R. Villano - Spezierie a Napoli dal V all'XI secolo

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Copia n. _____________ L’autore __________________________

© Copyright Raimondo Villano.

CHIRON FOUND. Praxys dpt

© Ricerche, elaborazioni, copertina a cura di Raimondo Villano. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’editore. All right reserved. No part of this book shall be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted by ani means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise, withoutwritten permission from the publisher. Realizzazione editoriale: Prof. Dott. Maria Rosaria Giordano. Redazione: mobile 338 59 60 222; e-mail: farmavillano@libero.it Advisor executive: Francesco Villano. Edizioni Chiron Found. - Praxys dpt. © 2009 Fondazione Chiron, via Maresca 12, scala A - 80058 Torre Annunziata (Napoli) Tel. 081 861 22 99 Fax 081 353 29 81 website: www.chiron-found.org Vendite: Prof. Dott. Annamaria Giordano mobile 347 61 71 669; e-mail: annamaria.g10@alice.it; http://www.chiron-found.org Stampa LP - Napoli. Prima edizione maggio 2010. Prima ristampa novembre 2010. Prima edizione inglese febbraio 2011. Finito di scrivere il due aprile 2009. Foto di copertina di Raimondo Villano (2005): anfora biansata di fabbrica napoletana della seconda metà del XVII secolo dell’antica spezieria monumentale della Certosa di San Martino in Napoli (Vomero). Serie numerata. Questo volume, privo del numero di serie e della firma dell’autore, è da ritenersi contraffatto. ISBN 978-88-904235-74. CDD 615 VIL att 2010. LCC DG831.

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Indice

Presentazione

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Dalla fine dell’impero Romano al Ducato bizantino

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Dal Regno ostrogoto al Ducato

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Dai Normanni agli Svevi

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L’epoca angioina

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L’epoca aragonese e spagnola

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Dagli Asburgo ai Borbone

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Le produzioni ceramiche

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Farmacie storiche

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Appendice: Epoche storiche

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Presentazione

I

l presente saggio di Raimondo Villano, che si aggiunge ad altre indagini sull’arte farmaceutica condotte su uno scenario ancora più vasto, rappresenta un notevole sforzo di sintesi. Il Regno delle due Sicilie ha trovato la sua unità, almeno a partire dal 1200, con la prima monarchia moderna di Federico II. L’Autore non dimentica neanche i primordi di una civiltà mediterranea che ha, poi, visto nascere in Campania la straordinaria Scuola Salernitana, di origine incerta ma di fondamentale importanza divulgativa, estesa da Bologna, con Guglielmo da Saliceto, a Parigi, con l’Antidotario di Nicolò, proclamato farmacopea ufficiale nel ‘400. Il primato della nascita della farmacia pubblica voluta da un Genio, pur ispirato da un parziale precedente francese, condizionerà questo Stato a prestare grande attenzione alla nostra arte, favorita dalla cultura monastica, dallo scriptorium di Cassiodoro all’universalismo di Costantino l’Africano. Molte dinastie si sono succedute in questo Paese senza però stravolgere le sue caratteristiche, lasciando molto spazio alle baronie locali e all’attività della Chiesa. Per questo motivo non è mai nato uno Stato forte e il prezioso aggiornamento legislativo dovuto ad una Università, per questo famosa, è stato applicato saltuariamente e, forse, a macchia di leopardo. Si può spiegare così il monopolio delle farmacie conventuali benedettine a Napoli nel ‘700, come le impressioni degli stranieri che nell’800 lodavano magari il singolo speziale per la sua onestà, ma rimarcavano le manchevolezze del sistema. Che, per esempio, esploderanno con la legge di liberalizzazione Crispi alla fine del secolo: pur essendo in vigore una pianta organica, che nelle regioni del nord limitò l’incondizionata proliferazione degli esercizi, qui, vedi a Messina e Catania, centinaia di botteghe alzarono un’insegna limitandosi alla raccolta delle ricette, convogliate all’unico farmacista dietro compenso. Lo studio documentato da Mario Zappalà sulla vicenda si unisce alle diverse fonti consultate da Villano, con speciale riguardo alle opere di Andrea Russo e di Chichierchia e Papa. Partendo da questa base, l’Autore riuscirà a scrivere una storia esaustiva della farmacia nel più antico Regno italiano che, anche nel decadente periodo ottocentesco, sarà il più attento ad aggiornare i suoi Petitoria e Ricettari Napoletani rispetto agli altri Stati italiani.

