Rassegna N. 081

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RASSEGNA

STAMPA

A cura del CENTRO CATTOLICO DI DOCUMENTAZIONE - Casella Postale 30 - 56013 MARINA DI PISA

Anno X I V , n. 81

Luglio-agosto-settembre

1995

In questo numero Primo piano Violenza e pornografia: due problemi connessi Bambini da esibire, bambini da buttare

pag. 1-2 2

Politica Internazionale Solzenicyn: il profeta dimenticato La Corea del Nord come la Cambogia? Greenpeace: false campagne e incassi miliardari

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Italia Guardare al futuro in tutte le sue dimensioni Riforma elettorale: doppio turno, attenti all'inganno Nelle Procure il virus della giustizia sovietica Lenin: lettera alla Quercia

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Costume Unioni omosessuali: Bologna ci riprova "Osservatore Romano": "Contro il progetto di D i o " Sfila la "tolleranza" gay Inghilterra: i gay hanno dichiarato guerra allo Stato "Ma in alto quelle campane non suonano più"

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Scienza e Morale L'embrione umano e il frigorifero Il volto sinistro della scienza Lo spinello è cancerogeno

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Controstoria Così la Polonia cristiana fermò Lenin Conquistadores brava gente

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Libri Comunismo: la bancarotta di un'idea Il primato di Pietro nella storia della Chiesa

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Questa "Rassegna Stampa" si propone l'obiettivo di offrire a quanti reagiscono alla situazione attuale, spunti di riflessione e di documentazione che li aiutino ad affermare una sempre più incisiva presenza nella realtà italiana, nella prospettiva della costruzione di una "società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio" (Giovanni Paolo I I ) .


Violenza e «porno», due problemi connessi

reazionari, mentre adesso, mano a mano che questa consapevolezza si fa strada, non sarà da escludere che la sanzione per la violenza carnale supererà quella per l'omicidio... Dov'è allora lo squilibrio in un agitarsi che in passato sarebbe stato definito forcaiolo? Nella semplice constatazione che si ALFREDO MANTOVANO rischia di intervenire su un aspetto molto circoscritto, pur OPO che per decenni se di importanza non trascuramass media, opinion mabile, della questione, ignorando, ker, femministe di ogni non importa quanto volutamenetà, gay ed esponenti po- te, che ve ne sono altri, di peso litici in gran parte progressisti pari, se non superiore. Se è leciavevano spiegato che non vi è to a un maschio formulare un rapporto, o — se vi è — non è quesito per questioni per le quastretto, fra il comportamento li — con la sola eccezione di individuale e la legge dello Sta- Maurizio Costanzo — pare esto, eccoli tutti insieme in un re- servi competenza esclusiva femvirement mozzafiato a invocare minista, più che femminile, mi la riapertura urgente delle Ca- chiedo se sia più importante per mere e l'approvazione a Ferra- le donne che le condotte di viogosto della legge di riforma dei lenza siano represse, ovvero, nei reati di violenza sessuale, indi- limiti del possibile, che siano cata quale rimedio unico e im- prevenute. A scanso di equivoprocrastinabile contro l'esplo- ci: non intendo imbarcarmi in sione di queste condotte deviate. discorsi pseudosociologici che Come sempre accade quando scaricano le colpe sul corpo sosi abbandona una posizione per ciale più che sul singolo che deabbracciarne un'altra di segno via; mi limito ad osservare che, diametralmente opposto, si per- se si intende effettivamente inde l'equilibrio e sirischiadi non tervenire, come non è stato fatto risolvere nulla, o di cagionare finora, in difesa dell'integrità fiulteriore danno. Che la violenza sica e morale di chi patisce viosessuale sia fra i delitti più odio- lenza, è importante ritoccare le si, per i beni che viola e per gli sanzioni, ma non è sufficiente. Va dilatato il quadro e va afeffetti negativi che lascia, anche a distanza di anni, è cosa che frontato il problema del terreno nessuno può mettere in discus- di coltura nel quale maturano sione; altrettanto indiscutibile è certi gesti: del terreno remoto e che essa debba essere repressa di quello prossimo. Siamo tutti in modo adeguato, operando convinti che all'incremento dei uno sforzo perché il reo non casi di violenza sessuale sia dei fruisca dei benefici dei quali ab- tutto estranea la diffusione panbonda la calza di quella befana demica e ormai pluridecennale che è l'ordinamento penale ita- della pornografia? Studi recenti e seri, dei quali chiunque è in liano. Sorprende positivamente, sotto grado di valutare la rispondenquesto profilo, lariscopertaim- za al reale, individuano tra gli plicita da parte dei soggetti pri- effetti dell'invasione pornograma elencati, della funzione re- fica l'istituzionalizzazione di tributiva della sanzione penale, una sessualità nevrotica, che è quando da secoli pareva che tale perché si svolge ordinariafosse sedimentata l'esclusività mente in contesti differenti da della funzionerieducativadella quelli in cui di solito sono inquapena; altrettanto positivamente drate le scene pornografiche, i meraviglia che alla fine ci si ac- cui protagonisti fissi, nelle vercorga che fra patteggiamento, sioni «più miti», sono supermarito abbreviato, pena sospesa e schi e donne perennemente digraziosi presenti della legge sponibili e dall'orgasmo facile. Gozzini, della reclusione effetti- Sono modelli di riferimento vamente inflitta al momento contraddittori rispetto al contedella condanna non resti nulla, sto nel quale si sviluppa quotio quasi: quando questi allarmi dianamente la vita del soggetto erano lanciati non da sinistra che ricorre all'osceno; questi alcadevano nel vuoto o venivano lora rischia di diventare in miinesorabilmente bollati come sura progressiva un consumato-

