Biagio Goldstein Bolocan
Cittadini per il futuro
Educazione civica
• Aderenza alle nuove disposizioni ministeriali
• Sviluppo sostenibile e Agenda 2030
• Cittadinanza digitale
• Costituzione commentata e traduzione multilingue
• Programmazione didattica
• Sezione dedicata al colloquio d’esame
• Glossario multilingue
• Contenuti digitali per DDI e Flipped classroom
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Cittadini per il futuro
Educazione civica
Redazione: Emanuele Palazzi, Benedetta Zaccarelli, Emanuela Caruso
Progetto grafico e impaginazione: Giorgio Lucarini
Copertina: Giorgio Lucarini
Coordinamento Libro digitale: Paolo Giuliani
Ufficio multimediale: Enrico Campodonico, Paolo Giuliani, Claudio Marchegiani, Luca Pirani
Le parti ad alta leggibilità di quest’opera sono state realizzate con la font leggimi © Sinnos editrice
Stampa: Gruppo Editoriale Raffaello
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Ristampa:
6 5 4 3 2 1 0 2027 2026 2025 2024 2023 2022 2021
SEZIONE 1 - Società, Stato, cittadinanza
UNITÀ 5 - I nostri diritti, i nostri doveri 64
La famiglia nella società italiana 64
Lo Stato sociale in Italia 67
Lo Stato e il fisco 68
La questione della legalità 70
Il diritto alla salute ............................................................................................................................... ............. 74
Il diritto alla conoscenza 77
L’educazione stradale 81
SEZIONE 3 - Temi di cittadinanza globale
UNITÀ 6 - La cittadinanza nel mondo 94
Pace e guerra 94
Il fenomeno migratorio 96
Cambia il mondo, cambia il lavoro 99
Il divario digitale ............................................................................................................................... ............... 105
Sviluppo sostenibile: l’Agenda 2030 108
UNITÀ 7 - I protagonisti del mondo globale 116
L’Unione europea: dal Trattato di Roma alla Brexit 116
Le istituzioni europee 119
Verso la cittadinanza europea 122
L’Organizzazione delle nazioni unite (ONU) 123
Le Organizzazioni non governative (ONG) 126
I beni culturali e il patrimonio 127
Temi per il colloquio d'esame 131
Glossario multilingue 155
1 Sezione Società, Stato, cittadinanza
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Unità 1 Individuo e società
Unità 2 Lo Stato
Unità 3 La cittadinanza e i diritti umani
Individuo e società
1.
Noi e gli altri: che cos’è la società?
Individuo: «colui che non si può dividere»
Ciascuno di noi è, prima di ogni altra cosa, un individuo. L’origine della parola ci aiuta a capirne il significato: individuo, infatti, deriva dal latino individuus, che significa «ciò che non si può dividere». A ben pensarci, è naturale: si può dividere una famiglia, un gruppo di amici, una squadra di calcio, un partito politico, ma non si può dividere un individuo.
Individuo è una parola importante e affascinante perché rimanda alla nostra soggettività, al fatto che noi, proprio noi con le nostre caratteristiche, le nostre qualità e i nostri difetti, siamo unici e irripetibili, siamo davvero creature eccezionali, nel senso che siamo diverse da tutte le altre.
E tuttavia, la creatura eccezionale che ciascuno di noi è ha una caratteristica fondamentale: abbandonata a se stessa morirebbe, non ce la farebbe, non sopravviverebbe un giorno, non apprenderebbe nulla, non sarebbe in grado di affrontare alcuna difficoltà.
In questo senso, per usare la formula adottata duemilacinquecento anni fa dal grande filosofo greco Aristotele, potremmo dire che gli esseri umani sono «animali sociali», organizzati fin dalle più remote origini in gruppi più o meno estesi alla scopo di affrontare la dura lotta per la sopravvivenza.
Società: un organismo vivente
Ed ecco qui la seconda parola contenuta nel titolo: società
Società è una parola molto bella: viene dal latino societas, che a sua volta deriva dal sostantivo socius, che significa «compagno», «amico», «alleato». Questa parola-chiave della nostra vita, dunque, ha a che fare con il concetto dell’amicizia, della solidarietà, dell’appoggio reciproco, dell’alleanza e della cooperazione in vista di un fine comune.
In primissima battuta, potremmo definire la società come un insieme più o meno coordinato e organizzato di persone. In base a questa rudimentale definizione (che, come vedremo presto, non potrà soddisfarci completamente), sono società moltissime «cose», di diversissima natura, grandezza, finalità e complessità:
• la famiglia, innanzitutto;
• la classe in cui trascorriamo così tante ore della nostra vita;
• la scuola che la ospita (intesa come edificio e insieme di figure professionali che vi operano);
• il condominio in cui viviamo;
• la città o il paese in cui è stato costruito;
• la Regione e lo Stato di cui fa parte;
• in definitiva, il mondo intero.
Ma possono essere definite società anche la squadra di calcio o di pallavolo in cui giochiamo, la banda in cui suoniamo, il gruppo di amici con cui trascorriamo il tempo libero e tante altre forme di aggregazione.
La storia insegna
Le società
di caccia e raccolta
Attiva mente
Si può parlare di società anche nel mondo animale? Se sì, prova a citare alcuni esempi.
Dal momento che l’essere umano è un «animale sociale», se ne deduce che la storia della società è antica quanto quella dell’umanità. I nostri antenati, infatti, come qualsiasi altro animale (mammifero e non solo) vivevano in piccole società, cercando di ricavare quanto necessario a sopravvivere. Nel Paleolitico gli esseri umani si procacciavano il cibo in due modi: cacciando e raccogliendo i frutti spontanei della terra, conservandoli per i momenti più difficili e poi, dopo la rivoluzione neolitica, moltiplicandoli volontariamente attraverso l’agricoltura. Le società di caccia e raccolta erano organizzate in base a una prima forma di divisione sessuale del lavoro:
• i maschi, più forti fisicamente e meno legati alle attività dell’accudimento dei piccoli, cacciavano e uccidevano gli animali che garantivano carne in quantità;
• le femmine raccoglievano i frutti spontanei della terra, staccandoli dai rami oppure raccogliendoli da terra dopo la loro caduta dai rami.
Erano società semplici, ma già organizzate in base a compiti che ciascun membro del gruppo doveva assolvere.
Volta della Sala dei tori, 15 000-14 500 a.C., pitture rupestri, grotta di Lascaux (Francia).
Com’è possibile la società?
La parola società, però, è anche una parola molto complicata da decifrare, nel senso che a prima vista sembra facile ma poi, scavando un po’ sotto la superficie, rivela alcune trappole.
La prima trappola è senz’altro riassumibile in questa domanda: com’è possibile che tanti individui, ciascuno con il proprio carattere, i propri bisogni, i propri sogni, le proprie paure e le proprie abilità, riescano a convivere armoniosamente, riuscendo a soddisfare i bisogni del gruppo?
In altre parole: com’è possibile la società?
Questa domanda sembra un interrogativo retorico. Siamo talmente abituati a vivere in società che a volte non ci accorgiamo nemmeno di quante difficoltà debbano essere affrontate e superate per evitare che le organizzazioni sociali in cui trascorriamo la nostra esistenza, da quelle più piccole, come la famiglia, a quelle più grandi, come gli Stati, si rompano, vadano in frantumi, esplodano fragorosamente. Per evitare, insomma, che gli individui e le società in cui vivono entrino in conflitto.
2. Le regole servono
Senza regole non c’è società
Perché la società (qualsiasi tipo di società) possa vivere e svilupparsi, è necessario osservare alcune regole, cioè alcune norme di comportamento che definiscono che cosa è lecito fare e che cosa non lo è. A pensarci un attimo, non è un concetto tanto difficile da comprendere; basta immaginare alcune situazioni tipiche della vita quotidiana in assenza di regole condivise e osservate da tutti (o almeno dalla maggioranza):
• se in classe il compagno che adora la musica rap ascoltasse a tutto volume i suoi brani preferiti (perché a lui piace!), per l’insegnante sarebbe impossibile fare lezione e per i suoi compagni sarebbe impossibile seguirla;
• se non esistesse un codice della strada (cioè un insieme ordinato di regole di condotta a cui deve attenersi chiunque possieda una patente e guidi un veicolo) le strade delle nostre città diventerebbero un inferno e ciò, in definitiva, metterebbe in pericolo la nostra stessa esistenza;
• se quando saliamo in metropolitana o su un treno non seguissimo la norma elementare che prescrive che prima di salire bisogna far scendere i passeggeri dal veicolo, ogni volta ci troveremmo avviluppati in un groviglio di persone che si spingono e si strattonano l’una con l’altra, ciascuna cercando di far prevalere le proprie ragioni.