Dott. Antonio Corvi Presidente Accademia Italiana di Storia della Farmacia

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Abbiamo la responsabilità

di mantenere vivo il passato dal quale veniamo: è allo stesso tempo nostro padre e nostro figlio”

Carlos Fuentes

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Dalla fine dell’impero Romano al Ducato bizantino Al tramonto dell’impero romano, in Oriente, dove è vivo il contatto con il mondo bizantino, gli arabi accolgono quanto vi è di più prezioso nella tradizione classica in campo medico. Essi, quindi, attraverso il grande impero Arabo, insediato a Baghdad ma irradiato verso il Mediterraneo, diffondono la sapiente opera e cultura araba in Occidente facendo partecipi i saggi di Spagna, della Sicilia, della Tunisia, dell’Algeria e del Marocco. Le cognizioni della scienza araba filtrano ben presto in Italia meridionale venendo accolte ed elaborate. Per la medicina del mondo medievale “l’affacciarsi della civiltà araba nel bacino del Mediterraneo” costituisce “una sferzata di novità(1)”. Ciò, inoltre, vale non solo a conservare e tramandare il sapere greco, di cui gli arabi sono i veri eredi, ma ad arricchirlo considerevolmente impegnati, nel contempo, a perseguire una loro propria scienza sperimentale rafforzando, in particolare, le loro cognizioni di farmacologia botanica anche con la conoscenza e l’uso di piante sconosciute all’antichità, come per esempio gli alberi da frutto importati dalla Persia, e influenzando anche la cultura dell’esistente realtà conventuale cristiana: si amplia la conoscenza sia delle erbe, delle droghe e dei modi opportuni per combinarle sia degli strumenti di laboratorio e delle tecniche di conservazione dei vari medicamenti. In effetti, gli arabi volgarizzano l’uso dell’alambicco (in quest’epoca indispensabile per la preparazione di alcool, alcoolati, essenze e acque aromatiche), degli apparecchi di filtraggio, dei vasi d’argento e d’oro per la conservazione dei medicamenti più complessi nonché dei vasi di vetro o porcellana di Cina per la conservazione degli sciroppi; la materia medica vegetale, inoltre, si arricchisce della cassia, senna, tamarindo, noce vomica, rabarbaro, seme santo, zucchero, canfora. Rilevanti sono anche i contributi sia letterari, includenti anche importanti “farmacopee”, sia a livello organizzativo e gestionale delle farmacie ospitaliere e private. Nel tardo impero come in epoca altomedievale sono attive sul territorio delle speciali tabernae adibite alla produzione ed al confezionamento dei medicamenti. Alcune sono più propriamente delle erboristerie (herbaria), addirittura con venditori specialisti di radici (rhizomatoi). Le tabernae sono veri e propri laboratori per la preparazione di farmaci composti (ma anche di profumi) ed i farmacisti operanti usano vasi, mortai, bicchieri, ampolle e fiale di vetro, bilance ed unità di misura. La parte al pubblico delle botteghe è sovente abbellita con animali imbalsamati o con piante provenienti dalle regioni più lontane. Il farmacista è una figura professionale ben distinta e definita genericamente pharmacopola, la farmacia è denominata pharmacopolio ed i farmaci sono aggettivati col nome di pharmaceutici. Già Plauto, inoltre, nelle sue commedie denomina il farmacista anche myrapola e myrapolium la farmacia. Plinio, invece, usa il termine di seplasia e di seplasarii per i farmacisti. Seplasium ha il significato di rimedio (a Capua c’è una piazza Seplasia riferita al luogo dove si svolgeva un tempo il mercato delle droghe). _______________ (1) Torroncelli A., Flos medicinae. La chirurgia di Rolando, in “Kos”, anno II, n. 19, Franco Maria Ricci Editore, 1985-86, pag. 18.

