Rassegna N. 063

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RASSEGNA STA A cura del CENTRO CATTOLICO DI DOCUMENTAZIONE - Casella Postale 61 - 56013 MARINA DI PISA

Laqlio-agosto-settemfire

;nno X I , n. 6 3

In

questo

Primo

numero:

piano

A. S o l g e n i t s y n :

Mafia : v i a g g i o 1) 2) 3) 4)

1992

intervista

nell*

a l grande e s u l e

"onorata

russo

società"dall'unificazione a

L a m i o p i a d e l l e autorità s a b a u d e e l e Le c o n n e s s i o n i con l a m a f i a a m e r i c a n a L ' i n t e s a con ì " f r a t e l l i d'America" e I conflitti interni e l'attacco alle

oggi

spedizioni militari i n S i c i l i a e l'intervento d i Mussolini l e s t r a g i d e g l i anni sessanta istituzioni

Droga: L e g a l i z z a r e è a r r e n d e r s i

Politica

pag.1-2

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internazionale

Cambogia: una p a c e s e n z a g i u s t i z i a S o m a l i a : "un m e z z o c i s a r e b b e . . . " G u e r r a d e l G o l f o : a m c a s c i a t o r e USA s p i a d e l K u w a i t

18-17 17 18

Economia Controlli bancari surreali Statalismo e spesa pubblica Mons. B e t t a z z i e i l capitalismo

18 19 20

Mondo c a t t o l i c o Don M i l a n i : un "presuntuoso ribelle" Cardini: su Maritain cattolici contraddittor: I l Sabato: troppo a sinistra

21-22 23 23

Contro-storia Si

rivaluta

i l pensiero

cattolico

controrivoluzionario

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Lo scopo di questa «Rassegna Stampa» è di offrire ai cattolici ed a quanti reagiscono alia situazione attuale, spunti di riflessione e di documentazione che li aiutino ad affermare una sempre più incisiva presenza nella realtà italiana, nella prospettiva della costruzione di una «società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio» (Giovanni Paolo II). Si ringraziano coloro che vorranno aiutarci facendola conoscere e inviando materiale e notizie.


• la Repubblica mercoledì 9 settembre 1992

Mi

' osca - Non ci sono le betulle. Ma tutto il resto è uguale alla Russia che .Aleksandr Solgenitsyn si è lasciato alle spalle venti anni ih. Un bosco di abeti secolari, folto e selvaggio come la taiga. Una casa in legno a due piani, identica a certe dacie di Peredelkino, il villaggio riservatogli scrittori ai sobborghi di Mosca. Édentro ia «dacia», stanze accoglienti, arredate con semplicità, piene di libri, di carte, con grandifinestrea tutta parete che si aprono sul verde del nosco, e una cappella adornata dalle icone dei santi russo-ortodossi. Soltanto un paio di dettaglirivelanoche questo rifugio isolato e tranquillo si trova in America, non in Russia. I l tabellone col cerchio da pallacanestro appeso sopra i l garage, una «bandiera» onnipresente nelle case degli americani- E il pesante cancello a comando elettronico che chiude il lungo viale d'accesso alla casa, con unafittarete di filo di ferro e un cartello che avverte in inglese: «Afo trespassxng*.

Tutto Solgenitsyn accusa per accusa Si ENRICO FRANCESCHI*

lia ha rivelato la data in cui io scrittore tornerà in Russia: ali inizio del 1993, quasi esattamente venti anni dopo La sua espulsione dall'Una brezneviana. Natalia ha trovato una dacia in un'area rurale fuori Mosca, dove andranno ad abitare. Ma la «dada» del Vermont, per ora. non sarà venduta: in caso che i l marito non si ambienti ndla Russia del post-comunismo, oche una eccessiva pubblicità gli impedisca di lavorare. La sua privacy è stata difesa con

l'anteprima del film, e il giornale conclude: «E' russofinosol'ultimo respiro». Dunque ascoltiamo anche noi lo ìfogoeocfesBsope, imprevedibile e controverso come sempre, di questo grande naso, nel suo dialogo con Govorukhin. La Storta 11 m igne i l u p i r r api-

non ci si può tuffare a capofitto per scendereavdfo Bisogna scendere moltoi eoo oppurtune virate, sotto una guidafortee sicura, verso la vaile ddla democrazia.

Come nei 1917,

re 11 futuro bisogna giarda re al passato. Se è eoa. a che punto ha sbarbatola Russia? «Ma per dire queste cose io ven€ Purtroppo in tanti puntL LasupmiMJBHpmB di uno State* consh go diffamalo in Occidente: nsuita ste nel (fingere tutti gli sforai alla che non vorrei ia democrazia in successo in Vermont, anche per realizzazione della prosperità del Russia. Siccome (fico che non la l'aiuto deOa popolazionefocale.U. suo popolo, phiiinairi che alla aoh>- voglio fere in un gforne, sarei un film-intervista di Govorukhin co-* zione (fi problemi esterni Ma la nemico della democrazia. H noMa qualche giorno fa abbiamo a- TTIÌTM-TP <4nll« prtjfp rtiqin «ìT^w-T-rrt»?-. Russa ha violato questo principio stro attuale caos è molto simile a vuto lafortunadi oltrepassare quel ket su cui sono affissi tre cartelli, fondamentale più vohe negli luti- quello seguito ai Febbraio '17;sofo cancello, di entrare nella casa del «niente gabinetto, niente piedi mi tre secoli N d Settecento la Vermont, staterello degli Usa al nudi, niente informazioni sulla Prussia vuole rubare la Sassonia ' che n d ' 17 il caos durò otto mesi e confine con il Canada, e ai parlare- casa dì Solgenitsyn». In casa non all'Austria. Mi chiedo: è davvero fini con il golpe dd bolscevichi, inindù diamente • con Solgenitsyn. lavorano estranei, non ci sono do- una faccenda che ciriguarda?Che vece ora il nostro caos dura già da I sette anni e non si sa ancora come Ci siamo riusciti grazie a un regista mestici né giardinieri, nonostante c'cntrìsiDo d o a ? ne usciremo». russo, Stanislav Govorukhin, auto- il parco siamoito grande: la moglie E ' democrazia _ «Invece, no, mandiamo truppe che edre di un documentario, Tak ztò e la madie della moglie si occupain RUSSIA/ in difesa dell'Austria e comincia- sic nekja (Cosi non si può vivere), che no di tutto. . | mo la guerra dei sette anni con la «Tutti sanno che democrazia è il nel 1989 fece scalpore a Mosca, H figlio Ignatij riceve Govoru- Prussia. N d Novecento il nostro o- potere d d popola Maialiti dimencommuovendo anche Gorbaoov percome rivelava l'esser ira del c o khin, gli fa da guida nel parco («la >" biettivo era larivoluzionemondia- ticano che deve essere i l potere mumsmo nella vita quotidiana dei notte ci passano lupi e coyote»), | le, le azioni sovversive contro dell'intero popolo, non (fi alcune sovietici: rapporti disumani, cru- suona Scbubertal pianoforte («ma i l'Occidente Maforsel'idea più di- centinaia ai persone che vivono deli, uno squallore desolante. In e- il compositoi e più amato da papàò i struttiva, inutile e arrogante fu i l ndla capitale con un unico spiacesilfo, anche Solgenitsyn ha ricevu- Beethoven, perché più gii somiglia i panslavismo: l'idea che noi doti- vole dovere: andare una volta ogni to una cassetta del film di Govoru- ne! carattere»), dice che le Ararne • Diamo] tno governare e tutelare gli siavi quattro anni in qualche distretto khin. L'ha visto e gli è piaciuto. Poi, morte di Gogol è i l suo romanzo del Sue Occidente e d d Balcani. locale per bum rieleggere. La dequest'anno, ha sentito parlare preferito. E' cresciuto in America, Nd Seicento il Patriarca Nikon e lo mocrazia dovrebbe essere basata benedd nuovo film del regatamo- studia urbanistica ad Harvard, giu- zar Akksexj Mikhaifovic volevano su un sistema di TLemalva' o correigii locali, distrettuali, regionali, j il sconta: Rossm, koloruzfu my polcr- da una scasaatissima Mustang usajah(La Russia che abbiamo perso), ta («l'ha comprata per 150 dollari sui Balcani. Per farlo fu necessario sistema deve essere tale che la vouna nostalgica descrizione dei me- mio fratello maggiore»), ma paria cambiare i riti ddla nostra religio- Iontà locale, (fi ogni quartiere, (fi riti della Russia zarista: il grano e- un russo quasi perfetto e haperi ge- ne- Ne nacque ia rottura della Chie- ogni terra eregione,sifecciasenosportato.il rublofortee con vdtibi- nitori il rispetto (fi certi personaggi sa: un colpo tale alla schiena della refinoal vertice, e che (fi essasi tenga sempre conto. Solo cosi ayremle, le i limine del ministre Stofvpm, dei classici russi dell'Ottocento. Russia che infittiva negativamente mo la vera democrazia in Russia. la ricchezza commerciale di MoSolgenitsyn, il cui senso teatrale sul nostro popolo ancora nel 1917. Purtroppo ora non ce l'abbiamo». sca e Pietroburgo, i russi che viagnon è inferiore al genio letterario, Per secoli abbiamo spossato il pogiavano all'estero. Non c'è più II-comunismo, entra in scena proprio al momento pofo con gii sforai militari, dimen-. ...w-i-" - .-.^.c. (fi salutare il figlio: lo abbraccia, lo ticando (h occuparci dd problemi .perù— «U comunismo-non è crollato bacia tre volle alla russa, lo stringe interni. Abbiamo liberato i conta" sempre. Ne è crollata soltanto (fi nuovo e lo guarda partire suua ; dini (dalla schiavitù ddla gleba, componente superiore. Ma la Mustang con un amico. Veste una ndr.) un secolo più tanfi (fi quanto tunica chiana verde oliva, pantalo- avremmo dovuto; e i contadini si componente inedia è rimasta. La ni scuri. Ha l'aspetto d d Grande sono ritrovati ndfo stato in cui è maggioranza ddla nomenklatura Pàli laica delle lettere russe. Dice i l popolo di fronte • si échchiarata democratica. Anzi, II grande esule deOa letteratura che tornerà in patria appena finito dell'economia di I ora salta fuori che erano drmocrarussa non aveva quasi mai aperto ai il suo ultimo romanzo, La Ruota tiri tutta la vita! Ogni giorno ricevo giornalisti la porta della sua cassa- Rossa, sullarivoluzionebolscevi- mei caio: come continuare a vrve- montagne di lettere dalla Russia: re?». m mencana. Per Govorukhin ha fatto ca. scrivono che negli uffici ci sono ie L d scriveva n d 1983: un altro i stessefecce(fi prima. E'cambiata un'eccezione. E il film su SolgeFebbraio (allude a l a rivoluzione nitsyn, destinato alla televisione Mostra al suo visitatore l'ultimo soltanto l'insegna sulla porta. E russa, diventa cosi in un certo sen- pezzetto (fi pane che ricevette n d •sucialdcuMxraffca» d d Feb- non dimentichiamo che la struttuso un documento storico: la con- Gulag la mat^pp innri fii lilwi alo- braio'17, cui fece seguito la rivo- ra del Kgb si é conservata intatta. fessione dell'autore di Arcipelago lo ha fowHvaio tutti questi anni, hniooe bolscevica dell'Ottobre, Gulag alla vigilia del suorientrom lo ha portato con sé in esilio. Pas- ndr. ) sarà per noi ancora più pe- Mifannoridereie affa inazioni dd patria. Dopo la fine dell'Urss e i l gia con Govorukhin sul piccolo ricoloso del primo. Questo peri- tipo: il Kgb non c'è più. D Kgb è ricrollo del comunismo, dopo la sua inasto nel nuovo regime statale cone dd suo studio: lungo e colo oggi è granfino meno? riabilitazione, dopo la restituzione stretto come una cella (fi prigione, «Già aiiora io prevedevo con or- (•<>TH^imn|jii WA«fni ru linutap/ln^i del passaporto e della cittadinan- osserva ilregista,e lo scrittore an- rore quanto sarebbe accaduto a riverniciare la facciata. za, dopo che tutte le sue opere sono nuisce, «proprio cosi, in cella ho oggi Ne ho sempre avuto paura. , di nuovo pubblicate e circolano li- imparato a camminare e a riflette- Quando cominciò questa pere- ' L'apparato è quello di prima, coperto dalla nube della democraberamente in Russia, i l 74enne re». stroika tra virgolette, ho subito co- ( zia». premio Nobel ha espresso il desi«Vedere Solgenitsyn, vedere minciato ad avere paura. E purderio di tornare in patria, per morire ed essere sepolto nella sua terra. come vive, d fa credere che non sia troppo tutto e aiKtatomohc peggio E nei giorni scorsi la moglie Nata- mai andato via dalla Russia», com- delJrebbraio '17. Se d si trova suda (S640t} mentano le Izvestija dopo gelida montagna del total narrano,

La confessione prima del rientro

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SI paria motto delie nuove libertà economiche, delia liberta d'impresaaio mi vergogno a chiamarli imDrenditori. Sono pescecani della finanza e dei commercio. Non producono nulla, non hanno creato alcun bene reale per la Russia. Vendono aria, fabbricano soldi da altri soidi. Si compra, sirivende,si diventa ricchi Si sono ali rari con la vecchia nomenkiatura che doveva ripulire e riciclare i soldi 'sporchi' del partito comunista. E se questa unione vincerà, ci sfrutteranno non per altri 70 anni, ma per 170. Non si potrà più buttarli via dalle loro poltrone. «Il regime che ci governa è una fusione di vecchia nomenkiatura, pescecani della finanza, falsi democratici e Kgb. Questa non la chiamo dcuiocnBfos è un hir*dr> ibrido senza precedenti nella storia, e non si sa come e in quale direzione si svilupperà. Ricevo cene lettere—Mi commuovo fino alle lacrime. Ecco, questa vrae da una maestra di scuola della Kamaatka (legge, ndr.): Tormenti qunfirifeni, La ricerca penosa del pane, i l tempo perso nelle code nei negozi, la gente furiosa tutto attorno, perdi leforze,io spirilo, sei incapace per-

sinodi leggere un libro alia sera... ". Anch'io sono staro maestro di scuoia per anni. Queste parole mi toccano il cuore». Molto si discute su come riformare l'economia. «Oggi tutù si occupano di economia, tutù credono che l'economia andraa posto se un genio • anche se per ora simili geni non ci sono-inventerà una geniale riforma monetana, se qualche Fondo Monetario Internazionale ci darà un piano geniale-e non loferamai perché non capisce come si può trasformare il nostro sistema. Se la nostra coscienza nonrinasce,nessuna economia ci salverà».

E nostro passato? Sporco, sporchissimo

«Già, ora da noi c'è uno slogan molto popolare: Non faremo la caccia alle streghe! Siamo tanto generosi, noi. Perdoniamo tutto a tutti. Invece ci dobbiamo ripulire del nostro passato. Ci dobbiamo liberare del nostro sporco passato. Non ci vuole una 'caccia', ma un pubblico pentimento. Non parlo di quelli che tagliavano le teste, o che sparavano sulla nuca nelle cantine: essi sono degni soltanto del tribunale. Fazio cu quelli che stavano seduti alle riunioni di parSarà possibile riabilitare i l tito, che votavano approvando concetto di democrazia nel pae- qualsiasi violenza - cacciare un se? uomo di casa, mandarlo ai lavori forzati,,, Che vengano avanti e si «Guai al paese in cui la parola 'democratico' diventa una ingiu- confessino: "Capisco la mia colpa. ria! Ma è morto anche il paese in Capisco che votavo per una cosa ingiusta Sapevo che era tutto falcui la parola 'patriota' diventa un'ingiuria. Quando Gorbaciov so, ma ho lasciato fare". dal suo trono dichiarò la giasnost, «Epoii giornalisti. Adesso ci sveIanostrasocietaècadutain trappola. Sono nate due fazioni che, in ve- lano segreti, misfatti. Ma come osano? Perché non cominciano le rice di cercare di abbattere il comuvelazioni da ae stessi? Ognuno di iùsmo, hanno cominciato a mordersi l'ima con l'altra. Così 'demo- loro ci ha raccontato il falso per anni, ci haarcecatoeaasoi dato.se cratici' e 'patrioti' sono diventate la nostra gioventù vedrà che bisoparolacce. Per sei anni la società mordeva se stessa, mentre Gorba- gna rispondere pubblicamente e arrossire perle proprie ingiustizie, oov cicalava la propria demagogia, pensando a come correggere il allora penserà che fórse vale la pena eh vivere onestamente. Altricomunismo, a come entrare nel menti non salveremo la gioventù, modo migliore nel futuro con tutto e diventeremo un albero marca?». il suo imparato comunista». Qualcuno teme che, per distrarre 11 popolo daOe difficoltà quotidiane, si lanci una caccia afle streghe del t'fgiim. comuni-

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il Giornale

MercoteOi 19 agosto

1992

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- laggio non «onorata società» dall'unificazione nazionale ad oggi -1 / La miopia delie automa sabaude e le spedizioni militari in Sicilia

IVIafia, come si legalizza un crìmine

La Destra storica tenta la via della repressione, la Sinistra chiama a Palazzo gli uomini d'onore di Marco Travaglio Cosa Nostra. Onorata Società. Mano Nera, Grande Mamma, Piovra. Quanta ipocrisia lessicale, pur di non chiamarla col suo vero noma L'omertà, in Sicilia, è una cosa seria, serissima E allora, niente meraviglia se nessuno storico iteb R mafia è ancora riuscito a ricostruirne le origini etimologiche e la data di r«u«wt» Ogni leggenda è buona Ottima per alimentare quell'aura di romanticismo e di mistero che affascina tanta gente/la soggioga la narcotizza E la induce alla complicità, al silenzio. • BEATI PAOLI E DINTORNI - H mito più intrigante è quello che rimanda tutto ai Beati Paoli* una società segreta nata intorno al 1185 per vendicare 1 soprusi del nobili feudali contro la povera gente. Cosi chiamata perché gli adepti andavano vestiti come i monaci di San Francesco da Paola. DI giorno, narrano le cronache, stavano mtra li chiesi a diri hi rusartu (pri finzioni)», ma di notte si davano convegno nel sotterranei di Palermo per tramare sanguinose vendette. Firmate con 11 marchio inconfondibile «foli» mano armata di pugnale, o delle due spade incrociate e sormontate dal crocifisso, insieme al motto «Et imquitates non prevalebuntx. Come ha scritto Denis Mack Smith, « Beati Paoli potevano essere o non essere delle organizzazioni serie. Ma senza dubbio esistevano a Palermo gruppi di delinquenti che imponevano tributi tanto ai contadini quanto ai signori». Insomma, nel primo Ottocento «tutti gii ingredienti della mafia erano già presenti, tranne la parola». Nel 1838 don Pietro UÙoa, procuratore generale a Trapani, vergava un allarma' rissimo rappurtoper 11 governo borbonico di Napoli: «Non c'è Impiegato In Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono In molti paesi delle fratellanze, specie di sette che dlconsi partiti, senz'altro legame che quello della dipendenza di un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora di incoipare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione con i rei.

