La rifondazione del metodo

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La rifondazione del metodo Indagine sulle figure di Aldo Rossi, Giorgio Grassi e Carlo Aymonino tra scritti e progetti.

Studente: Raffaele Ferrandino Relatore: Christoph Frank Accademia di Architettura di Mendrisio Elaborato teorico - A.A. 2013/2014

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ABSTRACT

La "Tendenza" fu un movimento verso l'affermazione di uno stile, inteso come punto di vista, condiviso da tutti coloro a cui l'architettura è destinata.1 Lo studio delle figure di Aldo Rossi, Giorgio Grassi e Carlo Aymonino, attraverso l'analisi delle opere scritte e di due progetti che dimostrano la collaborazione fra i tre architetti, ha permesso di comprendere il panorama culturale presente in Italia tra gli anni sessanta e settanta. La presa di coscienza dei problemi ideologici dell'epoca portò alla volontà di attuare un'azione pratica, di costruire un unico progetto che analizzasse, le tecniche, gli obiettivi e l'operatività della disciplina architettonica.

1 cfr. Antonio Monestiroli, Aldo Rossi e la Tendenza, in "Casabella", Milano, Novembre 2013, p. 139

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p.1 p.2

INDICE

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p.10 1. INTRODUZIONE .......................................................................... p.12 2. CONTINUITA' O CRISI .............................................................. p.14 3. LA TENDENZA E IL SUO PROGETTO .................................... p.15 4. I PROTAGONISTI ......................................................................... p.16 3.1 ALDO ROSSI ........................................................................... p.18 3.2 GIORGIO GRASSI .................................................................. p.20 3.3 CARLO AYMONINO ............................................................. p.22 5. DUE PROGETTI .............................................................................. 4.1 QUARTIERE SAN ROCCO A MONZA .............................. 4.2 QUARTIERE GALLARATESE A MILANO ....................... 6. CONCLUSIONE .............................................................................. BIBLIOGRAFIA .............................................................................. 7. TAVOLE ...........................................................................................

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INTRODUZIONE L'elaborato affronta il tema della rifondazione della disciplina architettonica in Italia alla luce delle teorie elaborate nella seconda metà degli anni sessanta attorno al gruppo della Tendenza. Le idee promulgate dal gruppo italiano, che vide come portavoce Aldo Rossi, ebbero una risonanza mondiale nel dibattito architettonico dell'epoca e gettarono le basi per la rifondazione del "metodo". Negli anni che seguirono il dopoguerra (in particolare si parla del ventennio tra il 1965 e il 1985), si cercava di definire un nuovo campo d’indagine alternativo al Movimento Moderno che si era dimostrato scarsamente efficace nelle soluzioni adottate rispetto alle questioni del recupero dei centri storici e dell'integrazione dei nuovi interventi con i tessuti urbani esistenti. Coadiuvato dai contributi di Giorgio Grassi (con "La costruzione logica dell'architettura" del 1967), Carlo Aymonino (con "Origini e sviluppo della città moderna" del 1965) e Vittorio Gregotti (con "Il territorio dell'architettura" del 1966), "L'architettura della città" di Aldo Rossi costituì una svolta significativa per il ripensamento dell'intera pratica architettonica italiana, europea e americana. Il lavoro è suddiviso in quattro parti. La prima parte è la contestualizzazione storica che aiuta a definire i principi del Movimento

Moderno

che

ne

determinarono

la

sconfitta

rispetto

alle

problematiche del secondo dopoguerra già espresse. La seconda parte evidenzia i caratteri principali dell'ideologia espressa dalla Tendenza alla luce degli insegnamenti di Rogers al Politecnico di Milano e nella redazione di Casabella - Continuità (di cui fu direttore dal 1954 al 1964). La terza parte si concentra sulle figure di Aldo Rossi, Giorgio Grassi e Carlo Aymonino e rispettivamente su "L'architettura della città" del 1966, "La costruzione logica dell'architettura" del 1967 e "Rapporti tra morfologia urbana e tipologia edilizia" del 1965, per comprendere i contenuti alla base della rifondazione del metodo. La quarta parte propone invece un'analisi di due progetti che vedono Aldo Rossi impegnato prima nel progetto per il quartiere residenziale San Rocco insieme a Giorgio Grassi, poi nell'edificio residenziale per il Gallaratese in collaborazione con Carlo Aymonino. La scelta di questi progetti è determinata dalla volontà di evidenziare la forte connessione tra analisi teorica e progetto, entrambi momenti finalizzati al processo conoscitivo della città. Lo studio del dibattito architettonico italiano di quest'epoca è sembrato necessario per capire l'entusiasmo, la fatica ed il coinvolgimento dei personaggi che presero parte alla Tendenza, di coloro che parteciparono ad un progetto in formazione, ad un movimento teso a superare la condizione passiva della cultura architettonica di quegli anni.

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CONTINUITA' O CRISI Le distruzioni provocate dalla seconda guerra mondiale imposero la necessità di una rapida ricostruzione del patrimonio edilizio e le nuove speranze di sviluppo economico dovuto al Piano Marshall accrescevano l'ottimismo anche nell'attività costruttiva. La ricostruzione post-bellica, al di là della necessità del semplice e affrettato "fare", mise in evidenza alcune problematiche rilevanti a proposito del rapporto tra i nuovi interventi ed i tessuti urbani preesistenti. I precetti dei CIAM, ormai impoveriti dalla forma globalizzata del Movimento Moderno, l'International Style, si dimostrarono inadeguati ad affrontare tale ricostruzione e a risolvere con chiarezza il futuro dell'architettura aprendo la strada alla crisi. Il maggiore fallimento da parte del Movimento Moderno fu l'incapacità di confrontarsi con la città storica. Il rifiuto della tradizione e della storia, gli schemi logico-quantitativi che cercavano di oggettivare il metodo progettuale, il funzionalismo urbano (lo zoning), l'uso dell'existenz minimum per dimensionare tutti gli spazi dell'uomo, l'incapacità di collegare formalmente e spazialmente le nuove opere con i centri storici dimostrarono che il Moderno si era ormai esaurito2. L'incontro del CIAM ad Otterlo nel 1959 vide, infatti, il gruppo degli italiani composto da Giancarlo De Carlo, Vico Magistretti e Richard Rogers proporre una rottura con l'involuzione formalistica dell'architettura moderna che aveva colpito la teoria del CIAM. Il recupero della tradizione sembrò l'unica alternativa forte al manierismo dell'International Style: "Se la modernità è solo quello che (...) se per essere moderni basta applicare (...) le loro (dei membri del CIAM) formule meccaniche, allora di essere considerato moderno non poteva importarmene di meno. Però l'architettura moderna (...) è di sostanza molto più complessa dei pensierini semplici che i CIAM continuavano a ribadire"3. All'interno dell'MSA si registrarono tuttavia posizioni diverse sul concetto di tradizione: da una parte stava Albini che cercava di recuperare le tecnologie tradizionali e di unirle a quelle nuove per formare una "nuova tradizione", e dall'altra stava Rogers ed il suo team redazionale di "Casabella" che era alla ricerca della tradizione colta dell'Ottocento in linea con le "preesistenze ambientali" di Rogers4.