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I farmacisti specializzati in unguenti sono detti unguentarii (nell’Urbe molte botteghe sono concentrate nel vicus Thuriarius e nell’attiguo vicus Unguentarius al Velabro), i mercanti di profumi aromatarii, i commercianti di colori e profumi pigmentarii e, infine, i commercianti di incenso sono i thurarii e di droghe i myrobecharii. La scatola o il cofanetto dei medicamenti che il medico porta con sé nelle visite domiciliari è il loculus od il narthecium. Nel V, poi, fanno la loro apparizione anche in Italia Meridionale le Diaconie che hanno, tra i tanti compiti, quello di occuparsi della pubblica beneficenza e, quindi, dell’assistenza degli infermi unendo la cura dell’anima a quella del corpo con l’obbligo e/o la possibilità di avere a disposizione anche il medicamento; ciò è deducibile dal fatto che le Diaconie per lo più hanno annesso un Ospizio, un Ospedale e numerose Confraternite in cui sono espletate funzioni assistenziali e medicamentose in caso di malattie(2). Tra le altre importanti istituzioni sono celebri le Estaurite (da colui che porta la croce), con spiccato carattere caritativo ed assistenziale, i cui diaconi girano per le città nella domenica delle Palme portando una croce e soffermandosi agli angoli delle strade raccogliendo elemosine destinate ai maritaggi, ai carcerati e soprattutto agli infermi. Dopo una nuova e breve parentesi gota (riconquista di Totila del 542), Napoli è saldamente in mano bizantina grazie all’azione militare di Narsete e diventa Ducato bizantino a partire dal 534 e per i successivi sei secoli. All’inizio dell’Alto Medioevo, a partire dal VI secolo la lebbra può essere considerata stabilmente insediata in Europa Occidentale. Nell’Alto Medioevo essa è una patologia endemica a focolai sparsi o dispersi; i luoghi della sua concentrazione sono esclusivamente raduni di lebbrosi raminghi, espulsi in alternativa alla segregazione dal consorzio dei sani, aggregati da una solidarietà spontanea tra malati emarginati: la diagnosi di lebbra è, infatti, una vera e propria morte civile!(3) Durante il VI secolo, poi, a Napoli imperversano pestilenze e carestie continue la cui entità è tale da contrarre la popolazione italiana da circa 7,4 milioni di abitanti di inizio era cristiana a 4 milioni mentre la popolazione europea va da 32,8 milioni a 27,5(4), (5), (6). _______________ (2) Nel 1875 una statistica fa menzione di ben 199 enti nella sola città di Napoli! (Fonte: Russo Andrea, Speziali e Farmacie d’ordini religiosi nel Napoletano (Comunicazione presentata al VII Convegno di Studi dell’Associazione Nazionale di Storia della Farmacia, Pavia, 20-21 ottobre 1962), Agar Napoli, Giugno 1967). (3) Le cose cambieranno con esplicita menzione o sanzione nel Canone XXIII del III Concilio lateranense celebrato nel 1179 da Papa Alessandro III: “L’apostolo (Paolo) dice “Bisogna onorare maggiormente coloro che soffrono”. (...) Noi stabiliamo dunque, in virtù della benignità apostolica, che dovunque questi uomini (i lebbrosi) siano riuniti in numero sufficiente per condurre vita in comune, possano disporre di una chiesa e di un cimitero e beneficiare di un prete” (fonte: Cosmacini G. op. cit., pag. 112). (4) Cipolla C.M., Storia Economica d’Europa, vol. I: La popolazione europea dal 400 al 1500, Utet, Torino, 1979. (5) Questo tracollo demografico si completa nel 650 allorchè la popolazione italiana si contrae addirittura a 2,5 milioni mentre quella europea a 18. (6) Lo storico Procopio di Cesarea negli anèkdota stima che in Italia i morti siano addirittura 15 milioni.

