Roberta Fasanotti
Il fascismo dalla mia finestra Un racconto al tempo del Fascismo
Roberta Fasanotti È nata e vive a Milano. Insegnante di lettere, è amante di narrativa, in particolare per adolescenti, e nutre una profonda passione per la storia del ’900. “Il fascismo dalla mia finestra” è il suo primo racconto pubblicato con la Casa Editrice Raffaello.
Carolina vive in una famiglia borghese e condivide con le sue compagne di scuola tutte le difficoltà che ogni adolescente incontra in questi anni delicati. Durante una festa conosce Edoardo e tra loro nasce una forte simpatia, ma il ragazzo è figlio di uno squadrista e il suo destino è già segnato. L’eco di avvenimenti drammatici per l’Italia, quali il delitto Matteotti, sconvolge la famiglia di Carolina. Il padre, assai critico verso l’attuale momento storico, impedisce alla figlia di frequentare Edoardo. Un amore sfiorato che porterà la protagonista, dopo tanti anni, a compiere un nobile gesto di solidarietà umana.
Il fascismo dalla mia finestra
Milano, anni 1922-24
STORIA E STORIE
La storia raccontata da grandi storie per ragazzi
Roberta Fasanotti
STORIA E STORIE
Un racconto al tempo del Fascismo
Completano la lettura: Approfondimenti finali F ascicolo di comprensione del testo
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S chede interattive su www.raffaellodigitale.it
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Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).
€ 9,00
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788847 225046
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Claudio Ciarmatori Illustrazione di copertina: Mauro Marchesi Approfondimenti: Elena Frontaloni Schede didattiche: Elena Frontaloni IIa Edizione 2016 Ristampa
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Roberta Fasanotti
Il fascismo dalla mia finestra
Capitolo
1
Carolina Milano, ottobre 1922
C
– arolina, cerca di non perdere tempo, anche oggi rischiamo di essere in ritardo! Carolina, non lasciare sul mobile i guanti! Carolina, sbrigati… In questo modo iniziava la mia giornata. Sistemavo velocemente nella cartella i quaderni che erano ancora sparsi sul tavolo, per non sentire ancora le raccomandazioni di mia madre. Mio padre in quei momenti era immerso nel suo silenzio. Lui lo adorava, soprattutto la mattina presto, quando il sonno teneva prigioniera l’intera famiglia. Papà dedicava tempo al suo sigaro, che diffondeva tra una stanza e l’altra un profumo che a me piaceva, anche se era aspro. Fumava ancora in pigiama, davanti alla tazza del caffè. Poi si lavava e si vestiva in un lampo. A quel punto, l’unica parola che diceva era sempre la stessa: “bene”. Dopo, era pronto per uscire e raggiungere il liceo, dove insegnava latino e greco. Il mio ginnasio non era proprio sotto casa. La mamma sosteneva che una camminatina quotidiana avrebbe favorito lo studio, anzi, come lei diceva sempre, “l’applicazione allo studio”. Io non ho mai capito il legame tra l’esercizio fisico e il successo scolastico, comunque camminavo. Camminavo e basta. Mi godevo la tranquillità del tragitto: la mamma mi accompagnava, assorta nei suoi pensieri. In casa nostra si parlava di tutto. Papà era sempre molto informato e da lui avevo saputo che Benito Mussolini alloggiava in quei giorni a Milano. 5
