostra la tomba KV64, la 63esima, rinvenuta recentemente da un team di archeologi dell’Università di Basilea. Stando a un’iscrizione trovata sul sarcofago, al suo interno vi riposa la mummia di una donna, Nehmes Bastet, una cantante in servizio presso il complesso templare di Karnak, circa tremila anni fa. “Questa scoperta dimostra che la Valle dei Re era anche utilizzata per la sepoltura di persone comuni vissute durante la XXII dinastia”, ha spiegato il Ministro delle antichità Mohamed Ibrahim. Sempre a Luxor, sulla riva occidentale del Nilo, nella necropoli 28

Veduta della seconda sala ipostila della Tomba di Harwa. A sinistra, frammento di Libro dei Morti recuperato nello stesso sito

UniversitÀ di basilea, F. Tiradritti e G. Lovera/ass. cult. harwa 2001 onlus

L’ultima tomba ritrovata nella Valle dei Re è la KV64. All’interno riposa la mummia di una cantante vissuta ben 3000 anni fa

grasso e Hanubi che lo porta verso il regno dei morti. E, infine, tra la seconda sala ipostila e il santuario c’è l’ultimo rilievo, con un Harwa giovane che, sempre mano nella mano con Hanubi, va verso Osiride. Fino al 2009 avevamo interpretato questo come una allegoria della rinascita di Harwa nell’aldilà. Ma poi ci siamo accorti che c’erano delle iscrizioni importanti anche sulle pareti opposte a quelle che avevamo già interpretato, e quelle iscrizioni, lette a ritroso, cioè dal santuario al cortile più esterno, stavano a significare proprio il ritorno del defunto dall’aldilà”. Un concetto, quello della resurrezione, che avvicina incredibilmente le credenze egizie alla religione occidentale. Dopo l’obbligato excursus nel mondo dei morti, di cui è profondo conoscitore, chiediamo a Tiradritti di rimettere i panni del cicerone, segnalandoci le altre meraviglie che l’archeologia egizia può ancora regalarci. “A El Kab è stata segnalata la presenza di tombe databili all’inizio del Nuovo Regno (1550-1069 a.C.), che contengono i resti dei soldati che combatterono contro i nubiani del sud”. Dalle armi, dagli oggetti potremo forse capire di più sulle modalità


Antico Egitto

IL TELERILEVAMENTO La scoperta di nuovi siti in Egitto arriva dallo Spazio Si chiama telerilevamento, o archelogia dello spazio, l’analisi delle immagini satellitari di una zona usando varie bande dello spettro elettromagnetico, utile a individuare antichi monumenti e insediamenti perduti. Anche se questa tecnologia esiste già da qualche tempo, il suo utilizzo in ambito archeologico sta muovendo da poco i primi passi. BBC nel 2011 ha riportato i risultati di una ricerca condotta dall’Università dell’Alabama a Birmingham, eseguita sotto la direzione dell’egittologa statunitense Sarah Parcak. Le immagini a infrarossi hanno svelato l’esistenza di ben 3000 insediamenti, 1000 tombe e 17 piramidi mai individuati in passato e in qualche caso i primi scavi avrebbero già offerto le necessarie conferme. “A Saqqara potrebbero essere due le piramidi da scavare”, fa sapere l’egittologa, “mentre a Tanis si sta già portando alla luce una casa di 3000 anni fa”. Oltre questi siti, più superficiali, “ci sono migliaia di altri luoghi che

con cui gli Egizi conducevano le loro campagne militari. “Citerei poi gli antichissimi siti di Ieracompoli, 3300-3000 a.C., e Abido, 3000 a.C., studiati rispettivamente dall’Università della California, Berkeley e dall’Università della Pennsylvania. Il primo è significativo perché conserva testimonianze delle

il Nilo ha coperto di limo”. Dobbiamo dunque di umidità e vegetazione al suolo, anticamera attenderci molte altre sorprese. della scoperta di luoghi e strutture ignote. Ma come funziona questa tecnologia? 4 I “nuovi” siti vengono inseriti nel GIS e 1 La scelta delle immagini satellitari dipende confrontati con foto ad alta risoluzione scattate dal tipo di ricerche archeologiche che bisogna da satelliti spia negli anni Sessanta, così condurre. Se è necessaria una ricognizione possono essere immediatamente apprezzati su larga scala, si scelgono le immagini i cambiamenti nel paesaggio. multispettrali che lavorano su diverse 5 Le verifiche sul campo in Egitto, cioè i rilievi lunghezze d’onda e sono in grado di e gli scavi archeologici veri e propri, possono evidenziare strutture sepolte assegnando poi confermare, o meno, l’ubicazione, l’età diversi ‘colori’ a seconda della profondità e e la natura delle nuove scoperte. della composizione delle strutture stesse. Per rilevamenti di siti specifici si opta per immagini ad alta definizione (che possono arrivare a una risoluzione di 0,5-0,6 metri). 2 Dopo aver osservato una data regione si procede alla geo-referenziazione dei siti attraverso il Geographic Information System (GIS). 3 In Egitto è particolarmente indicato lavorare nel campo dell’infrarosso, per individuare differenze

A destra, un’immagine ripresa dallo spazio mostra le diverse piramidi nella regione di Saqqara

tribù che popolarono l’Egitto arcaico, attraverso le quali si arrivò, poi, alla nascita della civiltà faraonica. Il secondo è invece ricco di templi funerari e di tombe dei primi sovrani egizi”. E non finisce qui. C’è una regione del Paese che rappresenta in assoluto la vera terra promessa dell’archeologia. Il delta del Nilo. “Il delta è tutta una sorpresa e non è mai stato scavato a fondo. Eppure sono bastate poche indagini in un sito come Tell el-Farkha per trovare statue in legno ricoperte da lamine d’oro risalenti al 3600 avanti Cristo. C’è da pensare che ci siano cose strabilianti”. Con obiettiva lungimiranza Zahi Hawass decise nel 2000 che sarebbero state autorizzate nuove missioni in Egitto solo nel delta del Nilo, non altrove. In omaggio a una visione più pragmatica e meno sognatrice dell’archeologia. Portare alla luce cose nuove significa doverle poi restaurare e musealizzare, con tutte le spese che queste operazioni comportano. “Che siano almeno cose mai viste” pensò il “Faraone” Hawass, come era pure soprannominato dai suoi detrattori. Quindi qual è il futuro della ricerca in Egitto? “Un futuro al

risparmio, in cui le risorse vengono investite razionalmente”, riprende Tiradritti. Anche Eleni Vassilika non ha dubbi: “Bisogna imparare a scavare anche nei depositi dei musei. Sono scrigni immensi di tesori nascosti e ancora da studiare”. Come dimostra una notizia pubblicata recentemente su Nature: “Le bardature di cuoio di un antico carro egizio, splendidamente conservatesi, sono state riscoperte in un magazzino del Museo Egizio de Il Cairo. I ricercatori dicono che la scoperta è unica e aiuterà a chiarire come venivano costruiti e utilizzati questi mezzi di trasporto tremila anni fa”. A volte basta un dettaglio per cambiare la storia, basta saper cercare. Marco Merola è fotografo e giornalista specializzato in temi di carattere storico

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Storia dell’uomo

12 PASSI DA astronaut bootprint on the lunar surface, 20 july 1969; apolloarchive.com–nasa

GIGANTE PER L’UMANITÀ

“Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l’umanità”. Neil Armstrong, nel luglio 1969, pronunciò questa frase pochi secondi prima di poggiare il piede sul suolo lunare. Un momento epocale. In questo articolo chiediamo a dodici storici di citare altri momenti del passato che considerano tra i più importanti della storia. 33


Camminare aiuta

Mangiatori di carne

1 Bipedismo

2 I primi manufatti

Africa, circa 4 milioni di anni fa

Oltre 2 milioni di anni fa, in Africa, con la comparsa del genere Homo

Scelto dal professor Jacopo Moggi-Cecchi, Università di Firenze

Scelto dal professor Giorgio Manzi

Il modo con cui noi, Homo sapiens, ci spostiamo nell’ambiente - su due sole zampe, anziché quattro come i nostri “cugini” scimpanzé e le altre scimmie tecnicamente è chiamato “andatura bipede” o “bipedismo”. Gli specialisti, poi, ci aggiungono l’aggettivo “obbligatorio”, a sottolineare il fatto che, a differenza degli scimpanzé, non siamo affatto in grado di utilizzare con facilità altri modi di locomozione. L’avere perso, nel corso dell’evoluzione, la capacità di arrampicarsi sugli alberi è stata, però, controbilanciata dall’avere svincolato le mani dalla funzione di appoggio sul terreno, dando così inizio alla possibilità di utilizzarle in molti altri modi, fra i quali il trasporto di cibo e la costruzione di strumenti sempre più complessi. Il bipedismo è stato certamente la prima caratteristica umana che i nostri lontani antenati hanno acquisito oltre 4 milioni di anni fa, ben prima dell’aumento delle dimensioni cerebrali o dell’incremento delle già elevate capacità manipolative. Recenti scoperte di reperti fossili in varie zone dell’Africa ci dimostrano come

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numerose specie di ominidi avessero adottato una forma primitiva di bipedismo, probabilmente le une in maniera del tutto indipendente dalle altre: una lunga serie di esperimenti evolutivi di una singolare modalità di locomozione. E le ricostruzioni paleo-ambientali indicano che questi antenati hanno cominciato a muovere i loro primi passi su due zampe all’interno di un ambiente di foresta. Quando poi, a seguito di un graduale inaridimento del clima, le foreste cominciarono a ritirarsi, gli ominidi che vivevano al loro interno si trovarono a dover far fronte a forti pressioni selettive per adattarsi ai nuovi ambienti più aperti. Qui le sfide erano molte, ma spostarsi su due zampe offrì anche nuove opportunità e la possibilità di percorrere grandi distanze sia nelle vaste distese africane sia, successivamente, anche verso altre direzioni. Jacopo Moggi-Cecchi, professore di Antropologia, Dipartimento di Biologia Evoluzionistica ‘Leo Pardi’, Università di Firenze

In Africa, intorno a 2 milioni e mezzo di anni fa succedono parecchie cose, tutte intrecciate fra loro e decisive per la nostra evoluzione, tanto da costituire le premesse per ciò che noi esseri umani siamo oggi. L’epoca coincide con un cambiamento climatico e ambientale che si riverberò con particolari modalità in Africa orientale, a est della depressione tettonica nota come Rift Valley. Questo fenomeno spinse definitivamente in savana alcune scimmie antropomorfe bipedi (le cosiddette “australopitecine”) che si erano differenziate da tempo proprio in quell’area, condizionandole a evolvere strategie di approvvigionamento del cibo insolite per un primate. Fra queste, l’incremento del consumo di carne. Essi attinsero a una risorsa a buon mercato: le carcasse di grandi erbivori lasciate incustodite da predatori come leoni e leopardi ormai sazi. Fu così che questi nostri antenati iniziarono a sfruttare le loro mani da primate, ormai libere da impegni di locomozione, e a produrre i più antichi manufatti in pietra del Paleolitico. La produzione di ciottoli rozzamente scheggiati si sarebbe poi affiancata a un significativo incremento nelle dimensioni encefaliche. A loro volta, le proteine animali, cibo nobile ottenuto dallo sfruttamento delle carcasse, avrebbero rappresentato una precondizione per lo sviluppo

Il fossile di un ominide di due milioni di anni fa, quando i nostri antenati erano già carnivori

del tessuto altrettanto nobile del sistema nervoso. Sarebbe così iniziato un processo a cascata che promosse: l’esordio del Paleolitico; l’inizio del fenomeno che chiamiamo “encefalizzazione”; una nuova posizione ecologica (come consumatori di carcasse, destinati a divenire cacciatori); un notevole successo adattativo e demografico; la tendenza a diffondersi e a colonizzare nuovi contesti ambientali in Africa e fuori dall’Africa. Insomma, questo insieme di elementi avrebbe portato alla comparsa di ciò che definiamo Homo (genere Homo, non ancora la specie Homo sapiens) e di alcune nostre movenze fondamentali.

Giorgio Manzi, paleoantropologo all’Università La Sapienza di Roma. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, perlopiù inerenti il primo popolamento dell’Europa e la biologia di popolazioni umane antiche. Noto anche come divulgatore, ha pubblicato per Il Mulino: Homo sapiens (2006), L’evoluzione umana (2007), Uomini e ambienti (con A. Vienna, 2009), Scimmie (con J. Rizzo, 2011)

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JOHN READER–SCIENCE PHOTO LIBRARY/heritage images

Lucy, un Australopithecus afarensis rinvenuto negli anni Settanta in Etiopia, datato 3,2 milioni di anni, camminava come un uomo moderno


Storia dell’uomo

Una mente per parlare 3 Il linguaggio Probabilmente a partire da 200mila anni fa, in Africa, con la comparsa di Homo sapiens Scelto dal dottor Fabio Di Vincenzo Tutti gli esseri viventi comunicano, soltanto gli esseri umani, però, lo fanno attraverso il linguaggio. Per poter “funzionare”, infatti, il linguaggio necessita di una mente simbolica, capace di attribuire un significato referenziale e particolare a gesti, suoni e segni che in se stessi non ne avrebbero alcuno; e di una mente computazionale, necessaria per disporre segni e simboli in un ordine corretto a formare frasi comprensibili alla comunità dei parlanti. Le parole purtroppo non fossilizzano e la scrittura è un’invenzione troppo recente per darci indicazioni valide sulla prima origine del linguaggio. Gli studiosi

devono quindi prestare estrema attenzione a tutti quegli “indizi” che lasciano intravedere, senza svelarle, le tappe fondamentali dell’evoluzione del linguaggio. La nascita e lo sviluppo di una mente simbolica colta nell’esplosione delle manifestazioni artistiche che hanno accompagnato la nostra specie Homo sapiens, nel suo espandersi dall’Africa in cui è nata circa 200 mila anni fa, ci dicono molto sulle capacità cognitive in cui è potuta “germogliare” la prima parola. Le più antiche manifestazioni artistiche dell’Umanità sono piccoli ornamenti di conchiglie, intagli e decorazioni su pietra, che nella loro semplicità ci raccontano di una rivoluzione nell’organizzazione del cervello che noi tutti portiamo in

Arte preistorica: un cavallo raffigurato nella grotta di Lascaux

eredità. Le capacità computazionali del cervello sono, invece, più antiche e legate alle modalità di apprendimento per imitazione di complesse procedure motorie mimico-manuali, che si ritrovano per esempio nella produzione di strumenti per l’accesso al cibo già a partire da 2,5 milioni di anni fa. L’intrecciarsi nella nostra

specie di queste proprietà mentali in un’unica facoltà ci ha fatto dono del linguaggio, che ha dato un impulso straordinario alla nostra evoluzione dal punto di vista culturale. Grazie ad esso possiamo immaginare e comunicare una scienza capace di far luce sul mistero delle nostre origini.

Fabio Di Vincenzo Naturalista e paleoantropologo, collabora con il Museo di Antropologia “G. Sergi” dell’Università La Sapienza di Roma. È autore di articoli scientifici apparsi su riviste specialistiche, come il Journal of Human Evolution

Ogni uomo ha una voce 4 Democrazia Grecia, 507 a.C.

akg images, FOTOLIA

Scelto dal dottor Peter Jones, ex docente all’Università di Newcastle La democrazia fu inventata nel 507 a.C. da un ateniese di nome Clistene. Nel corso dei successivi cento anni, ad Atene e altrove nel mondo greco, la democrazia si sviluppò sino a diventare un sistema radicale completo, in cui tutti i cittadini di sesso maschile maggiori di diciotto anni prendevano le decisioni sulla gestione dello Stato. La conseguenza fu l’assenza della figura del politico. Anche un grande

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uomo politico ateniese come Pericle non aveva alcuna autorità sull’assemblea del popolo. Tutto quello che poteva fare era cercare di convincere il popolo che la sua visione delle cose era quella corretta, ma se il popolo non era d’accordo, poteva respingerla. La democrazia ateniese è stata oggetto di molti e ampi dibattiti, ma personalmente ritengo che fu un grande successo. Funzionò per centottant’anni, fino alla sua distruzione a opera dei Macedoni nel 323 a.C., e nonostante si sia sostenuto che era simile a una gestione mafiosa, credo che Atene sia stata governata mirabilmente. Penso che il popolo fosse perfettamente in grado di prendere decisioni delicate. Per fare un esempio, dal momento che era il popolo a prendere ogni

decisione, chiunque avrebbe potuto coprirsi d’oro e di rendite per la vita, ma ciò non accadde mai. La “democrazia” moderna può essere fatta risalire ad Atene; tuttavia quella in cui oggi viviamo è un’oligarchia elettiva, La personificazione della democrazia incorona il popolo di Atene in cui scegliamo diverse centinaia di membri del parlamento che prendono le decisioni per nostro conto. Non vi è nulla di sbagliato nell’oligarchia elettiva in sé, ma mi piacerebbe che non venisse Peter Jones è autore di Vote for Caesar: chiamata democrazia, poiché mi How the Ancient sembra che l’esperimento ateniese Greeks and Romans sia stato più potente e accattivante Solved the Problems of Today (Orion 2009) rispetto alla debole versione di oggi.

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Vedere il mondo così com’è 5 La geografia di Tolomeo Impero romano, circa 150 d.C. Scelto dal professor Jerry Brotton, Queen Mary, Università di Londra Intorno al 150 d.C., Tolomeo lavorava alla biblioteca di Alessandria, all’epoca uno dei più grandi siti dove si trovava depositata la cultura greca. Tolomeo scrisse la Geografia, che definì la geografia come disciplina e stabilì i principi della mappatura globale. Nel suo libro non c’erano mappe, ma ciò che la Geografia offriva era una descrizione del mondo e una spiegazione di come disegnare le mappe. Essa permise

agli studiosi di mappare il mondo per la prima volta nella storia. È interessante notare che il testo inizialmente non suscitò grande entusiasmo. Era il tardo periodo ellenistico e l’inizio della cristianità; il cristianesimo non aveva interesse per le astratte nozioni matematiche e geometriche grazie alle quali disegnare il mondo su una mappa. Furono gli Arabi a diffondere l’opera di Tolomeo in luoghi quali Baghdad, fino a quando non ricomparve in

Italia nel XIV secolo. I geografi del Rinascimento produssero nuove edizioni della Geografia e usarono i principi di Tolomeo per tentare di mappare il mondo in espansione. A questi Una mappa del mondo del XV secolo che illustrava principi si rivolsero un’edizione in latino della Geografia di Tolomeo anche Cristoforo o la Corea. Ed è proprio ciò che Colombo e alcuni degli esploratori fece Tolomeo, il quale non fornì portoghesi che navigavano verso prescrizioni su ciò che dev’essere Oriente, come per esempio la geografia, ma fornì gli strumenti Vasco da Gama. Tolomeo è per capire la propria posizione nel conosciuto come il padre della mondo. E questo, secondo me, geografia e per 1500 anni tutto si è il motivo per cui la sua opera concentrò intorno a lui. Anche le mappe moderne si basano sul tipo di è così duratura. proiezioni elaborate da Tolomeo. In un certo senso lo scienziato greco fu una specie di Google della classicità. Jerry Brotton è Google fornisce gli strumenti per autore di The eseguire qualunque tipo di Renaissance: A Very rilevamento topografico, per vedere Short Introduction (OUP 2006) la propria casa, oppure Washington

La gente comune impara a leggere 6 Il Dottrinale di Alexander de Villedieu Francia, 1199 Scelto dal professor Robert D. Black, Università di Leeds Durante tutto il Medioevo e per gran parte della prima era moderna, l’alfabetizzazione era strettamente associata al latino. Tuttavia, fino alla fine del XII secolo, i metodi di insegnamento del latino erano estremamente lunghi e tediosi, basati su un sistema in cui gli alunni nel corso di anni leggevano e memorizzavano testi latini. Era uno schema decisamente adatto all’élite clericale. Poi giunse Alexander de Villedieu,

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un grammatico e insegnante francese che lavorava come precettore privato dei nipoti di un vescovo nel Nord della Francia. Egli escogitò un metodo più veloce per imparare il latino, con regole semplici e scritto in versi, affinché i suoi alunni potessero memorizzarlo più facilmente. Quando il vescovo chiese ai suoi nipoti come stavano procedendo con l’apprendimento del latino, essi citarono alcuni versi forniti loro dall’insegnante. Il vescovo pensò che fosse un’idea

molto valida e incoraggiò Alexander a scrivere un’intera grammatica. Quella grammatica fu il Dottrinale, che divenne uno dei grandi bestseller del Medioevo. La sua influenza e il suo utilizzo si diffusero in tutta Europa e, sulla base dei suoi metodi semplificati per l’insegnamento del latino, ebbe inizio un grande movimento di alfabetizzazione di massa. Questo nuovo tipo di istruzione era molto più rapido e più adatto alle

intenzioni, aspirazioni ed esigenze professionali dei laici. Il Dottrinale quindi segnò il primo passo importante nel passaggio verso un’ampia ed estesa istruzione laica.

Robert D. Black è autore di Humanism and Education in Medieval and Renaissance Italy (CUP 2001)

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Giovani studenti: ragazzi italiani intenti a leggere, nel XIV o XV secolo


Storia dell’uomo

Il trionfo della legge 7 Magna Carta Inghilterra, 1215 Scelto dal professor David Carpenter, King’s College, Londra La Magna Carta costituì un punto di svolta nella storia della Gran Bretagna e del mondo intero, perché per la prima volta un sovrano fu formalmente soggetto alla legge. Essa divenne una grande barriera contro il dominio e la regalità arbitrari, un principio fondamentale che risuonò attraverso i secoli. La Magna Carta fu molto importante nel XVII secolo nella lotta del Parlamento contro Carlo Tudor, così come per i fondatori della costituzione americana, e ancora oggi ne sentiamo l’eco. Dietro alla costituzione della Carta c’era una società che stava diventando più coesa, con un maggiore senso della comunità. C’erano idee politiche che riguardavano il fatto che i governanti avrebbero dovuto essere assoggettati alla legge e

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Un’antica versione della Magna Carta, emanata nel 1215

governare a beneficio della collettività e non solo di se stessi. Queste idee si formarono in un periodo caratterizzato da un atteggiamento molto invadente da parte della regalità, che sottraeva enormi somme di denaro all’Inghilterra, concedendo in cambio poco o nulla sul fronte della pace e della giustizia. La figura di Re Giovanni fu la goccia finale. Egli impiegò molti anni e grandi somme di denaro nel tentativo di riconquistare la Normandia dopo averla persa nel 1204 e, dopo il fallimento del 1214, con il suo tesoro ormai esaurito, era un uomo finito. Giovanni era anche un assassino e un donnaiolo lascivo, che suscitava paura e delirio anche a livello individuale. C’era un’enorme animosità verso di lui che, se non spiega le rimostranze su larga scala, aiuta però a capire come maturò la ribellione nel 1215. Si può comprendere l’importanza della Magna Carta dal fatto che, quando Giovanni cercò di venire meno agli accordi presi, scoppiò una grave guerra civile. L’unica possibilità per il governo di minoranza del figlio di Giovanni, dopo la morte di quest’ultimo avvenuta nel 1216, di poter vincere la guerra e assicurare la pace fu accettare la Carta. Per tutto il XIII secolo la Carta venne citata e presa a riferimento. Divenne così ciò che è sempre rimasta: una pietra miliare di norme giuste e legittime.

Il rovesciamento delle teorie degli antichi astronomi 8 Galileo esplora il cielo con il suo telescopio Italia, 1609 Scelto dal professor Colin Russell, The Open University Quando Galileo divenne il primo essere umano a puntare un telescopio verso il cielo, la nostra visione dell’Universo cambiò. Galileo fece nuove scoperte riguardo al Sole, alla Luna e ai pianeti che si rivelarono del tutto incompatibili con l’antica teoria secondo cui il cielo sopra la Terra era immutabile e perfetto. Le sue osservazioni rafforzavano invece la recente teoria eliocentrica del rivale Copernico. Il telescopio spinse Galileo a scrivere la sua controversa opera “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (1630), che più di ogni altra contribuì a diffondere il copernicanesimo. L’opera causò al suo autore un’accusa di eresia e un processo da parte della Chiesa cattolica romana. L’antico sistema che Galileo demoliva era stato adottato dalla

Chiesa quasi senza discussioni e costituiva l’immagine che essa aveva dell’Universo. Si adattava bene ai dati biblici e per questo motivo era rimasto per centinaia di anni il punto di vista condiviso. Tuttavia, le scritture (a meno di attribuire loro un’interpretazione letterale) sono compatibili anche con il copernicanesimo. Galileo scrisse tutto ciò in una lettera del 1615. Ma per una prova scientifica del copernicanesimo si dovette aspettare fino al 1838. Al processo Galileo fu dichiarato colpevole e solo nel XX secolo, finalmente, il Vaticano riconobbe le sue teorie.

Colin Russell è coautore di The Rise of Scientific Europe 1500–1800 (Hodder Arnold, 1991)

La strumentazione scientifica di Galileo, incluso il suo telescopio

David Carpenter è autore di The Struggle for Mastery: Britain 1066-1284 (Penguin 2004)

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Come funziona il corpo umano 9 William Harvey scopre la circolazione del sangue Inghilterra, 1628 Scelto dal dottor Allan Chapman, Università di Oxford

FINO AL 1628 si credeva che il sangue passasse dal cibo nel fegato e da qui entrasse nel cuore, dove veniva riscaldato prima di confluire nelle vene, non nelle arterie. Questo è il motivo per cui Shakespeare e la gente del tempo si riferivano al sangue “che scorre nelle vene” invece che nelle arterie. William Harvey era il medico personale di Giacomo I. Attraverso un studio meticoloso di quello che potrebbe essere definito come l’impianto idraulico del torace, egli giunse alla conclusione che il cuore non riscalda il sangue, bensì lo pompa nelle arterie. Harvey sapeva, grazie agli studi di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, che nelle vene vi sono delle valvole scalettate, che servono, come egli comprese, al sangue per tornare al cuore e completare il circuito. Quando Harvey realizzò i suoi studi, il microscopio non era ancora stato inventato ed egli non poteva quindi sapere come il sangue fluiva dalle arterie alle vene, ma fece una congettura decisamente brillante, ipotizzando che il meccanismo avvenisse grazie a vasi sanguigni così piccoli da essere invisibili.

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Aveva perfettamente ragione: noi li chiamiamo capillari. Fu una scoperta d’importanza colossale. Da allora ci sono stati molti altri progressi, ma ritengo che la circolazione sia stata fondamentale, perché senza di essa non sarebbero emerse altre informazioni e scoperte. Senza la conoscenza della circolazione non si potrebbe operare secondo la chirurgia moderna e nemmeno fare un’iniezione; e si potrebbe mai immaginare qualunque scoperta medica moderna senza la conoscenza del pompaggio del sangue dal cuore? La teoria di Harvey venne pubblicata nel 1628 in un’opera intitolata “De motu cordis” (Sui movimenti del cuore) e verrebbe da pensare che, dopo la pubblicazione, moltissimi pazienti siano ricorsi alle sue cure. Invece questo libro mise a rischio la sua carriera di medico: a quei tempi i medici erano molto conservatori e non amavano le innovazioni, associate piuttosto ai ciarlatani. I buoni medici, si diceva, prescrivono farmaci e fanno diagnosi in piena conformità con il metodo tradizionale insegnato dagli antichi. Quindi, curiosamente, la più grande scoperta medica di tutti i tempi provocò un considerevole stress finanziario al suo scopritore! Allan Chapman è l’autore di England’s Leonardo: Robert Hooke and the SeventeenthCentury Scientific Revolution (Taylor & Francis 2004)

La scoperta dell’infinitamente piccolo 10 Una rivoluzione nel nostro modo di conoscere Europa, XVII secolo Scelto dal dottor Jim Bennett, direttore del Museo di Storia della Scienza di Oxford Un concetto fondamentale della scienza moderna, tanto da venire dato per scontato, è la possibilità di indagare le proprietà della materia andando oltre l’aspetto superficiale e analizzando il micro-mondo. Questo concetto nasce da una scoperta di portata storica. Il microscopio era noto a partire dai primi decenni del XVII secolo. In principio era una sorta di giocattolo che si poteva comprare alle fiere. Non veniva usato per spiegare nulla del mondo naturale perché, anche se permetteva di osservare le cose piccole, nessuno che fosse interessato a spiegare il mondo era ancora arrivato ad affermare che tutto dipendeva proprio da esse. Eppure il microscopio ha costituito la tecnologia che ha fatto comprendere alle persone l’esistenza di una via verso l’infinitamente piccolo. Grazie al microscopio essa non fu più solo materia di speculazione. Divenne possibile verificarla empiricamente. Più avanti nel secolo si avvalorò una

nuova teoria che prendeva in considerazione la micro-realtà. Uno dei suoi principali esponenti fu Robert Hooke, autore di “Micrographia” (1665), il quale affermò molto chiaramente che il micro-mondo era simile a un orologio con tante molle e rotelline. Proprio come siamo in grado di aprire un orologio, disse Hooke, potremmo aprire il mondo reale per vedere come funziona. Gli strumenti necessari avrebbero dovuto essere microscopi sempre più potenti. Molto ancora avrebbe dovuto accadere prima di arrivare al punto in cui ci troviamo oggi nelle nostre conoscenze sulla possibilità di spiegare il macro con il micro, ma ritengo che tutto sia iniziato nel XVII secolo. Jim Bennett è coautore di London’s Leonardo: the Life and Work of Robert Hooke (OUP 2003)

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Un’incisione del lavoro di Harvey: il sangue defluisce attraverso le vene del braccio

Una pulce in un’illustrazione dalla Micrographia di Robert Hooke


Storia dell’uomo

Il mondo moderno produce energia 11 Lo sviluppo della macchina a vapore Gran Bretagna, XVIII secolo Scelto dal professor Jeremy Black, Università di Exeter A differenza della bomba atomica, il motore a vapore non è nato da una singola invenzione. Il primo fu costruito da Thomas Newcomen, con la macchina vapore che da lui prende il nome. In seguito James Watt ne migliorò l’efficienza e la capacità di generare potenza. Successivamente, il motore a vapore venne trasformato da George Stephenson nella locomotiva. Ciò

che il motore a vapore permise all’Umanità fu di andare oltre i vincoli esistenti in termini di utilizzo dell’energia, cosa che le consentì di evolversi in tutte le direzioni possibili. Ora sappiamo che le conseguenze ambientali a lungo termine dell’industrializzazione sono state negative, ma d’altro canto la vita si sarebbe sviluppata in maniera totalmente diversa se fossimo rimasti

La fine degli imperi 12 Il Rapporto Montagu-Chelmsford Impero britannico, 1918

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Scelto dal professor Peter Robb, Scuola di Studi Orientali e Africani Al termine della Prima guerra mondiale in Gran Bretagna si diffuse la convinzione che fosse necessario ricompensare l’India per il suo sforzo bellico. Nello stesso tempo, una crescente organizzazione e agitazione politica nel paese, unite all’enorme aumento delle attività commerciali, misero le autorità coloniali nella necessità di coinvolgere maggiormente gli indiani all’interno di esse. Queste furono le origini di un rapporto scritto da Lord Chelmsford, viceré d’India, e da Edwin Montagu, segretario di stato per l’India. Il rapporto affermava che gli inglesi avrebbero dovuto intraprendere passi decisivi per concedere agli indiani l’autogoverno. Fu la prima

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ammissione formale, almeno da parte degli inglesi, che una popolazione non europea sarebbe stata in grado di gestirsi nell’ambito di un moderno sistema di governo. Tutte le successive discussioni non misero in dubbio se l’India potesse avere un suo governo; si trattava solo di

fermi ai metodi di lavorazione, all’energia e ai sistemi di comunicazione esistenti prima del motore a vapore. Le implicazioni a lungo termine del motore a vapore costituiscono il concetto stesso della modernità. La sua invenzione ci ha fornito la capacità di accelerare l’esistenza e superare i limiti di base con cui fanno i conti tutte le altre specie animali. Per gran parte della storia gli esseri umani non sono stati radicalmente diversi dal punto di vista organizzativo rispetto agli animali, i quali possiedono un linguaggio, una capacità di agire come gruppo e dei sistemi gerarchici. Per gran parte della storia è così che siamo stati, ma praticamente tutto è cambiato da

stabilire quando ciò sarebbe avvenuto. La maggior parte degli inglesi pensava a un tempo lontano, da lì a cent’anni. Non immaginavano che l’indipendenza dell’India sarebbe avvenuta nel 1947; ma in realtà una volta saliti su quel treno era ben difficile scendere. Gli indiani ritennero che non gli venisse offerto abbastanza, o che l’offerta non fosse sincera; così si organizzarono, soprattutto sotto la guida di Gandhi, creando un esempio per i futuri movimenti politici. Nel 1918 niente di simile era mai stato fatto, da nessun’altra parte, e nessuno ne aveva mai seriamente ammesso la possibilità. La tendenza dei Paesi europei all’epoca era di avere sempre più colonie, a cui certamente nessuno avrebbe voluto rinunciare. Si poteva forse concedere alle popolazioni locali dei diritti ma nessuno aveva mai affermato che bisognasse concedere l’indipendenza. Invece questa fu proprio la volontà riportata nel

Indiani a Calcutta celebrano l’indipendenza nel 1947

La famosa locomotiva “Rocket” di Stephenson in una fotografia dell’epoca

quando abbiamo avuto a disposizione ciò che intendiamo con il termine modernità. E fu il motore a vapore a generare questo cambiamento.