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Dal Regno ostrogoto al Ducato In una Europa con ampie zone avvolte nelle tenebre, cominciano a sorgere importanti organizzazioni sanitarie nel meridione della nostra Penisola e, soprattutto, prende corpo alla fine del VI secolo una Scuola salernitana che mantiene un indirizzo ippocratico con poche influenze magico-astrologiche. La Scuola Salernitana, in particolare, rappresenta una cultura esclusiva radicata in una regione posta al centro del Mediterraneo e, quindi, aperta ad ogni scambio tra Oriente e Occidente e rende l’Italia Meridionale l’ambiente ideale per la nascita e il progresso della farmacia in forma autonoma tanto necessaria alla specializzazione della farmacologia, da nessun medico dopo Galeno ritenuta branca fondamentale per la medicina. In effetti, il verificarsi delle circostanze che favoriscono il sorgere della Scuola medica di Salerno, della “civitas Hippocratica”, è uno dei fenomeni più interessanti per lo studioso di filologia e di storia della scienza, che in esso scorge il perpetuarsi, il rinnovarsi, il caratterizzarsi di una cultura che ha resistito all’urto distruttivo delle invasioni barbariche, mantenendo un filo conduttore tra la latinità classica e la civiltà medioevale e vi ravvisa il punto di partenza per gli sviluppi della scienza medica futura. Ignota è la data esatta di origine della Scuola ed incerto è il luogo stesso ove la Scuola ha avuto sede. Un’ipotesi che si mostra attendibile è quella che vede la Scuola nascere quasi spontaneamente in un luogo dove s’impone la conoscenza immediata di pratica medica, sia nel riconoscimento delle malattie, sia nel loro trattamento terapeutico, sia nella conoscenza generale dei farmaci. In Italia meridionale Salerno è il vero tramite tra le scuole di medicina orientali ed occidentali. La Scuola Salernitana nasce inizialmente come un centro di medicina pratica laica dedita agli studi medici ippocratici dove dotti in scienze mediche commentano davanti agli studenti la patologia del malato e la relativa terapia; basato quindi sulla pratica, sulla deduzione empirica. Questa scuola è considerata la più antica ed illustre istituzione medievale medica del mondo occidentale; in essa confluiscono tutte le grandi correnti del pensiero medico fino ad allora conosciuto: poco si sa della sua fondazione ad eccezione di una leggenda che l’attribuisce a quattro medici: Pontus, greco bizantino, Helinus, rabbino apolide giudeo, Adela, arabo saraceno e Salernus, latino indigeno, le cui provenienze rispecchiano le influenze culturali presenti. La leggenda narra che in una notte di tempesta un pellegrino greco si sia rifugiato a Salerno riparandosi sotto un portico dove incontra un uomo del luogo ferito; egli esamina il suo male insieme al ferito ed a loro si aggiungono un ebreo ed un arabo e, dissertando sulla ferita, si rendono conto che tutti e quattro si interessano di medicina: prendono, poi, la decisione di fondare a Salerno una Scuola dove approfondire e divulgare le conoscenze professionali. Secondo altri, invece, è Costantino l’Africano a gettarne le basi mentre per altri ancora è stato Carlo Magno ma questa ipotesi è insostenibile in quanto Carlo Magno non esercita mai il suo potere in quella zona.