Sono tre esempi molto semplici dei tantissimi che si potrebbero fare, ma bastano a farci capire che l’esistenza (e, ovviamente, il rispetto) delle regole è fondamentale per consentire a una società di esistere e di funzionare. Senza regole, insomma, non c’è società.
Le regole servono a tutti, non solo agli esseri umani
Tutti gli esseri viventi seguono delle regole, non solo gli umani. Per esempio, i giovani maschi di un branco di lupi o di alci si sottomettono all’autorità del maschio capo-branco fino a quando, raggiunta la maturità sessuale, cercheranno di scalzarlo e di guadagnarsi l’attenzione delle femmine fertili, sfidandolo in uno scontro per il potere. In caso di vittoria, ne prenderanno il posto; in caso di sconfitta, saranno costretti ad abbandonare la micro-società del branco. Si tratta, con ogni evidenza, di una regola che gli individui del branco non hanno bisogno di apprendere mediante insegnamento, ma conoscono per istinto. Per gli esseri umani, le cose stanno diversamente. Alcuni comportamenti, per esempio dormire la notte o nutrirsi, sono istintivi, e dunque non molto diversi da quelli di qualsiasi altro animale, ma gran parte vengono appresi attraverso un processo di apprendimento, che spesso si rivela molto lungo e faticoso. Gli individui giovani ricevono, di generazione in generazione, insegnamenti su come vivere (regole) da varie «agenzie formative»:
• la famiglia;
• la scuola;
• i mezzi di comunicazione. Attraverso questo costante processo di apprendimento, l’individuo acquisisce un patrimonio di regole e valori, che possiamo definire con la parola «cultura».
L’essere umano come animale culturale
Se all’inizio abbiamo detto, seguendo Aristotele, che l’essere umano è un «animale sociale», ora possiamo aggiungere che esso è anche un «animale culturale». Dentro questo complicato processo di apprendimento culturale risiede, a ben pensarci, anche la nostra libertà: mentre un animale segue certe regole per istinto naturale, rispettando un codice biologico iscritto nella natura e, quindi, in modo involontario, gli esseri umani non solo apprendono la cultura, ma hanno la libertà di accettarla o rifiutarla, di conformarsi alle regole o di trasgredirle. È una grande responsabilità, che ci distingue dagli altri animali.
La storia insegna
I cavalieri medievali: da predoni a crociati
Nel Medioevo, i cavalieri feudali erano uomini d’armi violenti, abituati alla guerra e alla sopraffazione. Conducevano una vita molto rozza e, grazie alla consuetudine con le armi e alla spregiudicatezza con cui le usavano, erano soliti soddisfare con la forza ogni loro bisogno: se volevano qualcosa, se la prendevano senza troppi riguardi. Tra X e XI secolo questa pratica violenta dilagò nella società feudale; a farne le spese furono soprattutto i contadini, esposti ogni giorno ai soprusi dei signori armati. Le crescenti lamentele dei contadini, che soffrivano ogni genere di angheria, spinsero la Chiesa a intervenire per disciplinare il comportamento della nobiltà feudale. Le crociate in Terra Santa, cominciate alla fine dell’XI secolo, furono uno dei modi con cui la Chiesa cercò di elevare spiritualmente una nobiltà armata fino ad allora ribelle a ogni regola, al punto da mettere in crisi l’intera società. Nacque così l’immagine del cavaliere crociato, che combatteva per la fede e per la difesa della cristianità. I cavalieri crociati in viaggio verso la Terra Santa.
Le regole cambiano nel tempo e nello spazio
Il fatto che il comportamento umano sia appreso mediante un faticoso processo di apprendimento, spiega anche come le regole di condotta degli esseri umani possano essere molto diverse nel tempo e nello spazio: mentre un lupo americano e un lupo russo seguiranno le stesse regole di condotta nel branco in merito alla caccia, al corteggiamento, all’accoppiamento ecc., un bambino americano nato a New York e un bambino russo nato in una sperduta località della Siberia apprenderanno regole di vita molto diverse perché assorbiranno informazioni provenienti da agenzie formative con diverse culture. Lo stesso discorso vale se spostiamo la nostra attenzione dall’asse dello spazio a quello del tempo: un bambino nato a Sparta nel V secolo a.C. riceveva una educazione radicalmente diversa da quella di un bambino greco del XXI secolo.
Prova a pensare alle regole che i tuoi genitori ti facevano rispettare all’età di 6 anni. Sono le stesse di oggi o sono cambiate? Sono di più o di meno?
3. Le norme sociali e le norme giuridiche
Sanzione
Punizione prevista per chi non osserva una norma.
Non tutte le norme sono uguali: le norme sociali…
Fino ad ora abbiamo parlato di molte regole (anche dette «norme») che hanno a che fare con la vita quotidiana. Non tutte le regole o norme, però, sono uguali. Quando in autobus cediamo il posto a una signora anziana oppure quando salutiamo l’insegnante all’inizio dell’ora di lezione, seguiamo certamente delle regole, ma senza che vi sia un’autorità esterna che ci imponga di farlo, che ci obblighi con la forza a seguire un determinato comportamento. Se violiamo quelle regole non incorriamo in alcuna sanzione o punizione, semplicemente (a volte non meno gravemente…) ci dimentichiamo della buona educazione. L’insieme di queste regole, che sono tantissime e che in buona parte rispettiamo senza nemmeno rendercene conto, sono chiamate «norme sociali».
…e le norme giuridiche
Vi è poi un altro genere di norme alle quali dobbiamo sottostare non perché ce lo suggerisca la nostra coscienza, ma perché vi è un’autorità che ha il potere di emanare quelle norme e di farle rispettare come un obbligo. Si tratta delle norme giuridiche.
Ricorriamo anche in questo caso a due esempi per capire meglio la distinzione:
• se con una bomboletta spray disegno dei tag sulle pareti di un vagone ferroviario fermo in una rimessa, nella quale sono entrato forzando la serratura o scavalcando il muro di cinta, non infrango una norma sociale, ma una norma giuridica, la cui violazione prevede una sanzione;
• discorso analogo vale per un automobilista che infrange il codice della strada, magari passando col rosso al semaforo. Il suo comportamento, che mette a rischio la vita dei pedoni e degli altri automobilisti, è considerato illecito, una trasgressione grave di una norma giuridica; se un vigile lo coglierà in flagrante o se la sua azione verrà immortalata da una telecamera che identificherà il mezzo e il suo proprietario, la violazione sarà punita con una multa, che l’automobilista sarà obbligato a pagare.
Norme sociali e norme giuridiche sono diverse soprattutto per il fatto che le prime sono rispettate per scelta, mentre le seconde devono essere rispettate per obbligo. Come vedremo nel corso delle prossime pagine, la principale autorità che ha la facoltà di emanare norme giuridiche è lo Stato.
La storia insegna
Gli Stati nella storia
Lo Stato non è sempre esistito. Anch’esso ha una storia, che affonda le sue radici in epoca antica. La storia dello Stato ha inizio quando le comunità umane svilupparono forme di vita complesse, in grado di produrre un surplus di prodotti attraverso procedimenti tecnici sofisticati (irrigazione, canalizzazione, costruzione di dighe ecc.), per costruire e gestire i quali si rese necessaria una organizzazione che esercitasse il potere. Lo Stato, infatti, nacque nelle civiltà idrauliche della Mezzaluna fertile (Mesopotamia ed Egitto), dove serviva un’autorità centrale capace di gestire le opere d’ingegneria idraulica, di distribuire le ricchezze prodotte fra le varie fasce della popolazione e di amministrare i culti locali.