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re alienato di sesso, costantemente deluso dal prodotto di cui fa uso e in una condizione di frustrazione che solo dosi più pesanti di osceno sono in grado di soddisfare illusoriamente: a meno che non si passi all'esperimento pratico... Si diceva delle versioni «più miti», poiché la frontiera della pornografia è sempre più proiettata verso le abnormità meno immaginabili, dal sadomasochismo alla bestialità, alla pedofilia. Per sostenere che non esiste alcuna relazione bisognerebbe spiegare come mai la gran parte degli stupri dei quali i mass media hanno informato in questi giorni o hanno come vittime dei bambini o presentano caratteristiche o modalità esecutive particolarmente efferate e comunque contro ogni tendenza naturale, in parallelo alla diffusione di materiale osceno che, nella corsa alla soddisfazione di pulsioni sempre più deviate, ha privilegiato da tempo la peggiore e più innaturale abiezione, in tal modo, fra l'altro, sostenendo il turpe sfruttamento dei bambini. A che cosa si vuole arrivare? A constatare che, come tutti sanno, benché esiste un articolo della Costituzione — l'art 21 — che vieta le manifestazioni contrarie al buon costume, e benché siano formalmente ancora in vigore norme del codice penale — per tutte, l'art 528 — e di leggi speciali che sanzionano la diffusione di pubblicazioni o di spettacoli osceni, cassette come «Bestie e femmine assetate di sesso», «Donne e animali in calore», «Sado maso lesbo» sono vendute liberamente dai negozianti di videotape, accanto a «Mary Poppins» o a «Mamma, ho perso l'aereo», se non addirittura dal giornalaio sotto casa. Sarebbe interessante studiare l'influenza che, per ogni episodio di violenza, ha esercitato sul comportamento del soggetto lo scatenamento di certe fantasie; intanto, e per non perdere tempo, si potrebbe integrare l'emananda riforma della disciplina sullo stupro con una parte rela- [<,t\Ot )

SECOLO d'itaha

Domenica 13 agosto 1995


Bambini da esibire, bambini da buttare

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ALFREDO MANTOVANO

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nitori retrogradi! — sono raffigurati po sociale: non perfarli esercitare in in un ambiente di gioco, e non in una quei giochini scemi, oggi tanto di moda, come l'elezione del sindaco pentola, a riprova del fatto che i nipotini di Togliatti hanno da tempo da parte degli infradodicenni, ma smesso di pasteggiare con i minoren- per creare per loro una realtà di accoglienza effettiva, diversa dalla buni. Storie di bambini; storie vere che sta della spazzatura; e se si intende però occupano sui mass media un parlare con un minimo di serietà di tempo e uno spazio inferiori rispetto «tavolo delle regole», la prima regoa quelli dedicati alla coppia di par- la da stabilire, sulla quale trovare goli della Quercia. Una madre che l'accordo, è che a tutti i commensali, uccide la figlia appena nata nel Pe- in primis ai più indifesi, sia garantita scarese e, a distanza di qualche ora, l'esistenza in vita. un 'altra bambina venuta alla luce a Quando il mondo era incivile, gli nazione raccontandole che'intende S. Martino d'Agri, in provincia di adolescenti erano avviati al lavoro costruire il domani guardando ai Potenza, accolta al mondo, grazie piuttosto che alla scuola e l'analfagiovani più giovani. E pur vero che alle «cure» della madre e dei nonni, betismo era diffuso: ma le discariche agli scontenti di sempre l'immagi- in una busta di plastica, poi lanciata servivano a raccogliere l'immondezne evoca la strumentalizzazione dei in una scarpata, dalla quale è stata za e non i bambinirifiutati.Se oggi miracolosamente ricuperata in vita nessuna persona onesta e di buon bambini a scopi pubblicitari da dai Carabinieri. senso può avere nostalgia dello parte delle multinazionali dei panE allora? Che cosa c 'entrano i fi- sfruttamento del lavoro minorile, nolini, della cioccolata e anche gli della Quercia con queste trage- onestà e buon senso impongono di dell'industria automobilistica; ma die? Perché mai parlarne insieme? non chiudere gli occhi sul rifiuto delsarebbe un peccato dare eco ai no- C'entrano, e come. Perché, se si vuo- la vita nascente che è dato oggettivavelli Franti, in un momento di così le costruire veramente, come si dice, mente più grave: un rifiuto che, in un intenso e deamicisiano sforzo del un 'Italia «normale», non si può di contesto culturale fortemente ostile partito egemone della sinistra per fatto e di diritto lasciare spazio ai al sacrificio e alla generosità, trova bambini solo in fotografia per otte- consacrazione e legittimità da quasi accreditare l'assoluta normalità e nere un look più accattivante; se si veni'anni nella legge sull'aborto, e bontà dei suoi sentimenti: nel mani- vuole guardare al futuro in modo in generale in una legislazione, quafesto curato dalla Quercia gli infanti non velleitario va fatto riacquistare le è quella italiana, gravemente ostiignudi — quanto rispetto per la loro ai bambini un ruolo centrale nel cor- le alla famiglia, promossa dall'ex libertà dalle pretese vestitorie di gePei e difesa dal Pds. Si inizierà a costruire l'Italia «normale» quando si smetterà di distinguere il caso di una neonata chiusa in un sacchetto e gettata dal bordo di una strada — per il quale, come è giusto che sia, tutti lanciano grida di orrore e il braccio della legge interviene —* dalla pratica quotiriva alla dissuasione da certe diana degli omicidi dei nascituri, lepratiche commerciali, partendo gali e finanziati dallo Stato, che si dal produttore fino all'esercenconsumano quotidianamente negli te al dettaglio: pur se le norme asettici reparti di i.v.g. esistono, la loro costante disapplicazione ne denuncia l'inefficacia, e quindi l'urgenza di un intervento di modifica. Si levano le proteste e si grida contro il tentativo di reintrodurre la censura? Si invoca la libertà di manifestazione culturale (sic) e artistica? E allora, signore parlamentari e femministe vetero e neo, provate a fare una legge che garantisca al tempo stesso la botte piena e la moglie (pardon) ubriaca... MMAGINI di bambini. Quella dei due piccoli che giocano con le costruzioni tricolori, inseriti nel logo del congresso ideologico del Pds. Un simbolo indovinato per lanciare un messaggio rassicurante sotto differenti profili: orientando l'attenzione di chi guarda il manifesto sull'innocenza infantile, rinviano a una forza politica del tutto nuova e proiettata nel futuro, che non ha un passato ingombrante e scomodo, e che si presenta alla