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Alle sue origini, dunque, ci sarebbe l’incontro ed una singolare fusione tra culture: ebraica, araba, greca, latina: un esempio di sincretismo(7) mediterraneo (civiltà diverse, portatrici di elementi culturali specifici e autonomi, sono messe in relazione tra loro grazie al ruolo decisivo del Mediterraneo)(8). La Scuola Medica Salernitana è la prima vera scuola di medicina fiorita in tutto l’Occidente cristiano. Superato il fanatismo mistico del Medioevo, che comanda la mortificazione dello spirito e della carne, l’astinenza dal piacere ed aborrisce da tutto ciò che rende dolce e dilettevole la vita, essa consiglia al contrario, di godere con giusta moderazione di tutti quei beni terreni che possono rendere bella e santa l’esistenza terrena. Fedele a questi canoni, che contrastano con le aberrazioni, l’educazione e le consuetudini del tempo, la Scuola Medica trova l’essenza della sua missione nello spirito cristiano che la informa e mira ad elevare i valori dello spirito, attraverso i dettami più atti a conservare e rinvigorire la sanità del corpo. Come è noto, il cliché del medioevo oscuro, rozzo e incolto è stato, già da molto tempo, riconosciuto come infondato e tendenzioso dalla critica storica più recente e più obiettiva: basti considerare che quest’epoca ha creato le grandi cattedrali romaniche e gotiche, l’opera di San Tommaso, che resta la più grande costruzione del pensiero speculativo occidentale dopo Aristotele, la Divina Commedia. Ma è noto, altresì, che nei primi secoli del medioevo, per ragioni di ordine naturale e storico insieme (l’esaurimento, che potremmo dire biologico, dell’impulso creativo dopo la splendida fioritura di civiltà del mondo classico, le invasioni barbariche, il depauperamento economico e demografico, e molte altre cause), ha luogo, o più esattamente si aggrava, un decadimento generale della cultura e di tutte le manifestazioni della vita, che d’altronde è già ben visibile in epoca tardoantica. Tanto più grande, perciò, è il merito di coloro che, spesso oscuri e rimasti anonimi, promuovono il rinnovamento, sia ricuperando, come ancora è possibile, il patrimonio della cultura antica, sia, da questo ricupero che pare una scoperta, movendo alla creazione di nuovi valori. In questo travaglio, appunto, si colloca in prima linea, nei secoli fra il IX e il XII, l’opera, e la gloria, della Scuola di Salerno(9). _______________ (7) Syncretismòs, per Plutarco, è la eterogenea coalizione cretese. Da lì deriva il significato di fusione di elementi e principi diversi che concorrono a formare un unico sistema filosofico e, soprattutto, religioso. Due sono i tratti pertinenti della semantica del sincretismo: la novità del risultato che si produce attraverso la sua azione; la sua assimilazione non ad una profonda fusione, quanto piuttosto ad una integrazione, in cui sono riconoscibili tutti i singoli e diversi apporti. (Fonte: Sincretismo mediterraneo della Scuola Medica Salernitana di Aurelio Musi - Ordinario di Storia Moderna - Università di Salerno; da “L’Agenda di Salerno e Povincia” n.60 (nuova serie) – Luglio/Agosto 2002. (8) Il De Renzi nega che abbia avuto un’origine clericale e ribadisce che essendo nata come scuola di medicina tale sia rimasta fino alla fine. Il Cucinotti, dal canto suo, anche lui studioso dell’argomento, afferma che essendo esistite a Salerno fin dall’VIII secolo numerosi monasteri, che ospitano centri ospedalieri con infermerie, è probabile accreditare l’origine monastica dell’Istituzione salernitana. Terza ipotesi è quella che medici laici, medici ecclesiastici e medici monastici abbiano insegnato per proprio conto per poi riunirsi in Societas dando così origine alla vera Scuola. È da premettere che se anche i nomi di tali medici sono accompagnati da titoli religiosi (Subdiuaconus, Clericus, Archiepiscopus) si tratta di titoli del clero secolare e non di quello regolare. (9) R. Cantarella Importanza della scuola medica salernitana nella cultura dell’Europa medievale - Salerno Civitas Hippocratica, 1967, anno I, nn.1-2, pp. 50-1.

