aCCADEMIA dI bELLE aRTI dI pALERMO a.a. 2009/10
mINISTERO dELL’iSTRUZIONE dELL’uNIVERSITÀ e dELLA rICERCA aLTA fORMAZIONE aRTISTICA mUSICALE tESI dI rAFFAELLA cORALLO rELATORE fABRIZIO LUPO
tESI ( sESSIONE ) sTRAORDINARIA
aCCADEMIA dI bELLE aRTI dI pALERMO a.a. 2009/10 mINISTERO dELL’iSTRUZIONE dELL’uNIVERSITÀ e dELLA rICERCA aLTA fORMAZIONE aRTISTICA mUSICALE tESI dI rAFFAELLA cORALLO rELATORE fABRIZIO LUPO
iO mI tROVO mOLTO sIMPATICA!!!
Indice p. 1
Introduzione
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> Capitolo I - Da Zurigo a NewYork
p. 12
Dada vs Futurismo
p. 13
Dada vs Surrealismo
p. 14
> Capitolo II - Innovazioni introdotte da Dada
p. 43
> Capitolo III - Teatro dadaista e dadaismi a teatro
p. 57
> Capitolo IV - Fazzoletto di nubi
P. 61
Note
p. 63
Indice delle immagini
p. 65
Bibliografia e Webgrafia
p. 66
Filmografia
Introduzione
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Durante il mio percorso di studi accademico, ho avuto modo di studiare e approfondire diversi argomenti interessanti che prima ignoravo totalmente, come il teatro delle ombre e il teatro orientale, l'illuminotecnica e molte altre cose. Tra queste anche il Dadaismo. Sembra una cosa banale, visto e considerato che è un argomento che si studia anche al liceo, ma spesso al liceo, l'arte contemporanea viene trattata in maniera frettolosa e superficiale per stare al passo col programma, per cui non si ha la facoltà di capire a fondo tutto ciò che invece è importante sapere, anche per sviluppare un proprio percorso artistico. Picasso diceva: “Punta alla perfezione. Cerca, per esempio, di disegnare un cerchio perfetto; e poiché non si può fare, l’errore involontario rivelerà la tua vera personalità. Ma se vuoi rivelarla disegnando un cerchio imperfetto, il cerchio esclusivamente tuo, rovinerai tutto”. A parer mio, tale concetto è la formula segreta della “spontaneità dadaista”. Sebbene i dadaisti non puntassero alla perfezione, erano alla ricerca di quell'errore involontario di cui parla Picasso. Ciò che pone DADA al centro della mia tesi, è proprio questo carattere sperimentale, perché è in genere lo spirito di ogni artista. DADA cerca, non trova. DADA vuole provare tutto, anche le cose che non gli piacciono. DADA è un'adolescenza. DADA è un'infanzia. DADA è un rito di passaggio obbligatorio. Oggi la sperimentazione è la salvezza dell’arte. Per tanti anni gli artisti hanno combattuto per abbattere il muro che separa arte e vita, e adesso viviamo in un secolo in cui la scissione non è mai stata tanto evidente. L’arte fa fatica a entrare nelle case dei cittadini e quando ci entra non viene capita. Forse mai come in questi tempi, ci sarebbe bisogno di DADA.
In fondo il dadaismo è stato uno dei movimenti più longevi della storia dell'arte, perché si è sempre rinnovato di città in città ed è riapparso a distanza di molti anni, in nuove vesti, ma sempre mantenendo il suo carattere sperimentale. DADA è uno spettacolo che ci ha resi sempre partecipi di qualcosa di nuovo. Secondo Henri Behar, autore del saggio “Il teatro dada e surrealista”, la macchina scenica dadaista non potrebbe più essere applicata nel nostro tempo, perché il pubblico di oggi si è ormai abituato a manifestazioni artistiche di questo tipo. Prendendo spunto da questa dichiarazione, la mia tesi non vuole essere solo un omaggio a DADA e a Tristan Tzara, protagonista indiscusso del dadaismo, ma ha lo scopo di dimostrare che, con le opportune modifiche, il teatro dadaista è ancora attuale. Certamente una rappresentazione teatrale dadaista, comporta dei rischi, poiché si tratta di testi estremamente complicati da gestire registicamente. Tuttavia, con i mezzi tecnici e tecnologici a nostra disposizione, le soluzioni sceniche più disparate, sono oggi possibili. Questo, basterebbe almeno in parte, a riassorbire le difficoltà d’interpretazione dei testi. Il riadattamento dei testi dadaisti darebbe la possibilità di esplorare la scena italiana e quindi rinnovarla, favorendo l’evoluzione della scenografia, che troppo spesso non viene valorizzata, e finisce per essere l’elemento sacrificabile della rappresentazione. A questo proposito, il mio personale progetto di scenografia, sull’opera di Tristan Tzara, “Fazzoletto di nubi”, reinterpreta l’impostazione scenica concepita dall’artista, esaltandone gli aspetti più innovativi e facilitando l’interazione tra attore e spettatore.
Zurigo 1916. Unico rifugio sicuro isolato dai bombardamenti della prima guerra mondiale. Meta di emigrati politici e disertori, di pacifisti e rivoluzionari, di poeti e artisti. Vi era Joyce che scriveva l'Ulisse che lo avrebbe reso famoso. Lenin stava preparando la rivoluzione russa. Risiedeva in compagnia della moglie nella via Spiegelgasse, stessa strada in cui nasceva DADA pochissimo tempo dopo. Infine vi erano artisti finiti lì per caso come Tristan Tzara e janco, studenti rumeni fuori patria bloccati lì dalla dichiarazione di guerra della Romania o Hugo Ball e Huelsenbeck che si rifiutavano di ritornare ancora sul fronte. Hans Arp fuggito dalla Francia perchè considerato uno straniero ostile. Fu questo il contesto che rese quel rifugio sicuro zurighese una “specie di prigione” 1,come spiegherà Tzara alcuni anni dopo, scatenando gli animi repressi di un gruppo di giovani artisti che guardarono la guerra con orrore e che trovarono sfogo nel piccolo locale di Hugo Ball, denominato in seguito Cabaret Voltaire. Al gruppo sopracitato si unirono in seguito numerosi altri artisti, tutti riuniti sotto il nome di DADA.
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Due sillabe che un tagliacarte scivolato tra le pagine di un vocabolario Larousse aveva accidentalmente portato alla luce destando l’attenzione di un giovane Tristan Tzara che con entusiasmo le avrebbe annunciate agli amici la sera dell’8 febbraio 1916 al Cafè Terasse mentre Hans Arp intratteneva i suoi 12 figli infilandosi una brioche nel naso. DADA: la coda della vacca sacra dei negri Kru. DADA: “cubo” o “Madre” nell’antico dialetto di qualche regione italiana. DADA: cavallo a dondolo in lingua francese. DADA: Balia in russo e in romeno. DADA: una parola che vuol dire tutto ma non vuol dire assolutamente niente. Due sillabe prive di senso che non rappresentano altro che un simbolo di rivolta e negazione. Al contrario dei colleghi futuristi che volevano cambiare il mondo a colpi di baionetta, i dadaisti non credevano affatto che la guerra fosse un’esperienza che potesse formare una gioventù eroica. I dadaisti restavano indignati dalle dichiarazione politiche che cercavano di giustificare una guerra di “etichette” come la definì Hugo Ball, “un meccanismo inarrestabile manovrato dal diavolo in persona” 2. I dadaisti odiavano la guerra e il nazionalismo, ma non erano affatto dei pacifisti! Come i futuristi, erano dei belligeranti! Animati dall’odio verso la realtà claustrofobica in cui vivevano, salivano sul piccolo palco del Cabaret Voltaire. Questo era il locale d’intrattenimento di proprietà di Hugo Ball, nonché base operativa ove militava il gruppo. A questo fa riferimento Ball quando scrive: “il nostro cabaret è un gesto. Ogni parola che qui viene detta o cantata, significa per lo meno un fatto: che questo tempo mortificante non è riuscito a imporci rispetto” 3. Quelle sere al Cabaret Voltaire, il gruppo saliva sul palco ostentando un’atteggiamento ironico e spudorato shoccando il pubblico che assisteva e lasciava la sala indignato. Eppur tuttavia la gente tornava sempre a riempire quella piccola sala perché troppo incuriosita da ciò che poteva accadere sul quel palco. Così i dadaisti animarono Zurigo, guadagnandosi visibilità e fama che li spronò a osare sempre di più, attirando l’attenzione di pubblico e stampa, compiacendosi delle reazioni tumultuose del pubblico e delle recensioni più crudeli dei critici. Nel 1918 Tristan Tzara pubblicò
il primo manifesto del movimento. Scrive Tzara: “io scrivo un manifesto, […] e per principio sono contro i manifesti, del resto sono anche contro i principi” 4 e seguita spiegando che scrive questo manifesto per dimostrare come si possa essere apertamente contraddittori, perché DADA è contraddizione. E si accanisce contro la CRITICA. La critica che cerca di interpretare DADA, e non può farlo perché DADA non vuol dire nulla. La critica che decide ciò che bello e ciò che è brutto. Ma l’opera d’arte non può essere bella perché “la bellezza è morta” 5 dice Tzara “la critica perciò è inutile” 6. Ogni giudizio può essere solo soggettivo. DADA è contro le teorie, le scuole e le accademie. Ed è contro gli artisti che si piegano al potere e al signor denaro : “L’arte serve per ammucchiar denari e accarezzare i gentili borghesi?” 7 . Tzara si rivolge a tutti coloro che vogliono conservare la propria libertà. Ma ribadisce anche che non dimentica i grandi creatori e pensatori del suo secolo. Tuttavia il nuovo artista non dipinge più, non scrive poesie e non compone melodrammi.
Il nuovo artista protesta! Il nuovo artista non plasma la materia per trasformarla in realtà, ma plasma la realtà stessa. Non c’è posto per filosofi, psicanalisti, studiosi o scienziati. Nel Manifesto Dada non c’è né per nessuno. Nessuno che usi la dialettica come arma, perché sarà pure uno strumento potente e raffinato, tuttavia non è mai stata in grado di dare fondatezza alle opinioni di coloro che la sappiano usare. E' proprio questo l’altro punto fondamentale del manifesto. La verità non esiste. Non una verità unica e definitiva. “Si osserva, si guarda da
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uno o da parecchi punti di vista e si sceglie un determinato punto tra milioni d’altri che ugualmente esistono. […] io sono contro i sistemi: l’unico sistema ancora accettabile è quello di non avere sistemi” 8. Con questo concetto Tzara c’introduce gli ultimi due capitoli del manifesto, ovvero “La spontaneità dadaista” e il “ Disgusto dadaista”. Nel primo di questi due brevissimi capitoli Tzara delinea su quale fronte DADA combatte questa guerra, condannando appunto il mercantilismo dell’arte; un’arte vuota, priva di contenuti, controllata per fini politici, osannata da critici corrotti, sostenuta da borghesi sempliciotti e ignoranti e prodotta da cosiddetti artisti a scopo di lucro, e il mezzo per combattere questo circolo vizioso è appunto il disgusto dadaista, cioè la negazione in ogni sua forma. La negazione di qualsiasi cosa, sistema, ideale, sentimento positivo o negativo, del passato, del presente, del futuro e tutto ciò che susciti disgusto dadaista.
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Il gruppo Dada zurighese crolla sotto il peso del suo stesso successo e di divide già i primi mesi del 1917. Tuttavia il movimento non è ancora destinato a morire, infatti, come gli apostoli che si divisero per divulgare la parola del Cristo, i componenti del gruppo di Zurigo prendono strade diverse portando la rivoluzione dadaista nel resto d’Europa. Berlino è la prima destinazione a entrare nel dada-ciclone e l’apostolo-dada che vi approda è Richard Huelsenbeck. La capitale germanica, nel 1918, minacciata sul fronte dagli Stati Uniti, era il centro gravitazionale della guerra. Oltre ai problemi sul fronte di guerra, era soggetta a pressioni di origine interna. Il malcontento del popolo diveniva sempre più forte e per questo veniva placato con soluzioni drastiche. Ecco perchè Berlino si presentava territorio ostile per la rivoluzione Dada che proprio a causa di tali motivi, prendeva una svolta tutta politica. Di fatto il gruppo berlinese dadaista combatte sul fronte politico in prima linea. Huelsenbeck aveva preso le distanze dal dadaismo dopo aver lasciato la Svizzera. Un anno dopo però, precisamente il 22 gennaio 1918, al gabinetto artistico I.B. Neumann a Berlino, durante una conferenza, tenne un animato discorso che contagiò i giovani artisti lì presenti. Dichiara Hans Ritcher “Fu lui che diffuse il bacillo Dada a Berlino, e Raoul Hausmann, che aveva subito il contagio fin dalla nascita, accolse con tale slancio l’infezione zurighese che neppure gli stessi bacilli furono più in grado di dire se la loro paternità fosse imputabile ad R.H. Oppure a R.H.” 9 . Johannes Baader, George Grosz, Raoul Hausmann, Hannah Hoch e John Heartfield, sono i protagonisti dell’avventura dadaista berlinese. Il 12 aprile dello stesso anno Huelsenbeck aveva già scritto il primo manifesto dadaista, “Il dadaismo nella vita e nell’arte”, e lo annunciò alla Berliner Sezession dichiarando ufficialmente la fondazione del Club Dada. Con la tradizionale aggressività dadaista, il manifesto monta all’attacco contro l’arte espressionista sotto accusa per essersi anch’essa abbassata a soddisfare i gusti di un pubblico borghese. Un espressionismo che promette di dare sfogo ai moti umani più interni, ferventi e vitali, che finisce per diventare “un grosso idillio nell’attesa di una buona pensione” 10. Prosegue distinguendo DADA da tutti gli
altri movimenti, specialmente dal futurismo, sottolinea Huelsenbeck. “La parola DADA simbolizza la relazione più primitiva con la realtà che ci circonda: col dadaismo una nuova realtà prende possesso dei suoi diritti. La vita appare in una simultanea confusione di rumori, di colori, di ritmi spirituali che nell’arte dadaista sono immediatamente ripresi dai gridi e dalle febbri sensazionali della sua audace psiche quotidiana e in tutta la sua brutale realtà. […] Per la prima volta il dadaismo non si pone in maniera estetica davanti alla vita… Essere dadaista può voler dire qualche volte essere commerciante, politico più che artista, non essere artista per caso” 11 e conclude affermando: “Essere contro questo manifesto vuol dire essere dadaista” 12. Con queste parole Huelsenbeck conferma che la contraddittorietà è la firma di DADA anche adesso a Berlino, come la era stata a Zurigo. Quella sera, a seguito della lettura del manifesto, il Club Dada recita le prime poesie dadaiste. Come preventivato, scandalizzarono il pubblico al punto che la manifestazione dovette essere interrotta. Proprio così com’era già avvenuto nel Cabaret Voltaire. Come si è già detto, Berlino non era il luogo ideale dove piantare i semi del dadaismo. Di fatto, il tumulto del pubblico non fu l’unica conseguenza di quella prima serata all’insegna del DADA. I manifesti firmati stampati da Huelsenbeck che sarebbero stati venduti a 5 marchi al pezzo vennero sequestrati dalla polizia e Hausmann venne arrestato 3 giorni dopo. Per quest’ultimo tuttavia la serata fu un successo proprio per tali avvenimenti. L’intervento delle forze dell’ordine aveva segnato la loro popolarità. Per i seguenti 2 anni, manifestazioni e pubblicazioni furono l’arma di propaganda anarchica del gruppo. Attraverso una serie di numerose riviste come “Der Dada” tenevano alta l’attenzione sul club e sui loro intenti, e utilizzavano i mezzi della pubblicità per autopromuoversi con centinaia di slogan d’effetto e grafiche accattivanti. Diventarono così abili che aprirono anche un’agenzia pubblicitaria senza scopi commerciali, ma solo propagandistici. L’aggressività con cui il Club Dada attaccava il sistema politico non aveva eguali neanche con l’atteggiamento ironico e sarcastico dei dadaisti zurighesi. Il Club Dada utilizzava il mondo degli affari e i
mezzi più all’avanguardia per esprimere le loro idee anarchiche tanto che organizzavano delle vere e proprie tournee in altre città per estendere il loro raggio d’azione il più possibile. Attaccavano il sistema politico senza nessuna riserva: “Faremo saltare la repubblica di Weimar, Berlino è il luogo del DADA. Niente e nessuno minaccerà la sua supremazia” era uno dei tanti slogan pubblicati dai dadaisti. Tuttavia anche a Berlino DADA è destinato a fare il suo corso e a scemare verso il 1920. Il gruppo affiatato in principio, finì per diventare un club privato ed esclusivo nel quale non c’era posto per chiunque volesse parteciparvi, contrariamente a quello che Huelsenbeck aveva dichiarato quell’aprile del 1918. All’interno del gruppo ormai ognuno aveva il suo titolo onorifico. Come in un partito politico, Hausmann e la sua compagna Hoch erano i Dadosofi del gruppo, Huelsenbeck era il Weltdada (dadamondo), Grosz il Propagandada, Heartfield il MonteurDada (per la sua abilità con i fotomontaggi) e Baader si era proclamato presidente del globo terrestre. Così si presentavano sui loro biglietti da visita, membri del “Comitato centrale dadaista della rivoluzione planetaria”. Il Club Dada era diventata la parodia dei comitati politici della Berlino dell’epoca, ma forse proprio per questo motivo vennero a crearsi le prime fratture all’interno del gruppo. Risentimenti e dissapori divisero il gruppo in diverse fazioni. Hausmann invidiava il successo di Grosz verso gli altri
componenti del gruppo, mentre Huelsenbeck era un egocentrico. Il 25 agosto 1920 il FinanzDada del gruppo, Otto Burchard finanziò la prima “Fiera Dada Internazionale”, cioè una mostra che raccoglieva 174 opere dadaiste, tra cui manifesti, fotografie e fotomontaggi che documentavano il lavoro svolto dal Club Dada a Berlino, ma non solo. Infatti tra le opere esposte vi erano anche quelle di alcuni dadaisti zurighesi tra i quali Arp e Picabia. Quella mostra si rivelò l’evento DADA più scontato e meno sorprendente di tutto il movimento e segnò la fine del club berlinese. DADA non riusciva più a stupire, DADA non scandalizzava più nessuno. “Nessuno voleva più saperne di DADA” 13 dirà Hausmann in seguito. Lo stesso, prevedendo le critiche negative dei giornali e le reazioni del pubblico, scrisse per primo un articolo satirico sul catalogo della mostra, anticipando le parole che i critici avrebbero scritto sulla mostra. Anche questa volta il gruppo si sciolse, ma DADA come una fenice risorge sempre dalle sue ceneri. Alla Fiera Dada Internazionale non vi erano solo i dadaisti berlinesi e zurighesi. Anche Colonia dà il suo contributo. Nel 1919 Arp rientra in Germania e incontra Max Ernst, che all’epoca usava il suo pseudonimo Dadamax. Insieme a Baargeld organizzarono diversi eventi e mostre che elogiarono lo spirito dadaista alla vecchia maniera zurighese. Forse Colonia può essere considerata solo una succursale di quello che fu il movimento dadaista a Berlino, ma fu altrettanto attivo e radicale.