2 Cfr. Francesco Sorrentino, Influenze europee della Tendenza italiana, Il progetto urbano in Spagna, O.M. Ungers e la cultura tedesca, p.3 3 F. Buncuga, Conversazioni con Giancarlo De Carlo, in Architettura e libertà, Eleuthera, Milano, 2000, p.105 4 A. Rossari, Il movimento di studi per l'architettura, in Continuità e Crisi, Ernesto Nathan Rogers e la cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra, Alinea, Milano, p.21

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Nell'editoriale del 1956 "Architettura moderna dopo la generazione dei Maestri", Rogers evidenzia due componenti della sua visione politico-culturale del Movimento Moderno: da una parte difende i quattro grandi maestri dell'architettura moderna, F.L Wright, Le Corbusier, Walter Gropius e Mies van der Rohe, dall'altra cerca di definire il ruolo della nuova generazione di architetti che affermavano la via delle "preesistenze ambientali" nel secondo dopoguerra5. E.N. Rogers, e prima ancora Sigfried Giedion con "Space, Time and Architecture", cercò di leggere il Movimento Moderno non come un fatto acritico, separato dalla storia, ma come un'esperienza in continuità storiografica che provava a riallacciare i rapporti problematici con l'Ottocento e le sue diverse stagioni stilistiche. La riformulazione della struttura organizzativa dell'architettura offrì due possibilità di sviluppo diverse e opposte: da una parte stava l'utopia dell'avanguardia, e dall'altra la rifondazione disciplinare, l'una isolata dalla realtà e figlia di una "umanità teorizzata", l'altra in "continuità" storica, che combatta "gomito a gomito con gli altri uomini". Nelle parole di Rogers si respira tutto il cambiamento culturale e simbolico generato dalla ricostruzione europea, "delle battaglie per la casa dell'uomo e di un ritorno forte ad una idea umanizzata dell'architettura moderna, dei suoi spazi e della sua visione sociale, contro un'Avanguardia considerata macchinista e astratta"6. "L'architettura può sviluppare le premesse del Movimento Moderno o sta cambiando rotta? Ecco il problema: continuità o crisi? (...) Considerando la storia come processo, si potrebbe dire che è sempre continuità o sempre crisi a seconda che si vogliano accentuare le permanenze piuttosto che le emergenza (...) il concetto di continuità implica quello di mutazione nell'ordine della tradizione. Crisi è rottura - rivoluzione . cioè il momento di discontinuità dovuto all'influenza di fattori nuovi (... ) Per stabilire il punto della situazione presente occorre approfondire i motivi del Movimento Moderno, scevrando quelli che sono sorti per ragioni contingenti e che pertanto hanno avuto una durèe limitata, da quelli che possono ambire a una più lunga durèe perchè ne implicano i contenuti essenziali. (...) perchè i buoni e i cattivi sono da scevrare entro i confini della stessa tendenza: non basta più essere genericamente moderni, bisogna spiegare il significato di tale modernità"7.

5 A. Rossari, Il movimento di studi per l'architettura, in Continuità e Crisi, Ernesto Nathan Rogers e la cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra, Alinea, Milano, p.24 6 Ivi, p.26 7 E. N. Rogers, Continuità o crisi? in "Casabella - Continuità",v. 2 n. 215, 1957, pp. 5-6

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LA TENDENZA E IL SUO PROGETTO Il dibattito culturale legato all'architettura cominciato negli anni sessanta si sviluppò maggiormente a Roma, con le figure di Quaroni e Ridolfi che promuovevano la corrente del Neorealismo, e a Milano, dove si cercava di difendere i valori della modernità seppur attenuata da una nuova e specifica sensibilità storica grazie alla figura di Ernesto Nathan Rogers8. I suoi insegnamenti al Politecnico di Milano durante il corso "Caratteri stilistici e Monumenti" formarono una nuova generazione di architetti che poi entrarono nello staff editoriale di Casabella-Continuità diretto dallo stesso Rogers tra il 1954 e il 1964. Tra questi personaggi, i più influenti furono Aldo Rossi, Guido Canella, Gae Aulenti, Giorgio Grassi, Ezio Bonfanti, Vittorio Gregotti e Carlo Aymonino (che, sebbene provenisse dalla Scuola di Roma, collaborò con Rogers in Casabella).9 I temi e le lezioni del maestro Rogers costituirono la matrice di base per i diversi approcci che andarono poi a formare una sorta di arcipelago culturale che costituì la Tendenza e che caratterizzò il dibattito italiano e internazionale degli anni sessanta e settanta. Gli elementi comuni nella scuola di Milano possono essere riassunti in cinque punti10: 1. L'atteggiamento critico nei confronti del Movimento Moderno che si era dimostrato inefficace nel confronto diretto con la realtà postbellica; 2. Una maggiore apertura verso la complessità della realtà che va compressa attraverso l'individuazione di un sistema logico che dia senso alle forme; 3. L'affermazione dell'autonomia disciplinare dell'architettura, capace di strutturare indipendentemente se stessa e la città; 4. La volontà di affondare le radici dell'architettura nella storia non in modo nostalgico, ma filtrando le forme del passato; 5. La rivalutazione dell'idea di "Tipo" come strumento d’identificazione del concetto originario di architettura.

8 Cfr. Francesco Sorrentino, Influenze europee della Tendenza italiana, Il progetto urbano in Spagna, O.M. Ungers e la cultura tedesca, pp. 1-2 9 Cfr. The autonomy of architecture II, http://dc352.4shared.com/doc/44TjzOt_/preview.html 10 Ibidem

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"Sappiamo che oggi si possono porre nell'architettura compiti importanti solo nella misura che essa è disposta ad accettare e ad immedesimarsi con l'alternativa che si pone dalle cose"11. In questo passaggio dell'introduzione di Aldo Rossi al catalogo della XV Triennale di Milano del 1973, stavano le aspettative e le speranze di ritrovare il fondamento che proseguisse la lezione di Rogers, che fosse capace di dare una nuova indipendenza alla disciplina architettonica, affinché potesse avere valenza sociale, politica e culturale. Il Catalogo della XV Triennale, intitolato "Architettura Razionale", si presenta come un'indagine dei progetti di architettura, degli scritti, delle critiche che miravano a superare la fase di ristagno dell'architettura elaborando un nuovo atteggiamento di matrice marxista e logico-scientifico all'interno del dibattito disciplinare al fine di individuare dei metodi d’indagine scientificamente validi e a recuperare saldi rapporti con l'esperienza reale. Di particolare interesse è il breve saggio di Rosaldo Bonicalzi "Eredità del Movimento Moderno" che illustra i possibili momenti genealogici della Tendenza12: 1. Il dibattito sul Razionalismo inteso come atteggiamento di pensiero che guida le scelte umane, che sia fondamento della costruzione di una logica dell'architettura avulsa dal funzionalismo o dall'interdisciplinarietà. L'ambiguo accostamento tra i termini Funzionalismo e Razionalismo che dimostra l'incapacità di giungere ala definizione di un sistema conoscitivo globalizzante a causa del distacco dalla sua struttura e dall' antistoricità; Secondo queste determinazioni il significato della Tendenza sta "... positivamente nel suo divenire altro da sé, qualitativamente, nel suo acquistare cioè spessore di ideologia del fare architettura nella costruzione logica di una teoria dove per teoria si intenda appunto un sistema ordinato di proposizioni il cui fine è la definizione di uno stile" 13. "Coerenza, tendenza e stile non sono sinonimi ma tre momenti del processo storico nel quale si determina il fenomeno artistico. Coerenza è la qualità necessaria all'artista per stabilire i propri rapporti con un mondo morale sopra un piano armonico sicché ogni atto prenda quota da quello; tendenza è la

