Patrizia Marzocchi
La staffetta delle valli La guerra delle donne e dei più giovani, la guerra dei vincitori e dei vinti, la guerra di tutti
Patrizia Marzocchi
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Vive a Bologna e insegna lettere nella scuola secondaria di primo grado. Ha frequentato un corso di giornalismo presso l’Università di Ferrara e ha pubblicato numerosi libri per ragazzi. Per il Gruppo Raffaello è autrice di “Ricordare Mauthausen”. Il suo sito è www.patriziamarzocchi.com
Rosa vive nelle Valli di Ravenna, adora il padre pescatore e ha amici formidabili con i quali forma una vera e propria banda. La guerra però travolge la sua vita portando con sé il dolore; i tedeschi invadono la sua terra, gli amici diventano nemici. Rosa diventa una staffetta dei partigiani, tiene i collegamenti con la sua piccola barca. La brutalità della guerra entra nel mondo dei giovani protagonisti, sconvolge i loro sentimenti e i loro rapporti, mette a nudo i lati peggiori dell’animo umano. Talvolta però esalta qualità imprevedibili, trasformando persone comuni in eroi disposti a sacrificarsi nel nome di un bene superiore. Un romanzo affascinante, un quadro di vita vissuta al tempo della seconda guerra mondiale, vista attraverso gli occhi dei giovani protagonisti. Una lettura per ragazzi che porta a riflettere sui problemi di quella immane tragedia. Per non dimenticare.
La guerra delle donne e dei più giovani, la guerra dei vincitori e dei vinti, la guerra di tutti
Completano la lettura: Approfondimenti finali F ascicolo di comprensione del testo
I S B N 978-88-472-2474-2
Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).
La staffetta delle valli
Ravenna, 1943
STORIA E STORIE
La storia italiana raccontata da grandi storie per ragazzi
Patrizia Marzocchi
STORIA E STORIE
€ 9,00
9
788847 224742
S chede interattive su www.raffaellodigitale.it
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Impaginazione: AtosCrea Disegno di copertina: Elena Mellano Approfondimenti: Valentina Conti Schede didattiche: Valentina Carella Ufficio stampa: Salvatore Passaretta
Ia Edizione 2016 Ristampa
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Tutti i diritti sono riservati © 2016
e–mail: info@ilmulinoavento.it http://www.grupporaffaello.it Printed in Italy
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Patrizia Marzocchi
La staffetta delle valli Illustrazione di copertina
Elena Mellano
A Massimo che mi ha accompagnato nelle Valli alla ricerca della Storia e delle storie.
Capitolo
1
Giorno solenne
2 giugno 1946
L
a vecchia pendola batte le dieci. Seduta sul lettone dei miei genitori osservo mamma che si prepara. Giana, la mia cagnolona, sembra ipnotizzata come me dai suoi movimenti. Un ultimo colpo di spazzola, anche se non ce ne sarebbe bisogno, una sistematina alla spilla, una rassettata alla gonna, poi le scarpe con un po’ di tacco, quelle eleganti. Si è vestita con la cura di chi deve andare all’esame più importante della sua vita oppure a una festa. Capelli biondi perfettamente in ordine, orecchini di perla ereditati dalla nonna. Gli occhi scuri emanano la luce dell’entusiasmo. Sembra anche una donna innamorata che sta per incontrare il grande amore della sua vita. Colpisce la solennità dei gesti che mia madre compie, come se ognuno di essi fosse destinato a essere immortalato nella storia. Nessuna festa, nessun esame, neanche l’amore: mamma va a votare. Sono un po’ invidiosa, per la prima volta in Italia le donne possono andare alle urne e io sono esclusa. Per motivi di età, solo per questo. Ho 16 anni. Quasi. È bello pensare che arriverà anche il mio momento. Sono nata sotto il fascismo e mi sembrava normale che non ci fossero elezioni, che si dovesse obbedire senza discutere a Mussolini e ai suoi uomini di nero vestiti. Sembrava normale che i giovani andassero a combattere e morire per il Duce, che insieme a Hitler avrebbe costruito un impero potente. Sì, tutto normale fino a quando… 5