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Vengono redatte diverse riviste tra cui “Die Schammade” che vede la collaborazione di molti artisti anche fuori dall’universo dadaista. L’evento più memorabile fu la “Dada-VorfruHiling”, mostra organizzata nella birreria Winter, inaugurata qualche mese prima della Fiera Dada Internazionale, in cui si chiedeva al pubblico di distruggere le opere esposte. La polizia intervenne sequestrando il locale per istigazione alla pornografia. Poiché le accuse non poterono essere supportate dai fatti, 5 giorni dopo Ernst e Baargeld ottennero la riapertura del locale. Famosa divenne anche l’incursione di Ernst e sua moglie durante la prima di ”Il giovane Re” di Raoul Konen, “Una pièce teatrale di ispirazione monarchica e patriottica di lampante stupidità” 14 la definì il Dadamax di Colonia, che venne arrestato per quel boicottaggio, ma che riuscì a interrompere lo spettacolo per ben 3 volte. L’avventura Dada a Colonia fu molto breve. Arp si recò alla volta di Parigi e l’attività dadaista cessò qui come a Berlino. Anche se la Germania sembra aver esaurito le sue risorse dadaiste, un piccolo barlume di energia Dada continua a sopravvivere nel cuore di Kurt Schwitters. Stavolta però DADA si presenta nei panni di un nome meno comune, più intimo all’artista in questione. DADA diventa MERZ. Sarà forse un cugino, un fratello minore o addirittura il figlio stesso di DADA. MERZ altro non è che la risposta di Schwitters a un caustico Huelsenbeck. Si era detto che il Club Dada finì per diventare un circolo esclusivo nel quale non restava posto che per pochi adepti. Schwitters era tra coloro ch’erano stati respinti. Ciò accadde nonostante l’amicizia con Hausmann e Hoch.
Da sempre aveva tenuto buoni rapporti con diversi esponenti del dadaismo. Aveva sposato la causa dadaista e voleva diventare membro ufficiale del club. Huelsenbeck gli aveva messo i bastoni tra le ruote. Lo aveva soprannominato il “Caspar David Friedrich della rivoluzione dadaista” e lo accusava di essere un borghese affarista. Non accettava il successo riscosso da Schwitters con “Ad Anna Blume”, ottenuto anche grazie alla grossa campagna pubblicitaria che l'aveva sostenuto. Huelsenbeck vedeva in tutto ciò solo un'interesse commerciale e aveva definito l'opera anti-dadaista; tuttavia oggi “Ad Anna Blume” appare tra i testi Dada e senz'altro tra i più celebri dell'autore in campo letterario. Huelsenceck gli aveva infine proibito di utilizzare in alcun modo la parola “DADA”. L’artista rifiutato prese la sua strada, facendo presente il suo disappunto nei confronti di Huelsenbeck definendolo non all’altezza dei colleghi dadaisti usando questo gioco di parole: “In origini vi erano solo i noccioli duri dadaisti, i gusci dadaisti si sono separati dal nocciolo originario sotto la guida del loro capo Hulsenbeck, e nella separazione hanno trascinato via con se parti del nocciolo” (“Hulse” significa “guscio” in tedesco)15. Così aveva cominciato a produrre le sue opere Merz, denominate tali poiché composte da una miscellanea di materiali assemblati tra di loro. Il concetto di Merz venne poi esteso da Schwitters a tutto il suo operato, dalla scultura, alle poesie fino ai componimenti teatrali. “Il puro Merz è arte, il puro dadaismo non-arte, entrambe per scelta” 16. Per tutta la sua carriera artistica Schwitters rimarrà fedele a Merz.
La sua opera più importante è il “Merzbau”, un tempio in continua evoluzione. Una scultura infinita che si appropriò di ben 3 delle case in cui visse. Rappresenta l’inarrestabile flusso d’idee che riflettevano i moti interni dell’artista. Questa evoluzione di DADA tuttavia, fu solo un caso isolato. Una conseguenza della contraddizione dadaista. Merz non è che una piccola parentesi nel mondo Dada, la cui evoluzione si estende ben oltre i confini della Germania. Infatti DADA non conosce limiti, viaggiando perfino oltre oceano. La “Grande Mela” accoglierà DADA tra le braccia del poliedrico Duchamp. “DADA è americano, DADA è russo, DADA è spagnolo, DADA è svizzero, DADA è tedesco, DADA è francese”17 disse Walter Arensberg, committente e gallerista, nonchè amico di Duchamp. Quest’ultimo intraprese la strada dadaista quasi contemporaneamente al gruppo zurighese, sperimentando un genere di opere totalmente
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anti-artistiche come ci suggerisce il poeta messicano Octavio Paz: “Tutto quello che fece a partire dal 1913 si inserisce nel suo tentativo di sostituire la "pittura-pittura" con la "pittura-idea". Questa negazione della pittura che egli chiama olfattiva e retinica (puramente visiva) fu l'inizio della sua vera opera. Un'opera senza opere: non ci sono quadri se non il Grande Vetro, i ready-mades, alcuni gesti e un lungo silenzio” 18. Duchamp non iniziò da solo quest' avventura. Picabia, prima di arrivare in Svizzera e divenire componente del movimento zurighese, ha intrapreso la strada Dada già a New York, accanto all'amico Duchamp e al fotografo Man Ray. Insieme a loro redasse la nota rivista dadaista intitolata “291”. Ma il dadaismo newyorkese non si limita solo a un nuovo concetto di arte figurativa. L'atteggiamento che contraddistingue ogni esponente del movimento non manca di certo a Duchamp.
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Egli si rese il regista di uno scandaloso episodio in cui Arthur Cravan, celebre poeta e pugile, suo amico, si presentò a una conferenza di pittura vestito di tutto punto ma completamente ubriaco, trascinandosi dietro una valigetta di biancheria sporca che sparse su tutto il tavolo del conferenziere, destando l'indignazione delle signore presenti. La polizia riuscì ad intervenire prima che Cravan iniziasse a orinare in pubblico. Nel 1919 Duchamp e Picabia rimpatriano a Parigi raggiungendo Tristan Tzara. Quest'ultimo era stato accolto nella capitale
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francese “come un messia” 19, dichiara lo stesso Andrè Breton, il quale seguiva già da tempo le vicende dadaiste attraverso le riviste. Egli stesso si fece promotore del movimento trattando l'argomento sul suo periodico “Littèrature”. Eluard, Aragon, Soupault e Ribemont-Dessaignes attendevano ansiosi anche loro, insieme a Breton, l'arrivo di questo messia. Dopo una fitta corrispondenza Tristan Tzara finalmente era arrivato. L'importanza di DADA a Parigi non è dovuta soltanto alla formazione di un ennesimo gruppo di adesione al movimento. Questo è un periodo cruciale di DADA. Rappresenta forse il momento più alto del dadaismo poiché vede la ricongiunzione di quelli ch'erano stati i capostipiti e che avevano dato il via a quest'avventura come Tzara, Arp, Picabia e Duchamp, Man Ray, Max Ernst. DADA spicca il volo per l'ennesima volta. Tzara diviene leader di questo numeroso gruppo. Le pubblicazioni letterarie esplodono! Quasi ogni componente ha la propria testata. Nel Febbraio 1921 esordiscono con questo volantino: “Il futurismo è morto! Di che? Di Dada! […] Dada è sempre esistito. La Santa Vergine è stata dadaista. Dada non ha mai ragione. Cittadini, compagni, signore e signori diffidate dalle imitazioni! Gli imitatori di Dada vogliono presentare Dada in una forma artistica che non ha mai avuto. Cittadini, oggi vi presentano in una forma pornografica uno spirito volgare e barocco che non è assolutamente l’idiozia pura reclamata da Dada, ma il dogmatismo e l’imbecillità pretenziosa” 20. Come si può leggere tra queste righe, il dadaismo ha riacceso i toni di un tempo. Gli echi zurighesi risuonano familiari in queste parole che richiamano lo stesso temperamento del primo manifesto Dada di Tristan Tzara. Ma anche Parigi merita un proprio manifesto, infatti, già il 12 Dicembre 1920, alla Galleria Povolozky, viene letto per la prima volta il “Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro”, scritto anch’esso dal portavoce più affiatato del movimento, Tristan Tzara. In questo nuovo ed esaltante manifesto ci viene illustrato lo stratagemma dadaista per “fabbricare opere” detto “Metodo della poesia nel cappello”. In questo metodo e in generale su gran parte del manifesto si riversa tutto il nonsense dadaista. E’ un manifesto che si fa beffe della logica. Ancora una volta Tzara denuncia l’inutilità della dialettica: “Ognuno di noi ha commesso
degli errori, ma il più grande degli errori è quello d'aver scritto poesie. La loquacità ha una sola ragion d'essere, e cioè il ringiovanimento e la stabilità delle tradizioni bibliche” 21. Tra decine di ripetizioni e frasi sconnesse ritorna anche la contraddizione dadaista: “A priori, e cioè a occhi chiusi, DADA pone prima l'azione e sopra ogni cosa il dubbio. DADA dubita di tutto. DADA è tutto. Diffidate di DADA. L'antidadaismo è una malattia; l'autocleptomania, condizione normale dell'uomo, è DADA. Ma i veri dadaisti sono contro DADA” 22 . Prosegue con la definizione di “Autocleptomania”: “Colui che ruba, senza pensare al suo interesse né alla sua volontà, alcuni elementi della propria individualità, è un cleptomane. Egli deruba se stesso. Fa scomparire i caratteri che lo distinguevano dalla comunità. I borghesi si rassomigliano, sono completamente uguali tra di loro. Non si rassomigliano. Poi insegnarono loro a rubare, il furto diventò una funzione. La cosa più comoda e meno dannosa è quella di derubare se stessi. Essi sono molto poveri”23. Continua denigrando ogni forma di megalomania all’infuori dell’idiozia poiché l’intelligenza come la stupidità porterà ugualmente alla morte. Elogi di DADA e mille poliedriche definizioni concludono questo altisonante manifesto di Tzara. Intanto le attività del movimento non si arrestano. La libreria e galleria Au Sans Pareil diventa il nuovo luogo d’incontro per il gruppo. Ma non possono mancare le manifestazioni. Il Festival Dada, avvenuto nella sala Gaveau il 26 maggio 1920, è certamente la più importante tra quelle parigine e forse anche la più importante in assoluto grazie alla varietà di esibizioni dadaiste presentate quella sera. Uno spettacolo impostato nelle stesse modalità delle serate al Cabaret Voltaire e forse proprio in questo risiede il successo del festival. Mentre il gruppo continuava imperterrito le sue attività, qualcosa all’interno cominciava comunque a cambiare. Breton aveva fortemente voluto Tzara a Parigi, ma quando quest’ultimo era finalmente arrivato, la sua forte personalità aveva finito per prendere il sopravvento su colui che l’aveva tanto desiderato. Quindi dopo aver dichiarato “Sono soprattutto le differenze che ci uniscono”24 alla maniera contraddittoria dei dadaisti, egli stesso comincia a comprendere che quelle differenze potevano solo separarli. Così prende le distanze dai metodi di scrittura
dadaisti e inventa un metodo tutto suo: La scrittura automatica. Nasce così questo interesse per la psicologia, che lo conduce nel 1921 ad incontrare Sigmund Freud a Vienna. Nel 1923, dopo la rappresentazione teatrale di “Il cuore a gas” al Theatre Michel, scoppiò una rissa tra Tristan Tzara e Breton che segnò la scissione del gruppo. Subito dopo, su “Litterature” Breton pubblica nel seguente articolo: “Abbandonate Dada, abbandonate la vostra sposa, abbandonate la vostra amante”25.
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Ma tutto ciò non poteva che essere la naturale conseguenza di DADA. D'altronde i parigini non potevano che sentirsi estranei ad un atteggiamento così aggressivo generatosi in piena guerra mondiale, e una volta che questa si era conclusa non c'era più nulla contro cui combattere che potesse infervorare gli animi di un Breton o di un Eluard che avevano già superato la fase critica del rifiuto della guerra. Tzara afferma che la fine di DADA è stata una fine volontaria. Solo DADA poteva uccidere DADA. E così accadde. “La tabula rasa da noi scelta come principio direttivo della nostra attività non aveva valore se non nella misura in cui un'altra cosa l'avrebbe sostituita” 26 scrive Tzara. Secondo Hausmann DADA era morto ancora prima : “Il Dada era morto, senza onore e senza funerali di stato. Semplicemente morto. I dadaisti si riunivano in privato. Io mi dichiarai anti-dada e presentista e insieme con Schwitters iniziai nuovamente a lottare
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su un altro terreno”27. Ma forse la verità è che DADA non vuole morire. Nella seconda metà del novecento l'atteggiamento intellettuale dadaista fu adottato da molti poeti che s'ispirarono alla poesia onomatopeica. Ma anche le tecniche figurative dell' anti-arte sono state reinventate dai giovani artisti che diedero omaggio agli eroi dadaisti, tanto che negli anni 60 nasce il Neodadaismo, più comunemente chiamato NewDada per la sua preminente locazione americana. Ovviamente questo non potè che sollevare il dissenso di alcuni dadaisti per eccellenza, come Huelsenbeck che non cede a nessuno l'appellativo di dadaista all'infuori di coloro che ne fecero la storia. Tuttavia per un movimento che ha pesato tanto sulla storia dell'arte e che nonostante i segni di cedimento ha tenuto duro per anni risorgendo più volte in forme anche diverse, non è escluso che abbia esaurito il suo repertorio e che si arrenda col cessare di esistere.
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Futurismo
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E' noto che DADA affonda le sue radici nel Futurismo, salvo poi prenderne le distanze a causa di scelte ideologiche, e morali se vogliamo, diametralmente diverse. La corrispondenza tra Marinetti e Hugo Ball inizia nel Giugno del 1915. Ma probabilmente il viaggio che intraprese Tzara a Roma, intorno all'Aprile del 1916, fu più illuminante, poiché in quello stesso lasso di tempo, vi era la mostra di Depero, nella quale furono presentate delle canzoni rumoriste e composizioni di onomalingua, alla quale si pensa che il poeta abbia assistito. Non a caso, di lì a poco tempo, Hugo Ball si sarebbe presentato sul palco del Cabaret Voltaire, declamando “Gadji beri bimba”, con un costume del tutto simile a dei disegni di Depero. La poesia onomatopeica è strettamente legata alla poesia rumorista dei futuristi, così come tutta l'impostazione della serata dadaista è di derivazione futurista. Infondo, le manifestazioni dadaiste, altro non sono che degli esempi del “teatro sintetico” teorizzato da Marinetti. D'altronde Marinetti aveva anche anticipato l'esigenza di coinvolgere il pubblico per renderlo attivamente partecipe, e aveva chiamato in causa il Varietà e il teatro popolare, proclamando il “Teatro dello stupore”. Anche DADA aveva quindi dato vita a un teatro dello stupore, ed era pure riuscito a coinvolgere il pubblico, e in un certo senso addirittura a stravolgerlo. Persino il teatro di propaganda di Piscator trova le sue basi nel teatro interventista di Marinetti, definito oggi come una delle prime forme di Agit-Prop. Eppure, per quanto importante fu l'esperienza futurista nell'evoluzione del teatro moderno, la rivoluzione di tutte le arti che il futurismo auspicava, riuscì meglio a DADA. Anzitutto bisogna riflettere sulla posizione che avevano rispettivamente i dadaisti e i futuristi nei confronti della tradizione. Infatti, mentre i primi si limitavano a ignorare le tradizioni, facendo tabula rasa di tutte le esperienze artistiche sin ora susseguitesi, i secondi, invece, l'attaccavano condannando Shakespeare e Omero, e mettendo al rogo i musei. I dadaisti invece, adottano un altro atteggiamento, citando Cartesio “Non voglio neanche sapere se prima di me vi sono stati altri uomini” 1. Quindi non solo DADA ignora la tradizione, ma fa anche il contrario di quello che dice, citando Cartesio, e dimostrando in realtà che non l'ignora del tutto. In realtà DADA è contraddittorio per natura e per il gusto di contraddirsi, ma svilupperà delle tecniche artistiche, al di fuori del repertorio conosciuto, come il fotomontaggio e il ready made, al contrario di quanto farà invece il futurismo, che resterà ancorato alla pittura da cavalletto, proseguendo un discorso affrontato già dai cubisti e dagli impressionisti. Il dadaismo s'impegnò in un discorso nuovo, che forse vede il suo unico promotore in Gauguin, ma non dal punto di vista artistico, quanto da quello concettuale, nel quale si pongono le basi della “spontaneità dadaista”. Anche il dadaismo aveva infatti interesse nei confronti dell'arte negra, come più o meno tutte le correnti d'avanguardia del secolo, ma vedeva in essa il potenziale che unisce arte e vita. L'arte negra è infatti priva di tutti quei preconcetti dettati dalla società, e Tzara l'aveva capito, come l'aveva capito Gauguin a suo tempo, solo che mentre quest'ultimo aveva preferito interiorizzare il concetto e viverlo, vivendo tra i Maori, il primo invece tentava d'instaurarlo nella nostra società. Il futurismo, nella sua intraprendenza teorica si era quindi rivelato, almeno in parte, inattualizzabile. Inoltre le ideologie politiche, il credo bellico e il maschilismo futuristi, avevano denunciato i limiti di una mentalità ristretta che non avrebbe potuto evolversi altrimenti.