11 Aldo Rossi, Architettura Razionale, Catalogo XV Triennale di Milano, Sezione Internazionale di Architettura, p. 16 12 Cfr. Rosaldo Bonicalzi, Architettura Razionale, Catalogo XV Triennale di Milano, Sezione Internazionale di Architettura, p. 62 13 Ivi, p.64

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deliberata traduzione di quegli atti entro un ben definito solco individuale; stile è l'espressione formale della coerenza e della tendenza" (E. N. Rogers)14. 2. Il dibattito sui rapporti con la storia (e della sua importanza nel corso della progettazione) e con la città, che vengono considerati nel dopoguerra come fondamentali riscontri nell'impegno progettuale.

In

contrapposizione all'antistoricità del M.M., si afferma la reazione di Rogers che stabilisce nuovi rapporti con la storia ed il M.M. stesso. "Quel che ha realizzato in questi quindici anni la parte migliore della cultura italiana, è servito allo scongelamento dello stile moderno, ad allargare il concetto di funzione, a recuperare il senso della storia. Ciò corrisponde a delle operazioni che pur avendo varie implicazioni e personali interpretazioni, si possono porre sotto un denominatore comune: la coscienza del tempo nella determinazione della coscienza spaziale; il tempo non come un presente autonomo in opposizione ad un passato finito, ma come continua mutazione la quale in ogni momento presente contiene tutto il passato e lo trasforma: un presente che contiene dunque anche un'intenzionalità per il futuro"15. Si evidenzia quindi un rinnovato rapporto dialettico tra l'architettura e la storia, la tradizione e la città, dove il progetto approfondisce le relazioni tipologiche autonomamente dalla sua localizzazione, pur traendo dallo studio della morfologia urbana gli stessi elementi della sua costruzione. Lo sguardo verso l'eredità dell'architettura moderna e verso il vasto catalogo di tipi prodotti dalla storia permise di definire, quindi, un nuovo tipo di architettura che potesse riconnettersi alla società essendo politicamente e socialmente partecipe. Per fare ciò l'architettura doveva trovare autonomia disciplinare, per questo non cercava riferimenti oltre se stessa. Più che una costruzione, essa divenne ideologia, l'incarnazione di una più larga scala di valori che sono contenuti nel vocabolario proprio dell'architettura, un dibattito che era spinto anche dall'idea che l'architettura potesse avere un ruolo politico e che quindi potesse formare la società. Per questo motivo, altrettanto importanti erano i progetti elaborati nelle scuole, quanto più rigorosi, quasi schematici, basati sullo studio della città e sulla logica dell'edificio, frutto di un insegnamento che aveva lo scopo di formare una tecnica rigida, una razionalità, capace di permettere uno sviluppo individuale della ricerca16.

14 Cfr. Rosaldo Bonicalzi, Architettura Razionale, Catalogo XV Triennale di Milano, Sezione Internazionale di Architettura, p. 64 15 Cfr. Ivi, p.70 16 Cfr. Aldo Rossi, Architettura Razionale, Catalogo XV Triennale di Milano, Sezione Internazionale di Architettura, pp.20-21

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I PROTAGONISTI La Tendenza provò a preservare l'architettura e la città dalle forze del consumismo e della megalopoli proponendo il ritorno ai "limiti" dell'architettura attraverso il "Luogo geometrico" (l'ambiente costruito) ed il "Luogo logico" (gli scritti ed i concorsi)17. Nel corso del dibattito la pubblicazione di diversi testi emblema fu di fondamentale importanza per il supporto delle tesi avanzate: nel 1966 "L'architettura della città" di Aldo Rossi, nel 1967 "La costruzione logica dell'architettura" di Giorgio Grassi e nel 1965 "Origini e sviluppo della città moderna" di Carlo Aymonino. Aldo Rossi - Poesia del metodo La definizione di nuove teorie capaci di guidare il fare architettonico appariva necessaria di fronte all'insufficienza operativa dell'International Style. "L'architettura della Città" di Aldo Rossi viene pubblicato nel 1966, in contemporanea a "Complexity and Contradiction" di Robert Venturi e "Il territorio dell'architettura" di Vittorio Gregotti. La posizione più chiara e precisa all'interno della Tendenza, carica di possibili sviluppi interessanti legati al superamento della critica al Movimento Moderno, fu sicuramente quella di Aldo Rossi che propose la visione dell'architettura come "problema conoscitivo" in chiave autobiografica e personale. Egli si battè per recuperare il centro: non credeva nella collaborazione con elementi esterni poiché la logica potrà nuovamente affermarsi solo se il linguaggio si fonderà da poche parole restituite al loro valore semantico originario. "Nei miei progetti o in quello che scrivo cerco di fissarmi un mondo rigido e di pochi oggetti; un mondo già stabilito nei suoi dati... una posizione di questo tipo nega, e ignora, tutto il processo di attribuzione redentrice che si è voluto conferire all'architettura o all'arte, dal movimento moderno sia come attitudine che come risultato formale. Per questo personalmente, e non per polemica ma perché ho una dimensione diversa del problema, non ho mai distinto tra architettura moderna e no; intendendo che si tratta semplicemente di operare una scelta tra certi tipi di modelli18.

17 Cfr. Massimo Scolari, Architettura Razionale, Catalogo XV Triennale di Milano, Sezione Internazionale di Architettura, p.160 18 Ibidem, p. 173

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L'essenzalizzazione del linguaggio architettonico proposta da Rossi parte dall'assunto ben preciso la teoria si costruisce partendo dal confronto con una realtà specifica e complessa. Questa realtà non è fisica ma interiore al soggetto che deve usare la memoria per ritrovare le "immagini primitive" senza le quali l'uomo Rossi non avrebbe mai costruito. In quest'ottica, la teoria diventa il modo di interpretare la realtà e il presupposto per l'invenzione alla luce del progetto e delle influenze tra il soggetto e la realtà stessa. L'opera di Rossi è quindi frutto della dualità del suo pensiero che delinea una dialettica degli opposti destinata a non avere mai una sintesi19: particolare universale, oggettivo - soggettivo, permanente - mutevole, razionalità invenzione. Nell'articolo di Ezio Bonfanti "Elementi e costruzione" si delinea bene il processo paratattico, ovvero la pratica additiva per elementi compiuti operata da Aldo Rossi nella propria architettura. È possibile classificare gli elementi in "pezzi ("gli elementi primi irriducibili ulteriormente"20, come i setti sottili del Gallaratese o la trave a sezione triangolare del ponte per la Triennale di Milano) e "parti" (gli elementi più complessi costituiti dai pezzi e che possono coincidere con l'intera architettura)21. La libera associazione degli elementi scelti dal catalogo personale dell'autore permette di definire non tanto un'unità della composizione, quanto piuttosto la ricerca dell'unità nella frammentarietà che caratterizza l'architettura e la città in sequenze complesse o lineari. L'architettura e la città sono poste quindi come luoghi della conoscenza, basati sulla logica e l'invenzione. In questo senso gli elementi della memoria personale e collettiva sono gli strumenti che Rossi utilizza per dare forma alla sua "Città Analoga": un collage di episodi, monumenti e ricordi che convivono perché appartenenti al bagaglio soggettivo e collettivo. L'analisi e il progetto si pongono in continuità, poiché entrambi finalizzati al processo conoscitivo, ma non raggiungono mai un'unità compiuta, restano sospesi in una dimensione, dove coesistono nelle "correspondances" tra realtà e immaginazione. Non sembra possibile approfondire in questa sede i fondamentali concetti di monumento, di antifunzionalismo, di tipologia e di metodo di composizione degli elementi strutturanti per evitare una riduzione troppo affrettata e semplicistica di tali questioni. È però opportuno chiarire che il discorso che si vuole affrontare parte dalle solide basi logiche espresse da "L'architettura della città" per definire il metodo di Rossi alla luce della sua esperienza autobiografica.