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Una delle novità più importanti di questa scuola sta nel fatto di non accettare passivamente la malattia: non solo non si arrende di fronte ad essa, combattendola e curandola, ma, soprattutto, cerca di prevenirla con ben precisi strumenti medici; si oppone, inoltre, alla teoria secondo la quale è inutile curare il corpo in quanto la vera salvezza non appartiene al mondo terreno. Alla base del concetto di medicina della scuola di Salerno stanno approfonditi studi anatomici sul corpo umano, l’importanza dell’armonia psico-fisica e il valore di una dieta corretta ed equilibrata, principi che ancora oggi sono ripresi e riaffermati dalla medicina psicosomatica e dalla scienza dell’alimentazione. Altro grande progresso è il fatto che i maestri salernitani sono disposti a scendere dalla cattedra per avvicinarsi al letto del paziente e discutere con gli allievi degli aspetti clinici delle malattie. Non è, comunque, facile diventare medico a Salerno: prima bisogna studiare la logica per tre anni, poi altri cinque sono di scuola medica (non solo la teoria sui classici greci ma anche la pratica con autopsie per poter riconoscere i vari organi e capirne la funzione) e, infine, si sostiene un esame sia con il maestro del corso sia alla presenza di un collegio composto da altri medici. Se l’esame viene superato, il giovane medico riceve un attestato davanti al quale il re rilascia la licenza per esercitare la professione non prima, però, di avere trascorso un anno come tirocinante presso un medico anziano. Da notare, infine, che la scuola è aperta indistintamente a uomini e donne (queste ultime, tuttavia, esercitano soprattutto la ginecologia). Un altro eccezionale fenomeno esercita una potente influenza su tutti gli aspetti della società ed attrae figure che hanno prodotto cultura e cambiato la storia: il monachesimo cristiano, iniziato con Sant’Antonio nel terzo secolo in Egitto ed evolutosi con Pacomio che raggruppa i suoi seguaci in una comunità, li educa alla vita comune costituendo la koinonia (una comunità cristiana ad imitazione di quella fondata dagli apostoli a Gerusalemme basata sulla comunione nella preghiera, nel lavoro e nella refezione e concretizzata nel servizio reciproco) e stila per loro la Regola monastica. A partire dal V secolo la vita monastica acquista una potente attrattiva in tutto l’occidente e si sviluppa rapidamente. Una ragione di base per questo sviluppo è che tutti i grandi Padri della Chiesa come Agostino, Gerolamo e Ambrogio hanno dato specifiche istruzioni ai monaci e agli altri per un atteggiamento ascetico. La Regula Monachorum, in particolare di San Benedetto da Norcia (480-544), afferma che “infirmis ante omnia et super omnia omnis cura adhibenda est” (“prima di tutto e soprattutto bisogna prendersi cura dei malati”) servendoli veramente come “Cristo in persona”; sancendo, inoltre, che “quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me(10)”, lascia emergere la centralità riservata dall’Ordine benedettino ai malati rispetto alla comunità ed alla stessa potestà dell’abate in virtù di un’intrinseca loro debolezza che li rende “fratelli più piccoli” e segno più evidente della presenza di Cristo anziché peso superfluo e parassitario per i sani e i forti; include, inoltre, il concetto che “la virtù si perfeziona nell’infermità” rifacendosi alle considerazioni di San Paolo. _______________ (10) Capitolo XXXVI dedicato alla cura degli infermi.

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Durante il periodo vescovile (578 al 670) a Napoli sorgono numerosi monasteri che, poi, contribuirscono non poco al mutamento sociale del periodo post-ducale a causa dell’aggregazione dei piccoli monasteri di rito greco in strutture monastiche più grandi che iniziano a seguire il rito latino. Queste comunità, spesso urbane e non solo esterne alla città muraria come un tempo, beneficiando dei generosi lasciti patrimoniali delle classi aristocratiche napoletane costituiscono un elemento di garanzia per la stabilità del governo della città. A partire dal X secolo i monasteri diventano centri di produzione dei medicamenti, elargiti dai monaci in cambio di elemosine, ed importanti produttori e custodi di manoscritti di medicina, di farmacia e di botanica. Con l’incremento dell’attività di assistenza medica rivolta agli ammalati, presso ogni Convento vi è un Hortus simplicium “orto dei semplici” o Hortus medicus (detto anche viridarium nell’Alto Medioevo) per avvicinarsi a Dio attraverso il suo giardino), seguono ampiamente i consigli di Cassiodoro(11) e moltiplicano le conoscenze e la produzione di erbe. Essi creano, a tale scopo, veri e propri orti botanici dove coltivano erbe provenienti da ogni parte del mondo ed in apposite domus medicorum, poi, elaborano composti sotto l’occhio vigile del monacus pigmentarius. All’interno delle strutture monastiche la spezieria ha un proprio locale autonomo ed è attigua alla casa del medico e all’infermeria ed è inserita in una serie più articolata di ambienti dove sono riconoscibili anche l’hortus sanitatis e la sala dei salassi e delle piaghe. La spezieria è, dunque, una vera e propria struttura ben organizzata, rivolta alla cura e all’assistenza degli infermi cui, come è previsto dalla Regula, deve corrispondere un altrettanto organizzata distinzione di ruoli e di funzioni secondo quanto è previsto dalla Regula. Nella medicina monastica la preparazione dei medicamenti ha sue regole e procedure che le promuovono da pratica di cucina esercitata da “donne delle erbe” ad arte dei semplici esercitata dal monacus pigmentarius, o monaco speziale, un ruolo preminente che nella scala gerarchica delle strutture conventuali viene subito dopo il priore o il sottopriore. Egli, almeno fino a quando i medici non si costituiscono in corporazioni e pretendono di diagnosticare le malattie, ha la completa gestione della cura. Già nei primi anni dopo il Mille, con l’estendersi del fervore religioso, nel napoletano sono ben diciotto i monasteri attivi che all’assistenza spirituale uniscono quanto deriva dalle tradizioni degli antichi parabolani “ad curanda debilium aegra corpora” sviluppando una serie di opere di carità ed istituzioni con specifiche caratteristiche di assistenza agli infermi di tale entità da indurre Sant’Attanasio addirittura a definire Napoli quale “città di misericordia, di pietà, e seno di ogni bontà(12)”. _______________ (11) Tra i primi viridari realizzati uno è opera di Cassiodoro che, come già in precedenza ricordato, raccomandava ai monaci di coltivare le piante medicinali e di studiare trascrivendo e miniando le fonti del passato. (12) “Civitas haec civitas misericordiae, et pietatis, est. hin inde vallata omni bonitate”. Fonte: Russo Andrea, Speziali e Farmacie d’ordini religiosi nel Napoletano (Comunicazione al VII Convegno di Studi dell’Associazione Nazionale di Storia della Farmacia, Pavia, 20-21 ottobre 1962), Agar Napoli, Giugno 1967.