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Surrealismo
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Il surrealismo, più che prendere origine dal dadaismo, ne è forse una conseguenza. E' noto infatti come avvenne la scissione del gruppo dadaista e di come Breton diede origine al movimento surrealista, insieme a Soupault, Aragon, Eluard e gli altri amici francesi reduci dal dadaismo. In seguito quasi tutti i dadaisti, Tzara compreso, seguirono la strada del surrealismo, tuttavia si rivelò spesso un percorso incoerente, persino per lo stesso Breton. In fondo, gran parte del pensiero surrealista si basa su “L'interpretazione dei sogni” e sulla psicanalisi freudiana, ma lo stesso Freud dice di non avere nulla a che fare col surrealismo, disconoscendo le proprie teorie da quelle del surrealismo di Breton. Quest'ultimo aveva cercato di portare ordine nel caos che aveva creato il dadaismo, ma fondamentalmente aveva portato altro disordine. Che cos'è allora il surrealismo? E che cosa vuole? Ribemont-Dessaignes risponde: “una piccola costola di DADA... ecco che cosè il surrealismo”, perché in fondo i surrealisti continuano a usare gli stessi mezzi del dadaismo per perseguire i loro obbiettivi. Non esiste una linea di demarcazione tra dadaismo e surrealismo. Eppure Michel Seuphor, alla domanda se DADA sia o meno un ponte per il surrealismo, egli risponde di no: “Tutto separa Dada dal surrealismo! Non ha nulla a che farci! Dada, è la rivolta assoluta, il surrealismo non ne è la prosecuzione. I fatti sono là: dove c'è una testa di Dada? Da nessuna parte. Dada è un ibrido a nove teste. Nessuno è direttore né dittatore. Tutti hanno un valore ed un'importanza eguale. Il surrealismo nasce con un dirigente, un "duce": Breton. Il dadaismo a Zurigo è immediatamente internazionale. È francese, rumeno, svizzero, tedesco, ecc. Il surrealismo, lui, è francese. È anche, più esattamente, parigino e xenofobo. Mentre Dada, come del resto De Stijl, è pluri-disciplinare e poliglotta, il surrealismo francese non si apre assolutamente al resto del mondo. Peggio ancora, poiché Breton lo restringe sempre più, non volendo conoscere che il francese. Quando si è rifugiato in America, durante la guerra, si è rifiutato di imparare l'inglese con il pretesto che ciò avrebbe posto il suo raffinato francese in pericolo! Era imbottito di idee tanto snob quanto false” 2. La posizione di Seuphor è molto dura, tuttavia le ragioni che non vedono soluzioni di continuità tra dadaismo e surrealismo, trovano fondamento nel fatto che la massima espressione artistica della dottrina surrealista, è costituita dall'opera di Magritte e Dalì, uniche figure che non vissero il movimento dadaista, e quindi non ne subirono l'influenza. Del resto DADA era una presenza un po' troppo ingombrante da smaltire nel giro di così poco tempo, per questo artisti come Vitrac, faranno fatica a staccarsene. Di fatto, almeno per quanto riguarda la letteratura teatrale, passeranno degli anni prima che Breton possa affermare di aver letto un testo surrealista per il teatro. Accade lo stesso anche per il cinema. Non si può infatti parlare di cinema surrealista, ma piuttosto di surrealismo nel cinema. E' alquanto più semplice creare una scena onirica per il cinema, di quanto non lo sia per il teatro, motivo per cui, il surrealismo a teatro, si mostra nella sua proposta migliore, annullando ogni riferimento che segni un passaggio dal reale alla surrealtà. Non si può dire se il surrealismo abbia raggiunto i propri scopi più di quanto l'abbia fatto il dadaismo con le sue premesse. Certo è che prima o poi un ritorno al razionale sarebbe stato d'obbligo, tuttavia il surrealismo è una sorta di ritorno al simbolismo, e di conseguenza alle tradizioni, ciò lascia poco spazio alla sperimentazione.
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DADA è stato una rivoluzione che ha ribaltato tutto, persino lo stesso concetto di “arte”. Dichiarandosi un movimento anti-artistico infatti, ha oltrepassato, se non distrutto, i limiti che si poneva l'artista contemporaneo di fronte alla tela vuota. A tale proposito Tzara scrive nel 1957: “Dada ha tentato non tanto di distruggere l'arte e la letteratura, quanto l'idea che se ne aveva. Ridurre le loro frontiere rigide, abbassare le altezze immaginarie, rimetterle alle dipendenze dell'uomo, alla sua mercé, umiliare l'arte e la poesia, significa assegnare loro un posto subordinato al supremo movimento che non si misura che in termini di vita”. DADA appende il cavalletto al chiodo e smette di produrre opere. DADA rifiuta di fare arte! Quindi cosa fa un gruppo di artisti che abbandona pennelli e colori? Senza un dipinto, una scultura o una poesia in che modo può esprimersi o farsi notare un pittore, uno scultore o un poeta? In tempi in cui i boati delle bombe e il rumore degli spari frastornano le orecchie della gente, DADA non può far altro che alzare la voce e salire sul palco.
cAP II
- Le Manifestazioni Dada - I dadaisti, eliminando l'opera d'arte, usano il mezzo più diretto per comunicare col pubblico, ponendosi, anche con prepotenza, direttamente di fronte a esso. Costringono il pubblico a seguire i loro sproloqui; lo provocano; lo bombardano di parole e azioni senza senso, così come fa la guerra; e se lo spettatore non sta al gioco, viene aggredito verbalmente. Quando gli spettatori protestano DADA vince! S'indagherà più attentamente sulle dinamiche di questo sadico gioco in seguito. Adesso interessa sottolineare che questo genere di spettacolo, che si nutre e funziona solo con il coinvolgimento del pubblico, ha influenzato a tal punto le nuove generazioni da dar vita a una nuova tendenza. Nel 1959 Allan Kaprow sperimenta una nuova arte teatrale che chiamerà “Happening”: “Una forma di teatro in cui diversi elementi alogici, compresa l'azione
scenica priva di matrice, sono montati deliberatamente insieme e organizzati in una struttura a compartimenti” 1 la definisce Michael Kirby. Si tratta sostanzialmente di un evento improvvisato in un luogo pubblico, in cui gli organizzatori tentano, attraverso una serie di azioni prestabilite, di coinvolgere i passanti e le persone presenti. Più generalmente ci si può riferire alla “Performance art”. Indubbio è che la paternità di questa forma di esibizione appartenga a DADA, nonostante l'influenza che ha avuto anche il teatro orientale, come il "Gutaj”. Il “situazionismo” sarà l'espressione più estrema di questo genere di spettacolo, soprattutto per le ragioni politiche che lo hanno istigato. Il dadaismo ha per cui operato un profondo cambiamento del rapporto fra opera e fruitore, ma soprattutto tra artista e spettatore, ribellandosi per primo all'idea di pubblico passivo.
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I dadaisti se avevano deciso di spogliarsi dalle loro vesti da poeta, accantonando anche drammi e tragedie, non rinunciavano certo a scrivere. - Le riviste - Da poeti a redattori il passo è stato breve. Il movimento dadaista, sebbene abbia avuto diverse caratteristiche a seconda del luogo geografico in cui si è sviluppato, ha sempre mantenuto alto il numero di testate giornalistiche dedicate a DADA ovunque si trovasse. L'attivismo dadaista ha generato un oceano di pubblicazioni, tra articoli su DADA nei periodici di maggiore tiratura di genere artistico e tra le riviste interne al movimento. La lista è lunga e i titoli sono innumerevoli: “Cabaret Voltaire” è capostipite tra le riviste edite dal movimento, tra le cui pagine appare per la prima volta la parola Dada. La rivista nasce e muore nel 1916 e raccoglie le prime
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impressioni avanguardistiche dei membri del movimento zurighese. Ad essa segue la più nota e longeva rivista intitolata “Dada” che fa la sua comparsa nel luglio del 1917. Nel terzo numero della rivista edito l'anno seguente viene pubblicato il primo manifesto Dada di Tristan Tzara. Vi furono ben 7 edizioni di questa rivista che si susseguirono fino al 1920. Grazie al giornalista belga Paul Dermèe la rivista ebbe molta visibilità poiché quest'ultimo riuscì a esportarla all'estero, nonostante i contenuti considerati sovversivi per il quale corse dei rischi. Per questo merito Dermèe fu nominato da Tzara col titolo di “Proconsul Dada” e qualche anno dopo egli stesso pubblicò la rivista “Z”.
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Anche a Berlino le pubblicazioni dadaiste imperversavano, ma sicuramente la più importante e senz'altro “Der Dada”, gestita da Raoul Hausmann. Infatti nel primo numero troviamo l'articolo dal titolo “Che cos'è il dadaismo e che cosa vuole in Germania”, delineando subito la linea sovversiva con cui il Comitato Centrale Dadaista intendeva agire. Per questo motivo la rivista non sopravvive alla quarta edizione. Di fatto tutte le riviste berlinesi sono destinate a essere soppresse dopo pochi numeri e a riapparire con un nuovo titolo dopo qualche mese. Importante citare anche “Aiz”, periodico comunista molto all'avanguardia che vendeva intorno alle 500 mila copie che sebbene non fosse una rivista interna al movimento ha dato grande spazio agli esponenti dadaisti. Diversi numeri della rivista ospitano in copertina molti lavori di Heartfield. Per sino nella piccola città di Colonia l’attività editoriale era fervente. “Die Schammade” e “Der Ventilator”, le riviste di Arp, Ernst e Baargeld, vennero pubblicate in 40.000 copie. “Die Schammade” fu un’edizione unica nel 1920, ma permise a Colonia di stringere i rapporti con gli altri gruppi dadaisti di Parigi e Zurigo. Infatti sfogliando la rivista possiamo trovare articoli di Tzara, Breton, Aragon ed Eluard. Quanto a quest’ultimi, furono certamente i protagonisti della rivista francese “Litterature”. Questo periodico è l’organo più importante del movimento parigino sebbene non nascesse come rivista dadaista ma piuttosto un mezzo di comunicazione artistica. Infatti la rivista nasce nel 1919 come una finestra aperta alla letteratura moderna e d'avanguardia, rivelandosi subito simpatizzante verso questo nuovo movimento dadaista. Quando i contatti tra i redattori, Breton e Soupault e i dadaisti divengono più fitti e Tristan Tzara si trasferisce a Parigi, la rivista “Littereture” diventa ufficialmente un organo di comunicazione DADA. Quando l'idillio tra Tzara e gli artisti parigini sarà rotto il periodico verrà orientato verso il surrealismo. Esistono 2 serie della rivista di cui la prima è composta da 19 numeri che vanno dal 1919 al 1921, distinguibili dalla grafica molto semplice e classica della copertina. Dal 1 marzo 1922 viene pubblicata una nuova serie di “Litterature”, con un'impostazione grafica molto originale, che è composta da 13 numeri. Altre importanti riviste francesi sono “Proverbe” di Eluard, “Maintenant” di Arthur Cravan e “Cannibale” di Francis Picabia. Quest'ultimo ha redatto anche “391”, erede della rivista americana del fotografo Stieglitz “291” di cui sia Picabia che Duchamp erano stati collaboratori. Le riviste di Picabia furono diffuse anche in Spagna. Come si può constatare le pubblicazioni del movimento sono davvero molte, e quelle sopra elencate vengono considerate le più importanti o semplicemente le più famose. Ma bisogna considerare più da vicino le innovazioni che hanno comportato tali riviste nel nostro tempo. Anzitutto costituiscono la testimonianza più diretta pervenutaci dall’avventura dadaista, perché meglio di qualunque altra opera o relazione storica, riflettono gli umori e le tensioni dei gruppi all’epoca. A tale proposito consideriamo il periodo terminale di DADA a Parigi.
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Qui, quasi ogni componente dadaista ha la propria testata giornalistica e quando la sintonia tra di essi si rompe, le riviste diventano un luogo di dibattito tra Tzara e Breton e i rispettivi seguaci. Tutto ciò è molto tangibile osservando tra le righe di quei periodici in cui termini violenti e toni accesi sono le uniche note di colore in quelle grigie pagine rigidamente impostate. Oltre tutto questi documenti permettono di analizzare le diverse correnti di pensiero dadaiste da una città all'altra. A rivelare queste diversità, sono gli elementi tipografici. Quando a Zurigo, Tzara edita le prime riviste del movimento, quali sono “Cabaret Voltaire” e i primi numeri di “Dada”, l'inesperto redattore chiede aiuto a dei tipografi professionisti, tra cui Julius Heuberger, amico del gruppo. Le riviste si presentano eleganti, già a partire dal tipo di carta utilizzata, molto più spessa e raffinata, rispetto a quella grezza dei giornali successivi. Anche l'impaginazione si presenta molto sobria, rispettando gli spazi delle poesie e dei disegni che godono di maggiore aria rispetto alle seguenti pubblicazioni. Insomma si tratta di un’alta qualità tipografica che contrasta molto sia col carattere dadaista, sia con quelli che saranno in seguito i risultati grafici delle riviste dadaiste. D’altronde DADA si trovava in una fase in cui, ancora influenzato dagli altri movimenti delle avanguardie, cerca di attirare l’attenzione di un pubblico più intellettuale per inserirsi nei circoli di spicco e ottenere quindi maggiore visibilità. Dal terzo numero di “Dada” in poi, si può notare una costante evoluzione della tipografia dadaista. Tzara infatti, intraprende un rapporto epistolare con Pierre Albert Birot, editore della nota rivista francese pre-dadaista “Sic”, a cui sottopone le riviste sin ora realizzate. Questi gli consiglia di dare a “Dada” un carattere più sperimentale, un’impostazione meno standardizzata. “Dada” 3 presenta tali parametri. Da questo momento l’impaginazione avrà un’impostazione innovativa, poiché sarà più libera e spontanea visto che non verrà consultata alcuna figura professionale. Le sperimentazioni di Tzara si fanno man mano più ardue. Ogni rivista “Dada” ha un’impostazione tipografica diversa dall’altra e resta coerente solo al proprio numero d’uscita. Per Tzara la tipografia finisce per essere molto più di uno strumento d’impaginazione per le sue poesie. Il poeta usa la tipografia come mezzo di creazione delle sue poesie. Egli le trascrive sulle riviste ingrandendo i caratteri al centro della pagina e ridimensionandoli verso il margine. In questo modo invita il lettore a leggere la poesia anche nel senso contrario o in qualsiasi verso si voglia. “Ogni pagina deve esplodere” 2 sosteneva Tzara. Mentre per Tzara la tipografia era un nuovo campo d’applicazione con il quale confrontarsi, per artisti del calibro di Picabia si trattava di un mezzo creativo come un altro.
In quanto pittore, l'impaginazione di uno spazio viene effettuata secondo precisi criteri compositivi ed estetici, tuttavia ciò avviene con molta intuitività, rispettando anche la natura della spontaneità dadaista. Oltretutto Picabia aveva molta più esperienza nell’ambito dell’editoria, avendo collaborato con molte riviste. In Francia si occupa di “Cannibale”, che rappresenta un po’ l’organo ufficiale del movimento, tanto che Tzara aspira a riunire tutto il gruppo intorno a questo periodico.
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Tuttavia “391” è senz'altro una rivista personale e presenta degli aspetti molto più originali, in particolare mette in crisi la funzione della copertina. Sfogliando un numero qualsiasi, si possono notare svariate pagine che potrebbero svolgere lo stesso ruolo della copertina. A rendere questo aspetto ancora più insolito sono le diverse tipologie di carta utilizzate all'interno di una stessa rivista, di vari colori e consistenze. Questa è una scelta controcorrente rispetto ad alcune riviste, che invece mettevano in discussione la funzione della copertina, non dandole nessun elemento distintivo rispetto alle pagine contenute all'interno, a parte il titolo della testata. “391” si distingue senz'altro dai periodici parigini, che anch'essi sono frutto di notevoli sperimentazioni e costituiscono il risultato più maturo dell'attività editoriale dadaista. A Parigi le pubblicazioni sono davvero innumerevoli,
come si è già detto, quasi tutti i dadaisti hanno il proprio giornale. Ma nessuna di queste pubblicazioni si distingue per la qualità estetica. La carta di scarsa qualità e gli errori ortografici denunciano il dilettantismo, spesso ostentato delle sperimentazioni dadaiste. Bisogna comunque considerare la situazione economica che tergiversava all'epoca del dopoguerra, in una Parigi ch'era stata gravemente provata dal conflitto mondiale, rispetto a Zurigo, neutrale e solo superficialmente colpita, in cui l'economia continuava a girare. Tuttavia tale situazione ha influito solo relativamente nell'attività editoriale del dadaismo parigino che è senza pretese artistiche, anzi favorisce il distacco dall'operare artistico. Mai come in questo ambito il paragone tra DADA e il bambino alla ricerca di nuove scoperte è stato più azzeccato. Ma essenzialmente cosa c’è di nuovo in queste riviste?
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Mettendo “Litterature” o “Proverbe” a confronto con una qualsiasi rivista letteraria di quel periodo, non si notano molte differenze. Non c'è nulla di artificioso nelle impostazioni delle pagine, che risultano essere abbastanza fitte. In realtà, lo scopo di questa apparente serietà tipografica è dovuta al carattere parodistico di queste riviste, che altro non vogliono che prendere in giro le maggiori testate letterarie di quel periodo. Tirando le somme dell'esperienza DADA in campo tipografico si può affermare che gli alti livelli di sperimentazione hanno portato a risultati del tutto nuovi e originali. Mentre Marinetti teorizzava la sua rivoluzione tipografica (con molteplici inchiostri e tipi di caratteri funzionali rispetto al genere di testo), DADA giungeva a risultati più concreti e in maniera molto intuitiva. Anche il cubismo giunge ad alti livelli grafici, ma confrontando la tipografia dadaista e cubista, ci si rende conto che quest’ultima risulta ancora troppo schematica, frutto di riflessione approfondita. Andando oltre l’apparente disordine, la tipografia dadaista aveva una sua logica compositiva. Il tipografo improvvisato dadaista voleva disarticolare la pagina e riarticolarla secondo nuovi criteri, cercando di riempire tutti gli spazi vuoti. Questo caos d’immagini e caratteri aveva lo scopo d’incuriosire il lettore, spingerlo a guardare più attentamente quelle pagine. Il ribaltamento di tutte le regole ortografiche, dall’inversione delle maiuscole e delle minuscole fino al ruolo della punteggiatura, tutto per disorientare il lettore. Paul Dermèe e sua moglie Celine Arnauld utilizzarono persino un insolito formato per le loro riviste “Z” ( 31 x 11 cm) e “Projector” ( 10,5 x 23 cm), rispetto al solito A5 usato dagli altri periodici, allo scopo di destare la perplessità di chi legge. Involontariamente i dadaisti contribuirono allo sviluppo della tipografia moderna. Infatti il Bauhaus nei suoi studi sulle composizioni tipografiche metterà in risalto le riviste dadaiste, poiché sono tra i primissimi documenti a contenere uno “schema d’impaginazione modulare”. Poesie, disegni, didascalie e pubblicità coabitano nella stessa pagina contaminandosi a vicenda ma senza prevalersi. Questo è il grande merito delle riviste dadaiste che si sostituiscono alla letteratura tradizionale, spacciando DADA come fosse un prodotto di consumo piuttosto che un movimento artistico.