4. Il diritto e lo Stato
Il potere coercitivo dello Stato
Le norme sociali sorgono spontaneamente dal corpo della società, attraverso un processo secolare di messa a fuoco e perfezionamento. Per questo vi sono norme sociali del passato che oggi ci sembrano così stravaganti: pensate alle regole che disciplinavano la relazione tra giovani fidanzati al tempo dei vostri nonni. Le norme giuridiche, invece, sono il frutto della volontà di un’autorità (lo Stato, nelle sue varie articolazioni) e dell’apparato necessario a elaborarle e a farle rispettare. Per imporre il rispetto delle norme giuridiche lo Stato non può affidarsi al buon senso e alla disponibilità dei singoli individui. Potrebbe capitare, per esempio, che un ladro si rifiuti di restituire la refurtiva rubata, accampando come giustificazione lo stato di necessità, oppure che un automobilista si rifiuti di pagare la multa per eccesso di velocità, convinto di non aver compiuto un’azione così tanto grave e pericolosa per gli altri.
In questi casi, lo Stato dispone di un «mezzo» per imporre il rispetto delle norme giuridiche: il diritto di coercizione. Coercizione significa obbligare qualcuno con la forza a fare qualcosa. Lo Stato è l’unica autorità che possa legittimamente, cioè senza trasgredire alcuna norma giuridica, usare la forza per imporre la propria volontà. Poliziotti e carabinieri, infatti, sono gli unici soggetti che possono portare le armi, e usarle in caso di necessità, perché sono corpi dello Stato, emanazione della sua autorità e interpreti-esecutori della sua volontà e delle sue leggi.
Il diritto
L’insieme delle norme giuridiche emanate dallo Stato viene chiamato diritto. Il diritto, dunque, è il complesso delle norme giuridiche che disciplinano i vari aspetti della vita della società. Dal momento che le società contemporanee sono molto complesse e al loro interno si attivano numerosissimi rapporti tra singoli individui, tra gli individui e lo Stato, tra gli individui e le imprese, tra le imprese con altre imprese, il diritto si articola in vari settori di competenza. La distinzione più rilevante è quella tra diritto pubblico e diritto privato. Il diritto pubblico tratta i casi in cui è coinvolto un soggetto pubblico (lo Stato e le sue articolazioni) che, in base all’ordinamento giuridico, può esercitare un potere coercitivo nei confronti di altri soggetti, stabilendo con essi una relazione non paritaria. All’interno del diritto pubblico distinguiamo:
• il diritto costituzionale, che riguarda l’organizzazione dello Stato;
• il diritto amministrativo, che concerne le regole della pubblica amministrazione;
• il diritto penale, che si occupa dell’applicazione delle norme giuridiche;
• il diritto processuale civile e penale, che si occupa delle procedure che i giudici devono seguire nell’esercizio della propria funzione.
Il diritto privato si occupa di tutti quei casi in cui soggetti privati (individui o aziende) entrano in rapporto tra loro su un piano di parità. Il diritto privato si articola al suo interno in:
• diritto civile (famiglia, successioni, proprietà dei contratti);
• diritto commerciale (rapporti fra imprese e aziende).
La storia insegna
Dalla consuetudine alla legge scritta
Tavoletta cuneiforme con inciso il codice di Hammurabi.
Il diritto sembra essere intimamente legato alla scrittura: è naturale pensare che una legge sia scritta, sia cioè fissata su carta in un codice, che chiunque può agevolmente consultare e sul quale studiano avvocati e magistrati. Ma non è sempre stato così. Per lunghi secoli, infatti, la legge si tramandava oralmente e la sua applicazione spettava ai ceti dirigenti (il re, i sacerdoti), che in tal modo legittimavano la loro autorità. Il principio del diritto non scritto era la consuetudine, cioè il fatto che un certo comportamento si fosse ripetuto nel tempo e fosse stato accettato come valido. Le prime forme di codificazione scritta risalgono al XVIII secolo a.C.: in Mesopotamia, il re babilonese Hammurabi incise in una stele numerose norme giuridiche, suddivise in 282 articoli. L’aspetto straordinario non riguarda i contenuti delle leggi (alcune delle quali sono inaccettabili ai nostri occhi: per esempio il fatto che gli esseri umani non fossero tutti uguali davanti alla legge), ma il fatto che le leggi fossero scritte, e dunque accessibili a tutti. La legge, insomma, non era più un segreto custodito dai potenti, ma uno strumento per regolare la società.
5. L’economia
Fare economia significa scegliere
Buona pratica
Come gestisci la tua economia, ossia come e quando decidi di spendere i tuoi soldi? Ci sono delle regole che ti dai per controllare le tue spese? Confrontati coi tuoi compagni, provando a capire quali sono le strategie migliori.
La società, come abbiamo detto, è un insieme coordinato di individui che condividono alcuni bisogni e che si associano fra loro per soddisfarli. Da questo punto di vista, è del tutto evidente che la vita della società è strettamente legata alla vita economica, e che è altrettanto fortemente condizionata da essa. Ma che cos’è l’economia? Anche in questo caso, aiutiamoci con il vocabolario. Questa parola così importante deriva dal greco òikos, che significa «casa», e nòmos, che significa «regola», «legge», «norma». Il suo antico significato, dunque, rimanda alla buona amministrazione della casa e, per estensione, della «cosa pubblica». Fare economia, comportarsi in modo economico, significa innanzitutto compiere delle scelte. In un mondo ricco di infinite possibilità, nel quale le risorse materiali si riproducessero senza limiti, l’economia non avrebbe ragione di esistere. Perché scegliere tra una cosa o l’altra se si può avere tutto? Perché comportarsi in un modo piuttosto che in un altro, usare un mezzo anziché un altro, se comunque ogni bene si riproduce all’infinito?
Scelte economiche e risorse scarse
Secondo l’economista inglese Lionel Robbins l’economia «è la scienza che studia la condotta umana come relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili a usi alternativi». Proviamo a capire meglio analizzando ogni singola parte di questa frase:
• gli «scopi» della condotta umana corrispondono ai bisogni che si vogliono soddisfare (cibo, abitazione, cultura, divertimenti ecc.);
• i «mezzi» hanno a che fare con i beni che gli esseri umani utilizzano per soddisfare i propri bisogni (per esempio le materie prime, come la terra e i minerali);
• la scarsità riguarda il fatto che tali mezzi non sono infiniti, ma sono limitati, e quindi bisogna utilizzarli in modo razionale ed efficiente;
• Robbins dice anche che l’economia è una scienza, non un’arte; ciò significa che nell’analisi degli scopi e dei mezzi essa ricorre al pensiero razionale e al linguaggio matematico.
Seguendo la definizione di Robbins, tratta dalle pagine del suo Saggio sulla natura e l’importanza della scienza economica (1932) è possibile definire l’economia come la «scienza delle scelte».
La storia insegna
La nascita del commercio
Il commercio è un aspetto fondamentale della vita economica, ma per millenni non è esistito. Per lunghissimo tempo, infatti, le comunità umane si sono limitate a produrre lo stretto necessario alla sopravvivenza e, anzi, sono state spesso vittime di carestie proprio perché non riuscivano a raggiungere un livello sufficiente di produzione di beni alimentari. Solo quando l’agricoltura ha innalzato la sua produttività, sfamando la popolazione (e anzi permettendo la crescita demografica) e consentendo a fasce della popolazione di occuparsi anche di altre attività (per esempio quelle legate all’artigianato o alla metallurgia), il surplus agricolo e i manufatti hanno cominciato a essere scambiati e a uscire dalla cerchia ristretta del villaggio e della città. Nel II millennio a.C. nasceva così il commercio.
Gli operatori economici
Protagonisti della vita economica sono i cosiddetti operatori economici:
• la famiglia;
• le imprese;
• lo Stato;
Nel mondo greco le navi erano caricate di anfore per il commercio di vino e olio.
• il «resto del mondo», cioè tutto ciò che sta fuori dai confini dei singoli Stati. Ciascun operatore compie delle scelte d’acquisto (spesa) e offre beni o servizi (produzione) con l’obiettivo di soddisfare un bisogno o assicurarsi un compenso in denaro, chiamato reddito.
6. Una società minima: la famiglia
La famiglia come società minima
Abbiamo detto che la società è un insieme coordinato di persone che stabiliscono legami di collaborazione in vista di fini comuni.
È una definizione molto larga, che funziona per descrivere numerosi fenomeni. A ben pensarci la famiglia, cioè l’esperienza di base comune, fin dalla nascita, a quasi tutti gli individui, può essere considerata una società «minima», articolata attorno a un numero ristretto di persone e a un numero ancor più limitato di ruoli.