Jeremy Black è autore di War: A Short History (Continuum 2009)

rapporto Montagu-Chelmsford sull’India: si trattò di un profondo cambiamento psicologico. Si può dire che tutto il processo di decolonizzazione britannica nacque in quel momento, dall’idea che una nuova nazione-stato poteva essere costituita da non europei, che da molti erano ritenuti incapaci di un autogoverno. L’India era di gran lunga il Paese più grande sotto la dominazione europea; così quando apparve chiaro che era sul punto di ottenere l’autogoverno, tutti gli altri Paesi cominciarono a discutere di decolonizzazione. Il rapporto diede forza alla corrente di pensiero che riteneva l’impero illegittimo e che considerava possibile dare autorità a nuove nazioni. L’esempio venne seguito da altri Paesi e l’India stessa fu una delle nazioni più rappresentative nel comitato di decolonizzazione delle Nazioni Unite.

Peter Robb è autore di A History of India (Palgrave Macmillan 2002)

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Brigantaggio

Briganti si muore la tragedia del Sud Banditi o eroi? Se la tradizione liberale filosabauda parla di “briganti”, la storiografia “neoborbonica”, in voga in questi anni, li dipinge come patrioti. La diatriba è accesa e BBC History indaga sulle ragioni di un fenomeno nato a cavallo della proclamazione del Regno d’Italia

La morte di Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco Nanco (1833-1864), uno dei più devoti luogotenenti di Carmine Crocco, protagonista di numerose rappresaglie ai danni di ricchi possidenti e militari sabaudi. Sopra: fucilazione sommaria per un uomo appartenente a una banda di briganti

Giugno 2012 BBC History Italia

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el 1861, alla vigilia della proclamazione

del Regno d’Italia, il Meridione è in rivolta. “Ci vogliono, e pare non bastino, sessanta Battaglioni per tenere il Regno” scriverà il patriota e politico Massimo D’Azeglio. Per quanto già nel 1860 Napoli abbia aperto in modo entusiatico le porte a Garibaldi e ai Mille, in molte regioni le popolazioni si oppongono ai Piemontesi e si formano bande di briganti. Per alcuni essi furono combattenti della libertà e del perduto onore del Regno del Sud; per altri, invece, semplici fuorilegge. Il punto di partenza è addirittura antecedente all’assedio di Gaeta. Sul finire del 1860 l’esercito borbonico combatte ancora, ingenti reparti hanno passato indenni i confini pontifici e nello Stato maggiore napoletano circola il progetto di armare formazioni di civili e truppe regolari, in Abruzzo e nel Sannio. Pietro Ulloa, ministro della polizia borbonica, emana in questo periodo una serie di istruzioni dirette alla Brigata di Volontari di Itri, una banda che viene autorizzata ad approvvigionarsi, esigere tasse e tributi e a opporsi agli “invasori” del Regno. Nel settembre del 1860 la colonna guidata dall’ufficiale prussiano Theodor Friedrich Klitsche de la Grange, composta da uomini della milizia urbana e della polizia siciliana, si dirige in Abruzzo per impedire il ricongiungimento fra le truppe di Garibaldi e i Piemontesi. A Isernia, liberata dai garibaldini, il 26 settembre 1860 scoppia una violenta sommossa che dà il via alla cosiddetta “controrivoluzione del Molise”. Lo scontro è brutale e già presenta i caratteri della guerra civile. “Una donna - si legge in una cronaca dell’epoca - appena scorse a terra cadavere il suo avversario, non abbrividì di denudarlo e praticarvi sopra la più oscena mutilazione”. I disordini sono guidati dal Duca Giovanni Maria D’Alessandro, legittimista (erano chiamati così quelli schierati a favore dei Borboni) della prima ora. L’incendio divampa in tutta la regione, tanto che il governatore sabaudo Nicola De Luca è costretto

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a segnalare allarmato i disordini scoppiati “nei Comuni di Civitanova, Carovilli, Pietrabbondante, Pescolanciano e Chiauci”. Vengono riconquistate dai legittimisti Pontecorvo, Sora, Venafro e Teano ma i sogni di rivincita dei borbonici si infrangono poche settimane dopo. Nella battaglia del Macerone combattuta il 20 ottobre 1860 dal generale napoletano Scotti Douglas, i legittimisti vengono sconfitti da Enrico Cialdini che marcia verso sud e si avvia all’assedio di Gaeta. Il sentore di una forte opposizione da parte delle popolazioni meridionali inizia, però, a serpeggiare. In una nota dell’epoca inviata al Foreign Office inglese dall’Ambasciatore borbonico Cherubino Fortunato si legge: “Le popolazioni delle Due Sicilie devono veramente rallegrarsi del nuovo regno al quale vogliono sottometterle contro le loro tradizioni e i loro interessi? Non è stato occupato militarmente tutto il regno? Non si fucilano sommariamente numerosi sudditi fedeli al loro re col pretesto che sono briganti? Non ci si affanna a imprigionare a centinaia gli individui che si pronunziano in una maniera qualsiasi contro l’annessione o in favore del loro sovrano legittimo?”. Nonostante le rimostranze della diplomazia napoletana, le truppe di Torino avanzano. A Civitella del Tronto la guarnigione resta fedele a Francesco II e ha inizio l’assedio, dove si ha già una commistione tra elementi civili e militari nella lotta ai piemontesi. Il 20 dicembre 1860 un insolito movimento di contadini armati sulle montagne si aggrega a una colonna di militari borbonici e assale la 34esima Compagnia dei Bersaglieri che si asserraglia prima nel paesino di Santa Maria e poi ripiega in difficoltà su Borrano. Contadini e soldati continuano ad avanzare. Per risolvere la situazione il generale piemontese Ferdinando Pinelli, che comanda la brigata Bologna e la colonna mobile dell’Umbria, deve mandare

Processo a L’Aquila nel 1864 a una banda di briganti catturati dai Carabinieri

in soccorso verso il Teramano tre compagnie di bersaglieri e una sezione di artiglieria da campagna. Il 6 gennaio 1861 una “banda di reazionari” guidata da gendarmi in divisa borbonica assale i reparti dei bersaglieri impegnati nell’assedio di Civitella: più di trenta civili vengono uccisi dalla fucileria piemontese. Nuovi rinforzi giungono da Ancona fino a raggiungere 3mila uomini e 146 ufficiali. Il 18 dello stesso mese arriva la notizia della caduta di Gaeta e della partenza di Francesco II con la sua corte alla volta di Roma. Il Regno d’Italia viene proclamato il 17 marzo 1861, subito dopo la capitolazione della fortezza di Messina, ma Civitella si arrenderà solo il 20 marzo, virtualmente

I BRIGANTI D’ITALIA TRA EPOPEA E MISERIA “Marco Sciarra, flagello di Dio, e inviato da Dio contro gli usurai” così recitavano gli avvisi del ‘500 che parlavano di questo brigante, una specie di Robin Hood del Basso Lazio che imperversava sulle strade del Papa con la sua banda. Ribelli, eroi, banditi, terrore dei viaggiatori, quando venivano catturati non facevano una bella fine. Come Giulio e Bernardo Troiani squartati e impiccati nel 1807 a Campo Vaccino dal boia di Roma in persona, Mastro Titta per aver “fatto strage di poveri viandanti”. La tinta politica arriva con i francesi che fanno pagare ai poveri paesani insorgenti la fedeltà al governo 42

borbonico, come a Lauria dove i napoleonici di Masséna saccheggiano e ammazzano mille inermi cittadini. Gli si ribellano Fra Diavolo ma anche il cardinale Fabrizio Ruffo, antigiacobino, comandante dei Sanfedisti nel 1799 esule poi in Francia con Papa Pio VII. Con la Restaurazione molti ribelli rifiutano di abbassare le armi e vengono perseguitati come briganti sia da Re Ferdinando di Borbone sia dal Pontefice Innocenzo XIII. Sono gli anni del bandito Gasparone, detto il “bandito galantuomo”, che dopo aver terrorizzato Calabria e Basso Lazio verrà liberato dalle carceri papaline, solo nel 1870,

all’arrivo a Roma dei bersaglieri di Vittorio Emanuele II. Ma i briganti non erano solo al Sud. Se Ghino di Tacco aveva imperversato lungo la via Cassia nella Bassa Toscana del XIII secolo, Stefano Pelloni, detto “il Passatore”, rapinerà i viandanti di Romagna fino al 1851 quando verrà ammazzato dai gendarmi pontifici in un conflitto a fuoco. “O migrante o brigante” sarà però l’epitaffio di tante vite avventurose e tragiche, indicando nella miseria e nelle difficili condizioni di vita dei contadini, negli stati preunitari prima e in Italia dopo, una delle cause primarie di tanta brigantesca “scelleratezza”. BBC History Italia Giugno 2012


Brigantaggio

in guerra con il neonato governo italiano. Re Francesco II di Borbone prima di salpare per l’esilio dice ai suoi soldati: “Io sono obbligato a sciogliere provvisoriamente i corpi, di cui voi fate parte. Io ho ferma fiducia che tra poco voi sarete riuniti, forse per combattere ancora e accrescere la gloria delle truppe napoletane”. In esilio a Roma sotto la protezione di Papa Pio IX, il Re conserva i dicasteri e sostiene la guerra insurrezionale anche se ufficialmente di fronte ai governi stranieri “scagiona se stesso dall’accusa di eccitatore di insurrezioni nei già suoi domini” e giustifica le imprese dei briganti come “manifestazioni naturali e legittime contro il nuovo regime oppressivo”. A piazza Farnese e a piazza Montanara si procede, sotto l’occhio volutamente poco vigile dei papalini, agli arruolamenti che ingrossano le bande. Al movimento non aderiscono solo orde di avventurieri o criminali come vorrebbe la propaganda del Governo piemontese. Tra loro ci sono ex militari, ufficiali e sostenitori della causa borbonica e moltissimi renitenti alla leva. “Lo stato della pubblica quiete aggravavasi pel ritorno alle case

Briganti in attesa di arruolarsi in piazza Farnese a Roma nel 1861

borbonici, oltre a rifiutare per senso d’onore di entrare nel nuovo esercito d’Italia, resteranno ostili ai Savoia partecipando a cospirazioni o confluendo, sia pure in parte, nel brigantaggio. Le bande armate cresceranno con il passare dei mesi; alcune arriveranno a contare oltre mille uomini armati di archibugi e schioppi ma anche di armi più moderne e persino di cannoni e reparti a cavallo. Le zone più “infestate” sono quelle di Caserta, Avellino e Gaeta. Il 3 maggio 1861 trecento briganti provenienti da Terracina, insieme con altri quattrocento sbarcati sulla costa, assaltano la cittadina di Fondi, sbaragliano la piccola guarnigione posta a presidio, saccheggiano il paese e uccidono il sindaco. Pochi giorni dopo duecento soldati borbonici “sbandati” si scontrano con la Guardia Nazionale di Capua. Il nuovo governo inizia a prendere energici provvedimenti. Viene rinforzata la Guardia Nazionale, mentre distaccamenti e colonne mobili partono per il Sud. La guerriglia farà più morti di tutte le guerre risorgimentali messe insieme. Tra esecuzioni sommarie e scontri con le truppe sabaude ora italiane, tra il 1861 e il 1865 vengono uccisi almeno 5200 ribelli. Vengono giudicati dai tribunali militari e passati per le armi anche i fiancheggiatori, parenti e amici dei briganti e tanti uomini e donne incolpevoli, famiglie intere, abitanti di piccoli centri che, travolti dalle rappresaglie, cesseranno di esistere come Pontelandolfo e Casalduni nel Beneventano. Qui, dopo che un reparto di 37 soldati dell’esercito è stato trucidato dai briganti, scatta una delle più feroci rappresaglie. Il Generale Piola Caselli comunica al Maggiore Carlo Melegari le disposizioni del

Per alcuni i briganti furono combattenti della libertà e del perduto onore del Regno del Sud rispettive di circa trentamila borbonici che erano rifugiati nello stato pontificio”, scrive nel 1862 Emilio Cardinali in I briganti e la Corte pontificia e aggiunge “è un fatto pur troppo doloroso che que’ soldati non provvisti acconciamente dal governo e non retti mercé una legge vigorosa che li tenesse in armi convenevolmente, accrebbero le fila de’ briganti”. Agli ex ufficiali del Sud viene offerto di entrare nelle nuove forze armate – non sempre a pari grado e spesso in un’atmosfera di palese discriminazione. Molti militari Giugno 2012 BBC History Italia

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luogotenente del Re Vittorio Emanuele II, il Generale Cialdini il quale ordina “che di quei due paesi non rimanga più pietra su pietra”; e così sarà. Il 14 agosto 1861 oltre mille uomini entrano nei due comuni e li incendiano. Molti contadini finiscono bruciati vivi, poi si passa allo stupro, alla rapina e alle uccisioni indiscriminate. Lo stesso Cialdini nel suo diario ammette apertamente: “Casalduni e Pontelandolfo sono in cenere. Gli assassini sono morti o raminghi. Nessuna perdita per parte nostra. Il Colonnello Negri resta per dare la caccia ai briganti sulle montagne. La massa degli abitanti non aveva atteso la truppa, i pochi ostinati, forse cinquanta fra ambedue i paesi, perirono fra le fiamme o sotto le baionette”. In realtà i morti saranno probabilmente più di un migliaio di persone. La campagna contro i briganti prosegue sanguinosa e brutale. La repressione, però, fornirà altre braccia al brigantaggio perfino quelle più aggraziate delle brigantesse dette anche “drude” come Michelina di Cesare, Marianna Olivierio, Filomena Pennacchio e Maria Capitano che entreranno nella mitologia dell’epoca. Anche loro alla macchia, anche loro impegnate “pistola alla mano” in questa guerriglia combattuta senza esclusione di colpi e così diversa da quelle risorgimentali. “Io sono ributtato di questa guerra atroce e bassa”, scrive il bersagliere Gaetano Negri, “dove non si procede che per tradimenti e per intrighi, dove spogliamo il carattere di soldati per 44

Un reparto dell’esercito si scontra con una banda di briganti nel centro abitato di un piccolo paese del Meridione

Le brigantesse o drude Filomena Pennacchio e Giuseppina Vitale della famosa banda Crocco

assumere quello di birri”. Agguati, imboscate, rapine per finanziare le bande ma anche assalti ai paesi che verranno riconquistati con la fanteria. “Quei cafoni erano costretti dalle baionette a scendere per le vie”, racconta l’ufficiale Angiolo De Witt, italiano, impegnato nel Matese, “ivi giunti vi trovarono delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro. Questa scena di terrore durò un’intera giornata”. Dall’altra parte i briganti assaltano i convogli, i reparti isolati e uccidono tutti. Se i piemontesi fucilano al minimo sospetto, i briganti non fanno prigionieri salvo i rapiti per trarne riscatto. Le bande colpiscono e fuggono coperte dall’omertà. Hanno l’appoggio del clero, portano sulle giacche fregi borbonici ma anche il ritratto del Papa o la frase “face et spera” perché la loro è anche una guerra di religione tanto che, a volte, persino i preti prendono le armi o finiscono al muro fucilati. Hanno l’aiuto dei nobili locali ma anche dei più poveri e indigenti, specie con l’acuirsi delle rappresaglie e ancor più dopo la famigerata legge Pica emanata nel 1863 “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” per il Governo, che però secondo gli stessi contemporanei “nasconde sotto il velo di mentite sembianze, uno stato d’assedio immorale allorché pensiamo che esso fu dettato oggi da italiani su terra italiana”. Come ebbe a dire il bandito Carmine Crocco questo provvedimento fu “causa dell’aiuto spontaneo delle popolazioni locali ai rivoltosi insieme all’odio contro i regi funzionari e i Piemontesi”. La guerriglia si combatte lungo l’appennino meridionale, uno scenario ancora selvaggio e intricato che favorisce i ribelli. “Ai tempi dell’occupazione francese, come al di d’oggi, quei boschi erano il teatro naturale del brigantaggio”, scrive Giuseppe Massari nella sua Relazione della commissione d’inchiesta della Camera dei deputati sul Brigantaggio nel 1863. “Sono tanti i ricoveri dati dalla natura ai briganti, i quali ivi stabiliscono i loro depositi di viveri, ivi conservano il prodotto delle loro rapine, e hanno talvolta perfino le ambulanze per i feriti e gli ammalati”. Abruzzo, Puglia, Terra di Lavoro (regione storicogeografica che comprendeva territori di Campania, Lazio e Molise), Basilicata, Calabria, la guerra che si conduce in queste regioni è sempre più feroce. Il BBC History Italia Giugno 2012


Brigantaggio

A ITRI UN MUSEO RACCONTA LA STORIA DEI “BRIGANTAGGI” ITALIANI Itri è un piccolo comune nel sud del Lazio, noto, tra l’altro, per aver dato i natali almeno a due briganti famosi: Marco Sciarra, detto Sciarpa, fuorilegge del XV secolo, e Fra Diavolo. Un motivo più che sufficiente per creare proprio qui, a 150 chilometri da Roma, il Museo del Brigantaggio, un percorso espositivo che vuole far riflettere il visitatore su questo fenomeno, sul mito culturale che ha generato nei secoli e soprattutto sulle ragioni della sua storia. “Il brigante è uno di noi, uno che ha difeso il suo paese e rappresenta un patrimonio di storie di cui appropriarsi, ma era anche un mito, una figura popolare, tanto da essere uno dei personaggi del Carnevale romano. Dei briganti si vendevano le foto, vere o false che fossero, come l’immagine attribuita storicamente a Michelina Di Cesare personificata in realtà da una modella”, è questo il pensiero del professor Vincenzo Padiglione, docente di antropologia culturale ed etnografia all’Università La Sapienza, e direttore del museo. Ha studiato per anni questo fenomeno così legato a molte regioni italiane, sviluppatosi in almeno tre fasi

distinte che il museo racconta con una serie di percorsi: quella antinapoleonica dal 1799 al 1814, poi quella schierata contro la Restaurazione borbonica e papalina del 1815 e, infine, quella antipiemontese del 1861. “Fra Diavolo”, spiega il professore, “rappresenterà il primo brigantaggio. Diversi saranno gli insorgenti post Restaurazione sul modello del brigante Gasparone. Sono i briganti con le ciocie, le tipiche calzature dei pastori del Frusinate, e il cappello detto a pan di zucchero armati di trombone e di coltello. Infine, i briganti antipiemontesi del 1861 come Carmine Crocco, Ninco Nanco, Chiavone, la Di Cesare. Questo in realtà fu un periodo di guerra civile, perché l’Unità d’Italia una parte di queste popolazioni non la voleva e una parte era scontenta di come questa unità di stava costruendo”. All’interno del museo, le armi, le fotografie che fissano nel tempo il volto di quegli uomini contro, mitizzati, ammirati, perseguitati e uccisi. In un angolo, una croce di legno grezzo su un piccolo tumulo di sassi, come se ne vedevano a fine Ottocento

Governo italiano utilizza reparti dell’esercito regolare, cavalleria, bersaglieri, ma anche i carabinieri e soprattutto la Guardia nazionale, tanto che nel 1863 si conteranno quasi 100mila uomini impegnati nella Campagna militare. Nel frattempo la corte di Francesco II arruola ufficiali borbonici ma anche stranieri venuti in aiuto degli ex regnanti. Spesso questi aristocratici sono soldati di professione che cercano di dare un assetto militare e nobiltà alla rivolta come José Borjes e Rafael

Un pannello del Museo del Brigantaggio di Itri

sulle montagne intorno a Fondi e Frosinone: è la tomba del brigante che dopo una vita stentata e difficile, quando non lo ammazzavano le palle di fucile dei gendarmi, moriva così tra queste montagne aspre e dure, quasi come era stata la sua vita.

Un carabiniere dell’esercito italiano a cavallo (1860)

Tra esecuzioni sommarie e scontri con le truppe sabaude ora italiane, tra il 1861 e il 1865 vengono uccisi almeno 5200 ribelli Tristany, spagnoli, il belga Alfred de Trazegnies de Namour, i francesi Theodule de Christen e Olivier Marie Augustin de Langlais, il tedesco Ludwig Richard Zimmermann. Intanto sul campo parecchi briganti diventano famosi tra la gente comune, come il bandito Pilone, Cipriano Della Gala, Cozzito e Chiavone. Una cosa inaccettabile per il nuovo Stato. Così la lotta al brigantaggio diventa ancor più repressiva. Il generale Giugno 2012 BBC History Italia

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OPINIONI A CONFRONTO

Abbiamo chiesto a due esperti un commento sui temi del brigantaggio, del Risorgimento e degli eventi successivi all’Unità d’Italia

Gianni Oliva

La storia scritta dai vincitori è arrogante: per questo la tradizione liberale filosabauda ha chiamato in modo dispregiativo “brigantaggio” quella che è stata una vera e propria rivolta sociale, estesa a gran parte del Mezzogiorno. La storia riscritta dai vinti, per contro, è rancorosa: per questo la storiografia cosiddetta “neoborbonica” (che tanto successo di pubblico ha avuto in questi ultimi anni) ha ribaltato i giudizi e presentato un Sud improbabile, ricco e lanciato verso il progresso. Cerchiamo di inquadrare le dinamiche al di fuori della celebrazione e della demonizzazione. Il Regno delle Due Sicilie è stato avviato da Ferdinando II (1830-1859) sulla via della modernizzazione: l’apertura della ferrovia Napoli-Portici (primo tratto nella penisola) con i proseguimenti verso Castellamare e Capua, l’impulso alle attività dei cantieri navali, la costruzione di oltre 4mila chilometri di nuove strade, l’ingrandimento dei porti pugliesi e campani, la moltiplicazione del tonnellaggio mercantile qualificano una politica governativa attenta alle

Pallavicino, che ha preso il posto di Cialdini, con un forte contingente di truppe regolari intensifica le azioni contro le bande. Si uccide, si fucila spesso indiscriminatamente. “L’omicidio non è più un delitto ma un atto degno di ricompensa” si legge su un giornale di Torino nel 1863 che critica i tribunali militari e i loro ormai palesi eccessi. Ma, nonostante la reazione rabbiosa del governo, i briganti continuano a insanguinare il Sud. È in questa fase che si cerca di presentare all’opinione pubblica un’immagine dei ribelli che ne giustifichi l’uccisione indiscriminata. I briganti vengono fotografati armati fino ai denti e poi passati per le armi oppure immortalati con uno scatto, legati agli alberi, già cadaveri. La foto diventa la prova delle uccisioni da 46

esigenze di sviluppo. Non a caso, negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento molti patrioti guardano a Ferdinando II di Borbone (e non a Carlo Alberto di Savoia-Carignano) come possibile unificatore della penisola. Su questo percorso ci sono però due ostacoli. Il primo è di carattere storico: il Sud deve scontare i ritardi dovuti a secoli di dominazione spagnola e alla permanenza di una nobiltà baronale ancorata ai propri privilegi e ai propri abusi. Il secondo è di carattere politico: Ferdinando II è cresciuto alla scuola dell’assolutismo e non concepisce l’idea di rinunciare alle prerogative regie. Ne risulta il paradosso che le sue scelte favoriscono la crescita di una classe media imprenditoriale, ma nel momento in cui questa rivendica la partecipazione al potere, egli risponde con le repressioni del 1848. La differenza tra Torino e Napoli sta nell’atteggiamento di fronte alle rivoluzioni liberali di quell’anno: Carlo Alberto e il figlio Vittorio Emanuele II le sposano, Ferdinando II le rigetta. Il Piemonte si pone così alla guida del Risorgimento, mentre il Regno delle Due Sicilie diventa il nemico. Il processo di unificazione ne risulta condizionato. Le scelte accentratrici del Nord provocano ostilità, la mancata riforma agraria esaspera le plebi e, per mantenere il controllo sociale del territorio, lo Stato Unitario usa la forza

ma, soprattutto, celebra l’alleanza politica tra la classe dirigente settentrionale e i segmenti più retrivi di quella meridionale. “Cambiamo tutto per non cambiare nulla”, come ci ha insegnato Tomasi di Lampedusa. Gianni Oliva (Torino, 1952) è uno storico, politico e giornalista italiano. Ha scritto numerosi libri di carattere storiografico. Nel 2012 ha pubblicato per Mondadori “Un regno che è stato grande. La storia negata dei Borboni di Napoli e Sicilia”.

Da sinistra: il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone, fedele a Francesco II delle Due Sicilie, ma anche estimatore del suo contraltare Giuseppe Garibaldi, che aveva assunto a modello; Cipriano La Gala di Nola, capobanda con oltre 300 seguaci, autore di un’infinità di delitti e sequestri nel territorio tra Avellino e Napoli

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Brigantaggio

Enrico Pugliese

All’indomani dell’Unità d’Italia si creò un quadro di enorme confusione. Gli eventi di quegli anni che sconvolsero il Mezzogiorno videro come protagonisti le figure più varie: aristocratici italiani e stranieri in appoggio o leali alla, ormai persa, causa borbonica, ufficiali di un esercito ormai distrutto, sbandati di provenienza varia, contadini, fuorilegge e quant’altro, e poi ancora, sul versante piemontese e garibaldino, generali e ufficiali più o meno all’altezza di comprendere le implicazioni politiche e sociali del loro comportamento, volontari delusi dal carattere che andava assumendo la “conquista regia”a mano a mano che le forze democratiche e progressiste risorgimentali (quelle di orientamento mazziniano o democratico) venivano emarginate. Con il passar del tempo, nei decenni successivi, la situazione sul piano militare si normalizza: gli ufficiali borbonici temporaneamente a capo di squadre di fuorilegge - briganti forniti di autorizzazione a esigere tributi dalla gente dei paesi - e gli ultimi romantici eroi borbonici scompaiono. Gli aristocratici locali e le componenti più reazionarie della borghesia terriero-fondiaria si allineano al nuovo potere statale e sulla scena restano da una parte un esercito “nazionale”, ma in realtà piemontese e occupante, e i contadini. E da questi, dai più oppressi e dai più arrabbiati, per

decenni provengono ancora i briganti, più o meno popolari, più o meno trucidi, più o meno animati da un senso di rivalsa di classe. Passato il primo periodo, dopo gli anni cui si riferisce questo articolo il carattere del brigantaggio muta e diventa più univoco: la repressione e la condizione di isolamento indeboliscono progressivamente le bande. Per necessità o per disperazione esse finiscono per taglieggiare sempre di più le popolazioni locali e soprattutto i contadini. Così questi sono sottoposti al triplice giogo della oppressione economica da parte dei baroni, della repressione sociale da parte delle truppe piemontesi, compresi i carabinieri, e delle operazioni ormai di pura e semplice rapina dei briganti. La pace sociale sarà garantita solo dalla repressione senza alcuna riforma, alcuna misura economica a vantaggio dei contadini: anzi aumenteranno i balzelli dalla tassa sul sale, alla tassa sul macinato e quant’altro e soprattutto aumenteranno i canoni di affitto della terra. Per i contadini il sogno di un miglioramento delle condizioni di vita e di un qualche accesso alla proprietà della terra non si realizzerà se non molto parzialmente e qualche decennio dopo con l’emigrazione e le rimesse degli emigrati. Sarà soprattutto l’emigrazione l’esito della condizione dei contadini del Mezzogiorno, aggravatosi per qualche verso dopo l’Unità. “Emigranti o Briganti” aveva detto un uomo politico del Risorgimento. Ed emigranti sono diventati i contadini del Mezzogiorno per più di un secolo dopo l’Unità. Con ciò non si vuol dire che la conquista regia e la mancata rivoluzione agraria (che avrebbe dovuto dare l’accesso alla terra ai contadini secondo l’analisi gramsciana) abbiano

Da sinistra: Rafael Tristany de Barrera, l’ufficiale spagnolo datosi alla macchia in territorio pontificio e al quale Francesco II aveva dato l’incarico di rendere più efficaci le azioni della guerriglia; il generale spagnolo José Borjes, inviato da re Francesco II di Borbone per riconquistare il perduto Regno delle Due Sicilie dopo l’Unità d’Italia.