ALFREDO MANTOVANO

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L'ex Urss come Weimar: viaggio nello Stato che da caserma si è trasformato in casbah

dimenticato

La stampa russa snobba l'ultimo libro di Solzenicyn

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San Pietroburgo

A. P a s o l i n i Z a n e l l i

• etti una sera al talk show con... No, non proprio con Maurizio Costanzo, perché a questo non c'è arrivato; ma, poniamo, con Giuliano Ferrara. Oppure, ed è questo il caso, con Aleksandr Solzenicyn. L'«orso» di Gorkij e del Vermont, il ribelle eroico al totalitarismo comunista e lo spregiatore del materialismo occidentale, è sceso di diversi gradini nella ricerca di una audience cui rivolgere il medesimo, inflessibile, nobilissimo, immutabile e sacrosanto messaggio. E andato in tv e ora dirige una delle tante trasmissioni che si sforzano di sommare la fama del personaggio centrale alle angosce e alle bizze quotidiane dell'uomo della strada. La trasmissione si chiama Un incontro con Solzenicyn. dura venti minuti, in prime time. subito dopo il telegiornale, su un canale della televisione di Stato. Si è montato la trasmissione da solo, senza l'aiuto di tecnici o cosmetologi. Si sceglie gli ospiti, scartando accuratamente le celebrità del rock'n'roll o le donne dagli amori complicati. Invita uomini politici, ministri, storici, filosofi. Li fa sedere al suo fianco dietro la scrivania, davanti a una libreria zeppa di volumi. Non una di quelle finte degli studios. ma quella sua. autentica: lo show si gira nel suo appartamento di Mosca Gli spettatori li ascoltano, ma sentono e vedono soprattutto lui.

mencano, più o meno sempre incompreso. Non disdegna gli spunti di attualità: fustiga l'«abbandono» in cui il governo di Mosca ha lasciato i 25 milioni di russi che vivono nelle Repubbliche ex sovietiche, divenuti improvvisamente stranieri in terra straniera. Torna a proporre la riunificazione delle tre «patrie slave» (Russia. Ucraina e Bielorussia), magari aggiungendo un pezzo di Kazakistan. Invoca la riesumazione dello zemstvo, una forma di autogoverno locale che esisteva al tempo degli zar e che i bolscevichi distrussero. Come sempre, non manifesta appoggio ad alcun partito o uomo politico, nemmeno a Eltsin, che pure è un suo ammiratore, a cui qualcosa deve e con cui si scambia di tempo in tempo lettere. L'uomo del Cremlino è fra gli abbonati regolari alla trascrizione dei sermoni di Solzenicyn. La sua audience non è oceanica. Lo ascoltano coloro, e nonostante tutto sono molti, che ricordano il suo coraggio nel mettere a nudo, indifeso e solo in casa e in Occidente, il marcio e il male del potere sovietico. Riceve lettere, trenta o quaranta al giorno, quasi sempre di persone anziane che continuano a sentirsi in qualche modo oppresse e all'antico

tano tale distacco. Si sono liberati più attraverso l'ironia che non per il sentiero impervio delle certezze morali del profeta, una figura solitaria e torreggiante che non piace alla palude. Quasi nessuno, di ogni età, ha letto la sua ultima e faticata opera, La ruota rossa, cui egli ha dedicato i giorni e le notti dell'esilio nella convinzione di lavorare al proprio libro definitivo. Il problema è che quasi nessuno ha il tempo di leggerlo: sono cinquemila pagine abbondanti e, dice un giovane insegnante universitario, «ci vorrebbe un anno sabbatico per potercisi dedicare». È uno sforzo fisico sempre più improbabile in un'epoca in cui sempre più gente, in Russia e altrove, coltiva l'opinione che la vita sia troppo corta per spenderla leggendo. Quei pochi che hanno avuto il coraggio di affrontare La ruota rossa la paragonano volontiert a Guerra e pace, osservando che «Tolstoi è più bravo a descrivere la pace e Solzenicyn a scrivere della guerra». Uno dei motivi della freddezza dei giovani è, naturalmente, che costoro