Capitolo 1
Diceva alla mamma che quell’uomo sarebbe potuto fuggire in Svizzera, se la situazione, davvero un po’ confusa, avesse preso una brutta piega. Io non ero certo in grado di contestare le opinioni dei miei genitori, ma sarei stata contenta di parlare con qualcuno di parere contrario. Magari avrei ascoltato cose allettanti su questo Mussolini e sugli uomini che portavano le camicie nere. Intuivo che l’uomo politico in questione era odiato da molti, da mio padre, soprattutto, ma anche adorato da molti altri. Mi chiedevo il perché. Chi aveva ragione? Non sapevo proprio cosa pensare. *** A scuola mi trovavo bene, anche se mi lamentavo un po’ della mia compagna di banco. Si chiamava Giovanna. Poverina: ogni giorno gli insegnanti la facevano quasi piangere. Era permalosissima e si offendeva per ogni minima sciocchezza. Giovanna cercava in me un rifugio, mi considerava probabilmente una specie di ombrello sotto il quale ripararsi. Ma quell’ombrello non lo trovava mai. Io ero sempre distratta da altro, preferivo parlottare, anche quando non si poteva, con la mia amica Luisella. Lei aveva una lunga treccia che metteva allegria, la disfaceva e la ricomponeva con cura tutti i giorni. Guardandola e ammirandola, non vedevo l’ora di far crescere anch’io i capelli e di assomigliarle, anche se lei sarebbe stata sempre più bella di me. L’intervallo rappresentava naturalmente per noi un momento di vero sfogo. Al suono della campana tutti correvamo verso il cortile. Molte di noi guardavano i maschi, sempre più agitati. Se poi notavamo un ragazzino carino, ci lanciavamo occhiate a turno, e poi… un cicaleccio continuo, e giù risate su risate. 6
Carolina
*** Mia nonna aveva l’incarico di venirmi a prendere a scuola e mi aspettava davanti al portone. Mi cercava guardando sempre dalla parte sbagliata ed io la raggiungevo velocemente, quasi di nascosto, per gustare il suo stupore quando mi ritrovava magicamente accanto a lei. Era sempre contenta di rivedermi e lo dimostrava dandomi mille baci. Non vedevo l’ora di salire i gradini di casa, abbandonare i pensieri e i doveri legati allo studio. La mia sorellina Lucia mi accoglieva a braccia aperte, mi sottraeva velocemente la cartella, che diventava per qualche momento di sua proprietà. Sognava la scuola, gli intrighi da ragazzine: tutto un mondo a lei ancora negato. Quando le raccontavo della mia compagna di banco la sua bocca si spalancava e le sorridevano anche gli occhi. Qualche volta la spiavo dal salotto e l’intravedevo seduta sul suo letto, con le gambe incrociate: mi faceva tenerezza e nello stesso tempo mi sentivo davvero grande. Lucia amava disegnare i quadri di Monet, quel grande pittore francese che a me piaceva più degli altri. Per quanto mi riguardava, non credevo di avere grandi talenti, e quando vedevo correre la matita che Lucia teneva tra le dita con una certa eleganza, mi sentivo come risucchiata dal vuoto. Per ritrovare me stessa correvo alla scrivania, dove c’erano tantissimi oggetti, non sempre in ordine: cannucce, calamaio, pennini, quinterni di fogli, quaderni, libri. Quello era il mio mondo e la mia sicurezza. Ma mi chiedevo anche che cosa avrei potuto fare da grande. Nella mia testa non c’era ancora nessun progetto.