19 Cfr. Ezio Bonfanti, Elementi e Costruzione, in "Controspazio", 1970, n.10, p.20 20 Ivi, p.19 21 Ibidem

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La "Città analoga", elaborata da Aldo Rossi già a partire dal 1964, ma che trova compimento nella tavola presentata alla Biennale di Venezia del 1976,rappresenta lo sviluppo analitico e progettuale più fluido dell'esperienza di Rossi. Essa rappresenta il momento di sintesi progettuale tra la teoria delle scelte, l'analisi urbana e il procedimento analitico-additivo in una visione che cerca l'oggettivazione del rapporto tra realtà e immaginazione. Rossi forma qui la sua idea di città, fedele all'assunto che la città si componga per parti in sè autonome e concluse, dove i pezzi e le parti si sommano sovrapponendosi per la definizione di un progetto unitario. La città si configura come un manufatto, opera d'arte in cui la città antica e quella moderna si fondono attraverso "una serie di elementi diversi, tra loro collegato dal contesto urbano e territoriale, come cardini della nuova città". È una città ricostruita a partire dall'idea di città, in particolare quella socialista, consolidata da certi aspetti concreti che si sono depositati nella storia. Da qui vengono i modelli urbani di strada-corte e casa a ballatoi-casa a corte, che caratterizzano evidentemente i progetti di Rossi, frutto del procedimento additivo operato da Rossi: l'unico strumento che l'artista-scienziate-bricoleur può utilizzare per ricomporre e ricostruire i frammenti della realtà22. La Città Analoga non è però una città per i vivi, essa “si nega all’abitare concreto degli uomini" 23 , diventa una città per i morti, è "Utopia assente" nella sua tragicità. “le mie architetture, i singoli progetti sono a loro volta le parti di una sola architettura che sono incapace a comporre nella sua totalità. Ma li concepisco come frammenti e lo sono formalmente perché sono come i pezzi rotti di una sola cosa”24.

22 cfr. The autonomy of architecture II. http://dc352.4shared.com/doc/44TjzOt_/preview.html 23 Vittorio Magnago Lampugnani, Utopia assente. Frammenti per una storia critica, in "Casabella", n° 487-488, 1983. 24 Aldo Rossi, Lettera ad Ezio Bonfanti, 3 gennaio 1971, in Ezio Bonfanti, Nuovo e Moderno in Architettura, a cura di Marco Biraghi e Michelangelo Sabatino, Milano, Bruno Mondatori, 2001, pag. 362.

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Giorgio Grassi - Logica del metodo Come appena evidenziato, Aldo Rossi fa dei ricordi lo scopo e delle analogie la costruzione del pensiero e del progetto, dove le figure dello storico e del poeta convivono in un rapporto dialettico costante e mai scegliendo tra l'una o l'altra. Giorgio Grassi, tra le due, sceglie la figura dello storico, sceglie il mondo reale, poiché il reale coincide con ciò che è più astratto: esso è sistema di relazioni la cui logica non è nella forma, ma risiede nell'indifferente identità di tutte le cose. Nel 1967 viene pubblicato "La costruzione logica dell'architettura" ad opera di Giorgio Grassi con l'intento di proporre un manuale capace di definire un metodo di lavoro, un ipotetico programma operativo alla luce delle riflessioni dell'autore. Egli descrive nel libro la necessità di prendere partito, di combattere contro gli slogan (interdisciplinarietà, grande dimensione, nuove tecniche), di risolvere il progetto con lucidità, rigore, linearità, facilità e semplicità. "L'architettura è intesa qui nel suo carattere di costruzione, cioè di procedimento secondo un ordine logico di scelte per elaborare una teoria formale dell'architettura. Scelta che si compie sul senso delle forme, sui tipi, sull'ordine

con

cui

questi

si

presentano.

Scelta

sugli

elementi

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dell'architettura, sui suoi possibili ordini logici" . Tale atteggiamento trova fondamento nella stretta relazione con il razionalismo, inteso non come mero funzionalismo, o come pensiero degli "architetti della ragione" (gli illuministi) ma come filone di pensiero che affida la produzione artistica all'organizzazione logica per darle valore di verità e risolvere così "l'ansia di certezza"26. Il fine del razionalismo è la conoscenza dell'architettura (intesa come costruzione logica) e del suo fondamento scientifico (come procedimento logico-sintattico)27, esso mira a definire una teoria formale dei tipi delle forme architettoniche, di pochi elementi stabili e costanti e dell'ordine con cui essi si presentano all'interno del procedimento. Solo l'osservazione storica descritta da Grassi costituisce il materiale di base per l'analisi: la descrizione degli elementi fissi da utilizzare come esperienza razionale della storia attraverso la classificazione e la riduzione degli elementi da un certo angolo visuale costituiscono i presupposti riflettere razionalmente sull'architettura. La scelta speculativa consiste nel porsi in modo attivo e obiettivo rispetto all'oggetto studiato e nella costruzione per generi e classi28.

25 G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura, Marsilio, Venezia, 1967, p.18 26 Hans Reichenbach, Nascita della filosofia scientifica, 1951 27 G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura, Marsilio, Venezia, 1967, p.33 28 Ivi, p.61