perseguitati, ma non erano preparati a essere, come accade oggi, ignorati. I più tolleranti si sono rassegnati all'idea che in una democrazia di mercato il mercato è quotidiano e la domanda è quella che è: quando leggere era un rischio, la gente lo affrontava per sete di discorsi profondi, politici, letterari,filosofici.Oggi la qualità non è più richiesta e. come ovunque, i più cercano, sui giornali, soprattutto gli annunci economici o la rubrica degli astrologi, gli indirizzi delle massaggiatrici e i racconti rosa o porno. Quello che gli intellettuali russi non mandano giù è la «degradazione generale della cultura», di un'élite che è emersa dalla fine della lotta di classe totalmente priva di classe e di stile. Anche nelle Università la libertà ha sconvolto antichi lisi che il comunismo non era riuscito a debellare. Tutti vogliono studiare economia o finanza. Sono neglette le letture dei classici, le discussioni febbrili, le interminabili notti di poesia nel fumo denso di una stanza, fra la vodka e il samovar gorgogliante. Con la mone del sistema totalitario sono finite le persecuzioni, ma anche i privilegi degli intellettuali, che ora sviluppano una perversa nostalgia. «Sotto Breznev — ricorda il politologo Andrej Kortunov—la Russia viveva in una specie di riserva ecologica, come una società esotica protetta dai veleni della civiltà. Adesso hanno sfondato la serra: siamo liberi di andarcene, ma dobbiamo respirare l'aria che c'è». C'è chi si rifugia nel sogno, nell'evasione letteraria, religiosa, o alcolica, per staccarsi da una realtà sporca e gelata. Igor Gere proclama: «Il mio modello sono io», Viktor Pelevin si fa buddista. Ognuno scappa come può, non diversamente da Solzenicyn. Tra i drammi della Russia di Weimar c'è anche quello di una generazione che ha accumulato una sterminata conoscenza del dolore e del Male e che ora non sa come spenderla, dispersa come si ritrova in un deserto animato dai McDonald's e dalla Coca-Cola.

Con la morte del sistema totalitario sono finite le persecuzioni ma anche iprivilegi degli intellettuali che ora sentono una perversa nostalgia

sofferente famoso chiedono protezione, intercessione E si trovano di fronte a una presso lo Stato, contro lo figura che. anche fisicamen- Stato, i suoi funzionari, i suoi te, è di un altro tempo. Sol- poliziotti, i suoi tribunali. Ma zenicyn non dimostra i suoi i più sembrano averlo di76 anni: sembra piuttosto menticato, ovvero lo consisenza età. La sua è un'auste- derano ormai più prevedibira faccia da XIX secolo. L a le che profetico. Quando fu sua barba è tolstoiana, gli invitato a parlare alla Duocchi azzurri eppure con un ma, quasi la metà dei 450 che di asiatico, i capelli, membri del Parlamento si spinti all'indietro, si dirada- scomodarono per ascoltarlo no. È ingrassato appena un e non tutti i presenti gli dedipoco dopo il ritorno dal lun- carono una tesa attenzione. go esilio e l'avventuroso, Alcuni apparvero distratti o simbolico viaggio in treno annoiati, uno fu inquadrato attraverso la rotta del G u - dalla televisione mentre si lag. Dice, sostanzialmente, infilava un dito nel naso. le stesse cose che aveva detAnche del suo talk show la to il primo giorno e, innanzi stampa ha dato resoconti a questo, dal suo eremo a- brevi e indifferenti. I giornali li leggono i giovani e i giovani lo ignorano o lo snobbano. Si autodefiniscono «noi generazione post-perestroika» e confessano, condiscendenti, che per loro Solzenicyn «non significa nulla. Perché mai dovrebbe importarci, oggi, dell 'Arcipelago Gulag?«. Anche molti giovani intellettuali affet-

hanno abbracciato l'Occidente in gran parte attraverso la sua «pop culture», nei casi migliori risalendo da essa ai grandi principi. Il presidente ceco Vaclav Havel veste jeans e ha scritto con passione di Frank Zappa e dei Rolling Stones: Solzenicyn definisce «letame» questa cultura. Ammette che essa è parte integrante dell'Occidente, ma la considera la sua -fogna» e il suo veleno. Il letame, afferma, è tracimato al di là della Cortina di ferro e ha infettato i giovani. Essi non hanno la minima idea di chi siano stati i pensatori dell'Occidente: ascoltano solo il rock'n'roll, si infilano delle T-shirt con sopra le facce dei loro idoli. Il paradosso è che l'intellighenzia liberale, quella che snobba Solzenicyn come un reazionario, si sente come lui tradita e offesa dagli sviluppi della società russa. Gli intellettuali hanno sempre avuto un ruolo importante in questo Paese. Sono abituati a essere

Le precedenti puntate sono state pubblicate V8. il 9, il 10. Ili e il 12 giugno. (6-fine)


Deportato nelle campagne un milione di persone

L a Corea del Nord come la Cambogia (DAL NOSTRO CORRISPONDENTE)