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determinato condizioni da far rimpiangere i Borboni. Quelle rappresentazioni correnti secondo le quali il Mezzogiorno e i contadini sarebbero passati da una condizione economicamente, socialmente e istituzionalmente sviluppata a una peggiore e più arretrata sono del tutto campate in aria: tesi di questo genere sono in sostanza filo-borboniche e soprattutto superate dai solidi contributi storiografici e dal dibattito di mezzo secolo addietro (Sereni, Romeo, Cafagna e molti altri). C’è tuttavia una certa vague nostalgica di orientamento neo-borbonico che si va affermando in questo periodo a fianco delle acritiche celebrazioni dell’Unità d’Italia. Essa a me pare uno degli effetti più preoccupanti della scarsa conoscenza della vicenda dell’Unità e delle radici della Questione Meridionale. Con riferimento alla domanda finale credo che la risposta l’abbia data la storia. Gli elementi rivoluzionari o le istanze palingenetiche e le rivendicazioni popolari che avevano caratterizzato, almeno in parte, la prima fase del brigantaggio – peraltro sempre presenti nelle forme di banditismo sociale – si andarono perdendo nel corso del tempo. Si è trattato di una storia tragica. Ma c’è da sperare che non emerga ora qualche forma di idealizzazione del brigantaggio ad aumentare la confusione. Enrico Pugliese (Castrovillari, 1942) è professore ordinario di Sociologia del lavoro e coordinatore del dottorato in Sociologia e scienze sociali dell’Università La Sapienza di Roma. Tra i suoi libri: “La terza età”, “L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne”, “Sociologia della disoccupazione”, pubblicati da Il Mulino, Bologna.

mostrare al resto della popolazione, da far circolare a monito per chi quei malavitosi aveva supportato e sostenuto. Se i cantastorie narrano, romanzandole, le gesta epiche dei briganti, i fotografi di paese ne documentano la tragica fine. Intanto il sogno di riconquistare il Regno per Francesco II si dissolve lentamente negli oltre cinque anni di brigantaggio e nei suoi strascichi combattuti fino al 1870; gli uomini e le donne delle bande vengono uno alla volta catturati o uccisi. Furono semplici fuorilegge o veri combattenti rivoluzionari? Ancora oggi nessuno lo sa per certo. Claudio Razeto è fotografo e giornalista, esperto in storia contemporanea. Le immagini sono della Fototeca Storica Carubelli

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Storia dello spionaggio

SPY

STORY Dai primi 007 assoldati dai faraoni dell’Antico Egitto agli agenti segreti della Guerra Fredda, fino al moderno operatore di intelligence. L’affascinante viaggio nel tempo del mestiere più “top secret” del mondo

rené mansi/istockphoto.com

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osa accomuna James Bond, Marlene Dietrich e Mata Hari? La risposta è piuttosto immediata, vista la celebrità dei personaggi: si tratta di spie. Un “mestiere” affascinante che ha ispirato la cinematografia e la letteratura, salito alla ribalta con la Guerra Fredda, ma dalle origini antichissime, almeno quanto l’arte della guerra. In effetti, ci si rende subito conto che chi pratica meglio lo spionaggio dispone di un notevole vantaggio sull’avversario. L’arguzia, l’inganno, il raggiro finiscono spesso per prevalere sulla forza. È molto probabile che questo concetto fosse già noto ai Sumeri, agli Accadi di Sargon, ai Babilonesi di Hammurabi e agli Hyksos, ma le prime attendibili cronache in materia, tratte da specifici reperti archeologici, ci vengono dall’Antico Egitto. Nel corso della XIX dinastia (Ramses II, 1290-1224 a.C.) si delinea abbastanza chiaramente il ruolo dello spionaggio per influenzare le sorti della guerra nella famosa battaglia di Qadesh (sul fiume Oronte, nell’odierna Siria). Il faraone è confuso da spie nemiche sulla reale collocazione delle truppe ittite che stanno per invadere il Paese. Si va profilando una storica sconfitta degli egizi. Ramses II, tuttavia, decide di servirsi delle stesse armi del nemico. Invia, cioè, “sotto copertura” alcuni dei suoi migliori uomini presso le truppe avversarie con l’incarico di verificare da dove sarebbe arrivato l’attacco finale. La missione ha successo. Le preziose notizie raccolte dalle spie egizie consentono al faraone di impostare adeguatamente la 49


Il ruolo dei servizi di Walsingham sarà determinante nella trattazione del caso di Maria Stuarda, regina cattolica che aspira a scalzare dal trono la protestante Elisabetta Sarà, per esempio, grazie a lui che Ramses III riuscirà a sventare la cospirazione detta del “grande harem”, una vera e propria rivolta di palazzo, guidata da alcune concubine del Dio-Re, desiderose di mettere al suo posto il figlio di una delle spose predilette. I sistemi informativi degli Egizi vengono ripresi e migliorati anche dagli Assiro-Babilonesi e dai Persiani. Ma è con Alessandro Magno, uno dei più celebri strateghi della storia, re di Macedonia dal 336 al 323 a.C., che si può cominciare a parlare di un vero e proprio “sistema di intelligence”. La conquista dell’impero persiano in soli dieci anni, infatti, non sarebbe stata possibile senza una rete organizzata di raccolta dati attivata prima di ogni battaglia importante, attraverso i suoi agenti segreti. In questo modo riusciva a conoscere l’entità dell’esercito nemico, la geografia del territorio, le tendenze politiche dei popoli e, addirittura, il carattere dei re. Se nei regni orientali il ricorso allo spionaggio è abbastanza frequente, Atene e Roma non mostreranno lo

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Francis Walsingham (in primo piano) è noto per essere stato uno dei maggiori diplomatici dell’epoca di Elisabetta I Tudor e uno dei primi organizzatori di servizi di spionaggio in epoca moderna

stesso interesse, sostanzialmente per un diverso approccio alla politica e per una differente organizzazione militare. Sarà solo con l’avvento di Giulio Cesare (100-44 a.C.), soprattutto al momento della conquista della Gallia e della Britannia, che Roma adopererà i sistemi informativi. Lo storico Svetonio ci racconta come funzionasse l’intelligence di Cesare: “Durante le sue spedizioni non era chiaro se Cesare avesse successo per la sua prudenza o per la sua temerarietà. Mai in verità condusse il suo esercito su strade potenzialmente pericolose, senza aver prima ben studiato la disposizione dei luoghi e lo trasportò in Britannia solo dopo aver avuto dettagli sui porti, sulla navigazione, sui mezzi per sbarcare nelle isole”. Una moderna visione della raccolta di “informazioni preventive”! Il primo 007 alla corte d’Inghilterra Contrariamente ai Paesi orientali, nell’Impero Romano d’Occidente, dalla sua caduta nel 476 d.C. fino alla scoperta dell’America (1492), l’arte dello spionaggio verrà trascurata, sacrificata sull’altare dell’etica cavalleresca, propria del periodo medievale. Sarà una donna a cambiare le cose. Nel 1558 Elisabetta I Tudor sale al trono d’Inghilterra e trova un Paese debole e isolato, dove i suoi stessi diritti dinastici non le sono riconosciuti con certezza. Per far fronte alle crescenti difficoltà politiche e difendersi dai suoi numerosi nemici, non ha altra scelta che ricorrere allo spionaggio praticato su vasta scala. Ha peraltro la fortuna di poter contare su un primo ministro particolarmente sensibile alle questioni di sicurezza, William Cecil, il quale istituisce lo State Defence, un organismo competente sia per lo spionaggio all’estero sia per il controspionaggio all’interno. Cecil inaugura anche un primordiale “servizio di cifratura”, sia per rendere incomprensibili agli avversari i segreti contenuti nelle missive reali, attraverso la sostituzione delle lettere o l’inserimento delle nomenclature (parole e frasi-chiave), sia per decifrare i messaggi nemici intercettati. Il servizio è coordinato dal misterioso John Dee, l’astrologo di corte, che si firma 007 (00 sta a significare che la lettura del documento è riservata ai soli occhi della regina, 7 è il suo numero feticcio). Sigla che pare abbia ispirato Ian Fleming per il nome del suo agente preferito.

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national portrait gallery, bridgeman art library

propria difesa e di capovolgere le sorti della guerra che si conclude con una specie di pareggio. Sulla scia delle lezioni apprese a Qadesh, viene istituita a corte la figura di un alto funzionario chiamato “gli occhi e le orecchie del Re”, incaricato di seguire le questioni di sicurezza interna ed esterna, una sorta di Capo dei Servizi segreti ante litteram.


Storia dello spionaggio

PVDE/Rue des Archives

“cifrate” con il giovane aristocratico cattolico Anthony Babington, missive prontamente intercettate e “lette” dai servizi segreti. Walsingham, imitando la calligrafia della regina cattolica e utilizzando il suo stesso codice segreto, fa aggiungere alla lettera di Maria per Babington un post scriptum in cui chiede di conoscere i nomi dei valorosi aristocratici che appoggiano la causa cattolica. Babington cade nella trappola e le fornisce la lista richiesta, che naturalmente va dritta sul tavolo di Walsingham! A quel punto Elisabetta non ha più scelta: non può non ordinare che Maria e i suoi complici siano giustiziati.

A continuare e ampliare l’opera di Cecil è Francis Walsingham che gestisce con eccezionale abilità una vasta rete di agenti permanenti, residenti anche in diverse capitali estere. In Inghilterra si serve preferibilmente di giovani provenienti dalle università di Oxford e Cambridge. Il ruolo dei servizi di Walsingham sarà determinante nella trattazione del caso di Maria Stuarda, regina cattolica che aspira a scalzare dal trono la protestante Elisabetta. Maria, in effetti, verrà decapitata a causa di uno scambio di lettere

Prima pagina del quotidiano francese “Le Petit Journal” (15 giugno 1913) con la notizia del suicidio dell’ufficiale dei servizi segreti austro-ungarico Alfred Redl, colpevole di tradimento

Amore fatale La storia dello spionaggio è punteggiata di innumerevoli vicende intricate e misteriose. Uno degli aneddoti più singolari riguarda Alfred Redl (1864-1913), brillante capo dell’Evidenzbureau austriaco, l’organismo incaricato di raccogliere notizie da ogni fonte possibile per la sicurezza dell’Impero. Redl fu un grande innovatore perché introdusse procedimenti rivoluzionari per l’epoca, successivamente ripresi da tutti i servizi europei: schede biografiche con impronte digitali, fotografie dei sospetti, sorveglianza dei gruppi politici, i primi rudimentali ascolti telefonici, pedinamenti continuati e registrazioni su cilindri di cera (anticipazione del magnetofono). Tuttavia, Redl fu al centro di un incredibile scandalo, diventando protagonista di quello che verrà chiamato il “paradosso Redl”. Omosessuale, si innamorò perdutamente, infatti, di un giovanissimo allievo ufficiale, Stephan Horomodka, e non esitò a monetizzare i segreti di Stato pur di soddisfare le continue richieste di denaro del suo amante. Arriverà addirittura a concludere con il suo omologo russo una sorta di “accordo tacito”, assolutamente unico nella storia dello spionaggio, con cui le due parti si impegnavano reciprocamente a scambiarsi i nomi dei loro agenti, i quali vennero quindi scoperti e arrestati, mentre agli efficienti capi andranno riconoscimenti, promozioni e premi. Contribuì, insomma, in prima persona a far fare passi da gigante ai servizi segreti dell’Impero Austro-ungarico, per poi tradirli a vantaggio del nemico russo, al quale venderà persino i piani dello spiegamento delle truppe austriache all’inizio della Prima guerra mondiale. Grande innovatore e grande traditore! Scoperto, non avrà altra strada che il suicidio. La spia globale Dalla Grande Guerra cambia tutto. Il conflitto non riguarda più esclusivamente gli eserciti o le popolazioni interessate

Qual è la differenza fra spionaggio e intelligence? Lo spionaggio è la ricerca di notizie segrete, con metodi non sempre legittimi, per preparare o vincere una guerra, per acquisire in maniera indebita determinate posizioni economiche e commerciali o per mettere in difficoltà un concorrente. Talvolta assume Giugno 2012 BBC History Italia

connotazione aggressiva e può facilmente degenerare in strumento di potere di una parte o fazione politica. L’intelligence (dal latino intus legere, “leggere dentro”, saper leggere il contenuto di una notizia) è invece la raccolta, la selezione e

la valutazione di informazioni concernenti la sicurezza del Paese, per evitare una guerra, un attacco terroristico o una perdita di mercato. Ha quindi connotazione difensiva ed è diventata una componente essenziale della politica di sicurezza interna ed esterna dello Stato. 51


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Il periodo caldo della Guerra Fredda Con la fine della Seconda guerra mondiale inizia la fase più saliente della storia dello spionaggio. La grande tensione politica tra le due super potenze, Stati Uniti e URSS, divise da ideologie contrapposte, deve essere controllata dalla consapevolezza di dover evitare scontri militari, soprattutto nel momento in cui le due raggiungono l’equilibrio nucleare e quindi la certezza di essere reciprocamente distrutte in caso di guerra atomica (la dottrina del MAD, Mutual Assured Destruction).

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Alinari/TopFoto, WIKIPEDIA commons

Sopra, un finto carro armato costruito durante l’“operazione Fortitude” (1944) per sviare i tedeschi sul luogo effettivo dello sbarco degli Alleati. Sotto, l’interno della stazione radio di Gleiwitz, teatro della “operazione Himmler” (1939) in cui fu inscenato l’attacco polacco ai tedeschi

da specifici scenari operativi, ma richiede anche uno sforzo di tutto il Paese per consolidarne il potenziale bellico e la capacità di resistenza. Insomma è necessario non solo conoscere i numeri dei pezzi di artiglieria o i movimenti delle divisioni o l’introduzione dell’ultima arma nel campo nemico, ma anche scoprire lo stato dell’industria, l’approvvigionamento delle materie prime, le transazioni finanziarie, i progressi della ricerca scientifica, il morale delle truppe. I civili, quindi, entrano nel mondo dello spionaggio: matematici, ingegneri, docenti universitari, linguisti, esperti di vario genere cominciano ad affiancare i tecnici militari, migliorandone notevolmente le prestazioni. Nella Seconda guerra mondiale si assiste a uno straordinario sviluppo delle azioni clandestine. Dallo spionaggio economico alle tecniche raffinate della propaganda politica, dalla guerra psicologica alle pratiche di deception (attività di disinformazione), dalle intercettazioni e messa in chiaro dei messaggi nemici alle azioni militari non convenzionali (sabotaggi e guerriglia). Emblematicamente la guerra comincia proprio con un’operazione di “informazione finalizzata” dei nazisti, l’operazione Himmler, e si conclude con una memorabile attività di deception anglo-americana, l’operazione Fortitude. Il primo settembre 1939, infatti, molti giornali titolano “la Polonia aggredisce la Germania”. Un’aggressione benvenuta per Hitler che può finalmente scatenare le sue sessanta divisioni, da tempo in attesa, verso Varsavia per punire l’arroganza polacca. È l’operazione Himmler! Cosa era successo? Il giorno prima sette agenti delle SS, perfettamente addestrati e travestiti da soldati polacchi, si erano impadroniti della stazione radio di una cittadina tedesca a ridosso della frontiera con la Polonia, Gleiwitz. Dai microfoni della radio, che trasmetteva su scala nazionale, il gruppo aveva letto proclami ferocemente

anti-nazisti. Nella messa in scena, inoltre, era prevista l’aggressione degli ignari impiegati tedeschi e un cadavere (recuperato da un campo di concentramento ), armato e vestito da soldato polacco. Prova inoppugnabile dell’aggressione. Due giorni dopo scoppia la Seconda guerra mondiale. L’operazione Fortitude consente, invece, agli angloamericani di sviare i tedeschi sul luogo effettivo del grande sbarco alleato in Francia, nel giugno 1944, per l’apertura del “secondo fronte”. Il piano prevede la creazione fittizia di quaranta divisioni ammassate nella zona di Dover e protese verso Calais. Attraverso un’intensa attività radio vengono trasmesse false direttive: specialisti reclutati allo scopo fanno credere all’esistenza di un nuovo corpo d’armata. E per darne anche l’impressione visiva (per gli aerei-spia tedeschi) si costruiscono carri armati in caucciù, camion in legno, professionisti del cinema danno vita a immensi incendi per dare la sensazione all’aviazione nazista di aver centrato depositi di carburante. Insomma, tutto per tenere nascosta la vera destinazione finale: la Normandia. Dopo lo sbarco alleato sulle coste normanne, l’alto comando tedesco, sorpreso e confuso, ci metterà 48 ore prima di decidere di concentrare tutte le divisioni disponibili sul nuovo fronte. Due giorni fatali per i nazisti. Gli alleati hanno nel frattempo consolidato le loro teste di ponte: è ormai incontenibile lo sbarco delle truppe che libereranno l’Europa.


Storia dello spionaggio

Steganografia e crittografia

jiortola/fotolia

La sicurezza delle comunicazioni ha accompagnato il nascere e lo sviluppo dello spionaggio e dell’intelligence attraverso il ricorso a due tecniche principali: la steganografia (scrittura occultata), che si basa appunto sull’occultamento del messaggio, e la crittografia (scrittura nascosta), che tende a nascondere il significato del messaggio stesso. La steganografia ha visto nascere metodi ingegnosi, ma incerti e inefficaci. Dalla scrittura del messaggio sul cranio rasato di uno schiavo che viene inviato in missione una volta ricresciuta la chioma (Erodoto), all’inchiostro invisibile ottenuto col succo di titimaglio (Plinio il Vecchio). Interessante e divertente è poi l’“uovo sodo di Gianbattista della Porta”. Si prepara un inchiostro composto di allume e aceto e si scrive il testo sul guscio dell’uovo. L’inchiostro ha la qualità di penetrare il guscio poroso per andarsi a depositare sull’albume solidificato. Il messaggio potrà quindi essere letto semplicemente sbucciando l’uovo e fatto sparire… mangiandolo! Il problema, tuttavia, è

che se il testo è scoperto, viene irrimediabilmente letto. Gli sforzi degli esperti di conseguenza si indirizzeranno sempre più verso la crittografia vera e propria, per rendere incomprensibile al nemico il messaggio, anche nell’eventualità che questi ne venga in possesso. Sistemi che conosceranno nel corso dei secoli continue evoluzioni, dalla Scitala spartana al cifrario di Giulio Cesare, dai codici monoalfabetici al disco di Leon Battista Alberti, dalla macchina elettromeccanica Enigma ai moderni sistemi di cifratura elettronica. Se i cifratori perfezionano continuamente le loro tecniche, altrettanto fanno i criptoanalisti per decifrare i messaggi nemici. Insomma si innesca una rincorsa storica, che tuttora perdura, tra gli inventori di nuovi sistemi tesi a nascondere al nemico il senso dei messaggi trasmessi e gli esperti che, invece, scoprono come penetrare i codici del campo avverso.

La guerra, quindi, non può essere diretta, calda, ma piuttosto indiretta, fredda (espressione coniata dal consigliere presidenziale Bernard Baruch e dal giornalista Walter Lippeman), combattuta, cioè, per interposti Paesi (Corea, Vietnam, Centro America, Cuba) e tramite i servizi segreti che conoscono quindi un’espansione senza precedenti nella storia dell’intelligence. I due blocchi contrapposti da un lato cercano di proteggersi dall’avversario, ma dall’altro cercano di “penetrarlo” con tutti i mezzi a disposizione dello spionaggio

A Berlino, il celebre Checkpoint Charlie, punto di collegamento tra la zona di occupazione sovietica e quella americana nel dopoguerra. Qui ebbero luogo scambi di spie e drammatici inseguimenti

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e dell’intelligence che in questo difficilissimo periodo per così dire “convivono”. Gli agenti segreti pullulano in una vasta gamma di specialità: agenti di influenza (operano all’interno di uno Stato avverso per influenzare positivamente la pubblica opinione verso il Paese di appartenenza); di penetrazione (le famose “talpe”, gli infiltrati presso le istituzioni pubbliche o presso gli stessi servizi segreti del Paese avverso); doppi (lavorano per i servizi del Paese avverso con il consenso del Paese di appartenenza); speciali (estremamente addestrati e operativi, sono i veri “ 007”); in sonno (si mimetizzano nel Paese nemico attraverso attività del tutto legali, in attesa di essere attivati al momento opportuno); legali (agiscono in Paesi stranieri con copertura legale, utilizzando in genere lo status che deriva dall’accreditamento diplomatico, sono i falsi Primi Segretari d’Ambasciata). Simbolo di questo mondo che si agita in segreto, di queste attività sotterranee, di queste tragedie personali di cui l’opinione pubblica non sa molto, se non ciò che vede nei film o legge nei romanzi ispirati alla realtà di quel momento storico, è probabilmente il ponte Glienicke (il ponte delle spie, Glienicker Brücke) a Berlino sul fiume Havel. Teatro (così come l’altro luogo emblematico delle divisioni dell’epoca, il Checkpoint Charlie) di memorabili scambi di spie. Famoso è rimasto quello tra l’americano Gary Powers e il sovietico Vilyam Genrikhovich Fisher (alias Rudolf Abel, identità sotto la quale verrà conosciuto in Europa). Powers era il pilota dell’aereo-spia U2 abbattuto, in piena Guerra Fredda, sui cieli sovietici e miracolosamente rimasto illeso. Arrestato, subito rinchiuso, era stato condannato a 10 anni di carcere. Vilyam Fisher, dal canto suo, era tra gli “illegali” di 53


I (falsi) protocolli di Sion

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Mosca più efficienti del XX secolo. Negli Stati Uniti aveva organizzato un’efficientissima e temibile rete di spionaggio. Scoperto, era stato condannato a 30 anni di reclusione. Il 10 febbraio del 1962 i due si incrociano sul ponte di Glienicke mentre vengono riconsegnati ai rispettivi Paesi, ciascuno convinto di aver fatto il proprio dovere e di aver servito gli interessi della nazione. Nuove minacce dal mondo intero La fine della Guerra Fredda, se non determina “la fine della storia” (secondo la celebre formula dello storico americanogiapponese Francis Fukuyama), provoca sicuramente la fine di una storia. Un storia durata mezzo secolo durante la quale le regole del Grande Gioco sono note, i nemici riconoscibili, i pericoli prevedibili, le sfide definibili. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’intelligence internazionale si deve confrontare con una situazione del tutto inedita, che richiede una profonda riorganizzazione. Si passa, infatti, dalle minacce classiche (a livello di stati, geograficamente limitate, con codice comportamentale condiviso, con forze militari identificate, dottrine militari conosciute) alle nuove minacce (transnazionali, geograficamente disperse, senza leggi e codici condivisi, con adepti fanatici difficilmente identificabili e con la volontà di utilizzare tutti i mezzi di distruzione a disposizione). In tale contesto le sfide dell’intelligence diventano globali e i suoi metodi sottoposti a significative revisioni. I servizi segreti BBC History Italia Giugno 2012

RDA/Rue des Archives, AGIP/ Rue des Archives, Tal/Rue des Archives

È stupefacente constatare come una pubblicazione, frutto della più pura disinformazione messa in opera da un servizio segreto, abbia continuato ad avere nefaste conseguenze per oltre un secolo, anche dopo che ne è stata dimostrata la falsità. Nei primi anni del XX secolo in Russia, l’Okhrana (polizia politica) volle screditare, soprattutto dopo l’assassinio dello zar Alessandro II, i riformatori liberali che sembravano guadagnare terreno e simpatie tra le minoranze oppresse, in particolare gli ebrei. A Parigi un intellettuale russo, agente dell’Okhrana, Matvei Golovinski, venne incaricato della non facile missione. Golovinski scrisse per il Figaro una serie di articoli per diffamare gli ebrei, proprio nel periodo dell’affare Dreyfuss. Successivamente, ispirandosi agli scritti ferocemente antisemiti del francese Maurice Joly, Golovinski redasse la prima edizione dei “Protocolli”, immediatamente tradotti in russo. Cominciò a circolare l’idea della cospirazione ebraica internazionale, intrecciata a quella massonica (il famoso “complotto giudaico-massonico”). In sostanza i 24 Protocolli venivano presentati come un antico piano operativo concepito dagli anziani di Sion, ritrovato per caso e indirizzato alle nuove generazioni ebraiche perché si impadronissero delle tecniche e delle strategie necessarie per ottenere il controllo della finanza internazionale e l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale basato sul controllo delle masse. Nel corso degli anni, tuttavia, si stabilì chiaramente la falsità dei Protocolli (inchiesta del Times nel 1921 e la sentenza della corte cantonale di Berna nel 1934). Ciononostante si continuerà a credere nella loro autenticità. Ancora oggi i Protocolli vengo stampati e diffusi in diversi Paesi del Medio Oriente e sono addirittura citati nello Statuto di Hamas (art. 32).


Storia dello spionaggio

Un vero… Enigma

Stephen Sweet/FOTOLIA

L’aereo-spia americano U2, pilotato dall’agente segreto Gary Powers. Fu abbattuto in piena Guerra Fredda in territorio sovietico. Powers fu condannato a dieci anni di prigione

dovranno d’ora in poi interessarsi a tutte le grandi questioni suscettibili di influenzare l’andamento della situazione mondiale (tensioni demografiche, riserve di energie e materie prime, penuria di prodotti alimentari, cambiamenti climatici, globalizzazione dell’economia, riapparizione di guerre tribali, interetniche e religiose). I nuovi pericoli in definitiva spingeranno i servizi verso accresciute collaborazioni tese a sviluppare la necessaria complementarietà tra i mezzi dell’intelligence tecnica (satelliti, aerei e droni) e il fattore umano, che rimane, nonostante tutto, la chiave di volta nella lotta al terrorismo. Insomma, se risulta sul piano tecnico relativamente facile passare dall’ascolto delle reti sovietiche a quella degli “Stati canaglia”, si rivela invece impossibile ascoltare individui che comunicano solo tramite messaggeri o che si riuniscono in una grotta ai margini del deserto a prova di qualsiasi intercettazione. Tuttavia, è sempre possibile catturare il messaggero, infiltrare gruppi estremisti o far tradire alcuni dei loro membri. Il fattore umano, appunto. Un mestiere, insomma, che non conosce crisi: a dimostrazione di ciò nel 2010 a Vienna, sulla pista dell’aeroporto Schwechat, dieci spie russe vengono scambiate con quattro informatori della Cia in diretta tv. Vita reale, ma sembra di leggere uno dei celebri romanzi di Ian Fleming. Saggista, storico, divulgatore, Domenico Vecchioni ha ricoperto molteplici incarichi istituzionali tra cui quello di Console Generale a Madrid e quello di Ambasciatore d’Italia a Cuba

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Enigma è una macchina per cifrare elettro-meccanica, utilizzata dalle forze armate tedesche durante il periodo nazista e la Seconda guerra mondiale

È la più celebre macchina cifrante della storia recente, utilizzata dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Simile a una macchina da scrivere con due tastiere (di cui una luminosa), dal peso di circa 30 chilogrammi, relativamente facile da trasportare, Enigma era stata inventata negli anni Venti da un ingegnere tedesco di origine olandese, Arthur Scherbius, per esigenze commerciali. Il suo grande successo attira presto l’attenzione delle forze armate che decidono di adottarla dopo avervi apportato alcune modifiche e adattamenti. L’originalità di Enigma consiste nella combinazione di tre piccoli rotori con lettre cifrate, che si spostano in sequenza a ogni battuta. Se, cioè, battendo il tasto A nella prima tastiera si ottiene la lettera Z nella tastiera luminosa, alla successiva battuta di A, si ottiene un’altra lettera scelta in maniera del tutto casuale dai rotori, ma mai la Z ottenuta la prima volta. Enigma dispone, inoltre, di una grande varietà di sistemi di aggiustamento (le “chiavi” per regolare nella maniera voluta i rotori) e ciascun rotore può essere sostituito con nuovi ingranaggi contenenti ulteriori sequenze di lettere e schemi di cablaggio che producono migliaia e migliaia di combinazioni possibili. I nazisti non sospetteranno mai che la loro macchina “perfetta” era stata in realtà penetrata dai britannici nell’ambito del famoso progetto Ultra, fortemente voluto da Churchill, teso a “rompere” i codici nemici. A Bletchley Park matematici geniali, come Alan Turing, verranno presto a capo dei misteri di Enigma, mettendo a punto con l’occasione i primi computer della storia (Colossus) e rendendo al Paese immensi servigi (se la guerra sottomarina nazista viene neutralizzata, per esempio, è perché gli inglesi, grazie a Ultra, conoscono in anticipo le rotte dei comandanti tedeschi). 55


Friedrich Il capitalista


I grandi pensatori

Engels comunista

Intelligente e passionale. La vita del padre fondatore del comunismo fu segnata dalle contraddizioni e dall’imponente figura di Marx. L’analisi di Tristram Hunt, autore di un libro dedicato a Engels

Un ritratto di Friedrich Engels di fronte a dei bambini dei bassifondi nella Manchester vittoriana. Il filosofo tedesco divenne un pensatore radicale dopo aver conosciuto le miserabili condizioni dei lavoratori della città

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A

lcuni anni fa il Guardian intervistò Geoff Loynes, un imitatore professionista di Karl Marx, riguardo alla sua abilità: “Dovete fare bene i vostri compiti. Io ho studiato come un matto. So tutto della sua famiglia e so di quell’altro uomo oh, chi era, il suo amico? Engham?”. “Vuoi dire Engels, forse?”. “Sì, esatto. Sono cose che bisogna sapere”. Meno di cinquant’anni fa una tale gaffe sarebbe stata inconcepibile. Con un terzo del genere umano che viveva in un sistema comunista, il nome di Friedrich Engels (18201895) era sulle labbra di milioni di persone. “Il volto di Engels, insieme a quello di Marx, è noto a ogni cittadino cinese” scrisse un sociologo della Cina comunista. In Europa, America Centrale e Sud-Est asiatico, le autorità hanno dato il nome a piazze cittadine, viali, reggimenti dell’esercito e complessi residenziali urbani in onore di Engels. Nella regione tedesca del Volga, in Unione Sovietica, i russi andarono oltre, dedicandogli un’intera città. Nel 1931 Pokrovsk divenne Engels – in memoria dell’uomo che “ottenne risultati sorprendenti per il proletariato internazionale”. Durante gran parte del XX secolo, l’immagine e le idee di Friedrich Engels suonavano sinistramente familiari, accanto a Marx, Lenin e Stalin (o Mao) nel pantheon ufficiale comunista. Eppure oggi anche gli imitatori di Marx ne hanno dimenticato il nome.

