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I CLASSICI
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Edmondo De Amicis nacque a Oneglia (Imperia) nel 1846. Frequentò l’Accademia Militare e combatté nella battaglia di Custoza. I suoi primi racconti narrano infatti l’esperienza militare. Cuore, il romanzo che gli diede enorme successo e popolarità, fu pubblicato nel 1886.
Il libro è dotato di approfondimenti online su www.raffaellodigitale.it
E 7,50
Cuore
Un nuovo adattamento, utile per facilitare la comprensione dei lettori di oggi e conservare lo spirito originale del libro.
Edmondo De Amicis
Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).
Enrico Bottini frequenta la terza elementare e decide di scrivere in un diario, mese dopo mese, quel che accade nella sua classe e fuori. Ecco come nasce Cuore, il famosissimo libro per ragazzi ambientato tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, poco dopo l’Unità d’Italia, e ancora oggi simbolo di quel periodo, dei tanti problemi e delle tante speranze che si potevano vivere a scuola e tra le mura domestiche. Emozioniamoci dunque con i bellissimi racconti mensili e lasciamoci catturare da un mondo forse lontano, che però si fa vicinissimo grazie a quelle parole che dalla prima elementare e per tutta la vita non possiamo dimenticare: dolore, amicizia, morte, integrazione, amore, felicità.
I CLASSICI
Edmondo De Amicis
Cuore
Per volare con la fantasia
Collana di narrativa per ragazzi
1a Edizione 2011 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1
2018 2017 2016 2015 2014 2013 2012
Tutti i diritti sono riservati © 2011 Redazione: Emanuele Ramini Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Letizia Favillo Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.raffaelloeditrice.it www.grupporaffaello.it e-mail: info@ilmulinoavento.it http://www.ilmulinoavento.it Printed in Italy
È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
Edmondo De Amicis
Cuore
Adattamento di Elena Frontaloni Illustrazioni di
Alice Rossi
Uno studente di terza elementare, vissuto alla fine dell’Ottocento, appuntò sul suo quaderno tutto quello che successe a lui e ai suoi compagni di classe. Alla fine di quell’anno scolastico suo padre, ritenendo interessanti quelle annotazioni, le riordinò e le sistemò in questo libro, cercando di mantenere, per quanto possibile, il pensiero e le parole del figlio. Ora tocca a voi: leggete il libro, divertitevi ed emozionatevi insieme ai personaggi, cercate di trovare in essi la bontà, la leggerezza e la gioia del cuore.
Ottobre Il primo giorno di scuola 17, lunedì
Oggi è il primo giorno di scuola. I tre mesi di vacanza sono passati come un sogno. Mia madre mi ha portato questa mattina alla scuola Baretti di Torino a farmi iscrivere alla terza elementare, io però pensavo ancora alla campagna e le stavo dietro svogliato. Tutte le strade brulicavano di ragazzi, le librerie erano affollate di padri e di madri che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola c’era così tanta gente che il bidello e le guardie faticavano a tenere libera l’entrata. Vicino alla porta mi sono sentito toccare una spalla. Era il mio maestro della seconda, sempre allegro, coi suoi capelli rossi arruffati, che mi ha detto: - Dunque, Enrico, da oggi non ci vedremo più, se non di sfuggita.
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La cosa la sapevo, dico che non saremmo più stati insieme in classe, eppure mi hanno fatto pena quelle parole. Siamo entrati a stento. Signore, signori, operai, ufficiali, nonne, serve, tutti con i ragazzi per mano, riempivano la stanza d’entrata e le scale, facendo un gran ronzio: sembrava di stare in un teatro. Ho rivisto volentieri il piano terra, con le porte delle sette classi dove ho trascorso per tre anni quasi tutti i giorni. C’era folla, le maestre andavano e venivano. La mia maestra di prima mi ha salutato sulla porta della classe, e, guardandomi con tristezza, mi ha detto: - Enrico, tu vai al piano di sopra quest’anno; non ti vedrò nemmeno più passare! Il direttore aveva intorno delle donne tutte affannate perché non c’era più posto per i loro figlioli, e mi è sembrato che avesse la barba un poco più bianca rispetto all’anno passato. Al pian terreno, dove si erano già fatte le divisioni in classi, c’erano dei bambini di prima classe che non volevano entrare nell’aula, tanto che fu necessario tirarli dentro a forza; alcuni poi scappavano dai banchi; altri, al veder andare via i genitori, si mettevano a piangere, e questi dovevano tornare indietro a consolarli o a ripigliarseli, e le maestre si disperavano.
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Alle dieci eravamo tutti in classe: cinquantaquattro. Di questi, solo quindici o sedici erano miei compagni della seconda. Mi è sembrata così piccola e triste la scuola pensando ai boschi, alle montagne dove ho passata l’estate. E poi ripensavo al mio maestro di seconda, così buono, che rideva sempre con noi, e piccolo, che pareva un nostro compagno, e mi rammaricavo di non vederlo più là, coi suoi capelli rossi arruffati. Il nostro maestro di quest’anno invece è alto, senza barba coi capelli grigi e lunghi, e ha una ruga diritta sulla fronte; ha la voce grossa, e ci guarda tutti fisso, l’uno dopo l’altro, come per leggerci dentro, e non ride mai. A vederlo, mi sono detto: “Ecco il primo giorno. Ancora nove mesi. Che fatica!” Avevo proprio bisogno di trovare mia madre all’uscita. - Coraggio Enrico! Studieremo insieme - mi ha sussurrato appena le sono arrivato vicino. E così sono tornato a casa contento. Ma non ho più il mio maestro, con quel sorriso buono e allegro, e la scuola non mi sembra più bella come prima.
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Il nostro maestro 18, martedì
Anche il mio nuovo maestro mi piace, dopo questa mattina. Durante l’entrata a scuola, mentre era già seduto in cattedra, qualcuno dei suoi scolari dell’anno scorso s’affacciava di tanto in tanto alla porta della classe per salutarlo: “Buongiorno, signor maestro”, “Buongiorno, signor Perboni”. Alcuni entravano, gli toccavano la mano e scappavano. Si vedeva che gli volevano bene e che avrebbero voluto tornare con lui. Lui rispondeva: “Buongiorno”, stringeva la mano a chi gliela offriva ma non guardava nessuno. Ad ogni saluto rimaneva serio, con la sua ruga diritta sulla fronte, voltato verso la finestra, e guardava il tetto della casa di fronte: sembrava che invece d’essere contento di quei saluti, ne soffrisse. Poi guardava noi, l’uno dopo l’altro, attento. Mentre facevamo un dettato, è sceso a passeggiare in mezzo ai banchi, e, visto un ragazzo che aveva
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