I Promessi Sposi - ESTRATTO

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I Promessi Sposi Il classico per eccellenza della letteratura italiana

Nato nel 1785 a Milano da nobile famiglia, è stato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi. Dopo diversi adattamenti, “I Promessi Sposi” fu pubblicato in versione definitiva tra il 1840 e il 1842.

Un insegnamento, insomma, di rara attualità e compostezza, riconsegnato ai giovani lettori in un’edizione dove le pagine originali sono intervallate da brevi riassunti, a ribadire la forza narrativa di questo romanzo e la bellezza inossidabile della sua lingua. Completano la lettura un apparato finale di approfondimento delle tematiche e un fascicolo di comprensione del testo.

I Promessi Sposi

Alessandro Manzoni

Le nozze di Renzo e Lucia, popolani vissuti nell’Italia del XVII secolo, vengono impedite da un prepotente signorotto locale, Don Rodrigo, dalle ambiguità del clero e dalle disgrazie storiche di quel periodo, la Guerra dei Trent’anni e l’epidemia di peste. Attraverso la famosa storia dei due “promessi sposi”, viene data al lettore di ogni tempo una severa lezione sulle bassezze e le negligenze dei potenti, le ingiustizie pubbliche e private, la speranza nella fede e nella divina Provvidenza. Ma il capolavoro di Manzoni è anche un sontuoso affresco storico, ricco di pietà e ironia, storia e invenzione, commozione e riflessione.

Alessandro Manzoni

I Promessi Sposi Il classico per eccellenza della letteratura italiana

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Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni

Il classico per eccellenza della letteratura italiana

Completano la lettura: Approfondimenti finali ascicolo di comprensione F del testo Schede interattive su www.raffaellodigitale.it

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Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

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788847 221758



Collana di narrativa per ragazzi


Direttore di collana: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico e copertina: Mauro Aquilanti Impaginazione: Giacomo Santo Ufficio stampa: Salvatore Passaretta

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Alessandro Manzoni

I Promessi Sposi Adattamento di Elena Frontaloni


Abbiamo preferito riportare il testo dei Promessi Sposi nella versione originale del 1842 perché il lettore si possa render conto di come una lingua si evolve negli anni. Le espressioni usate dal Manzoni sono quasi tutte comprensibili, anche perché non è trascorso molto tempo da quando il romanzo è stato scritto (nei casi più difficili alcune note potranno essere di valido aiuto). La selezione dei passi è stata effettuata con estrema cura. I brani riportati sono intercalati da brevi riassunti che consentiranno di seguire facilmente la trama del romanzo.


Capitolo

1

I luoghi, i tempi, gli onori

Il romanzo si apre con una Introduzione in cui il narrato-

re, una voce dell’Ottocento, si rivolge direttamente a chi legge: dice di aver trovato un manoscritto di un anonimo autore del Seicento, una cronaca veritiera di fatti accaduti tra il 1628 e il 1630, e di aver pensato di ricopiarlo fedelmente per i contemporanei, tanto era avvincente e istruttiva la storia che vi si raccontava. Copiate le prime pagine del manoscritto, il narratore afferma però di essersi indispettito e di aver interrotto il suo lavoro. La storia raccontata nel manoscritto gli sembrava sempre assai bella: una vicenda d’amore e di sopraffazione, di lealtà e di ingiustizia, dove le peripezie quotidiane di due persone umili si intrecciano con i grandi fatti e personaggi dell’epoca, ma lo stile dell’anonimo autore del Seicento gli appariva sempre più indigeribile: sguaiato, contorto, pomposo, privo di ironia. Che fare? Il narratore c’informa di aver preso un’importante decisione: mantenere la trama del manoscritto, e però “rifarne la dicitura”, vale a dire lo stile. Messe a margine le questioni teoriche, il narratore ci porta nei luoghi e nei tempi dell’azione. Siamo sul braccio sud-orientale del lago di Como, nei pressi di Lecco, all’epoca del dominio spagnolo. Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a 5


Capitolo 1

seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, viene, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prendere corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte. Il ponte, che ivi congiunge le due rive, pare che renda ancora più sensibile all’occhio questa trasformazione e segni il punto in cui il lago cessa e l’Adda rincomincia, per ripigliare poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lasciano l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che invero lo fanno somigliare a una sega. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate1, secondo l’ossatura dei due monti e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci dei torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di paesi... in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco lontano dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d’oggi, e che si incammina a diventare città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che stiamo per raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello2 e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli che in-

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1 - In poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate: in basse colline e piccole valli, ripide salite e pianure. 2 - Castello: qui, fortezza militare.


I luoghi, i tempi, gli onori

segnavano la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavano di tempo in tempo le spalle a qualche marito o a qualche padre; e, sul finir dell’estate, non mancavano mai di spandersi nelle vigne, per diradare le uve, e alleggerire ai contadini le fatiche della vendemmia. Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono ancora, strade e stradette, più o meno ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non si scopre che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti, e da qui la vista spazia per prospetti3 più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre in qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda.

3 - Prospetti: panorami.

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Capitolo

2

Un uomo che sa il viver del mondo

Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla pas-

seggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato di una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovano nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio4, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra. Messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi intorno, li fissava alla parte di un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi5 del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio6, giunse a una voltata della stradetta, dove era solito alzare sempre gli occhi dal libro e guardare avanti. E così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia di una ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e portava alla cura7; l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggiero.

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4 - Ufizio: le preghiere contenute nel libro pensato dalla Chiesa per la preghiera quotidiana del clero. 5 - Fessi: aperture. 6 - Squarcio: pezzetto di preghiera. 7 - Cura: casa del parroco (la canonica).


Un uomo che sa il viver del mondo

I muri interni delle due viottole, invece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale erano dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzione dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevano dire fiamme; e, alternate con le fiamme, certe altre figure da non potersi descrivere, che volevano dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, su un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non si aspettava e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: uno di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, stava in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo dove era giunto il curato si poteva distinguere dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla loro condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo; due lunghi mustacchi8 arricciati in punta; una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole; un piccolo corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana; un manico di coltellaccio che spuntava fuori da un taschino degli ampi e gonfi calzoni; uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra9, forbite e lucenti. A prima vista si davano a conoscere per individui della specie dei bravi10. Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettare qual8 - Mustacchi: baffi vistosi. 9 - Congegnate come in cifra: che formavano una cifra. 10 - Bravi: soldati al servizio dei signorotti, i quali li ripagavano con la loro protezione e un discreto salario. Diverse leggi del tempo, ma inascoltate, tentavano di punire le atrocità solitamente commesse da questi personaggi.

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Capitolo 2

cheduno era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro si erano guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutti e due a un tratto avevan detto: “è lui”. Quello che stava a cavalcioni si era alzato, tirando la sua gamba sulla strada, l’altro si era staccato dal muro; e tutti e due gli si avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per spiare le mosse di coloro, e, vedendoseli venire proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra, e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però si avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata al di sopra del muricciolo, nei campi: nessuno; un’altra più modesta sulla strada dinanzi: nessuno, fuorché i bravi. Che fare? Tornare indietro non era a tempo; darla a gambe era lo stesso che dire “inseguitemi”, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui che non desiderava altro che di abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a 10


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