La famiglia non è sempre esistita
Per lunghi secoli, quando gli esseri umani vivevano in gruppo e dividevano cibo e riparo, la famiglia (almeno per come l’abbiamo definita e descritta) non esisteva: i nostri antenati vivevano in branco e la logica e le modalità riproduttive della specie umana erano sostanzialmente identiche a quelle degli altri animali: due individui, un maschio e una femmina, si accoppiavano e procreavano; l’accoppiamento non aveva alcun significato affettivo e non stabiliva legami fissi e duraturi.
Consanguineità
Legame che riguarda individui «dello stesso sangue», ossia parenti tra loro.
Per millenni l’evoluzione umana è proseguita senza la famiglia. A un certo punto, però, gruppi ristretti di persone legate da relazioni di consanguineità hanno cominciato a formarsi e a durare, cioè a trovare motivi per conservarsi nel tempo diversi da quelli della semplice riproduzione della specie.
Dalla famiglia matriarcale a quella patriarcale
È stato ipotizzato che i più antichi nuclei familiari fossero incentrati sulla personalità femminile in quanto figura generatrice della vita: perciò queste famiglie sono state chiamate matriarcali per il ruolo dominante delle donne, che all’interno della società potevano essere anche capi clan o sacerdotesse. Col tempo, però, le funzioni della caccia e della guerra si sarebbero imposte e per questa ragione le società matriarcali sarebbero state soppiantate da società patriarcali, cioè fondate sul primato della figura tipicamente maschile del cacciatore e soldato.
La famiglia allargata
In epoca neolitica, la famiglia occupava già una posizione centrale nella società. Non bisogna pensare, però, a gruppi familiari simili a quelli contemporanei: si trattava di famiglie «allargate», cioè formate dai genitori e dai figli (di solito molto numerosi), dai nonni, dai parenti meno stretti e da varie figure ausiliarie (spesso schiavi) che concorrevano al funzionamento del grande gruppo familiare.
La differenza fondamentale rispetto alle famiglie attuali consiste nel fatto che le famiglie antiche non erano basate sull’amore (l’innamoramento della coppia, il matrimonio d’amore, l’amore per i figli ecc.). A cementare la famiglia e a renderla un’istituzione molto robusta e stabile era l’interesse, cioè la convinzione che la struttura familiare permettesse di vivere meglio, con più sicurezza e più beni materiali disponibili. Questo modello di famiglia, che potremmo definire «utilitaristico» (cioè fondato sul criterio dell’utilità), si è riprodotto per migliaia di anni. Solo nel XX secolo, e non ovunque, si afferma la famiglia fondata su un patto d’amore, cioè sul reciproco riconoscimento affettivo di una coppia.
La storia insegna
La familia romana
La familia era la base della società romana arcaica. Era una specie di monarchia domestica assoluta: appartenevano alla familia varie persone ugualmente sottoposte all’autorità del maschio più vecchio, chiamato paterfamilias. Queste persone erano legate al paterfamilias da legami di sangue (figli, nipoti ecc.), ma anche da legami giuridici (moglie, schiavi). Il potere del paterfamilias sul gruppo famigliare era assoluto e, spesso, quasi dittatoriale: anche un adulto con una buona posizione sociale, all’interno della famiglia doveva ubbidire al paterfamilias senza discutere. Questi poteva disporre nel testamento di diseredare i figli, decidendo quindi della loro fortuna economica, e poteva emancipare un servo, sollevandolo dalla condizione giuridica servile e, addirittura, nominandolo suo erede e trasformandolo in cittadino romano a pieno diritto, nonché, a sua volta, paterfamilias. La società romana, fin dalle sue più antiche origini, si basava sul matrimonio monogamico, cioè su quella forma di matrimonio che impone la scelta di un solo coniuge.
La famiglia nucleare
Oggi, il modello di famiglia largamente dominante non solo nelle società occidentali, ma in tutti i Paesi economicamente sviluppati, è la cosiddetta famiglia nucleare, costituita in linea generale sulla base di un legame affettivo, amoroso, sentimentale tra le persone che decidono di sposarsi. Con l’espressione «famiglia nucleare» si intende un piccolo nucleo familiare formato dai due genitori e, in media, 1 o al massimo 2 figli. Certo, può capitare che esistano famiglie molto più numerose (con 5 o 6 figli), così come può accadere che del nucleo famigliare ristretto faccia parte uno dei nonni oppure uno degli zii rimasti soli, ma in linea generale le famiglie oggi sono famiglie nucleari. All’interno di questa società minima, come in ogni altra società, esistono delle figure sociali e delle regole di convivenza. Essere genitori, per esempio, significa interpretare un ruolo sociale ben distinto, regolato sia da norme sociali, sia da norme giuridiche. La principale norma sociale a cui deve attenersi un genitore è quella di amare i propri figli: non sempre è così, ma per fortuna è una norma generalmente rispettata.
La famiglia e il culto degli avi erano i pilastri della società romana.
Considera il tuo nucleo familiare e confrontalo con quello delle famiglie dei tuoi genitori e dei tuoi nonni. Che differenze puoi notare nel numero dei componenti?
La famiglia come oggetto giuridico
Secondo le leggi di tutti gli Stati (non solo di quello italiano, la cui legislazione esamineremo più avanti) diventare genitori comporta degli obblighi e delle responsabilità. Prime fra tutte, quelle di assicurare ai figli vitto, alloggio ed educazione. In questo caso, non si tratta di norme sociali, ma di vere e proprie norme giuridiche, contenute nei codici e previste dal diritto, nonché sanzionate in caso di violazione.
Vitto
Termine, spesso usato in coppia con «alloggio», che indica il nutrimento necessario per vivere. Deriva infatti dal latino victum, forma supina del verbo vivere
Titoli di Stato
I titoli di Stato sono obbligazioni, cioè titoli che obbligano chi li emette a risarcire chi li acquista con una quota più un certo interesse, che lo Stato emette periodicamente per finanziare le proprie spese.
Anche essere figli è un ruolo sociale. In questo caso, sono importanti le norme sociali che, per esempio, prescrivono che i figli amino, rispettino e assistano i genitori nella loro vecchiaia. Non si tratta di un obbligo giuridico (nel senso che nessuna legge dello Stato può imporre il rispetto di un figlio per i genitori), ma di norme sociali tramandate di generazione in generazione.
Le funzioni sociali ed economiche della famiglia
La famiglia svolge anche una funzione sociale importantissima: è la prima «agenzia formativa» che impartisce, ben prima della scuola, le principali coordinate educative ai giovani. I valori di base della convivenza e del rispetto delle persone, le principali norme sociali (la «buona educazione» di una volta…), le più importanti competenze linguistiche e comunicative vengono assorbite dai bambini in età pre-scolare all’interno della famiglia, che ha dunque una enorme responsabilità sociale.
La famiglia, inoltre, svolge anche una seconda funzione, non meno importante: è un soggetto economico e, come tale, occupa una posizione determinante nel sistema economico del Paese in cui vive.
Pensate a quante decisioni economiche compie quotidianamente una famiglia:
• decidere quanta parte del proprio reddito destinare alla spesa (di beni di prima necessità, come il cibo, ma anche di beni voluttuari e di consumo, come per esempio un paio di costose sneakers) e quanta al risparmio;
• decidere se iscrivere i propri figli a una scuola pubblica oppure a una scuola privata...
Tutte queste scelte hanno un grande significato economico, di cui la famiglia è protagonista:
• destinare tanti o pochi euro per i consumi significa, per usare il linguaggio economico, sostenere la domanda e, quindi, dare energia al sistema; viceversa, destinare parte del reddito al risparmio significa da un lato sottrarre euro ai consumi, dall’altro mettersi nelle condizioni di affrontare meglio possibili momenti di crisi oppure sostenere lo Stato acquistando i suoi titoli;
• l’iscrizione a una scuola pubblica o privata influisce in modo significativo sul reddito della famiglia (le scuole private costano più della scuola pubblica) e sulle decisioni di investimento dello Stato.
Insomma, dal punto di vista della società così come da quello del singolo individuo (sia esso genitore o figlio, oppure tutti e due), la famiglia occupa una posizione centrale sia per quanto concerne lo sviluppo psichico ed emotivo delle persone sia per quanto riguarda lo sviluppo del sistema economico.