Come accadono furti, escono dei mediatori a offrire transazioni per il recupero degli oggetti rubati. Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile.- Non è possibile indurre le guardie cittadine a perlustrare le strade, né di trovare testimoni per i reati commessi in pieno giorno. Al centro di tale stato di dissoluzione c'è una capitale con il suo lusso e le sue pretensioni feudali in mezzo al XIX secolo, città nella quale vivono 40 mila proletari, la cui sussistenza dipende dal lusso e dai capricci dei grandi In questo ombelico della Sicilia si vendono gii nfnrn pubblici, si corrompe la giustizia, si fomenta l'ignoranza». La mafia c'è già: manca la parola • MAFIA CON DUE EFFE Anche sull'etimologia ce n'è per tutti i gusti. Il primo vocabolario siciliano che registrala parola mafia è quello del Traina (1868) : e la dà come importata in Sicilia dai «piemontesi», cioè dai funzionari e soldati venuti in Sicilia dopo Garibaldi, ma proveniente forse dalla Toscana dove maffia vuol dire miseria e smafen sgherri Altri la fanno invece derivare dall'arabo (mu'afah, forza protetta; mahaxs, spaccone; Ma'afir, una tribù che conquistò Palermo), dal greco (morphe, prestante), dal latino (maleficio), dal francese iMaufaa, i seguaci del dio Maule; omafter. Ingozzare), dal piemontese (malaffare). Ma c'è anche chi pensa che le mafiefosserole cave di tufo dove si radunavano i carbonari trapanesi, oppure quelle i cui «piciotti» accolsero Garibaldi sbarcato a Marsala coni Mille. Per non parlare di chi vi legge una sigla: «Morte Al Francesi Italia Anela» (conlata nel 1282, durante i Vespri siciliani), o addirittura «Magrini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti» (di età risorgimentale). E di chi favoleggia di un tal Turiddu Mafia, padre fondatore della consorteria. Comunque «hann andate le cose, è certo che nell'Isola, a metà dell'Ottocento, la parola mafia esprimeva un concetto di superiorità, coraggio, intraprendenza, violenza individuala Ma sempre circondata da un alone di rispetto, di ammirazione, di timore reverenziale: allora i briganti furoreggiavano nei romanzi d'appendice, dipinti come intrepidi giustizieri dei poveri contro i soprusi dei ricchi e dei potenti. Al punto che Dumas, nel suo «Pasquale Bruno», poteva scrivere: «In Paesi come la Spagna e l'Italia, dove la catti-

va organizzazione della società porta sempre a respingere e mantenere in basso chi è nato in basso— chi si trova in quelle condizioni si ribella conno questa ingiustizia divina, decide di farsi da se stesso difensore del debole e nemico del p o tente. Ecco perché i l bandito BPUPoloaquaiioilBBMBOSOPO figure cosi poetiche e cosi popolari. E11 più grande studioso di tradizioni popolari siciliane, Giuseppe Pttré, poteva sostenere che «la mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti—: è la coscienza del proprio essere, l'esagerato concetto della forza individuale». Qualcosa di «rftrrUe, insomma, alla baienrio dei sardi Tutto fuorché una banda armata. • «MAFIUSL» A TEATRO L'inventore della mafia come associazione a delinquere si phiams Giuseppe Rizzotto: i l romanziere «rtHitann che nel 1862 scrisse e portò in scena un drammone popolare, «I mafiosi de la Vicaria». Narrava la storia delle bravate di una ghenga di frequentatori abituali del carcere di Palermo, la «Vicaria» appunto, Un polpettone quasi inguardabile. Ma gratificato da un enonne successo anche nel Continente (vi volle assistere persino i l principe ereditario Umberto di Savoia). E molto istruttivo: fotografava finalmente ciò che era diventata la mafia, una setta i n piena regola, con tanto di rituali, leggi, seghi di riconoscimento. E delitti a catena. Ovviamente ci fu chi bollò Rizzotto come «traditore della Sicilia», al soldo del denigratori piemontesi Ad neeii il ik >. i l suo ben più noto collega Luigi Capuana, per i l quale la mafia non era che un innocuo e comprensibile «spirito di insofferenza per le prepotenze». Di t u t f altro parere magistrati come l'agrigentino Alessandro Mirabile, che proprio in quegli anni preparava le reqiilgttmrto ApA primi processi alla mafia, sulla scorta delle confessioni del primo «pentito» che si ricordi. L'uomo si chiamava Bernardino Verro: dopo aver aderito i n gioventù alla onorata società, ne era uscito per iscriversi al nascente movimento socialista dei Fasci siciliani, ed aveva consegnato ai giudici un memoriale pieno di informazioni preziosissime. I l pover uomo pagherà con la vita il suo «sgarro» all'onerata società: k> troveranno cadavere, i l 3 novembre 1915, in una stradina di Corìeone, di cui era appena diventato

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sindaco. A quarantotf anni H primo «infame» morto ammazzato di una lunga catena. Intanto, tre anni dopo il suo ingresso nei vocabolari dialettali, la parola maria aveva fatto il suo esordio in un documento ufficiala, e nei suo significato più autentico: i l rapporto del prefetto di Palermo Filippo Antonio QmtHiwro. Inviate il 25 aprile 1865 al ministro dell'Interno. «I liberali nel 1848, i Borboni Della restaurazione, igarihaMM nel 1860», 'ITI 1 '****""' a dire il prefetto, «ebbero tutti la Stessa Twyvfyyltà, si irt»«v?fri1ftjYV no tutti della medesima colpa: legarsi a queafaaeorlarinnr malandrinesca detta mafia. Sicché l'abitudine a la necessità della trista associazione la titww sempre *np»*» }f dal partiti». • IL GOVERNO NON CAPISCE - Distratte, lontane e impreparate, le autorità sabaude fan di tutta l'erba un fascio. E assimilano la m*ft ft alle bande sanfediste e antiunitarie che i n quegli anni scorrazzano nel Meridione dando filo da torcere all'esercito. Problema militare, insomma Cosi, dal 1863, la legge contro il brigantaggio è estesa alla BloPlài dove giunge alla testa delle truppe regie i l generale Govone. I l quale non trova di meglio che cingere d'assedio Palermo, Girgenti, Trapani e Caltanissetta, provocandovi la rivolta La Sicilia è messa a ferro e fuoco per una settimana dal 16 al 22 settembre 1866. Poi la repressione del generale Cadorna tanto spietata da costringere il governo ad inviare sul posto una commissione d'inchiesta la prima di una lunga seria I lavori si concludono nel giro d i una «W^*"* d i giorni, con . vaghe e generiche proposte di sussidi ed opere pubbliche^ L'anno seguente, i l 1868, un altro gene rale si affaccia sullo stretto di Messina- è Luigi Medici, luogotenente generale con poteri straordinari, per soffocare gli ultimi fermenti. Ancb'egli, invece di scandagliare a fondo l'organiszazione mafiosa, si preoccupa soprattutto di reprimere e liquidare i partiti di opposizione al governo: non tanto i borbonici, quanto i democratici garibaldini Accusati, questi ultimi, di aver scatenato la rivolta i n combutta con la mafia ed elementi delYAnàen Régime. Nel 1871, i l «generalissimo» chiede ed ot-


Una classe che sa soio divorare tiene una legge speciale, che gli consente di infliggere 1'«ammonizione» (una forma di vigilanza speciale) o il domicilio coatto (in un'isola deserta) a chiunque sia sospettato o denunciato come «sovversivo». Una legge che non serve a recidere le radici della malapianta mafiosa. Anzi, tutto i l contrario. • I PALAZZI DEI VELENI La luogotenenza usa i l pretesto della mafia per abusi e soprusi di ogni genere. Operazioni di «repulisti» politico, più che di lotta alla malavita. Scoppiano cosi i primi contrasti tra la polizia e una parte della magistratura, che insorge contro le soperchierie del Medici e dei suoi uomini. I veleni di Palermo giungono fin sulla scrivania del ministro dell'interno Giovanni T.BTì*n che si vede recapitare una denuncia risezsatatsulla condotta del questore di Palermo, Albanese. E accusato di insabbiare sistematicamente le inchieste, occultare le prove, minacciare 1 testimoni, assoldare sgherri e picciotti, promuovere tacite conciliazioni tra assassini mafiosi e parenti delle loro vittime. Partono le solite inchieste, ma i l questore resiste. Finché, nel 1869, non vengono trovati morti ammazzat i due testimoni scomodi, che si apprestavano a denunciare le illegalità commesse da alcuni agenti. La magistratura palermitana spicca un mandato di cattura contro i l questore, che viene processato. Ma le condanne piovono soltanto sulle teste di alcuni suoi sottoposti. Lui se la cava per insufficienza di prove. D procuratore generale di Palermo, Diego T aj ani, deluso e amareggiato per quella sentenza scandalosa, lascia 11 suo posto e torna all'avvocatura, per poi essere eletto alla Camera nel 1874 nelle file democratiche. Sarà proprio lui, l'anno seguente, a puntare i l dito contro i l governo della destra con un discorso rimasto famoso: «Dal 1860 al 1866 non avete fatto che offendere abitudini secolari, suscettibilità anche puntigliose di popolazioni che erano disposte a ricambiare con un tesoro d'affetti un governo che avesse saputo studiarle e conoscerle. Invece oggi manca in Sicilia un'idea esatta della parola governo. Bisogna ricostituirla, questa idea: bisogna accerchiarla di un'aureola imponente, perché se non si comincia da questo non si farà mai nulla». Per tutta risposta, i l ministro dell'Interno Nicotera, inasprisce la repressione del brigantaggio, vara altre misure eccezionali, spedisce nell'Isola la seconda commissione d'inchiesta.

Ancor più inconcludente della prima: «Il fenomeno mafioso» . si legge nella relazione finale, «è un pervertimento sociale, residuo dell'antico regime, determinato anche dalla riluttanza delle popolazioni a lasciarsi modificare dalle nuove istituzioni». La mafia come appendice dei Borboni, dunque. Nulla di più superficiale, sbagliato, fuorviarne. • I PERCHE' DELLA MAFIA - Come ha scritto Leonardo Sciascia, la mafia era, già allora, qualcosa di ben più complesso e originale: «Un movimento che si può paragonare al passaggio da una società feudale ad una società borghese. Quel passaggio che In Francia si realizzò attraverso la Rivoluzione del 1789 e in altri Paesi, attraverso quello che fu detto l'assolutismo illuminato». La Sicilia non conobbe né l'una né l'altro: «La terra passò dai baroni ai 'borghesi"... attraverso operazioni di tipo mafioso. I contadini promossi a campieri (specie di carabinieri del feudo alle dipendenze del barone) e da campieri a "gabellotti" (cioè ad affittuari delle terre), Intimorendo 1 baroni, facendo loro dei prestiti con usure ingenti, derubandoli del reddito, riuscirono ad impadronirsi della terra. Ma, servi divenuti padroni, i loro vizi furono quelli del loro antichi padroni: volevano soltanto la terra, terra quanto più estesa possibile. E si contentavano del reddito che la terra aveva sempre dato. Non volevano trasformarla, bonificarla, migliorarla. U reddito della terra veniva investito In altra terra... Insomma, la classe borghese-mafiosa non sa costruire: sa soltanto divorare. Da ciò deriva che all'Interno di tale classe c'è un continuo conflitto, un continuo processo di sostituzione... I delitti della mafia sono perciò, di solito, interni: conflitti tra una nuova generazione e la vecchia, tra gruppi che sono già arrivati al potere, alla ricchezza, al decoro, e gruppi che vogliono arrivare. L'"arrivo", dunque, spesso coincide con l'annientamento (anche fisico), con la fine». E con questa organizzazione, prepotente e ramificata, non con presunti residuati del sistema borbonico, che lo Stato Italiano, all'indomani dell'Unità, cominciava a fronteggiarsi Ma senza percepirne, per decenni, la portata e i l pericolo. Eppure due sociologi come Leopoldo Franchettl e Sidney Sonnino, nel 1877, avevano già capito tutto. È stupefacente come la loro Inchiesta privata sulla mafia, dopo una visita agli stessi luoghi perlu-

strati dai miopi onorevoli delle vane commissioni d'inchiesta, sia giunta subito al nocciolo del problema: «Sotto le parvenze politico-amministrative», scriveva Franchettl. «si nasconde spesso i l gruppo di mafia: cosicché si rende necessano, direi quasi indispensabile, i l bisogno di aderire, cordialmente o per timore, ad una clientela... Qui non si comprende la vita privata e pubblica che si svolga esclusivamente entro i l dominio della legge, ma sempre dentro un partito, perché l'uomo onesto è esposto alle vessazioni del primo venuto». La mafia non come fenomeno occasionale o come residuato di un mondo che agonizza. Ma come conseguenza di certi rapporti sodali ed economici, oltreché della l a t i t i m i delle istituzioni


I tentacoli della Piovra sulle poltrone Dalla repressione dei Fasci siciliani al giallo Notarbanolo. le cosche avanzano protette dai politici in cambio di voti • SINISTRA, DI MALE IN PEGGIO. • Se la destra di Lanza e Sella, in gran parte formatariasettentrionali, è miope, la sinistra storica - perlopiù meridionale - ci vede benissimo. Ma, dopo il suo avvento al potere (1876), chiude un occhio, se non due. Mentre la Piovra, fino ad allora fenomeno prevalentemente rurale, mette radici nella «conca d'oro» (la zona più fertile intorno a Palermo, dove fioriscono le coltivazioni di agrumi) e allunga nnnh» i suoi tentacoli in città, con i Depretis e i Crlspi al governo «inizia - secondo lo storico Salvatore F. Romano - la fase della legalizzazione dàUà mafia». L'uomo d'onore entra nei palazzi che contano, occupa la poltrona di sindaco e talvolta anrha quella di deputato. Francesco De Sanctis, nel 1877, denuncia che «nei «vmaigH comunali, provinciali e parlamentari si formano asso,ciazioni di cointeressati 1 quali, pur nascondendosi sotto una qualsiasi maschera, sono vere associazioni a delinquere. O, se preferite, dei mangia con tutti». E Napoleone Colajanni racconterà poco più tardi* «La Sinistra aveva contratto molti debiti politici e morali in sedici anni di lotta contro la destra. Non poteva pagarli che a spese della cosa pubblica, a spese soprattutto della giustizia e della legalità. I favori e le ricompense perciò piovvero sugli amici sui clienti, sui ereditari, sotto forma di impieghi, concessioni di ogni genere, di onorificenze cavalleresche. ..L'ingiusti-

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zia, la sopraffazione, la violazione della • I L GIALLO NOTARBARTOLO. - H legge fecero capo c i s " ' m H h p < " T 1 p " t p al1° febbraio 1893. l'ex direttore del Bandeputato o al candidato governativo». co di Sicilia di Palermo, i l marchese La mafia sta col governo, dunque. E dà "Fbnftniipip Notarbartolo, è assassinato una mano a Cnspi (anche lui buon ami- con ventisette coltellate sul diretto co di diversi boss) quando, dimentico Termini Imerese-Palermo, e gettato delle sue origini democratiche, i l «Bi- dal treno i n corsa. Per mesi gli inquismarck all'italiana» reprime nel sangue renti brancolano nel buio. Poi i l figlio il movimento dei Fasci siciliani DIO dicembre 1893 campieri e mafiosi aprono fidila vittima, i l guardiamarina Leopolil fuoco, a Giardmelle, contro i brac- do Notarbarolo, si decide a raccontare ancianti che tentano di occupare le terre. ai giudici ciò che a Palermo I l giorno di Natale, iiwtiri morti a Ler- che le pietre: a fare ammazzare suo pacara. All'alba del Capodanno '94. le dre è stato l'onorevole Raffa»u» Palizguardie campestri (al soldo degli uomi- zolo. uomo di Crlspi eletto a Palermo, ni d'onore) sparano ancora: sette morti. noto capomafia, nonché consigliere d'amministrazione dell'istituto di creUn'indagine rivelerà poi che quei colpi di lupara sono partiti dalla casa del sin- dito nell'occhio del ciclone per io scandaco mafioso. Ma i l regime ci Imtao fa dalo delle speculazioni e dei libri condi tutto per insabbiare le inchieste che tabili falsificati che coinvolge parecchi ne seguono, segretamente riconoscen- parlamentari. Uno dei killer di Notarte. E i processi si chiudono con una bartolo è i l ferroviere Giuseppe Fontana di Vlllabete, membro della «famijyfflr-»fti «jTMnifWfionwaftiproup» IH Ha glia» di Palinolo. E II movente è chiapoco i l governo scioglierà i Fasci, proclamando lo stato d'assedio. Ma senza ro come i l sole: l'ex banchiere ha denunciato l'onorevole per aver falsifineppure toccare le croche (cosca è, i n origine, la corona di foglie del carciofo). cato un mandato di pagamento di 8 Anzi, nrtn c'è deputato sin ilo della sini- mila lire. Denaro che è servito a Palizstra storica che non intrattenga ami- zata per finanziarsi la campagna eletchevoli rapporti con 1 mammasantissi- torale: se non fosse stato eletto, avrebma, gffrantj»r>rin impunità e favori i n be perduto l'Immunità parlamentare e r-nmhrin di voti: soprattutto dopo la ri- subito un processo per l'assassinio di forma del 1882, che ha quadruplicato i l un suo colono. Prove schiaccianti. numero degli elettori. Cosi l'onorata so- HiTTvyip Tantopiù che wrwiiawa viene cietà allunga le mani in ogni settore, dal- arrestato e riconosciuto dal vice capol'agricoltura all'industria, dal commer- stazione di Termini come d'uomo dalcio alla politica. E persino all'alta finan- la faccia dura» salito sul OOPfO^lo la za. sera del delitto. Ma al primo dibattimento, nel *94, i l testimone ritratta. Seguono altri due processi, uno a Milano nel *99, l'altro l'anno seguente a Bologna. Alla fine Pallraolo, arrestato dopo che la Camera ha concesso l'autorizzazione a procedere, è condannato a trenf anni. Le hmgh» m B — sconvolgono i l Paese e scoperchiano la maleodorante fogna delle complicità politico-mafiose. Risulta che i l generale Mirri, direttore della Pubblica sicurezza e buon amico di Palizzata, gii ha reso parecchi favori: alla vigilia tirììi» elezioni politiche di Alcamo, nel 1895, ha fatto avere la libertà provvisoria a un certo Rwio/tirtn, pregiudicato per associazione a delinquere e nminifìin sostenitore del candidato governativo Damiani, con questa raccomandazione: «Bisogna ad ogni costo (die Damiani sorta vittorioso dalla lotta, perché Damiani è Crlspi». E l'anno seguente, alle amministrative palermitane, lo stesso Palizzata ha fatto scarcerare un altro pregiudicato. Mattai, candidato Crispino alla carica di sindaco di un comune alle porte del capoluogo. Dopo la rv-rvinnn» del deputato, **a«r-« subito un «Comitato prò fitania» tra 1 suoi *nmit?t» ianìuni che stigmatizzano duramente la sentenza. E1127 gennaio 1903 la Cassazione emulila tutto. Un anno dopo Palizzata è assolto dal tribunale di Firenze per «insufficienza di prove». E Corrado Carnevale non è neppure nato. (1- continua) I

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INCHIESTE

il Giornale

Giovedì 20 acostó 1992

Viaggio nell'«Onorata Socieu» dall'umlìcazione nazionale ad oggi: le connessioni con la malia americana e i'intervento di Mussoiini/2

Un paisà e un prefetto contro le cosche La sfida di Joe Petrosino alla Mano Nera e l'impresa interrotta di Cesare Mori di Marco Travaglio Lo chiamano Lupo Solitario, e non a torto. Joe Petrosino è uno di quei detective venuti dalia gavetta che non rispettano granché le forme, ma che badano parecchio alla sostanza. Che non guardano i n faccia nessuno, e di nessuno si fidano se non di se stessi. L'uomo più adatto a combattere la Mano Nera. Ossia la potente organizzazione criminosa che, nata per assicurare «protezione» agli emigranti italiani i quali - a cavallo tra Ottocento e Novecento - cercano fortuna (o impunità) In America, si è subito trasformata i n una terribile affiliazione gangsteristica della mafia siciliana, terrorizzando col racket la Little Italy newyorkese e mettendo le mani su tutti gli affari più proibiti e lucrosi del tempo. • DA STRILLONE A DETECTIVE - Nato a Padula, nel Salernitano, nel 1860, Giuseppe Petrosino emigra i n America a 13 anni, col padre. E l i , come tutti i paisà (o dogo, come l i chiamano sprezzantemente gli americani) della Grande Mela, s'arrabatta a fare un po' di tutto: dal lustrascarpe allo strillone allo spazzino. Poi l'ingresso nella polizia, dove mostra subito coraggio ed abilità investigative da vendere. Primo italiano ad indossare quell'uniforme, è anche l'unico dei 30 mila agenti di New York a capire e parlare la lingua dei dogo. Cosi, a capo di un pugno di italo-americani pomposamente battezzati Italian Branch, si getta a capofitto nell'operazione repulisti di Little Italy. Entrando subito i n rotta di collisione con la Mano Nera. Nel giro di pochi anni, questo poliziotto bruttare Ilo, tarchiato, aito non pili d'un metro e sessanta si guadagnala stl mari egli ita-lianl perbene, i titoli a tutta pagina dei giornali, l'amicizia personale del presidente Roosevelt. Le sue imprese hanno sempre un che di pittoresco, di misterioso, di thrilling. Maestro nei travestimenti, Joe è solito presentarsi in casa dei boss abbigliato da barbone, da contadino, da manovale, da gangster. Insomma, i l classico personaggio da prima pagina. Da film poliziesco. Insofferente alle norme ed ai cerimoniali, regala sempre un

suo «ricordo» a chiunque per insufficienza di prove passi sotto le sue grinfie: pili espulso senza tenti complid'un capomafia, nel suo uffi- menti dall'America. Torna a cio, lascia buona parte della Palermo, dove non fatica dentatura. «Cosi vi ricorde- molto per riprendere in marete chi è Petrosino», è il suo no l'Onorata Società, riperituale commiato. tendo l'opera di riorganizzaTra le centinaia di crimi- zione già attuate a New York. nali che in quegli anni fanno E tra gli uomini più ricchi i conti con lui, c'è tutto i l fior dell'isola, controlla migliaia fiore della malavita italo- di voti, è amico e sponsor di americana: da Ignazio Lupo politici locali e nazionali. a Joe Morello, futuri capi Che lo ricambiano con la crodella Mano Nera; da Giovan- ce di cavaliere del Regno epni Alfano, i l boss camorrista poi addirittura con la comcoinvolto nel delitto Cuoco- plete riabilitazione, dando Io, all'onorevole Palizzolo un bel colpo di spugna ai reache, assolto al processo No- t i che macchiano la sua feditarbartolo, ha preferito na penale. Ora è d i nuovo u n cambiar aria in America; ma uomo rispettabile. E «di r i soprattutto don Vito Cascio spetto». Ma i n tasca conserFerro, l'uomo che ha inven- va una foto di Joe Petrosino, tato in Sicilia ed esportato e ripete agli «amici»: «Non ho negli States i l racket delle mai ammazzato nessuno, estorsioni. I l primo grande con le mie mani. Ma se mi caboss dell'Onorate Società si- pite a tiro quello l i , me lo dovete lasciare tutto per me». ciliana. si presente nel a DON VITO, SUPERBOSS L'occasione 1909, quando i l poliziotto più - Padrino di gran calibro, famoso del mondo, stufo di forse i l più noto e potente reclamare dalle autorità itadella prima metà del secolo, liane u n «filtro» più severo ai don Vito è «Li due anni più an- permessi d'emigrazione, apziano di Joe. Nato a Bisaqui- proda a Palermo per bloccano, a due passi da Corleone, è re sul nascere l'espatrio in figlio di un «campiere» ed ha massa di boss e picciotti verimparato a leggere e scrìvere so l'America. È in missione solo dopo 11 matrimonio con segreta, e sotto falso nome: una maestrina. Alto e robu- Simone Velletri. Ma i l capo sto, barba fluente e porta- della polizia newyorkese mento signorile, si guadagna spiffera subito tutto ad un ben presto 11 prestigio di «ga- quotidiano. E chi «deve» salantuomo» e i l tradizionale pere, sa. titolo di «don». Dopo la militanza giovanile nelle file • DELITTO NELLA NOTanarchiche (all'epoca dei Fa- TE - Giunto a Palermo i l 28 sci siciliani, 1892), che gli febbraio, dopo u n cordiale e procura una condanna e lo riservato, incontra col capo costringe a rifugiarsi in Tu- del governo Giohtti, Petronisia per un po', aderisce alla sino batte in lungo e in larmafia. E già nel '98 deve ri- . gaia £taUia,i*aaoteado -sui spondere dei reati tipici del- suoi registri i capi d'impul'Onorate Società di allora: tazione dei principali padriabigeato (furto di bestiame), ni italo-americani, per previolenza, incendio doloso, parare i provvedimenti di i sequestro di persona. Pro- espulsione dagli Usa. Un'osciolto per mancanza d i indi- perazione che, se andasse zi, nel 1901 preferisce espa- in porto, mozzerebbe di triare oltreoceano. E li. forte netto la Mano Nera. La madel suo gran prestigio inter- fia lo lascia lavorare fiochi nazionale, assume il control- giorni, poi due o tre killer lo della Mano Nera, moder- l'ammazzano con quattro nizzandola, collegandola colpi di pistola, la sera del con la mafia palermitana, in- 12 marzo, nella centrale segnandole ad autofinan- piazza Marina. Si sussurra ziarsl con un sistema tutto che, a capeggiare i l comannuovo di sua invenzione: i l do dei sicari, ci sia don Vito «pizzo» («fateci bagnare 'u in persona. Quella sera è a pizzu», il becco, dicono i suoi cena i n casa dell'onorevole emissari alle vittime desi- Domenico De Michele Fergnate). Un giorno, però, in- rantelli. Si assente giusto i l cappa in Joe Petrosino. Che tempo di uccidere la sua belo incrimina per il delitto del - stia nera, poi fa ritorno dall'ffuomo nel barile», uno del l'amico, per i l caffè. Alibi di gialli più complicati risolti ferro. A l processo, i l depudal piccolo grande detective. tato giura che don Vito non Per don Vito sono subito do- s'è mosso un istante dalla lori: arrestato, strapazzato e sua tavola Cosi, arrestato il 3 aprile 1909, Cascio Ferro è - nonostante l'assoluzione