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Mentre poeti e scrittori avevano trovato un modo per impegnare le loro penne, artisti e pittori dovevano invece trovare un sistema alternativo di utilizzare pennelli e colori. Fin qui è stato possibile capire che la grafica è un mezzo fondamentale dell'espressione dadaista, ora bisogna approfondire ulteriormente quest'aspetto. - Il Collage – Certamente la tecnica del collage non è una novità in campo artistico. Già i cubisti ne avevano fatto un'abbondante uso, tuttavia i dadaisti portano tale tecnica ad altri livelli decisamente più interessanti. Nel 1916 nasce a Zurigo la serie “Forme terrene” di Hans Arp. Si tratta di vari assemblage composti da sagome di legno dalle forme irregolari, dipinte di vari colori, sovrapposte e fissate l'una con l'altra con delle viti. La caratteristica Dada di queste opere è la rinuncia totale della cornice e del piedistallo. In questo modo Arp accorcia le distanze tra l'opera e il fruitore così come fa quando sale sul palco. Con questo escamotage l’opera di Arp va aldilà dell’astrattismo
perché nonostante sia contenutisticamente indefinita, mira comunque a un contatto diretto col pubblico. Sostiene infatti l'artista: “Non vogliamo imitare la natura. Non vogliamo ritrarla, vogliamo crearla. Vogliamo creare come la pianta crea il suo frutto e non ritrarla. Vogliamo creare nell'immediatezza, senza mediazione. Dal momento che in quest'arte non cè traccia d'astrazione, la chiamiamo arte concreta” 3. Nel 1917 Arp dà inizio a una nuova serie di opere intitolate “Collage realizzati secondo le leggi del caso”. Il titolo è già abbastanza esplicativo. L’artista incolla dei ritagli di carta colorata nella stessa posizione in cui hanno toccato il fondo sul quale sono stati lasciati cadere.
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Il famigerato “metodo per fabbricare poesie”, scritto qualche anno dopo da Tzara nel “Manifesto dell'amore debole e l'amore amaro”, non è che lo stesso espediente utilizzato da Arp per le proprie opere: “Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete sul giornale l'articolo che abbia la lunghezza che desideriate dare alla vostra poesia. Ritagliate l'articolo. Tagliate ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettete tutte le parole in un sacchetto. Agitate dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l'altra disponendole nell'ordine in cui l'estrarrete. Copiatele coscienziosamente. La poesia vi rassomiglierà. Eccovi diventato uno scrittore infinitamente originale e fornito di sensibilità incantevole”4. Tzara sfrutta la tecnica del collage in maniera ancora più sorprendente nel suo ultimo scritto teatrale intitolato “Fazzoletto di nubi”. In quest’opera il concetto del teatro nel teatro tocca il culmine. Tzara riesce a incastrare nel suo spettacolo, la scena dell’Amleto in cui una compagnia teatrale recita sotto il consiglio del protagonista l’atto di un’opera che svelerebbe il segreto del regale zio. Questa situazione si ricollega perfettamente
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a quella vissuta dai protagonisti dell'opera di Tzara sebbene abbia un contesto profondamente diverso, come appunto vuole dimostrare l'autore. Come si può constatare la tecnica del collage è stata abbondantemente utilizzata sia nelle arti figurative che in letteratura. Anche Kurt Schwitters ne fece una filosofia della tecnica del collage. Merz infatti era il suo cavallo di battaglia e significa appunto miscellanea: “Quando esposi per la prima volta i miei quadri allo Sturm di Berlino, cercavo un termine che potesse ben rappresentare questo nuovo genere; i miei quadri infatti non potevano essere ricondotti a categorie obsolete come espressionismo, cubismo, futurismo o chissà che altro. Le mie opere rappresentavano un genere a sé stante” 5. Ci spiega ancora l'artista: “Ho cominciato realizzando quadri a partire dal materiale che avevo sotto mano, come biglietti del tram, scontrini del guardaroba, pezzetti di legno, filo metallico, spago, gomme deformate, carta, seta, scatolette di latte, schegge di vetro, ecc. Questi oggetti vanno inseriti nel quadro così come sono, oppure vanno modificati in base alle esigenze del quadro. Attraverso il confronto reciproco perdono il loro carattere individuale” 6. Questa tecnica non è comunque tutta farina del sacco di Scwitters. E’ importante sottolineare che fu proprio Arp a ispirarlo con le sue opere. Infatti il primo collage di Scwitters è dedicato ad Arp. Con la medesima tecnica l’artista hannoverese realizzò il Merzbau. La scultura più maestosa e significativa da egli realizzata. Egli stesso la definì “l’opera della sua vita”. Dal 1923 lavora sull’opera ininterrottamente. L’intera struttura ha origine dalla “colonna della miseria erotica”, opera realizzata già 3 anni prima, posta al centro del suo studio, ma s’impossessa presto dell’intera stanza. Max Ernst la definì “un’enorme grotta astratta”. La definizione è corretta, infatti vi sono presenti diversi piccoli cunicoli, ognuno dei quali è dedicato a familiari, parenti, amici o colleghi. Vi si possono trovare tantissimi oggetti integrati che testimoniano le esperienze dell’artista.
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Aveva già bucato soffitto e cantina ampliando ulteriormente la struttura, quando nel 1937 fu costretto a lasciare la sua casa a causa della salita al potere del regime nazista che condannò le arti avanguardistiche come “arte degenerata”. Così, mentre l'opera venne distrutta sotto i bombardamenti nel 1943, Schwitters aveva già ricominciato a costruirne un altro a Oslo, in Norvegia. Anche quest'ultimo fu distrutto purtroppo da un incendio nel 1951. L'artista era già fuggito in Inghilterra nel 1940 in seguito all'occupazione nazista della Norvegia. A Londra il MOMA finanzierà la ricostruzione del suo Merzbau, tuttavia l’artista muore nel 1948 concludendo ben poco della sua opera considerata oggi di grande importanza in quanto uno dei primi esempi di arte ambientale. Come si può constatare il collage viene applicato tanto nelle arti figurative, quanto nella letteratura, ma ad utilizzare questa tecnica in modo del tutto inusuale e assolutamente originale è stata la baronessa Elsa von Frytag-Loringhoven. Ella si pavoneggiava tra le strade di Manhattan sfoggiando abiti, corpetti e gioielli creati da lei stessa con materiali di scarto e spazzatura.
Molti servizi fotografici la ritraggono mentre indossa le sue creazioni. Il pittore George Biddle ci fornisce questa interessante descrizione di una tra le più tipiche mise della baronessa: “Con gesto regale, aprì i lembi dell’impermeabile scarlatto. Era in piedi davanti a me, nuda o quasi. Sopra i capezzoli aveva due minuscole lattine di pomodoro legate da un cordino verde dietro la schiena. Tra le due lattine pendeva una piccolissima uccelliera con dentro un canarino desolato.
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Un braccio era coperto dal polso alla spalla da anelli di celluloide per tende, che poi confessò di aver rubato nel reparto di arredamento dei grandi magazzini Wanamaker. Si tolse il cappello che era stato decorato in modo grazioso ma poco appariscente con carote dorate, barbabietole e altri ortaggi” 7. Oggi però il riconoscimento più grande tra i vari gruppi dadaisti va fatto al Club Dada berlinese per aver rivoluzionato il mondo della grafica grazie alla scoperta del “Fotomontaggio” attraverso la tecnica del collage. I moderni e potenti software di fotomontaggio come il consacrato Photoshop di casa Adobe non fanno altro che servirsi dello stesso concetto con cui operavano Heartfield, Hock, Hausmann, Grosz o Ernst. Ognuno di loro si vanta di aver scoperto la tecnica per prima. Così come ogni componente del gruppo zurighese voleva essere considerato il padre della parola DADA, allo stesso modo i berlinesi litigavano per giudicarsi il merito di aver scoperto questa nuova e potente tecnica. Forse la verità è che in entrambi i casi, ognuno di loro l’avesse scoperta a proprio modo. Nel 1918 Hausmann si trovava insieme ad Hannah Hock a Usendom, un’isola del mar Baltico quando venne folgorato dall’idea del fotomontaggio. In quest’isola infatti vi era l’usanza di appendere in ogni casa una litografia a colori di un granatiere, sullo sfondo di una caserma, il cui viso veniva sostituito dalla fotografia della persona che in quella famiglia era stato soldato. Asserisce Hausmann di aver reso partecipi gli amici dadaisti di tale scoperta una volta tornato dal vaggio e di essersi messo subito a lavoro utilizzando foto di stampa e di cinema. Invece John Heartfield, non a caso denominato MonteurDada, aveva scoperto la tecnica per necessità nel 1914 quando era in trincea. Le lettere che i soldati mandavano ad amici e parenti erano filtrate da organi militari maggiori. Per evitare la censura l’artista realizzava delle cartoline in cui diverse immagini ritagliate da giornali, montate tra loro e lette attentamente, potessero comunicare le reali condizioni di chi si trovava sul fronte. Certamente in queste cartoline è già presente il carattere Dada. Non sono da meno i fotomontaggi di Max Ernst.
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Egli scoprì la tecnica nel 1919. Si trovava in una villa in riva al fiume Reno e stava sfogliando un catologo illustrato. Di pagina in pagina sentiva che quelle immagini pubblicitarie così varie tra loro richiedevano un nuovo piano d'incontro: “Vi trovavo riuniti elementi di figurazione talmente distanti che la stessa assurdità di questo insieme provocò una subita intensificazione delle mie facoltà visionarie e fece nascere in me una successione allucinante d'immagini contraddittorie, immagini doppie, triple e multiple”8. Ernst assecondava le sue allucinazioni disegnando e dipingendo in queste immagini tutto ciò che poteva rendere quegli elementi ancora più estranei e alieni fra di loro. Aragon, colpito dalla intensità dei suoi fotomontaggi lo ritenne il padre indiscusso di questa tecnica. Nel 1931, all’esposizione storica del fotomontaggio, tenutasi al Museo delle Arti e Mestieri, Hausmann tenne una conferenza in cui spiega il carattere dei fotomontaggi Dada: “I primi creatori del fotomontaggio, i Dadaisti […] non soltanto la pittura, ma tutte le arti e le loro tecniche avevano bisogno di un cambiamento rivoluzionario fondamentale per restare in relazione con la vita della loro epoca […] . Ed è esatto che una grande parte dei primi fotomontaggi perseguiva con mordente ironia gli avvenimenti contemporanei. Ma l’idea del fotomontaggio è rivoluzionaria quanto il suo contenuto, la sua forma è capovolgitrice quanto l’applicazione della fotografia e dei testi stampati, che insieme, si trasformano in film statico” 9. Non vi sono definizioni migliori di “film statico” per descrivere la potenza visiva dei fotomontaggi dadaisti. L’idea del fotomontaggio favorisce l’interazione di forze antagoniste,
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che si contraddicono a vicenda per loro stessa natura: Liscio/ruvido, Primo piano/veduta aerea, Testo/immagine. Hausmann lo definisce “Un’esplosione di punti di vista” 10. La forza comunicativa del fotomontaggio riesce ad abbattere il divario tra vita e arte, fra artista e fruitore. Manifesti, volantini e copertine di riviste favorivano la partecipazione dell’arte nella vita quotidiana della gente. Finalmente l’arte comunicava in maniera diretta con lo spettatore casuale: “Il contenuto e la forma, il senso e l’apparenza, fanno una sola unità”11 diceva bene Hausmann. Inoltre, un altro vanto dei dadaisti nella scoperta del fotomontaggio, è quello di aver rotto il dissidio tra l’arte figurativa e la fotografia. Quest’ultima infatti, essendo stata la scoperta rivoluzionaria dell’inizio del secolo si era imposta come nuovo mezzo artistico, rivaleggiando con la pittura, mezzo di rappresentazione della realtà per antonomasia. Lo stesso Heartfield aveva delle riserve nei confronti della fotografia, in particolare quella a favore della propaganda bellica: “Essa inganna perché il nostro occhio non è in grado di penetrare la realtà senz’altro, sulla base di una immagine momentanea quale è la fotografia. Occorrerebbe una scienza che neanche il migliore degli obiettivi potrebbe cogliere e produrre: conoscenza di cause ed effetti e conoscenze dei legami di questi con gli avvenimenti storici” 12. Così dadaisti avevano raggirato il problema utilizzando per primi il materiale fotografico come materia prima per creare. Grazie alla sua forza comunicativa il fotomontaggio ebbe grande diffusione in tutto il mondo fino al giorno d’oggi. Subito dopo tale scoperta l’URSS adottò la tecnica come mezzo di propaganda politica e pedagogica, mentre le industrie se ne servirono a scopi pubblicitari e commerciali. Oggi artisti come Max Papeschi utilizzano la tecnica del fotomontaggio in forma di accesa protesta contro le multinazionali quali McDonald e Disney, mentre a fare uso del collage in modo più tradizionale, ma sempre alla maniera dadaista è stato Enrico Baj, morto nel 2003.
Fin ora gli artisti dadaisti hanno convogliato tutte le loro energie per cambiare il modo di comunicare col pubblico. L'artista dadaista cerca un genere di comunicazione più diretta. Riviste, manifesti e manifestazioni, volantini e ogni sistema in grado di stabilire un contatto diretto con lo spettatore. Ma cosa volevano comunicare questi artisti? Cosa rappresentavano i loro gesti estremi? DADA nasce per la guerra e contro la guerra! Tutti coloro che la sostengono sono condannati da DADA! Quindi DADA è una presa di posizione politica, e sebbene a Zurigo, come a Parigi e NewYork questa presa di posizione non sia stata esplicita, a Berlino lo è stata eccome. - La Politica dadaista – L'argomento in questione è decisamente il più complicato da affrontare. Da Zurigo a New York, nessun esponente dadaista si è mai apertamente schierato per un partito o per un altro sebbene abbiano mostrato simpatie o interessi nei confronti del comunismo e del socialismo. Tuttavia questo rimane nel repertorio della contraddizione dadaista. Il movimento voleva una rivoluzione. Ma la guerra non era comunque un'opzione considerabile. A tale proposito Tristan Tzara, scrive nel 1917, a seguito di notizie portategli da un amico giunto da Mosca dopo la rivoluzione russa: “[...] scoppiò un movimento insurrezionale, seguito da uno sciopero generale. Questo movimento, si sperava, poteva allargarsi agli altri paesi belligeranti e così mettere fine alla guerra, conformemente ai principi di Kienthal e di Zimmerwald. E' noto come la socialdemocrazia abbia deciso altrimenti. In questa occasione, tra i dadaisti di Zurigo, Ball (che a partire da questo momento si dedicherà solo all'attività politica), Serner e io stesso, abbiamo salutato la rivoluzione russa nella misura in cui essa costituiva il solo mezzo capace di mettere un termine alla guerra e ciò con una premura tanto più grande in quanto noi avevamo già preso posizione contro il pacifismo piagnucoloso e umanitario i cui appelli ai buoni sentimenti, assai in voga in quel momento, ci sembravano particolarmente dannosi. Non rischiavano forse
d’addormentare, in una culla d’illusioni, le volontà di coloro che erano destinati ad agire sul piano della lotta?” 13. Da quest'osservazione è chiaro che almeno per quanto riguarda l'opinione di Tzara, il comunismo era solo un ripiego. Un mezzo per contribuire alla lotta, se non contro la guerra, almeno contro il potere e la borghesia. Nell'intervista che rilasciò alla radio nel 1950, la posizione di Tzara appare più chiara nonostante le sue parole siano più tiepide: “Noi eravamo risolutamente contro la guerra, senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Noi sapevamo che non si poteva sopprimere la guerra se non estirpandone le radici. L'impazienza di vivere era grande, il disgusto si applicava a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla logica, al linguaggio, e la rivolta assumeva dei modi in cui il grottesco e l'assurdo superavano di gran lunga i valori estetici. Non bisogna dimenticare che in letteratura un invadente sentimentalismo mascherava l'umano e che il cattivo gusto con pretese di elevatezza si accampava in tutti i settori dell'arte, caratterizzando la forza della borghesia in tutto ciò che essa aveva di più odioso” 14. Analizzando attentamente questa dichiarazione ci si rende conto che non vi sono riferimenti né al socialismo, né al comunismo, ma bensì all'anarchismo poiché è insito proprio nel concetto nichilista del dadaismo.