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Subito dopo l’anno Mille, inoltre, arrivano in Italia i Normanni contemporaneamente a Salerno contro i Saraceni ed a Bari contro i Bizantini, poi con con i Saraceni contro i Bizantini. Dopo il Mille inizia un periodo di declino dell’attività medica dei monasteri oltre che per la progressiva laicizzazione delle scuole d’origine monastica anche per il generale progresso degli studi con l’avvento delle università o per il fiorire di scuole laiche indipendentemente dai monasteri. A ciò va aggiunta la stessa decadenza disciplinare dei monasteri: monaci periti nell’arte terapeutica e farmaceutica preferiscono praticarla fuori dai perimetri claustrali al servizio dei Signori del tempo o, comunque, dietro corrispettivo in denaro. A tale decadenza sopravvivono, però, non poche farmacie monastiche che conservano la loro importanza e assicurano continuità ad una tradizione che non si estingue. Intanto, si va sviluppando la pratica, iniziata già poco tempo dopo la nascita della religione cristiana, dell’assistenza caritativa agli ammalati e ai poveri in appositi ospizi e ricoveri: si chiamano xenodochia quelli riservati agli stranieri, ptochia quelli per i poveri, gerontocomi sono dette le strutture per gli anziani, brefitrofi sono i luoghi dove si curano i bambini e orfanotrofi quelli destinati a chi ha perso i genitori. In molte strutture gradualmente compare un’area di pertinenza farmaceutica con addetti prepostivi. L’antica misericordia altomedievale, inoltre, si rivela una manifestazione di enorme prestigio sociale da parte dei potenti(13). Sull’onda di una diffusa nuova consapevolezza sul problema della povertà, sono fondate istituzioni ospitaliere affidate alla gestione di ordini religioso-cavallereschi, a canonici agostiniani e a confraternite pie. Gli religioso-cavallereschi sono Ordini Ospedalieri che hanno in realtà una triplice natura: sono ospedalieri, militari e religiosi, visto che spesso svolgono la loro attività in terre straniere tra gli infedeli e i nemici del cristianesimo. In effetti, il Medioevo cristiano dà il fondamento etico alla hospitalitas: questa parola, nota fin dall’antichità ma esclusivamente nella sua accezione di attitudine od opzione individuale nonchè come obbligo giuridico nei confronti dell’ospite, si afferma nella bassa latinità come comandamento condiviso, come servizio reso al bisognoso ed al sofferente nell’ambito di un cristianesimo che si proclamava religione dei poveri(14). Anche nelle strutture assistenziali e, soprattutto, ospitaliere degli Ordini Cavallereschi più importanti vi sono aree farmaceutiche con addetti specializzati. Intorno all’XI secolo presso una chiesa di proprietà benedettina, Sant’Arcangelo agli Armieri, è fondata la spezieria napoletana di più antica memoria ad opera dei monaci provenienti dalla Badia di Cava de’ Tirreni.

_______________ (13) La nuova carità bassomedievale, invece, sarà una forma di redenzione dei peccati da parte dei ricchi di nuova formazione (Cosmacini G., op. cit., pag. 135). (14) Cosmacini G., op. cit., pag. 118.

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