Sociali
Individuo
Società
devono osservare
Norme
possono essere
Giuridiche
sono alla base di sono alla base di
FAMIGLIA
DIRITTO
condizionano e determinano
Economia
STATO
Verifica
1. Collega ogni termine della colonna di sinistra alla sua esatta definizione nella colonna di destra.
a. Individuo 1. Scienza delle scelte.
b. Società 2. Insieme delle norme giuridiche emanate dallo Stato.
c. Economia 3. Società minima.
d. Potere coercitivo 4. Ciò che non si può dividere.
e. Famiglia
5. Regole dettate dallo Stato che si devono seguire obbligatoriamente.
f. Norme sociali 6. Usare la forza per imporre il rispetto delle regole.
g. Norme giuridiche 7. Insieme coordinato di persone.
h. Diritto
8. Regole che si seguono per consuetudine e non per obbligo.
...... /8 Punti
2. Completa il brano scegliendo la parola corretta tra le due proposte.
Le norme giuridiche / sociali nascono dalla società / famiglia, mentre le norme sociali / giuridiche sono emanate dallo Stato / dal Tribunale.
Per imporre il rispetto delle norme giuridiche / sociali lo Stato dispone del diritto di coercizione / educazione, cioè può obbligare / consigliare qualcuno con il dialogo / la forza a fare qualcosa.
Lo Stato è l’unica autorità che, senza trasgredire alcuna norma giuridica, può legittimamente usare la forza per imporre le leggi.
...... /8
3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F).
a. Aristotele definiva gli esseri umani animali sociali.
b. Una classe scolastica può essere considerata un tipo di società.
c. Tutti i tipi di società sono regolati dallo stesso tipo di norme.
d. L’esistenza di regole che disciplinano le società è ciò che distingue gli esseri umani da ogni altra specie animale. V F
e. Gli esseri umani seguono regole di condotta sociale per istinto. V F
f. Norme sociali e norme giuridiche tendono a coincidere. V F
g. Le norme giuridiche sono emanate dallo Stato. V F
h. Ogni cittadino può liberamente decidere se rispettare o meno una norma sociale. V F
i. Tutti i cittadini devono rispettare le norme giuridiche. V F
l. Se le risorse fossero illimitate, l’economia non esisterebbe. V F
m. Le scelte di una famiglia non riguardano il lato economico di uno Stato. V F
4. Rispondi a queste domande scrivendo un testo di 50 parole che contenga i seguenti termini: individuo – società – regole – norme sociali – norme giuridiche – Stato
• Perché la società ha bisogno di regole?
• Tutte le regole sono uguali?
Lo Stato 2
1. Lo Stato: sovranità, territorio, popolo
Lo Stato come esperienza quotidiana
Tutti noi, intuitivamente, sappiamo di vivere in uno Stato:
• quando guardiamo i mondiali di calcio alla televisione sappiamo che le nazionali schierate a metà campo in ascolto degli inni nazionali rappresentano degli Stati;
Frontiera
Luogo dove si attraversano i confini tra uno Stato e l’altro.
• quando in estate partiamo per una vacanza in Grecia o in Spagna sappiamo di abbandonare uno Stato (l’Italia) e di recarci in un altro; se la nostra destinazione è una località extra-europea, a confermarci l’ingresso in un altro Stato sono lunghe pratiche burocratiche alla frontiera;
• anche il fatto di frequentare una scuola pubblica, nella quale tutti gli studenti, da Catania a Trento, devono rispettare le stesse regole e gli stessi indirizzi dettate da un governo e dal ministero specifico che si occupa dell’istruzione (MIUR, Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca) ci conferma quotidianamente l’esistenza dello Stato.
Lo Stato come organizzazione politica sovrana
Flipped classroom
Nonostante la frequenza con cui entriamo in contatto con lo Stato nella nostra vita quotidiana, è spesso difficile formulare una definizione che spieghi con chiarezza che cosa esso sia.
La definizione più convincente è la seguente: lo Stato è una organizzazione politica con fini illimitati che esercita la propria sovranità su un territorio e un popolo.
In questa sintetica definizione, formulata con il linguaggio un po’ astratto del diritto, entrano in gioco quattro concetti importantissimi:
1. organizzazione politica e sovranità;
2. fini illimitati;
3. territorio;
4. popolo.
Esaminiamoli uno per uno, così che alla fine risulti più chiara la definizione da cui siamo partiti.
Monopolio
Detenere il monopolio significa essere il solo e unico soggetto ad avere il diritto di gestire e amministrare un determinato bene o servizio.
1. Organizzazione politica e sovranità: questi due concetti sono strettamente connessi. Lo Stato non è un’organizzazione qualsiasi (come potrebbe essere una polisportiva o una compagnia teatrale), ma è una specie di super-organizzazione, nel senso che è l’unica organizzazione che abbia la facoltà d’imporre con la forza le proprie decisioni a tutte le persone che vivono al suo interno (perciò si dice che lo Stato ha il «monopolio della forza» o il diritto di coercizione). In altre parole, lo Stato è sovrano, detiene cioè il potere politico. Per farlo si avvale di alcuni strumenti (magistratura, esercito, polizia, carabinieri, guardia di finanza).
2. Fini illimitati: mentre tutte le organizzazioni sociali (dal club degli scacchi alla grande impresa multinazionale) hanno finalità precise e limitate (diffondere il gioco degli scacchi o accumulare enormi profitti), lo Stato non ha limiti, può cioè occuparsi di ogni aspetto della vita sociale.
3. Territorio: non c’è Stato senza territorio, cioè senza uno spazio delimitato da confini stabili, naturali o artificiali, stabiliti da trattati internazionali, all’interno dei quali lo Stato esercita la propria sovranità. Nel territorio di uno Stato sono compresi, oltre alla terraferma, le acque interne, lo spazio aereo sovrastante, il sottosuolo e le acque territoriali (cioè le acque che si estendono dalla costa fino a 12 miglia marine). Fanno parte del territorio dello Stato anche le sedi diplomatiche all’estero (consolati e ambasciate).
4. Popolo: lo Stato è sempre riferito a un popolo, cioè a un complesso di persone che vivono all’interno dei suoi confini e che, in quanto cittadini, hanno diritti e doveri, secondo regole comuni.
La storia insegna
Il sionismo: uno Stato senza territorio?
Tra gli elementi fondanti di tutti gli Stati del mondo c’è il territorio. È difficile immaginare uno Stato senza un territorio, grande o piccolo che sia (dallo Stato del Vaticano alla Russia), sul quale i pubblici poteri esercitino la loro sovranità. Lo Stato d’Israele non fa eccezione. Anzi, nella sua storia molto travagliata, cominciata nel 1948, la questione del territorio è stata al centro di numerosi e sanguinosi conflitti con i palestinesi e con gli Stati arabi circostanti. Israele nasce sulla base di un movimento politico e ideologico chiamato «sionismo». I sionisti rivendicavano una terra per il popolo ebraico perseguitato (le violenze contro gli ebrei, infatti, erano già molto accese ben prima dell’avvento del nazismo). La maggior parte dei sionisti pensava alla Palestina, la culla originaria degli ebrei, sede dell’antico Regno d’Israele. Una minoranza di sionisti, ben consapevole delle difficoltà di ricavare uno spazio per costruire uno Stato ebraico in Medio Oriente, pensava a soluzioni alternative e meno problematiche: alcuni proponevano il Madagascar, altri la Patagonia. Vi era anche un’esigua minoranza che proponeva un sionismo chiamato «a-territoriale», cioè «senza terra». Una specie di paradosso: uno Stato ebraico, ma senza un territorio di riferimento!
Lo Stato non è un’organizzazione volontaria
Tra lo Stato e tutte le altre organizzazioni c’è una differenza fondamentale: mentre in una polisportiva o in una compagnia teatrale si entra con un atto libero e volontario, si diviene cittadini di uno Stato automaticamente all’atto della nascita, senza adesione volontaria. Ciò non significa che gli Stati non abbiano bisogno del consenso più o meno attivo dei propri cittadini, senza il quale l’esercizio della sovranità da parte dello Stato diventa molto difficile, ma che tale consenso non è teoricamente necessario.
2. I vari tipi di Stati
Dallo Stato «caserma» allo Stato «casa»
Nel 1651, il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679) scrisse un libro intitolato Leviatano, nel quale paragonava lo Stato, incarnato nella figura di un monarca assoluto che garantiva ai sudditi la pace interna e la difesa dai pericoli esterni, al terribile mostro biblico marino. Un’immagine davvero spaventosa, che raffigurava lo Stato come una specie di guardiano; secondo Hobbes, tutti gli individui, se volevano evitare di farsi la guerra gli uni con gli altri, dovevano cedere la propria libertà a questo gigantesco carceriere per garantirsi i due beni più preziosi: la vita e la pace. Hobbes non aveva molta fiducia nella natura umana, a tal punto che sosteneva che homo homini lupus, cioè che «gli uomini sono lupi per gli altri uomini», ossia predatori famelici e aggressivi.