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Diversa è la situazione a Berlino. Il territorio stavolta non è neutrale e quindi per sua natura, richiede una presa di posizione consapevole e concreta, tanto che quando il governo tedesco coniò il motto “Dio punisca l'Inghilterra”, Herzfeld inglesizzò il suo nome divenendo Heartfield, così fece anche Grosz. Inoltre Il Club Dada diverrà “Comitato centrale del movimento dadaista in Germania” in cui ogni componente avrà la sua carica. Malgrado tutto ciò sia portato avanti in maniera ironica e irrisoria, l'intento è significativo. Basti leggere l'articolo intitolato “Che cos'è il dadaismo e che cosa vuole in Germania”, apparso nel n. 1 della rivista “Der Dada” per meglio comprendere lo spirito dadaista berlinese. L'articolo si apre con una lista di 3 richieste, pretese dal movimento: La riunione internazionale di tutti gli uomini dotati d'intelletto sulla base del comunismo radicale, l'interruzione di qualsiasi attività lavorativa con lo scopo di rendere cosciente l'umanità della realtà che la circonda e infine l'espropriazione di tutti i beni posseduti da ogni individuo per rendere indietro la Libertà a ogni uomo. Il resto seguita con una serie di puntualizzazioni atte alla preservazione del dadaismo, dell'artista e della libera e totale espressione. Ma non si limitano a questo poiché i dadaisti esigono il controllo di tutti i centri abitati e del potere legislativo per istituire il loro credo dadaista. Sebbene tutto ciò sia stato predicato sotto l’egida del comunismo, non si può far a meno che notare, anche stavolta una tendenza all’anarchismo. Una volta sciolto il Club Dada, quasi tutti i componenti aderiranno alla Lega di Spartaco come testimonia Erwin Piscator: “Si discuteva all’infinito di arte ma
sempre e solo in rapporto con la politica. E concludevamo sempre che quest’arte, se pretendeva di avere un minimo di valore, poteva essere solo un’arma per la lotta di classe. […] vedevamo la salvezza del mondo solo nell’estrema conseguenza: Lotta organizzata del proletariato, conquista del potere. Dittatura. Rivoluzione mondiale. La Russia era il nostro ideale” 15 e dopo l’assassinio di Liebknecht e di Rosa Luxemburg “...tutti insieme entrammo a far parte della Lega di Spartaco”16. Tutti a eccezione di Baargeld che fondò a Colonia il Partito Comunista di Renania. Heartfield andrà avanti con la sua propaganda anti-nazzista e con i suoi fotomontaggi ironici su Hitler, fin quando non sarà costretto a lasciare il paese e in seguito anche il continente. Nonostante il comunismo e il socialismo sembrassero le risposte alle esigenze dadaiste, il binomio anarchia/dadaismo funziona meglio. Il concetto stesso di fare tabula rasa è un ritorno al primitivismo e quindi non può che accostarsi all’anarchismo. Infondo gli artisti europei già da tempo si avvicinarono a questa tendenza, dai pittori e poeti romantici agli espressionisti. Non a caso Huelsenbeck e Hugo Ball tenevano contatti con Erich Muhsam, anarchico tedesco, collaborando per fino alla sua rivista “Revolution”. Anche oggi l’anarchismo è una tendenza politica frequente nei giovani artisti. La street art, con la sua lotta contro la proprietà privata ne è un valido esempio. Ma anche artisti come Enrico Baj, sulla scia dei dadaisti ha professato idee filo anarchiche. Anarchia a parte, decisamente ancora oggi l’arte rimane un vali26 do mezzo di protesta politica come possiamo scorgere nelle opere dell’americano Paul Mc Carthy.
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Quindi socialismo, comunismo e anarchismo sono stati gli orientamenti politici più gettonati dai dadaisti. A rigor di logica, se i dadaisti berlinesi erano entrati a far parte della Lega di Spartaco, in principio guidata dalla rivoluzionaria Rosa Luxemburg, e se l'anarchismo, in cui credevano tutti gli esponenti del movimento nel loro profondo, prevedeva davvero l'annientamento di tutte le gerarchie, allora nel dadaismo doveva esserci ampio spazio anche per le donne. - Le personalità femminili di DADA – Le donne che gravitarono intorno al movimento dadaista furono molte. In realtà tuttavia non fu semplice per queste donne affermarsi e farsi largo tra le spiccate personalità dei vari leader dadaisti, molti dei quali furono i loro mariti e compagni. Spesso chi predica bene, razzola male, si sa.
Infatti, nonostante i dadaisti si ritenessero un movimento aperto a tutti, contro ogni forma di discriminazione che privasse della libertà di esprimersi, le donne dadaiste finivano spesso per avere un ruolo di secondo piano. Questo succedeva soprattutto a Berlino con Hannah Hoch (il vero nome dell’artista è Hanna, ma a seguito del
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suggerimento dell'amico Schwitters, aggiunge una H finale al suo nome in modo che possa leggersi lo stesso anche al contrario, come la famosa Anna Blume). L'artista in quel periodo viveva una tormentata relazione con Raoul Hausmann, che a sua volta era in balia di un matrimonio difficoltoso. Invischiata in questo triangolo suo malgrado, si ritrova persino osteggiata da membri del club quali Heartfield e Grosz che volevano estrometterla dalla fiera internazionale dadaista. Anche dagli scritti degli altri componenti del movimento berlinese la Hoch appare di rado. Non viene mai elogiata per il suo talento, e sebbene ella sia stata sopraffatta dal maschilismo ostentato dai compagni, rimane ugualmente un'icona del femminismo. Infondo Hannah era una modista. La collaborazione col gruppo editoriale Ullstein Press, che si occupava di riviste di moda, le aveva fatto maturare un'idea della donna nuova e moderna. Ciò lo si può constatare dai suoi fotomontaggi, che sebbene fossero sottovalutati dai compagni dadaisti, oggi assumono una rilevante importanza.
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“Taglio del coltello da cucina dada nel ventre gonfio dell'ultima epoca culturale della Germania di Weimar” è un'enorme fotomontaggio realizzato dall'artista, il cui impatto è imponente aldilà delle dimensioni. Il fotomontaggio è davvero il ritratto di un'epoca. Heartfield e Hausmann non avrebbero saputo fare di meglio. Tutti i maggiori esponenti politici, culturali e sportivi dell'epoca figurano alternandosi a un ritmo frenetico insieme alle macchine dominatrici del nostro secolo.
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Migliore è la situazione a Zurigo dove vi è una maggiore presenza femminile, anche sul palco del Cabaret Voltaire a cominciare dalla ballerina Mary Wigman, considerata la pioniera della danza moderna. La sue danze, accompagnate da strumenti a percussioni che richiamavano ritmi etnici, ben si sposavano con le poesie onomatopeiche di Hugo Ball e Tristan Tzara che si rifacevano sui motivi africani. Protagonista sul palco fu anche la comproprietaria del Cabaret Voltaire, cioè Emmy Hennings, moglie di Ball, complice e interprete delle esibizioni dadaiste che la resero una delle prime artiste comportamentiste. Più nota e riconosciuta la moglie di Hans Arp, Sophie Taeuber. Ella è l’unica svizzera dell’intero gruppo dadaista. Insieme a Emmy Hennings e Mary Wigman si esibisce al cabaret, ma la sua presenza nel gruppo va oltre alle danze fuori dal comune. Teauber realizza delle splendide marionette che manovra essa stessa. Scenografo e costumista, Sophie è senz’altro una delle protagoniste del movimento, indispensabile per l’evoluzione
artistica di Arp stesso, che ricorda queste prime impressioni sulla moglie: “Nel dicembre 1915 ho incontrato Sophie Taeuber a Zurigo, che già si era liberata dall'arte convenzionale ! Già nel 1915 Sophie Taeuber divide la superficie dei suoi acquerelli in quadrati e rettangoli che dispone in orizzontale e perpendicolare. Li costruisce come un lavoro in pietra. I colori sono luminosi, dal giallo crudo al rosso, o blu scuro. In alcune composizioni introduce piani diversi di figure massicce che
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ricordano quelle che in seguito realizzerò nei lavori in legno intarsiato” 17. Anche a Parigi c'è una figura femminile amica del dadaismo, e si chiama Sonia Delaunay. La donna proviene da una fitta carriera pubblicitaria, per cui le sue doti grafiche ben si sposano con le ricerche artistiche Dada. Collaborò con l'amico Tristan Tzara, disegnando e realizzando i costumi per la sua opera “Il Cuore a Gas”. Negli stessi anni collabora con un altro esponente dadaista meno noto, Iliazd. Il costume e la moda sono gli oggetti di studio, dal punto di vista grafico, preferiti dell'artista. Le sue ricerche prevalentemente sul colore sono oggi considerate lezioni di moda da ogni stilista. Nonostante il suo percorso dadaista sia stato breve, ha sicuramente arricchito il curriculum Dada.
Sotto questo punto di vista si può dire che è stata più incisiva lei nel movimento dadaista, che il dadaismo in Sonia Delauney che è passata per tutti i movimenti avanguardistici dell'epoca. Come si è potuto constatare fino ad adesso, ogni donna presente all'interno del movimento, gravitava attorno all'orbita di un'esponente maschile del dadaismo. Ebbene qui occorre precisare che attorno all'orbita di Duchamp gravitarono moltissime donne, a partire dalla sorella Suzanne. Appassionata d'arte come il fratello, intraprende gli stessi studi. Marcel inviterà la sorella a seguirlo a New York qualche anno dopo essersi trasferito, coinvolgendola in questa nuova forma d'arte, incoraggiata anche dal marito Jean Crotti, anche lui coinvolto dal cognato nell'arte dadaista. Nel suo più noto dipinto intitolato “Moltiplicazione rotta e ristabilita” possiamo ritrovare una composizione grafica che riflette il carattere dadaista, quasi fosse un collage pittorico. Ciò lo si può constatare dalla presenza delle lettere e dei vari caratteri grafici che danno un senso di completezza alla composizione di sfere, sovrapposte le une sulle altre. Lo schema piramidale conferisce leggerezza alla composizione poiché il vertice che parte dal basso del quadro,
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trova la sua base sul margine superiore. Sebbene la figura di Suzanne sia adombrata dalla fama del fratello, il suo talento va comunque elogiato, anche al di fuori del dadaismo. Un'altra donna presente nel raggio d'azione di Duchamp fu Beatrice Wood, che soprannominò “Mama of Dada”. L'artista americana, nel suo paese è considerata un colosso dell'arte mentre in Europa si sa molto poco di lei. E' stata la più longeva tra tutti gli esponenti del dadaismo, infatti è vissuta fino alla veneranda età di 105 anni passando a miglior vita nel 1998. La sua amicizia con Marcel Duchamp inizia intorno al 1917 quando comincia a collaborare alla redazione della rivista dadaista “ The Blindman”, editata insieme allo scrittore Henri Pierre Rochè. Beatrice intraprende un triangolo amoroso insieme ai 2 colleghi che ispirerà il celebre romanzo del futuro marito Rochè, “Jules et Jim”. Le opere più significative di Beatrice Wood sono i pezzi in ceramica. Vasi e teiere realizzati per accompagnare il suo servizio di piatti comperato durante un viaggio in Europa.
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Pezzi che si sono rivelati unici, dotati di un design moderno e contemporaneo ma arricchito allo stesso tempo da forme e motivi che richiamano i manufatti delle antiche civiltà indiane. Queste sono le creazioni che l'hanno impegnata in tutta la seconda parte della sua carriera artistica, ma la donna ha esplorato tutti i campi dell'universo creativo, dalla fotografia, alla pittura fino alla recitazione. Il regista James Cameron s'ispirò alla sua vita e alla sua personalità per il personaggio di Rose, protagonista del pluripremiato film “Titanic”. Altrettanto fuori dagli schemi è la figura della già precedentemente citata baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, detta anche Baronessa Dada. Nasce in Germania, ma la vita dura e dissoluta della baronessa la porta in molte parti del mondo, persino a Palermo ove è coinvolta in un triangolo amoroso col marito architetto August Endell e il poeta Felix Paul Greve (famoso anche come traduttore di Oscar Wild). Seguirà quest’ultimo in America, ma la loro relazione s’interromperà
quando il poeta spaccerà dei versi della baronessa per suoi. Da quel momento Elsa prende la sua strada e comincerà a guadagnarsi da vivere posando per molti artisti, tra cui Duchamp e Man Ray, grazie ai quali verrà introdotta nell'universo Dada. A guardare le sue stravaganti opere, dalle sculture ai costumi, non c'è dubbio della sua meritata appartenenza al movimento. Inoltre il suo atteggiamento naturalmente scandaloso contribuisce a conferirle il nome di Baronessa Dada. Ella è dadaista per natura. Riflette in tutto la vera essenza del Dada! Nel finire del 2009, è stato pubblicato il libro ispirato alla sua folle vita, scritto dalla scrittrice Renè Steinke, intitolato “Sante gonne”. Diceva di lei Duchamp “La baronessa non è futurista: La baronessa è il futuro” 18. A concludere questo quadro generale del Dada-femminismo vi è la donna più importante nella vita di Duchamp, il cui legame con l’artista va ben oltre i sentimenti. Si sta parlando della celeberrima Rrose Selavy, non che alter-ego di Duchamp. Il personaggio nasce nella mente
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di Duchamp nel 1920 col nome di Rose, senza la doppia R iniziale. Si evolve in Rrose in seguito a un gioco di parole nel 1921. Oltre a posare per il fotografo Man Ray, collaborerà al suo film “Anémic Cinéma” scrivendo alcune frasi che compariranno nel video. Vi sono moltissime opere ready made firmate col nome di Rrose Selavy, da “Fresh Widow” al “Rotary glass Plates”, fino al famoso “Grande vetro”, opera più criptica e complessa dell’artista.Vi sono persino diverse pubblicazioni scritte da Rrose. Da ognuna di queste testimonianze possiamo dedurre le differenze tra Marcel e Rrose, poiché le opere di quest’ultima sono contraddistinte da una forte carica erotica che sostituisce l’ironia dei lavori di Duchamp. Tuttavia questa ironia si ricongiunge alla vena erotica di Duchamp quando questi procura dei biglietti da visita al suo alter-ego che conducono a un negozio che vende solo barbe e baffi finti.
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Dopotutto il nome di Rrose Selavy è fedele a entrambe le personalità di Duchamp. Analizzandolo attentamente possiamo trarne 2 diversi significati: il primo è “Eros c'est la vie” cioè “Eros questa è la vita”, mentre il secondo significato “Arroser la vie” tradotto vuol dire “brindiamo alla vita”. Questa necessità di Duchamp di dare un volto a entrambe le sue personalità, nasce dall'esigenza di completezza. Divenire un essere ermafrodito era un modo per perfezionarsi ed esprimere il suo lato erotico e femminile. Infondo era ciò che sosteneva Beatrice wood: “Le donne sono tutte un po' artiste: hanno il senso dell'incanto” 19.
Duchamp tuttavia non ha solo il merito di aver convertito tantissimi artisti alla causa dadaista. Il suo genio creativo ha messo in crisi, più di chiunque altro tra i suoi colleghi, il concetto di “opera d'arte”. - Il Ready-Made – Si tratta della tecnica del “Detto-Fatto” inventata da Duchamp consistente nel recupero di un oggetto di uso quotidiano, preso “Tale e Quale” semplicemente apponendovi sopra una firma. In questo modo tutto può diventare un'opera d'arte. Ad esempio il vespasiano trasformatosi in “Fontana” o il famoso “Scolabottiglie”. Tuttavia per rendere l'effetto del ready-made ancora più spiazzante si può ricorrere a qualche modifica che inverte o rende nulla l'utilità dell'oggetto rendendolo un paradosso. “Ruota di bicicletta” ne è un classico esempio. Talvolta i titoli associati a queste opere hanno un chiaro riferimento sessuale che conferisce all’oggetto una natura provocatoria, come la “Fresh widow” precedentemente menzionata. Ovviamente anche le soluzioni espositive contribuiscono all’ambiguità dell’oggetto:
“Fontana” viene posto più in alto rispetto a un consueto orinatoio e per di più in un ambiente estraneo alle funzioni che dovrebbe rivestire tale oggetto. Anche Picabia e Man Ray si danno alla tecnica del readymade; il primo dipingendo le “Macchine Ironiche”, il secondo alla maniera “tradizionale” duchampiana, con l'eccezione di mostrarceli attraverso la fotografia. I suoi readymade infatti sono concepiti per lo più come soggetti per le sue foto. Questa tecnica sarà ampiamente sfruttata dagli artisti contemporanei, soprattutto dai neo-dadaisti e dai neo-realisti che riprenderanno molti aspetti della poetica Dada. Inoltre oggi il ready-made è considerato anche un nuovo genere musicale in cui si ricavano suoni e ritmi dagli oggetti che ci circondano, e quindi non concepiti come strumenti musicali. 42
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Questi 3 artisti di cui si è appena parlato, sono stati protagonisti di un'altra importante innovazione dadaista. Siamo in un'epoca in cui il cinema viene indagato come mezzo artistico; tuttavia una così giovane invenzione non possiede ancora le basi per produrre risultati che rispecchiassero una ricerca estetica e stilistica soddisfacenti. Le sperimentazioni cinematografiche di qualità sono rintracciabili solo al di fuori delle industrie dello spettacolo e dell'intrattenimento. Gli artisti indipendenti e i piccoli circoli delle avanguardie sono il terreno su cui iniziano a consolidarsi le fondamenta di questa nuova ricerca estetica. DADA non poteva sottrarsi da questo nuovo campo sperimentale. - Il Cinema Dada – Cinema e Dadaismo sono un binomio perfetto: la tabula rasa a cui avevano fatto ricorso i dadaisti era la situazione adatta per favorire lo sviluppo e l'evoluzione del mezzo cinematografico, di conseguenza quest'ultimo, proprio per la sua mancanza di tradizioni, si rivelava lo strumento ideale d'espressione dadaista. Prima di entrare nello specifico della filmografia dadaista, è doveroso fare un quadro generale della cinematografia d'avanguardia di quel periodo, a cominciare dal futurismo. Marinetti scrisse il “Manifesto del cinema futurista” in proposito e dunque è il caso di analizzarne alcuni passaggi: “Il cinematografo è un'arte a sé. Il cinematografo non deve dunque copiare il palcoscenico. Il cinematografo, essendo essenzialmente visivo, deve compiere innanzi tutto l'evoluzione della pittura” cioè “distaccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal solenne. Diventare anti-grazioso, deformatore,
impressionista, sintetico, dinamico, parolibero”. Seguita facendo una serie di ambiziose proposte: “Simultaneità e compenetrazione di tempi e di luoghi diversi cinematografate. […] Drammi d’oggetti cinematografati (oggetti animati, umanizzati, truccati, passionalizzati, civilizzati, danzanti); oggetti tolti dal loro ambiente naturale e posti in una condizione anormale che, per contrasto, mette in risalto la loro stupefacente costruzione e vita non umana” 20. Marinetti continua a lungo esponendo tutta una serie di possibili ricerche estetiche da intraprendere, ma in realtà, dal punto di vista pratico, il manifesto si rivela alquanto inattualizzabile. Di fatto il manifesto risale al 1916, vale a dire dopo che i primi 2 film di stampo futurista, “Vita futurista” di A. Ginna e “Thais” di Bragaglia siano stati resi noti. Per cui è abbastanza chiaro che questo manifesto sia stato influenzato da un’esperienza cinematografica già conclusa.
