Vercingetorige

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Imprese eroiche, vita quotidiana e curiosità di uomini e donne che hanno lasciato una traccia significativa nella storia.

Maurizio Giannini è nato a Roma. Scrive storie per i giovani da molti anni e alcuni suoi libri hanno ricevuto importanti premi, tra cui il Bancarellino. Il libro è dotato di approfondimenti online su www.raffaellodigitale.it

I S B N 978-88-472-2412-4

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vercingetorige

vercingetorigE: 80 a .C. – 46 a .C. Vercingetorige è ancora un ragazzo quando suo padre, il nobile Celtillo, viene assassinato. Da quel giorno, molte cose cambieranno: Vercingetorige diventerà re del suo popolo, gli Arverni, riunirà le tribù galliche divenendone il capo e, soprattutto, dichiarerà guerra a Giulio Cesare che, al comando dell’esercito romano, sta invadendo tutta la Gallia. Un racconto avvincente, pieno di colpi di scena, di momenti drammatici ma anche sereni, narrato dal cugino di Vercingetorige, che fin dall’infanzia ha vissuto a fianco del giovane condottiero, seguendolo in ogni momento della sua avventurosa vita. Una storia che ti permetterà di conoscere molto da vicino la vita dei Celti, le loro abitudini e tradizioni, all’epoca della conquista romana della Gallia.

Maurizio Giannini

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,­ GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

Maurizio Giannini

VERCINGETORIGE Il grande condottiero dei Galli



Per volare con la fantasia

Collana di narrativa storica per ragazzi


Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Giacomo Santo 1a Edizione 2015 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

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Maurizio Giannini

VERCINGETORIGE

Il grande condottiero dei Galli

Illustrazioni di Mauro Marchesi



A LEZIONE DAL DRUIDO

Sono ormai troppo vecchio per illudermi che gli dei

possano concedermi ancora per lungo tempo il piacere di vedere il susseguirsi delle stagioni. Per questo, io, Vercassivellauno, nato nella lontana Gallia, trascinato a forza a Roma, costretto in schiavitù, venduto a un ricco patrizio e ora liberto, mi appresto a scrivere quanto da molti anni desideravo raccontare. Benché sia passato tanto tempo, ancora oggi i ricordi mi riaffiorano alla mente come i pesci del fiume quando il pescatore getta l’esca: eravamo bambini, io e mio cugino Vercingetorige, e avevamo pressappoco la stessa età… Non sapevamo nulla dei Romani, che ormai da anni controllavano la parte meridionale della Gallia, né delle loro velleità di conquista sul resto delle nostre terre. La giovane età non ci consentiva di fare domande agli

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adulti, né i nostri genitori DENTRO LA STORIA... ci parlarono mai di quei I druidi erano i sommi sacerdofatti. A noi spettava solti dei Galli. Erano dei sapienti tanto obbedire e imparare, esperti di cose divine, capaci di parlare con gli dei. Oltre a svolseguendo le lunghe lezioni gere i riti religiosi, erano anche del druido. Del resto non giudici nelle contese. eravamo figli di contadini, di artigiani o mercanti, ma appartenevamo a una classe privilegiata, cui non poteva mancare un’adeguata istruzione. Vercingetorige poi era nientemeno che il figlio del nobile Celtillo, il capo militare del popolo degli Arverni. Tutti i giorni ci recavamo dal druido Luernio che viveva solitario in una capanna sperduta in un grande bosco di querce. Luernio l’aveva costruita là apposta, per starsene lontano dal mondo, in un luogo isolato, protetto da ogni distrazione che avrebbe potuto distoglierlo dalle lunghe meditazioni e dai suoi studi filosofici e teologici. Ricordo come fosse oggi quel giorno di primavera; io e Vercingetorige eravamo molto uniti ma non ci somigliavamo: lui era parecchio più alto di me e aveva un fisico asciutto, con capelli del colore del grano.