A partire dalla fine del Settecento, dopo la Rivoluzione americana del 1776 e quella francese del 1789, lo Stato ha cominciato a essere concepito in modo meno pessimista, non più come «prigione», ma come «casa», tanto che gli Stati Uniti d’America nascono sulla base di una promessa straordinaria rivolta ai propri cittadini: la felicità.
Non è un caso che gli Stati citati, la Francia dopo il 1789 e gli Stati Uniti d’America, siano repubbliche e non monarchie: la repubblica è la casa dei cittadini, la monarchia è la fortezza del re.
Tre tipi di Stato
Buona pratica
In base alle conoscenze che hai e alla tua esperienza, se dovessi rappresentare lo Stato che figura useresti? Ti sembra un’immagine positiva o negativa? Realizza con i tuoi compagni una esposizione in classe in cui spiegate i vostri disegni.
Nell’Ottocento e nel Novecento gli Stati hanno cambiato forme e funzioni. Durante questa evoluzione si sono precisati tre modelli di Stato:
1. Stato unitario con un forte potere centralizzato;
2. Stato federale;
3. Stato regionale.
1. Lo Stato unitario con un forte potere centralizzato è l’esperienza tipica di molti Stati europei perché ha la sua origine nello Stato napoleonico francese (1799-1815). In questo tipo di Stato il centro di potere sovrano è uno solo, governa su tutto il territorio e stabilisce le regole di convivenza per tutti i cittadini. In Francia, uno Stato unitario per eccellenza, le decisioni sono assunte in larga misura direttamente dallo Stato che individua tempi e modi per trasformarle in fatti concreti attraverso l’iniziativa dei suoi organi centrali (ministeri e altre strutture di vertice).
Dobbiamo immaginare uno Stato a forma di piramide: al vertice c’è il potere centrale, alla base tutte le emanazioni periferiche (prefetture, uffici regionali e provinciali) che hanno il compito di eseguire le direttive impartite dal centro.
Autonomia legislativa
La possibilità di emanare, promulgare leggi. Il potere legislativo è uno dei tre poteri fondamentali, insieme a quello esecutivo e giudiziario, previsti dalla separazione dei poteri nella democrazia stabilita per la prima volta nella costituzione francese postrivoluzione del 1791.
2. Lo Stato federale è un tipo di Stato completamente diverso. Anche negli Stati federali esiste un’autorità centrale alla quale in genere sono affidati i compiti della difesa nazionale, la politica estera e le decisioni in materia di politica economica complessiva, ma esso nasce come somma di entità differenti (Stati, länder, cantoni).
Queste entità, pur concordando sulla necessità di unire le proprie forze, cioè di federarsi, conservano un’ampia autonomia sia organizzativa sia legislativa su materie importanti come istruzione, sanità, fisco ecc. Negli Stati federali, dunque, esistono sempre due tipi di governo: • il governo federale (centrale); • i governi locali.
L’esempio più classico di Stato federale sono gli Stati Uniti d’America, il cui processo federativo dei suoi cinquanta Stati iniziò nel 1787 da 13 di essi e proseguì fino al 1959 con l’ultima adesione delle Hawaii. Un percorso simile è stato seguito dalla Svizzera (cantoni) e dalla Germania (länder).
A volte capita di usare le parole «federazione» e «confederazione» come se fossero sinonimi, ma si tratta di un errore: la confederazione è una semplice unione fra Stati che mantengono la propria indipendenza e si uniscono per gestire meglio certi problemi (per esempio la politica economica e commerciale); la loro unione è molto più debole rispetto a quella che caratterizza gli Stati federali ed è revocabile in qualsiasi momento.
3. Lo Stato regionale si è affermato nella seconda metà del XX secolo come valida sintesi fra lo Stato unitario centralizzato e lo Stato federale. Non a caso, molti Stati unitari centralizzati, come per esempio la Spagna, l’Italia, il Regno Unito e addirittura la Francia, hanno riformato le proprie istituzioni per superare i problemi tipici della propria forma di Stato, soprattutto la rigidità del modello centralistico. Il principio di base del pensiero regionalista è la «devoluzione» (derivato dall’inglese devolution): lo Stato centrale devolve, cioè trasferisce volontariamente, parte dei propri poteri e delle proprie competenze ai governi locali, nella convinzione che essi siano più capaci di rispondere ai bisogni dei cittadini. Lo Stato regionale conserva la propria unità, ma si organizza in modo da riconoscere la massima autonomia ai «pezzi» (le regioni) che lo compongono.
3. Gli Stati costituzionali
Il primato della
Costituzione
Che siano Stati unitari centralizzati, Stati federali o Stati regionali, gli Stati moderni sono tutti Stati costituzionali, cioè fondati su un documento ufficiale, la Costituzione, che stabilisce i princìpi e le regole di convivenza tra i cittadini e le forme di governo.
L’idea che sia possibile fondare uno Stato su una «super-legge», su una «legge di tutte le leggi», su un documento ufficiale che lo «costituisca», ci fa venire in mente l’immagine di un contratto: è come se i cittadini di uno Stato sottoscrivessero un contratto nel quale s’impegnano a convivere in modo pacifico, secondo leggi e norme stabilite da una maggioranza nel rispetto dei diritti della minoranza (libertà di espressione, diritto a organizzarsi, diritto a essere rappresentata ecc.).
L’idea del contratto sociale
Quest’immagine è stata proposta da filosofi, come l’inglese John Locke o il francese Jean-Jacques Rousseau, chiamati «contrattualisti»: essi hanno sostenuto che alla base dello Stato agisce un «patto sociale», una specie di contratto sottoscritto tra tutti i cittadini. In quel patto-contratto ogni cittadino dichiara la sua disponibilità a veder limitata la propria libertà al fine di soddisfare un interesse comune superiore: la soluzione di ogni contesa senza ricorrere alla violenza e alla sopraffazione del più forte sul più debole. I filosofi non erano così ingenui da credere che in un certo giorno della storia tante persone si fossero riunite in un luogo e si fossero accordate per vivere insieme, ma sostenevano che si dovesse immaginare e pensare la società come il prodotto finale di un contratto, che come tale prevede diritti e doveri da parte di chi lo firma.
Questa immagine «contrattualistica» contribuisce in maniera molto efficace a definire come giusta e legittima l’esistenza dello Stato, ma noi sappiamo bene che la realtà consegnataci dalla storia è un po’ diversa. Quasi tutti gli Stati esistenti sono frutto di un parto doloroso, di eventi drammatici e violenti, di guerre, occupazioni militari e rivoluzioni.
Contratto È un accordo formale tra due o più soggetti che stabilisce obblighi e diritti reciproci. Firmando un contratto ci si impegna a rispettarlo per non incorrere in sanzioni (risarcimenti o punizioni).
Negli Stati assoluti non c’era alcun contratto
Per quanto riguardava gli Stati assoluti, il contratto non esisteva, né in pratica né in teoria. A contare era solo la volontà del sovrano assoluto (che significa «sciolto da»), che non doveva rendere conto a nessuno. Il re, che era anche il comandante supremo dell’esercito, poteva farsi aiutare da ministri e consiglieri, ma l’ultima parola era la sua, era lui il capo dell’amministrazione e il legislatore, a lui i sudditi, di qualunque ordine sociale (clero, nobiltà, popolo), dovevano un’obbedienza incondizionata.
Donne & Uomini
Caterina II, una zarina assoluta
La tedesca Sofia Federica Augusta (1729-1796) era andata in sposa a Pietro Fëdorovic, erede al trono russo col nome di Pietro III. I due sposi non potevano essere più diversi: incolto e rozzo lui, colta e sensibile lei, educata alla migliore cultura illuminista settecentesca. Quando nel 1762 il marito Pietro III rimase vittima di una congiura di corte causata dalle sue simpatie filoprussiane, la giovane principessa tedesca divenne zarina con il nome di Caterina II. Il modo in cui interpretò la parte che la storia le aveva assegnata fu tutt’altro che rituale: nel 1767 istituì una commissione che avrebbe dovuto riformare il codice russo secondo i princìpi illuministi di Montesquieu e dell’italiano Beccaria (autore del celebre libello Dei delitti e delle pene). Non solo: la zarina si occupò anche di istruzione e di finanze, riformando antichi istituti e proponendo soluzioni nuove. Ciò nonostante, il dispotismo illuminato di Caterina non riuscì a modificare davvero, e in profondità, le strutture arcaiche della società russa: i servi della gleba (retaggio di una Russia feudale) non solo non diminuirono, ma aumentarono addirittura di numero e la loro condizione di servaggio venne inasprita.