TOKIO — Secondo l'agenzia di stampa Yonhap il Governo nordcoreano avrebbe deciso di spostare da Pyongyang un milione di persone, una quota enorme rispetto agli attuali 3,5 milioni di abitanti. Nuova destinazione, le zone rurali del Paese spopolatesi negli ultimi anni nel tentativo di cercare nella capitale il miraggio di un reddito più elevato e quindi una qualità della vita superiore. La Corea del nord si pone quindi sulle scia di Poi Pot, il sanguinario capo della Cambogia dei Khmer rossi, che ordinò deportazioni di massa nelle campagne. Purtroppo però, secondo alcuni osservatori, questa forte emigrazione e questa concentrazione della popolazione a Pyongyang avrebbero comportato solo nuovi problemi, soprattutto di ordine pubblico e di carattere sociale. Tanto che al milione di persone, soggette ai nuovo trasloco forzoso, apparterrebbero soggetti politicamente "pericolosi" e i contadini. Difficile dire quali sviluppi avrà questo nuovo piano. Molti cittadini si sarebbero, infatti, opposti alla decisione governativa e starebbero in qualche modo facendo resistenza. Vero è che la Corea del Nord sta attraversando un periodo di profonda crisi interna, dopo la morte del vecchio leader Kim II Sung. Non tanto per l'annoso problema nucleare e quindi dei rapporti con la comunità internazionale, quanto per quello economico. Il Paese è, infatti, ridotto alla fame e la conferma è giunta la settimana scorsa quando il presidente del Comitato per il commercio internazionale della Corea del Nord Li Song Rok ha chiesto ufficialmente a Tokio di rifornire la nazione con un consistente contingentamento di riso. Nonostante gli aiuti di Cina, Malesia e Tailandia le scorte alimentari sono ridotte sotto la soglia minima. Del resto, secondo i dati ufficiosi disponibili, il raccolto di grano del '94 sarebbe stato di poco superiore ai 4 milioni di tonnellate, rispetto a una domanda di oltre 6,7 milioni di tonnellate. E cosi per quanto riguarda il riso che ha "prodotto" 1,5 milioni di tonnellate, il 40% in meno rispetto alla quota necessaria per il sostentamento dei 22 milioni di abitanti del Paese. Pyongyang ha quindi chiesto al Giappone di poter acquistare (con rimborso in 10 anni)

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le 800mila tonnellate di riso estero che Tokio aveva accumulato lo scorso anno per far fronte a una produzione locale inferiore alle previsioni. Una decisione finale al riguardo non è comunque ancora stata presa, anche perche Seul si è latta avanti offrendo il proprio aiuto senza chiedere alcuna contropartita di carattere politico. La Corea del Sud sta, infatti, giocando tutte le carte a sua disposizione per cercare di fare breccia nel Nord. Sia per quel che riguarda la soluzione del problema nucleare sia ora, per quanto concerne il problema del sostentamento alimentare e, più in generale quello economico dei "cugini ' del Nord. Non a caso

stanno aumentando le delegazioni di imprenditori interessati allo sviluppo del Nord e con essi gli investimenti di carattere industriali, come è il caso ad esempio della Daewoo che ha deciso di costruire un impianto tessile oltre il 38* parallelo. La situazione appare oltre modo fluida, anche se le incertezze riguardanti la consistenza del Governo di Pyongyang (il leader Kim Jong II non è stato ancora ufficialmente investito delle cariche che aveva il padre) pesano sulle prospettive di una rapida normalizzazione dei rapporti della Corea del Nord con il resto della comunità internazionale.

Michele Calcaterra


False campagne e incassi miliardari: così lavora Greenpeace

McTaggart, un «pirata verde» MAURIZIO Guarda chi si rivede: a bordo del gommone che beffa la marina francese a Muroroa c'è David McTaggart, 63 anni, canadese. Riapparso dopo una dubbia eclisse. Era presidente internazionale di Greenpeace fino al 1991. quando dovette dimettersi perché s'era diffusa la cifra esatta dello «stipendio» che s'era attribuito: 562 milioni di lire annue, presi dai fondi dell'organizzazione. Quisquilie, in fondo. Greenpeace ha un incasso annuale di oltre 150 miliardi. Pagati non solo dai suoi milioni di soci i n 25 Paesi (particolarmente numerosi nel Nord Europa: 700 mila solo in Germania, 200 mila in Svezia), ciascuno dei quali contribuisce con almeno 50 marchi l'anno alle imprese della multinazionale ecologista. Tra i sostenitori privilegiati di Greenpeace si contano anche personalità che non badano a spese: dalla famiglia Rockefeiler alla Occidental Petroleum (la multinazionale petrolifera di Armano Hammer. «il miliardario rosso» morto nel '91). da David Hamburg (presidente della Fondazione Camegie) a Robert McNamara (ex presidente della Banca Mondiale ed ex ministro della Difesa Usa durante la guerra del Vietnam) a Gerome Wiesaner, presidente del Massachusetts Institute of Technology, fino al principe Filippo d'Edimburgo (per anni presidente del Wwf) e alla famiglia reale olandese, insomma gli stessi ambienti che promuovono con ogni mezzo la «crescita zero» demografica ed economica. Quanto alla difesa legale di Greenpeace, se ne occupa (gratis) uno celebre studio di avvocati americano: lo studio «Wilmer, Cutter & Pickering», lo stesso che cura gli interessi della Shell, deil'Ibm e del quotidiano Washington Post. McTaggart, dunque, si pagava un emolumento adeguato al boss di un'azienda con un così ragguardevole fatturato. Del resto i l canadese ha praticamente creato Greenpeace: nei '70 mise a disposizione dell'organizzazione il suo panfilo Vega, l'unico bene che aveva salvato dalla bancarotta in cui era incappato.