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prosciolto con tante scuse due anni dopo, insieme ai 14 presunti complici. E riprende la normale attività, in grande stile. E i l capo indiscusso di tutte le cosche siciliane. Gli onorevoli dell'isola fanno la fila per baciargli le mani. Arriva addirittura ad acquistare una flotte di pescherecci per traghettare sui mercati nordafricani il bestiame rubato e gli altri bottini della mafia, e ad accompagnare i mafiosi nel mirino della giustizia in alto mare, per l'imbarco clandestino sui bastimenti i n rotte verso l'America. Ma che fanno i governi di quegli anni contro l'Onorate Società? Poco, male e distrattamente. Basti pensare che i l protettore di don Vito, l'onorevole Ferrante Ili, è un giolittiano di strette osservanza: esempio tipico del mafioso «vincente», ha sbaragliato appena pochi giorni prima del delitto Petrosino Raffaele Palizzolo, i l notabile Crispino legato alle vecchie cosche ormai i n disgrazia. • I L SARTO E LA M A F I A n fatto è che, nei primi turbinosi vent'anni del secolo, 1 governi di Roma hanno ben altro a cui pensare che non l'Onorate Società. La vecchia classe politica dei notabili se ne serve come serbatoio di voti, contro 1 nascenti partiti di massa (il socialiste e i l cattolico). Piemontese scettico e culturalmente lontano dai problemi della Sicilia, Giovanni Giolitti rifugge dal provvedimenti straordinari. Né p u ò permettersi i l lusso di abbattere i l sistema clientelare-mafioso nato sotto i Borboni e perpetuato dal governi della destra eppoi della sinistra storica. Cinicamente convinto che «un sarto, dovendo tagliare u n abito per u n gobbo, deve fare la gobba anche all'abito», fa poco o nulla per sradicare la malapianta. Eppure, al di là delle accuse in parte fondate i n parte dettate da opportunismo politic o - d i Gaetano Salvemini al «ministro della malavita», lo statista non è sospettabile di collusioni—mafiose. —Semmai, d i aver utilizzato con spregiudicatezza gli stessi sistemi dei suoi predecessori e dei suoi successori. Cosi come Vittorio Emanuele Orlando, i l quale però ha l'aggravante di esser eletto i n Sicilia: all'indomani della prima guerra mondiale, con la fresca aureola di Presidente


della Vittoria, ad ogni suo rientro nell'isola natia riceve gli omaggi dei principali capi cosca fedeli a don Vito; e nel 1924. alla vigilia delle elezioni che lo videro candidato nel «listone» con i fascisti e 1 nazionalisti, nobilita l'Onorata Società i n un discorso a Palermo: «Se per mafia si intende i l sentimento dell'onore portato sino all'esasperazione, insofferenza contro la sopraffazione, generosità... allora anch'io mi dichiaro mafioso». Eppure neanche lui. a quel che risulta, era affiliato all'Onorata Società. Tutto questo per dire con quanta superficialità e impreparazione lo Stato postrisorgimentale affrontava (anzi, non affrontava) la Piovra. Nulla di strano, allora, se in quegli anni don Cascio Ferro accumulò nell'isola un potere illimitato, da viceré borbonico. Finché, nel 1928, non trovò sulla sua strada un altro simbolo vivente dell'antimafia: Cesare Mori, i l prefetto di ferro. • I L PREFETTTSSIMO Figlio di ignoti, «esposto» appena nato i n una delle ruote per trovatelli eppoi adottato da una famiglia d i Pavia, Cesare Mori studia all'Accademia militare di Torino. Costretto a lasciare l'esercito per aver sposato una ragazza senza dote e dunque Ìmpari al suo rango, entra nella Pubblica sicurezza, percorrendovi i l cursus honorum di pari passo con l'ascesa al potere d i Gioiitti. Dopo una burrascosa parentesi in Emilia Romagna, da dove è allontanato per le proteste dei repubblicani contro la sua presunta «illegale Irruenza», arriva per la prima volta a Palermo nel 1903. Qui entra subito i n rotta di collisione con la mafia e si guadagna la fama d i uomo energico e brutale, ammazzando a fucilate u n pericoloso bandito. E dorante la guerra, alla testa di un reparto speciale d i carabinieri e poliziotti, dà una caccia spietata ai disertori che i n grossano AeJWfi-deLbMì-cUti!. smo. Dopo Capo retto io chiamano a Torino, per reprimere 1 moti delle sinistre: è qui che entra nelle grazie di Giolitti, che lo «raccomanda» presso Orlando per la promozione a questore. A Roma nel '20 e a Bologna, col grado di prefetto, nel '21, si inimica subito i «ras» fascisti Balbo e Arpinati, che scorazzano con le loro squadracce nella regione, spalleggiati dagli agrari. «Servitore ottuso .del_governo_cU Roma», scrive di l u i Musso-

«Operazione chirurgica» colpugno diferro

lini sui Popolo d'Itaiic. «ia sua vita non merita una goccia di sangue dell'ultimo fa* scista di provincia». «Se avessi quattro o cinque tipi come Mori», lo esalta Giolitti, «spazzerei via le camicie nere i n pochi giorni». Ma i l futuro Duce ne chiede i l trasferimento, i l tremebondo Facta cede relegandolo a Bari e Mussolini, all'indomani della marcia su Roma, lo sospende dal servizio attivo. Ma nei 1924 lo richiama i n servizio, su consiglio del quadrumviro De Bono, per far guerra alla " " f t » Le «coppole storte», come allora si fanno chiamare i nuovi picciotti, hanno appoggiato apertamente le camicie nere nella loro ascesa al potere, fiutando in anticipo l'aria che tira. Ma nel maggio '24, dopo un viaggio nell'isola, i l Cavalier Benito decide d i tagliar corto con l'Onorata Società: uscito trionfante con i l «listone» dalle elezioni del 6 aprile, teme che i l nascente regime, i n Sicilia, venga identificato con quei personaggi tutt'altro che raccomandabili. Quegli stessi «galantuomini» che, nel suo viaggio, gli hanno tribuato onori e scorte tanto vistosi da apparire addirittura insultanti, per un capo di governo che aspira a creare imo Stato totalitario. Cosi Mori, già bestia nera del fascismo, diventa l'uomo della provvidenza. E, mandato con poteri eccezionali a «far pulizia» i n Sicilia, non si fa troppo pregare. • LA MAFIA CAMBIA PELLE - Le cosche che i l Superpreietto trova sulla sua strada hanno subito, una trasformazione profonda, prima, durante e dopo la guerra. La mafia ottocentesca dei gabellotti e dei campieri, che taglieggiavano da una parte i braccianti e dall'altra i baroni, è un lontano ricordo: ridimensionata, nel suo ruolo di «mediatrice» tra ceti proprietari e contadini, dalle nascenti cooperative rurali rosse e bianche; soppiantata dalle cosche emergenti della nuova malavita piccolo-borghese e cittadina, che ingrassa con i l controllo sull'emigrazione clandestina verso l'America e con i l monopolio delle attività, economiche lecite e illecite; e sconvolta dai contraccolpi, sociali del primo conflitto mondiale.

I l ritorno a casa dei pic- rarello, Dino e Andoloro ) e ciotti «reduci», abituati a mafiosi arroccati su quelle maneggiar le armi sul fron- alture, e l i sbaraglia. Poi te di guerra e smaniosi di passa al setaccio città e borascendere con ogni mezzo gate, svuotandole con ginella scala sociale, è per le gantesche retate e lascianorganizzazioni emergenti dole - racconterà p i ù tardi un'occasione ghiottissima - «come se v i fosse stata di sfruttare i l malcontento una frana o un'inondaziopopolare e la disoccupazio- ne». Insomma — sono semne dilagante per pescare a pre parole sue - «è i m o stapiene mani i n quel serba- to d'assedio i n ventiquattoio di manodopera a poco tresimo». I l proconsole del prezzo. Comincia cosi una Duce utilizza con gran disorda guerra fra la vecchia sinvoltura confidenti e demafia, conservatrice e lega- nunce anonime. E, per stata ai notabili liberali, e quel- nare i capicosca dell'«altala nuova, che «(rapatiT - . T . » mafia», ricorre ai rap^-H per lo squadrismo nav-ìnna. brutali: confisca patrimolista e prefascista MfflMCtoà* ni, sequestra le donne dei ta dalla conquista violenta latitanti, fa macellare i n del potere. La spaccatura è piazza i l bestiame dei soevidente già alle elezioni del spetti distribuendo la carne 1924, quando YAncien Règi- ai poveri, mette al suo servime mafioso ormai perdente zio la magistratura otte(i gruppi d i Alcamo, Castel- nendo condanne quantovetrano. Marsala, Erice), si meno spicciative (ci sono schiera con Vittorio Ema- casi di persone condannate nuele Orlando, mentre i per delitti avvenuti lo stes«vincenti» (Palermo e din- so giorno, alla stessa ora, a torni) stanno con Alfredo centinaia di chilometri l'uCucco, i l giovane medico, no dall'altro). E una vera già capo dei nazionalisti, «operazione chirurgica»: che ha subito aderito al fa- sua la definizione. I maxiscismo. Oltre che sui picco- processi si susseguono a lo-borghesi insoddisfatti, la tambur battente: due a Panuova raafln. i s camicia ne- lermo, uno a Termini Imer a p u ò contare anche sugli rese, uno a Sciacca, 3-400 industriali e gli agrari del- imputati alla volta. E le car, l'ultima generazione, ansio- ceri di Sicilia, Ustica e Lipa; n i d i spazzar via — insieme r i si riempiono d i migUàià all'ordine costituito - le vec- di mafiosi, veri o presunti chie caste baronali Cosi Quasi t u t t i pesci piccoli quando Mussolini visita la (detti i n gergo «scassapaSicilia nel maggio *24, trova gliari»), ma pure qualche ad accoglierlo uno dei pa- pezzo da novanta, come i l drini p i ù noti, don Ciccio vecchio Cascio Ferro e 1 Cuccia, sindaco d i Piana dei nuovi boss destinati a sucGreci che si fa fotografare cedergli: Calogero Vizzini e al suo fianco e l'accompa- i l suo delfino Giuseppe gna i n tutto i l suo viaggio, la- Genco Russo. D o n Vito è mentandosi pure perché i l capo del governo s'è circonall'ergastolo dato d i poliziotti motocicli- condannato sti, quando basterebbe l u i a per concorso morale i n due garantirgli «il rispetto dei si- omicidi e contrabbando, e c i l i a n i senza tanti sbirri». E rinchiuso nel carcere di proprio quesf imbarazzan- Pozzuoli (dove m o r i r à - pate episodio convìnce il Cava- re - d i fame e d i sete nel lier Benito che è ora di ta- 1943, «dimenticato» In cella nelle ore convulse dei bomgliar la testa alla Piovra. OPERAZIONE REPULI- bardamenti alleati). Le coSTI - M o r ì approda i n Sici- se vanno u n po' meglio per lia nel maggio del '25. I n ot- i l giovane Genco Russo, tobre riceve i l decreto con i che comunque resta al frepoteri eccezionali E si met- sco per qualche tempo. E te subito al lavoro. Gli basta ancor meglio per don Calò meno d i u n anno per far ta- Vizzini, i l futuro Grande bula rasa della «bassa ma- Zio della mafia. fia», quella che con i suoi Nato a Villalba nel 1887 picciotti e briganti spadro- da una famiglia d i piccoli neggia nell'ampia zona coltivatori, Calogero momontagnosa delle Mado- stra fin da ragazzo la sua nie. Con 800 uomini i n as- natura violenta, contensetto d i guerra, i l «preiettis- dendo a bastonate la più simo» attacca banditi (Fer- bella figliuola del paese al cancelliere del tribunale.


Precoce anche come mafioso, si specializza subito nell'offrire ((protezione» prezzolata contro i briganti ai contadini della zona. Nel 1898 e nel 1903 1 p r i m i guai con la giustizia: assolto per insufficienza di prove, come gli capiterà un'altra dozzina d i volte nella sua lunga vita. Durante la guerra, i l salto di qualità: don Calò e i suoi «amici» accumulano una fortuna speculando sulle requisizioni di animali per l'esercito, nelle quali fanno confluire a prezzi stracciati i l bestiame rubato. H resto l'ottengono per la via maestra d i ogni mafioso che si rispetti: la manipolazione delle aste per gli affitti dei feudi, tramite cooperative agricole create ad hoc e dirette dal fratello prete del boss, don Salvatore, e un po' da tutto i l resto della famiglia. • CESARE CONTRO CALÒ - Quando sull'isola si affaccia i l prefetto Mori, Zu Calò è conosciuto e rispettato in tutta la Sicilia, possiede beni e terre per svariati milioni e persino una tenuta alle terme di Chian ciano con tanto d i società per lo sfruttamento delle acque. Entrato nel mirino del Prefettissimo, viene ancora assolto per la solita mancanza d'indizi. Ma M o r i non c i bada granché, e lo spedisce ugualmente al confino, prima a Chianciano eppoi a Roma. Dovrebbe restarci per cinque anni, ma viene l i berato quasi subito, per intercessione di un gerarca toscano suo amico, sottosegretario del governo Mussolini, che don Calò ha nascosto in una sua villa quand'era ricercato per omicidio, nel '22. Cesare Mori, frattanto, avanza con l'irruenza di una schiacciasassi, senza guardare i n faccia a nessuno. «La mafia», dice, «è una vecchia puttana che ama strofinarsi alle a u t o r i t à per adularle, circuirle e incastrarle». E minaccia: «Se i siciliani hanno paura dei mafiosi, l i convincerò io che sono i l mafioso p i ù forte d i tutti». Alla fine, i p i ù danneggiati dal ciclone M o r i saranno proprio i nuovi mafiosi, i p i ù temibili, spregiudicati e intraprendenti: quelli in camicia nera I n cima alla lista del Prefettissimo, oltre ai padrini appena citati, c'è i l generale Antonino D i Giorgio, ministro del-

la Difesa uscente: e c'è quell'Alfredo Cucco che. intanto, è assurto ai grado di federale di Palermo. M o r i lo denuncia per legami mafiosi e vane malversazioni, la magistratura lo assolve in istruttoria per mancanza d'indizi, ma il Duce lo liquida, sciogliendo i l Fascio palermitano ai p r i m i del '27. E subito dopo, nel celebre discorso dell'Ascensione, elogia pubblicamente i l suo Prefetto di Ferro. Poi, l'anno seguente, lo chiama a Roma per esortarlo a «provvedere alla liquidazione giudiziaria della mafia nel più breve tempo possibile». Un sibillino invito a chiudere i conti al più presto: la mafia, ormai, sta diventando un caso nazionale, e la cronaca nera non si addice ad un regime che vuol darsi un'immagine di onnipotenza. A ciò si aggiunge i l crescente fastidio, del Duce per quest'uomo che ormai ha perduto i l senso della misura: ubriaco della sua straripante popolarità, assume pose gladiatorie e si fa ritrarre sul suo cavallo bianco, camicia nera, stivaloni ai piedi e fucile a tracolla. Mori non capisce l'avvertimento, e tira dritto per la strada dell'«operazione chirurgica». «H vero colpo mortale alla mafia», scrive ad un collaboratore, «lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'India, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e - perché no? - di qualche ministero». Cosi, il 24 giugno del '28, ecco i l classico promoveatw ut amoveatun la medaglietta di senatore a vita e il pensionamento «per anzianità di servizio». Morirà, dimenticato, nel '42, dopo aver raccontato le sue imprese in due volumi di memorie: «Con la mafia ai ferri corti» e «Tra le zagare oltre la foschia». • LA PIOVRA I N FREEZER - L'Onorata Società, o quel che ne resta, tira un grosso sospiro dì sollievo: i l Grande Giustiziere le ha inferto i l più duro colpo della sua storia. I principal i boss rimasti a piede libero riparano i n massa oltreoceano, tra le braccia della Grande Mamma d'America: Cosa Nostra. I n Sicilia, decapitata e tartassata nei suoi affari, l'organizzazione si mette i n letargo

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in attesa di tempi migliori. Ibernata m freezer. E fedele al suo motto: caliti iuncu ca passa la china ipiégati giunco che passa la piena). Intanto, negli Usa, i suoi capi riallacciano i rapporti con Cosa Nostra; eleggono Zu Calò, tornato in libertà, «reggente» della mafia siciliana al posto del vecchio galeotto Cascio Ferro; e gettano le basi per la riscossa del dopoguerra, imparando tutto sulla nuova gallina dalle uova d'oro che sta soppiantando i l traffico dell'alcol dell'era del proibizionismo: la droga. E quando Mussolini riceve a Palazzo Venezia don Vito Genovese - i l boss italoamericano nativo d i Nola, incriminato negli Usa per evasione fiscale, sfruttamento della prostituzione e traffico di drog a - l a non belligeranza tra il regime trionfante e i rimasugli dell'Onorata Società sembra a prova di bomba. M a ancora una volta i boss intuiscono prima d i t u t t i come andranno a finire le cose. E, dai loro rifugi americani, preparano l'ennesimo salto della quaglia, collaborando con YIntelligence Service ai preliminari dello sbarco alleato i n Sicilia. Cosi, nell'estate '43, approdano nell'isola le truppe angloamericane con vecchi e nuovi mammasantissima. Quelle per andarsene al p i ù presto. Questi per restarci. E per sempre. (2-continua)

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COMMENTI E INCHIESTE

i l Giornale

Venerdì 21 « c o i t o 1992

Viaggio neU"«Onorata Socieia» dall'unnica/ione nazionale aa oggi - L'intesa coi «iratelii d'America» e ie stragi degli anni Sessanta / 3