Nel bel mezzo del nostro attuale tracollo finanziario la critica di Engels al capitalismo dovrebbe risuonare più forte che mai La città di Engels in Russia esiste ancora, ci sono ancora statue di Engels in giro per l’Europa, ma il suo lascito intellettuale e politico è praticamente svanito. E ciò che rende questa amnesia storica tanto più deplorevole è che nel bel mezzo del nostro attuale tracollo finanziario la critica di Engels al capitalismo dovrebbe risuonare più forte che mai. Perciò, chi era Friedrich Engels? Certamente uno dei

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pensatori più perspicaci e creativi del XIX secolo, ma anche un uomo di interessanti contraddizioni personali. “Probabilmente nessun figlio nato in una famiglia come la sua si è mai allontanato così tanto dall’educazione ricevuta. Friedrich dev’essere stato considerato dai suoi parenti come la “pecora nera”, pensava Eleanor, la figlia di Karl Marx. La sua educazione infatti non avrebbe portato a credere a un destino da rivoluzionario: una casa normale, il padre vivo e presente, un’infanzia non solitaria. Aveva genitori amorevoli, nonni indulgenti, diversi fratelli, un solido benessere e un senso della famiglia molto strutturato. Nato nel 1820, Engels crebbe in una rispettabile cittadina borghese sul fiume Wupper, nel distretto del Rhineland appartenente alla Prussia occidentale (ora Germania). Suo padre, come il nonno prima di lui, lavorava nell’azienda di famiglia “Caspar Engels e Figli”, che gestiva una prospera attività nel settore tessile. Ma intorno ai sedici anni, Engels si ribellò contro il duro protestantesimo e il capitalismo rampante che si erano diffusi nella sua città natale. E lo fece in modo spettacolare, con una serie di articoli di giornale in cui si scagliava contro l’inquinamento industriale che usciva dalle “fabbriche fumose e dai cortili ricoperti di tessuti decolorati”. Descrisse la difficile condizione degli operai “in stanze basse dove le persone respirano fumi e polveri di carbone più che ossigeno”, e lamentò che questa condizione creava “esseri umani completamente demoralizzati, senza fissa dimora né lavoro stabile, che escono all’alba dai loro rifugi, stalle e covoni di fieno”. Eppure la sua condanna dell’economia di mercato non fu mai quella di un puritano. Engels non era infastidito dal fatto che la gente fosse ricca e felice; anzi, lui stesso aveva una passione rara per la vita. Quand’era apprendista, beveva abbondantemente (“ora abbiamo uno stock completo di birre in ufficio: sotto il tavolo, dietro la stufa, dietro l’armadio; ci sono bottiglie di birra ovunque”), adorava Beethoven, sapeva tirare di spada, organizzava gare di crescita di baffi, che poi celebrava in versi: I Filistei fuggono il fardello dei peli rasandosi i volti lisci come meli. Ma noi filistei non siamo, e orsù ci lasciamo crescere i baffi all’insù.

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La depravazione di Manchester Preso per mano da una ragazza irlandese che viveva in città, di nome Mary Burns, Engels esplorò il miserabile mondo sotterraneo della Manchester vittoriana - “Le case sono vecchie, sporche e quanto di più piccolo si possa immaginare; le strade sono sconnesse, piene di solchi e in parte prive di fognature e di marciapiedi; masse di rifiuti, frattaglie e nauseante sudiciume giacciono ovunque tra pozze d’acqua”- alla scoperta delle prove dell’imminente conflitto di classe, come evidenziato nella sua brillante pubblicazione polemica: La condizione della classe operaia in Inghilterra (1845). Nel suo resoconto senza inibizioni della depravazione della borghesia di Manchester e degli orrori

Marx scrisse con Engels Il manifesto del Partito comunista

Un’illustrazione che mostra bambini-operai al lavoro in un cotonificio di Manchester (1820)

dell’industrializzazione - “donne impossibilitate a diventare madri, bambini deformi, uomini indeboliti, arti schiacciati, intere generazioni distrutte” - il libro riesce ancora oggi a sconvolgere e rimane una delle prime accuse della brutalità del capitalismo. Marx stesso ne fu ipnotizzato. “Quanta forza, incisività e passione ti hanno spinto a lavorare in quei giorni” scrisse in seguito a Engels durante una rilettura della Condizione. E qui sta il punto: Engels era un comunista altrettanto sofisticato di Marx già nel momento in cui i due uomini unirono le forze davanti a un drink al Café de la Régence di Parigi, nel 1844. La sua critica del capitalismo, la fede nell’inevitabilità della rivoluzione e le richieste Lizzy Burns ebbe una relazione per l’abolizione della proprietà privata erano con Engels dopo il 1863 identiche alle idee di Marx. Ma durante quell’incontro Engels prese la decisione cruciale di rimanere dietro le quinte e consentire a Marx di assumere il ruolo di “primadonna”. E non provò mai alcuna amarezza per questo sacrificio personale. “Come si potrebbe essere invidiosi della genialità?” si chiedeva Engels. È qualcosa di talmente speciale che noi, privi di questo dono, sappiamo trattarsi di qualcosa di irraggiungibile. Per essere invidiosi di una cosa del genere bisogna avere una mentalità terribilmente ristretta”. Fin dall’inizio i due lavorarono in squadra. Engels fornì le prime due bozze di quello che sarebbe diventato il Manifesto del Partito Comunista. Engels gestiva la politica di base della Lega Comunista a Parigi, Bruxelles e Colonia. E fu Engels a trovarsi sulle barricate durante le rivoluzioni del 1848-49. “I fischi delle pallottole sono davvero un fatto banale”, riferiva alla moglie di Marx, Jenny. Tuttavia, il sacrificio più grande di Engels avvenne in seguito al fallimento del 1848. Mentre i governi Engels quando si unì alla borghesia di Manchester

La sua critica del capitalismo, la fede nell’inevitabilità della rivoluzione e le richieste per l’abolizione della proprietà privata erano identiche alle idee di Marx 58

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Durante il servizio militare a Berlino, nel 1840, il bere smodato risultò ancora una volta un’evidente caratteristica di Engels, così come la sua vanità. “Sarò presto promosso a bombardiere” si vantava con sua sorella Marie, “che è una sorta di sottufficiale, e avrò galloni d’oro da indossare sui risvolti della giacca”. Ma dietro la bonomia, Engels dimostrò anche un notevole sviluppo intellettuale quando i suoi sfoghi giovanili contro gli sfruttatori industriali vennero sostituiti da una più coerente filosofia politica. Dapprima abbracciò gli insegnamenti della “Giovane Germania”, un gruppo radicale di patrioti repubblicani intolleranti contro l’ancien régime della Prussia e la sua monarchia reazionaria; poi sposò la filosofia di Hegel e dei “giovani hegeliani” che contestavano la politica e il conservatorismo religioso dell’epoca finché, alla fine, passò sotto l’influenza del “rabbino comunista”, Moses Hess. Fu Hess ad aiutare Engels a capire che il miglioramento della condizione dei lavoratori del Wuppertal richiedeva più che un cambiamento politico: era necessaria “una rivoluzione sociale basata sulla proprietà comune”. Hess ricordò che Engels all’inizio era arrivato al loro appuntamento timido e ingenuo, “un rivoluzionario della prima ora”. Se ne andò da “comunista decisamente entusiasta”. Nulla di tutto ciò fece piacere agli austeri genitori di Engels. Per evitare un’ulteriore radicalizzazione, Engels fu mandato a Manchester a lavorare nella nuova azienda di filati di cotone del padre, la Ermen & Engels. Ironia della sorte, era proprio il posto perfetto per lui. Trovandosi nella cosiddetta “Cottonopolis”, Engels notò che “l’arte moderna della produzione ha raggiunto la sua perfezione” e quindi “gli effetti della fabbricazione moderna sulla classe lavoratrice devono necessariamente svilupparsi qui più liberamente e perfettamente”. Tra batterie di telai e ciminiere inquinanti, Manchester era il luogo dove il proletariato era maggiormente sfruttato e le divisioni di classe più marcate, e dove esistevano le condizioni più promettenti per la rivoluzione comunista. Invece che dargli una formazione sui noiosi misteri del commercio, Manchester diede a Engels le prove umane essenziali per rafforzare le teorie che aveva appreso ed espresso a Berlino.


I grandi pensatori

Friedrich Engels

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Nel 1865, lo skyline di Manchester era dominato dalle ciminiere dell’industria manifatturiera. Fu qui che Engels lavorò per l’attività commerciale del padre

conservatori spegnevano gli ultimi fuochi della rivoluzione, Marx ed Engels cercarono rifugio in Gran Bretagna. Ma nessuno dei due uomini poteva sostentarsi nel ruolo di gentleman rivoluzionario. L’unica soluzione fu che Engels cercasse rifugio da Ermen & Engels, mentre Marx iniziava a lavorare alla sua opera omnia, Il Capitale. “Noi due insieme formiamo una squadra” spiegò Marx in tono rassicurante, “in cui io mi occupo del lato teorico e politico della faccenda” mentre il lavoro di Engels consisteva nel trovare un sostegno finanziario impegnandosi nel commercio. In deciso contrasto con la sua volontà, il comunista rivoluzionario si trasformò in un signore del cotone dagli abiti eleganti. I vent’anni successivi si rivelarono terribilmente frustranti per Engels che, dopo aver lottato con la sua coscienza, ritornò alla vita da bon-vivant. Dapprima cercò un po’ di conforto tra le braccia di Mary e poi, dopo la sua morte nel 1863, in quelle della sorella Lizzy Burns. Si unì quindi alla ricca borghesia di Manchester, frequentando gallerie d’arte, diventando socio di club rispettabili e acquisendo una quota nella Ermen & Engels. Trovò emozioni con i capricci dei cani da caccia assetati di sangue. “Sabato sono uscito per la caccia alla volpe: sette ore in sella” scrisse a Marx, dopo un inseguimento particolarmente emozionante. “Questo genere di cose mi lascia in uno stato di eccitazione diabolico per diversi giorni, è il più grande piacere fisico che conosca... Almeno venti tra i miei compagni sono caduti o sono stati disarcionati, due cavalli sono morti, una volpe è stata uccisa (ero presente al momento della morte).” Giugno 2012 BBC History Italia

Atto d’accusa al capitalismo Ma Engels non rinunciò del tutto al comunismo. Mentre Marx metteva a punto i dettagli dell’economia del marxismo ne Il Capitale, Engels sviluppava nuovi modi di riflettere sul colonialismo, sulla storia e anche sul femminismo. Fornì anche a Marx i dati essenziali necessari per analizzare il funzionamento del capitalismo. “Ho raggiunto un punto nel mio lavoro sull’economia in cui ho bisogno di qualche tuo consiglio pratico, dal momento che non riesco a trovare nulla di rilevante negli scritti teorici” scriveva Marx nel gennaio del 1858, prima di inondare Engels con una serie di richieste. “Potresti farmi sapere quali tipologie di lavoratori dipendenti hai nella tua fabbrica e in quali proporzioni?”. Non solo la Ermen & Engels sostentava le spese di Marx e della sua famiglia, ma i suoi meccanismi interni fornivano anche le prove empiriche per il più grande atto d’accusa contro il capitalismo industriale stesso. Nel 1870, finalmente Engels si liberò dal suo purgatorio di Manchester. “Evviva! Oggi ho terminato di occuparmi del commercio, e sono un uomo libero”, scrisse a Marx. “Io e Eleonor questa mattina abbiamo celebrato la mia prima giornata libera con una lunga passeggiata nei campi”. Si trasferì di nuovo a Londra per essere al fianco di Marx e il successivo quarto di secolo lo vide tornare al suo lavoro: approfondire, divulgare e spiegare il significato del marxismo. Contribuì alla fondazione dell’Associazione internazionale dei lavoratori (meglio nota come Prima Internazionale) nonché di partiti socialisti in Germania, Austria, Italia, Francia e Spagna. Oltre a questo scrisse una serie di opere: Anti-Dühring; L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza; Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, che

Engels denunciò in un libro (1845) le condizioni disumane della classe operaia in Inghilterra. Qui sotto: donne al lavoro in un’industria tessile di Manchester. Al centro: il manoscritto del Manifesto del Partito Comunista di Engels e Marx (1848)

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Friedrich Engels

avvicinarono una nuova generazione al marxismo. “Se devo giudicare dall’influenza che l’Anti-Dühring ha avuto su di me”, scriveva il socialista tedesco Karl Kautsky, “nessun altro libro può aver contribuito così tanto alla comprensione del marxismo”. Nelle parole dello studioso sovietico David Ryazanov: “Tutti i giovani marxisti che sono entrati nella pubblica arena nei primi anni Ottanta, ci sono arrivati tramite questo libro”. Mentre Marx stesso si era impantanato nelle interminabili teorie economiche dei volumi II e III de Il Capitale, a Engels venne lasciato il compito di codificare la dottrina comune e precisarne l’importanza. In un certo senso, Engels fece sin troppo bene questo lavoro. Verso la fine del XIX secolo, le sue spiegazioni del marxismo vennero ulteriormente ridotte in rigide ortodossie da seguaci di mentalità ristretta. “Il pensiero generale di Marx non è tanto una dottrina quanto un metodo”, scriveva Engels a difesa del sistema filosofico che lui e Marx avevano sviluppato. “Non fornisce tanto dogmi già pronti, bensì un aiuto per ulteriori indagini e il metodo per intraprenderle”. Sfortunatamente fu proprio questo tipo di dogma che Lenin e poi Stalin assunsero per giustificare il loro brutale programma politico. Innumerevoli milioni di persone morirono nel nome di questa nuova ortodossia corrotta: il marxismo-leninismo. Un’altra vittima fu la reputazione storica di Marx ed Engels. Ma, mentre si allontana finalmente la “deviazione 60

totalitaristica” del socialismo di stato del XX secolo, è ora possibile guardare di nuovo alla vita e al lavoro di Engels. Circa vent’anni dopo la caduta del muro di Berlino (con le sole Corea del Nord e Cuba aggrappate ancora a quegli ideali), possiamo finalmente sollevare l’ombra gettata a suo tempo dall’amico di Engels, Marx e in seguito dai suoi devianti accoliti Lenin e Stalin. In tal modo si svela il ricco, contraddittorio, affascinante carattere di Engels, insieme alla straordinaria attualità della sua scrittura. Oggi l’opera di Engels offre non solo una critica penetrante del capitalismo globale, ma anche nuove prospettive sulla natura della modernità e del progresso, sulla religione, l’ideologia, il colonialismo e “l’interventismo liberale”; la teoria urbana; persino il darwinismo e l’etica riproduttiva. Molto più di un semplice “compare” di Marx, Engels è stato uno tra i più importanti e sottovalutati filosofi, Engels nel 1891. Ormai delle sue propagandisti e attivisti della moderna teorie si erano appropriati seguaci storia politica. Forse ora merita il suo dalla mentalità ristretta personale imitatore. Tristram Hunt è uno storico e giornalista inglese. Ha pubblicato il libro La vita rivoluzionaria di Friedrich Engels pubblicato in Italia da ISBN Edizioni.

BBC History Italia Giugno 2012

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Un poster della propaganda stalinista raffigurante Karl Marx, Friedrich Engels, Lenin e Stalin (1960)


N U O VA

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Il serial killer nazista Nella Berlino di Hitler l’atmosfera già tesa per i continui razionamenti e blackout si elettrizzava per l’incedere inquietante di delitti lungo la S-Bahn. Il responsabile era l’operaio delle ferrovie berlinesi, Paul Ogorzow. BBC History ricostruisce la caccia all’assassino tra preconcetti e pregiudizi razziali 62

Si tratta di uno dei serial killer meno noti, ma Paul Ogorzow (a sinistra) terrorizzò la popolazione di Berlino nel 1940-41. Il suo marchio di fabbrica era gettare le vittime sui binari della ferrovia cittadina

BBC History Italia Giugno 2012


Criminali della storia

N

ell’autunno del 1940 Berlino

era inquieta. Le spettacolari vittorie tedesche ottenute all’inizio dell’anno contro Francia e Gran Bretagna non erano bastate per “vincere” la guerra e il regime nazista dichiarava in maniera ambigua di trovarsi in una “tregua tra due battaglie”. Dovendo lavorare sotto le restrizioni dei blackout e dei razionamenti e trovandosi per la prima volta di fronte all’orrore dei bombardamenti aerei, i berlinesi vedevano l’avvicinarsi dell’inverno con notevole apprensione. A peggiorare le cose un nuovo pericolo pareva aggirarsi per le strade della capitale tedesca. Nei mesi precedenti, tre donne erano state accoltellate e altre due aggredite all’interno e nei dintorni dei distretti orientali di Rummelsburg e Karlshorst. Poi, all’inizio di ottobre,

Sangue sui binari Seguì il ritrovamento di altri cadaveri. Il 22 dicembre, la trentenne Elisabeth Bungener giaceva con il cranio fratturato vicino ai binari a Rahnsdorf. Una settimana dopo, a Karlshorst, fu scoperto il corpo della quarantaseienne Gertrud Siewert. Come le altre vittime, aveva ferite alla testa e, a quanto pareva, era stata gettata da un treno. Una settimana dopo, all’inizio di gennaio del 1941, il corpo della ventottenne Hedwig Ebauer fu trovato in circostanze analoghe vicino a Wuhlheide. Tutti e tre i casi, concluse la polizia, si adattavano al profilo delle aggressioni e degli omicidi precedenti. Si presumeva fossero tutti compiuti dall’assalitore sconosciuto, che era ormai noto a tutti a Berlino come “l’assassino della S-Bahn” (la linea ferroviaria urbana). Poi gli attacchi del killer diventarono più sporadici. Passarono cinque settimane prima che l’uomo colpisse ancora. La notte dell’11 febbraio fu rinvenuto un corpo di donna sui binari vicino a Rummelsburg. Johanna Voigt aveva 39 anni; le erano state inferte terribili ferite al capo e, come ormai si poteva immaginare, era stata gettata da un treno. La successiva, e ultima, vittima arrivò cinque mesi dopo. All’inizio di luglio del 1941, il corpo della trentacinquenne Frieda Koziol fu trovato con il cranio fratturato, nella stessa zona dove dieci mesi prima era stata uccisa la prima vittima. Tuttavia, quella stessa settimana, la polizia ebbe un colpo di fortuna. Nella lista dei cinquemila dipendenti delle ferrovie

ullstein bild–topfoto/akg images

Le autorità di Berlino non volevano dare risalto agli omicidi per paura di creare il panico nel vicino sobborgo di Friedrichsfelde venne scoperto il corpo di un’altra giovane. Gerda Ditter aveva vent’anni, era madre di due figli ed era stata strangolata e pugnalata al collo. Ben presto ci furono nuove vittime. In novembre, una donna di 30 anni fu picchiata fino a farle perdere i sensi e gettata da un treno in corsa nella zona sud-est di Berlino, non lontano dalle aggressioni precedenti. E poi, la mattina del 4 dicembre furono scoperti altri due corpi. Il primo, quello della diciannovenne Irmgard Frese, fu rinvenuto sul margine di una strada, vicino ai binari della ferrovia a Karlshorst. Aveva subito una frattura al cranio ed era stata violentata. Il secondo, quello di Elfriede Franke, infermiera di 26 anni, venne trovato con lesioni fatali alla testa a soli 500 metri di distanza dall’altro. Anche lei era stata gettata da un treno. Giugno 2012 BBC History Italia

La casa di vacanza dove la polizia trovò il cadavere di una delle vittime di Paul Ogorzow

Una banchina della S-Bahn (ferrovia urbana) berlinese, nel 1936. Cinque anni più tardi sarebbe diventata teatro di crimini orribili da parte dell’assistente segnalatore Paul Ogorzow

tedesche continuava infatti a ricorrere un nome: Paul Ogorzow, un assistente segnalatore di 28 anni della S-Bahn, che aveva suscitato il sospetto dei colleghi a causa della sua forte misoginia e dell’abitudine, nelle ore di servizio, di saltare la recinzione perimetrale e andarsene in giro. Ogorzow, che era già stato sentito una volta, fu arrestato e sottoposto a un nuovo terzo grado. Sei giorni dopo, al termine di un intenso interrogatorio, ammise finalmente gli otto omicidi, oltre a sei tentati omicidi e altri 31 casi di aggressione. L’assassino della S-Bahn era stato catturato. Quella di Paul Ogorzow è una delle storie meno note tra i resoconti sui serial killer. A parte un unico racconto semiromanzato in lingua tedesca, i suoi delitti non hanno mai attirato l’attenzione di criminologi, registi, giornalisti o storici. Gli impulsi che lo spingevano erano, a quanto pare, puramente sessuali. I suoi crimini, tuttavia, forniscono alcune indicazioni importanti, non solo sui pregiudizi ideologici dell’epoca, ma anche sulla natura stessa della vita quotidiana nella capitale di Hitler. Dato che gli ufficiali dell’unità anticrimine di Berlino - la Kriminalpolizei, o “Kripo” – alla fine riuscirono a catturare il ricercato, può 63


Delitto e castigo nel Terzo Reich

La quantità di crimini violenti era stata ridotta negli anni del Terzo Reich precedenti la guerra, in gran parte a causa dei metodi di polizia più “energici” adottati dal nuovo regime, e grazie alla ripresa generale dell’economia tedesca e al sentimento nazionale dopo il 1933. Con lo scoppio del conflitto, tuttavia, tale tendenza si invertì. Le restrizioni dell’oscuramento e del razionamento, così come le accresciute tensioni del tempo di

guerra, portarono a una recrudescenza di reati gravi, di cui la carneficina di Ogorzow nel 1940-1941 rimane forse l’esempio più saliente. Tutti i crimini in un certo senso erano “politicizzati”: non solo i poliziotti vedevano il mondo attraverso il prisma nazista, ma la criminalità era anche considerata dagli ideologi nazisti come una manifestazione della corruzione razziale e politica del popolo tedesco.

sembrare inutile e volgare criticare la loro indagine. Ma quando si considera che Ogorzow lavorava per le ferrovie, che era noto alla polizia e che quattro delle sue vittime vennero trovate nel raggio di un chilometro dalla sua abitazione, sorprende non poco sapere che ci vollero dieci mesi e otto omicidi prima che fosse catturato. Indagini farraginose A giustificazione di tutto questo si deve ricordare che la Kripo dovette affrontare una serie di ostacoli concreti durante le indagini sui

Un problema più serio, inoltre, era rappresentato dai blackout, le cui restrizioni si rivelarono una manna per i criminali di Berlino e un incubo per i poliziotti. La recrudescenza della criminalità durante il blackout era così grave che per combatterla venne creata un’unità speciale della polizia. Anche Ogorzow sfruttava il buio, inseguendo le sue vittime e fuggendo con facilità, protetto dalla notte. Fu in grado di scappare nell’ombra persino in occasione di un inseguimento da parte degli agenti della Kripo. La Kripo fu ostacolata anche dal gran numero dei cadaveri su cui doveva investigare. Le morti accidentali lungo la ferrovia durante il blackout erano un evento incredibilmente comune. Nel dicembre 1940, per esempio, mentre erano in corso le indagini sui crimini di Ogorzow, lungo le linee ferroviarie della capitale furono registrati 28 decessi, quasi una vittima per ogni giorno del mese. La stragrande maggioranza venne attribuita direttamente al blackout, dal

Un ufficiale suggerì che l’aggressore fosse un ebreo. Un altro ipotizzò che fosse un agente segreto britannico crimini di Ogorzow. Il primo è che le autorità di Berlino non volevano dare risalto agli omicidi per paura di creare il panico e diffondere notizie negative, e venne quindi autorizzata la comunicazione alla pubblica opinione solo dello stretto necessario per ogni singolo caso. Una fonte vitale di potenziali dati per gli investigatori venne così sacrificata. 64

Un sistema di classificazione per i prigionieri nei campi nazisti. Il rosso indica i prigionieri politici, il verde i criminali, il blu gli immigrati, il viola gli “studiosi della Bibbia”, il rosa gli omosessuali, e il nero gli “asociali”

i soli civili ci furono 16mila condanne a morte. Coerentemente con questo approccio brutalmente olistico, molte leggi naziste si concentravano, in primo luogo, non sul crimine bensì sulla provenienza razziale, sociale o politica del criminale. Le punizioni erano di solito inflitte secondo tale criterio, spesso utilizzando l’espediente della Schutzhaft, o “custodia protettiva”, per cui un sospetto poteva essere mandato ai campi per un tempo indefinito, senza nessuna prova e nessun diritto di appello. Quindi, era possibile che un criminale fosse arrestato dalla polizia per un reato minore, pagasse un’ammenda, venisse rilasciato, per poi essere catturato dalla Gestapo, mandato in un campo e magari ucciso, non per quello che aveva fatto, ma piuttosto per chi era.

momento che la gente attraversava i binari nel buio, senza rendersi conto del pericolo, o era investita dai treni mentre passava sui punti di raccordo coi segnalatori spenti. Gli investigatori dovettero vagliare ognuno di questi casi; i blackout costituivano un ostacolo continuo al lavoro. Oltre a questi intralci, la Kripo lavorava ovviamente in un contesto di preconcetti e pregiudizi. Il primo era l’eccessivo grado di fiducia accordato a chiunque indossasse un’uniforme oppure occupasse una posizione ufficiale o anche solo semi-ufficiale. Tale circostanza si dimostrò decisiva. Sebbene la vittima di una delle prime aggressioni di Ogorzow avesse fatto presente che il suo assalitore indossava il cappotto delle ferrovie tedesche, a quanto pare la Kripo prese in considerazione la possibilità che l’assassino fosse effettivamente un ferroviere solo molto più tardi. Dal lato opposto, gli investigatori della Kripo permettevano che i pregiudizi razziali e politici della Germania nazista guidassero le loro valutazioni sui possibili sospetti. Un ufficiale, per esempio, suggerì che l’aggressore avrebbe potuto essere BBC History Italia Giugno 2012

ullsteinbild/TOPFOTO, united states holocaust museum washington, Stapleton Historical Collection/TopFoto, topfoto

nazista sulle loro toghe, Giudici, con le insegne del Partito lino, ottobre 1936) (Ber r Hitle mostrano la loro fedeltà a

Politica e criminalità erano intimamente legate. E, secondo la visione del mondo nazista, chi trasgrediva non doveva essere rieducato e reintegrato nella società, ma asportato dal corpo sociale e politico. I colpevoli di reati lievi era previsto che espiassero i loro crimini con i lavori forzati in un campo di concentramento, mentre a chi commetteva reati più gravi spesso toccava la pena capitale: tra


Criminali della storia

ebreo, giustificando tale ipotesi con la tesi pretestuosa che un gran numero di ebrei lavorava nelle ferrovie. Un altro ipotizzò che l’assassino avrebbe potuto essere un agente segreto britannico. Altri conclusero - un po’ più ragionevolmente - che il sospetto

effettuati estesi e approfonditi controlli sul personale non tedesco che lavorava per le ferrovie. Era comunque tale la miopia ideologica e razziale della Kripo che anche quando Ogorzow fu a portata di mano sembra non sia stato preso seriamente in considerazione come sospetto. Anzi, pare piuttosto che avesse fatto una buona impressione. Fiducioso e coerente, fu descritto come “diligente e laborioso, felicemente sposato con due figli”. Appartenente al partito nazista e alle SA, Ogorzow soddisfava tutte le aspettative che il regime aveva verso un membro solido e corretto della società tedesca. Per questo motivo, le indagini su di lui vennero inizialmente sospese. Anche la confessione di Ogorzow riflette l’atmosfera deformata dei tempi. In primo luogo, pare che egli abbia creduto di poter scampare alle conseguenze penali grazie alla protezione di un amico d’infanzia,

Paul Ogorzow fu processato, condannato e ghigliottinato nella prigione di Plötzensee avrebbe potuto essere un lavoratore straniero. Berlino, nell’autunno del 1940, era invasa da lavoratori provenienti dall’estero, di solito deportati contro la loro volontà per soddisfare le esigenze di manodopera dei settori industriali e commerciali della città. Era quindi normale vedere operai italiani, francesi e polacchi nelle fabbriche della zona intorno a Wuhlheide, dove era stata trovata una delle vittime di Ogorzow. Di conseguenza, i campi degli operai stranieri furono sottoposti a coprifuoco notturno e vennero

Orgozow confessò otto omicidi, sei tentati omicidi e 31 episodi di aggressione. Vittime “esclusive” furono le donne a causa della sua forte misoginia

divenuto ufficiale delle SS. Suona ancor più sinistro che abbia sostenuto che il suo comportamento omicida era iniziato solo a seguito di un trattamento non convenzionale per la gonorrea somministratogli da un medico ebreo. Per fortuna, tale grossolano tentativo di sfruttare lo spirito dei tempi non fece breccia nella Kripo o tra i pubblici ministeri del tribunale nazista. Ogorzow, durante il processo, fu descritto come “un assassino dalla natura fredda e

calcolatrice, che sfruttava spietatamente i blackout per soddisfare le sue depravate pulsioni sessuali”. Non fu fatto alcun riferimento alle farraginose indagini della polizia. Prima della fine dello stesso mese in cui aveva commesso il suo ultimo omicidio, Paul Ogorzow fu processato, condannato e ghigliottinato nella prigione di Plötzensee. Giustizia, a quanto pareva, era stata fatta. Con il senno di poi, tuttavia, non è difficile pensare che le indagini avrebbero potuto finire molto prima se i poliziotti di Hitler non fossero stati ostacolati dalle esigenze della guerra e così gravemente accecati dal paraocchi dei pregiudizi tipico della visione nazista del mondo. Sospettati degli omicidi furono soprattutto i lavoratori stranieri presenti in gran numero a Berlino nel 1940 per soddisfare le cresciute esigenze di manodopera

Giugno 2012 BBC History Italia

Roger Moorhouse è l’autore di Uccidere Hitler (Corbaccio, 2006). Per Bodley Head ha pubblicato Berlin at War (2010).