Capitolo 1
Una improvvisa commozione blocca il corso dei miei pensieri e persino la mia salivazione. Accarezzo Giana che mi segue sempre, ovunque. – Rosa, non voglio che la cagnolona entri in camera mia, lo sai – dice mamma, che però non riesce a essere convincente nel rimprovero, assorta com’è nei suoi preparativi. Afferra la borsetta, mi lancia un lungo sguardo e mi dedica il suo caratteristico sorriso storto (non si capisce perché, ma muove solo la parte sinistra della bocca). Rimango qui alla finestra a osservare, con Giana accoccolata ai miei piedi a dispetto della prescrizione. Lungo la stradona, la via sterrata davanti alla nostra casa, l’auto padronale aspetta, già ricoperta da una polvere molto evidente a causa del colore scuro. Mamma la raggiunge, assieme a zia Vanna. Mentre guardo il veicolo arrancare verso la statale, immagino la conversazione all’interno. Il conte, cugino di secondo grado di mamma, è monarchico: vuole che Umberto sia re d’Italia. Mia madre è convinta che la famiglia reale si sia comportata in maniera talmente vergognosa da escludere assolutamente la possibilità che i Savoia rimangano ancora sul suolo che hanno contribuito a insanguinare (parole sue). Lei voterà per la Repubblica. Anch’io voterei per la Repubblica se avessi l’età giusta. Percorreranno tutto il tratto di strada verso il paese litigando selvaggiamente (mentre zia Vanna rimarrà in silenzio). È un passo avanti: fino a 16 mesi fa la gente si sparava, qui nelle nostre valli. Sono nata sotto una dittatura, in una terra aspra, attraversata da acqua salmastra, afflitta dalla malaria, immersa nelle nebbie più dense. – Poteva esserci inizio meno promettente? – chiedo a Giana che mi fissa con i suoi occhi miti e profondi. Ha uno sguardo umano, Giana, o forse sono io a immaginarlo perché la adoro. Dalla finestra vedo Luisa che stende il bucato seguita dai suoi fratellini. 6
Giorno solenne
Improvvisamente mi torna in mente che loro hanno avuto una parte nella nostra battaglia, anche se erano troppo piccoli per capirlo; probabilmente ci hanno salvato la vita. Cerco di scrollarmi di dosso questi pensieri, anch’io devo lavorare: il pollaio, innanzitutto. Quel che mi piace di più è sottrarre le uova ancora calde alle chiocce. Poi mi fulmina il ricordo di quella volta che i tedeschi ci hanno preso tutte le galline. Oggi sono inconcludente e malinconica, per fortuna zia Vanna non è qui a vedermi perdere tempo, per lei è una cosa inconcepibile. Cammino nella grande casa semi–deserta, salgo le scale, penso a quando qui si era in tanti e ci si calpestava i piedi a vicenda. Cosa avrei dato allora per tutto questo spazio… Cosa darei ora per tutte quelle voci… Alcune di loro sono spente per sempre. Sopraffatta dalla malinconia, rimando definitivamente le mie incombenze, vado nella soffitta, apro il baule piccolo, accanto a quello grande dei libri di mamma. Estraggo l’album delle fotografie. Vado a cercare a metà, dove c’è quella che non potrei dimenticare, anche se volessi. Una strada di campagna, sei bambini colti alle spalle dal fotografo, mentre procedono allineati, con le cartelle dei libri in mano. Io sono la più piccola, avevo sei anni, era il mio primo giorno di scuola. Di me si vedono le treccine chiare infiocchettate con cura da zia Vanna (inutilmente perché nel giro di poche ore i capelli sarebbero fuoriusciti selvaggiamente, incuranti dei nastrini), la mano che affonda in quella del più grande del gruppo, Francesco. È come quando si rilegge un libro che ci ha commosso, si piange sempre allo stesso punto. Lo faccio anch’io, ancora, perdendomi in questo particolare, la mia manina afferrata da quella grande di Francesco. Mi sembra che lì ci sia un po’ il senso delle cose, è come se in quel gesto tenero, immortalato per sempre, sia rappresentato tutto ciò che una guerra può distruggere. Per me è così.