Nel XVII secolo le cose cominciano a cambiare
Questa situazione cominciò a cambiare nel XVII-XVIII secolo. La storia delle Costituzioni ha origine in Inghilterra nella prima metà del Seicento, quando il potere assoluto della monarchia Stuart viene prima contestato, poi travolto e cancellato (giungendo perfino all’esecuzione del re), infine restaurato, ma sulla base di un nuovo «patto» che:
• limitava i poteri del re, trasformandolo in un organo esecutivo (di governo);
• affidava al parlamento il potere legislativo, obbligando il re a rispettarne la volontà.
In Inghilterra non venne mai scritta una vera e propria Costituzione, ma ci si affidò a una serie di documenti storici fondamentali: dalla Magna Charta Libertatum (1215) all’Habeas corpus (1679) e al Bill of Rights (1689).
La prima Costituzione moderna, scritta in un documento ufficiale, è quella degli Stati Uniti d’America (1787), cui fecero seguito le costituzioni in Francia dopo la rivoluzione del 1789 (1791, 1793, 1795).
I princìpi costituzionali
In queste Costituzioni si affermavano alcuni princìpi basilari del pensiero costituzionalista:
• la sovranità popolare: il popolo, e non più il re, è sovrano, cioè possiede il potere costituente;
• la separazione dei poteri: il potere non è unico e indiviso, com’era nelle monarchie assolute, ma deve essere diviso in potere legislativo, esecutivo e giudiziario, in modo che ogni potere bilanci e controlli gli altri poteri, evitando il dispotismo;
• il riconoscimento dei diritti dei cittadini: non esistono più sudditi che devono obbedire, ma cittadini che possiedono diritti riconosciuti e garantiti dallo Stato;
• la superiorità della Costituzione rispetto a ogni altra legge: la Costituzione è la «legge di tutte le leggi» ed è la fonte del diritto.
delle Costituzioni
Le Costituzioni moderne sono documenti che contengono i princìpi fondamentali dello Stato, i valori che lo guidano, i diritti e i doveri dei cittadini e la forma di governo. Lo Stato s’impegna a tutelare e promuovere i diritti e a far rispettare i doveri, intervenendo con i suoi organi in caso di mancanze e controversie. Nella Costituzione sono indicate anche le regole della vita democratica e della partecipazione politica: per esempio, se il Parlamento sarà composto da una o due camere e il numero di rappresentanti del popolo eletti. Infine, la Costituzione precisa quali poteri debbano avere i vari organi dello Stato (parlamento, governo, magistratura, regioni, comuni ecc.) e quale debba essere la struttura dell’amministrazione dello Stato.
Le Costituzioni possono essere rigide o flessibili
Le Costituzioni rigide, che caratterizzano la storia del XX secolo, non possono essere modificate con un iter legislativo normale; le Costituzioni flessibili possono essere invece riformate attraverso leggi ordinarie.
Come cambiare la Costituzione
La Costituzione stessa indica in un suo articolo i procedimenti speciali e molto complessi («leggi costituzionali») che occorre seguire per modificarla, comprese le modalità di un eventuale referendum confermativo. La ragione principale di tale «rigidità» scaturisce dalla volontà dei costituzionalisti di impedire che il regime democratico possa trasformarsi in un regime dittatoriale (come accaduto in Germania, nel 1933, con l’avvento del nazismo), consentendo che un solo partito, o una maggioranza relativa, possano modificare a proprio piacimento i valori e le regole del documento fondativo di uno Stato, espressione del popolo sovrano.
Le Costituzioni flessibili, che caratterizzano la storia del XIX secolo, possono invece essere modificate seguendo un normale iter legislativo e nascono in genere per concessione di un sovrano assoluto (è il caso dello Statuto Albertino).
La storia insegna
La Magna Charta Libertatum
Iter
La serie di passaggi che un disegno di legge deve seguire prima della sua possibile approvazione. Il termine viene utilizzato anche nel linguaggio burocratico a indicare i passaggi di una pratica amministrativa (permesso per avviare un’attività commerciale, richiesta di cambio di destinazione d’uso di un locale ecc.).
La Magna Charta Libertatum è un documento promulgato il 15 giugno 1215 dal re inglese Giovanni Senza Terra nel quale, per la prima volta nella storia, si riconoscono solennemente le libertà dell’individuo. La «Grande Carta delle Libertà» non fu una concessione del sovrano; essa fu ottenuta con la forza dai baroni, che strapparono al re il riconoscimento di alcuni diritti e privilegi, che nei decenni successivi furono confermati da re Enrico III e da re Edoardo I, divenendo legge fondamentale del regno inglese, nonché base teorica del costituzionalismo moderno. La Magna Charta riconosce per iscritto i diritti di alcuni, non di tutti, dei soggetti presenti nella società inglese dell’epoca: i feudatari, la Chiesa, le città inglesi e gli «uomini liberi», ponendo precisi limiti all’ingerenza della monarchia nella loro vita e nelle loro scelte. Rimangono esclusi da questa Charta i servi della gleba, che per molto tempo continueranno a soffrire una condizione di totale sudditanza non solo nei confronti dello Stato monarchico, ma anche dei grandi feudatari per cui lavoravano la terra.
4. Poteri dello Stato
Lo spirito delle leggi
Ci sono libri che segnano un’epoca e che restano nella storia. Tra questi c’è sicuramente Lo spirito delle leggi, scritto dal francese Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755).
Pubblicata a Ginevra nel 1748, l’opera espone una critica radicale all’assolutismo e alla concentrazione dei poteri nelle mani di una sola persona, nella fattispecie del sovrano assoluto, proponendo un modello di Stato ispirato alla monarchia costituzionale inglese.
Il potere diviso
Per evitare le degenerazioni del dispotismo, cioè l’esercizio arbitrario del potere da parte di un individuo, Montesquieu propone la separazione dei poteri. Nelle antiche monarchie assolute il re esercitava i tre poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, e ciò voleva dire che faceva le leggi, le applicava e giudicava i trasgressori. Nella visione di Montesquieu, in uno Stato «giusto» le tre funzioni devono essere separate e assegnate ciascuna a un soggetto diverso. In questo modo, ogni potere può controllare l’operato degli altri, scongiurando soprusi e ingiustizie.
Potere legislativo, esecutivo, giudiziario
Il pensiero di Montesquieu, formulato oltre duecento anni fa, è ancora alla base di tutti gli Stati liberali e democratici moderni, nei quali i tre poteri fondamentali sono divisi e assegnati a organi diversi:
1. il potere legislativo corrisponde al potere di fare le leggi e spetta al parlamento, che controlla anche l’operato del governo;
2. il potere esecutivo corrisponde al potere di guidare lo Stato in base alle leggi e spetta al governo;
3. il potere giudiziario è il potere di giudicare e punire chi non rispetta le leggi ed è assegnato alla magistratura, che è indipendente dagli altri due poteri e ne controlla l’operato in base alle leggi in vigore.
Ogni Stato declina a suo modo il rapporto e il bilanciamento fra i tre poteri, ma l’elemento comune è la loro separatezza.
Non esiste una gerarchia tra i poteri, nessuno dei tre poteri è cioè più importante dell’altro. Il senso della teoria della divisione dei poteri è proprio questo: ciascuno dei tre poteri si occupa di un aspetto importantissimo della vita civile e, al tempo stesso, controlla l’operato degli altri poteri, garantendo il buon funzionamento del sistema.