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“Non hai niente da temere. Sarà una vacanza al sole”

ASSALTO al monastero

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NA 14999 – imperial war museum

Queste parole furono dette al soldato dello Yorkshire Geoffrey Smith prima dell’invasione dell’Italia


La battaglia di Montecassino

Doveva essere una passeggiata. Ma, come spiega Matthew Parker, il territorio ostile e la dura resistenza tedesca resero Montecassino un inferno per le truppe alleate. Ecco come sono andate le cose

Q

uando un tenente della Guardia Scozzese posò gli occhi su Montecassino, all’inizio del 1944, ne diede una descrizione molto deprimente: “Montagne inespugnabili, ovviamente piene di soldati ‘crucchi’. Vaste alture giacciono di fronte a noi, brulle e sinistre”. Le sue premonizioni si rivelarono esatte. Tra tutti i fronti della Seconda guerra mondiale, Cassino rappresentò la più amara e sanguinosa battaglia degli Alleati occidentali contro la Wehrmacht tedesca. Molti tedeschi la ritennero peggiore persino della brutale Stalingrado. A sud di Roma, fiumi dalle correnti veloci si alternano ad alte montagne. Per gli Alleati c’era un’unica via percorribile da nord in direzione della capitale italiana: l’antica via Casilina. Circa 130 chilometri a sud di Roma si trova la stretta valle del fiume Liri, il cui ingresso è dominato dal monastero di Montecassino. Le sue mura enormi poggiano sulla cima di uno sperone montuoso che s’innalza quasi 67


Batteria antiaerea inglese tra le rovine di Montecassino

Una terra deserta e ferita La città di Cassino dopo la battaglia: il paesaggio sconvolto ricordò a uno dei soldati la devastazione di Passchendaele, una delle più cruenti battaglie della Prima guerra mondiale

circa 80 chilometri oltre la Linea Gustav, ad Anzio. Un’offensiva a Cassino guidata dall’internazionale Quinta Armata del generale Mark Clark avrebbe richiamato le riserve strategiche tedesche lontano dalla zona di sbarco; sarebbe seguito uno sfondamento per riunirsi con i reparti anfibi. Davanti a Cassino i tedeschi avevano fatto saltare le dighe sul fiume Rapido e tutta la valle era ridotta a un pantano. Inoltre, gran parte del supporto aereo alleato era costretto a terra dal maltempo. Ma l’attacco

“Se avevi un paio di coperte, una la stendevi per terra sul bagnato e l’altra, sempre fradicia, te la mettevi addosso. Si dormiva così” doveva procedere rapidamente, non solo per soddisfare le pressioni di Londra e Washington, ma anche per far ritornare il prima possibile i mezzi da sbarco in Gran Bretagna per l’invasione della Normandia. Mentre i francesi e i britannici si spingevano in avanti sui due lati, la 36esima Divisione “Texas” di Clark si sarebbe fatta strada risalendo la valle del Liri. Gli attraversamenti fluviali sono un incubo ricorrente nella storia di Cassino. A sud, il Garigliano scorre verso la costa: il 18 gennaio 1944 due divisioni inglesi cominciarono a guadarlo alla luce della luna. Quando il

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barelliere dei Royal Inniskilling Jack Williams arrivò al punto di passaggio, era tutto tranquillo. “Pensammo che tutto stava procedendo senza problemi”, dice. La prima compagnia si mosse. “Non c’erano colpi di fucile e nemmeno granate, quindi iniziammo l’attraversamento. E successe il pandemonio. Mortai, cannonate da 88 mm e fuoco di mitragliatrici: ci sparavano addosso di tutto. Una confusione pazzesca. Tutti correvano e cercavano di salire sulle barche per scappare”. Williams riuscì ad attraversare su una

delle barche a otto posti, ma ben presto tutte le dodici imbarcazioni del battaglione vennero danneggiate. Ci furono colpi diretti contro le barche piene di soldati e parecchie si rovesciarono, gettando gli occupanti nell’acqua ghiacciata. Alcuni si tolsero di dosso l’equipaggiamento e riuscirono a nuotare fino alla riva. Altri andarono a fondo come pietre. Il sergente di Williams il giorno dopo gli disse che, mentre stava nuotando, aveva sentito delle mani che cercavano disperatamente di afferrargli i piedi da sotto. “Scendemmo dalle barche”, continua Williams, “e dovemmo proseguire immediatamente verso il nostro obiettivo. Non ci rimase nemmeno il tempo di fermarci un attimo sulla riva. Sentivamo le urla dei soldati colpiti che stavano dibattendosi nell’acqua. Fu una BBC History Italia Giugno 2012

Topham Picturepoint/TopFotox2 (una in aperturA), Tal/Rue des Archives

verticalmente dalla valle sottostante, attorno alla quale i fiumi hanno formato un fossato naturale. In questa roccaforte strategica il comandante tedesco, il feldmaresciallo Kesselring, aveva deciso di stabilire il suo quartier generale. Il massiccio di Cassino sul quale sorgeva il monastero, era la postazione chiave nella tedesca Linea Gustav, il sistema di difesa a incastro che correva attraverso la parte più stretta dell’Italia, a sud di Roma. I tedeschi avevano ferocemente difeso le montagne a sud di Cassino, quanto bastava per fiaccare gli assalitori, ma Hitler aveva decretato che in Italia non bisognava arretrare oltre la Linea Gustav. C’era stato parecchio tempo per preparare le difese; Kesselring era sicuro che “gli inglesi e gli americani si sarebbero rotti i denti contro di esse”. Gli Alleati dominavano il mare e l’aria e avevano una superiorità schiacciante nel numero di carri armati, ma il terreno ostile e le terribili condizioni meteorologiche vanificavano tali vantaggi. La Linea poteva essere spezzata solo dalla fanteria e la battaglia sarebbe stata uomo contro uomo, combattuta con granate, baionette e mani nude. Gli aggressori erano a conoscenza della posizione di forza di Cassino e, per rivitalizzare una campagna in stallo, organizzarono uno sbarco di mezzi anfibi


La battaglia di Montecassino

DIETRO LE QUINTE DELLA BATTAGLIA

hulton archive/getty images

A un punto morto: gli inglesi volevano combattere nel Mediterraneo ma gli americani desideravano dare inizio all’assalto attraverso la Manica. Ebbero la meglio i primi e cominciò la Campagna d’Italia “Marshall assolutamente non comprende quali tesori strategici abbiamo ai nostri piedi nel Mediterraneo e continua a mirare alle operazioni attraverso la Manica. Ammette che il nostro obiettivo dev’essere quello di eliminare l’Italia e tuttavia ha sempre paura di affrontare le conseguenze... Non riesce a vedere oltre la punta del suo naso e sta diventando esasperante”. Così scriveva Sir Alan Brooke, il comandante dell’Imperial General Staff, il più esperto ufficiale britannico, riguardo alla sua controparte nell’esercito americano, George Marshall. Alla conferenza di Casablanca del gennaio 1943, mentre a est il cerchio si chiudeva attorno a Stalingrado, i leader degli Alleati occidentali si incontrarono per discutere la prossima mossa dopo i successi della campagna d’Africa. La conferenza vide discussioni accalorate tra inglesi e americani. I loro confusi compromessi raggiunsero la propria amara conclusione a Montecassino. Gli eventi che condussero alle battaglie cruciali a sud di Roma nei primi mesi del 1944 iniziarono con la decisione del luglio 1942 di impegnare significative truppe americane e britanniche in Nord Africa. Si era dovuto accettare il fatto che per quell’anno non c’erano forze da sbarco sufficienti per un’invasione attraverso la Manica. Anche il numero dei soldati americani addestrati e già dislocati in Europa era insufficiente. Invece di lasciare passive le forze esistenti, si pensò che la cosa migliore fosse utilizzarle per liberare il Nord

Africa e fare qualcosa per aiutare i sovietici che erano sotto forte pressione. Roosevelt era determinato a porre delle forze americane in combattimento contro i tedeschi da qualche parte, al più presto. In novembre, contro il volere dei leader dell’esercito statunitense, il presidente diede l’okay all’“Operazione Torcia”, lo sbarco di truppe americane e britanniche lungo la costa nordoccidentale dell’Africa. L’Ottava Armata di Montgomery, dopo la vittoria di El Alamein il mese precedente, avrebbe attaccato da est.

VENEZIA

Avanzata Alleata

GENOVA FIRENZE PESCARA ORTONA

CASSINO

ROMA

22/09/43 BARI

ANZIO

FOGGIA

NAPOLI

BRINDISI

SALERNO

TARANTO

09/09/43

Quinta Armata USA (09/09/43)

17/08/43

PALERMO

MESSINA

REGGIO CALABRIA

03/09/43

BIZERTE

ALGERI

SIRACUSA

07/05/43 KASSERINE

Ottava Armata Inglese

TUNISI

Settima Armata USA (10/07/43)

Ottava Armata Inglese

TUNISIA

(10/07/43) MEDENINE

TRIPOLI

ALGERIA

L’invasione della Sicilia Marshall si era opposto all’operazione in Nord Africa ritenendola una dispersione delle forze. Avrebbe preferito dirigersi verso Berlino dal nord della Francia. Ora, a Casablanca, sospettava che il desiderio britannico di colpire “il ventre molle dell’Europa” fosse motivato da interessi imperialistici. Forse in parte Marshall aveva ragione, ma gli inglesi più di tutto erano tormentati dai fantasmi del fronte occidentale fin dalla generazione precedente. Churchill era deciso a ritardare l’invasione attraverso la Manica fino a che il successo nella Francia settentrionale non fosse stato più solido. Per una volta, si fece come vollero gli inglesi e la conferenza di Casablanca terminò con l’impegno all’invasione della Sicilia. Se fosse stata un successo, questa avrebbe dato agli Alleati il controllo del Mediterraneo, avrebbe riaperto la rotta Gibilterra-Suez e, speravano, avrebbe colpito duramente l’Italia, alleata della Germania, mettendola fuori dai giochi della guerra. In questo modo i tedeschi avrebbero dovuto

TOBRUK

BENGASI 12/11/42

BUERAT

Roosevelt e Churchill alla conferenza di Casablanca, 1943

Giugno 2012 BBC History Italia

MILANO TORINO

15/01/43

LIBIA EL AGHEILA

Il Mediterraneo, novembre 1942-settembre 1943

spostare delle truppe a sud, lontano dal fronte orientale e dalla Francia. Il disaccordo continuò alla conferenza del Tridente a Washington nel maggio 1943. Churchill fu costretto ad abbandonare i suoi piani di “incendiare i Balcani”, ma gli americani di mala voglia permisero agli strateghi alleati di studiare le operazioni contro l’Italia, la Sardegna e la Corsica. Gli americani ritenevano di essere stati imbrogliati riguardo all’Europa meridionale, mentre i britannici rimanevano timorosi che i loro alleati abbandonassero il teatro del Mediterraneo o, ancora peggio, tornassero alla prima strategia e dislocassero le loro forze per combattere in Giappone. La mancanza di fiducia ai più alti livelli si rispecchiava anche ai livelli più bassi, con i comandanti britannici che criticavano ferocemente la capacità militare delle truppe statunitensi, mentre i generali americani si lamentavano della mancanza di “spirito d’attacco” dei loro alleati.

In difesa della Russia Gli Alleati, di fronte agli iniziali progressi durante i combattimenti in Sicilia e all’evidenza che l’Italia stava per crollare, elaborarono la strategia di invasione della terraferma. Cinque giorni prima dell’invasione della Sicilia, la Germania aveva lanciato l’offensiva su Kursk, utilizzando quasi i tre quarti delle proprie forze disponibili sul fronte orientale.

EL ALAMEIN 23/10/42

EGITTO

C’erano reali preoccupazioni che la Russia sarebbe stata sconfitta definitivamente ed esclusa dalla guerra, e che avrebbe potuto stringere una pace separata con la Germania. Questo sarebbe stato un pesante colpo per il resto degli Alleati. Si pensò che le operazioni in Italia avrebbero trattenuto a sud parecchie truppe nemiche e come attacco principale fu stabilito un assalto anfibio a Napoli, che offriva una zona di spiagge facili per sbarcare. Più a nord di così l’aeronautica non avrebbe potuto garantire una copertura allo sbarco. Dunque le sfortunate truppe alleate si ritrovarono a combattere per risalire la stretta e montuosa penisola italiana, terreno perfetto per difendersi. “Dobbiamo assolutamente tenere le truppe continuamente impegnate”, sosteneva Churchill. “Anche una guerra di logoramento è meglio che starsene fermi a guardare i combattimenti in Russia”. La guerra di logoramento, che rievocava i peggiori momenti della Prima guerra mondiale, raggiunse il suo punto più terribile a Cassino dove oltre 100mila uomini delle truppe alleate furono sterminati o feriti mentre combattevano con l’unico scopo di tenere a sud le forze tedesche. Certamente riuscirono in questo intento, ma il costo rese la vittoria di Cassino una vittoria di Pirro.

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Ridere in faccia alle avversità: la “vacanza” si trasforma in un incubo

Il morale era alto tra i soldati delle forze di invasione che si avvicinavano a Salerno, a sud di Napoli. Il soldato proveniente dallo Yorkshire, Geoffrey Smith, che a breve avrebbe festeggiato il suo diciannovesimo compleanno, era un segnalatore dell’artiglieria nella 46esima Divisione britannica. Nel suo “primo e unico incontro con un generale” gli era stato detto: “Stiamo andando a compiere un’invasione. Non hai nulla di cui preoccuparti. Sarà come mangiare una fetta di torta. Sbarcherai nell’acqua fino alle

caviglie e avanzerai fino a riva. Sarà una vacanza, al sole”. Molti uomini erano felici di potersi lasciare indietro la sabbia, i mesi di addestramento, i giorni roventi e le notti gelide dell’Africa. Il mal di mare non costituiva un problema. Il generale Fred L. Walker, comandante della 36esima Divisione statunitense, scrisse nel suo diario: “Il mare è come il bacino di un mulino. Spero che domani sarà un giorno altrettanto calmo e tranquillo per il nostro lavoro nella baia di Salerno... Tutti sono allegri e pieni di fiducia”. Mentre si avvicinavano alle spiagge, le truppe a bordo furono informate dell’armistizio con l’Italia firmato pochi giorni prima. La notizia giunse come una sorpresa e gli uomini se ne rallegrarono. “Credo che non mi capiterà più di vedere tali scene di pura gioia”, disse un ufficiale americano. “Le ipotesi dilagarono... Saremmo entrati nel golfo di Napoli senza incontrare resistenza, con un ramo di ulivo in una mano e un biglietto per l’opera nell’altra”. Dopo un feroce combattimento a Salerno, dove gli Alleati

situazione tremenda, tutti erano in preda al panico”. I soldati britannici che scamparono al guado del fiume si ritrovarono a risalire passando nel mezzo di un ampio campo minato. L’alto comando tedesco era sufficientemente preoccupato da aver spostato le proprie riserve a sud, aprendo la strada allo sbarco degli Alleati ad Anzio. Gli americani più a nord, che cercavano di superare il fiume Rapido di fronte alla valle del Liri, andarono incontro al disastro totale. Ancor prima di raggiungere il fiume, diverse truppe furono sterminate o ferite dalle mine e dal fuoco dell’artiglieria. Trasportando le barche pesanti nel buio attraverso fangosi accessi al fiume, alcuni

rischiarono di essere respinti in mare, “la bella Italia piena di sole” si trasformò in un tragico scherzo. Con l’arrivo dell’inverno le truppe soffrirono di congelamenti e malattie. Ci fu un’epidemia di diserzioni tra i soldati britannici e americani, che in gran parte si consideravano dei civili in uniforme e disprezzavano la retorica su Dio e la Patria. Le loro preoccupazioni erano, come disse uno scrittore, quelle degli uomini primitivi: il cibo, il riparo, il calore. Molti furono aiutati psicologicamente dalle lettere che ricevevano da casa. Nulla poteva abbattere un soldato di fanteria della prima linea quanto la mancanza di notizie dai suoi cari. Molti, quando potevano, scrivevano due o tre lettere al giorno ai familiari. Le lettere offrivano alle truppe una finestra sul proprio passato; scrivere era considerato un passatempo sano e un modo per trovare rifugio nella vita privata e per sconfiggere la noia. Diverse lettere chiedevano che venissero inviati libri e giornali. Come disse Bill Maudlin: “I soldati al fronte leggevano le

degli uomini, tra cui molte giovani reclute appena arrivate, furono presi dal panico o fuggirono. Quelli che guadagnarono il fiume, trovarono la più totale confusione. Il fuciliere Buddy Autrey racconta che la sua barca venne travolta verso valle. Gli uomini che vi erano dentro, che pagaiavano disperatamente, vennero catapultati nel fiume quando la barca si capovolse. Anche se appesantito dall’attrezzatura, Autrey cercò di aiutare un giovane che stava lottando per rimanere a galla: “Il nostro equipaggiamento si bagnava e ci tirava giù”, dice Autrey. “Dovetti lasciar andare il giovane, che annegò... Otto su dodici di noi affogarono e quattro nuotarono verso la riva tedesca”. Bagnati, gelati e senza armi, i quattro uomini

Entrambe le parti in guerra lanciavano volantini propagandistici per abbattere il morale e per incoraggiare le truppe a fingere malattie o anche a disertare

etichette delle razioni K, tanto per leggere qualcosa”. Anche i volantini della propaganda nemica venivano analizzati con attenzione. Molti di coloro che combatterono nella campagna d’Italia si innamorarono del Paese e simpatizzarono con i civili del luogo. Tuttavia nessuno la considerò una destinazione positiva. Come disse un veterano dell’Ottava Armata: “Questa è vera guerra; al confronto l’Africa è stata un picnic”.

cercarono invano di gridare per ottenere aiuto dalla sponda alleata del Rapido. Coloro che passarono il fiume vennero inchiodati dalle forti difese tedesche e non si riuscì a dare loro manforte. La battaglia finì dopo due notti e gli unici americani sulla riva di Cassino erano stati presi prigionieri. Tutto era andato a senso unico. Le forze combattenti della 36esima Divisione erano annientate. I giornali degli Stati Uniti descrissero quel che era avvenuto come il peggior disastro dopo Pearl Harbor. Continuando l’offensiva Lo sbarco ad Anzio avvenne praticamente senza trovare resistenza, ma Clark dovette continuare ad attaccare Cassino per crearsi

Timeline: la Campagna d’Italia 1943-45

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9 Settembre 1943

1 Ottobre 1943

13 Ottobre 1943

17 Gennaio–9 Febbraio 1944

Le forze d’invasione alleate sbarcano a Salerno. Dopo cinque giorni di violenti combattimenti, i tedeschi, che avevano inflitto gravi perdite, iniziano una lenta ritirata verso nord.

Napoli cade in mano agli Alleati. Completamente distrutta e saccheggiata dai tedeschi, la città è piena di civili affamati. Un’epidemia di tifo è seguita da una grave diffusione di gonorrea.

L’Italia dichiara guerra alla Germania. A causa di una carenza nell’equipaggiamento, l’esercito italiano si impegna in rari combattimenti ma svolge importanti incarichi sul fronte dei trasporti per conto degli Alleati.

La prima battaglia di Cassino: la Decima Armata britannica attraversa il Garigliano; la 36esima Divisione statunitense è massacrata sul Rapido; la 34esima Divisione statunitense attacca la città e il massiccio di Cassino; le forze francesi nordafricane rompono la Linea Gustav a nord di Cassino.

imperial war museum

The D-Day Dodgers Guardandosi attorno sulle colline tra la nebbia e la e pioggia. Si vedono ovunqu za delle croci alcune sen nome. Dolore, fatica e sofferenza sono finiti. no a I ragazzi lì sotto continua ers dg Do dormire. Sono i D-Day che rimarranno in Italia.


La battaglia di Montecassino

un varco verso la testa di ponte attaccanti sulla Linea Gustav, prima che i tedeschi potessero l’operazione ora dettava i tempi di contrattaccare. Mentre sollecitava tutto quanto avveniva a Cassino. le divisioni francesi del Nord Era Anzio ora a guidare. Africa dislocate a nord di Cassino Il 15 febbraio l’antico a mantenere alta la pressione, monastero di Montecassino venne Clark ordinò alla 34esima attaccato con enormi e pesanti Divisione di impadronirsi della bombardamenti. Oltre a fornire città e del monastero. I progressi ai tedeschi materiale per la furono lenti, fino a quando una propaganda, il bombardamento fitta nebbia permise alle truppe fu un errore tattico. A causa della di aggirare le postazioni tedesche difficoltà di raggiungere la e conquistare le alture dietro montagna isolata, gli Alleati non l’abbazia. Ne derivò una settimana avevano truppe pronte ad agire di aspri combattimenti, con gli come rincalzo. americani che cercavano di avanzare lungo il crinale dietro Una postazione ideale al monastero e i tedeschi che I tedeschi, che non avevano contrattaccavano duramente. occupato il monastero, si Un soldato alleato prende la mira tra le rovine di un edificio di Montecassino “Non ci fu un singolo momento spostarono ora tra le rovine, il che senza colpi di mortaio fornì loro una posizione difensiva avevi un paio di coperte, una la stendevi per intermittenti o continui” dice il soldato ideale. Quando, quella notte, le truppe inglesi terra sul bagnato e l’altra, sempre fradicia, te americano Don Hoagland. “I nemici della Quarta Divisione Indiana avanzarono, continuavano a contrattaccare, quasi sempre la mettevi addosso. Si dormiva così”. vennero respinte. La notte seguente una forza Quando gli uomini della Quarta Divisione maggiore tentò di nuovo. “I Sepoy (i militari di notte, e arrivavano in silenzio per Indiana giunsero a dare respiro ai resti delle avvicinarsi il più possibile. Tutto a un tratto dell’India arruolati nell’esercito britannico) forze americane sul massiccio si muovevano come tigri”, riferisce un di Cassino, anche i veterani più testimone oculare, “ma la collina, il filo insensibili rimasero scioccati. spinato e il feroce fuoco difensivo ebbero la C’erano corpi mutilati sparsi in meglio anche su di loro. Le vittime furono giro e molti sopravvissuti erano moltissime”. Nella valle del Rapido, il troppo storditi dal freddo e battaglione Maori della neo-arrivata Seconda semiparalizzati dopo aver Divisione Nuova Zelanda prese d’assalto la cercato riparo dietro bassi muri stazione ferroviaria, ma non fu in grado di in pietra per poter camminare. resistere contro i carri armati tedeschi. Alla Vennero scelti i migliori soldati fine della seconda battaglia di Cassino, due britannici e indiani dell’Ottava Armata per vedevi corpi in movimento. Ogni sera c’era formazioni d’élite degli Alleati erano state “finire il lavoro”. un nuovo attacco. Alla fine la stanchezza ti Era essenziale fare stroncava più di tutto il resto”. in fretta, dato che Anche le condizioni climatiche sfinirono Truppe neozelandesi cercano di farsi l’intelligence segnalava i soldati, tanto quanto il fuoco nemico. Il 4 strada tra le macerie di Cassino un massivo contrattacco febbraio il tempo peggiorò e ci fu una fitta tedesco sulla testa di nevicata, che aumentò la disperazione degli ponte di Anzio previsto uomini già bagnati fradici dalla pioggia per il 16 febbraio. gelata. I colpi di mortaio, oltre che causare Originariamente vittime, impedivano ai soldati di dormire. “Te ne stavi lì durante la notte in quella buca pianificata con lo scopo di supportare gli poco profonda”, ricorda Hoagland, “e, se

imperial war museum, Topham Picturepoint/topfoto

Il 15 febbraio l’antico monastero fu bombardato. Oltre a fornire ai tedeschi materiale per la propaganda, il bombardamento fu un errore tattico

22 Gennaio 1944

15–18 Febbraio 1944

Lo sbarco di Anzio. La Sesta Armata statunitense sbarca con successo, ma si trincera lì invece di continuare fino ai Colli Albani. La testa di ponte è subito isolata dalle forze tedesche.

La seconda battaglia di Cassino: il monastero viene bombardato, dopodiché giungono gli attacchi della Quarta Divisione Indiana sulla collina del Monastero e del Battaglione Maori della Seconda Divisione di Fanteria neozelandese sulla stazione di Cassino. Entrambi gli attacchi falliscono.

Giugno 2012 BBC History Italia


decimate senza aver conquistato nulla. Come previsto, il 16 febbraio i tedeschi lanciarono un massivo attacco sulla testa di ponte di Anzio. L’offensiva fallì per un soffio, ma il generale Alexander, comandante supremo degli Alleati, ordinò ai suoi uomini di attaccare nuovamente Cassino. Questa

superstiti resi folli dalle esplosioni annaspavano storditi fino a quando non venivano anch’essi colpiti. “Anche se la città sembrava essere stata rastrellata da un pettine mostruoso e picchiata da un martello gigante”, un numero sufficiente di soldati che la difendevano sopravvisse per combattere quando i neozelandesi si fecero strada tra le macerie e dentro di essa. Seguirono alcuni dei combattimenti più brutali dell’intera campagna. “Non c’erano limiti”, dice uno dei paracadutisti. “La regola praticamente era: tu o io”. Sulla montagna alle spalle della città stava avvenendo un assedio in stile medievale da parte delle truppe indiane che cercavano di farsi strada sulle strettissime curve verso il monastero. Dopo sei giorni di scontri i neozelandesi non erano riusciti a liberare la città e ad aprire la strada verso la valle del Liri e il monastero rimaneva in mano tedesca. I paracadutisti, ora che si erano meritati l’appellativo di “diavoli verdi di Cassino”, avevano dato il meglio di sé. “Purtroppo stiamo combattendo contro i migliori soldati del mondo” si lamentava Alexander. “Che uomini! Non credo che altre truppe avrebbero potuto reggere, a eccezione di quei parà”. Il loro successo non colpì solo gli Alleati. In Germania ebbe un impatto ancora maggiore. Un rapporto segreto del Servizio di Sicurezza delle SS dichiarava: “Il progresso dei combattimenti in Italia è l’unica cosa al momento che ci dà motivo di sperare che ‘possiamo ancora farcela’. Ha dimostrato che siamo allo stesso livello di avversari di gran lunga più numerosi”. Il monastero di Montecassino aveva assunto un’importanza simbolica della volontà e dell’abilità tedesca.

“Non ce la faccio, non ce la faccio. Si teneva il capo fra le mani e piangeva. Quando finirà tutta questa follia?”

Mezzo milione di mine rimasero tra le rovine della città e del monastero di Montecassino

Le truppe americane sbarcano a Salerno, 1943

L’amara fine Passarono circa due mesi prima che Alexander attaccasse nuovamente e alla fine almeno alcune delle lezioni dei cinque mesi precedenti parvero essere state di utilità. Questa volta niente sarebbe avvenuto di fretta. Al contrario, gli Alleati furono contenti di aspettare fino ad avere una netta superiorità numerica e fino a quando il terreno si fosse asciugato abbastanza da poter schierare i mezzi corazzati. L’11 maggio un grosso bombardamento ebbe inizio quando le truppe alleate attaccarono lungo tutti gli oltre 30 km da Cassino al mare. Nelle prime ventiquattr’ore

11 Maggio–5 Giugno 1944 15–23 Marzo 1944 La terza battaglia di Cassino: la zona della città di Cassino viene bombardata. Le forze neozelandesi e la Quarta Divisione Indiana attaccano la città e il monastero. Alla fine, due terzi della città sono in mano degli Alleati, ma la strada per Roma rimane bloccata.

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La quarta battaglia di Cassino: un massivo bombardamento dell’artiglieria preannuncia un attacco alleato da Cassino fino al mare. La mattina del 18 maggio il monastero viene occupato da una pattuglia polacca.

General Mark Clark (1896–1984)

BBC History Italia Giugno 2012

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volta, le truppe della Nuova Zelanda avrebbero preso la città da nord, mentre la Divisione Indiana avrebbe tentato l’attacco al monastero dalle pendici orientali. Ma arrivò il maltempo e gli uomini rimasero in attesa per tre settimane nelle loro postazioni avanzate. Quando fu dato il via libera, il 14 marzo, un altro grosso contingente di aerei apparve nel cielo. Cassino, fortificata pesantemente dai tedeschi, venne rasa al suolo da ondate di bombardamenti. La città era presidiata da circa trecento uomini della Prima Divisione Paracadutisti tedesca. “Cadevano sempre più bombe”, riferì uno di loro. “Capimmo che volevano annientarci. La luce del sole si affievolì. Discese uno strano crepuscolo. Pareva la fine del mondo. I compagni erano feriti, venivano sepolti vivi, tirati fuori e poi sepolti un’altra volta. Interi plotoni e squadre furono distrutti dai colpi. Gruppi di


La battaglia di Montecassino

Topham Picturepoint/topfoto

Soldati tedeschi fatti prigionieri dagli Alleati durante la battaglia di Montecassino

l’esito rimase in bilico. Un contingente polacco, costituito da uomini deportati da Stalin in Siberia, fu respinto con immense perdite; nella valle sottostante fallirono i tentativi di attraversare il Rapido; a sud, le forze americane e francesi-nordafricane riuscirono con fatica a conquistare i loro obiettivi iniziali. La notte successiva gli ingegneri britannici, sotto un fuoco costante, costruirono un “Bailey Bridge” - un ponte a pannello – sul Rapido mentre le truppe nordafricane dell’esercito francese superavano le montagne fino a sud della valle del Liri. Seguì una dura settimana di combattimenti confusi, sanguinosi e

logoranti. “Fin dall’inizio abbiamo attaccato, attaccato, attaccato”, scrisse disperato alla moglie il caporalmaggiore inglese Walter Robson. “Stavamo seduti nelle nostre buche a tremare. Hicky ha ceduto l’altro giorno, ora è toccato a Gordon... Prima è andato fuori di senno e gridava: ‘Non ce la faccio, non ce la faccio. La mia testa, la mia testa’. E si teneva il capo tra le mani e piangeva. Io gli passavo un fazzoletto bagnato sulla fronte, sul collo e sugli orecchi e cantavo per lui... Quando, quando, quando finirà tutta questa follia?”. Quando videro i francesi fare capolino dalle montagne alla loro destra e capirono di avere di fronte i nemici in superiorità

numerica, i tedeschi iniziarono la ritirata. Sul punto di essere circondati, gli stremati paracadutisti si ritirarono la notte del 17 maggio. Il mattino dopo una pattuglia polacca arrivò tra le rovine del monastero. Le truppe alleate quasi non si resero conto della vittoria dal momento che altri continuarono a combattere verso nord. “Non aspettarti lettere normali da parte mia, perché io stesso per qualche tempo non sarò normale”, scrisse Walter Robson alla moglie. “I giornali sicuramente stanno esaltando le nostre conquiste, ma noi non lo facciamo... Siamo tutti in piedi, ridotti a un fascio di nervi... Nessuno si sente di esultare”. Storico e scrittore, Matthew Parker (www.matthewparker.co.uk) è autore di Monte Cassino (Headline, 2004)

4 Giugno 1944

4 Agosto 1944

20 Ottobre 1944

29 Aprile 1945

Le truppe americane entrano a Roma a seguito della decisione del generale Clark di entrare in città piuttosto che isolare la fuga della Terza Armata tedesca. Il giorno dopo Clark sfila attraverso la città.