Con Luciano e Buscetta ia Famiglia cresce L'eliminazione di Salvatore Giuliano e la rifondazione di Cosa Nostra nel dopoguerra di Marco Travaglio La mattina del 14 luglio 1943. Nel cielo di Villalba, piccolo paese al centro della Sicilia dove regna incontrastato don Calò Vizzini, i l «capo dei capi» della mafia, volteggia un aereo da caccia americano. Qualche evoluzione a volo radente, poi lancia un plico sigillato. La storia ha dell'incredibile, ma parecchi testimoni giurane sulla sua autenticità, e le autorità americane non l'hanno mal smentita: nel pacco c'è un fazzoletto giallo oro con al centro una grande «L» ricamata, ed una lettera. H tutto intestato «Zu Calò», a cui viene subito consegnato. I l messaggio contiene le istruzioni di Cosa Nostra americana affinché la mafia non intralci le truppe anglo-americane, sbarcate dieci giorni prima in Sicilia, in marcia verso Palermo. E la «L» altro non è che la sigla di Lucky Luciano, i l numero uno dell'onorata società d'Oltreoceano, allora detenuto nel carcere di Albany con una condanna a trenf anni sul groppone. • LUCKY I L GANGSTER Nato nei 1897 a Lercara Priddi, presso Palermo, Lucky Luciano (nome di battaglia di Salvatore Lucania), è giunto negli States a dieci anni e giovanissimo si è fatto una fama di spacciatore di droga e tenutario di bordelli. Trafficante di alcol sotto i l proibizionismo eppoi t i tolare di una grande catena di aziende d'abbigliamento, è amico di politici altolocati. Di casa ai congressi del partito democratico. Nel maggio 1929, quando si celebra ad Atlantic City i l primo vertice tra mafia americana e siciliana che dà vita all'internazionale " i ^ " " «Cosa Nostra», Lucky è già uno dei più potenti e rispettati capifamiglia del nuovo gangsterismo, insieme a Joe Masseria, Joseph Di Giovanni, i l famoso «Scarface», Frank Costello, Joe Adonis e Joe Profaci. Primo capo di Cosa Nostra è eletto Johnny Torno, mentre per guidare l'organizzazione in Sicilia, perdurando la detenzione di Genco Russo, viene scelto don Calò. Ben presto Torrlo è sostituito da Joe Masseria, subito eliminato da Luciano e dal suo braccio destro, don Vito Genovese (il Vito Corleone del «Padrino» di Mario

compenso di tanto prodigarsi: la gran parte dei nuovi sindaci vengono reclutati dall'amministrazione militare tra i mafiosi o gli «amici degli amici». Idem per i nuovi tutori dell'ordine. E in questi anni che i l gangsterismo americano mette radici anche in Italia, esportandovi i suoi metodi spietati, non solo con don Vito ma anche con Joe Adonis (che in realtà si chiama Giuseppe Noto) e con Luciano, liberato nel '45 per meriti patriottici e rispedito i n patria come «indesiderabile» l'anno dopo. I «fratelli d'America» aiutano i siciliani a riorganizzarsi e a legarsi vieppiù a filo doppio con la classe politica locale e nazionale. Don Calò diviene sindaco della «sua» Villalba (Caltanisset• DON CALO' E GLI AL- ta), e «se avesse voluto - scriLEATI - Contattato i n gale- ve Michele Pantaleone ra dal Naval Intelligence, avrebbe potuto diventare miLucky collabora dunque al- nistro». Genco Russo è primo l'«Operazione Husky», che cittadino a Mussomeli (stesscatta i l 10 luglio '43 sulle sa provincia) e per diversi anspiagge siciliane. Con l'aiuto ni sarà l'uomo forte della De di don Calò, allora indiziato nella sua zona d'influenza. di cinquantun omicidi ma ormai «riabilitato» dopo la pa- Ma prima del grande balzo rentesi Mori. I due non si co- verso le forze di governo, la noscono, ma i l loro patto di mafia si tinge di separatismo. ferro funziona a meraviglia, • LA SICILIA SI RIBELLA n foulard giallo oro con la «L» - Ai primi del '44 l'on. Andrea nera al centro diviene i l segno Flnocchiaro Aprile, figlio di di riconoscimento tra.agenti un ministro di Gioiitti, che ha alleati in avanscoperta e ma- appena fondato i l Movimenfiosi: i primi trovano ospitali- to per 1 Indipendenza Siciliatà nei rifugi dei secondi Com- na, fa appello ai mafiosi papreso quel Charles Poletti, le- lermitani in un comizio a Bagato a Cosa Nostra america- gheria: «Se la mafia non ci na, che sta per diventare i l ca- fosse, bisognerebbe inventarpo del Governo militare in Si- la. Io sono amico dei mafiosi, cilia. Cosi l'Onorata Società, pur essendo, personalmente sia pur decimata e in via di ri- contrarlo al delitto e alla vioorganizzazione, si guadagna lenza». Cosa Nostra raccoglie la gratitudine degli Alleati e l'Invito e lo stesso anno don persino della nuova (si fa per Calò In persona entra uffidire) classe politica isolana, cialmente nel movimento, cegabellando per lotta antifa- dendo la carica di sindaco al scista i l duro scontro con Mo- nipote Beniamino Farina, deri. Risultato: don Vito Geno- mocristiano. Non solo: U 16 vese, l'uomo che capeggerà settembre, spalleggiato dal Cosa Nostra Usa dopo i l '57. è chiamato da Poletti a far par- nipote e da un pugno di soldate del Governo militare allea- ti della «famiglia», i l Grande to come suo interprete di fi- Zio dà l'assalto al palco dove ducia. E quando, nel '44, tra tiene un comizio i l comunimille ostacoli, un agente del- sta L i Causi, a Villalba. Scarila direzione investigativa del- che di mitra, lancio di bombe l'esercito Usa riesce a farlo a mano. Otto feriti, compreso arrestare, è costretto a por- l'esponente del Pei (il procestarselo appresso per sei mesi, so, tra mille rinvi! e ostacoli, nell'indifferenza delle autori- si concluderà 14 anni dopo, in tà italiane e statunitensi: e concomitanza con la grazia nel '45 non può far nulla con- del presidente della Repubtro i l suo rimpatrio a New blica: quattro anni dopo la York, dove ben presto don Vi- morte di don Calò-.). Con i l to tornerà in libertà, grazie al- suo uomo più in vista nell'ila morte del testimone di uno sola, Bernardo Mattarella, la dei suoi tanti omicidi, avvele- De corre ai ripari e invita sul nato in carcere. L'Onorata «Popolo» i militanti separatiSocietà, intanto, incassa i l sti ad iscriversi allo Scudocrociato. L'appello sortirà

Puzo) e rimpiazzato da Joe Maranzano, che nel '31 fa la sua stessa fine. Ma i due boss vincenti, a metà degli anni '30. finiscono nei guai con la giustizia: Genovese ripara in Italia, a far la corte a Mussolini, mentre Luciano è arrestato nel '36. Sei anni dopo, trasferito dal terribile penitenziario di Dannemore in quello più «vivibile» di Albany, nello Stato di New York, riprende i suoi loschi affari. E comincia a collaborare con le autorità. Prima facendo sorvegliare dal «fronte del porto» controllato dalla mafia gli scali di New York, per scongiurare sabotaggi tedeschi. Poi prestando ai servizi segreti le sue «entrature» per lo sbarco in Sicilia.

l'effetto sperato, ma solo due anni più tardi. Per i l momento, la Tnafin appoggia Finocc hi aro insieme al fior fiore dell'aristocrazia terriera. Regala manovalanza gratuita all'esercito volontario del movimento, l'È vis. E benedice l'alleanza con i l banditismo della Sicilia orientale, quello degli Avila di Niscemi, e occidentale, quello del clan di Salvatore Giuliano. H gioco di don Calò è rischioso ma lucido: soffiare sul fttoco dei conflitti, per poi ergersi a mediatore tra lo Stato, i banditi e i secessionisti. Ben presto, tra duri scontri e tentativi di «assorbimento» (dopo la De si muovono anche liberali e monarchici) , i l Movimento separatista comincia a stancare. Gli americani se ne sono andati, e gli appelli agli Usa perché accolgano la Sicilia come dnquantunesimo stato dell'Unione fanno sorridere. La mafia cerca i l potere, quel potere che Flnocchiaro ha ormai perduto <ngi«m«> alla sua credibilità. E fa quadrato intorno ai partiti di governo. De Gasperi invia nell'isola i l de A irti sin come commissario straordinario, suggerendogli di «discriminare la situazione di coloro che, ingannati o fuorviati, dimostrino di recedere prontamente dalle false e pericolose posizioni assunte». Tra 1 «fuorviati» c'è. manco a dirlo, don Calò, che sfugge all'ondata di arrosti e passa armi e i^g^g" con lo Scudocrociato. E si rende subito utile alla causa dei grandi baroni del feudo, fp/yp^r» eliminare imo ad uno - in perfetto stile gangsteristico - decine di sindacalisti e leader del movimento contadino che in quell'infuocato dopoguerra predicano l'occupazione delle terre. Ma intanto la Sicilia è percorsa da un'ondata di delitti senza procedenti. Non più soltanto «esterni», ma anche interni alla mafia. Che succede? • I L RE DI MONTELEPRE - «H rafforzamento al potere della vecchia mafia nella politica e nella burocrazia», ha scritto Pantaleone, «accentuò l'urto tra alcune cosche e soprattutto tra la vecchia e la giovane mafia. La vecchia pretendeva obbedienza e rispetto per la tradizione mai venuta meno; la giovane, invece, intendeva liberarsi della protezione degli anziani per dedicarsi senza controllo alla nuova attività del cone s e n t i


trabbando delle sigarette e delia droga». Ma la vecchia LToaraia mafiosa e dura a morire. E si guadagna la gratitudine delle forze deb'ordine e dello Stato con l'Operazione Giuliano. Anche dopo la liquidazione del Movimento indipendentista, che l'aveva nominato colonnello del suo esercito, i l Re di Montelepre aveva seguitato a vagheggiare la secessione dell'isola in nome dell'anticomunismo. Arrivando a scrivere a Truman. nel '49, per invocare «il vostro grandioso e potente appoggio morale» contro le presunte mire sulla Sicilia dei «russi, 1 quali anelano ad affacciarsi sul Mediterraneo». E giungendo, nel suo delirio di onnipotenza, a progettare i l sequestro di Zu Calò, dell'onorevole Mattarella e del vescovo di Monreale, Filippi. La strage di Porte Ila

della Ginestra, dove i l Re di Monteiepre semina il sangue e il terrore tra la folla in festa per il Primo Maggio '47, è solo la prima di una lunga sene di attentati, sparatone, mattanze firmate Giuliano. Cosi la vecchia mafia, d'accordo con settori della polizia e dei carabinieri, lo induce a collaborare con le forze dell'ordine per eliminare le altre bande delinquenziali che scorrazzano nelle campagne. E alla fine, quando Salvatore è rimasto solo, scatta il piano per eliminarlo. Se ne incarica Gaspare Pisciotta, suo cugino e luogotenente, d'accordo con i l colonnello dei carabinieri Luca: la notte sul 6 luglio del '50, nel suo rifugio di Castelvetrario, il bandito è narcotizzato ed ucciso nel sonno, a pistolettate. Poi la macabra messa in scena nel cortile, con i l cada-

vere crivellato di colpi di mitra per simulare i l conflitto con ì canini meri e dar credito alia versione ufficiale delle autorità, subito sbugiardata da un grande cronista come Tommaso Besozzi. Al processo di Viterbo, Pisdotta vuota il sacco e tira in ballo, come «amici» del cugino, gli onorevoli monarchici Albata e Marchesane) e i l solito de Mattarella (il padre di Piersanti, ucciso dalla mafia nel 1980, e dell'attuale vicesegretario del partito. Antonio). Annuncia che farà pubblicare i diari di Giuliano, con tutte le prove delle sue accuse. Ma un caffè corretto alla . stricnina glielo impedisce: muore il 9 gennaio '54, aUUcc lardone.

Gerico Russo, sindaco e boss indiscreto

a GENCO RUSSO E AMICTI l 1>4 è un anno importante, per Cosa Nostra. Muore don Calò, pochi mesi dopo la sua celebre «confessione» ad Indro Montanelli («La gente crede che sia per discrezione che io parlo poco. No, parlo poco perché poco so. Abito in un villaggio, vengo a Palermo solo di rado, conosco poca gente... I n ogni società ci deve essere una categoria di persone che aggiustano le situazioni, quando si ran-nn complicate. In genere sono 1 funzionari dello Stato. Là dove lo Stato non c'è. o non ne ha la forza sufficiente, ci sono dei privatiLa mafia! Ma esiste poi veramente, la mafia?-»). Colto da una crisi cardiaca nell'albergo del Sole, a Palermo, il Vecchio Patriarca chiede di esere portato a Villalba, nel suo letto. Ma, per strada, comprende che non ci arriverà vivo: si fa deporre sul ciglio della strada, per spirare «sulla mia terra siciliana». Al suo posto, Cosa Nostra elegge come «capo dei capi» Genco Russo. Classe 1893, già incriminato per omicidio, abigeato e varie altre bazzecole, poi incaricato dagli Alleati della distribuzione dei generi aumentali è un grande elettore della De Più volte sindaco della natia Mussomeli (in provincia di Caltanissetta), dove uscirà primo eletto ancora nel '60, è un personaggio molto meno discreto di don Calò: negli ultimi anni viene sbertucciate dal nuovi mafiosi per la sua mania di pavoneggiarsi in pubblico e dare interviste. I l pentito Calderone ha raccontato a Pino Arlacchi che Totò Minore, rife-

rendosi a l u i usava dire: «L'avete visto oggi sul giornale, a Gina Labobrigida?». E qualcuno, oggi, giura addirittura che, pur con il suo grande prestigio, Genco Russo fosse soltanto un «soldato» semplice, o al massi mo i l capo della provincia di Caltanissetta. Come pure Zu Calò. Come siano andate veramente le cose non lo sapremo mal in quel periodo, di pentiti disposti a vuotare il sacco non c'era neppure l'ombra (almeno in Italia, perché negli Stati Uniti infuriava, con le sue confessioni Joe Valachi). Quel che è certo, è che Genco Russo si trovò a gestire l'ennesimo trapasso generazionale di Cosa Nostra. H sistema semifeudale delle campagne siciliane sconvolto dalla riforma agraria di Antonio Segni l'autonomia regionale nrmcpssa alla Btoflla all'indomani del moti secessionisti l'istituzione della Cassa del Mezzogiorno (1950): tre novità prontamente sfruttate dalla nuova Cosa Nostra che, mentre la vecchia guardia rimane arroccata in campagna, dà l'assalto alle dttà, per dedicarsi al contrabbando e gettarsi a capofitto in quella torrenziale colata di cemento che si riversa sulla Palermo degli anni '50 e '60: gli anni delle grandi speculazioni edilizie. I gimhnii viventi di quest'epoca di trapasso sono, oltre ai due Vecchi Patriarchi, il dottor Michele Navarro da Corleone, medico condotto, proprietario terriero, capo della De locale, mandante di una cinquantina di omicidi (uccise

con un'iniezione di veleno un pastorello tredicenne che aveva assistito per caso al delitto Rizzotto) e di centinaia di furti ed estorsioni nel Carieonese tra la fine degli anni '40 e linizio dei '50. E due debuttanti di sicuro avvenire. H primo è Luciano Leggio detto Liggio: nato a Corleone nel "28, contadino feroce e sanguinario, ha avuto il suo battesimo del sangue nel '48, assassinando il segretario della locale Camera del Lavoro, il socialista Placido Rizzotto, e ponendo cosifinealle agitazioni contadine nel Carieonese; luogotenente e killer prediletto di Navarro, lo farà eliminare nel '58. n secondo si chiama Tommaso Buscetta • DON MASINO FA CARRIERA - Nato a Palermo nel "26, rampollo di una lunga e onesta dinastia di vetrai, «Masino» era scappato di casa a venf anni, subito «adottato» dalla farnigHn mafiosa di Porta Nuova eppoi, nel '48, «combinato» (ossia affiliato) a Cosa Nostra con un rito esoterico (forse risalente ai Beati Paoli) che, rimasto sconosciuto per almeno un secolo, verrà rivelato proprio da don Masino ai giudici dopo i l suo «pentimento»* La cerimonia si svolge in un casolare appena fuori Palermo. Un vecchio uomo d'onore (come si chiamano fra loro i mafiosi), affiancato da altri due membri della famiglia (i testimoni), pronuncia una formula rituale, poi chiede al neofita se accetta di «unirsi alla cosa». Masino risponde di si, e uno dei te-

stimoni gli punge i l dito indice (della mano con cui spara, come vuole la prassi) con una spina di arancia amara. H sangue è versato su un «santino» della Madonna riplVAnTìiin^ln^p, la patrona di Cosa Nostra, che viene dato alle fiamme e che l'iniziando deve palleggiarsi sulle mani fino al completo spegnimento, pronunciando il giuramento deb'uomo d'onore: «Le mie carni debbono bruciare come questa Santina se non manterrò fede al giuramento». Come dire: chi tradisce, muore. Segue la lettura del «decalogo» mafioso, sulla falsariga d i quebo biblico, con tanto di divieto di rubare e di insidiare la donna d'altri. Infine il bado sulla bocca (facoltativo i n alcune famiglie). E la descrizione al «novizio» della gerarchia mafiosa, rimasta pressappoco intatta fino ai giorni nostri. Ogni famiglia (negli anni '50 le cosche sono una cinquantina solo a Palermo)

è composta da uomini d'onore (o soldati), coordinati a gruppi di dieci da un capodeetna, sopra i quali siede il capofamiglia, detto rappresentante, di nomina elettiva. H capomandamento comanda su tre famigbe confinanti. Poi, a livello provinciale, c'è la Commissione o Cupola, presieduta da un segretario «pnmus in ter pares». Solo negli anni '70, sul modebo americano, verrà creata la Commissione regionale, la Grande Cupola.


Ma torniamo a don Masino. che a 25 anni e già capodecina. Abilissimo nel traffico di droga e nel contrabbando, ha fatto tesoro degli insegnamenti di Lucky Luciano che. tornato nel frattempo a Napoli, lo va spesso a trovare a Palermo. Ma don Masino è pure ammesso negli ambulacri dei grandi capi, amico com'è di Salvatore Greco detto Chicchiteddu (l'Uccellino, per distinguerlo dai suoi due omonimi cugini. Salvatore detto il Lungo o l'Ingegnere, e Salvatore detto i l Senatore, fratello quest'ultimo di Michele il Papa). Capo della famiglia di Clamili, Chicchiteddu è. agli inizi degli anni '60, segretario della Commissione di Palermo. I n pratica, il numero uno di Cosa Nostra, viceré riverito e potentissimo. Ma ben presto, sulla sua pax mafiosa si addensano i primi, neri nuvoloni

A Cìaculli va in pezzi lopax mafiosa • LA PRIMA GUERRA - Dopo i l vertice dell'Hotel des Palmes, a Palermo (1957), dove mafia americana e siciliana hanno stretto un nuovo patto d'acciaio per la spartizione del contrabbando di droga e sigarette, la rifondazione di Cosa Nostra sembra affare fatto. Soldi a palate arrivano dai traffici internazionali E altro denaro a pioggia promettono le selvagge speculazioni edilizie a Palermo, favorite dopo il '58 da Vito Ciancimino, assessore ai Lavori pubblici nelle tre giunte consecutive di Salvo Lima, i l cui programma è semplice e chiaro: «Palermo è bella, facciamola pivi bella». Cianci mino, Lima e Giovanni Gioia (segretario provinciale della De e futuro ministro): i tre «giovani turchi» della metropoli sommersa dal cemento dei costruttori i n odor d i mafia, come l'ex carrettiere Francesco Vassallo divenuto il re delle gare d'appalto. n denaro corre a fiumi. Ma avvelena i rapporti tra le famiglie di Palermo, dove - dopo i l modus vivendi del primi anni '50 - i clan Greco e La Barbera sono ormai ai ferri corti. I l pretesto della guerra viene dal fidanzamento contrastato fra un soldato rip)ln famiglia di Porta Nuova e la sorella di un uomo d'onore del clan di Noce. Per risolvere la controversia, i l rappresentante d i Noce, Calcedonio D i Pisa, chiede che i l giovane venga aggregato, visti i suoi legami i sentimentali, alla sua famiglia. Ma Salvatore La Barbera, potentissimo boss dei tre clan d i Palermo Centro (Porta Nuova compresa), già in lite con l u i per una partita di droga non pagata adeguatamente, si oppone con violenza. E pochi giorni dopo, i l 26 dicembre '62, Di Pisa viene assassinato in piena città. I sospetti si appuntano, com'è ovvio, su La Barbera e gli amici di Buscetta, «processati» davanti alla Commissione dall'orma! strapotente clan dei Greco: non più con Chicchi teddu che, disgustato

dalle discordie, se ne andrà presto in Venezuela; ma con suo cugino, Totò l'Ingegnere. E lui a decidere di eliminare pezzo per pezzo i l clan avversarlo: Salvatore La Barbera scompare nel nulla (Greco l'avrebbe strozzato con le sue mani In una riunione), i l fratello Angelo scampa miracolosamente ad un attentato nel '63 (ma sarà ucciso i n carcere poco dopo), i l suo esercito è decimato da attentati e «lupare bianche». Ma intanto un nuovo, spaventoso delitto sconvolge gli equilibri d i Cosa Nostra: i l 30 giugno 1963 una «Giulietta» imbottita d i esplosivo salta in aria a Cìaculli, a pochi passi dalla villa di Totò Greco, dilaniando sette tra carabinieri, poliziotti e artificieri. Una sfida anonima non solo allo Stato, ma anche al vertice della Commissione. E, nei mesi seguenti, altre sanguinose esplosioni di marca terroristico-mafiosa qua e là per Palermo. Mentre le famiglie si rinfacciano le responsabilità degli attentat i e si sparano contro alzo zero, lo Stato si decide finalmente a rispondere. La magistratura fa arrestare centinaia di mafiosi (anche se poi, al processo d i Catanzaro del '68, saranno quasi tutti assolti). I l Parlamento vara la prima Commissione d'inchiesta sulla mafia, i l 20 dicembre del '62: primo presidente, i l socialdemocratico Paolo Rossi. Servirà a poco, come tutte le commissioni che verranno. Ma almeno, per la prima volta dai tempi del prefetto Mori, lo Stato dà un segnale di vita nella Sicilia soffocata dalla Piovra. Una Piovra a sua volta dilaniata degli scontri interni fino al '69, quando si scopre che l'autore del delitto Di Pisa e delle «giuliette» esplosive altri non è che Michele Cavatalo, i l capo del mandamento palermitano dell'Acquasanta, risentito contro V élite di

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Cosa Nostra per una vecchia storia di vendette incrociate. E lui che, dal '62 in poi, ha scatenato su Palermo quella spaventosa ondata di omicidi, seminando panico e ****ani* nella Commissione e tentando cosi di prendere i l potere. La sua fine si consuma i l 10 dicembre '69, in viale Lazio a Catania, negli uffici dell'impresa Moncada, per mano di cinque killer inviati da Salvatore Bontade, Tano Badai amenti e Giuseppe Di Cristina. Dirige le operazioni, a debita Hictanr» Totò Riina, braccio destro del boss emergente di Cìaculli, Michele Greco detto i l Papa. Fuoco a volontà, cinque morti: la vittima designata e quattro sicari. H cerchio, i l terribile cerchio di morte aperto con la strage di Cìacull i si chiude qui, in viale Lazio. La prima grande guerra di mafia è finita. Ma, sullo scorcio degli anni '60, è finita anche un'epoca. Quella dei codici d'onore, della coppola e della lupara. Da allora Cosa Nostra va a scuola dal terrorismo, piazza le bombe al plastico, imbraccia i l Kalashnikov. Gioca al «tutti contro tutti» e non rispetta pili le regole del gioco. Neppure le sue. (3-continua)