5. Lo Stato e l’economia
Le idee-guida del liberalismo
Nel corso del XIX secolo il trionfo del liberalismo sull’assolutismo monarchico portò quasi ovunque in Europa all’instaurazione di regimi politici liberali. I capisaldi del pensiero liberale moderno sono due:
• lo Stato deve rimanere estraneo alla vita economica, lasciando che le forze del mercato (cioè le imprese e le famiglie) agiscano liberamente, cioè possano produrre-vendere-comprare senza limitazioni i beni economici, compresa la forza-lavoro degli esseri umani;
• il primato dell’individuo non vale solo nel campo dei diritti civili e politici, ma anche in quello economico: secondo i liberali, infatti, l’individuo, realizzando i propri interessi, contribuisce allo sviluppo e al benessere dell’intera società. L’esempio classico è quello dell’imprenditore che, perseguendo il proprio interesse personale, cioè il profitto, avvantaggia l’intera società attraverso l’offerta di posti di lavoro e, quindi, di reddito da spendere in nuovi consumi.
L’intervento dello Stato nella vita economica
Nel corso del XX secolo, lo Stato è diventato protagonista della vita economica, sia come produttore di beni e di servizi, sia come redistributore della ricchezza nazionale tra le varie fasce sociali. Protagonisti di questa nuova stagione di «interventismo» statale nella vita economica sono state le forze politiche di orientamento cristiano-sociale e socialista. Due forze diametralmente opposte sul piano ideologico, ma che condividevano un’idea di fondo: che il mercato libero (cioè la legge della domanda e dell’offerta), abbandonato a se stesso e privo di indirizzo e di controllo, produce tensioni e ingiustizie, mettendo in pericolo la convivenza civile e generando diseguaglianze sociali sempre più gravi. Entrambe le forze, sia i cristiano-sociali, sia i socialisti, contestavano il primato del mercato: i cristiano-sociali affermavano la centralità dell’uomo e della famiglia contro l’egoismo individualistico liberale; i socialisti rivendicavano i diritti delle classi lavoratrici, sfruttate da un sistema economico capitalistico fondato sulla ricerca esclusiva del profitto.
Donne & Uomini
Franklin Delano Roosevelt
F.D. Roosevelt (1882-1945) fu il leader politico statunitense che dovette affrontare gli effetti del Big crash (il «grande schianto»), cioè il crollo della Borsa di Wall Street dell’ottobre 1929, che trascinò con sé in una spaventosa crisi l’economia del Paese. Roosevelt compì una vera e propria rivoluzione all’interno del capitalismo e del libero mercato: assegnò allo Stato un ruolo attivo nella vita economica, cercando di ristabilire le basi per lo sviluppo delle forze produttive. Lo Stato americano investì enormi risorse per costruire strade, porti, scuole, infrastrutture di vario tipo. L’idea di fondo era che la disoccupazione di massa fosse il più grave ostacolo alla ripresa; se l’economia statunitense voleva tornare a crescere era necessario che milioni di disoccupati trovassero un lavoro e che, grazie ai redditi guadagnati, tornassero a spendere e a consumare.
Legge della domanda e dell’offerta
In base a questa «legge» il prezzo di un bene o di un servizio corrisponde al punto di equilibrio fra la domanda di quel bene/ servizio e la sua offerta: a offerta costante, al crescere della domanda crescerà il prezzo, al diminuire della domanda diminuirà il prezzo.
STATO
Organizzazione politica
Fini illimitati
fondata su che regola esercita su con può essere
Costituzione
DIVISIONE DEI POTERI
Sovranità
Unitario con forte potere centrale
Federale
Regionale
Legislativo
Esecutivo
Giudiziario
Territorio
Popolo
Produrre le leggi
Guidare lo Stato in base alle leggi
Far rispettare le leggi
Verifica
1. Collega ogni termine della colonna di sinistra alla sua esatta definizione nella colonna di destra.
a. Stato 1. Potere di fare le leggi.
b. Popolo 2. Potere di far rispettare le leggi.
c. Costituzione 3. Potere di guidare lo Stato in conformità delle leggi.
d. Potere giudiziario 4. Potere politico.
e. Potere legislativo 5. Insieme dei cittadini sui quali lo Stato esercita la propria sovranità. f. Potere esecutivo 6. Teoria liberale dello Stato.
g. Sovranità 7. Carta fondamentale di uno Stato.
h. Stato minimo 8. Organizzazione politica sovrana con fini illimitati.
2. Completa il brano scegliendo la parola corretta tra le due proposte.
...... /8 Punti
Nello Stato federale / unitario centralizzato il centro di potere sovrano è uno solo, governa su parte del / tutto il territorio e stabilisce le regole di convivenza per tutti i cittadini.
La Germania / Francia è il simbolo dello Stato unitario: le decisioni sono assunte in larga misura direttamente dalle regioni / dallo Stato, che individua tempi e modi per trasformarle in fatti concreti attraverso l’iniziativa dei suoi organi periferici / centrali (ministeri e altre strutture di vertice). ...... /5 Punti
3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F).
a. Lo Stato è un’organizzazione politica con fini illimitati che esercita la propria sovranità su un territorio e un popolo.
b. Tutte le organizzazioni sociali hanno fini illimitati.
c. Esistono Stati senza territorio.
d. L’adesione allo Stato in cui si nasce è volontaria.
e. Secondo Hobbes lo Stato nasceva sulla cessione volontaria della propria libertà da parte degli individui in cambio di un bene superiore: la vita e la sicurezza. V F
f. La Francia è il modello dello Stato federale. V F
g. Gli Stati Uniti sono uno Stato centralizzato.
h. Negli Stati federali esistono sempre due tipi di governo: governo centrale (federale) e governi locali.
i. La Costituzione è una specie di contratto fra i cittadini.
l. La Costituzione è la legge fondamentale, superiore a tutte le altre leggi.
m La divisione dei poteri è una caratteristica comune a tutti gli Stati moderni, liberali e democratici.
4. Rispondi a questa domanda scrivendo un testo di 40 parole che contenga i seguenti termini: Stato – Costituzione – separazione dei poteri – sovrano
• Qual è la principale differenza tra gli Stati assoluti e gli Stati costituzionali?
...... /28 Punti
La cittadinanza e i diritti umani 3
1. Dalla cittadinanza antica a quella moderna
La cittadinanza in Grecia
Nella Grecia classica (V-IV secolo a.C.) essere uomini significava essere cittadini. Infatti, solo i cittadini potevano partecipare alla vita politica, cioè dedicarsi a quelle attività che facevano grande e nobile un uomo, distinguendolo dai non-cittadini. Le città-stato greche, e soprattutto Atene, sono state la culla della democrazia, lo spazio in cui, per la prima volta nella storia, il «governo del popolo» ha trovato concreta attuazione.
In Grecia, però, la cittadinanza riguardava un numero limitato di persone. Ad Atene, per esempio, erano cittadini solo i maschi liberi, nati ad Atene da genitori ateniesi. In forza di questi criteri, rimanevano esclusi dalla vita politica e dalla partecipazione alle assemblee popolari tutte le donne, gli schiavi e gli stranieri (provenienti cioè da altre città-stato greche o da altri Paesi del Mediterraneo). In questo senso, la cittadinanza greca era «esclusiva cioè selezionava i cittadini dai non-cittadini, escludendo questi ultimi dalla partecipazione alla vita democratica della città.
La storia insegna
L’Atene di Pericle
Pericle fu il magistrato che trasformò Atene nel più importante laboratorio democratico della storia antica. Durante il suo lungo governo, Atene allargò enormemente i confini della cittadinanza, consentendo al popolo della città (e non solo agli aristocratici) di accedere alle magistrature più importanti e di partecipare alle assemblee popolari, nelle quali si assumevano le principali decisioni relative alla vita della città. Per favorire l’ingresso nella vita politica dei ceti popolari, Pericle riformò il sistema politico ateniese in senso democratico riducendo il potere dei nobili. Al contempo, rafforzò il potere delle assemblee popolari. Inoltre istituì la retribuzione giornaliera per i membri delle assemblee e per i cittadini che erano giudici nei tribunali, consentendo a tutti, anche ai più poveri, di prendervi parte. Secondo lo stesso principio, fu accordata una paga ai marinai, ai soldati e ai cavalieri in tempo di guerra.
Infine, l’attribuzione delle cariche fu affidata al sorteggio, un metodo che non dava importanza né alla ricchezza, né alla nobiltà. Solo le cariche militari e le magistrature finanziarie erano elettive perché richiedevano competenze ed esperienza. Gli eletti duravano in carica un anno ed erano sottoposti a controlli rigidissimi alla fine di ogni mese e alla scadenza del mandato.
Statua di Pericle, Atene.
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