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In questa logica il senso delle forme è determinato ogni volta tautologicamente dal processo che le applica all'interno della composizione architettonica. Si evidenzia così lo stretto rapporto che esiste tra il procedimento compositivo ed elementi della composizione, poiché l'invenzione dell'architetto non sta nell'ideazione di nuove forme, ma nella diversa applicazione dei processi e dei rapporti tra i singoli elementi al fine di creare nuovi ordini logici29. "L'esigenza di plasmare una massa eterogenea e spesso gigantesca di materiali secondo una legge formale ugualmente valida per ogni elemento comporta una riduzione della forma architettonica alla sua esigenza più sobria, più necessaria, più generale: una riduzione, cioè, alle forme geometriche elementari, che rappresentano gli elementi di base di ogni architettura: cioè il faticoso, ostinato processo di affinamento dei tipi, come sforzo di organizzazione per norme razionali, testimonia la ricerca di elementi invariabili"30. Lo scopo della fase di semplificazione formale operata da Grassi è il disvelamento dell'elemento di generalità dell'architettura. L'essenzalizzazione è l'unico approccio possibile per il fare architettura: è il processo stesso della progettazione, che si dispiega nell'architettura e che è possibile comprendere solo dopo aver accettato il fine conoscitivo della disciplina. L'architettura è concepita come processo conoscitivo che si fonda sulla successione di momenti interconnessi che si susseguono nel tempo in una connessione logica imposta dalla ragione. La ragione è ciò che per Grassi definisce la forma e la semplifica per rivelare i principi essenziali dell'architettura: "definizione e definito si chiudono così in uno stesso circolo" 31 . Il processo di semplificazione operato da Grassi è una "stilizzazione", una liberazione dalle forme storiche dell'architettura che assume il significato della "citazione". Essa è il fine a cui tendere e non il mezzo per riferirsi al passato, è precisa coincidenza tra ciò che viene rappresentato (il modello) ed il suo processo di creazione. Questo è il progetto come procedimento, fuori dall'invenzione personale e dentro un’intenzione collettiva. "Ironia e silenzio testimoniano la considerazione del limite dell'opera di fronte alla struttura stessa del pensiero e di fronte alla manifestazione più aperta e complessa di esso, cioè l'esperienza storica. Proprio di fronte ad essa la citazione sembra diventare anche il mezzo più logico e razionale per aderirvi".

29 G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura, Marsilio, Venezia, 1967, p.181 30 G.Grassi, Introduzione a Hillberseimer citando "Groszstadtarchitektur", in Architettura come mestiere e altri scritti, p. 50

31 Giorgio Grassi, I progetti, le opere e gli scritti, p.8

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Carlo Aymonino L'ultimo contributo teorico che si vuole evidenziare con l'elaborato è quello formulato da Carlo Aymonino per la definizione del metodo operativo dell'architetto. Formatosi nella "scuola di Roma", Aymonino trova i suoi riferimenti negli insegnamenti neorealisti di Ludovico Quaroni e Mario Ridolfi con i quali collabora durante i primi periodi della sua carriera al progetto del quartiere Tiburtino a Roma. Come per Rossi e Grassi, la città e la sua costruzione sono intese dall'architetto romano come fine ultimo dell'architettura. In quanto fenomeno urbano per eccellenza, l'architettura deve essere analizzata nella sua qualità urbana, ovvero nella sua "capacità di porsi di volta in volta in rapporto a(ad altre architetture esistenti, a un determinato paesaggio, a un sistema di infrastrutture, etc.), di essere parte compiuta di un processo in divenire"32. L'analisi urbana costituisce lo strumento essenziale per dare valore di oggettività alle scelte progettuali perché solo attraverso la comprensione dei rapporti tra morfologia urbana e tipologia edilizia e dei loro cambiamenti nel corso della storia è possibile comprendere le leggi formative e trasformative che regolano la città. “Dato per esistente il rapporto tra la morfologia urbana e la tipologia edilizia come un rapporto dialettico, è sul variare di questo che si basa l’esistenza delle città nel suo duplice aspetto: come carattere generalizzabile in determinati periodi storici e come carattere individuo di ciascuna città. Il carattere generale è dato dalla possibilità di rilevare, attraverso l’analisi urbana, la permanenza di un rapporto tra la morfologia urbana e la tipologia edilizia in condizioni geografiche differenti. Il carattere individuo è dato dalla possibilità di rilevare, sempre attraverso l’analisi urbana, i mutamenti nel rapporto morfologia-tipologia. L’analisi urbana studia quindi le variazioni del rapporto dialettico tra la morfologia urbana e la tipologia edilizia”33. Il fine conoscitivo dell'analisi è evidente anche nella produzione teorica di Aymonino poiché mira a comprendere la "storia della cultura materiale" nella formazione della città e la "stratificazione delle strutture urbane" riferite alle precise situazioni geografiche34. Essa diviene strumento per la progettazione, in quanto metro di valutazione per capire la "completezza delle parti". Nella teoria di Aymonino il concetto di "parte di città formalmente compiuta" è fondamentale per comprendere il possibile processo di sviluppo futuro della città europea.

32 Carlo Aymonino, Rapporti tra morfologia urbana e tipologia edilizia, p.4 33 Ivi, p.20 34 Renato Bocchi, Conferenza del ciclo “4 maestri della Scuola di Venezia”, CARLO AYMONINO

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“La forma compiuta è la raggiunta unità, in un determinato periodo storico, del processo di formalizzazione: essa è perciò riscontrabile sia in un singolo edificio, come affinamento dei suoi elementi costitutivi (il Partenone, rispetto ai templi precedenti) sia in una parte della città (il complesso dei Palazzi Vaticani, di S.Pietro, dei Borghi e di Castel S.Angelo in Roma) sia infine in una città intera”35. Il "pezzo di città" definito quindi come formalmente completo assume significato di permanenza storica poiché contiene in esso il processo di stratificazione delle relazioni interne ad esso e di quelle con il resto della città che, in fase di progetto, viene frammentata in "parti". In questo ordine logico, l'architettura diventa capace di definire interi pezzi della città nuova e di completare le parti di quella esistente. Solo attraverso le riflessioni fatte durante l'analisi è possibile determinare la compiutezza di una parte di città e stabilire un giudizio di valore (talvolta anche soggettivo) per i singoli edifici e di quelli dell'intorno che ne risulteranno condizionati. L'architettura nuova non s’inserisce semplicemente o mimeticamente nel contesto, è l'esistente che viene manipolato dal progetto per definire una reinterpretazione morfologica che si manifesta nelle deformazioni del modello utilizzato 36 . L'essenza del progetto architettonico per Aymonino sta proprio nell'instaurare questo stretto rapporto dialettico tra il progetto e ciò che è oltre se stesso, verso la parte di città che ne è influenzata, poiché solo attraverso questo dialogo continua il processo naturare di stratificazione storica (di acquisizione e riduzione) che porta l'unità nella complessità37.

35 Carlo Aymonino, Rapporti tra morfologia urbana e tipologia edilizia, p.4 36 Renato Bocchi, Conferenza del ciclo “4 maestri della Scuola di Venezia”, CARLO AYMONINO 37 Crf. Ibidem