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Inoltre per quanto il futurismo cercasse di liberare il cinematografo dalla contaminazione del teatro e della letteratura, finiva inconsapevolmente per esserne condizionato. Al contrario dei film futuristi, la filmografia dadaista ottenne successo mondiale. Le prime sperimentazioni furono ad opera di Hans Richter e del meno noto Viking Eggeling. La loro collaborazione iniziò in svizzera nel 1918, tramite Tzara. In quanto pittori, muovevano i primi passi sulle orme dei futuristi “Fratelli Corradini”, inventori della “cine-pittura” e della “musica cromatica”; trattasi quindi di cinema d'animazione e l'intento è chiaramente quello di superare i limiti della pittura. Nel 1921 Richter esordisce con “Rhythmus 21” e Eggeling con “Horizontal-Vertical Orchestra”. Da questi primi 2 esperimenti, che consistono in un’evoluzione di forme geometriche, si deduce che l’accento è posto sul ritmo piuttosto che sull’armonia del suono. Richter prosegue con questo tema con “Rhythmus 23” del 1923 e “Rhythmus 25” del 1925, in cui l’evoluzioni di forme geometriche divengono via via più complesse e articolate.
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Nel frattempo Eggeling muore, lasciando la pellicola “Diagonal Synphonie” presentata lo stesso anno alla rassegna del cinema assoluto di Berlino. Trattasi di un film d'animazione notevole poiché si dissocia totalmente dalle leggi pittoriche, affrontando in pieno il tema dinamico e il movimento, collocandosi tra i primi concreti risultati del cinema astratto. Dal 1926 Richter passa dal cinema d’animazione a quello dal vero con “Filmstudie”, forse influenzato da “Le Ballet Mécanique” di Fernard Léger, cubista filo-dadaista. Dice quest’ultimo riguardo il suo film: “La storia del film d’avanguardia è molto semplice. E’ una reazione diretta contro i film basati su uno scenario e sul divo. E’ la fantasia e il gioco contro l’ordine commerciale degli altri. Ma non è tutto. E’ la rivincita dei pittori e dei poeti. In un’arte come questa in cui l’immagine dev’essere tutto e dove essa è sacrificata a un aneddoto romanzesco, bisognava difendersi e provare che le arti dell’immaginazione, relegate
alla funzione di accessorio, potevano da sole, con i loro propri mezzi, costruire dei film senza scenario considerando l’immagine mobile come personaggio principale” 21. Su questa direzione si muove Richter anche per “Inflation” e “Vormittagsspuk” più comunemente conosciuto come “Gioco di cappelli”. L’argomento principalmente affrontato dalle pellicole è quello della crisi economica, tuttavia Richter utilizza le tecniche del film d’animazione per ottenere effetti fantastici, satirici e grotteschi. Anche stavolta il ritmo è l’elemento dinamico che agisce da catalizzatore per tutte le pellicole. Solo alla fine della seconda guerra mondiale l’artista riprenderà in mano la cinepresa, realizzando il film antologico “Dreams that money can buy” ( Sogni che il denaro può comprare; 1944 – 1946 ), in collaborazione con Duchamp, Man Ray, Fernard Léger, Max Ernst e Alexander Calder e vinse il premio per il “miglior contributo originale al progresso della cinematografia” al Festival del cinema di Venezia. Nel film si possono notare influenze surrealiste, tuttavia alcune sequenze mostrano chiaramente la personalità Dada.
Nel 1956 realizza un documentario sul dadaismo intitolato “Dadascope” in cui appaiono alcuni dei maggiori esponenti dadaisti di tutto il mondo. L'ultima sua pellicola è “8 x 8”, una sequenza di 8 episodi con un prologo e un epilogo, anche questo interpretato dalle grandi personalità dadaiste. La lista dei registi dadaisti, comunque, non si limita solo a Richter ed Eggeling. Sulla scia di “Ballet Mécanique” c'è anche “Anemic Cinema” di Duchamp del 1926. Non ha trama questo film d'animazione, in cui i protagonisti sono dei dischi rotanti, alcuni dei quali rappresentano dei chiari esempi di arte cinetica e optical-art, altri invece contengono delle frasi di dubbio significato, alla maniera di Duchamp. Di fatti sono frasi firmate dall'alter-ego femminile dell'artista, ovvero Rrose Selavy. Persino lo stesso titolo del film è un gioco di parole duchampiano, infatti leggendo “anemic” al contrario sostituendo la N alla M, possiamo leggere distintamente la parola “cinema”. Tuttavia a parte parecchie collaborazioni, la filmografia dell’artista si conclude con quest’unico film, contrariamente all’amico Man Ray che arricchisce parecchio la cinematografia dadaista.
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Esordisce con “Retour a la raison” presentato nel 1923 all'ultima serata dadaista “Le coeur a barbe”, frutto del lavoro di una sola notte. Si tratta di un montaggio fotografico, nella quale appaiono molti dei celebri rayogrammi dell'artista, privo di qualsiasi senso logico. Il titolo, in questo caso provocatorio, infatti rafforza il carattere dadaista della pellicola. Inoltre anche la casualità con la quale è stato montato il film un espediente prettamente dadaista. Dal 1926 al 1929 produce altri 3 film di stampo dadaista: “Emak Bakia”, “L'Etoile de mer” e “Le mystère de chateau de dès”. A esclusione del secondo, tratto da una poesia e quindi più elaborato e costruito, tutti quanti mancano di una razionalità compositiva e sono privi di una struttura formale. La filmografia dadaista si conclude con la pellicola più rappresentativa del movimento, cioè “Entr’act” di Renè Claire. Il film nasce un’idea di Picabia che ne abbozzò la sceneggiatura e lo scenario. E’ stato concepito per essere proiettato nell’intermezzo di un balletto intitolato “Relache”, frutto della collaborazione di Erik Satie e Picabia. La bellezza della pellicola, tuttavia, rese quest’intramezzo molto più celebre del balletto. Si tratta di una sequenza di 8 episodi totalmente indipendenti l’uno dall’altro. Claire, uomo di spettacolo proveniente dai “Balletti svedesi” di Parigi utilizzò tutte le tecniche cinematografiche in voga in quel periodo e che i dadaisti rifiutavano con tanta convinzione. Il risultato fu premiato anche dagli stessi dadaisti. Ciò avvenne perché tali tecniche furono utilizzate in maniera del tutto anti-tradizionale rispettando lo stile Dada che si distingueva per lo sperimentalismo di tutti i loro elaborati. Il film ottenne grande visibilità e tutt’oggi gode di grande popolarità. René Clair testimonia della genesi del film e della sua musica: “Satie, il vecchio maestro della giovane musica [...]
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calcolava ogni sequenza con una cura meticolosa e preparava così la prima composizione musicale scritta per il cinema 'immagine per immagine' in un tempo in cui era ancora muto. Coscienzioso all'estremo, temeva di non terminare i suo lavoro per la data fissata [...]. Sin dall'apparizione delle prime immagini, un rumore formato da piccole risate e da brontolii confusi si alzò dalla folla degli spettatori da cui un leggero fremito percorse le file. Picabia che si era augurato di udire gridare il pubblico, ebbe modo di essere soddisfatto. Clamori e fischi si mischiarono alle buffe melodiose di Satie che, senza dubbio, apprezzava come compositore il rinforzo sonoro che i contestatori apportavano alla sua musica. La danzatrice barbuta ed il cammello funebre furono accolti come conveniva e quando tutta la sala si sentì travolta dalla scena ferroviaria del Luna Park, delle urla
portarono al culmine il disordine ed il nostro piacere [...]. Imperturbabile, Roger Desormières, il sorriso sarcastico e la maschera severa, sembrava allo stesso tempo dirigere l'orchestra e scatenare con la sua bacchetta un uragano burlesco. Così nacque, nel suono e nel furore, questo piccolo film la cui fine attirò tanti applausi, quanto urla e fischi” 22. Il film ottenne riconoscimenti da tutto il mondo e ancora oggi gode di grandissimo prestigio.
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DADA trova la sua vera ragione d'esistere solo sul palco. E' un movimento che di per sé è spettacolo. D'altronde come il futurismo e il surrealismo, cerca di operare un radicale cambiamento del teatro. Coinvolgere il pubblico, stabilire un contatto diretto con esso per invitarlo a riflettere sul mondo circostante. Lo spettacolo non vuole essere solo intrattenimento; lo spettatore non deve lasciare la sala per ritornare subito dopo alla routine quotidiana. Queste correnti artistiche vogliono entrare nella vita della gente. Abbattere le barriere tra arte e vita. Questa nuova concezione del teatro, vede i suoi precursori in diverse personalità, prima fra tutte forse, in quella di Alfred Jarry. Il teatro subisce il suo primo scossone il 10 Dicembre del 1896 a Parigi nel Theatre de l'Oeuvre; si tratta della prima di “Ubu re”, opera scritta e diretta da Alfred Jarry.
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Secondo un dossier di M. Robillot, apparso sul periodico “La Republique Francaise”, all'apertura del sipario, la scena si presentava così: “Un letto a cortine gialle completo del vaso da notte, dipinto sotto un cielo blu dove cadeva la neve, una forca con l'impiccato in simmetria con un serpente boa su di una palma, una finestra infiorata di gufi e pipistrelli che volavano alte sopra colline vagamente boscose e, ad unire il tutto, un sole scarlatto posto ad aureola di un elefante; al di sotto, l'altare degli interni delle case moderne, il caminetto con il suo pendolo che faceva da centro e batteva a due porte fino al cielo servendo da
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entrata ai personaggi” 1. Di fronte a questo ambiguo sfondo Jarry recitò un discorso introduttivo con voce talmente fioca che il pubblico ebbe difficoltà a capire ciò che stava dicendo. A discorso concluso però Jarry fece risuonare in tutta la sala, forte e chiaro, urlando “Merdre!”. La parola ripetuta frequentemente dall'attore nella parte di Ubu, personaggio molto controverso, ha suscitato lo sdegno del pubblico. Lo scandalo toccò proporzioni esorbitanti. L'opera è una sorta di parodia shakespeariana di “Macbeth”, intrisa di termini volgari e scene assurde. Il pubblico si trovava spiazzato di fronte a tale scempio. Era inconcepibile entrare nella logica di questa farsa. Ubu è l'anti-eroe per eccellenza, detestabile in tutto e per tutto. Il teatro di Alfred Jarry, era un teatro in cui non vi era posto per il Pathos; la scenografia doveva essere scarna, l'illuminazione giocava un ruolo fondamentale. Infine l'attore doveva diventare una marionetta; una maschera gli avrebbe conferito un carattere eterno e una voce alterata contribuiva ad arricchire la personalità del personaggio a sfavore dell'attore. Per un puro caso, siamo vicini al teatro orientale del Kabuki e del Nò, o gli spettacoli dei burattini e delle ombre. Tuttavia, più che creare una nuova scuola di teatro, l'intento di Jarry era provocare. Rendere consapevole il pubblico del mondo in cui vive. Questo è senz'altro un intento in linea col pensiero dadaista. Un'altra stoccata al teatro tradizionale fu a opera di Guillaume Apollinaire con “Mamelles de Tiresias”, pièce teatrale rappresentata per la prima volta il 24 Giugno 1917, con musiche di Poulenc. Si tratta di una commedia davvero esilarante, che mette in discussione il ruolo dei sessi. Tuttavia, più che l'opera in sé, proiettata verso la scuola surrealista piuttosto che dadaista, è l'atteggiamento dell'autore che s'inscrive nell'universo DADA. Apollinaire, che sebbene non sia mai stato un dadaista, ha comunque attraversato tutte le correnti d’avanguardia, dal cubismo, metafisica e surrealismo, intrattenendo buoni rapporti sia con futuristi, sia con dadaisti. Il poeta svilupperà infatti una sorta d poetica della sorpresa, che adotterà come atteggiamento nei confronti della vita. In un periodo buio come quello della guerra, egli sconvolge tutti organizzando feste e giochi collettivi che metteranno in dubbio persino le sue facoltà mentali. Quando egli presenterà nella sala di rue de l’Orient, serio e imperturbabile, “Mamelles de Tiresias”, come un’opera attenta ai problemi sociali del suo tempo, e in particolare alla crescita demografica del suo paese, in un periodo al quanto carente, non solo si stenterà a riconoscerlo, ma alla sera della prima sorprenderà il suo pubblico divertendolo e facendolo ridere.
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Egli, insomma, combatteva il malessere della guerra con l'umorismo, comportamento degno di ogni dadaista, e inoltre caratteristica contraddittoria familiare al gruppetto zurighese. Tra l'altro, l'inganno era uno strumento vastamente utilizzato dai dadaisti sia a Zurigo, sia a Parigi: attraverso trovate pubblicitarie false e accattivanti, diffuse su giornali e volantini, attiravano la gente a partecipare alle loro manifestazioni. Infine, in una commedia teatrale così coinvolgente, la partecipazione del pubblico era garantita; gli attori più volte si rivolgevano agli spettatori, invitandoli a interagire. Memorabile in questo caso l'irruzione di Jacques Vachè, vestito da ufficiale, che salta sugli spettatori con una pistola in mano, minacciandoli di usarla. Anche il teatro “Nunique” di Pierre Albert-Birot, partecipa, seppur in minima parte, all'evoluzione della scena teatrale. Si tratta di un teatro simultaneo, in cui svariati avvenimenti avvengono sul palco contemporaneamente; danze, canti, acrobazie, proiezioni cinematografiche invadono la scena allo stesso tempo per distruggere il concetto di “azione principale”. Per cui non ci sono riferimenti spazio-temporali. Passato e futuro si fondono in un unicum per dare vita a un’istante. L’istante è il concetto attorno al quale lavora Birot; il fine ultimo dell’intero spettacolo.
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Certamente si tratta di un'iniziativa impegnativa, di fatto “Larountala”, primo dramma messo in scena dal teatro nunique, appare spoglio e privo di verve. Con “Le Bondieu” Birot fa un passo avanti, infatti si tratta di una parodia Dada, che rappresenta bene l'affermazione del movimento in quel periodo. La trama per l'appunto, vede un Dio annoiato nel regno celeste che decide di fare un viaggio sulla terra, tuttavia si rende conto che anche qui la noia regna sovrana. Ogni cosa gli sembra essere idiota, così insieme al suo segretario e a un musicista, fonda la società “Ratakikui”, il cui motto è “la vita non esiste”. Così s'instaura lo sciopero ad oltranza, ma ciò fa sì che tutti si annoino ancora di più. Per protesta allora gli artisti rinunciano all'estetica: le sinfonie sono composte da frastuoni di piatti rotti e poeti e pittori lasciano pagine e tele bianche. Quando un saggio decreta che al mondo non vi è più nulla d'interessante da vedere Dio ritorna in cielo. Sebbene si tratti di un testo molto rappresentativo del dadaismo, Pierre Albert-Birot con il suo teatro nunique, non riscosse mai il favore del pubblico e della critica.
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A questo punto ci siamo già addentrati in pieno periodo DADA, tuttavia bisogna introdurre la personalità di Erik Satie prima di poter parlare di teatro dadaista vero e proprio. Quest'ultimo infatti introduce a teatro lo stravolgimento del linguaggio, tema caro ai dadaisti. “Le piège de Méduse”, è una commedia comica, che attraverso abili giochi di parole mette in crisi il sistema linguistico, o meglio ancora, mette a nudo l'incapacità umana di comunicare. Ed è proprio il protagonista di questa commedia, il barone Medusa, personaggio egocentrico e fuori dagli schemi, che libera il linguaggio da tutte le convenzioni sociali alla quale la società l'ha imprigionato. La distorsione del linguaggio usuale sarà quindi il cavallo di battaglia del movimento dadaista, in teatro e in letteratura. Sommando le caratteristiche sin qui riscontrate dalle esperienze sopracitate, si può estrarre la perfetta formula del teatro dadaista, che troverà applicazione al Cabaret Voltaire, e colmerà la sua evoluzione nelle sale parigine. Il Cabaret Voltaire apre i battenti nel Febbraio del 1916. Il proprietario Hugo Ball, fuggito dalla Germania, era stato a Berlino un grande uomo di teatro. Fu attore e collaboratore di Max Reinhardt. Proprio per questo le prime esibizioni dadaiste presso il Cabaret Voltaire risentivano ancora delle caratteristiche del teatro espressionista portato avanti da Reinhardt. Per cui, mentre a Zurigo questo genere di teatro era una novità assoluta, a Berlino, serate simili erano piuttosto di moda, e Ball e Huelsenbeck vi avevano partecipato. A incoraggiare il gruppo a osare di più, l’influenza futurista del teatro sintetico e del Music-hall e le notizie dal fronte, sono state un buon incentivo. Infatti spiega Ball: “La volontà d’intrattenere il pubblico per mezzo dell’arte ci spinge in maniera tanto interessante quanto istruttiva verso ciò che è vivo, nuovo, spontaneo. Le aspettative del pubblico rappresentano per noi una sfida che chiama in causa tutte le nostre energie inventive e dialettiche” 2. Così nacquero le sconvolgenti poesie onomatopeiche che ricordavano linguisticamente e ritmicamente dei motivi africani, pur senza aver alcun significato.