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Capitolo
2 Una “nota” stonata: la Marcia su Roma
Papà ogni sera si accomodava sulla sua poltrona prefe-
rita. Con estrema cura, quasi fosse un intervento chirurgico, sfogliava il giornale per poi leggere a voce alta le notizie più importanti. Il destino della serata era già stabilito. La mamma sedeva davanti a lui, impegnata in un ricamo che sicuramente sarebbe stato disfatto almeno due volte. Lei amava la perfezione, e, quindi, non si sarebbe mai accontentata del primo risultato, considerato “sempre difettoso”. La nonna diceva che sua figlia aveva “le mani d’oro”, ma lei, di fronte a quel complimento materno, piegava la testa in segno di vergogna. *** Era il 27 ottobre del 1922. Venne ufficialmente annunciata la mobilitazione di gruppi fascisti, uomini con la camicia nera che iniziavano a riversarsi su Roma. – Presto ci ritroveremo in un mondo nuovo – disse la mamma con un’espressione di ribrezzo. – Il fascismo è qualcosa che… non so, credo che non ci siano cose pulite in quei gruppi di scalmanati! Mio padre, come al solito, tenne la sua lezione: – Mussolini sostiene che il partito fascista è liberale, almeno per quanto riguarda l’economia… Io capivo poco, la mamma sgranava gli occhi, quasi avesse voluto migliorare la sua partecipazione. 8
Una “nota” stonata: la Marcia su Roma
Papà continuò con parole che dovevano essere più semplici ma che a me risultavano ancora molto difficili: – Lo stato, secondo Mussolini, non deve occuparsi di tutto… quindi, non ci sarà più “stato ferroviere”, “stato postino”, “stato assicuratore”. Questo perché costa troppo e sarebbero i cittadini a pagarne le spese… Cosa ne dici, Angela? Fui io a interrompere la straordinaria intesa tra i miei genitori: – Papà, non so se ho capito bene… – Vedi, Carolina – mi disse con pazienza, – il fascismo… No, facciamo un esempio, immaginiamo di essere in mezzo a una strada: secondo i liberali lo stato deve limitarsi a regolare il traffico, senza pensare di fabbricare macchine o biciclette… Lo stato è un vigile, non un industriale o roba del genere… da certe cose deve astenersi, fare un passo indietro, altrimenti se fa troppe cose… cose che non gli competono, si rischia di essere tutti meno liberi… Insomma, se lo stato costruisce le biciclette, tu che fortuna puoi avere se metti in piedi una fabbrica di biciclette? Come fai a competere con lo stato? Hai capito, cara? – Adesso sì, papà. Almeno mi sembrava. La mamma faceva sì con la testa. Da certi discorsi sentiti in casa sapevo che a lei piacevano personaggi come Cavour, insomma vecchi gentiluomini. Ma quel Mussolini era un gentiluomo? Ci si poteva fidare di lui? Ad un certo punto, quella sera entrò in salotto la nonna e cominciò a parlare del re, di come lui avrebbe garantito il migliore futuro per il nostro paese, di come la corona fosse sempre stata un’ottima garanzia di serietà. Ma la nonna, quando parlava o tentava di parlare di politica, non era granché ascoltata e lei ogni volta si offendeva. 9
Capitolo 2
– Lo so – disse anche quella volta, – io qui sono solo un’ospite, un’intrusa, che ogni tanto s’illude di vivere in famiglia. A quel punto, davanti al sorriso ironico di sua figlia e all’indifferenza di papà, lei si ritirava arrabbiata in camera sua e, per calmarsi, cominciava a cambiare posto a tutti gli oggetti che possedeva, creando caos e tanto rumore. Ogni scatto di nervi era sempre seguito da quella confusione. Quando tutto questo accadeva, io e mia sorella entravamo nella sua camera e a stento trattenevamo le risate, mentre l’aiutavamo a risistemare tutto. – Vedete, bambine – ci diceva alzando al cielo le braccia, – perdere il nonno è stato terribile, ma è ancora più brutto capire che in questa casa il mio ruolo è solo quello di organizzare la cucina. Meno male che ci siete voi, i miei tesorini… A quel punto papà, dopo aver sbuffato un po’, la richiamava in salotto. Tornava la calma, in attesa di un’altra sfuriata. *** Sempre alla fine di ottobre, annunciarono che il re stava per ritornare a Roma. Proprio in quelle circostanze papà mi aveva raccontato che il nostro sovrano, un giorno, si era sfogato con i suoi consiglieri, ai quali aveva detto: “Piuttosto che cedere, prendo moglie e figlio e me ne vado”. Un’azione dura contro i fascisti? Quell’ometto piccolo e anche bruttino non dava proprio l’idea di avere un carattere di ferro. Eppure a me piaceva, come piaceva alla nonna. Io volevo essere dalla sua parte. La nonna era una persona davvero simpatica, diceva le cose in maniera semplice, mentre i miei genitori complicavano sempre tutto, con parolone difficili. Che strano, la nonna appariva ai miei occhi la più giovane della famiglia. Un’altra che parlava difficile era la signorina Franzini, pro10