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DUE PROGETTI La quarta e ultima parte di questo studio vuole approfondire due progetti ad uso residenziale che caratterizzarono i primi momenti dell'attività di Aldo Rossi. Da una parte sta il progetto per l'unità residenziale San Rocco del 1966 realizzato con Giorgio Grassi per il concorso della zona 167 a Monza e dall'altra, sta l'edificio in linea che fu assegnato a Rossi nel 1967 da Aymonino all'interno del complesso residenziale del Gallaratese a Milano. L'importanza di questi due progetti sta in due aspetti fondamentali: nell'idea che questi interventi definiscano o completino una "parte di città" e nel riconoscimento da parte di Rossi dell'autorità della tipologia nel discorso dell'abitazione. Nel caso del progetto per Monza la tipologia adottata è quella di un complesso di corti con evidente riferimento all'Hofe di Vienna, mentre nel caso del Gallaratese è quella della casa a ballatoio che trova i suoi precedenti nelle Siedlungen nord europee. In entrambi i casi, le forme tipologiche sono interpretate rigidamente per enfatizzare l'importanza della riduzione formale legata ai tipi che evoca uno schema, un'idea, un riferimento38. "Credo dia necessario, nonostante le difficoltà che si presentano, parlare di questo riferimento. Si tratta delle antiche tipologie residenziali, viste sotto l'aspetto delle sezioni archeologiche con la loro libertà ordinata, o quel disordine compreso in un ordine non più rintracciabile completamente nello scavo. Questa sezione archeologica, e in gran parte proprio quelle delle antiche abitazioni ha la capacità concreta di porsi come un fatto legato all'immaginazione."39 Solo attraverso l'analisi delle architetture del passato è possibile rintracciare l'idea, il fondamento della nuova architettura in stretto rapporto con il tempo storico, perché, come descritto ne "L'architettura della città", tale rapporto viene cristallizzato dalla memoria collettiva nei monumenti che diventano i centri di sviluppo della struttura della città per parti. L'impegno dell'architettura, in quest'ottica, consiste nel definire una struttura logica che permetta di poter disegnare i nuovi pezzi della città scegliendo tipologie consolidate che mettano in crisi la città borghese e sostengano quella socialista40.

38 Cfr. Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970, p.45 39 Ivi, p.47 40 Cfr. Ivi, p.49

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Quartiere San Rocco a Monza - La Corte Il progetto per il quartiere di San Rocco rappresenta un momento importante nella definizione degli intenti di Rossi e Grassi poiché dimostra la collaborazione tra i due architetti nel suo essere senso ibrido e aperto al dibattito. Giorgio Grassi ne parla evidenziandone "il frammentarismo ricercato come obiettivo e scopo di un esercizio intellettuale "trop bien fait" "41, perché lo scopo del progetto era di definire chiaramente le nuove possibilità dell'architettura. San Rocco propone una nuova idea dell'architettura allo stesso tempo soggettiva e oggettiva, monumentale e fragile, capace di aprire il dialogo su base razionale. Dal punto di vista geografico, il progetto affronta il difficile tema della periferia: il lotto di progetto è situato in una conurbazione priva di struttura e gerarchie spaziali che scandisca il passaggio tra i diversi nuclei urbani. Da quest'analisi del contesto urbano, Rossi e Grassi non intendono integrare il progetto come semplice frammento di una realtà non riconoscibile, ma stabilendo una forma definita e precisa per l'impianto tipologico che costituisca un esempio positivo da poter imitare per lo sviluppo della città moderna. Secondo questa serie di intenti, il quartiere non si presenta come condensatore isolato di vita extra-urbana, di limite urbano, ma come soluzione che permetta la riconnessione delle aree periferiche attraverso la massima libertà di impianto garantita dalle attrezzature pubbliche, dalle connessioni che attraversano l'intervento e dal verde pubblico. Mentre gli spazi di connessione dell'unità residenziale manifestano la permeabilità del progetto, la tipologia della corte cerca di escludere l'intorno degradato della conurbazione attraverso la forma compiuta del quadrato. La scelta della tipologia e dell'impianto morfologico che vengono adottati non è casuale: l'intento è di confermare l'elemento basilare che ha caratterizzato maggiormente lo sviluppo delle città europee nelle aree esterne dimostrando il processo di "tipizzazione" dell'abitazione. L'autonomia formale dell'intervento è garantita dai riferimenti tipologici adottati per la progettazione: dall'uso della legge geometrica della griglia ortogonale organizzata su cardo e decumano, dal riferimento all'insula romana, alla casa milanese e della campagna lombarda, fino ad arrivare al caso del Karl Marx Hof di Vienna inteso come roccaforte operaia. La corte diventa spazio intermedio tra vita pubblica e privata, isolato dall'esterno nel suo silenzio. Essa è sempre stata presente nello sviluppo della città in quanto regolatrice dei "rapporti che esistono tra il costruito, lo spazio libero, la strada, la piazza e il luogo appartato"42.

41 Cfr. Giorgio Grassi, I progetti, le opere e gli scritti,p.14 42Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970, p.53

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Quartiere Gallaratese a Milano - La Strada Il progetto del Gallaratese va individuato all'interno delle coordinate culturali evidenziate nei primi capitoli dell'elaborato e si propone di essere una delle risposte possibili alla realizzazione della "critica operativa". L'applicazione del concetto di tipologia edilizia legata alla morfologia urbana, lo studio della storia in profondità (per ricercare la composizione architettonica e le trasformazioni della città) e l'uso del linguaggio geometrico (in quanto portatore dell'importanza della forma nel moderno e nella tradizione) sono i temi fondamentali del corso ""Caratteri distributivi degli edifici" che Aymonino teneva insieme a Rossi allo IUAV di Venezia. L'intento di continuazione della tradizione razionalista è visibile soprattutto nella definizione della residenza urbana come tema fondamentale per comprendere lo sviluppo futuro della città moderna. Se Aymonino cerca di condensare un vasto patrimonio di tipologie conosciute all'interno di un unico edificio attraverso invenzioni formali quali lo slittamento dei piani e dei corridoi o la riorganizzazione in serie degli appartamenti, Aldo Rossi è più interessato ad un intervento silenzioso, che evochi la tipologia della "casa a ringhiera" della casa popolare lombarda dove il corridoio interno, anche riferito all'Unitè d'Habitation, diventa l'elemento tipologico centrale in quanto condensatore di vita. "un enunciato logico che stia prima della forma e la costituisce (...) è la regola, il modo costitutivo dell'architettura. Il valore strutturale della tipologia (e quindi una preminenza nell'architettura) è un fatto compositivo; ma riguarda in primo luogo la scelta e la tendenza"43 E ancora in riferimento alla scelta del corridoio inteso come strada: "nel mio progetto per l'unità residenziale nel distretto del Gallaratese a Milano c'è una relazione analogica con i lavori di ingegneria che si uniscono liberamente con la tipologia a corridoio e la sensazione relativa che ho sempre percepito nell'architettura della casa d'affitto tradizionale milanese dove il corridoio significa uno stile di vita legato alle occasioni di tutti i giorni, all'intimità domestica e alle varie relazioni con le persone."44 L'effetto generato dalla compresenza della massa muraria bruna e articolata dell'edifico compatto di Aymonino (quasi come il Castello Sforzesco chiuso verso la campagna) con il volume a ballatoio (tipicamente urbano) di Rossi è la creazione

di

una

nuova

"parte

di

città"

che

cerca

di

rappresentare

43 Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970, p.53 44 Vittorio Savi e Aldo Rossi, An analogical architecture, in "A&U: architecture & urbanism", p. 100