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COMMENTI E INCHIESTE

il Giornale

Sabato 22 aeosto 1992

Viaggio neiI «Onorata Società» dall'unificazione nazionale ad oggi -1 contimi interni e l'attacco sterrato contro le istituzioni / 4

Palermo come Beirut, ventanni di sangue La grande sfida allo Stato parte dalla Cupola, droga efinanzai serbatoi delle cosche di Marco Travaglio «Dal 1962 al '69. anno della strage di viale Lazio, una grande confusione regnò nella mafia palermitana. Ci furono molti morti per la guerra di mafia e molti arresti. Più di cento. I capi più importanti furono incarcerati e poi ci fu il processo di Catanzaro. La "Giulietta" di Ciaculli contro i Greco, nel '63, fu il danno più grosso. I l governo T " " " ^ la Cfimmittdfmp antimafia Cosa Nostra non è più esistita nel Palermitano dopo il 1963. Era Kx>. La mafia fu sul punto di srinjrHwmi e sembrò andare allo C * W A Ì Basta pensare che il capo della Commissione provinciale di Palermo, Totò Greco Chicchiteddu, abbandonò la sua carica ed emigrò in Venezuela Era latitante ed era stato pure condannato. Lefamigli»erano tutte scassate. Si faceva proprio il minimo indispensabile. Non c'erano quasi più ominidi Neppure i l pizzo si pagava più, a Palermo», arirfro se «nelle altre città la mafia governava ancora». A leggere il racconto del pentito Antonino Calderone, raccolto da Pino Arlacchi ne «Gli uomini del disonore», non si può non schiumare di rabbia per l'ennesima occasione perduta dallo Stato in Sicilia. Bastava forse insistere di più sulla via fjpiiR repressione per averla vinta. Invece le cose andarono ben diversamente. • COME L'ARABA FENICE - H processo di Catanzaro, aperto nel'68, fa acqua da tutte le parti. E i boss incriminati, da Liggio a Buscetta, da Rima a Liggio (latitanti), da Badai amenti a Boutade a Torretta, finiscono presto o tardi assolti per insufficienza di prove. La .wntPnrA del *73, se si eccettua la condanna a 28 anni per Pietro Torretta, cancella con un colpo di spugna dieci anni dì indagini. E Cosa Nostra, còme l'Araba Fenice, risorge dalle'sue ce'rièri. «Non si àrrivò'subito», ricorda Calderone, «a ricostituire l'organismo provinciale (sciolto da Chicchiteddu, n.<Lr.), perché», c'erano ancora instabilità, fastidi. Quando Chicchiteddu parti per i l Sudameli ca e affidò il suo incarico ad Antonino Sorci, quest'ultimo venne arrestato e si dovette ricominciare daccapo. Dopo Catanzaro, in ogni caso, si costituì a Palermo un governo provvisorio - m i pare si chiami "reggenza" - for1

nizzazione di criminali». Perciò si opporranno alla svolta terroristica di Cosa Nostra inaugurata «fai Corleonesi e ironia della sorte - da Michele Greco, il cugino di Chicchiteddu. Tutt'altro tipo di boss è Gaetano BadalamentL Rozzo, ignorante e sgrammaticato, i l boss di Cinisi è lo zimbello dei capi mafia ad ogni riunione della Cupola. E soprattutto di Liggio, che si picca della fama d i intellettuale e tiene sul comodino «La critica della ragion pura». Eppure don Tano è tanto influente da diventare ben presto i l numero uno di Cosa Nostra E tanto abile da controllare, nella sua zona d'Influenza l'aeroporto palermitano di Punta Baisi e da mettere i n piedi, con i «fratelli» d'America la multinazionale della droga che passerà alla storia come «Pizza Connection», smascherata dalTFbi nel 1984. Ma torniamo al TO, quando sia don Tano che Bontade si trovano da qualche tempo i n galera dopo aver organizzato la strage di viale Lazio contro Cavatalo. Liggio ne approfitta subito per dichiarare estintala «reggenza» e meiere a capo d i Cosa Nostra Totò Ri in a, i l suo killer di fiducia E , perché tutti capiscano quanto sono forti 1 Corleonesi. organizza la più grave sfida allo Stato • DON TANO E I L FALCO mai vista fino ad allora l'as- Impegnato nei suoi affari al sassinio di Pietro Scaglione, Nord, don Luciano si fa rap- procuratore della Repubblipresentare nella «reggenza» ca di Palermo, trucidato con dal fido Totò Rima. Gli altri l'autista i l 5 maggio del T I . due triumviri, Bontade e Ba- • LIGGIO E I L PAPA - Aldalamenti. fanno buon viso. l'agguato partecipano sia Per ora. Figlio di don Paolino Liggio sia R i i n a Affetto dal Bontade (o Bontate), un vec- morbo di Pott, una tubercochio padrino che si permette- losi ossea che quasi lo parava di prendere a sberle in lizza e gli dà gravi disturbi ai pubblico i deputati disobbe- reni e alle vie urinarie, don dienti © che portò buona par- Luciano quel giorno non è te tìaYìa mafia ad appoggiare neppure in grado di muover• ti-governo-minestrone (dal si: ma vuole sparare lo stesmonarchici al Pei ai de dissi- so contro quello che chiama denti) di Silvio Milazzo alla «il mio persecutore», accucRegione Sicilia, Stefano det- ciato sul sedile posteriore to «il Falco» è ancora un ra- della sua auto. Ben presto gazzo quando conosce Tom- con una cura da cavallo si rimaso Buscetta, nel '58, allTJc- metterà in forze. Pronto, dociardone. I due diventano po l'uscita dal carcere di Baamici e lo rimangono anche dalamenti e Bontade, a resudopo che Bontade diviene ca- scitare la Commissione. Da po della famiglia di Santa Ma- allora i vertici di Cosa Noria di Gesù: si proclamano cu- stra si tengono alla «Favarelstodi della tradizione ed eredi la», la tenuta di Michele Grespirituali di Chicchiteddu, co detto i l «Papa» a Ciaculli: espatriato dopo la strage di un rustico di campagna imCiaculli perché - spiegherà merso in decine di ettari di Buscetta - «la mafia stava ab- agrumeto, «espropriato» nei bandonando i suoi principi primi ©""i '80 dal potente per trasformarsi in un'orgamato da Gaetano Badalamenti, Luciano Liggio e Stefano Bontade». Agli inizi, gli affari vanno malissimo: «Usciti di galera, verso il '68, i capi di Cosa Nostra erano quasi tutti morti di fame. Ma se vi dico che Totò Rima piangeva, quando mi disse che sua madre non poteva andare a colloquio con lui in carcere, nel '66 o '67, perché non poteva pagarsi i l biglietto del treno! L'unica eccezione erano i Greco, benestanti di vecchia data. Poi sono diventati tutti miliardari. All'improvviso, in un paio d'anni. Per merito della droga». U triumvirato, dunque, funziona bene. Anche se l'indiscusso numero uno è Liggio, scampato all'arresto nei primi anni '60 e latitante prima a Catania («ospite» della famiglia Calderone) eppoi a Milano: sempre piU ambizioso, feroce, sanguinario, i l boss corleonese tratta nel '69, a Roma, con il principe Junio Valerio Borghese, che ha chiesto l'appoggio di Cosa Nostra al suo folle progetto di golpe, poi finito in burletta. Ma su questa vicenda, come poi sul caso Sindone e sul suo falso rapimento complice la mafia, nel '79, e ancora sui rapporti tra Cosa Nostra, P2, massoneria e Roberto Calvi, il mistero è fitto. E rimarrà tale.

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clan agli eredi del conte Tagliavia. I l super boss non vi abita: troppo scomoda e fuori mano, la villa Che però, con i suoi sotterranei accessibili solo da passaggi segreti, è la sede ideale per i summit della Cupola e il migliore nascondiglio per i latitanti La polizia fino al blitz dell'84, ignora addirittura l'esistenza della villa Anche perché Michele Greco, negli anni T0, è tutto fuorché un sospettato. Riservato fino alla misantropia non ha mai fatto parlare di sé. Vanta parecchie amicizie nell'aristocrazia palermitana E si è fatto largo nel mondo degli affari con la protezione di Cosa Nostra fino a diventarne l u i stesso uno dei capi (e poi il capo supremo) dopo l'eclissi dei due cugini, Chicchiteddu e l'Ingegnere. • VENTI D I GUERRA - Ma ecco, nel '73-74, la Commissione impegnata a rimettere ordine tra i suoi affari. Si decide di proibire i sequestri di persona (a cui diverse famiglie sono ricorse per autoflnanziarsl dopo la «grande guerra»). Almeno in Sicilia Liggio, che nei rapimenti s'è specializzato con la malavita milanese, dovrà perciò limitarsi all'Alta Italia E viene duramente rimbeccato da don Tano per i suoi eccessi sanguinari, che mettono in allarme le forze dell'ordine. Ma proprio nel 1974, dopo venf anni di i«Htim*f> è arrestato a Milano: «Non credere alle infamie che scriveranno su di me», dice uscendo di casa in manette alla sua convivente, ignara della sua identità, «sono tutte bugie». Badai amenti gli rende la pariglia facendosi eleggere segretario della Commissione. E dando il benestare alla nascita, nel T5, della Grande Cupola, la Commissione regionale, ossia i l supergoverno del sei rappresentanti provinciali, proposto dal boss catenese Pippo Calderone, che ne diventa segrete' rio dopo don Tano, prima di Michele Greco (ma l'organi smo non funzionerà mai, vi sta la pretesa dei clan paler miteni di comandare su tutte le altre province). Su Cosa Nostra, in quegli anni, sembra regnare di nuovo la pace. Fanno buoni affari le famiglie della provincia di Palermo (una cinquantina), e delle altre province


mafiose Catania, Caltanisetta, Trapani, Agrigento ed Erma (molto meno numerose: uno, due. al massimo tre clan per città). E tutte hanno appena scampato un grosso pencolo: nel '73, un uomo d'onore «pentito» della famigiiR di Altare Ilo, Leonardo Vitale, si è presentato alla polizia per rivelare i segreti di Cosa Nostra; ma non l'hanno preso sul serio ed è finito in manicomio (morirà ammazzato nei '78). Un altro pencolo, soltanto potenzia-

le, si sgonfia nel '75. quando si concludono dopo 13 anni ì iavon della prima Commissione parlamentare antimafia: 711 pagine ài relazione di maggioranza con pochi nomi - tutti stianoti - nessun politico, e scoperte sconvolgenti come questa: «Non si può fare a meno di ribadire che la mafia è un fenomeno tuttora aggressivo con persistenti radici nella società siciliana...». Eppure i pentiti, ma non

solo quelli, parleranno di pesanti compromissioni dei partiti, soprattutto quelli di governo ma anche dell'opposizione (dal pn Giumella ai psdi Lupis a tanti altri): si scoprirà poi che l'Antimafia ha tenuto ben nascoste quasi 2.500 schede con nomi come Lima, Ciancimino, Gioia, Vassallo, pubblicate da un giornale nell'88. Né faranno di meglio, anche per i loro scarsi e confusi poteri, le altre Commissioni, fino a quella, peraltro attivissima, presieduta oggi dal senatore Chiaromonte.

Costa cento morti Vascesa d Corleonesi

La tregua annata tra le famiglie dura tre armi Poi, nel "77. due feroci esecuzioni ripiombano la mafia nel caos e Palermo nel terrore: cadono il maresciallo di Ps Angelo Sorino e i l tenente colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo. Mandanti TJgg(r> e Riina. con la benedizione del loro alleato Michele Greco. Scavalcato e ignaro di tutto, don Tano chiede spiegazioni Ma nessuno r i sponde. E anzi i l «pepa», nel "78, fa enfiare in Commissione il suo giovane e feroce attendente nonché lontano cugino: Pino Greco detto «Scarpuzzedda» (Scarpetta). Un'altra sfida alla corrente degli «antipapisti», ossia BadalamentL, Boutade, Salvatore Inzerillo (rappresentante di Passo di Rigano) e Giuseppe Di Cristina (capo della famiglia di RiesD. £ i l prologo ai siluramento del rozzo «segretario», che viene sostituito al vertice dalla cupola da Michele Greco, rimpiazzato a sua volta come capofamiglia da Scarpuzzedda. Da un giorno all'altro. Badaiamenti non e più t k ^ ' J ' T V Y dimesso pure da

tvj^>rBwntATìtj>rii Hini.«d e addirittura «deposto» da Cosa Nostra. La vendetta dei Corleonesi è cominciata. • L'ODISSEA D I BUSCETTA - Ma che parte ha avuto, in tutte queste vicende, don Mnsinn Buscetta? L'abbiamo lasciato alTUcdardone,, nel 1958, dopo i l suo arresto per contrabbando di sigarette. Poca roba, a confronto dei suol delitti. Libero dopo qualche mese, i l boss di Porta Nuova si vede ritirare i l passaporto nel '61, ma lo riottiene quasi subito per intercessione dell'onorevole Barbaccia (de), che lo raccomanda alla polizia palermitana come «uomo che m i sta molto a cuore». E 11 maggio '61. Due anni dopo, ai p r i m i fuochi della Grande Guerra di mafia, vola Oltreoceano. Stati Uniti, Canada, Messico, Brasile. Le polizie locali lo ricercano come uno dei «re della cocaina». Nel '70 è

espulso dagli Usa. Nel "72 arrestato in Messico. Estradato in Italia, viene rinchiuso alTUcdardone per scontare una condanna a dieci anni per i reati commessi negli anni '50. Qui, prima del trasferimento a Cuneo, incontra i vecchi amici: Boutade. Di Cristina e BadalamentL tutti in attesa del colpo di spugna di Catanzaro. £ da costoro che apprende d i esser stato «deposto» (espulso) da Cosa Nostra, per la sua vita sentimentale un po' troppo disordinata. A farlo espellere è stato don Pippo Calò, l'ex macellaio che proprio Buscetta aveva «iniziato» alla carriera mafiosa tanti anni prima (verrà arrestato nel 1985 per 64 omicidi e per la strage del treno 904 a San Benedetto Val di Sembro). * «Semilibero» nel 1980, Masino lascia il Piemonte e torna ^«»T"i«xftlp»m,M"it*> a Palermo, per toccare con mano quali livelli di degenerazione abbia raggiunto Cosa nostra. Incontra 1 pochi amiri rimasti, poi disgustato, torna in Brasile. Vuole dimenticare ed esser dimenticato. Ma nel 1983 una visita inaspettata lo ripiomba nelle beghe palermitane: è don Tano Badaiamenti, volato fin laggiù per implorarlo di tornare i n Sicilia e guidare la rivolta contro i Corleonesi. E per aggiornarlo sugli ultimi eventi. PALERMO COME BEIRUT - Da quando i l «papa» ha preso i l comando della Cupola, Palermo si è Hhanizzata. Stragi su stragi Tutte interne a Cosa nostra. Tutte firmate Llggio-Rllna-Greco contro gli «antipapisti». Una guerra senza quartiere, la seconda Grande Guerra di mafia: sullo sfondo, lo scontro fra don Tano e i Corleonesi

per il controllo del traffico internazionale della droga. U primo a cadere, nel '78, è Giuseppe Di Cristina, capofamiglia di Riesi e boss vecchio stampo, nemico di Liggio, amico di Chi echiteddu e dei cugini Salvo (esattori per conto dello Stato in gran parte dell'isola) nonché grande elettore della De, che alla sua morte espone la bandiera a mezz'asta nella sezione di RlesL Fuori uno. Dopo di lui tocca a Stefano Bontade: ha avuto i l torto d i protestare per i delitti Reina, Giuliano, Terranova (1979) e Mattarella (1980), decisi al di fuori della Cupola, e di ripetere un po' troppo spesso i l proposito di far fuori Rima. Tradito dal fratello GiovannL che sta con 1 Corleonesi, viene freddato a raffiche di Kalashnikov mentre torna dalla festa per i l suo quarantatreesimo compleanno, il 23 aprile '81. Fuori due. LT1 maggio scocca l'ora del suo ultimo amico. Salvatore Inzerillo, i l boss di Passo di Rigano che per mostrare ila sua forza ha fatto uccidere l'anno prima i l procuratore Costa. Fuori tre. Lo sterminio è completato con l'eliminazione di Pippo Calderone, boss di Catania, per mano del suo aspirante successore, Nitto Santapaola, legato anche lui ai «vincenti» di Palermo come pure i l clan dei Ma donia, padroni di Caltanissetta. Ora la Commissione è «normalizzata», sotto lo scettro dei Corleonesi e dei Greco. Ma la seconda Grande Guerra ha fatto oltre cento morti in tre anni E lo Stato, per arrestare la mattanza, manda a Palermo i l generale

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Dalla Chiesa, l'eroe dell'antiterrorismo: l'ammazzano dopo un mese, con la moglie Emmanuela, i l 3 settembre '82. La stessa fine ha fatto, cinque mesi prima. Pio La Torre, i l deputato comunista promotore della legge antimafia. E l'anno seguente, altri due martiri dello Stato: i l giudice trapanese Ciancio Montai Lo e ü vecchio consigliere istruttore Rocco Chin nici, inventore del. «pool» investigativo, capo dell'ufficio che ha appena emesso mandati di cattura contro i corleonesi Riina e Provenzano, i fratelli Michele e Salvatore Greco «il Senatore», e Nitto Santapaola.


Dopo il Grande Blitz, lAntimafia nel mir Non ci sono soltanto delitti «esterni», nella Palermo di quegli anni. La guerra tra bande prosegue senza sosta, anche perché sulla lista nera dei Corieonesi c'è ancora un nome: Salvatore «Totuccio» Contorno, detto Conoiano delia Foresta (il leggendario capo settecentesco dei Beati Paoli), appena condannato a 26 anni per sequestro di persona. Nativo di Ciaculli, figlio di un vecchio mafioso a riposo, ha fatto per anni l'allevatore di bestiame prima di trasferirsi nel quartiere Brancaccio ed imbatterai in Stefano Bontade. diventandone i l braccio destro nel traffico di droga. Anche lui «deve morire». E il 25 giugno '81 scatta l'agguato, condotto da Pino Greco in persona: salvo per miracolo, Totuccio acompare daiift circolazione, mentre Scarpuzzedda gli fa ammazzare sette parenti stretti a decine di complici veri e pres i m i ! E gli mette alle calcagna il suo nuovo, sanguinario alleato: Filippo Marchese, i l capofamiglia di Corso dei Mille che tortura le sue vittime in un'apposita «camera della morte» per farle confessare, le strangola eppoi le fa

sparire in mare o in una cisterna di acido. Nella sua furia omicida, però, don Filippo non viene a capo di nulla: Totuccio si è fatto arrestare a Roma, e di li a poco comincerà a collaborare con la giustizia. Seguito a ruota da uno dei killer del clan Marchese, Vincenzo Sinagra, sulla strada del pentimento inaugurata da don Masino. • DA BUSCETTA AL NULLA - All'offerta di don Tano di tornare a Palermo, Buscetta ha opposto un bel no. Della m a W « ' , di queliti non vuol più sentir parlare. Nemmeno quando i Corieonesi gli ammazzano due figli, un fratello, un nipote, u n cognato, un genero. Se ne sta buono buono in Brasile, nella speranza che tanta remissività induca i suoi nemici a risparmiare il resto della famiglia Arrestato a San Paolo i l 24 ottobre 1983, al giudice Falcone che è venuto ad interrogarlo oppone u n sibillino «ci rivedremo presto». Estradato in Italia nel luglio '84, sull'aereo che lo porta a Roma ingerisce una fiala di stricnina, tentando i l suicidio: l'unico modo, orma! per mettere fuori pericolo la sua famiglia Lo salvano in tempo. E lui si decide a vuotare i l sacco. «Sono stato mafioso e ho commesso degli errori»: sono le prime parole della sua lunga confessione, cominciata alle 1230 del 16 luglio davanti a Giovanni Falcone, e finita più d'un mese dopo. All'alba del 29 settembre di quello stesso '84, giorno di San M i chele patrono delle forze dell'ordine, 11 Grande Blitz: tremila poliziotti e carabinieri

Ait

setacciano Palermo alla ricerca di trecento latitanti, in esecuzione di altrettanti mandati di cattura. I più sono irreperibili, ma le manette-scattano ai polsi di decine di uomini d'onore. Ed è solo l'Inizio. I n novembre tocca all'ex sindaco Vito Ciancimino e ai cugini Ignazio e Nino Salvo, 1 potentissimi «vicerè» legati al clan di Salenni, che negli anni '50 e '60 facevano e smontavano a colpi di mazzette le giunte palermitane, ricevendo ministri e deputati. Intanto, mentre cade in trappola anche Pippo Calò, negli Usa finisce dentro don Tano Badai amenti, processato nell'85 per la Pizza Connection e «incastrato» proprio dalla testimonianza derisiva di Buscetta che, i n cambio, riceve dalle autorità americane la nazionalità Usa, i l perdono di tutti i reati, una nuova identità e un rifugio superprotetto. E 1985 è anche l'anno della scomposta replica di Cosa Nostra allo Stato: cadono altri due inquirenti di prima linea, i l commissario Montana e i l vicequestore Cassare Nell'86 11 super-processo istruito dal pool anfimnfiR di Falcone, Ayala e Borsellino a carico di 474 uomini d'onore (più della metà latitanti), sulla base delle confessioni di Buscetta, Contorno, Sinagra ed altri 22 pentiti. Ai presenti si aggiunge presto i l Papa, arrestato in una delle sue ville. Ma con un clamoroso verdetto, la Cassazione di Carnevale annulla le condanne dei fratelli Greco per il delitto Chiurlici. E, dopo due anni e mezzo di tregua. Cosa Nostra torna ad alzare il tiro: cadono l'ex sindaco