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come agente immobiliare, pochi anni prima. A bordo della Vega, i primi ecologisti osteggiarono un esperimento nucleare francese nel '71. McTaggart dato a Greenpeace anche la tipica struttura verticistica. basata sul «peso» del contributo finanziario: su 25 delegati della cosiddetta «assemblea internazionale di Greenpeace», solo 12 hanno diritto di voto. E sono i delegati dei Paesi i cui uffici ecologisti sono abbastanza ricchi da poter versare a Greenpeace almeno il 24% dei loro bilancio annuo. «Le delegazioni di Francia. Italia e Belgio», scriveva i l 16 settembre 1991 Der Spiegel, «non hanno diritto di voto perché non sono riusciti a raggiungere questa quota E i n Germania, su 700 mila soci, solo 30 hanno potere decisionale: una rappresentanza dello 0,00O4%». I l vulcanico McTaggart ha anche il merito di aver orientato le azioni di Greenpeace verso cause di grande presa presso i mass-media: fra cui le campagne contro lo sterminio delle foche (1976) e queila contro la caccia alle balene (1989). La campagna a difesa deile foche si fondò su crudeli- filmati, diffusi da Greenpeace in tutto il mondo, in cui si vedevano malvagi cacciatori islandesi che uccidevano a randellate tenerissimi cuccioli di foca. Il raccapriccio fu universale: gli Usa ne approfittarono per imporre l'embargo sulle importazioni di pesce dalla Groenlandia (i cui 50 mila abitanti, molti meno dei soci di Greenpeace, vivono di pesca), e già che c'erano anche contro l'Islanda, la Finlandia e la Norvegia, tutti grandi esportatori di pesce negli Stati Uniti, con svantaggio per la bilancia commerciale americana. Un giornalista della tv islandese. Magnus Gudmundsson, dimostrò nel 1989 che le sequenze delle sevizie alle foche diffuse da Greenpeace erano state girate e montate ad arte, e che i cattivi cacciatori erano delle comparse pagate. Così tramontò la stella di McTaggart, ora tornato alla ribalta come «pirata verde». BLONDET


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Guardare al futuro in tutte le sue dimensioni

MARCO TANGHERO HI

l'aprile 1995. Ecco, non vorrei che di BENE — fu detto — che gli fronte a questa constatazione prevascandali avvengano. Così, lesse in qualche intollattualo un certo non mi sembra del tutto nega- timore del successo e del consenso, tiva la polemica che si è aperta un rimpianto per l'isolamento, una tra il Giornale di Feltri ed il Secolo di sorta — se mi è concesso prendere a Malgieri; intanto, se ci sono delle prestito il linguaggio dei mistici — di questioni da chiarire, si chiariscano; zelo dell'amarezza. Non so a chi si ripoi, se ci sono dei problemi da appro- ferisse Scarpino nel suo intervento sul fondire, si approfondiscano. Il che Giornale a proposito degli intellettuali non significa che tutti gli interventi di destra, ma credo che le sue osabbiano mostrato la sereniservazioni su certe loro caratteristiche tà che sarebbe desiderabile; non siano lontane dalla realtà. non dispiace, in tempi di Per mio conto so che, se è vero che «nutellismo» dilagante, le buone battaglie vanno combattute l'incisività delle espressioindipendentemente dall'esito, è anche ni: da buon toscano, amo vero che si deve combattere per vincedire pane al pane e vino al re e che le vittorie vanno salutate con vino, a chiare lettere; digioia, come le sconfitte non vanno visspiacciono invece le tracce sute col deteriore, romantico gusto deldi acrimonia, di dispettoso l'ultimo difensore. Certo una gioia rancore, di infondate maliprudente e critica, consapevole che gnità che è possibile intrauna vittoria elettorale è soltanto una vedere in qualche intervenvittoria elettorale, piccolissima rispetto. Speriamo che sia colpa to all'enormità del compito che ci atdell'estate, già fattasi luntende, ed attenderà intere generazioni, ga. In ogni caso, non è mia per la ricostruzione di ciò che, con siintenzione entrare nel constematica e consapevole opera è stato tenuto della polemica, che per decenni, per secoli, demolito. ormai si è sviluppata abbaScendendo più al particolare e vestanza, né, d'altra parte, nendo ad Alleanza nazionale, poiché avrei, personalmente, titolo di essa si discute, si afferma che non ha a farlo; piuttosto vorrei da dimostrato una classe dirigente all'alessa trarre spunto per qualtezza, che i suoi «colonnelli», poi deche considerazione che mi gradati a «caporali» nel fuoco della popare non inutile, proprio lemica, hanno lasciato a desiderare, per cercare di trarre, dal che i suoi candidati ed eletti, diretti od contingente della polemica, qualche indiretti, si sono rivelati non all'altezopportunità di approfondimento. za. Per quel che ne posso giudicare, ci Prima di tutto, una dichiarazione può pure essere del vero in questo, anpreliminare. Io guardo con simpatia che se credo sia giustoriconoscerele al Polo, ne ho salutato con gioia na- difficoltà che Alleanza Nazionale si è scita e successi, e non perché l'ho vo- trovata, con tutto il Polo, davanti a cautato, e neppure, almeno in prima sa di un'accelerazione della Storia che istanza, per coloro che lo rappresenta- ha avuto, davvero, ritmi straordinari. Il problema, però, à un altro: «u queno, ma per gli elettori che ad esso hanno dato corpo e sostanza. Gli elet- sti temi ci si può interrogare con uno tori hanno dimostrato — lo si poteva sforzo di comprensione storica, che, supporre, ma non verificare — che come tale, comporta per definizione esiste in Italia, in tutta l'Italia, un po- la «simpatia», cioè, alla lettera, il polo che cinquantanni di crescente «sentire insieme», oppure si può preegemonia marxista - progressista nel- ferire il giudizio critico dall'alto di le scuole, nelle università, nella stam- un'arca della salvezza intellettuale pa, nella televisione, nei salotti buoni nella quale, senza infangarsi con le cari ai radical-chic, da ultimo anche inevitabili miserie della storia, salvain troppe parrocchie ed in non pochi guardare un proprio, del resto quasi organismi cattolici, non è riuscito a mai precisato in positivo, immaginadistruggere, a corrompere, a in- rio politico -culturale. debolire. La «lezione italiana», della D'altronde, una domanda ulteriore quale, con felice intuito, scrisse Gio- si impone: come mai questi limiti? vanni Cantoni diversi anni fa, è stata Certo, una parte della reconfermata in tutte le ultime elezioni, sponsabilità fu anche del da quelle del marzo 1994 a quelle delMsi, rinchiuso, un po' co-