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scenograficamente il rapporto tra monumento e area-residenza espresso nelle teorie dei due architetti durante le lezioni allo IUAV di Venezia. Dal punto di vista urbano l'impianto appare volutamente isolato dai riferimenti ricercati nella struttura di Milano che Aymonino aveva rintracciato in "Origini e sviluppo della città moderna" (1971): l'intento non fu di continuare lo sviluppo tipico delle periferie milanesi attraverso l'uso di edifici appartati, ma di ridefinire lo sviluppo attraverso la composizione di edifici in linea orientati verso la "strada vitale" progettato inizialmente da Piero Bottoni45 nel 1946. Il complesso appare indistinto in pezzi singolarmente identificabili per la volontà di Aymonino di ridurre il rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana in una "città come tutta architettura", cioè risolta non attraverso la sommatoria di diverse tipologie edilizie, ma attraverso la definizione di un sistema compositivo in funzione urbana in cui i percorsi privati e collettivi definiscono la struttura ideologica dell'intervento46. Quando nel Novembre del 1967 Aymonino affida a Rossi (allora disoccupato) la realizzazione dell'edificio D del complesso, si compie la definizione della "parte di città" intesa da Aymonino. "Io sono incapace di progettare edifici bassi. Nella struttura del Gallaratese avevo previsto un corpo longitudinale a tre piani. Aldo Rossi in quel periodo era senza lavoro, così è nata la collaborazione (...)volontà di verificare la progettazione in sè, di comprendere il problema dei rapporti tra segni architettonici e possibilità urbane. é l'aspirazione a configurare una parte di città dove la discontinuità morfologica adombri la discontinuità storica dei processi genetici urbani"47. Nella differenza dei risultati ottenuti dai due architetti è da leggere l'interesse nei confronti del rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana al fine

di

comprendere le possibili implicazioni di questi studi in fase di progettazione. L'effetto generato dalla giustapposizione dei due approcci permette di identificare le architetture e le loro relazioni interne con una vera e propria città, dove convivono le stratificazioni storiche della "parte di città" e l'immobilità sfuggente del "treno che viaggia nella notte"48

45 Cfr. Luca Monica, Gallaratese Corviale Zen. I confini della città moderna disegni di progetto degli studi Aymonino, Fiorentino, Gregotti, p. 12 46 Cfr. Renato Bocchi, Conferenza del ciclo “4 maestri della Scuola di Venezia”, CARLO AYMONINO. 47 Cfr. Claudia Conforti, Il Gallaratese di Aymonino e Rossi, p. 49 48 Cfr. Ivi, p.154

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CONCLUSIONE La ricerca condotta in questo elaborato intende riportare in luce il dibattito architettonico fatto dal gruppo della Tendenza poiché ha rappresentato un momento ricco di temi ancora attuali e problemi aperti a diverse interpretazioni. L'attenzione per l'ambiente della città e lo studio dei fenomeni urbani a fondamento della progettazione sembrano ormai obsoleti, e lo dimostra la separazione della disciplina urbanistica da quella architettonica nelle facoltà italiane49. L'intimo legame tra territorio e architettura, tra la città e l'architettura svanisce in un'architettura che ha perso il proprio valore locale in favore della globalità alla ricerca del successo immediato. "Le Corbusier diceva che la caratteristica dell'architettura moderna è la "recherche patiente". (...) Occorre essere pazienti, l'architettura non è un'attività che si realizza producendo cose dall'oggi al domani. È un'arte difficile, dove quasi non esiste la precocità e tutta una vita basta appena per imparare la virtù principale, cioè la capacità di distinguere tra quel che è importante e quel che non lo è. È un tirocinio lento50. Da questo passaggio che cita Le Corbusier è interessante partire a ripensare a una pratica lenta, che poggia le proprie fondamenta su forti basi metodiche per la teoria e la prassi, entrambe finalizzate processo conoscitivo. Il ritorno all'architettura dell'identità e alla tradizione tramite l'analogia rossiana o la citazione grassiana sembra ormai una strada impraticabile per via dell'incompatibilità con le leggi di mercato e l'innovazione tecnologica odierna. Tuttavia, il recupero del locus, inteso da Rossi come "rapporto singolare eppure universale che esiste tra una certa situazione locale e le costruzioni che stanno in quel luogo" 51 , appare ancora una traccia da ripercorrere per ripensare la pratica architettonica a partire dalle cose davvero importanti. "le forme da fissare sono poche e devono corrispondere al senso comune dell'abitare"52.

49 Cfr. Francesco Sorrentino, INFLUENZE EUROPEE DELLA TENDENZA ITALIANA, p.121 50 Leonardo Benevolo, Pazienza e impazienza, in La fine della città, Intervista a cura di Francesco Erbani a Leonardo Benevolo, Laterza, Bari, 2011, p. 137 51 Aldo Rossi, L'architettura della città, cit., p.139 52 Aldo Rossi, Autobiografia Scientifica, Pratiche editrice, Parma, 1990, p.27 _ Aldo Rossi racconta che in passato a Siviglia chi intendeva farsi realizzare una casa, comunicava al costruttore solo la dimensione della corte interna, del corrales, e domandava solo in seguito il numero delle stanze che era possibile ottenere intorno.

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Tutto per Aldo era spettacolo e questo spettacolo andava messo in scena. Ricordo che questa scoperta per me è stata determinante. Il mio apprendistato di architetto è stato segnato da questo nuovo e affascinante punto di vista. Un punto di vista che mi ha consentito di capire i rapporti tra tutte le arti della rappresentazione, fra l'architettura e il cinema, la pittura, la letteratura. Quando Aldo parlava di Luchin Visconti, di Thomas Mann, di Mario Sironi, si capiva che ciò che teneva insieme gli artisti, e lui a loro, era il punto di vista da cui tutti loro guardavano la realtà: la realtà come spettacolo, la città come 'scena fissa della vita degli uomini' come luogo di cui stupirsi ogni giorno, così come ci si stupisce della propria esistenza"53. In questo estratto si coglie tutta l'intenzione di Rossi di rendere la vita reale oggetto dello spettacolo teatrale che vede la città come scenografia. In esso si raccontano le vite e i sentimenti degli uomini che hanno natura quasi domestica, consueta. Ed è per questo che nei progetti analizzati si evidenziano le figure della città come costanti tipologiche che strutturano l'architettura e sono all'rigine del progetto: la corte e la strada54. Essi diventano "la matrice tipologica a cui Rossi affida il carattere del progetto stesso, lo scheletro ricondotto ad archetipo, a idea generale di abitare, nella consapevolezza che solo una spinta popolare può darci il senso di un progetto generale, condiviso"55.