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Altrettanto originali, anche le poesie simultanee, costituite da testi recitati contemporaneamente. Così una sera Hugo Ball sale sul palco del cabaret, inaugurando la nuova forma d'espressione DADA, declamando i versi di “Gadji beri bimba”, primo dei suoi componimenti onomatopeici, vestito da grande sacerdote dadaista. “Sulle spalle portava un enorme collo a mantellina, e aveva in testa un alto cappello di forma cilindrica. Marcel Janco aveva fabbricato il costume con del cartone. Il collo e il cappello verniciati d'oro scintillavano e gli conferivano l'aspetto di una figura cubista” 3. Inoltre Ball descrive così il suo abbigliamento: “Io indossavo uno speciale costume disegnato da Janco. Le mie gambe erano avvolte in una specie di colonna di cartone blu lucido, che mi saliva aderente fino ai fianchi” 4. Palese è, in questo caso, l'ispirazione ai costumi futuristi di Depero, dell'uomo meccanizzato. Il pubblico accolse quella mascherata con fischi e proteste, che annunciarono solo l’inizio della folle escalation DADA. La derisione diventa l’arma con cui torturare lo spettatore, unico bersaglio degli spettacoli Dada. Al contrario delle grandi sale teatrali, la vicinanza tra attore e spettatore che c’è all’interno del piccolo cabaret, rende la provocazione ancora più violenta e risonante. Allo spettatore viene dato dell’ignorante, tanto che Tzara dal 1916 al 1918 organizza delle conferenze per spiegare al pubblico cosa sia l’arte moderna. Inoltre lo spettatore viene offeso e aggredito verbalmente fino a scatenare la sua furia, scopo ultimo di questo atteggiamento. Sebbene ciò sembra toccare l'apice della provocazione verso il pubblico, bisogna ricordare che tali atteggiamenti avevano avuto dei precedenti non solo nel futurismo, ma anche nei locali di Montmartre nell'ultimo ventennio del 800. In esempio vi sono “Le Chat Noir” o il “Mirliton” di Bruant, in cui un coro situato all'ingresso del locale intonava questo ritornello ogni qual volta entrasse qualcuno: “A Montmertre les clients sont des cochons! ” 5. Inoltre Bruant, il proprietario, andava in giro per il locale frustando i clienti e aizzando tutta la sua rabbia contro di loro. Chiunque, indignato, tentasse di lasciare il locale veniva preso di mira. Anche in questo caso, la provocazione era indirizzata a un pubblico colto. Questa linea d'azione è esplicitamente e consapevolmente adottata dai dadaisti che vogliono coinvolgere il pubblico con ogni mezzo a loro disposizione. Anche l'impostazione scenica, generalmente curata da Picabia, appare alquanto singolare. Biciclette appese al soffitto o pacchi disposti qua e là per la scena in maniera disordinata. Ogni tanto invece, riproduce la tranquilla e serena ambientazione di un giardino alla francese. All’esposizione organizzata nel 1920 da Arp, Ernst e Baargeld a Colonia, la “scena” viene impostata con la stessa provocatoria violenza che si riscontra a Zurigo nel piccolo Cabaret Voltaire: “L’esposizione di quadri, sculture e oggetti diversi ebbe luogo nel cortile di un caffè centrale. Per accedervi, bisognava attraversare i gabinetti di decenza. All’ingresso una ragazza in costume da prima comunione recitava dei versi osceni. In mezzo al cortile si alzava un oggetto di legno duro di Ernst, con accanto una scure attaccata a una catena: il pubblico era invitato a impugnare la scure e a distruggere la << scultura >>. In un angolo, Baargeld aveva addirittura collocato un acquario, pieno di un liquido rosso come sangue, sul cui fondo ondeggiava una capigliatura femminile. Infine tutt’intorno erano appesi i fotomontaggi di carattere sacrilego, scandaloso, sessuale. I visitatori infuriati, a varie riprese, devastarono il locale e sfregiarono le opere, finché le autorità proibirono la mostra” 6.
Anche la “Dada-Vorfruhling”, altra esposizione organizzata dal trio precedentemente citato, presso la Birreria Winter, con opere di altri esponenti dadaisti, tra cui Picabia, ebbe la stessa sorte. E' in questo contesto che nasce la prima opera teatrale dadaista: “La première aventure cèleste de M. Antipyrine”. L'autore del testo è Tristan Tzara, che proseguirà il discorso di Erik Satie, fino alle estreme conseguenze, in quanto il linguaggio è svincolato da ogni senso logico e sintattico. Per cui, i personaggi, privati di un linguaggio sensato, non sono in grado di comunicare tra loro, sviluppando quello che Tzara definisce un “doppio quattrologo”. Tra i personaggi, Tzara pone anche se stesso, incaricato di declamare il manifesto dadaista. Il titolo dell'opera deriva dall'antipirina, cioè un farmaco, di cui Tzara faceva molto uso per rimediare ai suoi continui mal di testa. Con quest’opera, il poeta instaura un altro dei capisaldi del dadaismo, ovvero recitare in prima persona il proprio testo. In realtà, quest’atteggiamento è una presa di coscienza che libera l’attore, e cioè l’intermediario tra autore e pubblico, da ogni responsabilità sulla natura del testo. In questo senso, se il pubblico apprezza o meno l’opera, sarà l’autore in persona a prendersene la responsabilità, e non lascerà che qualcun’ altro ne paghi le conseguenze al suo posto. Il testo viene messo in scena per la prima volta il 14 luglio 1916 alla sala Zur Waag di Zurigo, ma l’eco che ottiene il 27 Marzo 1920, al Thèatre de la Maison de l’Oeuvre, a Parigi, è di gran lunga più sonoro. Per quell’occasione, Picabia disegnò i costumi che Georges Casella descrisse così: “Sbalorditivi, imprevisti, ridicoli. […] Evocano chiaramente i disegni dei malati mentali e corrispondono perfettamente al testo inconcepiblile di Tristan Tzara” 7. Seguita descrivendo anche la scena: “Lo scenario, posto davanti agli interpreti, e non alle loro spalle, era trasparente. Composto da una ruota di bicicletta, da poche corde tese attraverso la scena e da quadri contenenti iscrizioni ermetiche, esso completava perfettamente l’insieme” 8. Infine Casella ci racconta la reazione del pubblico : “Si poteva credere di essere tra i pazzi, e il vento della follia soffiava sulla scena quanto nella sala”9. La reazione quindi è quella voluta e il contatto tra gli attori (in questo caso si tratta di Tzara e i suoi amici) e gli spettatori era stato stabilito.
Urla e schiamazzi incerti avevano riempito la sala, composta da un pubblico colto, che frequentava abitualmente i teatri e mai (o quasi), si sarebbe scomposto così facilmente. La “Deuxième aventure de M. Antipyrine” e “Le Coeur à gaz” di Tristan Tzara, si presentano in tutto e per tutto uguali a “La première aventure cèleste de M. Antipyrine”, perseguendo in quello smantellamento del linguaggio che sottrae il poeta da ogni giudizio sul testo. Il primo di questi ultimi due testi viene messo in scena per l’occasione del grande Festival Dada, il 26 Maggio 1920, alla sala Gaveau. Anche stavolta Tzara mette in piedi un assetto scenico proveniente dagli anni di Zurigo: “Esseri fantasmatici vestiti di carta nera, incappucciati di cartone bianco, si allineano sul palcoscenico. Il direttore d’orchestra è acconciato un po’ meglio: il suo cappuccio termina con una testa espressiva in cui sono piantate delle scatole di fettuccine Luculus e una mano guantata di grigio... Tutti gli spettri si mettono a leggere la loro parte […] gli spettatori ridono, abbaiano, battono bastoni e talloni” 10. Una così statica interpretazione, non può che irritare lo spettatore, al punto che questa irrequietezza, non può far altro che esplodere. A testimonianza di tale reazione vi sono parecchi articoli di giornale del tempo. “Le Coeur à gaz” invece è stata scritta dal poeta molto frettolosamente, 61
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ed egli stesso la definisce la “sola e più grande truffa del secolo in tre atti” 11. Non vi sono indicazioni sceniche abbastanza chiare, eccetto la postazione di uno dei personaggi in sala, che funge da commentatore dello spettacolo. Il testo è stracolmo di ripetizioni che variano a seconda del crescere o del decrescere dell'intonazione dell'attore. Questo gioco di ripetizioni e intonazioni, illude lo spettatore che qualcosa stia per accadere, ma ovviamente il pubblico rimarrà deluso. L'opera venne messa in scena il 10 Giugno 1921 alla galleria Montaigne, ove il pubblico si lamentò per l'accento rumeno molto pronunciato di Tzara. Successivamente ripresa nel 1923 per la serata de “Le Coeur a Barbe”, al Thèatre Michel, che segnò la fine del dadaismo. Un’altra figura importante per il teatro dadaista, fu Georges Ribemont-Dessaignes. Egli è effettivamente l’unico vero drammaturgo del movimento, come sostiene lo stesso Tzara, in quanto le sue, sono le uniche opere del repertorio dadaista, scritta in maniera tradizionale. Il dadaismo sarà il suo credo fino alla morte, poiché a parte un brevissimo passaggio al surrealismo e alcuni testi scritti per ragioni economiche, la sua opera resterà sempre fedele a DADA. Georges Ribemont-Dessaignes scrive “Limperatore della Cina” durante il servizio militare nel 1916,
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su fogli rimediati per caso, in un periodo in cui il dadaismo stava cominciando a svilupparsi nella culla svizzera. Per cui l'autore scrive questo testo senza neanche subire l'influenza dadaista, perché non poteva saperne nulla. In seguito a Ubu re, il pubblico erapiù tollerante nei confronti di testi come “L’imperatore della Cina”. I personaggi che caratterizzano l’opera sono l’imperatore Espher, protagonista del primo atto, assetato di potere,
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la figlia Onane che risalta nel secondo atto, irrequieta e mossa da ardori e passioni erotiche, e infine Verdetto che trionfa nell’ultimo atto e rappresenta l’incarnazione di DADA, tanto che le sue battute sembrano uscire da un manifesto dadaista. A stemperare le tragiche vicende del dramma vi sono Ironico ed Equinozio, i personaggi che costruiscono l’humor Dada della storia. “Il Canarino Muto” affronta un altro argomento caro ai dadaisti, ovvero l’incapacità di comunicare, tuttavia non lo fa alla maniera di Tzara. I 3 protagonisti del dramma, Riquet, Barate e Ocre, si calano nei panni di personaggi storici annullando le loro personalità e vivendo ognuno nella propria storia, senza riconoscersi l’un l’altro. Una particolarità di questo dramma, viene dal fatto che Ocre è un uomo di colore, e all’epoca, introdurre un personaggio nero tra i protagonisti, rendendolo anche oggetto del desiderio di una donna bianca, era un’azione inconcepibile. La produzione di Ribemont-Dassaignes in ogni suo aspetto appare tra i risultati più originali del teatro Dada e riveste il linguaggio, che Tzara come i suoi compagni, avevano deturpato, donandogli una nuova linfa vitale, senza per questo esser considerato fuori dalla visione dadaista. In generale, la maggior parte dei testi dadaisti sono scritti per il teatro. Il repertorio Dada è abbastanza ricco, infatti non bisogna trascurare i contributi di Vitrac, Dermèe, Arnauld, Picabia e di tutti gli esponenti del dadaismo che sono arrivati in seguito al surrealismo, come Breton, Soupault o Aragon. Di fatto, moltissimi testi surrealisti risentono fortemente dell’influenza dadaista, tanto che non si distingue dove finisce DADA e inizia il surrealismo. Fin qui è possibile tirare le somme del teatro dadaista, almeno da un punto di vista concettuale, ma dal materiale pervenutoci sin ora è difficile avere un’idea chiara sulla scenografia Dada. Tra Zurigo e Parigi, Picabia è stato, in un certo senso, lo scenografo ufficiale.
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Infatti, egli realizzò la scenografia di “Relàche”, unico e solo balletto d'ispirazione dadaista, inserito nel programma dei “Balletti svedesi” di Parigi, andato in scena il 4 Dicembre 1924, con le musiche di Erik Satie e le coreografie di Jean Borlin. In realtà la data del debutto era stata fissata per il 27 Novembre, ma per ironia della sorte, lo spettacolo fu posticipato all'ultimo momento, creando il malcontento degli spettatori, che pensarono ad un nuovo scherzo di Picabia, visto che “Relàche”, era una parola che in genere i teatri usavano per indicare la chiusura temporanea di stagione. La verità era che Borlin si era ammalato, e solo quando si riprese, lo spettacolo poté essere messo in scena. A parte che per la proiezione di “Entr'act”, lo spettacolo ebbe molto successo anche per la bravura dei ballerini, che salivano sul palco fingendosi spettatori arrabbiati per poi sorprendere il pubblico con le loro improvvisazioni di ballo, il che era una novità assoluta nella storia del balletto. Per cui, esclusa questa parentesi, Picabia fu quasi sempre, solo uno scenografo improvvisato. I suoi impianti scenici, sono concepiti, più o meno, come dei ready made alla Duchamp, e quindi creati per disorientare. Dal punto di vista della scenografia, i futuristi, hanno senza ombra di dubbio, raggiunto risultati più concreti. Tuttavia, lasciando la Francia e la Svizzera e facendo un salto a Berlino, il contributo dadaista alla scenografia ce lo dà Erwin Piscator. Si tratta di un regista che ha il merito di aver messo fine alla scena teatrale di tipo impressionista, già in crisi da moltissimi anni. La sua carriera inizia a Konigsberg, nel 1920, in un piccolo teatro di proprietà, che chiude a causa delle opere di repertorio naturalista, che non soddisfacevano il suo pubblico. Così Piscator ricercò dei cambiamenti che poté trovare nell’ottica del dadaismo. Tuttavia non si può dire che l’adesione al dadaismo fu totale da parte di Piscator, poiché la tabula rasa della concezione dadaista, manca di plausibilità secondo il regista. Di fatto egli attinge anche dal costruttivismo e dall’espressionismo stesso. Si serve del dadaismo per rompere i ponti col concetto tradizionale di dramma, e per cambiare i mezzi della messa in scena, introducendone di nuovi, come la cronaca, il cinema o la fotografia documento. Per il regista, il cinematografo, nella sua struttura, suggerisce i mezzi per trasformare anche la macchina scenica teatrale.
Proiezioni cinematografiche, diapositive, scene multiple, trasparenze ed effetti luministici, cambiano notevolmente le dinamiche teatrali. Inoltre risolve un problema comune riguardante la scenografia, ovvero supera l’indecisione tra le soluzioni di tipo pittorico o tridimensionali, facendo la scelta più semplice, cioè adottarle entrambi miscelandole con le proiezioni. Infatti, in un periodo in cui il ruolo dello scenografo è quasi sempre affidato ai pittori, e non vi sono figure specifiche, se non in rari casi, a ricoprire questo compito, la scenografia è soggetta a problemi di questo tipo. A Berlino, Piscator lavora al Central Theater, e influenzato dalle tendenze dadaiste, politicamente attive, comincia a fare teatro di propaganda, con lo scopo di sensibilizzare la coscienza politica degli spettatori. Per fare questo, i testi dell’opera da rappresentare, qualsiasi essa sia, deve subire delle modifiche. I testi sono quindi subordinati allo scopo politico, in questo modo, Piscator libera la figura del regista da ogni vincolo imposto dal testo, indipendentemente da qualsiasi interpretazione si voglia considerare. Il teatro diviene quindi strumento di propaganda, rendendo il regista, l’artista più impegnato della repubblica di Weimar, sullo sfondo della rivoluzione spartachista di Rosa Luxemburg. Piscator riesce a catturare persino il consenso del pubblico borghese e della critica. Uno dei suoi spettacoli più celebri fu “Trotz Alledem! (Ad onta di tutto!), che andò in scena il 12 Luglio 1925, vantando le scenografie di Grosz e delle proiezioni girate dal vero, sul campo da guerra, per metterne in risalto gli orrori e la potenza distruttrice. Grosz curò anche le animazioni di “Le avventure del prode soldato Schwejk”, opera di Piscator che ottenne maggior successo. Interessanti in questo spettacolo, le soluzione sceniche adottate:
“…grazie all'intelligente uso di un tapis roulant, l'attore, praticamente fermo al centro del palcoscenico, dava l'impressione di muoversi in senso inverso a quello del fondale che slittava alle sue spalle con un'eccellente effetto illusionistico. […] Fin dalla prima lettura del romanzo, Piscator aveva avuto la sensazione di un perenne movimento intorno al personaggio principale: E' straordinario come in questa fluidità della materia epica si esprime tutta l'ansia della guerra” 12. Erwin Piscator rivoluziona il teatro in maniera radicale, tanto che insieme a Walter Gropius, realizza una nuova e moderna architettura teatrale: “L’architettura del teatro è in stretta dipendenza con la forma d’arte drammatica che vi viene rappresentata; anzi architettura e drammaturgia si determinano a vicenda. L’arte drammatica e l’arte architettonica insieme però risalgono con le loro radici alla forma sociale della loro epoca. La forma teatrale che domina ancora nella nostra epoca è quella superatissima
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dell’assolutismo: il Teatro di Corte. La suddivisione in platea, palchi e galleria riflette gli strati sociali del feudalesimo. Questa forma doveva necessariamente venire in contrasto con gli scopi del teatro, nel momento in cui l'arte drammatica da un lato e dall'altro i rapporti sociali subivano un movimento. Quando mi accinsi insieme a Walter Gropius a disegnare una forma di teatro adeguata alle condizioni, questo non avvenne semplicemente dal punto di vista di un ampliamento o di un completamento tecnico, ma in quella forma si espressero anche determinati
rapporti sociali e drammatici” 13. Il progetto è un grande esempio di teatro totale, in cui lo spettatore sarebbe stato al centro di un'immensa macchina scenica. Le mutate condizioni politiche e l'incombere della guerra, portarono dei problemi economici che costrinsero Piscator a lasciare il paese. Si diresse in America, dove ebbe discreto successo. Nel 1939, a Newyork fondò “Dramatic Workshop”, da cui tutt'oggi escono dei grandi talenti. Rimane infine un ultimo punto d'affrontare: il teatro di figura. 67
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I futuristi ne fecero grande uso. Ma non furono gli unici: in generale tutte le correnti d'avanguardia si chiesero se era meglio sostituire alla figura dell'attore, la marionetta, vero simbolo dell'odierna società, metafora incontestabile dell'uomo che lascia governare i fili della sua vita al caso. Anche DADA aprì una piccola parentesi per questa forma di teatro. Oskar Schlemmer, a Berlino, realizzò delle marionette, che a cavallo tra dadaismo e costruttivismo, ricordano gli strani manichini realizzati dai membri del Dadaclub. Queste figure meccaniche che erano protagoniste di “Das figurale kabinett”, si chiamavano Rosarosso, Trucco, Tuttonaso, Variopinto, Gran viso verde, Elementare e Astratto-lineare, e tutte quante fiancheggiavano Magister, unico personaggio umano dell'opera. 68
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Tuttavia tali marionette sono imparagonabili alla bellezza di quelle realizzate da Sophie Teauber per il “Re cervo” andato in scena a Zurigo nel 1918. L'opera è una sorta di parodia sulla psicanalisi di Freud, per cui anche l'argomento s'inscrive perfettamente nell'ottica dadaista. Le marionette, esprimono il carattere simbolico del personaggio attraverso il colore: Il Re veste dorato, il Ministro Pantaleone nero e grigio, il cattivo Tartaglia in rosso, mentre le donne vestono di bianco. Le guardie, sono inglobate in un'unica marionetta, per esprimere al massimo il concetto di unità militare: 69
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un essere con tante braccia e gambe, circondato da un'armatura lucida e metallica, quasi fosse un futuristico robot. Oggi queste splendide figure sono esposte al museo Bellerive di Zurigo.