Insalaco. i l presidente della Corte d'assise, Antonino Saetta (1988), i l giudice di Agrigento, Rosario Livatino (1990). Intanto i l maxi-processo s'è chiuso con un» raffica di ergastoli (stavolta confermati dalla Suprema corte): ma su fatti ormai vecchi, mentre Cosa Nostra s'è riorganizzata chfoaà come, sempre più lontana dalla droga e sempre più vicina alle centrali della tinanm mtrnazionale, mentre i l rubinetto dei pentiti s'è seccato e le «voci di dentro» si sono esaurite. I n questo buio sempre più pesco, i veleni, i corvi, i l Csm. i «professionisti dell'antimafia», gli < alti commissari, le rivelazioni, le tournée della Commissione parlamentare, 01 ammanasentenze, le evasioni, la Dia, la Super-procura, Libero Grassi. Lima, Falcone, Borsellino, le polemiche, i superdecreti, le lagne di Orlando Casrio, i l tritolo, i funerali le prediche, 1 dibattiti, le marce, le lenzuola, l'esercito. Ma questa, più che storia, è cronaca. La solita cronaca. (4-fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 19,20 e 21 agosto/


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COMMENTI E INCHIESTE

il Giornale

Domenica 30 agosto 1992

Riflessioni in chiusura gei dibattito su liberalizzazione o proibizione: dopo i pareri prò e contro, la posizione del «Giornale»

Droga, legalizzare vuol dire arrendersi La tossicodipendenza non è un suicidio individuale ma una malattia contagiosa di Vittorio Mathieu SI conclude il dibattito del «Giornale» so legalizzazione o proibizione della droga, aperto con un articolo di Vittorio Mattateli. A sostegno dell'una o dell'altra tesi sono intervenirti Ombretta Fumagalli Garoffi (De). Antonio Martino, Giorgio Stracquadanlo (radicale), Vlncenzo Mnodotl'Fbdmn» Malolo (miteniazione comunista), Valerio Zanone (FU) e Maurizio Gasparri (Msl-Dn). I n questa replica è delineata la postitene del «Giornale». Rispondo sinteticamente alle obbiezioni mossemi, non solo sul Giornale ma per lettera o a voce, per i l grido d'allarme sulla «droga» lanciato i l 15 agosto acorso. Giusto quanto m i han detto alcuni: che non ho conoscenze, né farmacologi che, né sociologiche, che m i autorizzino a parlare da specialista. (Non le hanno, del resto, nemmeno 1 miei obbiettori). Ma la materia è d'interesse generale. Gli specialisti vanno consultati su punti specifici, tenendo conto di tutto e di tutti, n senatore Paolo Mantegazsa (18311910), medico e antropologo, raccomandava caldamente l'uso della coca: trascurava però taluni i n convenienti che s i manifestano negli indio* da l u i studiati. ^f.-,JJi-H • . » • - ; ' • Rivolgiamoci pure a specialisti per u n paragone con alcol, tabacco ed altre sostanze tossiche, ma cessiamo una buona volta d i farcene u n paravento. Alcol Issati e tabaglsti hanno ie loro cristo paragonarti %*pieila. di, un erpinomyidiJ^atidipen-, densa da alcol è gravissima, ma si manifesta a ty$tgrp£Lo' di abusq, .abbastanza efeyato.TféTrestt! IhibfiacnèzztL , luogo pubbhco^. punita ' l'arL 688l3el Codice penale («fi^fistai, natùralmentèJ; se abituale, è un'aggravante per altri reati, ai pan degli stupefacenti (art. 94) e dÀ luogo a ricovero.coatto (art* 331! Ubando e i l fasti-' dio che.fumare G tibapc.fr produce a^^nsiinducè'óggi a restrizióni sempre p i ù severe. Non sono esempi d i l i beralizzazione.

Che la nicotina produca pili morti dell'eroina non è assolutamente un argomento: la prima cosa da abolire sarebbe, ahoraLKgSfèhfohile. Ma occorre capire cheejà qualcosa di molto più grave della morte, ed è l'irresponsabilità radicale che taluni alcaloidi producono. Chi ne cade preda, a un certo momento non può più essere considerato come padrone di sé, e non è pili libero d i uscirne. Ai liberali che pensano ^^xelizzase^liff ga dica c h i a r o - è rondò: la droga è l'esatto oppósto della liberta. Per orientarsi nella discussione occorre distinguere due scopi diversi: a) l'indebolimento della criminalità organizzata; b) la lotta contro i l dilagare degli stupefacenti-n primo è i m portantissimo, ma escludo che sia'lecito perseguirlo a spese del secondo. É già discutibile i l principio d i lasciare che ciascuno si avveleni e si ammassi come vuole, quando non tocca 1 d i r i t t i di terzi. (Se fosse cosi, perché i pompieri si darebbero tanto da fare per impedire a qualcuno d i gettarsi da un tetto, quando sotto non passa nessuno?). Ma la droga non è affatto un suicidio individuale: è una malattia contagiosa con conseguenze sodali gravissime. A parte l'obbligo d'impedire, ad esempio, la guida sotto l'effetto di stupefacenti non meno che dell'alcol, d ò che la legislazione deve ad ogni costo evitare è i l contagio dei sani da parte degli ammalati, a prescindere da qualsiasi giudizio morale (che offre spesso 11 destro all'accusa che si voglia «perseguitare i l drogato»). Le diverse ipotesi che aci cennavo nell'articolo ' non erano tutte realistiche: servivano come premesse lpoi tetiche d i conseguenze logi' che. Non meraviglia, perciò, che molti non abbiano riconosciuto i n nessuna d i esse i l loro personale progetto di legalizzazione. L'ipotesi pili paradossale era, senza dubbio, quella d i una distribuzione gratuita, o decisamente sotto costo, d i qualsiasi prodotto a chiunque lo chieda. Ma è l'unica che permetta di supporre annullati i profitti della mafia. Basterebbe un piccolo controllo sulle condizioni del destinatari o sulle sostanze distribuite per conservare alla

mafia i l mercato. Si pensi alla facilità con cui organizzazioni mafiose assoggettano attività come i mercati generali ortofrutticoli o l'edilizia, che, pure, non sono affatto fuori legge. La ragione è che la mafia stabilisce agevolmente a proprio beneficio un suo controllo, molto pili efficiente d i quello instaurato dagli enti pubblici per qualche buona ragione. I n generale è vero che la deregulation è i l miglior antidoto alla corruzione e alla delinquenza organizzata: ma devono restare efficacemente proibite poche cose Inammissibili Oggi, per contro, si tende a regolare tutto e si rendono inefficaci 1 divieti anche di ciò che si dovrebbe impedire. Non discuto esperimenti come quelli d i B o n a , d i distribuire gratuitamente eroina agli irrecuperabili Sono wn»ingh< alla somministrazione crescente d i morfina agli ammalati terminali d i cancro. Possono evitare sofferenze e anche un gran numero di réati. ma vanno accompsgntitìdn mi-,

pericolosi: che bastasse accettarne la convivenza. E l'immigrazione clandestina, chi mai la vuole? E una piaga per tutti, compresi gli immigrati. Allora la si legalizza a certe condizioni che, però, non vengono rispettate. Poiché si pongono condizioni sembra che l'immigrazione clandestina continui ad essere condannata' i n realtà le si cambia i l nome. Dove non si ha i l coraggio d i adottare un rimedio reale, se ne adotta uno nominale, E sarebbe un rimedio nominale legalizzare la droga, dietro la foglia di fico, più o meno larga, di qualche restrizione. Dico questo a coloro che non vogliono sinceramente i l diffondersi della droga. Alt r i p u ò darsi che lo desideri, o lo deprechi solo a parole. Allora è naturale che si rallegri della riduzione di prezzo che la libertà porterebbe («a un millesimo» mi è stato detto: accontentiamoci pure d i un decimo). C h i però, non vuole u n incremento del consumo non p u ò rallegrarsi d i una diminuzione del prezzo. Perciò la riduzione dei reati connessi con la drore 1 sani Perciò non toglie-1 ga a n d r à .cercata con altri ranno profitto ai c r i m i n a l i I mezzi, Una -diminuzióne d i Gli spacciatori ingrasseran- prèzzo p o r t i "sempre à "un no sulla fascia degli intossi- <aumento del'consumo, se la cati non ancora i n possesso domanda è elastica! E a rendel certificato di irrecupera- dere elastica la domanda bilità, e tenderanno ad allar- globale ci pensano i piccoli garla e a creare assuefazione spacciatori, mentre a rendea droghe no» distribuite! ~X - re tragicamente anelastica, all'in dietro, la domanda inSpiego ora*pertdiS ho* par- dividuale ci pensa l'assuefalato ffi'*resa»>"-ÈPfrequentis> zione. sima, nelle società d'oggi la tendenza a cercare una soluzione nominale dei problem i quando si è incapaci di praticarne una reale. Potrei fare l'esempio dell'aborto, ma preferisco sceglierne uno meno emotivo, puramente ipotetico: i l mercato delle a r m i Se qualsiasi arma si potesse commerciare liberamente, u n mercato nero delle armi non esisterebbe pili, pér definizione. Ma basta ciò per eliminare gli inconvenienti che si suppone che ne derivino? Atteggiamenti del genere, benché meno espliciti, sono stati e sono frequenti di fronte a molti mali del nostro secolo. U «socialismo reale», ad esempio, o i l terrorismo. Molti non l i volevano, ma non volevano neppure i mezzi (scomodi ma non sempre necessariamente bellici) necessari a combatterli. Preferivano illudersi che quei mali non fossero

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Cronaca di un viaggio a Phnom Penh. gomito a sonino con Khieu oampnan. uno aei capi storici dei Khmer Rossi

Cambogia, una pace senza giustizia

«L'uomo che mi siede accanto è un assassino, responsabile di centinaia di migliaia di moni. Voleva purificare la razza» L'accordo promosso dalle Nazioni Unite ha un prezzo altissimo: dimenticare il genocidio, stringere mani sporche di sangue SOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE

PHNOM PENH — L'uomo che mi siede accanto e un assassino, responsabile di centinaia di migliaia di morti, reo di avere usato degli essen umani come cavie per uno dei più spaventosi esperimenti di ingegneria sociale tentati in questo secolo. Fosse un tedesco, accusato degli stessi crimini durante la Seconda Guerra Mondiale, sarebbe ricercato in tutto il mondo e dovrebbe nascondersi, ma lui è cambogiano, è ora protetto dalle Nazioni Unite, viene chiamato «Eccedenza» e viaggia con una guardia del corpo nella prima fila deU'aereo che fa la spola fra Bangkok e Phnom Penh. n suo gomito sfiora i l mio. Che farei se mi trovassi seduto accanto a Mengele? Farei finta di niente? O urlerei: «E' lui! Eccolo, è qui!». Perché i crimini dei nazisti sono stati riconosciuti per tali dall'intera comunità Intemazionale e quelli dei Khmer Rossi no? Forse perché le vittime degli uni erano degU ebrei dei bianchi, e queUe degli altri erano cambogiani dalla pelle scura? Forse perché a Norimberga ì vincitori ebbero modo di imporre la loro giustizia ai vinti mentre in questa maledetta guerra indocinese nessuno è in grado di processare nessuno e la giustizia resta fra le tante speranze frustrate? Khieu Samphan guarda distrattamente il paesaggio che ci scorre sotto, guarda le risale che, quando luì era al potere erano diventate i «campi della morte». DI tutta la gente che conoscevo i i r Cambogia agli inizi degli anni '70 non ho ritrovato che tre o quattro persone. Le altre son tutte finite laggiù a «fare da concime alle piante di cocco». Fu l'uomo che ho seduto accanto a coniare quell'espressione. Anche i «controrivoluzionari» dovevano, alla fine dei loro giorn i essere utili a qualcosa. Ho un groppo alla gola e. anche volessi, non riu-

scirei ad urlare. Khieu Samphan e stato uno dei fondatori dei Khmer Rossi, e stato il più stretto collaboratore di Poi Pot, e l'intellettuale che ha razionalizzato il massacro di almeno un milione e mezzo di persone per «purificare la razza khmer e riportarla allo stato di forza e di grandezza dei tempi di Angkor». diceva. Mi viene in mente l'espressione «le mani macchiate di sangue». Guardo le sue, magre, dalle dita finissime appoggiate al bracciolo. Dal 1976 al 1979 K h i e u Samphan svolse la funzione di capo di Stato e quella di capoboia nell'esecuzione di centinaia di migliaia di persone. Nel 1979, quandó 1 vietnamiti invasero la Cambogia e la liberarono d a l l ' o r r o r e dei Khmer Rossi, K h i e u Samphan e gli altri responsabili dei massacri avrebbero potuto finire con una corda al collo, ma restarono impuniti perché le Grandi Potenze avevano bisogno di loro. Khieu Samphan, scappato da Phnom Penh, si rifugiò, assieme a Poi Pot e agli altri capi-assassini nella giungla ai confini con la Thailandia e da lì cominciò la guerriglia contro i l nuovo regime pro-Hanoi installatosi in Cambogia. Siccome i Khmer Rossi lottavano contro il Vietnam, i loro crimini vennero come amnistiati, mantennero il loro seggio alle Nazioni Unite e la Cina, gli Stati Uniti e vari altri Paesi occidentali dettero loro direttamente o indirettamente Ingenti aiuti. Accanto ai Khmer Rossi, nella lotta contro il governo di Phnom Penh. presto si schierarono i guerriglieri repubblicani dell'ex primo ministro Son Sann e quelli monarchici di Sihanouk. La guerra è andata avanti cosi per un altro decennio. Poi i Cinque Grandi, membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno de-

ciso cne questo conflitto doveva finire e. dopo lunghissimi negoziati, hanno imposto ai cambogiani un loro accorcio di pace. Questo accordo, firmato a Pangi nell'ottobre dell'anno scorso, ha legittimato ì Khmer Rossi come uno dei partiti politici del Paese e ha dato a Khieu Samphan uno dei posti nei Consiglio Nazionale Supremo, una sorta di governo di coalizione transitorio presieduto dal principe Sihanouk. Quando cinque mesi fa Khieu Samphan t o r n ò per la p r i m a v o l t a a Phom Penh nella sua nuova veste di «Eccellenza», una folla di gente dette l'assalto alla casa in cui era andato ad installarsi e-cercò di impiccarlo ad un lampadario, ma anche allora Khieu Samphan se la c a v ò . «Aiutatemi v o i salvatemi», piagnucolava con la faccia coperta di sangue, rivolto ad un gruppo di giornalisti stranieri che erano entrati assieme alla folla, armata di baston i nella stanza i n cui lui s'era nascosto. Nei giorni che seguirono, a Bangkok s'era discusso a lungo fra colleghi su come si sarebbe dovuto reagire a quell'appello. Ero contento di non essere stato in quella stanza a dover prendere la mia decisione. Ma ora, con lui accanto, che fare? Guardo la sua faccia lìscissima, pallida, inespressiva, penso a mille domande, ma non riesco ad aprir bocca. Automaticamente prendo un pezzo di carta, scrivo chi sono e chiedo un appuntamento per una intervista. All'inizio della nota mi scopro a scrivere: «Eccellenza». Gli passo il foglio: Lui sorride, lo legge, prende la sua penna e ri' sponde con due frasi in calce. Mi rida i l foglio a due mani con un gesto i cortesissimo di ringraziamento. M i scopro a rii spondergli con un sorriso. Son contento che il volo sia brevissimo. L'espenenza mi sembra la riprova di tutta l'assur-

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dità della soluzione che le Nazioni Unite credono di aver trovato per la Cambogia: lasciando impuniti gli assassini si finisce per t r a t t a r l i come persone normalissime e lentamente l'orrore del passato viene dimenticato. Ad un piccolo compromesso ne segue uno più grande e alla fine i l tutto diventa una rivoltante indecenza. «Lei vorrebbe continuare la guerra civile! Lei vuole che noi continuiamo a morire», mi urlava tre settimane fa Sihanouk alla fine di una lunga conversazione in cui io chiedevo se riportare i Khmer Rossi a Phnom Penh. non fosse come rimettere i lupi nell'ovile e se non sarebbe stata meglio una soluzione politica che escludesse i Khmer Rossi o almeno i loro capi storici «Lei dice cosi perché è straniero, ma i cambogiani sono più saggi di lei, capiscono che senza i Khmer Rossi non ci può essere pace», urlava Sihanouk. La sua voce rimbombava per le sale aperte del Palazzo Reale, preoccupando le sue guardie del corpo nord-coreane. L'aereo si ferma davant i alla torre di controllo di Pochentong. Khieu Samphan viene fatto scendere per primo. A l piedi della scaletta c'è l'ambasciatore inglese a salutarlo. Dei soldati delle Nazioni Unite stanno discretamente di guardia in lontananza. Che la com u n i t à internazionale abbia deciso di mettere quest'uomo sotto la propria protezione invece che tradurlo dinanzi ad un tribunale è parte del compromesso-accordo di Parigi, ma p e r c h é per giunta ignorare sempre di più le sue vittime? Boutros Ghall il segretario generale delle Nazioni Unite, è venuto per tre giorni a Phnom Penh a metà del mese scorso. Ha presieduto ad una riunione del Consiglio Nazionale Supremo, ha stretto la mano a tutti i suoi membri (compresi i


Khmer Rossi), ha visita- | :o il Museo Nazionale I Camboeiano. un centro I di ricevimento per 1 rifugiati, ma non ha messo piede nella prigione di Tuoi Sieng, la Auschwitz cambogiana, e non ha reso omaggio ai morti dell'olocausto. Anzi. Quando ha parlato della missione Onu m Cambogia, ha detto che uno degli scopi era quello di evitare il ripetersi dei «gravi errori del passato». Accetterebbe il mondo che si parlasse dei campi di sterminio nazisti come di ••gravi errori»? Le Nazioni Unite portano centinaia di militari e di funzionari civili la cui missione e stabilire «la pace e la democrazia» in questo Paese martoriato. Alla sera molti di loro si ritrovano al bar del vecchio Hotel RoyaL «Ah, lei è già stato qui?», mi domanda un giovane cartografo del Mozambico davanti a una birra. «Sento spesso parlare di Khmer Rouge. Mi dica un po', chi è questa donna?». Tiziano Terzani

Un mezzo ci sarebbe La pubblica opinione è rimasta sconvolta dalle i m m a g i n i , i n arrivo dalla Somalia, di bambini ridott i a scbeietri ambulanti, coperti d i mosche cbe non si capisce cosa c i trovino da mangiare. Non so quando siano state scattate queste foto. Forse ieri. M a forse anche u n anno, o cinque, o dieci anni fa. Non è la Somalia d i oggi, ma quella d i sempre, anche se la guerra civile ne ha aggravato le condizioni. Le anime belle hanno i n tonato i l solito r i t o r n e l l o : «Colpa d i n o i r i c c h i e del nostro egoismo». M a n o n è cosi. D i a i u t i alla Somalia - e n o n soltanto alla Somalia - ne diamo, i n proporzione alle nostre disponibilità. L'errore, o meglio i l malaffare, sta nel modo d i darli: per «lottizzazione». L a gestione dei duemila m i l i a r d i destinati alla Somalia è affidata, c h i s s à p e r c h é (ma è u n modo d i dire: i n r e a l t à lo si sa benissimo), a l partito socialista, mentre i duemila destinati all'Etiopia sono d i spettanza democristiana. E i benefici possono essere cosi - all'ingrosso - r i p a r t i t i . U n terzo finisce nelle tasche-dei satrapo d i t u r n o . U n terzo v a all'acquisto d i a r m i da usarecontro i sudditi che osino ribellarsi al satrapo d i turno. U n terzo torna, sotto forma d i «tangenti», ai proc u r a t o r i italiani degli a l t r i due terzi.

all'avanguardia i n t u t t i i campi dello scibile. M a non riesco a immaginare chi l a frequenti, d i una popolazione rimasta a l novantanove per cento analfabeta. E qui m i fermo per u n riguardo verso i l fegato dei l e t t o r i . Ora leggo sui giornali che I t a l i a e Francia si starebbero accordando su u n sistema d i distribuzione degli a i u t i i n natura cbe l i faccia arrivare a l consumatore gettandoti direttamente s u l mercato a prezz i bassissimi. I l l u s i o n i d i gente che non è m a i stata da quelle parti, e che s ì r i flettono anche nel vocabolario. Applicati alla Somalia, i t e r m i n i consumatore e mercato fanno semplicemente ridere. Quali cbe siano i prezzi, solo l a Nomenclatura dispone d i moneta, anche i n l i r e e doll a r i , m a non ha bisogno d i spenderla p e r c h é è già satolla d i t u t t o . G l i affamati vanno avanti per scambi, ed ora non hanno p i t i nulla da scambiare. Eppure, u n mezzo per. soccorrere questi disgraziati c i sarebbe, ed anche semplice: dando la gestione dei duemila m i l i a r d i a i missionari d i padre Gbeddo: quelli cbe da anni e decenni vivono laggiù, peones fra i peones, sfidando lebbra, tifo e t u t t o i l resto, combattendo l a fame non

con distribuzioni d i farina, m a insegnando alla gente - nella sua lingua G l i addetti ai lavori, o come si coltiva i l grano, comeglio a l saccheggio, ob- me si scavano i pozzi e i cabietteranno cbe d i opere . nati e condividendone, civilizzatrici ne sono state giorno dopo giorno, r i s c h i tuttavia intraprese. E sta- e privazioni. È fra questi t a costruita, per esempio, u l t i m i grandi Crociati della strada Garce-Bosaso do- la civiltà cristiana cbe la ve n o n transita nessuno. Chiesa dovrebbe reclutare P r i m a d i • t u t t o p e r c h é , i suoi n u o v i Santi. M a quenemmeno foderati come sto è affare del Papa, non sono d i cinque c e n t i m e t r i nostro. A noi, poveri laici, d i callo, 1 piedi scalzi dei è consentito solo u n suggesomali resistono a l calore rimento: che quei duemila rovente dell'asfalto. E p p o i m i l i a r d i vengano affidati p e r c h é è una strada cbe ai missionari, o cbe cocollega i l nulla a l nulla. munque siano i missionari Per darle uno scopo, si è a dire dove e come vanno dotata Bosaso, a l modico impiegati. costo d i una quarantina d i Purtroppo, è u n suggerim i l i a r d i , d i u n porto d i pe- mento destinato al vento. I scatori. M a lo, nei miei an- missionari, quelli veri, n i d i v i t a laggiü, n o n bo non hanno tessera d i partimai visto u n somalo pesca- to. re n é n u t r i r s i di pesce. Si è Indro Montanelli anche istituita, a Mogadiscio, u n a grande Universit à cbe, a giudicarla dagli IL <Jio(\/JALE emolumenti d i docenti e impiegati, dovrebb'essere