53 54 55

Antonio Monestiroli, Forme realiste e popolari, in Care architetture, scritti su Aldo Rossi, Allemandi Torino, 2003 Cfr.Claudia Tinazzi, LA DIMENSIONE COLLETTIVA NEI PROGETTI DI RESIDENZE DI ALDO ROSSI, cit. Ibidem

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MONOGRAFIE Aldo Rossi, L’architettura della città, a cura di Federico Bucci, CittàStudi edizioni, Torino, 1995 Aldo Rossi, Autobiografia Scientifica, Pratiche editrice, Parma, 1990 Aldo Rossi, Scritti scelti sull’architettura e la città 1956- 1972, a cura di Rosaldo Bonicalzi, Quodlibet, Macerata, 2012 Aldo Rossi, Architetture, 1959-1987, a cura di Alberto Ferlenga, Electa, Milano, 1987 Aldo Rossi, Luoghi urbani, a cura di Cecilia Bolognesi, Unicopoli, Milano, 2006 Giorgio Grassi, La costruzione logica dell’architettura (1967), Scritti scelti vol.1, Umberto Allemandi & C. , Torino, 1998 Giorgio Grassi, Architettura come mestiere e altri scritti, a cura di Massimo Scolari e Franco Angeli, Franco Angeli, Milano, 1995 Giorgio Grassi, I progetti, le opere e gli scritti, a cura di Crespi G., Pierini S., Electa, Milano, 1996 Carlo Aymonino, Rapporti tra morfologia urbana e tipologia edilizia: Documenti del corso di caratteri distributivi degli edifici. Anno academico 1965-1966, a cura di Gianni Fabbri, Cluva editore, Venezia, 1966 Claudia Conforti, Carlo Aymonino, l’architettura non è un mito, Officina edizioni, Roma, 1980 Claudia Conforti, Il Gallaratese di Aymonino e Rossi, Officina Edizioni, Roma, 1981 Architettura Razionale, Catalogo XV Triennale di Milano, Sezione Internazionale di Architettura, Franco Angeli Editore, Milano, 1973 Luca Monica, Gallaratese Corviale Zen. I confini della città moderna disegni di progetto degli studi Aymonino, Fiorentino, Gregotti, Festival Architettura ed. Roma, 2008 ARTICOLI Antonio Monestiroli, Aldo Rossi e la Tendenza, in "Casabella", Milano, Novembre 2013 Carlo Aymonino, Progetto architettonico e formazione della città, in "Lotus n*7", 1970 Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970 Ezio Bonfanti, Elementi e Costruzione, in "Controspazio", n.10, 1970 Massimo Scolari, Le facoltà di architettura, in "Controspazio", 1972, n. 5-6 anno IV Vittorio Savi, An analogical architecture, in A&U: architecture & urbanism, 1976 Maggio, n. 65, p. 55-120, DOTTORATI

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Francesco Sorrentino, INFLUENZE EUROPEE DELLA TENDENZA ITALIANA, Il progetto urbano in Spagna, O.M. Ungers e la cultura tedesca, Dottorato in composizione architettonica XXIII ciclo, Tutor: Alberto Cuomo, Napoli, 2011 Giovanni Poletti, ALDO ROSSI, AUTOBIOGRAFIA SCIENTIFICA: SCRITTURA COME PROGETTO, Indagine critica tra scrittura e progetto di architettura, Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica XXI Ciclo, Relatore: Gianni Bragheri, Bologna, 2009 Claudia Tinazzi, LA DIMENSIONE COLLETTIVA NEI PROGETTI DI RESIDENZE DI ALDO ROSSI, Dottorato in composizione architettonica XXII ciclo, Relatore: Raffaella Neri, Venezia, 28 agosto 2009 SITOGRAFIA Gina Oliva, Dicembre 2012 http://www.vgHortus.it/index2.php?option=com_content&task=emailform&id =54&itemid=48 (consultato il 7 Gennaio 2014) Luca Falconi Di Francesco, La città analoga, gennaio 2014, http://www.lucafalconi.it/2007/07/20/la-citta-analoga/ (consultato il 7 Gennaio 2014) Renato Bocchi, Conferenza del ciclo “4 maestri della Scuola di Venezia”, CARLO AYMONINO, Università Iuav di Venezia, Giovedì 17 maggio 2012 https://sites.google.com/a/edumail.iuav.it/rbweb/conferenza-su-carloaymonino (consultato il 7 Gennaio 2014) The autonomy of architecture II. http://dc352.4shared.com/doc/44TjzOt_/preview.html (consultato il 7 Gennaio 2014)

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TAVOLE

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magine 1 - Aldo Rossi, Città Analoga, collage, 1976 nte: http://maxxisearch.fondazionemaxxi.it/maxxi/collezionixx/XX/scheda/IT-MAXXI-AR0001-0001597 magine 2 - Gallaratese, Foto aerea dell'inserimento, 2014 nte : www.google.ch/maps

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Immagine 3 - Aldo Rossi e Giorgio Grassi, Modello volumetrico per il concorso del progetto del quartiere di San Rocco a Monza, 1967 _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970 Immagine 4 - Carlo Aymonino e Aldo Rossi, Modello volumetrico del progetto per il quartiere Gallaratese, 1967 _ fonte: Claudia Conforti, Il Gallaratese di Aymonino e Rossi, Officina Edizioni, Roma, 1981

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Immagine 5 - Piante e sezioni complesso San Rocco a Monza _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970 Immagine 6 - Piante e sezioni complesso Gallaratese _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970

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Immagine 7 - La "corte" in San Rocco _ fonte: Claudia Tinazzi, LA DIMENSIONE COLLETTIVA NEI PROGETTI DI RESIDENZE DI ALDO ROSSI Immagine 8 - La "strada" nel Gallaratese _ fonte: Claudia Tinazzi, LA DIMENSIONE COLLETTIVA NEI PROGETTI DI RESIDENZE DI ALDO ROSSI

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Immagine 9 - Aldo Rossi, Schemi tipologici a confronto: XIII Triennale; edificio d'abitazione progettato con Grassi a Milano; unitĂ residenziale San Rocco a Monza _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970

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Immagine 10 - Schemi tipologici della "strada" e della "corte" e rappresentazione di Aldo Rossi dei due progetti _ fonte: Claudia Tinazzi, LA DIMENSIONE COLLETTIVA NEI PROGETTI DI RESIDENZE DI ALDO ROSSI

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Immagine 11 - Aldo Rossi e Giorgio Grassi planimetria generale del coplesso San Rocco a Monza, 1966 _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970 Immagine 12 L'AVANA tesi di laurea di Paolo Bolner, Paolo Borghero, Giuliano Fiorito, Aldo Jacoianni, 1971, Relatore: Carlo Aymonino _ fonte: Massimo Scolari, Le facoltĂ di architettura, in "Controspazio", 1972, n. 5-6 anno IV

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Immagine 13 - Aldo Rossi e Giorgio Grassi planimetria generale del complesso San Rocco a Monza con distribuzione delle funzioni, 1966 _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970 Immagine 14 - Karl Ehn, Karl Marx Hof a Vienna, 1926-1930

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Immagine 15 - Confronto tra la facciata del Gallaratese e quella del chiostro di Santa Maria della Pace a Roma (Bramante), analogia tra le gallerie e le logge _ fonte: Bianchi Alessandro, La cittĂ riconoscibile, Raffaelle Ed. , 1999 Immagine 16 - Prospetto dell'edificio al Gallaratese _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970

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Immagine 15 - Confronto tra la facciata del Gallaratese e quella del chiostro di Santa Maria della Pace a Roma (Bramante), analogia tra le gallerie e le logge _ fonte: Bianchi Alessandro, La cittĂ riconoscibile, Raffaelle Ed. , 1999 Immagine 16 - Schizzi per il progetto dell'edificio al Gallaratese _ fonte: Aldo Rossi, Due Progetti, in "Lotus n* 7" , 1970

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Dichiaro di aver redatto questo lavoro interamente di mio pugno, secondo gli articoli 37.1 e .2 del Regolamento degli studi (proibizione del Plagio). Dichiaro inoltre di aver citato esaustivamente le fonti cartacee ed elettroniche dei passaggi riportati.

FIRMA

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