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- Cenni storici - “Fazzoletto di nubi”, che nella lingua originale appare come “Mou-
choir de Nuages” , è l'ultima opera scritta da Tristan Tzara, almeno per quanto riguarda il repertorio dadaista. Aragon, sostiene che l'opera merita la stessa considerazione di “Ubu roi” e “Les mamelles de Tiresias”, purtroppo però, la critica la ignora, e continua a farlo fino a ora. Di fatto, dal 1924, lo spettacolo fu messo in scena per un mese, e in seguito venne dimenticato. Nessuno tentò di riprenderlo. Tzara descrive la sua opera così: “è una tragedia ironica, o farsa tragica, in quindici atti brevi, separati da quindici commenti. Lo svolgimento dell'azione, che è simile nei procedimenti e nei temi alla narrativa del feuilleton e del cinema, ha luogo su di un palco situato al centro della scena” 1 . Il soggetto dell'opera è abbastanza tradizionale, trattasi infatti, di un triangolo amoroso tra un banchiere, la rispettiva moglie e un poeta.
- L’opera - Al di là della banalità del soggetto, la genialità dell'opera, sta appun-
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to nella messa in scena e nell'humor dadaista che la circonda: la scena è infatti concepita come uno spazio chiuso, da cui l'attore, una volta entrato non può più uscirne, al pari, anche i macchinisti sono costretti a rimanere presenti sul palco, per tutto il tempo, e a effettuare i cambiamenti a vista. Inoltre, tutti i personaggi dell'opera, mantengono il nome e il cognome che hanno in realtà. Il commento alla fine di ogni atto breve, è recitato da personaggi secondari, e si presenta come una sorta di pettegolezzo, su ciò che è successo e su ciò che accadrà. Questo atteggiamento, ha un doppio effetto, in quanto avvicina lo spettatore all'attore perché entrambi condividono lo stesso punto di vista rispetto alla scena, ma contemporaneamente, favorisce un distacco del pubblico da ciò che accade ai protagonisti. Questi commenti sembrano quasi svilupparsi in un'opera parallela, costituita dal pensiero comune degli interpreti, del pubblico e infine dello stesso autore. Quello che distingue ulteriormente l'opera, sono i richiami cinematografici, come l'introduzione del flashback, del tutto nuova in teatro, resa scenicamente attraverso un sipario di velo, che dà quell'effetto sbiadito, tipico degli effetti cinematografici. Questo indica che la storia non si evolve secondo un'ordine cronologico, ma segue un flusso temporale tipico dei film, con rimandi al passato e al futuro.
Un ultimo importante aspetto di questo dramma è ancora una volta nel repertorio dadaista, il collage. Tzara, riesce infatti a dare una delle migliori prove del “teatro nel teatro”, sfruttando con ingegno, lo stratagemma di Amleto, che per incastrare lo zio usurpatore, lo fece assistere alla rappresentazione teatrale di “La trappola del sorcio”. Ed è appunto una scena dell’Amleto che Tzara monta nel suo dramma, e lo fa con lo stesso intento dell’omonimo protagonista shakespeariano. Tuttavia, mentre Amleto mette in scena questa trappola a buona ragione, il protagonista di “Fazzoletto di nubi”, in questo caso “il poeta”, non può pretendere che il banchiere e sua moglie cadano nella trappola, perché è egli stesso l’usurpatore in questo dramma.
- La scena secondo Tzara - “Fazzoletto di nubi” è senza dubbi un'opera moderna
e interessante, che rivisita tutta la macchina scenica secondo tempistiche e mezzi diversi. Tutto è ridotto all'essenziale. Persino il flusso del tempo, che scorre, si riavvolge e si blocca, trasportandoci in un'altra dimensione. Anche l'impostazione scenica subisce lo stesso trattamento. Tzara la descrive come “uno spazio chiuso, come una scatola, da cui gli attori non possono uscire” Tutti e cinque i piani sono dello stesso colore. Sul fondo, a una certa altezza, uno schermo indica il luogo dell'azione, a mezzo di riproduzioni ingrandite di cartoline illustrate, avvolte su due rulli, che un macchinista srotola man mano che gli atti passano, a vista degli spettatori. In mezzo alla scena un palco; a destra e a sinistra del palco sedie, tavoli per il trucco, gli accessori e i costumi degli attori. Gli attori sono in scena per tutta la durata della commedia. Quando non recitano voltano le spalle al pubblico, si vestono, parlano tra di loro. L'azione vera e propria si svolge sul palco, mentre i commenti sono recitati al di fuori. Alla fine di ogni atto la luce cambia bruscamente e illumina solo più i commentatori: gli attori escono dai loro personaggi e lasciano il palco. La luce cambia altrettanto bruscamente alla fine di ogni commento, e tutti i proiettori illuminano solo più il palco. Gli elettricisti e i riflettori sono a vista. Due aiuti mettono e tolgono gli accessori sul palco” 2. Gli scenari variano parecchio; da semplici salottini a isole tropicali. Il tutto è reso tramite proiezioni e giochi di luce.
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Impostazione scenica da me ideata per â&#x20AC;&#x153;Fazzoletto di nubiâ&#x20AC;?
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- La scena secondo me - Per quanto originale si dimostri la scena progettata
dall'autore, se dovesse essere rappresentata oggi, necessiterebbe di elementi nuovi, oltre che dei cambiamenti all'interno delle dinamiche del dramma. Il mio progetto, consiste nell'individuare questi elementi e introdurli all'interno dell'opera. La scenografia da me progettata, modifica la struttura dell'impostazione scenica, che da spazio scatolare si riduce ad un angolo verso cui converge tutta la scena a fondo palco, aumentando il senso di claustrofobia, caratteristica intrinseca già nell'ideazione di Tzara. Il piano palcoscenico è suddiviso in più piani, che compongono una gradinata, che segue il declivio del palco, e invade la sala discendendo. Questa sorta di scalinata, larga tutta l'ampiezza del boccascena, servirà agli attori per accedere al palco. Infatti quest'ultimi, sin da prima dell'inizio dell'opera, prenderanno posto in sala e si “mimetizzeranno” tra gli spettatori. La sala non sarà mai del tutto buia. Una luce soffusa sempre accesa, permetterà agli spettatori sia di vedersi tra loro, sia di notare i movimenti degli attori tra sala e scena. Per l'appunto gli attori dovranno tornare al loro posto in sala, tutte le volte che la loro presenza non sarà richiesta sul palco. Il commento talvolta sarà recitato tra sala e scena per conciliare ancor di più la familiarità tra attore e spettatore. Durante l'intervallo, gli attori resteranno presenti in sala e potranno conversare con gli spettatori. L'intera scena sarà avvolta nelle tonalità del viola per introdurre la superstizione in teatro, così come fece Picabia nei suoi allestimenti scenici, piazzando un grande ombrello aperto sul palcoscenico “Vous m'oublierez” di Breton. L'ambientazione della scena sarà data dall'attrezzeria, che calerà dall'alto.
- Le video proiezioni - Per ogni atto verrà proiettato un videoclip, che non sarà
necessariamente legato alla scena. Ogni video si presenterà in forma quasi astratta e alogica, tuttavia si farebbe in qualche modo riferimento a delle sensazioni, riscontrabili negli animi dei personaggi protagonisti. Questi videoclip vengono proiettati sulle due pareti ad angolo che chiudono la scena, e durante il commento, gli schermi saranno oscurati.
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Note Cap. I - 1 - Cit. “le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 152 - 2 -Cit. “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. 9
Note P_ 1.1 - 14 - ivi pag. 23 - 15 - ivi pag. 21 - 16 - ivi pag. 22
- 3 - Cit. Non mi ricordo dove l’ho letta, ma - 17 - ivi. pag 25 si trova sicuramente tra i libri della “bibliografia”. - 18 - Cit. Wikipedia
- 2 - “Marlier e Seuphor su dada ed il surrealismo” ; dada100.over-blog.it
Note Cap II - 1 - Cit. Wikipedia
- 4 - Cit. “Manifesto Dada 1918” di Tristan Tzara
- 19 - Cit. “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Madio De Micheli pag. 170
- 5 - ibidem
- 20 - ibidem
- 2 - Cit. “La typographie dans les tracts et revues dadas” su www.dada100.over-blog.it
- 6 - ibidem
- 21 - Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro
- 3 - Cit. “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. 28
- 22 - ibidem
- 4 - Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro
- 7 - ibidem - 8 - ibidem - 9 - Cit. “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. 15
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- 1 - Cit. “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 153
- 23 - ibidem - 24 - “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. 27
- 10 - Cit. “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 163 - 25 - “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 172 - 11 - ibidem - 26 - ibidem - 12 - ivi pag. 164 - 27 - “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. - 13 - Cit. “Dadaismo” di Dietmar Elger 20 pag.19
- 5 - Cit. “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. 21 - 6 - Cit. “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 161 - 7 - Cit. articolo di “Repubblica” del 02- 01 - 2010; “Amori e follie della baronessa Elsa dadaista militante” di Natalia Aspesi - 8 - Cit. “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 167
Note Cap. III - 9 - ibidem - 10 - ivi pag. 165
- 1 - Cit. “Il teatro dada e surrealista” di - 1 - “Il teatro dada e surrealista” di Henri Henri Bèhar pag. 21 Béhar pag. 114
- 11 - ivi pag.166
- 2 - Cit. “Dadaismo” di Dietmar Elger pag. 10
- 12 - www.dada100.over - blog.it
- 3 - ivi pag. 11
- 13 - Cit. “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 155
- 4 - ivi pag. 12
- 14 - ivi pag. 152 - 15 - ivi pag. 169 - 16 - ibidem
- 2 - “Teatro dada” di Gian Renzo Morteo e Ippolito Simonis
- 5 - Cit. “Il teatro dada e surrealista” di Henri Bèhar pag. XIV - 6 - “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli pag. 168
- 17 - Cit. www.omniartis.com
- 7 - “Il teatro dada e surrealista” di Heri Bèhar pag. 108
- 18 - Cit. www.aletedizioni.it
- 8 - ibidem
- 19 - Cit. www.edicola-news.net
- 9 - ivi pag. 109
- 20 - Cit. Manifesto del cinema futurista
- 10 - ivi pag. 111
- 21 - Cit. “Storia del cinema_1” di Gianni Rondolino pag. 154
- 11 - ibidem
- 22 - “Entr’act”; www. dada100.overblog.it
Note Cap. IV
- 12 - “L’evoluzione dello spazio scenico Dal naturalismo al teatro epico” di Franco mancini pag. 198 - 13 - ivi pag. 208
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Indice delle immagini
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- 1 - Cabaret Voltaire oggi, www.wikipedia.it , pag. 2 - 2 - Tristan Tzara, genseki.blogspot.com, pag. 3 - 3 - Monumento per il centenario della nascita di Tristan Tzara, Romania, Flickr, pag.4 - 4 - Monumento centenario di Tristan Tzara, Romania, dada100.over-blog.it, pag. 4 - 5 - Monumento centenario di Tristan Tzara, www.inimabacaului.ro, pag. 4 - 6 - ibidem - 7 - Allestimento Fiera Dada internazionale, www.nga.gov, pag. 6 - 8 - K. Schwitters, da qualche parte su google, pag 7 - 9 - Merzbau, www.abitare.it, pag. 8 - 10 - M. Duchamp, home.messiah.edu, pag. 9 - 11 - A. Breton, abundancesecrets.com, pag. 10 - 12 - Manifesto dell’ultima serata Dada, dada100.over-blog.it, pag. 11 - 13 - Copertina “Cabaret Voltaire”, la fonte non me la ricordo proprio, pag. 15 - 14 - Copertina “Der Dada”, The international Dada Archive, pag. 16 - 15 - Copertina “Dada 3”, kiomosgirizei.blogspot.com, pag. 17 - 16 - Copertina “391”, The international Dada Archive, pag. 18 - 17 - Copertina “Proverbe”, The international Dada Archive, pag. 19 - 18 - Copertina “Litterature”, The international Dada Archive, pag. 19 - 19 - Collage realizzato secondo le leggi del caso, “Dadaismo” di Dietmar Eleger, pag. 20
- 20 - Assemblage di Hans Arp, likovna-kultura.ufzg.unizg.hr, pag. 21 - 21 - Merzbau riproduzione, www.biennaledelyon.com, pag. 22 - 22 - Collage “ABCD” di Raoul Hausmann, “Dadaismo” di Dietmar Elger, pag. 23 - 23 - Collage di Max Ernst “Quadro diluviale fisiomitologico (fatagaga)”, “Dadaismo di Dietmar Elger” pag. 24 - 24 - Fotomontaggio di Heartfield per la copertina di un libro di Upton Sinclair, dada100. over-blog.it, pag. 25 - 25 - Fotomontaggio di Heartfield per il manifesto del partito comunista delle elezioni politiche del 1928, dada100.over-blog.it pag.27 - 26 - Fotomontaggio di Heartfield “Neri e bianchi uniti nella lotta”, dada100.over-blog.it, pag. 27 - 27 - Rosa Luxemburg ad un comizio, www. claudiocaprara.it, pag. 28 - 28 - Hannah Hoch , www.jameslogancourier.org, pag. 29 - 29 - “Da Dandy”, collage di H. Hoch, “Dadaismo di Dietmar Elger”, pag. 29 - 30 - “Taglio del coltello da cucina dada nel ventre gonfio dell’ultima epoca culturale della Germania di Weimar”, collage di H. Hoch, “Dadaismo” di Dietmar Elger, pag. 30 - 31 - Mary Wigman, simonahalacheva.blogspot.com, pag. 30 - 32 - Costumi di Sophie Tauber per la danza dada, strawberige.blogspot.com, pag. 31 - 33 - “moltiplicazione rotta e ristabilita” di S. Duchamp, it.zooomr.com, pag. 32
- 34 - Beatrice wood, www.bankphotography. biz, pag. 33 - 35 - La Baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven in un servizio fotografico, chez-edmea. blogspot.com, pag. 34 - 36 - ibidem - 37 -ibidem - 38 - ibidem - 39 - ibidem - 40 - Marcel Duchamp, www.cicagi.it, pag. 35 - 41 - Rrose Selavy, “Dadaismo” di Dietmar Elger, pag. 35 - 42 - “Fontana” di M. Duchamp, www.giustodueparole.it, pag. 36 - 43 - “Fresh widow” di R. Selavy, www.zwirnerandwirth.com, pag. 37 - 44 - “Venere restaurata” di M. Ray, acrux86.wordpress.com, pag. 37 - 45 - “Ruota di bicicletta” di M. Duchamp, www.griseldaonline.it, pag. 37 - 46 - “L’enigma di Isidore Ducasse” di M. Ray, “Dadaismo” di Dietmar Elger”, pag. 37 - 47 - “Cadeau” di M. Ray, www.romeguide.it, pag. 37 - 48 - “Machine tournez” di Picabia, blogdellanarca.blogspot.com, pag. 37 - 49 - Hans Richter, deeperintomovies.net, pag. 39 - 50 - “Entr’act”, “Teatro Dada” di G. R. Morteo e I. Simonis, pag. 40 - 51 - Piatti cinetici di M. Duchamp per il film “Anèmic cinèma”, www.mostricci.com, pag. 41
- 52 - Rayograph di M. Ray, photogramblog. tumblr.com, pag. 42 - 53 - ibidem - 54 - ibidem - 55 - ibidem - 56 - Ubu roy, valeriomele.splinder.com, pag. 43 - 57 - Ubu roy, www.myspace.com/melomotta, pag. 44 - 58 - Costumi per “Mamelles de Tiresias”, www.hs-augsburg.de pag. 45 - 59 - Hugo Ball con costume di Janco, dada100.over-blog. it, pag. 46 - 60 - Manifesto per un ballo futurista realizzato da Depero, www.irre.toscana.it, pag. 47 - 61 - Foto di scena del Festival dadaista alla sala Gavau di Parigi, “Teatro Dada” di G. R. Morteo e I. Simonis, pag. 48 - 62 - Foto di scena del “Cuore a Gas”, costumi di Sonia Delunay, www.writedesignonline. com, pag. 49 - 63 - Costume per il “Cuore a Gas” di S. Delunay, uk.fashionmag.com, pag. 49 - 64 - George Ribemont-Dessaignes, i12bent.tumblr.com, pag. 50 - 65 - Foto di scena di “Relache”, www.squidoo.com, pag. 51 - 66 - Prototipo di teatro totale progettato da E. Piscator, www.photos-site.com, pag. 51 - 67 - Sophie Taeuber con le sue marionette, arsvitaest.tumblr.com, pag. 52 - 68 - Marionette di S. Taeuber, strawberige. blogspot.com, pag. 53 - 69 - ibidem - 70 - Marionette esposte al Museo Picasso Malaga www.flickr.com
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Bibliografia
Webgrafia
Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli editore
dada100.overblog.it
Henri Bèhar, Il teatro dada e surrealista, Einaudi
it.Wikipedia.org
Gian Renzo Morteo e Ippolito Simonis, Teatro Dada, Einaudi
www.nga.gov
Dietmar Elger, Dadaismo, Collana Taschen
The international dada archive: www.lib.uiowa.edu
Renato Barilli, L’arte contemporanea - Da Cèzanne alle ultime tendenze, Feltrinelli editore Franco Mancini, L’evoluzione dello spazio scenico - Dal naturalismo al teatro epico, Edizioni Dedalo
Gianni Rondolino, Storia del cinema, Nuova edizione, Libreria Utet
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www.flickr.com www.YouTube.com
Filmografia Rhytmus 21, Hans Richter, 1921
Diagonal sinphonie, Viking Eggeling, 1924
Rhytmus 23, Hans Richter, 1923
Le retour a la raison, Man Ray, 1923
Filmstudie, Hans Richter, 1926
Emak Bakia, Man Ray, 1926
VormittagsSpuk, Hans Richter, 1927
L’etoile de mer, Man Ray, 1929
Inflation, Hans Richter, 1928
Dreams that money can buy, Hans Richter e Man Ray, 1947 Diagonal sinphonie, Viking Eggeling, 1921
Le mystere du chateau de dès, Man Ray, 1929 Entr’act, Rene Clair, 1924 Anèmic Cinèma, Marcel Duchamp, 1926 Vita Futurista, Arnaldo Ginna, 1916
Un chien andalou, Luis Bunuel e Salvador Dalì, 1929
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