L'ambasciatore Usa era una spia al soldo dell'emiro dei Kuwait Wa»Magton La Guerra del Golfo provoca altri scandali Tityii stati Uniti ora e la volta di Sam Zakhem. ambasciatore americano in Bahrein dal 1986 al 1989, formalmente incriminato dal procuratore federale di Denver per avere «agito come agente segreto» del Kuwait ed evaso le tasse Intascando e non denunciando ben 7,7 milioni di dollari elargitigli dall'emirato per trascinare gli Stati Uniti in guerra. I n cambio Zakhem avrebbe in effetti fatto pressioni sul Congresso, convincendo molti parlamentari dalla necessità di un inter-

vento militare americano in Kuwait, per cacciare l'armata di Saddam Hussein. Insieme a William R. Kennedy jr e Scott Stanley, rispettivamente ex editore e direttore del giornale conservatore «Conservative Digest», l'ambasciatore Zakhem non si sarebbe autodenunciato al Dipartimento di Giustizia come «agente di un paese straniero», cosi come vuole i l «Foreign agents registration act*, ed in più non avrebbe denunciato l'entrata della «tangente» passatagli dai kuwaitiani per i l suo «interessamento». E «caso Zakhem» già fa discutere in America e - come

L'apice della «disinformazione», venne raggiunto dall'uscrive i l «Los Angeles Times» dienza di fronte al osucus del - rilancia dubbi e polemiche Congresso per i diritti umani sulla campagna di opinione nella quale, realizzando una poco trasparente che contri- frode sfacciata, i consulenti buì a mandare ì «ragazzi» ame- della Hill e Knowiton fecero ricani nel Golfo. Secondo l'ac- testimoniare una ragazza apcusa contestatagli, infatti. Za- pena lòenne. presentandola khem era si un pesce grosso, come una rooprofiints»: la ma inserito in una vera e pro- giovane raccontò le atrocità pria «trama» ordita dagli emiri commesse dagli iracheni dudel Kuwait per convincere gii rante l'invasioneriferendoanStati Uniti ad intervenire. La i che dei 15 neonati strappati famiglia Al Sabah, al potere in : dalle incubatrici e lasciati moKuwait, era arrivata - e questa ; rire dagli iracheni T a storia feè cronaca di un anno fa - ad i ce i l giro del mondo. Ma dopo assumere la società di pubbli- , la guerra si venne a sapere che che relazioni H i l l e Knowiton, ! la commovente Nayirah altri che, in cambio della d i r a di 11 | ncmerRnhw I R figlia (toh'ttrobttmilioni di dollari, aveva inse- sciatore kuwaitiano a Wadiato nei suoi «ifflrt di Wash- shlntgon e che, di conseguenington i l comitato per i l Ku- za, la sua testimonianza ero | stata inventata di sana pianta wait libero.

Controlli bancari surreali

Il Grande Fratello Ben venga qualsiasi controllo bancario, invocato dal ministro Mancino, se questo p u ò servire a ostacolare i profitti della delinquenza organizzata. Sarebbe preferibile, p e r ò , che controlli altrettanto capillari e accurati ostacolassero direttamente l'attività delinquenziale. Nella misura i n cui c i si riuscisse, non ci sarebbe poi bisogno d'Inseguirne 1 p r o f i t t i . Da u n lato, per contro, si m u l t a chi si dimentica d i scrivere «non trasferibile» su u n assegno superiore ai venti milioni; dall'altro si permette che si venda droga davanti alle scuole e si rimettono i n libertà, dopo pochi giorni, gli spacciator i colti sul fatto (che, se recidivi, non dovrebbero tornare i n libera circolazione mai). Non c'è da meravigliarsi, quindi, se i l presidente del comitato milanese antimafia, Carlo Smuraglia, dice: «Siamo ancor a all'anno zero». Non basta render difficile i l riciclaggio del denaro sporco: occorre evitare che questo si formi, per lo meno in tali q u a n t i t à . Dopo è troppo tardi: i criminali troveranno altre vie. Un tempo si diceva del denaro: non olet. Più tecni-

camente: i l suo possessore si presume che ne sia i l proprietario legittimo. F i no a prova contraria, naturalmente. Oggi chi detiene una somma cospicua è sospettato. Deve giustificarne la provenienza. E r anche l'erogazione, even- j tualmente. Se dicesse che l'ha distribuita a sconosciuti, o anche bruciata come è perfettamente i n diritto d i fare - , passerebbe dei guai. I l denaro si presume sporco. E , quel che è peggio, si finirà c o l presumerlo con ragione: p e r c h é , a forza d i ostacola-, re qualsiasi arricchimento , legittimo, si o t t e r r à che | esistano solo ricchezze il-1 legittime. Queste sanno , come sfuggire, almeno al- \ l'ottanta per cento. j È vero: la maggior parte I delle attività criminose < non avviene senza passaggio d i denaro. Ma, se una forma d i denaro è troppo : controllata, se ne adotta i un'altra. Denaro non è solo la moneta (del resto, mal controllabile essa stessa): i n certe s o c i e t à una stretta d i mano p u ò valere quanto u n assegno. Se c'è la fiducia, m i direte. Ebbene, la fiducia c'è, se chi non onora l'impegno sa, ad esempio, cbe lo aspetta la lupara.

Se u n decimo dell'attenzione che si porta sulle transazioni finanziarie si portasse, a monte, sulle attività delinquenziali d i persone i n parte già conosciute, i n parte facilmente individuabili, i l numero dei d e l i t t i si abbasserebbe di m o l t o . Sempre che, beninteso, se scoperti, ricevano una punizione effettiva e adeguata. Sarebbe una spiegazione giusta, m a parziale dire che ciò non avviene perché, sotto i l pretesto d i scoprire i l denaro sporco, c'è l'intento d i far pagare imposte (talora d i rapina) al denaro p u l i t o . I n v e r i t à , i l gettito migliorerebbe m o l t o d i p i ù razionalizzando la legislazione fiscale e l'esazione. G l i occhi d'Argo dello Stato su ogni transazione finanziaria (compreso l'acquisto d i cento lire d i caramelle) hanno un'origine p i ù profonda. L o Stato vorrebbe controllare tutte le a t t i v i t à dei cittadini: e, se riuscisse a seguire ogni passaggio d i denaro, sarebbe già a b u o n punto. I l concetto, dichiarato o no, è che l'uso dei «propri» mezzi ha da esser pubblico, n o n privato, perc h é i mezzi, per questa m e n t a l i t à , sono al servizio dello Stato, non del cittadino. Avviene cosi che comportamenti perseguib i l i se t e n u t i a t i t o l o privato, quando si ammantino del pretesto del bene comune non vengano p u n i t i . Se, ad esempio, una casa editrice fallisce, la legge fallimentare è applicata

diversamente, a seconda cbe si giudichi la casa «utile a l progresso civile» o no. ( I l giudizio, naturalmente, è d i una parte ben precisa della nostra s o c i e t à , quindi a r b i t r a r i o ) . Rimane i l problema degli accordi t r a singoli, cbe non comportino passaggio di denaro. Sono v i s t i come fumo negli occhi, anche quando non abbiano nulla di criminoso, p e r c h é non l i si p u ò controllare. I n v i t o a cena l'amico cbe m i ha portato a casa i n auto, e non emetto ricevuta fiscale. NeppurfrluL Urge provvedere. E , i n parte, lo si è già fatto: s i è stabilito cbe un parrucchiere non p u ò tagliare i capelli a sua madre senza farsi pagare. Come dice i l Vangelo d i San Luca ( X H , 7), «tutti i capelli della vostra testa saranno c o n t a t i » . Noi spesso c i illudiamo cbe, insieme col socialismo reale, anche l'ombra del Grande Fratello sia scomparsa. Ci sbagliamo. I l comunismo è finito, ma i l giacobinismo, cancro della nostra società, è p i ù vivo cbe mai. Vittorio Mathieu

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1500 milioni al minuto Se uno spende 10 ed incassa 100, si tratta di un buon affare; se uno spende 100 ed incassa 10, si tratta di un cattivo affare; se uno, per poter incassare 10, fa spendere 100 ad altri, si tratta dell'intervento pubblico e della sua inseparabile compagna, la corruzione. Vorrei tornare sull'argomento perché cittadini indignati per gli episodi d i corruzione che continuano ad emergere chiedono che la collettività venga r i sarcita attraverso la restituzione delle tangenti incassate dai corrotti. Comprendo appieno lo sdegno di quanti auspicano questa forma di inripnnìTTin, ma ritengo che l'analisi sottintesa sia grossolanamente sbagliata.

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Supponendo che la spesa pubblica abbia luogo in modo continuo, anche nelle ore notturne e nei giorni festivi, si tratta di ben 2.192 miliardi il giorno, 91324 milioni l'ora, 1323 milioni i l minuto: nessuno, nemmeno se dotato di eccezionali doti di onniscienza, p u ò pensare di controllare quel gigantesco fiume d i miliardi. Qualche lettore, nel contestare la validità della tesi, ha sostenuto che le tangenti esistono anche nel settore privata È vero: i l problema del1'«agente infedele» esiste anche fuori del settore pubblico; come sostenuto i n u n precedente articolo, ogniqualvolta uno spende denaro altrui a beneficio proprio o altrui si crea spazio per la Come ho detto, i l danno corruzione. Tuttavia esistoper la collettività non è affat- tìb "differenze enormi fra to rappresentato da quanto spesa pubblica e spesa privaincassato dal corrotto (10),. ta. Nel caso dei privati, infatma da quanto i l contribuen- : t i , i l proprietario o i propriete è stato costretto a sborsa- tari hanno sia l'incentivo sia re (100) per consentire al la possibilità di effettuare corrotto di percepire la tan- controlli gfflnmri sul comgente. I n altri termini, l'in- portamento dell'«agente intervento pubblico non solo fedele». Dal momento che costituisce condizione ne- sopportano per intero i l dancessaria (e quasi sufficiente) no, hanno l'interesse a tentad i corruzione, ma ne misura re di eliminarlo, ed essendo anche la portata. Non la tan- proprietari hanno anche i l ^eute^fe la misura del nostro modo per farlo, liberandosi danno, ma lo sprecala spe- del dipendente disonesto. sa pubblica superflua o inu- Nel caso della spesa pubblii tlfr n a t i attenente gì infiala a ca, invece, ognuno d i noi sinlivelli motto superiori a golarmente considerato ha quelli strettamente necessa- molto poco da guadagnare r i La tangente pagata al poli- dalla eliminazione di una datico è stata solo un dettaglio ta spesa pubblica inutile: per nella spartizione del bottino, ogni miliardo risparmiato non l'elemento fondamenta- l'italiano medio ha u n benele dell'operazione. ficio di 17-18 lire soltanto. N o n solo, ma anche ammesVengo cosi alla mintesi di so che egli volesse impefondo, contestata da qual- gnarsi in questa battaglia che lettore, secondo cui il re- per senso civico, indipensponsabile vero di questi po- dentemente dal beneficio co esaltanti episodi è l'intervento pubblico. A me questa spiegazione sembra ovvia, che ne ricava, che cosa pose non banale, ma, dal mo- trebbe fare? Aspettare cinmento che ha suscitato qual- que anni e votare per rappreche critica, convenàforsei l - sentanti politici meno spenlustrarla meglio. I l punto di daccioni, più oculati nell'impartenza è che è assoluta- piego del denaro pubblico? mente impensabile che in Non ci libereremo mai di una spesa annua complessi- questa piaga sociale se priva di quasi 800 mila miliardi m a non ci renderemo conto non si annidi la corruzione; t u t t i che la sua vera causa è u n controllo efficace su una lo statalismo, le dimensioni spesa di quelle dimensioni è abnormi assunte dal settoassolutamente impossibile. re pubblico. Solo allora ca-

4<ò

piremo che i l nostro vero nemico non è tanto la corruzione, anche se moralmente deplorevole, ma lo spreco che, i n nome d i nobil i ideali di democrazia e socialità, rischia di condurci alla bancarotta. Se vogliamo accrescere la moralità pubblica nel nostro Paese dobbiamo sottoporre ad una drastica dieta l'intero settore pubblico. Antonio Martino

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L'INVITATO

Risposta al vescovo di Ivrea

CAPITALISMO E SOLIDARIETÀ

MONSIGNORE E L'ECONOMIA

di Luigi Bettazzi*

di Antonio Martino

R Piemonte, forse -più di altre regioni, è sconvolto da una grossa Monsignor Bettazzi, vescocrisi occupazionale: ieri con l'Olivetti e la Bull oggi con ìaLanaae vo di Ivrea, sostiene (il Giornala Pmmmrtna. I Vescovi della regione e delia Valle d Aosta munti eh le, 23 giugno) che le ristrutturecente a Candia Canavese, hanno esaminato con preoccupazione razioni in atto sorto imputabili il nuovo ciclo di ristrutturazioni che colpisce le grandi come le me- alla «logica perversa del capidie e piccole aziende, non escluse quelle artigianali, con il forte ed talismo, che salva la grande inallarmante calo di timoraton occupati Ad aggravare la situazione dustria, ma riducendo l'occusi aggiunge la difficoltà del lavoro agricolo, da tempo non efficace- pazione e soffocando la piccola mente andato da una chiara legislazionenazionale ed europea, con industria, cosi come tende a concreti finanziamenti, largamente, peraltro concessi all'industria salvare il benesssere delle naLa readù che e ibernila a crecasimPiemome non può essere acxxA^ zioni più rioche e potenti imta acriticamente perché comvolgeidirimfondamentah dell'uomo e ponendo sacrifici (...) a quelle crea difficoltà allapacifica convivenza ovile. Non possiamo nascon- più piccole e dipendenti». I dadera - come abbiamo rilevato più. volte - l'arroganza con aa spes- ti di fatto su età l'orazione del so le vnprese pongono di fronte al fatto compiuto di forti riduzioni monsignore si fonda sono falsi di personale, magari dopo aver assicurato che questo non sarebbe ed i rimedi proposti sarebbero n^ndn*" * f™> gnixtiHrnxim* r*u> questn » ìm fatta inphittntnle disastrosi Non è vero, infatti, determinato dal concorso mondiale del capitalismo; né possiamo che il capitalismo salvi la granrassegnarci alla., rassegnazione che è giocoforza accettare queste de industria soffocando la picvicende, tantoptùchedatempo erano forse previste, certo temute. cola e distruggendo occupazioAl di là delle considerazioni generati svila logica perversa del ca- ne. Se fosse cosi, la crisi di un pitalismo, che salva la grande industria ma riducendo l'occupazio- gigante come Ibm ed il travolne e soffocando la piccola industria cosi come tende a salvare il gente successo di tanti suoi benesseri delle nazioni più ricche e potenti imponendo sacrifici - concorrenti piccoli o piccoliseconomici, demografici, vitali-a qudleptùpiccole e dipendenti (la simi sarebbe inspiegabile. «Conferenza mondiale sull'ambiente e lo sviluppo» di Rio de JaneiLa concorrenza «salva» le ro insegni!), credo che dobbiamo sollecitare politici e ammsmstra- imprese efficienti e costringe tori, da quelli nazionali che soh possono condizionare il movimen- alla razionalizzazione quelle to delie industrie (e non è un caso che certi annunci vengono matu- cfte non lo sono; cosi facendo rati coniai governo che si è dimesso/ finoaqueUilocalipertrattati- garantisce occupazione proveserwdipoliticaindustrialeeditut^dHl'occupazione, che non si duttiva e qiiellacxmtinua ricercontentino di vaghe promesse (come avvenne già per la Montefi- ca di maggiore efficienza che è brei, mastendano piani di assetto territoriale e di riorganizzazione la causa fondamentale del nodei servizi, che assicurino soprattutto gU anelli più déboli e più a stro benessere. Né è vero che i nschto del mondo lavorativo e ridiano forza contrattuale e fiducia a Paesi grandi e largamente dotutti. tati di risorse siano ricchi e goÈ un momento di necessaria solidarietà anche da parte della co- dano di alti tassi di sviluppo muratù ecclesiale sempre tentata eh chiudersi nei suoi problemi odi basti pensare a Brasile e Arguardare solo all'interesse della maggioranza dei suoi membri, per gentina—oche i Paesi piccoli e farsi voce e speranza dei piùmmacciati 0non ha detto il Papa che dipendenti siano condannati la dottrina sociale della Chiesa (che richiama la destinazione uni- alla miseria-valga per tutti il versale dei beni e ribadisce l'opzione preferenziale dei poveri) èpar^ te mtegnxpte della nuova evangelizzazione? E che la solidarietà, è il IL nome attuale el'impegno tnebutSMe déBacarttùl ••• rii r" ili %.^M^ÈLJe^Strrt>tiiIvreu \L

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caso di Taiwan, un'isoletta poco più grande della Sicilia priva di risorse naturali, con oltre 20 milioni di àbitanti, che vanta tassi di sviluppo a due cifre e le più grandi riserve ufficiali al mondo. Quanto ai rimedi, per «tutelare l'occupazione», Bettazzi suggerisce di destinare risorse ai settori in crisi onde impedire le ristrutturazioni. Se si chiedesse da dove vengono, si renderebbe conto dell'insensatezza del suo suggerimento: quei soldi venebbeiu dalle tasche dei contribuenti italiani, che dovrebbero ridurre stai loro consumi che t loro risparmi. Al sistema produttivo quindi affluirebbero minori fondi per consentire ti finanziamento di impieghi improduttivi: l'effetto netto sarebbe una distruzione di reddito reale. C'è di più: l'assistenzialismo congela lo status quo, impedisce ti cambiamento e lo sviluppo: se le pratiche assistenziali fossero state coerentemente seguite dal secolo scorso, continueremmo ancor oggi a produrre piegabaffi e crmotme per «tutelare l'occupazione» nei relativi settori. Infine, quanto ai «piarti di assetto territoriale e di riorganizzazione dei servizi», possibile che monsignore non si sia accorto dei risultati ottenuti dall'ex Unione Sovietica dove non mancavano certo piani di questo genere?