Le forze tedesche si ritirano da Firenze e iniziano a occupare posizioni sulla Linea Gotica. Le forze francesi e la Sesta Armata statunitense a questo punto vengono dislocate dall’Italia per sbarcare nel Sud della Francia. L’offensiva in Italia langue.

Il clima invernale blocca le operazioni a sud di Bologna fino all’offensiva finale degli Alleati che inizia il 5 aprile 1945.

I comandanti tedeschi in Italia chiedono l’armistizio, che diviene effettivo il 2 maggio. La Guerra finirà pochi giorni dopo.

Giugno 2012 BBC History Italia

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D&R Domande&Risposte

a cura di Elisabetta Di Minico

Che differenza c’è tra Menhir, Dolmen e Cromlech?

Durante il Neolitico, in gran parte dell’Europa Occidentale vennero eretti dei monumenti megalitici, i quali, oltre che luoghi sepolcrali, spesso collettivi, erano presumibilmente anche luoghi di culto, le cui costruzioni e posizioni erano influenzate da studi astronomici o propiziatori. I Menhir (dal bretone, “pietra lunga”) erano singoli e colossali

monoliti infissi verticalmente nel terreno, come i 2935 conservati nella città bretone di Carnac, in Francia, o le Frecce del Diavolo nel North Yorkshire, in Gran Bretagna. I Dolmen (dal bretone, “tavola di pietra”), invece, erano simili a dei portali ed erano formati da due o più macigni verticali su cui poggiava un blocco orizzontale, come il Sa Coveccada a Mores, in Sardegna, o il

Kilclooney ad Ardara, in Irlanda. I Cromlech (dal bretone “rotondo di pietra”), infine, erano delle imponenti strutture di forma circolare che richiamavano simbolicamente il Sole, come il suggestivo e maestoso Stonehenge, a pochi chilometri da Salisbury, in Inghilterra, che continua dopo millenni a intrigare gli studiosi che cercano di svelare il loro significato.

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Qual è il complesso mitologico più rappresentato nelle costellazioni?

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Il geografo e astronomo greco Claudio Tolomeo (II sec. d.C), nel suo trattato Almagesto, individuò nella volta stellata dell’emisfero boreale 48 costellazioni che, spesso, richiamavano figure leggendarie, come Orione o Ercole. Il mito più rappresentato nel cielo tolemaico è quello che narra dell’arroganza di Cassiopea e della sua punizione. Cassiopea, regina d’Etiopia, moglie del re Cefeo e madre di Andromeda, era una delle cinquanta Nereidi, le ninfe figlie della divinità d’acqua Nereo. Dal carattere vanitoso, un giorno affermò di essere la più bella tra le sue sorelle, le quali, irate, si rivolsero a Poseidone in cerca di vendetta. Dato che il dio del mare era sposato con una di esse, Anfitrite, decise di punire la

sfrontatezza della cognata e inviò Cetus, una sorta di mostruosa balena, a distruggere le coste dell’Etiopia. Un oracolo profetizzò che per placare la sua ira si dovesse sacrificare la figlia di Cassiopea. Andromeda, pronta ad adempiere al suo destino, fu legata a una scogliera, ma venne salvata in extremis da Perseo, eroe nato da Zeus e Danae. In groppa a Pegaso, il cavallo alato generato dal sangue di Medusa, uccise la feroce creatura, riportò la pace alle martoriate terre di Cefeo e, naturalmente, sposò la fanciulla che aveva difeso. Nelle notti serene e nitide, è possibile rivivere questa rocambolesca avventura con il naso all’insù: Cassiopea, Cefeo, Andromeda, Perseo, Pegaso e persino la balena, Cetus, infatti, hanno un loro posto tra stelle. BBC History Italia Giugno 2012


Gli esperti rispondono Ci sarà la fine del mondo nel 2012? Quando fu introdotto l’uso della forchetta? Da dove arriva la parola “Robot”? Cos’è la Spada della Clemenza?

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D&R Inviate le vostre domande redazione@bbchistory.it BBC History Italia Via Torino 51 20063 Cernusco sul Naviglio (MI)

È vero che si è combattuta una guerra dell’oppio?

L’inventore della “pellicola a impressione contemporanea di immagini e suoni” fu un italiano, il messinese Giovanni Rappazzo (1893-1995). Figlio del proprietario di un cinema e diplomato come perito industriale, nel 1921 depositò il brevetto di quello che aveva chiamato “Fonofilm”, ma sfortunatamente, alla sua scadenza, il 30 marzo 1924, non riuscì a rinnovarlo. La sua idea fu, in seguito, ripresa dalla più importanti case di produzione americane. Il primo film con il sonoro sincronizzato fu “Don Giovanni e Lucrezia Borgia” (1926), mentre il primo film parlato fu “Il Cantante Jazz” (1927), entrambi della Warner Bros. Rappazzo ha lottato tutta la vita per vedersi riconosciuta la paternità dell’invenzione che ha rivoluzionato la storia del cinema. Un anno prima della sua morte è stato insignito con la nomina di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per aver brevettato per primo l’idea del cinema sonoro. Giugno 2012 BBC History Italia

È la stima delle vittime dell’influenza Spagnola, la pandemia che afflisse l’intera popolazione mondiale nel 1918 e nel 1919

Chi ha inventato il cinema sonoro?

50milioni

Il Trattato di Nanchino, firmato tra Cina e Gran Bretagna il 29 agosto 1842, pose fine alla Prima guerra dell’oppio, conflitto scoppiato tra le due nazioni nel 1839 in seguito a un’escalation di controversie commerciali, principalmente a causa della massiccia importazione illegale di oppio dall’India verso l’Impero Qing. Gli inglesi, infatti, beneficiavano economicamente dello spaccio della droga prodotta nella loro colonia, mentre la Cina, a causa dall’aumento della tossicodipendenza nel Paese, aveva già da tempo proibito la vendita e il consumo della sostanza. La superiorità militare britannica, però, costrinse la potenza asiatica a negoziare: il governo fu costretto a pagare un lauto risarcimento, ad aprire al commercio straniero diversi porti, tra cui Shangai, nonostante la politica ufficiale avesse sempre cercato di limitare le mire espansionistiche europee, e a cedere in uso perpetuo Hong Kong alla Gran Bretagna. Soltanto nel 1984 venne firmato un accordo congiunto che stabilì il ritorno della città alla Cina nel 1997.

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D&R Domande&Risposte Cosa si intende per la Notte dei Lunghi Coltelli?

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La Notte dei Lunghi Coltelli è l’espressione con cui si ricordano una serie di cruenti avvenimenti verificatisi in Germania dal 30 giugno al 2 luglio 1934. Adolf Hitler, non ancora Cancelliere, ordinò l’epurazione dei vertici delle SA, Sturmabteilung (Battaglione d’Assalto), un reparto paramilitare nazista guidato da Ernst Röhm e di altre figure politiche invise al regime. Le SA erano un gruppo fortemente estremista e agitatore, ancora desideroso di rivoluzione e contrario al controllo governativo. Il futuro Führer, invece, aspirava a legalizzare il suo potere e a ottenere l’appoggio del presidente Hindenburg e dell’esercito. I maggiori esponenti dell’organizzazione, tra cui il già citato Röhm, August Schneidhuber, Peter von Heydebreck e Hans Erwin von SpretiWeilbach, in procinto di riunirsi presso presso l’Hotel Hanslbauer di Bad Wiessee, vicino Monaco, furono freddati sul colpo, arrestati o giustiziati nelle successive 72 ore dalle SS, Schutzstaffel (squadre di protezione), la milizia personale di Hitler. A Berlino, invece, furono uccise diverse personalità, tra cui Gregor Strasser, uno dei primi leader della NSDAP, e Kurt von Schleicher, Cancelliere del Reich dal 1932 al 1933. Il numero delle vittime della Notte dei Lunghi Coltelli rimane tuttora sconosciuto ed è stimato intorno ad alcune centinaia.

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I piccioni sono eroi di guerra? Il piccione è l’animale-messaggero per antonomasia fin dall’antichità. Stando a quanto riporta Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, i colombi venivano utilizzati come corrieri di dispacci militari già in epoca romana. Durante la Prima e la Seconda guerra mondiale furono largamente impiegati per corrispondenze e, grazie a una particolare imbracatura per la fotocamera, per ricognizioni fotografiche. In diverse nazioni, questi pennuti sono diventati eroi e sono stati omaggiati con delle statue in ricordo del loro sacrificio. Nel 1931 fu inaugurato a Bruxelles il monumento Au Pigeon Soldat 1914-1918, dello scultore V. Voets, mentre nel 1936 a Lille fu costruito Au Pigeon Voyager de la guerre 1914-1918, dello scultore A. Descatoire. È celebre il caso del piccione femmina Cher Ami, impiegata a Verdun dall’esercito americano, sempre durante la Grande Guerra. Nell’ottobre del 1918, durante l’Offensiva della Mosa-Argonne, nonostante fosse gravemente ferita, riuscì a consegnare un messaggio di vitale importanza che permise di salvare circa 200 uomini della 77esima Divisione Fanteria statunitense. Fu insignita con una medaglia al valore, la Croix de Guerre francese. BBC History Italia Giugno 2012


Domande&Risposte D&R Quante possibilità ci sono che ci sia la fine del mondo nel 2012 o nel 2036? L’ipotesi che la Terra possa finire nel 2012 non è mai stata scientificamente credibile. L’idea si deve a una interpretazione “catastrofista” del calendario Maya cosiddetto di “Lungo computo”. Questo misurava il tempo complessivamente trascorso dalla creazione secondo la mitologia Maya, datata intorno all’anno 3114 a.C. del calendario gregoriano. Il lungo computo dei Maya prevede, per il 21 dicembre 2012, il completamento di un ciclo temporale (b’ak’tun), precisamente il tredicesimo. Secondo il corpus mitologico del popolo centroamericano, la conclusione di tale ciclo sarebbe corrisposta alla decisione degli dei di distruggere la precedente creazione, ritenuta fallimentare. Per analogia, tale distruzione dovrebbe

dunque verificarsi di nuovo. A supporto di quest’ipotesi sono stati invocati meccanismi per nulla plausibili come la collisione della Terra con un fantomatico pianeta Nibiru (tuttora non avvistabile) o l’inversione magnetica terrestre (che tuttavia impiega circa 7mila anni per avere luogo). I Maya stessi non credevano a questa interpretazione escatologica ed esistono iscrizioni che si riferiscono a date posteriori al 21 dicembre prossimo. Per quanto riguarda il 2036, le notizie sono altrettanto buone. L’ipotesi di una fine del mondo in quell’anno si deve alla scoperta dell’asteroide Apophis, di circa 270 metri di diametro. Al momento della sua scoperta, nel 2004, la traiettoria di Apophis aveva portato a credere a un probabile impatto con la Terra

nel 2029. Calcoli successivi esclusero l’impatto in quella data ma determinarono che l’asteroide avrebbe potuto passare in una sottile fascia, dello spessore di soli circa 600 m, dove l’attrazione gravitazionale della Terra avrebbe causato una flessione dell’orbita dell’asteroide e un suo impatto sul nostro Pianeta al successivo passaggio orbitale, precisamente il 13 aprile del 2036. Ciò fece sì che si mantenesse un elevato livello di guardia sull’asteroide fino al 2006, quando fu determinato che la probabilità di un passaggio dell’asteroide attraverso quell’area cruciale era, in effetti, molto bassa. Secondo calcoli che sono stati nuovamente condotti nel 2009, la probabilità di un impatto di Apophis sulla Terra nel 2036 è di 1:250mila.

Perché il Galateo si chiama così?

Lo sapevate…?

Il Galateo è un trattato didascalico scritto da monsignor Giovanni della Casa (1503-1556), in cui vengono suggerite le norme di comportamento più idonee e raffinate da tenere in molteplici situazioni, anche quotidiane e comuni, come le buone maniere da osservare a tavola o il modo corretto di rivolgersi a un interlocutore. L’opera risale probabilmente al 1551 e fu pubblicata postuma, nel 1558. Il titolo originale, Galateo overo dei Costumi, è un omaggio a un amico e consigliere dell’autore, Galeazzo Florimonte (1478-1567), vescovo di Aquino e Sessa Aurunca, il cui nome latino era appunto Galatheus.

Stando a quanto afferma Cristoforo Colombo nel suo giornale di bordo, tramandatoci grazie ad una copia cinquecentesca del vescovo Bartolomeo de Las Casas (1484-1566) e conservato nell’Archivio Generale delle Indie di Siviglia, il primo uomo ad avvistare le coste dell’attuale San Salvador, in quei fatidici giorni dell’ottobre 1492, fu un certo Rodrigo de Triana, marinaio andaluso che si trovava a bordo della Pinta e di cui non è stato possibile ricostruire la vita. Nel diario, infatti, si legge: “Ed essendo la caravella Pinta la più spedita e veleggiando dinanzi all’Ammiraglio, trovò terra e fece i segnali che l’Ammiraglio medesimo aveva ordinato. Avvistò per primo terra un marinaio che si chiamava Rodrigo de Triana anche se l’Ammiraglio (Colombo), alle dieci di sera, stando sul castello di poppa, vide una luce, ma fu cosa sì poco certa che non ardì affermare essere terra...”

Quali sono le differenze tra la croce ortodossa e quella cattolica?

Che cos’è il Rasoio di Ockham?

La croce è il simbolo cristiano per eccellenza e raffigura in forma stilizzata il patibolo di Gesù Cristo. Nella tradizione ortodossa, la croce è a otto bracci: al corpo centrale sono aggiunte tre traverse e non una sola, come in quella cattolica. La prima, in alto, indica il titulus crucis, ovvero il motivo della condanna, il tristemente famoso I.N.R.I., Gesù Nazareno Re dei Giudei. La seconda, intermedia e di lunghezza superiore alle altre, coincide con l’asse orizzontale della nostra croce e rappresenta le braccia del figlio di Dio. L’ultima, inferiore, richiama i piedi di Cristo, che, secondo la versione ortodossa, non furono crocifissi sovrapposti con un solo chiodo, ma separatamente con due, ed è obliqua. La parte più alta si rivolge al Paradiso, verso cui era diretto il Buon Ladrone, mentre la parte bassa all’Inferno, che aspettava il Cattivo Ladrone. Giugno 2012 BBC History Italia

Guglielmo di Ockham (1290 ca.-1349) fu un filosofo e frate francescano inglese, l’ultima figura rilevante della Scolastica. L’omonimo Rasoio non è uno strumento, ma un postulato metodologico che invita a “tagliare” metaforicamente le ipotesi più complicate e non empiriche di una data analisi, quando questa abbia già a disposizione una soluzione semplice e verificabile. In altre parole, spesso, c’è bisogno di economia di pensiero: la risposta più plausibile a una domanda è quella più ragionevole, senza bisogno di astrusità. Questo procedimento nacque dalla critica della Metafisica tradizionale e aristotelica, che, secondo il filosofo, speculava su concetti astratti e perdeva di vista l’evidenza. Le sue teorie erano mosse da ciò che è stato definito volontarismo teologico, ovvero l’idea che la volontà divina sia totalmente indecifrabile ed esuli dalla logica umana. Invece di ricercare la ragione metafisica dei fenomeni, che non è conoscibile, Guglielmo di Ockham suggeriva di ricercare come essi avvengano, aprendo così la strada al pensiero scientifico moderno. 79


D&R Domande&Risposte Quando e dove è stata fondata la prima Università?

La prima università al mondo è l’Università-Moschea Al-Karaouine di Fès, in Marocco. Il complesso religioso ed educativo fu fondato nell’859 d.C. da una donna di fede islamica, Fatima al-Fihri (?-880), figlia di un ricco mercante, e prese il nome dalla città di provenienza della sua creatrice, Kairouan, nell’antica Ifriqiya, territorio corrispondente all’attuale Tunisia. Tra i suoi studenti illustri si ricordano il filosofo e medico ebraico Mosè Maimonide (1135-1204) e il geografo berbero Al-Idrisi (1099 circa-1164), autore di

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Quando è stato introdotto l’uso della forchetta in Europa?

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importanti cartografie, tra cui la famosa raccolta contenuta nel cosiddetto Libro di Ruggero, dedicato al re normanno Ruggero II (1095-1154), che lo aveva accolto nella sua corte in Sicilia. Anche il secondo ateneo della storia è di origine araba: tra il 970-988, infatti, nacque l’Università Al-Azhar del Cairo. In Europa questi fondamentali centri di studio sorsero a partire dall’XI secolo. Terza al mondo e prima in Europa, nel 1088 fu istituita l’Università di Bologna, a cui seguirono nel 1090 l’Univesità di Parigi e nel 1096 la celebre Università di Oxford.

La forchetta compare nelle corti europee soltanto tra il XV e il XVI secolo, perchè prima di allora, era consuetudine mangiare principalmente con le mani. Una primissima apparizione dell’oggetto risale all’XI secolo: la principessa Maria, nipote dell’imperatore bizantino Costantino VIII (960-1028) e sposa di Giovanni, figlio del doge veneziano Pietro Orseolo II (960 circa-1009), aveva l’abitudine di portare il cibo alla bocca con una forchetta d’oro di provenienza orientale. Un’altra tradizione vuole, invece, che la principessa bizantina a promuovere lo strano manufatto fu Teodora, sorella dell’imperatore Michele VII (1050-1090) e moglie del doge della Serenissima Domenico Selvo (?-1087). Diverse autorità religiose, tra cui l’austero e integerrimo frate Pier Damiano (1007-1072), però, ne condannarono l’utilizzo, anche perchè la sagoma della forchetta richiamava forme demoniache. In Italia, comunque, si può riscontrare un suo uso comune già dal XV secolo, presumibilmente prima che in ogni altro paese dell’Europa. Nel famoso quadro Nastagio degli Onesti, dipinto da Sandro Botticelli (1445-1510) nel 1483, per esempio, si può notare che i commensali raffigurati adoperavano la posata. Da Firenze, attraverso Caterina de’ Medici (1519-1589), moglie di Enrico II (1519-1559), il particolare utensile fu introdotto in Francia, ma non fu sempre benvisto. Luigi XIV (1638-1715), per esempio, preferiva usare le mani per mangiare e decise di adottare la forchetta nei pranzi ufficiali solo quando la sua corte si trasferì a Versailles, nel 1684. Pare, invece, che Carlo V (1500-1558) apprezzasse molto le forchette e che divenne addirittura un loro collezionista. Nel Regno Unito l’oggetto rimase sconosciuto fino al XVII secolo: nel 1611 uno scrittore inglese, Thomas Coryat (1577-1617) scoprì la sua esistenza dopo un soggiorno in Italia e ne rimase così colpito che, tornato in patria, cercò di introdurla in Inghilterra, meritandosi il soprannome di “Fork”. L’affermazione della forchetta nella storia non fu semplice e uniforme. La Chiesa rimase una sua convinta avversaria per molto tempo e ne permise l’utilizzo senza remore nelle varie istituzioni religiose solo a partire dal XVIII secolo. BBC History Italia Giugno 2012


Domande&Risposte D&R Da dove arriva la parola “Robot”? Il dramma in tre atti R.U.R (1921), dello scrittore ceco Karel Capek (1890-1938) aveva come protagonisti delle macchine umanizzate. Nacquero i Robot, il cui nome deriva dalla parola robota, schiavitù in ceco. La trama è avvincente: con lo scopo di liberare gli uomini dalla fatica del lavoro, nella fabbrica Rossum vengono assemblati degli androidi replicanti. La società, però, non riesce a gestire questa nuova forza e diviene sempre più dissoluta, indolente e, allo stesso tempo, arrogante, scatenando la rivolta dei suoi automi operai, che cominciano a sterminare il genere umano, salvando un solo esemplare, Alquist. Il finale, però, non è efferato e amaro come ci si aspetterebbe, perchè “si ricomincia dall’amore”: due robot, Primus e Helena, scoprono come riprodursi e danno vita a una nuova razza. I Robot, a partire da questo momento, diventano personaggi centrali, nel bene e nel male, del genere fantascientifico. La loro invenzione letteraria è tanto più interessante se paragonata con il complesso folclorico ceco: gli schiavi meccanici di Capek richiamano, infatti, la figura del Golem, un essere leggendario della tradizione ebraica, un gigante antropomorfo di argilla condannato a servire chi lo evoca, protagonista di svariate leggende ambientate proprio a Praga, da cui è stato tratto uno dei più famosi film espressionisti del regista Paul Wegener, Der Golem: wie er in die Welt kam, del 1920. Si narra, infatti, che il rabbino Jehuda Löw (?-1609), le cui spoglie riposano nel Vecchio Cimitero Ebraico della capitale ceca, conoscesse la formula magica per plasmare i golem dal fango e che, una volta creati, li utilizzasse spesso come aiutanti, fino a quando questi non si ribellarono. Un’ultima curiosità che avvalora questa tesi: in ebraico moderno la parola Golem significa “manichino” o “automa”.

Chi coniò la parola “utopia”? Il genere utopico è un filone narrativo che descrive una forma di governo perfetta, spesso opposta a quella in cui vivono gli autori. È un progetto sociale, etico e politico e allo stesso tempo letterario, caratterizzato da un forte intento metaforico e didascalico. Il padre dell’Utopia, nonché coniatore del termine, fu lo scrittore inglese Thomas More (1478-1535) con la sua celebre opera del 1516, intitolata Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia. Il protagonista, l’esploratore Raphael Hythlodaeus, narra del suo viaggio nell’isola di Utopia, dove la comunità dei residenti è riuscita a creare una società esemplare, tollerante e giusta, governata dal sovrano illuminato Utopos e satiricamente divergente dalla realtà inglese del tempo. Il neologismo, come lo stesso concetto ideale che vuole rappresentare, è in bilico tra due significanti: utopia, infatti, è un termine composto di origine greca, che può derivare sia da ευ-τóπος, ovvero “buon luogo”, ma anche da oύ-τóπος, ovvero “nessun luogo”.

Lo sapevate…? Perché i lavoratori instancabili e iperproduttivi vengono chiamati stakanovisti? Aleksej Stakanov (1905-1978) è stato un minatore russo, insignito con la medaglia di Eroe del Lavoro Socialista per aver migliorato la produttività della propria squadra di lavoro e, conseguentemente, aver ispirato lo stakanovismo, un movimento volto a incentivare il rendimento e l’efficienza delle maestranze attraverso premi e propaganda. L’operaio, nel 1935, ideò un metodo per ottimizzare e aumentare l’estrazione del carbone nelle miniere di Kadievka, situate lungo il fiume Domec, Giugno 2012 BBC History Italia

nell’attuale Ucraina, arrivando ad accrescere di quattordici volte le quantità di materiale normalmente ottenuto. In URSS, il 31 agosto, data in cui Stakanov riuscì a estrarre 102 tonnellate di carbone in 5 ore e 45 minuti, divenne la Giornata del Minatore di Carbone. Un anno dopo la sua morte, la città di Kadievka prese il suo nome.

Le XX Olimpiadi, tenutesi a Monaco di Baviera nel 1972, sono passate alla storia per l’uccisione di undici atleti israeliani durante un attentato di Settembre Nero, gruppo terroristico filopalestinese nato dall’omonimo conflitto sviluppatosi in Giordania. La cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, scoppiata nel 1967 in seguito alla chiusura del Golfo di Aqaba e a un trattato militare tra Il Cairo e Amman, aveva visto Israele sconfiggere facilmente Egitto, Siria e Giordania. Quest’ultima, a causa della disfatta, scelse di distaccarsi dai movimenti palestinesi, proprio mentre l’OLP (Organizzazione per la Palestina Libera) occupava postazioni strategiche sul suo territorio, a cui seguivano rappresaglie dell’esercito israeliano. Nel mese di settembre del 1970, il re Hussein diede l’ordine di attaccare feddayn (combattenti) e profughi nei numerosi campi d’accoglienza, causando migliaia di vittime. La lotta violenta di Settembre Nero, inizialmente, fu indirizzata contro il re giordano, ma finì per estendersi anche a livello internazionale. L’attacco di Monaco fu l’azione più eclatante di questa fazione. Il 5 settembre 1972, otto guerriglieri irruppero nel villaggio olimpico bavarese, uccisero due atleti israeliani e ne sequestrarono altri nove, richiedendo in cambio la liberazione di alcuni prigionieri detenuti nello stato ebraico e dei mezzi di trasporto per poter scappare. Durante il trasferimento in aeroporto, però, le forze militari tedesche intervennero e l’operazione si concluse con la morte di tutti gli ostaggi, di cinque attentatori e di un poliziotto. Per approfondire, si consiglia il film Munich. 81


D&R Domande&Risposte Quali sono stati i vini “storici” più costosi venduti all’asta? Il sito web Huffington Post ha stilato la classifica delle bottiglie di vino più costose del mondo. Tra le più pagate risultano alcune bottiglie dalla forte valenza e rappresentanza storica. Uno Chateau Lafite del 1787, venduto nel 1985 al magnate Malcom Forbes per 160mila dollari, infatti, proveniva dalla collezione privata di Thomas Jefferson (1743-1826), il quale aveva acquistato, durante un soggiorno in Francia, diverse casse di vini, provvedendo a segnare ogni bottiglia con le sue iniziali. Ancora più singolare è la storia di una spedizione di pregiati spiriti e vini, destinata all’entourage militare zarista e inviata, durante la Prima guerra mondiale, dalla Francia in Russia, via Scandinavia. La nave svedese Jönköping, salpata dal porto di Gävle con l’importante carico, però, venne affondata nel 1916 da un sottomarino tedesco U-22 di fronte alle coste di Rauma, in Finlandia. I resti dell’imbarcazione sono stati ritrovati nel 1997 e parte del suo contenuto, tra cui diverse casse di Champagne Charles Heidsieck del 1907, sono state riportare in superficie. L’hotel Ritz-Carlton di Mosca ha acquistato parte di questo particolare lotto per 275mila dollari a bottiglia, anche se diverse fonti affermano che questa cifra sia solo una leggenda metropolitana e che il costo reale sia di “soli” 40mila dollari. Più che il prezzo, altissimo in entrambi i casi, impressiona il fatto che questo vino abbia aspettato sul fondo del mare 80 anni prima di raggiungere la sua destinazione.

Chi inventò la porpora?

Che cos’era il Garum?

La porpora fu inventata dai Fenici, popolo semitico stanziatosi lungo la costa siro-libanese dal 1200 a.C., il cui nome deriva della parola greca Phoinix, che significa, appunto, “rosso”. Essi estraevano il pigmento da un tipo di molluschi gasteropodi, i murici, mettendo a macerare una sostanza ricavata dalle loro ghiandole. Preparare il colore, però, era molto complesso: dopo tre giorni di immersione nel sale, bisognava bollire il liquido ricavato fino a farlo addensare, poi asciugarlo al sole, amalgamarlo con del miele e, infine, lasciarlo riposare per sei settimane. Trascorso questo periodo, era possibile utilizzare la tintura per colorare i tessuti. Dato che da migliaia di molluschi si poteva ottenere solo una piccola quantità di porpora, essa era costosa e pregiata e, presso le civiltà del Mediterraneo, le stoffe così trattate divennero simbolo di ricchezza e potere. La principale città fenicia che produceva la porpora era Tiro, nell’attuale Libano.

Il Garum era una salsa piccante dal gusto intenso che forse non incontrerebbe il favore dei nostri palati, ma che nell’Antica Roma era utilizzata come condimento per svariate pietanze, dalle minestre ai dolci. Secondo quanto riporta Marziale (III sec. d.C.) nel De Medicina et de Virtute Herbarum, esso si otteneva macerando per un mese sardine, sgombri e interiora di vari pesci con sale e spezie, tra cui aneto, coriandolo, menta, zafferano, pepe e origano. Era sicuramente estremamente diffuso: nel De Re Coquinaria (230 d.C.), una raccolta di ricette romane attribuita a Marco Gavio Apicio (25 a.C.-37 d.C.), ma probabilmente risalente al III sec. d.C., viene suggerita l’aggiunta della salsa a decine di piatti. Oltre Marziale, sono molti, inoltre, gli autori classici a citare il Garum nelle loro opere: Columella (4-70 d.C.) nel De Rustica e Plinio il Vecchio nel Naturalis Historia parlano degli usi medicinali e veterinari del condimento, capace di guarire ustioni, ulcere, mal d’orecchi, scabbia e morsi di cane o di coccodrillo. Sempre Plinio ci informa che la varietà migliore del prodotto proveniva dalla regione spagnola della Betica, l’attuale Andalusia. Petronio (27-66 d.C.), nel Satyricon, usa il condimento come elemento coreografico di una delle portate: esso sgorga dalle anfore di quattro statue rappresentanti il sileno Marsia e finisce su un vassoio di pesci.

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Lo sapevate…?

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Olympe de Gouges (1748-1793), pseudonimo di Marie Gouze, è stata una rivoluzionaria francese e una delle prime femministe della storia, anticipando di circa due secoli i movimenti di rivendicazione di quello che non voleva più essere definito solo “gentil sesso”. Nel 1791 pubblicò, su modello della celebre e celebrata Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, la Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina, per presentarla all’Assemblea Nazionale. Il testo reclamava e affermava, per la prima volta, l’uguaglianza giuridica e legale tra i due sessi, richiedendo pari diritti, doveri, opportunità e suffragio. Olympe denunciò l’involuzione della Rivoluzione, che aveva smarrito gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza per cui era stata combattuta e attaccò apertamente Robespierre e altri esponenti politici in vista. Nell’agosto del 1793 fu arrestata, processata e condanna a morte. Venne ghigliottinata il 3 novembre dello stesso anno “per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso ed essersi immischiata nelle cose della Repubblica”. Nel corso degli ultimi decenni sono state organizzate diverse manifestazioni e petizioni per chiedere che i suoi resti vengano traslati nel Pantheon di Parigi, mausoleo dove riposano le più grandi personalità della storia francese. BBC History Italia Giugno 2012


Domande&Risposte D&R Che cos’è il Fegato di Piacenza? Il Fegato di Piacenza è un raro e criptico reperto bronzeo di origine etrusca risalente al II o I secolo a.C, scoperto da un contadino nel 1877 a Ciavernasco di Settima (PC) ed esposto presso i Musei Civici di Palazzo Farnese di Piacenza. È un modello di fegato ovino, anatomicamente corretto e proporzionato, utilizzato come manuale di interpretazione per le divinazioni aruspicine, ovvero le previsioni vaticinate attraverso l’analisi delle viscere di animali sacrificali. Sull’oggetto, infatti, sono incise quaranta iscrizioni, tra cui nomi di divinità, che identificavano le parti celesti con cui uno dei popoli più enigmatici della storia suddivideva la volta stellata. Per interpretare la volontà superiore degli dei, gli aruspici, i sacerdoti a cui erano affidati questi riti, dovevano confrontare i segni visibili sugli organi estratti con quelli dei modelli. Tale pratica era frequente nel mondo antico, anche presso gli Ittiti e gli Assiro-Babilonesi, come prova, tra l’altro, il fegato di terracotta babilonese (II sec. a.C.) conservato al British Museum di Londra.