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Io facevo sempre fatica a stargli dietro e faticavo pure a mantenermi a dieta, come mi imponeva mio padre ricordandomi che tutti i Galli dovevano essere magri e robusti oltreché coraggiosi. In quella magnifica giornata di sole, io e Vercingetorige stavamo percorrendo il lungo sentiero della foresta che portava dal druido. La luce del sole penetrava sempre meno fra le grandi chiome delle querce che si erano sostituite agli alberi giovani. Il bosco sacro sembrava essere lì da sempre, con le gigantesche querce simili a colonne che sorreggevano il cielo. Non molto lontano da quel luogo, qualche giorno prima, al sesto giorno della luna si era svolta la festa annuale in onore delle divinità venerate dai Galli. I druidi, giunti da ogni parte della Gallia, erano saliti sulle DENTRO LA STORIA... querce, muniti di falcetto Una volta l’anno, tutti i druidi deld’oro per recidere il vi- la Gallia si radunavano in una zona tra Gergovia e Avaricum, schio e deporlo su candi- per onorare i loro dei e discutere di affari. di panni… Mentre io e Vercingetorige ci inoltravamo nella boscaglia, mi pareva quasi impossibile che quei cerimoniali così affascinanti, che gli adulti ci avevano descritto, si fossero svolti proprio tra

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quelle querce dove ora tutto era pace, tutto era silenzio. A quel tempo eravamo poco più che bambini e recarci tutti i giorni dal vecchio druido per mandare a mente le sue lezioni ci sembrava un impegno assai gravoso. Soprattutto quel giorno in cui era appena arrivata la primavera: una leggera brezza soffiava tra i rami degli alberi e tutto il bosco sembrava mormorare. Ogni tanto un uccello spuntava tra il fogliame e mandava un fischio modulato per poi scomparire nell’ombra. Alcuni scoiattoli saltellavano da un ramo all’altro, un daino era sbucato da un cespuglio e dopo averci lanciato un’occhiata era svanito chissà dove, farfalle dalle grandi ali svolazzavano attorno a un fiore illuminato da un raggio di sole, in compagnia di un’ape… Mi soffermai per l’ennesima volta lungo il sentiero che portava alla capanna del maestro. – Ma che fai? Perché ti sei fermato? – disse Vercingetorige dopo essere tornato indietro di qualche passo. Lo guardai sollevando la testa, dato che mi ero seduto su una pietra per riposare un poco. Sebbene avesse la mia età, già aveva l’aspetto di un piccolo guerriero: i grandi occhi azzurri fissavano lontano senza alcuna incertezza, i pugni sui fianchi e le gambe divaricate lo facevano sembrare una statua di candido marmo.

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Io sapevo che perfino lui, addestrato a una rigida disciplina da suo padre, non amava troppo ascoltare le lezioni di filosofia e di teologia. – Oggi proprio non ho voglia… – sbuffai e abbassai il capo quasi temessi una risposta molto severa. – In verità anch’io preferirei restare qui a godermi questa bellissima giornata, ma che vuoi farci? Come possiamo rifiutarci di imparare almeno una piccola parte di quanto il sommo sacerdote conosce? È nostro dovere ascoltarlo e fissare nella mente le sue lezioni. E… – Ho capito, ho capito! – lo interruppi alzandomi. Sospirai. – D’accordo, andiamo a sorbirci anche questa lezione! Quando arrivammo alla capanna del druido, il sole doveva aver raggiunto il punto più alto nel cielo, ma i suoi raggi non riuscivano ad attraversare il soffitto di foglie e di rami che ricopriva quel punto del bosco, e la semioscurità l’avvolgeva quasi completamente. Il silenzio che ci aveva accompagnati durante il cammino sembrava essere perfino aumentato: se prima si sentivano un breve cinguettio e qualche fruscio, adesso più nulla! Pareva che perfino gli animali non osassero disturbare le lunghe meditazioni del vecchio druido.

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Anche noi cercammo di non far alcun rumore mentre avanzavamo verso la porta della capanna, che vedevamo socchiusa. Alla debole luce di una candela, trovammo il druido seduto su uno sgabello davanti a un piccolo tavolo su cui il maestro teneva appoggiati i gomiti. Con le mani aperte si sorreggeva il capo dai capelli bianchi che gli scendevano lungo la schiena. Restò così per un bel po’, e né io né Vercingetorige osammo far parola. Poi finalmente Luernio rizzò il busto e si voltò. La lunga barba bianca gli scivolò dalle ginocchia sfiorando il pavimento di terra battuta. Ci fece quindi un cenno con la mano invitandoci ad andargli accanto. – Oggi vi parlerò dell’immortalità dell’anima – disse soltanto. La lezione era iniziata. Come sempre, parlò mantenendo lo stesso tono di voce, lentamente, con lo sguardo sul punto più buio della capanna avvolta nella fitta penombra. A nulla sarebbe servito accendere un’altra candela o una lucerna: il sapere dei druidi era sempre conservato a mente, considerando disdicevole metterlo per iscritto.

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