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COMMENTI E INCHIESTE

il Giornale

Maneo. 4 aeosio 1992

; .. \ la crucis della scuoia italiana: a 2i anni dalia «Lettera a una proiessoressa» puòpliehiamo auc muuizi sui priore di Barbuma e sui suo mito

Don Milani, un «presuntuoso ribelle»

\ ita ero con durezza la scuoia «classista», la cultura echi la insegnava • 11 suo fu un campionario di sciocchezze e di malienna gratuite - «La matematica—si può abolire» - «La scienza—a te che te ne importa.'» - «Le maestre sono come i preti e le p—» - Ma il"68 era alle pone e il libello fu sventolato come il «libretto di i\ lao» l'organizzazione cioè d i una scuoia sena che raggiunga t u t t i , una scuola plurima, severa, differenLa sera dell'8 giugno ziata, esigente, che dia 1967. alla Corsia dei Servi molto, ma pretenda molto, di Milano, i l libro di don a tempo pieno là dove sia M i l a n i Lettera ad una pro- necessario, con insegnanti fessoressa fu presentato ad severamente selezionati, u n pubblico di amici e sim- con attrezzature ed assipatizzanti, mentre una di- stenza adeguate, con selerigente dell'Uciim (Unione zione che guardi soltanto cattolica insegnanti medi) ai meriti e collochi i n una ed un esponente della vasta gamma d i possibilità scuola laica milanese sede- scolastiche ciascuno nella vano sul palco dei relatori. classe e nel corso che fa per Padre Davide Turoldo or- l u i . E, per scendere al prachestrava la manifestazio- tico, scartai a p r i o r i , dato i l ne, cui non mancava i l clima generale, gli argodrappello de «i damàzz de menti contro l'ostracismo Lombardia», per dirla con alla cultura umanistica e i l Porta, signore di una bor- puntai sulla matematica ghesia ricca e salottiera, che m i pareva p i ù adatta nullafacenti ed inconclu- ad impressionare u n pubdenti, ma impegnatissime blico cosi rozzamente a sostenere via via quel tan- orientato a contestare la to di contestazione che nostra tradizione culturanon ledesse i loro privilegi le. M i aveva infatti particoe facesse provare i l brivido larmente impressionato di una, per loro innocua, ciò che don M i l a n i scriveva trasgressione. della matematica «Per inErano presenti anche al- segnare la matematica alle c u n i ragazzoni di Barbia- elementari basta sapere na, adulati e coccolati dai quella delle elementari. partecipanti, specialmen- Chi ha fatto la n i media ne te dalle dame, nella parte ha 3 anni di troppo. Nel di «buon selvaggio», ma i n programma delle magir e a l t à in funzione d i robot strali si p u ò dunque abolicaricati per ripetere senza re... Non è vero che occorra sfumature i t r i t i e meschi- la laurea per insegnare mani ritornelli alla Barbiana e tematica alle medie. E una per aggredire, a testa bas- bugia inventata dalla casta sa, la cultura borghese (a che ha i figli laureati. H a loro per altro ignota). messo la zampa su 20.478 Avvertita da un'amica posti d i lavoro u n po' speche m i accompagnò, parte- ciali. E la cattedra dove si cipai alla riunione, non lavora meno (16 ore settisenza aver letto i l libro manali). E quella i n c u i uscito da pochi giorni. Do- non occorre aggiornarsi. po che i relatori ebbero t r i - Basta ripetere per anni le butato elogi sperticati alla stesse cretinate che sa ogni Lettera, al suo autore (che bavo ragazzino d i I I I mefosse don Milani e non i dia. La correzione dei comsuoi afasici discepoli era p i t i si fa in un quarto d'ora. un fatto tacitamente acqui- Quelli che non sono giusti sito), ai mirabolanti risul- sono sbagliati». E a propotati d i una scuola sui gene- sito della ricerca scientifiris, venne finalmente i l ca i n u n altro punto don momento del «dibattito». Milani aggiungeva: «NeanM i ritrovai pressoché sola che per la scienza non t i a parlare contro corrente e dar pensiero. Basteranno cercai d i concentrare i n gli avari a coltivarla. Fapoche parole i l molto che ranno anche le scoperte c'era da dire contro u n l i - che servono a noi. Irrighebro cosi criticabile. . ranno i l deserto, caveranEsordii affermando che no bracioline dal mare, non cosi si risolve i l proble- vinceranno malattie. A te ma scolastico dei disereda- che te ne importa? non t i , creando ignoranti e pre- dannarti l'anima e l'amore suntuosi ribelli, rivoluzio- per cose che andranno nari i n pectore, fanatici avanti anche da sé». esclusivisti, violenti e deSpezzare u n a lancia a fasolati distruttori di u n mondo, al quale non sa- vore della matematica e prebbero sostituire nulla della ricerca scientifica di valido. I l problema ha scatenò i l finimondo: i rauna sola onesta soluzione: gazzetti reagirono con viodi Rita Calderini

lenza, scagliandosi contro «quella professoressa d i matematica là i n fondo» (invano cercai d i chiarire che insegnavo latino e greco): la mia voce era soverchiata dai clamori, tanto più che Padre Turoldo, con atteggiamento biblico degno di E l i a contro i sacerdoti di Baal, aveva pronunciato contro d i me l'anatema, p e r c h é , citando l'espressione di don M i l a n i , «molti non sanno amare con la durezza del Signore. Credono che i l sistema m i gliore per educare i r i c c h i sia di s o p p o r t a r l i » , avevo osato dire che m i auguravo vivamente d i non essere l'oggetto di un amore cosi distruttivo. Padre T u r o l d o aveva rincarato la dose ammonendomi severamente a non rifiutare la parola d i un «profeta». Fin q u i i l ricordo d i una sera lontana, che potrebbe rappresentare l'episodio circoscritto d i u n fenomeno abnorme, se l'acritico fanatismo d i tanta parte della scuola «impegnata», unito con la subdola strumentalizzazione d i chi voleva (e vuole tuttora) d i struggere una secolare tradizione scolastica e culturale, non avesse presentato la scuola di Barbiana come i l non plus u l t r a della modernità, modello inimitabile d i scuola dell'avvenire. Non occorreva viceversa essere molto versati i n fatto di scuoia p e r comprendere l'inconsistenza delTinqualifacabile livello d i Barbiana, scritto quale vendetta per due bocciature d i allievi d i don M i l a n i alle magistrali d i Firenze, ma i l giornalista Pecorini precisò, nella serata d i c u i sopra, che gli allievi d i Barbiana i n precedenza erano riusciti a cavarsela negli esami d i avviamento ed erano crollati p o i alle magistrali. Dunque quando l'avviamento (per ovvie ragioni d i molto p i l i facile contentatura) promuoveva generosamente gli autodidatti figli dei campi, nessuno si sognava d i fare i l processo alla scuola, ma sono bastate due bocciature alle magistrali di uno dei «maestri» autodidatti d i Barbiana, per far germogliare una legione di acerrimi giustizieri contro t u t t a

la scuola nella sua r e a l t à attuale. La condanna è senza appello e globale:.i professori vengono per principio ingiuriati, disprezzati, derisi; vengono designati come fannulloni, avvantaggiati da u n orario privilegiato, ricompensa della loro connivenza con i l padrone; per quelli d i Barbiana gli insegnanti sono disonesti, oltre che i n evidente malafede, anche se i n u n momento d i «generosità» si affaccia i l dubbio che qualcuno almeno possa essere i n buona fede; sono ind i v i d u i apolitici, p e r c h é conservatori: i l che d à alla «politica» di Barbiana una curiosa limitazione! Si tratta oltre a t u t t o d i una categoria d i imbroglioni, nella quale sono decisamente molto p i ü acadenti i professori rispetto ai maestri, appunto p e r c h é i professori hanno studiato d i più; del maestro infatti si dà questa curiosa definì zione: «Dicesi maestro chi non ha nessun Interesse culturale quando è solo», definizione che fa i l paio con quella non meno originale sulle maestre: «Le maestre son come 1 preti e le puttane. Si innamorano alla svelta delle creature. Se p o i le perdono non hanno tempo d i piangere. I l mondo è una famiglie immensa. C'è tante altre creature da servire». Questo è solo u n piccolo campionario delle ingiurie alla classe insegnante nella lettera d i don Milani, sicché contro tale genia, a voler essere obiettivi, non c i sarebbe che i l mitra, come lascia intendere l'autore, anche se a un certo punto egli concede che la professoressa, cui è indirizzata la lettera, «non è una bestia nemmeno lei». I n tanta rovina si aspetta i l verbo dell'Innovatore, ma i n realtà si rimane u n po' delusi: da una parte si afferma, che ci ragazzi dei poveri v i faranno nuovi voi e i p r o g r a m m i » , dall'altra si farnetica d i u n celibato da imporre, o da consigliare pressantemente, alla classe insegnante, mescolando bellamente la Chiesa Cattolica, Gandhi e Mao.

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I l consiglio che si vuol | dra. Pian piano vien fuori I dare benevolmente agii in- I quello che cu vero c'è sotto I segnanti, p e r c h é possano | l'odio. Nasce l'opera d'ar- i te: una mano tesa al nemirendersi meno invisi, è di co perche cambi», o «pertruccare i compiti per far ché sparisca» aggiungo io tornare i n ogni modo i conin base alle edificanti esort i e per evitare le ire dei getazioni del libro al borghenitori di Pierino, cioè i l r i se Pierino: «Povero Piericatto della borghesia «pano m i fai quasi compassiodrona» della scuola e le ne. I l privilegio l'hai pagasanzioni degli ispettori: to caro. Deformato dalla «Temete i genitori d i Pierispecializzazione, dai libri, no? I colleghi delle scuole dal contatto con gente tutsuperiori? L'ispettore? Se ta eguale (ma come mai la la carriera vi preme tanto, suprema meta dei proletac'è una soluzione: truccate ri di Barbiana è quella di un po' gli scritti, corregge"essere fatti eguali"?). Perte qualche errore mentre ché non vieni via? Lascia passate tra i banchi». I n l'università, le cariche, i compenso propone d i «pap a r t i t i (il partito, e si p u ò gare a cottimo» gli inseimmaginare quale, è amgnanti, «un tanto per ogni messo solo per i proletari, ragazzo che impara tutte le non per gli altri!). Mettiti materie», confondendo l'asubito a insegnare. La linbilità e la passione del maegua solo e null'altro. Fai stro con la libera volontà strada ai poveri senza farti dei singoli scolari, non strada. Smetti di leggere, sempre capaci n é volontesparisci. E l'ultima missiorosi. ne della tua classe». Le materie scolastiche I l libro termina con l'atnon sono trattate con p i ù tesa di una risposta da parriguardo: i l latino ovviate di qualche docente che mente non raccoglie che prometta la promozione scherno e disprezzo e viene garantita con esami paledefinito «lucignolo spensemente truccati, i l che è di to». Esso non serve a nulla per sé una conclusione per chi vuol fare i l maeprofondamente disonesta stro, mentre ritorna pune socialmente negativa. tuale all'appello l'odio anNei mesi che seguirono altigrammaticale, immancacuni colleghi e io pubbli-,. bilmente legato alla protecammo articoli d i critica sta anticulturale. puntuale al libro di BarbiaDella matematica ho già na e l i raccogliemmo i n u n detto. L'insegnamento dellibretto uscito nell'autunle lingue straniere trova no del 1968, interamente grazia soltanto per l'uso ignorato dalia grande pratico, estraneo da ogni stampa, tutta occupata ad sia pur lontana parvenza di assecondare i contestatori. cultura. Non parliamo delE incredibile invece la lettura degli autori: i l quanti furono gli articoli, i Foscolo, per esempio, adoconvegni, i l i b r i d i consenperava parole difficili «perso corale all'opera di don ché non voleva bene ai poM i l a n i fino ad anni molto veri», l'episodio d i Eurialo recenti Si arrivò al punto e Niso nella traduzione del di leggere e discutere, nel Caro è volgarizzato i n u n 1968, la lettera d i Barbiana tono intollerabile cosi: nella «scuola d i didassi del «Due farabutti sbudellano latino» dell'università d i la gente t r a i l sonno. ElenPadova per iniziativa del co degli sbudellati e della prof. Ferrarino: la notizia roba rubata,e d i c h i gli avesarebbe da cartolina del va regalato ima cintura e i l pubblico, se non fosse vepeso della cintura. I l tutto ra. in una lingua nata m o r t a » . I n compenso a Barbiana I n anni p i ù recenti una si dedicano due ore al giorfrase della lettera, religiono alla lettura del giornale samente raccolta da uno e si chiosa i l « c o n t r a t t o dei zelante funzionario minimetalmeccanici». Della fisteriale, venne proposta losofia si auspica l'insecome tema da svolgere agli gnamento d i «un solo penesami d i m a t u r i t à . Tra i siero filosofico» esposto m o l t i citerò, per concludeper tre anni da un professore, due esempi i n campi opre «maniaco»; della pedaposti: per Giorgio Bini, degogia si salva «una paginetputato del Pei e autore del ta». Per storia, educazione libro «Da don M i l a n i a Orcùfica e geografia non si,va bilius», nel 1979, «con la oltre alla critica. Dell'arte lettera degli alunni di don si dice che «è voler male a Milani si apriva una nuova qualcuno o a qualche cosa. fase della storia della scuoRipensarci sopra a lungo. la italiana»: niente meno! Farsi aiutare dagli amici in Ma nel 1983 negli atti di u n un paziente lavoro d i squa-

convegno, tenuto all'università Cattolica del S. Cuore di Milano, i l pedagogista Luciano Pazzagiia presentava in positivo la prosa truculenta e perentoria di don Milani, pur con qualche riserva marginale. I l totale ripudio della pedagogia e lo sconcertante rifiuto della cultura non scoraggiava i l pedagogista impegnato, che credeva di scoprire chissà quali diamanti nell'arida e negativa visione educativa e scolastica d i Barbiana: tale indulgente valutazione da parte d i u n professore dell'università Cattolica del S. Cuore è tanto p i l i sconcertante, i n quanto i l prete di Barbiana, tra le altre amen i t à , aveva detto che «la scuola era evidentemente da intitolare a Socrate e non al Sacro Cuore» e dalla propria aula aveva tolto i l Crocifisso. A distanza d i u n quarto di secolo dalla pubblicazione della lettera di don Milani è apparso in queste settimane u n bel libro di Roberto Berardi: «Lettera a una professoressa. Un mito degli anni Sessanta», con una completa e argomentata stroncatura dell'utopia barbianesca. Non ci voleva molto a raggiungere una tale conclusione: bastava leggere spassionatamente i l testo d i don Milani e trarne le conseguenze. Purtroppo la pratica d i versare i l cervello all'ammasso, assai diffusa nell'ultimo trentennio, insieme con la dabbenaggine degli u n i e la tracotanza degli altri, ha mantenuto i n vita tante deleterie illusioni, t r a 1 equali una delle pili perniciose è la pretesa d i costruire sul vuoto una solida preparazione al lavoro e alla vita, facendo credere ai giovani p i l i sprovveduti, e quindi p i l i indifesi, che i l ripudio di una collaudata tradizione culturale porti a una salutare palingenesi ma rendendoli prigionieri di u n meschino e aridopresente, senza prospettive e senza possibilità di riscatto.

Il


L E T T E R E AL GIORNALE

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Cardini: su Maritain cattolici contraddittori In merito a quanto pubblicato da La Stampa i l 7 settembre («Esplode la bomba Maritain») credo sia mio diritto precisare alcuni punti. Ritenevo di aver messo sufficientemente in chiaro ili Giornale del 6 settembre) che rispetto e ammiro sia l'opera di studioso, sia la figura di Maritain; d'altra parte, mi sono servito di un aggettivo forte («nefasto») per qualificare non solo e magari non tanto i l libro in sé e per sé, quanto le conseguenze che esso ha obiettivamente comportato e l'uso che se ne è fatto per lungo tempo senza che nessuna voce autorevole o quasi (salvo, in Italia, Del Noce) si levasse a contestarlo. E mi sembra un po' strano, da parte dei miei peraltro cortesi interlocutori, che solo ora - e in reazione al mio «attacco», che peraltro tale non intendeva essere - si sottolineino con tanto vigore gli aspetti antimarxisti e anticomunisti di Maritain. Fra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta - Settanta furono proprio tali aspetti a essere nascosti e minimizzati, specie da una cultura cattolica che aveva interesse a un «uso» specifico di Maritain: e allora i l pericolo

dei totalitarismi di destra non poteva certo più essere invocato a giustificazione di silenzi, omissioni o distrazioni nei confronti di quel che avveniva nel mondo comunista. Del resto, è proprio della collocazione storica di Maritain - quella invocata da Guido Bodrato - che mi preoccupo. Credo che nell'immediato anteguerra non solo la preoccupazione per i l montare dei fascismi, ma anche la volontà di certi ambienti cattolici di allontanarsi dal rischio di compromissioni con le destre, abbiano condotto a errori ed eccessi nel senso opposto; e abbiano comunque impedito alla cultura cattolica di sviluppare un discorso coerente e autonomo. Bianchi ha ragione nel sottolineare l'importanza di Maritain nell'elaborazione di m y ì cultura politica cattolica, ma sottovaluta forse il fatto che, specie nell'ultima parte della sua esistenza, i l grande pensatore francese esagerò i «fere enti cristiani» presenti nel marxismo (da lui visto come «l'ultima ere-

Troppo a sinistra Ho sempre letto con interesse sia

// Sabato sia il suo "fratello" 30Giorm. Vi trovavo dell'interessante e dell'utile per una informazione seria sulla situazione civile, sociale ed ecclesiale nostrana. Ma da parecchio tempo a questa parte non è più così. Sono tre le cose che per me non vanno più nelle vostre riviste: 1) la chiara e netta preferenza acritica data a tutto ciò che è "di sinistra", e questo non solo quando direttore era quel Liguori di cui sappiamo fin da sempre la profonda matrice, ma anche ora che c'è Banfi dal quale mi aspettavo qualcosa di meglio al riguardo. Non c'è numero in cui non ci sia un'ampia intervista (sotto le forme più acconce. s'intende) con uomi n i che spiccano da quella parte, li ben raro trovare altrettanto per altri uomini meno compromessi con ideologie che hanno imperversato fin troppo.

sia cristiana») e nel nome della convergenza tra marxismo e cristianesimo sul tema della giustizia sociale finì con i l dimenticare che, in termini quanto meno di primogenitura, questo aveva preceduto quello; e che in termini di pratica politica, culturale e anche poliziesca, le applicazioni di quello (il «socialismo reale», come si dice oggi) avevano coerentemente e rigorosamente sviluppato i presupposti anticristiani della Rivoluzione francese. Non mi pare che queste cose possano venir dimenticate, proprio ora che i l nome di Maritain torna a esser fatto, e da autorevolissime voci ecclesiali, nel contesto di una critica alle degenerazioni della nostra vita politica e di un richiamo a un bisogno di rinnovamento etico. Franco C a r d i n i Firenze

Che siate anche voi tra i "destabilizzatori" ammaestrati oltre "cortina" e che oggi circolano tranquillamente tra voi. vere mine vaganti"!? 2) E che cos'è quell'anti-americanismo viscerale, per cui la vostra rivista, e da qualche tempo anche l'altra, sembrano prontuari per comizi o corsi di indottrinamento da agit-prop di infausta memoria? Possibile che nemmeno le stringhe delle scarpe o la marmellata Usa siano esenti da fosche e losche trame, così che a volte, invece di meraviglia o disgusto si finisce per riderci sopra!? 3) Vero dispetto fa la improntitudine con cui vi nascondete o "legittimate" dietro i servizi puntuali sui cardinali Ratzinger o Oddi, sulle scoperte (interessantissime!) nelle grotte di Qumran. sulla fedeltà dei testi liturgici. Siate più leali, e soprattutto non parlate troppo di Chiesa, proprio voi che la state corrodendo dal di dentro come "quinte colonne "! Gerardo Bresciani

Como

II

IL SASATC 18 LUGLIO 1992


CCXNTRO STOBIA FRANCO CARDINI

Le parole di un ottuso forcaiolo

E

necessario, senza isterie e lontano da qualunque forma di polemica, abituare i cattolici a riappropriarsi della loro storia: il che fatalmente significa abituarli a conoscere in modo disincantato anche la storia altrui, o meglio la storia forgiata per la sistematica denigrazione della Chiesa cattolica e della società cristiana. Un tale attacco ha avuto luogo, un po' in tutta Europa e in particolare nei paesi di più salda tradizione cattolica (l'Italia era, fino ad alcuni decenni fa. tra essi): fingere d'ignorarne l'esistenza nel nome d'un dialogo eh'è tuttavia sacrosanto ricercare sarebbe tanto errato quanto ingiusto.

*JVttLjp.''ifi -

Prendiamo tutto il pensiero sbrigativamente definito «controrivoluzionario». Quasi invano uomini come gli stessi Omodeo e Jemolo ne avevano, e non da ieri, indicato le articolazioni e le sfumature insegnandoci fra l'altro'a distinguere tra un controrivoluzionarismo talora rozzo e violento e un pensiero della Restaurazione che al contrario sapeva sovente essere prudente e recuperava talora istanze insospetta tamente avanzate. In tutta Europa, ancor prima che vi si dedicasse con tutto il peso della sua autorevolezza 11 grande Cari Schmitt era da parecchio tempo di pubblico dominio che studiosi come Joseph de Mais tre, Louis-GabrielAmbroise De Bonald, Juan Donoso Cortés é Cari Ludwig von Haller erano autori di prima grandezza: ma nei nostri manuali scolastici e anche — ohimè — in qualche studio più «serio», essi venivano taciuti o trattati da puri e semplici apologeti della forca e del boia. Oggi il pensiero tradizionalista francese e tedesco riemerge — guarda caso—in taluni circoli (e noi) necessariamente solo in quelli «reazionari») dell'ex Unione Sovietica; e, da noi, esso riscuote l'attenzione di studiosi come Giacomo Marramao, non certo sospettabile di reaziona-

Avvenire

Sabato 12 settembre 1992

rismo filocattolico. Ma il mondo cattolico continua imperterrito a studiare e a propagandare un'immagine del Risorgimento degna del Cuore deamicisiana Figurarsi allora come in certi ambienti dominati da romantiche anime belle persuase che il pensiero del padre Ugo Bassi fosse davvero un possibile modello cattolico potrebbe venir accettato imo scritto di Antonio Capece Mininolo. Certo, prima bisognerebbe sapere chi era il Capece Minutolo: e questo, notoriamente, lo sanno solo i nipotini del padre Bresciani (e voialtri chi fosse almeno Antonio Bresciani 10 sapete?). Antonio Capece MinutoIo era nientemeno che il famigerato principe di Canosa, al cui nome tutte le maestrine dalla penna rossa (tante delle quali insegnano anche in scuole cattoliche) inorridiscono. E invece sarebbe proprio il caso di meditare su un breve saggio del Canosa come 11 Discorso sulla decadenza della nobiltà, ora riedito

dalla Krinon di Cai tallisse tta a cura di Silvio Vitale. Un saggio beninteso dai toni generali ma che pur si riallaccia con lucida coerenza a quella letteratura settecentesca sulla crisi della nobiltà che ha dato frutti tanto interessanti, come il Discours sur la notiesse militaire dello che-

valier d'Arcq, e che anticipa per molti versi la tematica del De Maistre, del Burke e del von Haller. Allo stesso modo, si dovrebberivisitaretutta una letteratura che in Italia ha un rappresentante illustre in Monaldo Leopardi, per troppo tempo presentato come il semplice ottuso repressore del suo grande figlio: mentre, man mano che si scopre il pensiero di Giacomo anche come autentico pensiero filosofico, non si può fare a meno d'individuare le strette connessioni che lo tenevano legato alle idee paterna. E non sono cose, queste, che ci si può illudere di credibilmente risolvere applicando le terroristiche etichette di «disperato nichilismo reazionario» a un patrimonio storico-filosofico che appare ampiamente disincantato e disincantante nei confronti della «magnifiche sorti e progressive» dell'umanità.

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