7
Capitolo
2 Non si può
Valli di Ravenna, il passato
S
ono nata in una casa contadina, abitata dalle famiglie di mio padre e suo fratello Bruno. Una casa con poca terra e poco arredo, ma grande abbastanza per occultare i suoi segreti. Papà era un uomo silenzioso, solitario, brulicante di pensieri non espressi che rendevano il suo sguardo blu straordinariamente profondo. Faceva il contadino: assieme al fratello era mezzadro in una proprietà del conte. Nei lunghi mesi invernali, però, lui andava al suo capanno di pesca lungo il canale che scorre a pochi chilometri dalla nostra casa e che si immette nel mare dopo un percorso tortuoso. Praticava la pesca illegalmente, era un bracconiere, come tanti altri nelle valli. Soprattutto in autunno, usciva anche di notte per cacciare le anguille. Io ero affascinata da quella sua attività, ma mamma voleva che ne rimanessi lontana. Lei proveniva da un ramo povero della famiglia dei conti, però aveva rotto i rapporti con i parenti a causa del loro sostegno al fascismo. Aveva studiato, era diventata maestra. – Ora potrei essere una signora – diceva sempre. – Avrei dovuto accettare l’ospitalità di quel fascista di mio cugino, oppure sposare il farmacista che era innamorato pazzo di me. Adesso abiterei in una casa lussuosa, indosserei la pelliccia. Invece ho sposato un contadino, un pescatore di frodo, devo lavorare e… Faceva una pausa con espressione mesta. Scuoteva la testa. Poi, come il mago che estrae il coniglio dal cilindro, allargava le 8
Non si può
braccia, lasciava esplodere il suo sorriso storto, illuminato da una certa luce nello sguardo. – … sono una donna libera, innamorata e felice! Fin da quando eravamo bambini, ci trattava come piccoli adulti, illustrandoci le sue idee sulla libertà. Io non capivo niente, mio fratello Giacomo la fissava con gli occhi ipnotizzati, annuiva, la seguiva come un anatroccolo. C’è un confine che la nostra dignità non ci permette di oltrepassare, costi quel che costi! Questa era la frase preferita di mamma. – Zitta Matilde, è pericoloso – diceva papà. – Siamo in famiglia! – rispondeva lei. Lui la guardava con i suoi occhi blu, che mio fratello ha ereditato e io purtroppo no, e lei stranamente si zittiva. Per un po’, poi ricominciava. Presi la mia decisione quando avevo all’incirca sei anni ed ero una specie di spiritello della palude, magra, con le trecce bionde, gli occhi neri enormi su un faccino pallido. Sapevo che mio padre, talvolta anche di notte, andava a pescare; spesso alla mattina la cucina era impregnata di un acre odore di pesce. A volte compariva un secchio pieno di anguille. Capitava che alcune riuscissero a fuggire, strisciando, e che zia Vanna la inseguisse con un coltello in mano. Continuavano a muoversi anche quando veniva mozzata loro la testa, un fenomeno che osservavo senza capire, tuttavia ammaliata, rapita. Sarei andata a pescare con papà, ero irremovibile su quel punto. Quando glielo comunicai, lui mi accarezzò i riccioli biondi fuoriusciti dalle trecce e mi disse che al momento non era possibile, ero troppo piccola. I rischi erano tanti: le guardie, le zanzare e la malaria… Un giorno, in cui mamma non era in casa, mi feci trovare accanto alla bicicletta che papà usava per andare al capanno dove teneva attraccata la barchetta. – Vengo anch’io – dissi. 9
Capitolo 2
– Rosa, non si può. – Vengo anch’io! – Rosa, la mamma non vuole. Scoppiai in un pianto furioso che lo lasciò allibito. Non ero una bambina capricciosa, quella reazione era del tutto inaspettata. Non riuscì a opporre resistenza, mi caricò sulla bicicletta. Fu una giornata meravigliosa. L’odore salmastro, le grida degli uccelli, la barca che scivolava silenziosa sull’acqua melmosa, sospinta dal paradello, una pertica biforcuta che veniva usata quando il fondale era basso, o dai remi se si voleva prendere velocità… Io che mi rendevo utile compiendo i piccoli gesti che lui mi indicava. Mi insegnò a vedere i balzi dei cefali sulla superficie dell’acqua, mi spiegò che il branzino andava a riprodursi nel mare, per poi tornare a due mesi nei canali. Aveva disseminato la palude di segni di riconoscimento noti solo a lui: una canna limata, una pietra schiacciata, un minuscolo nastrino giallo, mimetizzato con il colore dell’ambiente. Lì aveva calato le reti, che raccoglieva, svuotando poi il contenuto di pesci e anguille in un grande secchio o in un cesto. Osservai e memorizzai ogni cosa. Mi disse che nel piccolo capanno teneva una fiocina che usava solo di notte, quando andava a cacciare anguille con un lume a carburo. Anche per lui fu bello condividere con me la pesca, insegnarmi i suoi segreti, così quando tornammo in bicicletta con un bel secchio pieno di pesci eravamo entrambi felici. La contentezza svanì immediatamente di fronte al viso rabbioso di mamma. Fece una sfuriata pazzesca a papà che subì tutto a testa bassa e poi si rivolse a me: – Dimenticati di andare ancora a pescare. Te lo proibisco nel modo più assoluto. E che non se ne parli mai più! Mi vergogno a raccontare quello che feci, l’unica attenuante è che nella mia testa di bambina quella donna, chiamata madre, mi stava rubando la felicità. Sputai. Per fortuna ero troppo piccola per raggiungere l’obiettivo. 10