Cos’è la Spada della Clemenza? La Spada della Clemenza, conosciuta anche con l’appellativo di Curtana, è uno dei gioielli della Corona del Regno Unito più famosi. Utilizzata durante incoronazioni e cerimonie ufficiali, è conservata nella Torre di Londra insieme alla Spada Ingioiellata d’Offerta, la Spada di Stato, la Spada della Giustizia Temporale e la Spada della Giustizia Spirituale. La sua caratteristica principale è che la punta dell’arma è mozzata. Secondo alcune tradizioni, questa fu spezzata da un angelo, perchè fosse usata per misericordia e non per vendetta. Si narra che essa fu forgiata dallo stesso acciaio della Gioiosa di Carlo Magno e della Durlindana del paladino Orlando e che sia appartenuta a Tristano, il leggendario e sfortunato amante di Isotta, a Uggeri il Danese, mitico eroe del ciclo arturiano e carolingio, e a Edoardo il Confessore, re della dinastia anglosassone dal 1043 al 1066, canonizzato da Papa Alessandro III nel 1161.

Che cos’è l’Enûma Elish? L’Enûma Elish è un poema babilonese, probabilmente risalente al XIII secolo a.C., che narra la cosmogonia secondo la tradizione mesopotamica. L’inno sacro e propiziatorio, di derivazione sumerica, veniva recitato nel quarto giorno delle celebrazioni del capodanno di Babele dal gran sacerdote di fronte alla statua del dio Marduk, protagonista dell’opera, mentre le statue delle altre divinità, per rispetto, dovevano essere coperte da un telo. Questo mito della creazione si apre con la presentazione di tre forze primordiali legate all’acqua, elemento fondamentale per la civiltà mesopotamica: Apsû, dio delle acque dolci, Tiamat, sua moglie, dea delle acque salate, e Mummu, presumibilmente la personificazione della pioggia. L’unione degli sposi diede vita a nuove divinità. Queste, simboli del cambiamento, però, disturbavano il sonno del loro padre e convinsero Apsû che fosse necessario sterminarle. Ea, rappresentazione della saggezza, riuscì ad ucciderlo e a inaugurare una seconda era. Una addolorata Tiamat, allora, cominciò a meditare vendetta e, insieme al mostro Quingu, suo figlio, dichiarò guerra al nuovo ordine. L’unico in grado di sconfiggere la furente vedova fu il figlio di Ea, Marduk, che la intrappolò in una tempesta e la trafisse con una spada. Squarciò, poi, il suo corpo a metà. Con una parte creò il cielo e con l’altra la Terra. Gli uomini nacquero dal sangue di Quingu mescolato all’argilla. In cambio di questa vittoria, Marduk ottenne il comando assoluto su tutti gli dei.

Chi ha inventato i fiammiferi? I fiammiferi erano già diffusi nell’Antica Roma, anche se non nella versione estremamente pratica che siamo abituati a usare oggi: erano bastoncini lunghi, di legno bianco solforati alle due estremità che dovevano essere accesi con una pietra focaia. I fiammiferi moderni furono inventati, dopo molti esperimenti fallimentari nel corso dei secoli, nel 1827. Il chimico inglese John Walker (1781-1859) fece cadere inavvertitamente delle gocce di solfuro di antimonio e clorato di potassio su un pezzetto di legno. Nel tentativo di pulirlo, lo strofinò su una parete e il bastoncino si infiammò. Brevettati da un certo Samuel Johnes e soprannominati Congreves da sir. William Congreve (1772-1828), un generale e ingegnere britannico che aveva perfezionato la polvere da sparo e costruito un razzo incendiario, questi fiammiferi dovevano essere accesi con della carta vetrata, anche se l’aria umida rendeva difficile la manovra, mentre l’aria secca li faceva esplodere. Nel 1831 lo studente francese Charles Sauria aggiunse alla miscela del fosforo bianco, che favoriva la combustione, ma che a causa della forte tossicità fu successivamente proibito. Nel 1844, invece, Gustave Pasch (1788-1862), membro delle Reale Accademia Svedese di Scienze, brevetta il fiammifero di sicurezza, che si strofinava su una striscia di fosforo rosso spalmato sulla scatola. La prima fabbrica italiana di fiammiferi sorse ad Empoli nel 1831, per opera del francese Barrier, mentre i primi Minerva “per uso domestico e per fumatori” risalgono al 1842. Giugno 2012 BBC History Italia

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Macchina del tempo guide turistiche dal passato

hedeby 950 D.C. Con Giles Kristian si parte alla scoperta del più grande mercato del mondo vichingo, dove è possibile trovare ogni genere di mercanzia Hedeby sorge poco distante dal Mar Baltico, nell’angusta estremità della penisola dello Jutland; da qui, passando per Hollingstedt, si può accedere facilmente alla Frisia, all’Europa occidentale e al Mare del Nord. È la città più animata e cosmopolita della Scandinavia: qualunque cosa stiate cercando la troverete di sicuro qui, nel più importante mercato del mondo vichingo.

QUANDO ANDARE Veniteci a giugno, quando le temperature sono miti e le piogge scarse. Agosto è il mese più piovoso dell’anno; lasciate perdere l’inverno, specialmente gennaio e febbraio, a meno che non vi solletichi l’idea di trasformarvi in blocchi di ghiaccio. I festeggiamenti per il solstizio d’estate del 21 giugno sono un evento imperdibile. Ma ricordate: la gente di Hedeby fa festa come se la fine del mondo fosse dietro l’angolo!

COSA PORTARE Ogni vichingo che si rispetti segue il saggio consiglio

parte delle La maggior vive oltre persone non nni. Ma che i 30 o i 40 a ndo ci si a importa, qu to? diverte tan 84

dell’Hávamál, il sacro poema: “Non allontanatevi mai da casa senza l’ascia e la spada. Non potrete sentire la battaglia nelle ossa o prevedere una zuffa”. Hedeby è una città tollerante e multiculturale, ma capita che alcuni norvegesi e svedesi appena scesi dalle loro navi con le polene a forma di drago mostrino una certa predilezione per il robusto vino franco che in città scorre a fiumi. Le risse tra ubriachi sono frequenti, perciò avrete bisogno dei giusti strumenti per difendervi. Portatevi dietro anche dell’argento, dal momento che il vino non è l’unica merce di importazione franca che susciterà il vostro entusiasmo. Regalatevi una spada nuova, fatta con acciaio franco, flessibile e di qualità eccellente, per sostituire quella vecchia che si rifiuta di affondare nella cotta di maglia dei vostri nemici e che siete continuamente costretti a raddrizzare sotto i piedi nel bel mezzo della battaglia.

CostI E DENARO Gli abitanti di Hedeby vivono di artigianato e di commercio, più che di agricoltura. Di conseguenza la concorrenza è spietata e se siete disposti a barattare come un berbero farete facilmente qualche affare. Non a caso Hedeby è famosa per essere l’emporio

più importante di tutta la Scandinavia!

COSE DA VEDERE E ATTIVITÀ Visitate il quartiere degli artigiani dove potrete vedere all’opera vasai e tessitori, gioiellieri e intagliatori di ossa e corna. Un pettine decorato di corna di renna è il regalo perfetto per una moglie o una fidanzata! Non potete assolutamente perdervi una visita alla zecca di Hedeby, la prima di tutta la Scandinavia. Quando tornerete a casa, uno scintillante penny d’argento fresco di conio farà certamente colpo sui vostri amici. Se volete vivere un’esperienza davvero unica, perché non provate a farvi battezzare? Sottoporsi alla prima signatio (una cerimonia di battesimo provvisorio) vi consentirà di entrare facilmente nelle grazie di molti mercanti cristiani di Hedeby. Una volta tornati a casa potete sempre sacrificare una capra a Odino per dimostrargli che la vostra stima nei suoi confronti è rimasta immutata.

PERICOLI E INCONVENIENTI Stare in un posto animato e prospero ha anche qualche svantaggio e i visitatori devono essere pronti a condividere con altri il poco

spazio disponibile. Le case di legno con il tetto di canne sono pigiate tra botteghe, empori, magazzini, stalle e fienili. Al-Tartushi, un mercante di Cordoba che ha recentemente visitato Hedeby, ne parla come di “una grandissima città all’estrema periferia dell’oceano del mondo” e non pare esserne rimasto particolarmente colpito. L’ha definita, infatti, un posto barbaro, sudicio e rumoroso, esprimendo un giudizio particolarmente sferzante sul modo di cantare dei suoi abitanti: “Dalle loro gole esce una specie di brontolìo, che ricorda il latrato dei cani, solo più animalesco”. Forse Hedeby non ha l’eleganza e la magnificenza di Cordoba, ma non è per questo che si decide di venire qui. Qui si viene per l’atmosfera febbrile. E per gli schiavi.

DOVE SOGGIORNARE Fondata dal comando reale del re Godfred di Danimarca nell’808, Hedeby presenta una pianta estremamente regolare, con strade che corrono perpendicolari al torrente Hedeby, parallele alla sponda dell’Haddeby Noor (lo sperone del Fiordo di Schlei sul quale sorge). Sebbene gran parte dei 24 ettari racchiusi tra i bastioni e il mare siano edificati, a ovest dell’insediamento ci sono ampie lande dove è possibile montare le tende. Se decidete di venirci in inverno, però, vi servirà un tetto sopra la testa e un corpo accanto al quale riscaldarvi in uno degli affollati e soffocanti locali dove si beve l’idromele che sorgono lungo la costa. Vi sarà offerto un giaciglio sul pavimento, una calda pelliccia e una compagna compiacente (dietro compenso), ma fate attenzione, perché il calore BBC History Italia Giugno 2012


Hedeby oggi

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Una nave lunga vichinga in mostra presso il Museo dei Vichinghi di Haithabu nella Germania settentrionale.

corporeo potrebbe non essere l’unica cosa che condividerete. A Hedeby le malattie abbondano e la maggior parte delle persone non vive oltre i 30 o i 40 anni. Ma che importa, quando ci si diverte tanto?

COSA MANGIARE Se vi piace il pesce (soprattutto le aringhe e il merluzzo essiccato al vento detto “stoccafisso”) adorerete Hedeby. Ma grazie ai mercanti che arrivano fin qui dal Mediterraneo e dal Medioriente potrete gustare Giugno 2012 BBC History Italia

anche frutti esotici come i fichi e l’uva.

FARE ACQUISTI Cristalli del Reno, piatti di steatite, pellami dell’estremo nord della Scandinavia e dei margini orientali del Baltico, gioielli, tessuti, splendidi oggetti di metallo, lussuosi articoli per la casa e schiavi della Russia… qualunque cosa la troverete qui.

SPOSTARSI IN CITTÀ Un paio di scarpe robuste è tutto ciò di cui avrete bisogno per andarvene in giro per la

città. Le mura semi-circolari (che in alcuni punti raggiungono i 9 m di altezza) si estendono per circa mezzo chilometro e possono essere percorse in pochissimo tempo. Non che ne sentirete il bisogno. Meglio rimanere in una delle due strade principali che sono rivestite di tavole di legno per tenervi lontano dal fango. Giles Kristian scrive romanzi storici ed è autore della serie Raven ambientata in epoca vichinga. Il suo ultimo romanzo, The Bleeding Land, è pubblicato da Bantam Press.

Oggi l’atmosfera è un po’ più tranquilla. Hedeby è andata distrutta nel corso di un incendio divampato nell’XI secolo e tutto ciò che rimane della città è un importante museo archeologico (www.schloss-gottorf.de/haithabu), che sorge sulla sponda opposta della baia di Schlei, partendo dalla città di Schleswig, in Germania. L’imponente cattedrale che domina questa città è una chiara dimostrazione di chi abbia vinto la contesa religiosa in corso nel X secolo per la conquista dei cuori e delle menti degli uomini. Probabilmente qualcuno sarà sorpreso nello scoprire che questo antico insediamento vichingo non si trova nell’odierna Danimarca. Le ragioni vanno cercate nella Seconda guerra dello Schleswig (1864) che si concluse con l’annessione di questa zona al Regno di Prussia. I turisti inglesi non si avventurano fin qui, al contrario dei tedeschi, che ci vengono soprattutto d’estate, sfidando i venti del Mare del Nord per godersi le splendide spiagge che sorgono lungo la costa dello Schleswig-Holstein. Potrete associare la visita a questo luogo con una gita alle città e cittadine storiche tedesche della regione, dall’animata Amburgo al porto anseatico di Lubecca. In alternativa, potrete proseguire verso nord, e arrivare fino in Danimarca e allo Jutland dove vi attendono numerosi siti vichinghi. Tra le attrattive principali vi sono il museo vichingo di Ribe e la ricostruzione di un insediamento vichingo nel museo all’aperto di Moesgård a sud dell’interessante città di Aarhus.

Se vi piace questa meta, provate anche…

In Inghilterra potete visitare un insediamento vichingo, precisamente a York, dove è stato allestito lo Yorvik Viking Centre. Un altro angolo d’Europa ancora sconosciuto e ricco di storia risalente a questo periodo è Oslo che ospita il Museo delle Navi Vichinghe. Tom Hall è un giornalista e scrive su lonelyplanet.com

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I luoghi della Storia: viaggio in Egitto

Nella terra dei faraoni

Visitati da centinaia di migliaia di turisti ogni anno, conosciuti in ogni parte del mondo, quelli dell’Egitto antico sono tra i siti archeologici più ammirati del Pianeta. I resti dei templi, la favolosa Valle dei Re, le enormi piramidi, lasciano ancora sbalorditi per la loro grandiosità. Una vera e propria impresa se si pensa che gli Egizi non potevano avvalersi di una tecnologia avanzata. Tutto era fatto con la sola forza lavoro degli operai (per costruire il complesso monumentale di Giza si calcola che siano stati impiegati 30 mila uomini) e con pochi semplici strumenti in rame, l’unico metallo di cui essi disponevano per forgiare i loro attrezzi. Perché un tale sforzo? I monumenti sono la materializzazione del pensiero e della filosofia di questo popolo. Cosa pensavano dell’aldilà, come celebravano la loro grandezza, come adoravano i loro dei. Ammirarli è il modo migliore per entrare nella testa e nell'anima di una delle più straordinarie civiltà antiche. Ecco le tappe che non si possono perdere.

1 Museo egizio

2 Le maestose piramidi di Giza

È il modo migliore per cominciare il viaggio. Ha una straordinaria collezione di reperti dell’antico Egitto, che racconta cinquemila anni di storia, dal periodo Predinastico all’Epoca Romana. Fra gli oltre 120mila oggetti esposti (altre migliaia si trovano nei magazzini), fa bella mostra di sé il prezioso corredo funerario trovato nella tomba del faraone Tutankhamon, compresa la sua celebre maschera d’oro. Durante le rivolte popolari del 2011, il museo è stato attaccato: sono andate distrutte due mummie e sono stati rubati diversi reperti. Si trova in piazza Tahrir, Il Cairo.

Sono il simbolo dell’Egitto. Le grandi piramidi che si ergono maestose dalle sabbie del deserto sono uno spettacolo grandioso, ammirato e visitato da milioni di turisti. Fino a oggi gli archeologi ne hanno rinvenute almeno novanta, costruite nei quaranta chilometri di deserto, tra i sobborghi dell’odierna città del Cairo e l’oasi del Fayum, in un arco temporale di circa mille anni (dal 2700 al 1700 a.C.). Le più note sono probabilmente quelle della piana di Giza, ovvero le tre piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Ma quale era la loro funzione? Erano tombe monumentali, che costituivano il cuore di un complesso funerario ben più articolato, composto, oltre che dalla piramide vera e propria, da un Tempio a Valle, da una Rampa Processionale e da un Tempio Funerario. Quando un faraone moriva il suo corpo veniva trasportato con una barca rituale, da una sponda all’altra del Nilo e poi, lungo un canale artificiale, fino a una banchina nei pressi del Tempio a Valle. Qui iniziavano i preparativi per la mummificazione della

La maschera d’oro di Tutankhamon pesa 11 kg

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salma. Settanta giorni dopo, il corteo funebre, preceduto dai sacerdoti che cantavano gli antichi inni, percorreva la Rampa Processionale, una lunga strada coperta verso il Tempio Funerario. Questo era il luogo adibito al culto del re defunto, dove venivano lasciati in offerta cibo e bevande affinché l’anima del sovrano avesse il necessario per la sua esistenza ultraterrena. Al termine del funerale il corpo del faraone e tutto il suo Le tre piramidi della piana di Giza sono il simbolo della potenza dell’Antico Egitto

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Se nell’articolo “Antico Egitto - work in progress”, presente in questo numero, BBC History vi ha accompagnato nei luoghi che celano misteri ancora da svelare, ora il viaggio continua alla scoperta del Paese delle piramidi, tra i monumenti, i musei e le tombe già venuti alla luce e ricchi di suggestioni senza tempo


4 Deir el-Bahari, il tempio della regina faraone

Colonne e pareti sono ricoperte da sculture dedicate al faraone e al culto delle divinità

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3 Il tempio di Sethi I Il tempio di Abido testimonia la grandezza del Faraone Sethi I. È ancora bellissimo e al suo interno si trovano sei santuari (uno dedicato a se stesso e sei in onore delle principali divinità: Osiride, Iside, Horo, Amon, Ptah e Ra). Nel Tempio di Abido furono trovate diverse tombe risalenti alla I e alla II Dinastia. Questo luogo di culto era caro agli antichi egizi perché, secondo la tradizione, in una delle tombe era stata sepolta la testa di Osiride, Dio della morte.

prezioso corredo venivano trasportati nella camera mortuaria e poi l’ingresso della piramide veniva sigillato. All’interno del muro di cinta, tutt’intorno alla grande costruzione piramidale, c’era un campo di tombe più piccole, nelle quali erano sepolti i funzionari e i membri della famiglia reale. C’era anche una piramide secondaria in cui venivano probabilmente custoditi i vasi canopi, con le viscere tolte al re durante la mummificazione.

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Il protagonista indiscusso di Deir el-Bahari è il magnifico tempio che fece edificare la regina Hatshepsut, della XVIII dinastia. Sposata al faraone Thutmosi II, Hatshepsut divenne reggente alla precoce morte di quest’ultimo, conquistando in poco tempo l’amore del popolo e una devozione assoluta. Era benvoluta dal figliastro Thutmosi III, che però relegò nell’ombra regnando per molti anni al posto suo, e godeva dell’ingegno dell’architetto Senmut, autore del tempio di Deir el-Bahari. Quest’ultimo, un uomo di umili origini, fu probabilmente il suo amante e per questo fece una carriera folgorante, ricoprendo importanti funzioni a corte. L’edificio, che si fonde mirabilmente con la montagna, è costituito da tre terrazze

collegate da un’imponente rampa. La prima terrazza ospita due portici, con raffigurazioni legate alla caccia, alla guerra e al trasporto degli obelischi dalle miniere di Assuan al tempio di Karnak. I colonnati della seconda terrazza sono il “portico della nascita” e il “portico di Punt”. Il primo narra il concepimento e il momento in cui la regina venne al mondo, sotto gli influssi magici e divini dell’Enneade e del dio Amon-Ra. Il secondo raffigura il mitico viaggio a Punt (una terra di cui ancora non si conosce l’esatta ubicazione) dove la regina si recò a capo di una spedizione commerciale, che fruttò oro, zanne di elefante, giraffe, scimmie, legno pregiato e alberi di incenso. La terza terrazza, alla quale potevano accedere solo la regina e pochi eletti, ospita il tempio, che termina con il Sancta Sanctorum, dove il faraone-donna entrava in comunione con il dio Amon e riceveva i segreti e i misteri più profondi dal padre degli dei egizi. Vicino al tempio, sul lato sud, nel 1881 fu rinvenuto uno dei più famosi nascondigli di faraoni. I sacerdoti, per difendere le spoglie mortali dei sovrani dai tombaroli dell’epoca, erano costretti a spostarle in continuazione dalle necropoli della Valle dei Re per metterle al sicuro in luoghi segreti, dove non potevano essere scoperte. Quell’anno ci si accorse che all’interno di un pozzo profondo dodici metri era stato scavato un lungo corridoio, al termine del quale si apriva una sala contenente le mummie di faraoni e regine del Nuovo Regno. Tra le più celebri quella di Thutmosi Sulle terrazze del tempio di Hatshepsut alcuni pilastri quadrati sono raffigurati con statue di Osiride III, Sethi I e Ramses II.

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I luoghi della Storia: viaggio in Egitto 5 Karnak e Luxor: il trionfo dell’architettura egizia L’odierna Luxor era l’antica città di Tebe, che durante le dinastie succedutesi nel periodo di passaggio tra il Medio e il Nuovo Regno raggiunse un tale livello di splendore e raffinatezza da diventare uno dei centri politici e religiosi più importanti della civiltà egizia. Le rovine che circondano oggi Luxor, riescono ancora a testimoniare i lustri del passato in quanto sono i resti dei templi più grandiosi della civiltà egizia: il complesso religioso di Karnak, il più grande del mondo, e il tempio di Luxor, a esso collegato tramite il magnifico “Viale delle sfingi”.

Karnak è un complesso di tre templi, ognuno dei quali protetto da una cinta muraria. Il tempio principale era dedicato al dio Amon-Ra, il padre degli dei, che con la sua infinita e incommensurabile potenza donava la vittoria, la forza e la ricchezza. L’edificio nel complesso segue lo schema classico: entrata monumentale, grande cortile, il più ampio d’Egitto (103m x 83m), sala delle colonne, sala delle offerte, sala della barca sacra, il Sancta Sanctorum, luogo della statua del dio Amon, accessibile solo al faraone e a pochi sacerdoti, e tutto l’insieme è

Un viale di criosfingi dalla testa di ariete, allineate nel grande cortile del tempio di Karnak

scandito da sei piloni. Il lato sud del tempio di Amon è unito al tempio della dea Mut, moglie di Amon, da un viale di sfingi dall’aspetto animalesco, mentre ciò che resta del tempio di Montu, il dio della guerra, si trova, ridotto in un cattivo stato di conservazione, all’esterno della recinzione, sul lato nord del grande tempio principale. Il tempio di Luxor è collegato al grande tempio di Karnak dal “Viale delle sfingi”, ove un tempo avveniva la processione in onore di Amon-Ra. L’ideazione di Luxor si deve al faraone Amenofi III e al suo architetto Amenhotep, figlio di Hapu. Modifiche successive furono apportate da Akhenaton, Tutankhamon, Ramses II. Quest’ultimo non resistette all’idea di lasciare anche qui, come in molti altri luoghi dell’Egitto, una traccia indelebile del suo passaggio e delle sue glorie. Fece quindi aggiungere alla struttura già esistente un cortile porticato, sorretto da 72 colonne decorate disposte su due file, e un enorme pilone (il torrione in pietra che inquadra il portale di ingresso del tempio) sulle cui pareti sono rappresentate scene della celebre battaglia di Qadesh, combattuta da Ramses contro gli Ittiti. Il tutto preceduto da sei statue colossali con le sue sembianze e da due obelischi. Di questi oggi ne è visibile uno solo, poiché l’altro si trova dal 1836 in Place de la Concorde, a Parigi.

Medinet Habu venne costruito con una forte impostazione militare, assumendo la doppia funzione di fortino contro le invasioni sempre più minacciose dei cosiddetti “popoli del mare” e contemporaneamente per assolvere le funzioni regali e religiose. Era un tempio-città fervido e attivo, circondato da una cinta muraria in mattone crudo, con un pilone di ingresso, con tanto di torri merlate. Al suo interno si trovavano due cortili, un’ampia sala ipostila, due vestiboli con colonne e il santuario. Sono straordinari anche i disegni che 88

decorano i muri e le sale che portano al Sancta Sanctorum. Sono in gran parte di tipo militare, ma gradatamente sfumano verso dimensioni legate al sacro e al divino, per significare il passaggio tra la vita terrena fatta di pericolo e guerra e la vita futura, finalmente serena e piena di luce. In tutto ospitava più di 6mila persone, tra commercianti, operai, funzionari dell’amministrazione e soldati. La funzione di difesa che l’aveva caratterizzato durante l’epoca di Ramses III lo fece diventare un riparo contro i pericoli anche nei secoli successivi.

Colonne istoriate, con ancora tracce di colore, si trovano nel portico del secondo cortile

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6 Medinet Habu, il tempio fortezza


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7 Valle dei Re, le dimore eterne dei faraoni e delle regine Di fronte alla città di Tebe, sulla riva opposta del grande fiume sacro agli Egizi, si trovavano le necropoli reali, due tra i luoghi più misteriosi dell’antichità. Scavate nella roccia calcarea delle montagne che bordavano la riva del Nilo, le tombe di sovrani, principi e principesse erano concentrate in due siti. La Valle dei Re racchiude decine di tombe, appartenenti a faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia. Esse hanno quasi tutte la stessa struttura, che comprendeva una scala, un corridoio sul quale si aprono diverse sale secondarie e la camera sepolcrale, detta “Sala d’oro”, il luogo che ospitava il sarcofago del faraone. Il tutto interamente scavato per un centinaio di metri all’interno della montagna. Le pareti venivano riccamente dipinte e decorate con bassorilievi policromi con scene e testi tratti da libri funerari e all’interno venivano lasciati immensi tesori, che dovevano servire al sovrano per il lungo viaggio nell’aldilà. La costruzione della tomba era una delle principali preoccupazioni dei faraoni in vita. Gli architetti, i pittori, gli scultori e gli operai, che venivano impegnati nei lavori per anni, risiedevano nel vicino villaggio di Deir el-Medina, di cui rimangono le rovine delle case e di un tempio. Uno speciale corpo di soldati, la polizia della necropoli, aveva il compito di ispezionare gli ingressi continuamente e controllare che i sigilli messi al momento della sepoltura non venissero violati. Nonostante questo, quasi tutte le tombe furono profanate da ladri, che probabilmente già a quell’epoca avevano iniziato a depredarne i tesori. I sacerdoti per salvare le spoglie mortali dei loro sovrani furono costretti a spostare i corpi di alcuni faraoni all’interno di grandi nascondigli, il più famoso dei quali è quello di Deir elBahari. L’unica sepoltura ritrovata intatta fu quella di Tutankhamon, che conteneva un tesoro con oltre 3500 oggetti del corredo funerario. Una delle tombe più straordinarie è quella di Sethi I. Non solo è la più bella della Valle dei Re, ma anche la più lunga, con i suoi oltre cento metri di Giugno 2012 BBC History Italia

cunicoli, corridoi e stanze scavate nella roccia. Degno monumento funerario di uno dei più importanti faraoni dell’intera storia dell’antico Egitto, che morì nel 1279 a. C., all’età di cinquant’anni, lasciando nelle mani del figlio Ramses II un regno prospero e potente. La sua scoperta, nel 1817, si deve all’italiano Giovanni Battista Belzoni, che fu una delle più straordinarie figure della storia dell’archeologia. Tra le sue imprese bisogna ricordare la scoperta dell’ingresso della piramide di Chefren a Giza, l’esplorazione del tempio di Abu Simbel, quasi interamente ricoperto dalla sabbia, e il ritrovamento di almeno sei tombe nella Valle dei Re. All’interno di quella di Sethi I non rinvenne però tesori e nemmeno la mummia del faraone, che era stata trasferita dai sacerdoti nel nascondiglio di Deir el-Bahari, perché i ladri l’avevano saccheggiata di tutto, ma i muri erano coperti di straordinarie decorazioni con rappresentazioni e testi tratti dai libri funebri, mentre sul soffitto era rappresentato il cielo stellato dove navigano le due barche solari. Le tombe destinate alle spose reali, a principi, principesse e alti dignitari di corte si trovano, invece, soprattutto nella Valle delle Regine. Se ne contano più di un centinaio e la loro struttura può essere divisa in due tipologie. I pozzi funerari, un profondo buco in cui veniva calato il corpo protetto da un sarcofago e le grandi tombe dell’epoca ramesside, che presentavano un modello simile a quello rinvenuto nella vicina Valle dei

Uno stretto sentiero porta alle tombe scavate nelle viscere della montagna

Re, sebbene di dimensioni più modeste. Il primo a condurre scavi sistematici nella Valle delle Regine fu l’italiano Ernesto Schiaparelli, direttore del Museo di Torino, che tra il 1903 e il 1906 portò alla luce le tombe più importanti di questo sito, compresa la tomba della regina Nefertari, la sposa più amata dal grande Ramses II. Anche in questo caso al suo interno non fu ritrovato molto: la mummia era stata trafugata e il suo corredo funerario rubato già in epoca antica. Ma le pitture parietali lasciano senza fiato per la loro ricchezza e bellezza. 89


I luoghi della Storia: viaggio in Egitto Le famose statue di Amenofi III sono state danneggiate da terremoti e agenti atmosferici

Le due grandi statue, chiamate colossi di Memnone, sono tutto ciò che rimane del maestoso tempio funerario che il faraone Amenofi III fece costruire per sé dal suo architetto Amenofi figlio di Hapu. Si trovano a Tebe e si crede che la loro costruzione sia opera di Men, uno scultore di Eliopoli. I colossi, che rappresentano il re seduto sul trono, sono stati scolpiti in blocchi di quarzite ed erano collocati come guardiani all’ingresso del tempio. Per avere un’idea della grandiosità della realizzazione è sufficiente pensare alle loro misure: le due figure sono alte circa 15 metri, poggiano su un piedistallo di quasi tre metri e pesano oltre 560 tonnellate. Una interessante curiosità riguarda il nome dei due colossi, che è stato affibbiato alle due statue in epoca tolemaica e non durante il regno di Amenofi. Memnone era infatti un celebre eroe epico, figlio dell’Aurora, morto durante la guerra di Troia per mano di Achille. In realtà, l’appellativo era anticamente riferito solo alla statua che si trova più a nord. Il motivo? In seguito a un disastroso terremoto avvenuto nel 27 a.C. tutta la regione tebana subì danni gravissimi e di conseguenza anche le statue. Ma quella posta a nord venne danneggiata in maniera particolare tanto

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che si aprirono persino delle spaccature nella pietra. Da quel momento ebbe inizio un fenomeno molto curioso. Al mattino, durante il sorgere del sole, la statua cominciava a “cantare”. Dalla sua struttura fuoriuscivano strani suoni che colpirono la fantasia dei visitatori e la resero famosa in tutto il mondo antico. Si dice che furono i greci a identificare il colosso con l’eroe Memnone. Secondo loro quei suoni erano il suo canto di invocazione e di saluto alla madre, l’Aurora, la quale a sua volta piangendo il figlio morto, dava vita alla rugiada del mattino. Se la statua taceva era segno che cattivi presagi erano nell’aria. Anche l’imperatore romano Adriano, nel 130 d.C., si recò più volte in visita per

ascoltare quei suoni meravigliosi e lasciò la testimonianza dell’evento, come del resto fecero molti altri visitatori, con delle iscrizioni sulla statua. Se ne sono conservate più di cento, scritte sia in greco che in latino, in prosa e in poesia. Le ultime risalgono al regno di Settimio Severo. Fu infatti questo sovrano, nel 199 d.C., a ordinare, pur con buone intenzioni, il restauro dei colossi, mettendo così fine al “magico canto”. Il fenomeno infatti aveva naturalmente una spiegazione scientifica. Il sole mattutino, riscaldando la pietra dopo l’umidità e il freddo della notte, la faceva dilatare provocando delle vibrazioni. Fu così che da quel giorno l’eroe Memnone smise per sempre di invocare sua madre.