stretto, un po' acquiescente, in un ruolo di eterna, emarginata opposizione sempre più intesa, col tempo, come difesa della propria politica sopravvivenza, e della sua sottovalutazione del problema della formazione: quante volte mi sono sentito rispondere da esponenti di partito, ai quali andavo ripetendo: «Dobbiamo pensare a formare quadri», «No, l'importante è organizzarsi», senza che mi fosse precisato in vista di cosa! Ma la risposta, così formula^ sarebbe soltanto parziale. La verità è che anche "gli «intellettuali di destra» non hanno saputo né intuire né preparare il futuro: la svolta che ha portato alla nascita di Alleanza nazionale è nata senza il loro contributo, grazie alla spinta degli eventi e a una conseguente intuizione politica, alla quale non era stato preparato l'adeguato humus culturale. L'autocritica degli intellettuali dovrebbe precedere la critica ai politici. L'ho già scritto in altra occasione proprio su queste colonne: la destra deve saper guardare al futuro in tutte le sue dimensioni. Haec facere et alia non omittere: senza trascurare quello immediato, muoversi nella prospettiva di quello più lontano. Il che significa porre all'ordine del giorno il problema della formazione di ima classe politica del domani, senza errate distinzioni tra la politica spicciola e quella strategica, perché la prima senza la seconda puòridursia mero tatticismofinea se stesso, come la seconda senza la prima rischia di cadere nell'astrattezza. Il che . significa, anche, impegnarsi, ciascuno secondo il proprio molo, nel gettare le basi per un approfondimento culturale intomo alla natura e ai compiti della destra, non in astratto, ma ora, nell'Italia dell'anno di grazia 1995. Credo che nelle «tesi di Fiuggi», insieme a qualche ambiguità e a qualchefrettolosi^,ci siano, in parte allo stato potenziale, contenuti degni di essere discussi, approfonditi, valorizzati: si può ripartire da li.

AS-


RIFORMA ELETTORALE

di Giuliano Urbani

N

el programma avanzato dallo schieramento Prodi, per avviare il cosiddetto dialogo sulle regole e (soprattutto) per preparare le elezioni autunnali, è stato così inserito anche il "doppio turno". A un vecchio fautore, come me, di una riforma elettorale alla francese, dovrebbe risultare una proposta da condividere. E invece no; lo dico apertamente, ma soprattutto vorrei dirne le ragioni, che sono più di una e che risultano complessivamente alquanto inquietanti. Parto da quella più ovvia. Nel pacchetto Prodi non si spende una sola parola per farci capire di quale disegno istituzionaie la riforma farebbe carte. E d è un silenzio che lascia pieni di incertezze. Perché fa una bella differenza, a esempio, introdurre un sistema elettorale di tal genere all'interno di un regime di parlamentarismo puro (come è il nostro) ovvero all'interno di un regime semipresidenziale del tipo di quello vigente in Francia, a partire dalla Quinta Repubblica. E finché non ci vedo chiaro, lo confesso, non sono disposto a comprare una merce al buio. Seconda ragione di perplessità. Dalla proposta dell'Ulivo non si capisce bene nemmeno un'altra cosa. Con il doppio turno, che fine farebbe l'attuale quota proporzionale del 25 per cento? Perché, delle due l'una: o dovrebbe essere abolita (per approdare finalmente a un sistema non più contraddittorio) oppure permarrebbe. E se così fosse, quale beffa! Perché, oltre a un sistema schizzoide, si avrebbe anche un altro e fondamentalissimo esito perverso: un sistema elettorale sempre meno maggioritario e sempre meno uninominale!

Doppio turno, attenti agli inganni

Terza e principale obiezione. Ma cosa c'è dietro, e sotto, questa proposta? Personalmente ci sento molta puzza di bruciato. Mi spiego. Quale è la sola — e autentica — ragione per la quale i sistemi di doppio turno alla francese si fanno in genere preferire? Quella di facilitare la creazione di sistemi partitici più stabili e realistici: i cosiddetti sistemi a quattro ruote (o meglio, a quattro partiti raggruppati in due coalizioni contrapposte, come avviene, per l'appunto, in Francia) in luogo dei sistemi a due ruote (o bipartitici), che in nessun Paese latino hanno mai potuto prendere corpo, a causa dell'atavico pluralismo culturale che da sempre vi predomina. Naturalmente per chi è impregnato di liberalismo doc e per tutti coloro che hanno a cuore prima gli interessi collettivi del Paese e solo in subordine quelli "privati", questo vantaggio dei sistemi a doppio turno resta un'argomentazione d'importanza decisiva. Ma è proprio questo l'obiettivo al quale oggi mira la proposta Prodi? Non mi sembra davvero. Mi sembra invece che miri a un risultato molto più "di parte". Quello di battere la maggioranza relativa fin qui conseguita dal Polo (attestato ormai attorno al 45 per cento dei suffragi) attraverso una ... mera furbata: quella di utilizzare il secondo turno per sommare ai propri voti quelli scomodissimi di Lega e Rifondazione Comunista, senza con ciò pagare il dazio di un'esplicita coalizione! Se così è (e così pare essere...), allora non va affatto bene. Se l'obiettivo diventa infatti quello di invocare una nuova regola