9 Tempio di Edfu

Edfu è uno dei templi egizi meglio conservati, perché è stato completamente coperto dalla sabbia

È una delle testimonianze meglio conservate dell’Antico Egitto. Il Tempio di Edfu, situato a circa 80 chilometri da Luxor, rappresenta un mirabile esempio dell’abilità degli architetti dell’epoca e per le sue misure (137 metri per 80) è il più grande tempio dopo quello di Karnak. La costruzione risale al 237 a.C. quando per volere del faraone Tolomeo III si diede il via alla realizzazione di un nuovo e imponente edificio sacro. L’opera venne terminata solo nel 57 a.C. Ma come mai si è conservato quasi intatto? La risposta è nella sabbia del

sacra che comprendeva anche le abitazioni dei sacerdoti, le botteghe e i magazzini. La sua struttura è quella tipica degli edifici religiosi egizi. Dopo l’immenso pilone composto da due grandi torri, si entrava nel cortile e da qui, verso la penombra, si giungeva nella prima sala delle colonne. Segue la seconda sala delle colonne, più piccola della precedente, che si apre sulla camera delle offerte e subito dopo il cuore più nascosto e importante del tempio, il Sancta Sanctorum, dove si trovava l’altare con la statua del dio. A Edfu ogni anno il dio dalle sembianze di falco si ricongiungeva con la sua amata sposa Hathor.

deserto, che per secoli lo ha totalmente ricoperto preservandolo così dalle insidie del tempo. Solo nel 1860 l’egittologo francese Auguste Mariette cominciò a liberare dalla sabbia il monumento. Nel periodo del suo massimo splendore il tempio era al centro di una grande zona

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8 I colossi di Memnone


10 Tempio di File L’isola di File è il regno della dea Iside. Qui, nell’omonimo tempio, la grande e potente maga, sorella e sposa di Osiride, il dio dei morti, e madre di Horo, il dio dalle sembianze di falco, aveva la sua dimora e veniva adorata e celebrata dal suo popolo. Iniziato da Nectanebo I (378-360 a.C.), completato e modificato in epoca tolemaica e romana, l’edificio ha rischiato di scomparire ai giorni nostri. Una prima seria minaccia venne a partire dal 1902, quando la costruzione del primo sbarramento di Assuan, per creare un serbatoio idrico, ebbe come risultato l’inondazione dell’isola. Per molti mesi all’anno gli edifici erano ricoperti quasi interamente dalle acque, fino ad agosto, quando il bacino veniva svuotato e tutto ritornava alla luce. Alla fine degli anni ‘50 fu poi elaborato il progetto per la realizzazione della più

Il tempio di File, così come quello di Abu Simbel, fu smontato in blocchi e riassemblato in un’altra zona per impedire che venisse ricoperto dalle acque della diga di Assuan

moderna e imponente diga di Assuan. Per File il tragico destino di finire completamente sommersa per sempre sembrava ormai certo. Una campagna lanciata dall’UNESCO e la mobilitazione di numerosi Stati hanno evitato il peggio. Tutti i monumenti furono smontati pezzo per pezzo e trasferiti in un luogo più

sicuro. L’isola prescelta fu quella di Agilkia, situata a poche centinaia di metri da File, ma più alta rispetto al livello delle acque. Grazie a questo oggi i turisti possono ancora ammirare oltre allo straordinario tempio, anche una serie di altri edifici minori, che formavano l’antico complesso religioso.

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11 Abu Simbel, il simbolo della grandezza di Ramses II Il grande tempio di Abu Simbel è considerato il capolavoro del grande faraone Ramses II. Le quattro colossali statue, alte venti metri e interamente scolpite nella roccia, che all’ingresso rappresentano il sovrano seduto, sono ormai diventate un’icona. Scavato per oltre sessanta metri dentro il ventre di un’altura di arenaria, Abu Simbel, che era dedicato a tre grandi dei, Amon, Ra e Ptah, porta all’interno della montagna gli elementi architettonici classici del tempio egizio. Pochi anni dopo la sua costruzione fu gravemente danneggiato da un terremoto, che lesionò e sgretolò pilastri e statue. Alcuni secoli dopo la morte di Ramses, ormai abbandonato, la sabbia del deserto lo inghiottì lasciando scoperte solo le teste e le spalle delle grandi statue dell’ingresso. Fu così che lo trovò nel 1813, lo svizzero Johann Ludwing Burckhardt, che si era recato nella zona per visitare altri monumenti. Da quel momento dovettero passare ancora quattro anni prima che l’italiano Giovanni Battista Belzoni, dopo mesi di lavoro insieme a un gruppo di operai, riuscisse a farsi strada tra la sabbia che ricopriva il Giugno 2012 BBC History Italia

portale, rimettendo, primo uomo dopo migliaia di anni, piede all’interno del santuario. Come per File, il vero pericolo per la sorte del tempio al quale Ramses aveva delegato la testimonianza della sua potenza e della sua origine divina, doveva però ancora arrivare. Sopravvissuto a un terremoto, quasi interamente ricoperto dalla sabbia per secoli, ora rischiava di essere sommerso per sempre da una vera e propria valanga d’acqua. Nel 1960, infatti, l’Egitto aveva iniziato i lavori per la costruzione della grande Le colossali statue dell’ingresso rappresentano il faraone Ramses II

diga di Assuan, che avrebbe creato un enorme lago artificiale, lungo circa 500 chilometri, in grado di irrigare e rendere fertile una zona fino a quel momento improduttiva. Un progetto che rischiava di cancellare per sempre Abu Simbel, nel frattempo diventato famoso in tutto il mondo. Fu l’UNESCO a lanciare il grido d’allarme, che si trasformò in una vera e propria campagna di salvataggio a opera di una cordata di 113 paesi che misero a disposizione mezzi, denaro e tecnologia. I lavori durarono cinque anni e videro impegnati oltre duemila uomini, tonnellate di materiali e uno sforzo tecnologico che aveva pochi precedenti nella storia dell’archeologia. Il tempio di Abu Simbel fu smontato pezzo per pezzo e ricostruito 180 metri più nell’entroterra, con un innalzamento del terreno di 65 metri rispetto al livello precedente. I blocchi, ciascuno siglato e numerato per ridargli l’esatta posizione, furono riassemblati con precisione, rispettando persino l’orientamento e la posizione sul nuovo corso del Nilo, dettato dallo sbarramento di Assuan. 91


Rivivere la storia

Appuntamenti La Battaglia di Magenta

Il 4 giugno 1859 a Magenta, un comune del Milanese lambito dalle acque del Naviglio Grande, venne scritta una delle pagine più significative della storia del Risorgimento italiano. Quel giorno, infatti, andò in scena una celebre battaglia combattuta aspramente fra l’esercito franco-piemontese e quello austriaco. Vinse il primo:

una conquista che portò alla liberazione di Milano e della Lombardia dall’invasore austriaco, segnando l’inizio del cammino verso l’Unità d’Italia. Ogni anno, la cittadina immersa nel Parco del Ticino fa un salto indietro nel tempo con una grande rievocazione storica che coinvolge gruppi in costume risorgimentale provenienti dal

Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto, ma anche dalla Francia e da altri paesi europei. Un fedele affresco del mondo militare di oltre 150 anni fa con la ricostruzione degli accampamenti di entrambe le fazioni, con tanto di tende, accensione dei fuochi di bivacco, addestramento dei soldati, ordini in lingua originale, preparazione del rancio e armi autentiche dell’epoca. La manifestazione viene preceduta al mattino dal corteo storico e istituzionale per le vie del centro cittadino e presso i monumenti simbolo della battaglia, cui partecipano le più alte cariche istituzionali, insieme con le rappresentanze consolari delle nazioni che

combatterono nel 1859. Nel pomeriggio, in aperta campagna, i rappresentanti dei reparti dell’armata francopiemontese e dell’esercito austriaco danno vita alla simulazione degli scontri con l’impiego di oltre cento fucilieri e numerosi cannoni con un effetto realistico di notevole intensità seguito da migliaia di spettatori.

Rievocazione storica della Battaglia di Magenta Magenta (MI) 10 giugno 2012

www.battagliadimagenta.it

In breve

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Dimore storiche in mostra L’Italia è punteggiata di meraviglie architettoniche che vantano un imponente passato e che spesso non sono accessibili al pubblico. Non sarà così per 130 palazzi storici privati che apriranno le porte gratuitamente in occasione delle “Giornate Nazionali dell’A.D.S.I.” il 9 e 10 giugno. Un’opportunità imperdibile offerta dall’Associazione Dimore Storiche Italiane per ammirare lo splendore delle architetture del passato. Giornate Nazionali dell’A.D.S.I. 9-10 giugno 2012 tel. 066832 774 • www.adsi.it

arredate con mobili e suppellettili che rispecchiavano il gusto dell’epoca e dei raffinati proprietari, principi, duchi, conti, marchesi. I ventidue Castelli del Ducato di Parma e Piacenza sveleranno i loro segreti agli appassionati di antiquariato e arte antica. Tra porcellane, velluti, strumenti musicali, broccati, arazzi, specchiere, porcellane di manifatture pregiate italiane ed europee: ecco come viveva l’aristocrazia ai piani alti. Le collezioni raccontano Castelli del Ducato di Parma e Piacenza • tutto l’anno tel. 0521823221 - 0521823220 www.castellidelducato.it

Fasti e rarità nei Castelli del Ducato Com’erano un tempo le più belle case nobiliari? Castelli, fortezze, palazzi, rocche e antiche dimore venivano

L’arte della guerra La mostra “I cavalieri dell’Imperatore. Duello e Guerra delle Armerie Rinascimentali”, proposta dai due castelli trentini del

Buonconsiglio e di Beseno, farà rivivere l’affascinante mondo degli uomini d’arme che, vestiti d’acciaio, esibivano la loro audacia in battaglia e nei tornei. Nel primo maniero si respirerà la romantica atmosfera dei duelli, dell’amor cortese e delle virtù eroiche, mentre nel secondo saranno protagoniste le armi e le strategie militari. Entrambe le esposizioni permetteranno di ammirare parte della ricchissima collezione del

Landeszeughaus di Graz (Austria), un museo storico che conserva la più completa collezione mondiale di armi e armature. I cavalieri dell’Imperatore Castello del Buonconsiglio e Castel Beseno (TN) 23 giugno-18 novembre 2012 tel. 0461233770 0464834600 www.buonconsiglio.it 150 anni di italiani Per il secondo anno consecutivo la mostra “Fare gli Italiani. 150 anni di storia nazionale”, ospitata nel rinnovato polo culturale delle Officine Grandi Riparazioni di

BBC History Italia Giugno 2012


La disfatta di Napoleone

MATTIA BOERO

“Se nella notte dal 17 al 18 giugno 1815 non avesse piovuto, l’avvenire dell’Europa sarebbe stato diverso. Poche gocce di acqua di più o di meno hanno deciso della sorte di Napoleone. Bastò un po’ di pioggia alla Provvidenza perché Waterloo distruggesse Austerlitz; e una nuvola che attraversò il cielo fuori stagione bastò a far crollare un mondo. La battaglia di

Torino, racconta la storia dell’Italia dall’Unità nazionale a oggi. Si tratta di un allestimento multimediale, creativo e tecnologico dove il visitatore è invitato a scegliere i propri percorsi e a esplorarli in modo interattivo, lungo due direttrici parallele. La prima rappresenta il tempo cronologico ed è declinata in una sequenza di date significative per la storia italiana. La seconda è costituita da tredici “isole tematiche”, ciascuna dedicata ai fenomeni che maggiormente hanno influito sul profilo degli Italiani. Attraverso una

Giugno 2012 BBC History Italia

Waterloo poté cominciare soltanto alle undici e mezzo; il che diede a Blücher il tempo di arrivare”. Così Victor Hugo immortalava, tra le pagine del suo celebre romanzo “I Miserabili”, la disfatta definitiva di Napoleone Bonaparte contro gli eserciti degli Stati aderenti la Settima coalizione. In realtà il centro dello scontro, di quel 18 giugno 1815, si trovava un po’ più

a sud, nei pressi di un crocevia chiamato Quatre Bras, vicino al paese di Mont Saint-Jean. In poco meno di cinque chilometri quadrati si apprestavano ad affrontarsi 140mila uomini armati di 400 cannoni. A Waterloo, invece, non successe nulla; la piccola cittadina in Vallonia ai margini della foresta di Soignes ospitava, semplicemente, il quartier

pluralità di strumenti, narrazioni e linguaggi, oltre che con il supporto di filmati interattivi e di sorprendenti busti parlanti, che riproducono la fisionomia degli eroi risorgimentali, va in scena il Bel Paese. Fare gli italiani Officine Grandi Riparazioni, Torino fino al 4 novembre • tel. 0114992333 www.officinegrandiriparazioni.it

della civiltà fiorita a Urbino nella seconda metà del Quattrocento, alla corte del Duca Federico da Montefeltro. L’esposizione accoglie anche un’altra “città ideale” di analoga impostazione, conservata nella Walters Art Gallery di Baltimora, e oltre 50 opere fra dipinti, sculture, tarsie, disegni, medaglie, codici miniati e trattati di architettura che illustrano a tutto campo la felice stagione rinascimentale vissuta dalla piccola capitale, stretta tra i monti e le colline del Montefeltro. La Città Ideale. L’utopia del Rinascimento a Urbino tra Piero della Francesca e Raffaello Galleria Nazionale delle Marche, Urbino fino all’8 luglio 2012 tel. 199757518 www.mostracittaideale.it

L’enigma della Città Ideale La Galleria Nazionale delle Marche a Urbino ospita un’importante mostra sul tema della Città ideale partendo dal dipinto urbinate che costituisce uno dei più affascinanti enigmi del Rinascimento italiano. Di questo non se ne conosce né l’autore né la funzione, eppure risulta un compendio di arte, scienza e speculazione filosofica, uno dei più alti raggiungimenti

generale del britannico duca di Wellington, comandante in capo degli alleati. Eppure qui è stato allestito un grande museo diffuso della battaglia ai piedi della Collina del Leone, imponente monumento commemorativo torreggiante sulla piana. E qui, ogni anno, vanno in scena i “bivacchi napoleonici”, realistiche ricostruzioni degli accampamenti delle truppe francesi e dell’esercito nemico. Nel 2012 si potrà assistere alla rievocazione il 16 e il 17 giugno con centinaia di figuranti che animeranno l’ultimo quartier generale di Napoleone di Genappe e Ia zona di Hougoumont. Nei due bivacchi si potrà fare conoscenza con la vita militare di un tempo, scoprire armi e attrezzature utilizzate nel celebre scontro, ma anche aiutare a preparare i pasti. La visita sarà resa ancora più interessante dalla presenza del “mercato dell’Impero”, un villaggio con gli artigiani all’opera e taverne dove ristorarsi. Per assistere alla battaglia vera e propria bisognerà aspettare il 2015, per il Bicentanario dell’evento: in questa occasione si fronteggeranno le truppe francesi e quelle capitanate da Wellington e Blücher e, nella verdissima campagna belga, risuoneranno impetuosi gli attacchi dell’artiglieria.

Bivacchi napoleonici Waterloo 16-17 giugno 2012

www.belgioturismo.it www.waterloo1815.be 93


Libri

Tal/Rue des Archives

GIUGNO 2012

Gli ultimi giorni 28 aprile – 2 maggio 1945 di Nicholas Best Bruno Mondadori, pp 302, 25 euro

I

giorni che vanno dal 28 aprile al 2 maggio 1945 vedono morire Hitler e Mussolini, e, mentre Stalin prepara la parata del primo maggio e la presa del Reichstag tedesco, il mondo scopre, incredulo, il dramma dei campi di concentramento. In questo libro di Nicholas Best, scrittore e giornalista inglese, si alternano la “grande” e la “piccola” storia dei cinque giorni che segnarono indelebilmente il Novecento. Mentre Mussolini viene catturato, ucciso e appeso insieme con l’amante Clara Petacci in Piazzale Loreto a Milano, sua moglie, 94

Rachele, è rinchiusa con altre donne nel commissariato di Como e pensa preoccupata ai suoi figli da cui è stata separata. Nel frattempo la piccola Sofia, dopo aver conosciuto la guerra da quando ha cinque anni, si confronta con gli americani che in qualche modo segneranno anche il suo destino, una volta divenuta famosa come Sofia Loren. Le storie che si intersecano in questo libro sono, quindi, quelle dei grandi personaggi del tempo, da Churchill a Truman, dall’ammiraglio Donitz a Molotov e di quelli che “grandi” diventeranno. Si incontrano: Audrey Hepburn che festeggia l’operazione Manna che la salva dalla fame e dalla carestia; il futuro Papa Benedetto XVI che, dopo aver disertato dalla Wehrmacht, fugge verso casa; Karol Józef Wojtyła che

pulisce le latrine di un seminario occupato dalle SS, mentre Hildegard Knef, una delle poche attrici e cantanti europee ad aver lavorato a Hollywood e Broadway, combatte giovane per non cadere nelle mani dell’armata rossa. Sulla grande storia - la fine della terribile Seconda guerra mondiale, il crollo del Terzo Reich e dei suoi alleati, i partigiani che liberano Milano e l’incredulità che tanta sofferenza possa davvero concludersi - si innestano le testimonianze e le vite di personaggi destinati a caratterizzare la seconda parte del Novecento. L’unica pecca, data l’estrema scorrevolezza, è la mancanza di un indice analitico che, in un libro ricco di citazioni, sarebbe risultato uno strumento assai utile. Daniele Bettini BBC History Italia Giugno 2012


Italia. La Massoneria al potere di Fabio Zanello

Esperimenti naturali di storia di Jared Diamond, James Robinson

Castelvecchi Editore, pp. 440, 22,50 euro

Codice Edizioni, pp.288, 27 euro

L

a storia è morta: è questa la provocazione che viene da lanciare dopo aver letto l’ultimo libro di Jared Diamond, biologo, docente alla University of California, già vincitore del premio Pulitzer nel 1998 per la saggistica con Armi, acciaio e malattie, edito in Italia da Einaudi. La storia muore perché è sempre più altro da se stessa: è botanica, è statistica, è antropologia, è insomma il risultato di infinite discipline che la affiancano e la aiutano a spiegare e capire i perché del divenire. Esperimenti naturali di storia è un insieme di sette saggi che analizzano alcuni episodi storici, dalla Rivoluzione Francese all’esplosione del west americano, attraverso l’utilizzo del metodo comparativo, ma soprattutto con l’introduzione di metodi quantitativi che sempre più trasformano la ricerca storica in un’opera di ingegneria in cui diverse competenze si riuniscono per risolvere dei problemi. Un esempio del metodo utilizzato si ha nel quarto capitolo, curato direttamente da Diamond, che presenta due studi comparati che si occupano di isole: il primo, analizzando la storia di Hispaniola, arriva a spiegare l’odierna differenza esistente tra Haiti e la Repubblica Dominicana, rispettivamente la metà occidentale e orientale dell’isola, l’una con un reddito pro capite annuo, a parità di potere di acquisto, di 1200 dollari, contro i 9900 dell’altra. Nella seconda parte, invece, un approccio prettamente statistico-quantitativo è utilizzato per studiare 81 società insulari del Pacifico, al fine di capire perché l’Isola di Pasqua in Polinesia sia diventata famosa non solo per le enormi statue, ma anche per avere sofferto uno dei casi più estremi di deforestazione e di conflitti sociali del Pacifico. D.B. Giugno 2012 BBC History Italia

U

n volume quasi definitivo sulla ramificazione delle logge massoniche in Italia e nel resto del mondo. Una chicca per gli studiosi della materia: oltre 400 pagine abbondanti di dati e date, nomi, cifre, citazioni, documenti e testimonianze. Una lunga storia di complotti e di stragi che, dal dopoguerra sino all’ultimo rigurgito della “P4”, smaschera i registi occulti delle vicende cruciali del nostro Paese. Tutto sembra avere inizio da un oscuro membro di un loggia massonica internazionale, Giuseppe Cambareri, la cui figura, sinora, non è mai stata analizzata con la dovuta attenzione dalla storiografia italiana e mondiale. Non a caso, l’autore di questo estenuante lavoro è Fabio Zanello, “fanatico” studioso del rapporto fra storia contemporanea ed esoterismo eversivo, servizi segreti deviati, ingerenze ecclesiastiche e massoneria. Gaetano Farina

Un mondo di gang di John M. Hagedorn XL Edizioni, pp 246, 15 euro

Latin Kings, Comando, Neta e Mara Salvatrucha 13, meglio conosciuti come Ms13. Non sono nuovi cartoni animati, ma qualcosa di molto più pericoloso. Si tratta, infatti, delle gang latine che da ormai un decennio combattono una guerra cruenta e (sempre meno) silenziosa alle porte di Milano e nei piccoli centri della Lombardia. Attraverso i murales segnano e si dividono il territorio: non solo per fare soldi, ma soprattutto per guadagnarsi il rispetto della comunità in uno scenario d’integrazione sempre più complicato. L’autore del libro è il ricercatore americano John M. Hagedorn, ormai un esperto di bande criminali e, in queste pagine, stila una mappa di quelle più pericolose, da Mumbai a Parigi, da Chicago a Rio de Janeiro, da Los Angeles a Città del Capo. G.F.

In marcia con i ribelli di Arundhati Roy Guanda, pp 208, 18 euro

L’autrice de “Il Dio delle piccole cose” compie una coraggiosa ricognizione attraverso un’India sconosciuta, il cui orizzonte fisico ed economico negli ultimi decenni è stato completamente ridisegnato dalle multinazionali. Un’India dove le grandi aziende si sono impadronite delle terre e della vita delle persone in modo del tutto illegittimo. Ma i poveri di questi villaggi hanno deciso di fare fronte comune e di unirsi alla ribellione maoista per guidare la più grande democrazia del mondo verso un futuro alternativo al capitalismo selvaggio.

Libri a tema Viaggio nei borghi delle streghe di Roberto Borin

La stregoneria di Colette Arnould

edizioni Dedalo, 440 pp, 26 euro

Mursia, pp 182, 14 euro

Lo studio dell’Inquisizione e della caccia alle streghe non finisce di affascinare gli storici, e se nuovi ricerche di paleoeconomia collegano il fenomeno ai cambiamenti climatici in atto nell’Europa di fine ‘300, ci sono ricerche più tradizionali che, analizzando le fonti, ripercorrono le più svariate vicende in città e paesi di tutta Europa. Il libro di Roberto Borin raccoglie le storie intercorse tra ‘400 e ‘600 a Cavalese, Bormio, Triora, Villacidro e Benevento. Analisi e ricostruzioni su basi documentali dei processi che videro condannare a morte, quasi sempre dopo atroci sofferenze, guaritrici, levatrici e taumaturghe detentrici di un sapere arcaico, insomma semplici donne, messe al bando dalla cultura dominante dell’epoca. D.B.

è con rigore scientifico che l’autrice ripercorre la storia della stregoneria, traendone interpretazioni che investono l’uomo nelle pieghe più intime e oscure del suo immaginario e del suo inconscio. Una storia che affonda le radici nell’antichità e giunge fino ai nostri giorni, dopo aver caratterizzato in forme diverse il Medioevo e l’epoca moderna. Medea e Circe sono le mitiche progenitrici di una figura, quella della strega appunto, che riesce a catalizzare su di sé alcuni nodi cruciali della vicenda storica dell’Occidente, in un groviglio nel quale religione, superstizione e magia convivono. Una lucida e penetrante analisi storico-culturale, capace di svelare meccanismi e moventi di un fenomeno da cui abbiamo ancora molto da imparare.

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La Storia in tavola Polli e galli dal piatto alle profezie Probabilmente il pollo, il cui nome proviene dal latino “pullus” (animale giovane), venne addomesticato intorno al 4000 a.C. nella piana dell’Indo. Presente nell’antico Egitto dal XIV secolo a.C., sembra che arrivò in Grecia solo al seguito dell’Armata d’Oriente di Alessandro Magno. Secondo alcuni ricercatori i maschi si diffusero prima delle femmine perché apprezzati sia come animali da combattimento che per valenze religiose. Socrate, ormai moribondo, raccomandava al discepolo Critone di offrire un gallo a Esculapio, il dio della medicina, perché il canto mattutino dell’animale avrebbe annunciato l’ingresso della sua anima nell’aldilà. Presso i Latini il valore della carne di pollo crebbe sia sotto l’aspetto simbolico sia alimentare, come testimoniano gli scritti di numerosi autori. Apicio nel De Re Coquinaria ne propone diverse ricette. Catone e Columella ne consigliano l’allevamento. Petronio ne evidenzia la bontà mettendolo tra le portate del banchetto di Trimalcione del Satyricon.

La ricetta del mese Pollo alla Marengo

Nella Roma imperiale prosperavano pure le squadriglie dei galli profetici. Prima di ogni grande battaglia veniva offerta loro una razione di mangime; se i pennuti mangiavano voracemente la vittoria era assicurata, in caso contrario la sconfitta era inevitabile. Nel Medioevo le classi superiori misero in secondo piano la carne del pollo, preferendogli animali più spettacolari ed esotici quali pavoni e faraone. L’allevamento dei polli era una delle poche attività alle quali i contadini potevano dedicarsi abbastanza liberamente, garantendo al feudatario solamente un numero limitato di animali e uova. Fu solo nel Seicento che il pollo ritornò a essere un simbolo di agiatezza e un principe della cucina. Fra le ricette storiche dedicate a questo animale ricordiamo quella legata a Napoleone: il pollo alla Marengo. a cura di Susanna Cutini e Alex Revelli Sorini, condirettori dell’Accademia Italiana di Gastronomia Storica

Il 14 giugno 1800 Marengo (AL) era il campo di battaglia dove si fronteggiavano francesi e austriaci. Le dispense di Napoleone erano vuote, così il suo cuoco fece un piatto con i pochi ingredienti trovati nei casolari vicini: un piccolo pollo, qualche gambero di fiume, uova, olio, aglio e pomodori. Non possiamo affermare con certezza se l’episodio sia fatto storico o frutto della tradizione popolare ricollegata a questa ricetta piemontese.

Ingredienti - Pollo - Gamberi (di fiume) - Farina - Funghi - Pomodori - Vino bianco - Prezzemolo

- Limone - Pane raffermo - Uova - Olio extravergine d’oliva - Sale - Pepe

Preparazione Prendere un pollo, tagliarlo in pezzi, infarinarli e passarli in una padella con abbondante olio d’oliva, aggiungervi un trito di funghi, salare e pepare. Quando la carne sarà rosolata, mettere dei pomodori a cubetti, gamberi precedentemente scottati nel vino, un trito di prezzemolo e succo di

limone. Proseguire la cottura. A parte in due tegami diversi friggere nell’olio d’oliva delle fette di pane e delle uova pari al numero dei commensali. Servire il pollo alla Marengo disponendo al centro del piatto il pane, con sopra le uova e intorno i pezzi di carne con la loro salsa.

Giocati un SUDOKU, te lo offre: A SOLO

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ICOLA VENERDì IN EDICOLA TUTTI TUTTI I VENER LA REGOLA E’ UNA SOLA Per giocare a SUDOKU si deve riempire la griglia in modo che ogni riga, ogni colonna e ogni riquadro contengano le cifre da 1 a 9 una sola volta. Per esempio, una riga è formata da 9 quadretti. In ciascuno dei quali va scritta una cifra scelta tra 1,2,3,4,5,6,7,8,9. Nella riga ciascuna cifra deve comparire una sola volta. Ci sono 9 righe e in ciascuna vale sempre la stessa regola: Sempre la stessa regola vale anche per le colonne. Ci sono 9 colonne, da riempire con le stesse cifre da 1 a 9, senza che si ripetano. Infine ci sono i riquadri 3x3, per un totale di 9 quadretti. In ciascun riquadro ogni cifra da 1 a 9 deve comparire una sola volta. Il gioco consiste nel riempire di cifre tutte le 81 caselle, rispettando contemporaneamente le regole per le righe, le colonne e i riquadri.

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Difficoltà semplice BBC History Italia Giugno 2012


Prossimamente su Le verità nascoste

Se pensate che non vi sia più niente da scoprire sulla Seconda guerra mondiale vi sbagliate. BBC History esplora gli aspetti del conflitto che offrono nuovi spunti di riflessione

Il prossimo numero sarà in edicola il 16 giugno 2012

Gli Etruschi dalla A alla Z

Le foto perdute di Scott

Simón Bolívar

A un secolo di distanza dalla sua ultima spedizione, il ritrovamento della straordinaria raccolta di scatti del celebre esploratore polare

Un popolo eccezionale, progredito, che ha saputo mettere in difficoltà i potenti Romani infliggendogli anche sonore sconfitte belliche Foto IV di copertina: le piramidi di giza (Dudarev Mikhail/fotolia)

Patriota, generale e rivoluzionario venezuelano. La storia di el Libertador, che diede un grande contributo all’indipendenza dell’America Latina


bbc history italia n°14 - mensile - anno 2 - 2012 - € 3,90

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