proprio per favorire una fazione sull'altra (e in modo così poco corretto), allora do ragione a Fini, quando si dichiara disposto a sottoscrivere solo le riforme veramente neutrali. Tutto ciò chiarito, devo però aggiungere la preoccupazione che oggi deve starci più a cuore. E anche qui voglio essere massimamente franco. La mia paura è che dietro la proposta del doppio turno possa avanzare a grandi passi anche il ritorno alla proporzionale. Sì, proprio alla proporzionale. Magari sotto il noto travestimento truffaldino del sistema già sperimentato alle elezioni regionali: una bella proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione vincente... Roba che sarebbe forse andata bene quarantanni fa, ma che oggi dovrebbe semplicemente far accapponare la pelle a tutti quegli italiani (oltre l'ottanta per cento) che ormai si attendevano solo il rapido avvento del sistema maggioritario e bipolare! Posso naturalmente sbagliarmi, ma il sospetto nasce proprio da qui. Prodi propone quel tipo di doppio turno al Polo; il Polo rifiuta. E cosa fa, allora, l'Ulivo? Ripiega sulle pressioni che dall'interno delle sinistre riceve tanto da Bossi, quanto da Bertinotti. Morale della favola: non potendo ottenere il doppio turno "ripiega" — per così dire — su quella proporzionale corretta che, sola, può garantirgli la tenuta complessiva della coalizione anti Berlusconi. Se prendo un abbaglio, come non detto. Ma forse sarà meglio tenere tutti e due gli occhi ben aperti. Perché la rapidità e la "facilità" con la quale in Parlamento si varò la summenzionata riforma regionale, mi è rimasta negli occhi (e nelle orecchie). E continua a non essere un bel ricordo.


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hi legge i miei articoli sa benissimo che non amo usare aggettivi forti allo scopo di insultare l'avversario. Ora l i so la parola nazista come concetto e potrei he nissimo usare anche la parola sovietica, perché questi due totalitarismi hanno avuto la stessa concezione della funzione giudiziaria. Scrivo questo articolo soltanto perché avverto che una parte della magistratura — soprattutto quella inquirente — forse senza esserne consapevole comincia a far propri questi principi dei regimi totalitari. Vyshinskij, il noto procuratore sovietico, affermò che il diritto è in funzione della politica, negando così il grande principio costituzionale della sovranità delle leggi e non degli uomini, che è alla base dello Stato di diritto, il quale garantisce l'imparzialità della legge e la sua certezza. Dal canto suo Curt Rothenberger, sottosegretario nazista al ministero della Giustizia, affermava che la funzione giudiziaria doveva essere adeguata alla «sensi bilità per le grandi mete politiche», alla volontà popolare, al «sano sentimento del popolo». Questa nuova fonte di legittimità del potere giudiziario era così trovata al di fuori della legalità, per cui si poteva dire anche contro la legge, quando interpretava secondo un'ideologia politica (o la volontà del capo) e si richiamava alla volontà sociale. Questa aberrante concezione della funzione giudiziaria si fondava su due punti. Protagonista del processo non era il giudice, il terzo sopra le parti, ma il procuratore, cioè la pubblica accusa, interprete della funzione politica del diritto. R giudice si limitava a recepire passivamente la sua volontà (basta leggersi i processi di Mosca).

Nelle Procure il virus della giustizia stalinista Nicola Matteucci (...) La funzione della magistratura giudicante era così totalmente annientata. Dopo la Rivoluzione ungherese e la Primavera di Praga le principali richieste furono quelle di avere una magistratura giudicante veramente imparziale e al di sopra delle parti. Riscoprirono lo Stato di diritto, mentre oggi noi ce lo stiamo dimenticando. Secondo punto: il concetto del «nemico oggettivo» è centrale nel pensiero giuridico totalitario, sia nazista che sovietico. Una persona non è responsabile per gli atti che compie (punibili secondo la legge), ma per la sua appartenenza a una classe sociale, a una razza (gli ebrei) o — in sintesi a quella parte che, anche per i poteri che detiene, viene indicata come nemico assoluto. Il normale confronto politico è oggi alterato perché, con una ossessionante propaganda, si è individuato il nemico assoluto nell'onorevole Silvio Berlusconi. Il giurista nazista, or ora citato, che aveva grande responsabilità nella politica della giustizia nel suo Paese, ha affermato che l'eguaglianza della legge non aveva valore: eguali reati non andavano trattati in modo uguale, ma in modi diversi secondo un criterio politico o ideologico. E il nemico oggettivo andava punito assolutamente al di fuori di ogni legalità. Non siamo ora nella Germania nazista o nella Russia sovietica, ma questi germi di malattia e di morte si sono infiltrati in parte nella nostra magistratura. I pericoli però vanno denunciati per tempo, senza le sfumature dei nostri politici. Noi non vogliamo un governo dei giudici o peggio dei procuratori della Repubblica, che negli altri Paesi rispondono o al ministero della Giustizia o alla volontà popolare. Noi vogliamo dei veri giudici, una vera magistratura giudicante: come affermò un grande magistrato inglese del Seicento, sir Edward Coke, i giudici devono essere dei leoni, ma sempre sotto il trono della legge.

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Negò l'Olocausto: condannato a 14 mesi STOCCARDA — Germar Scheerer, un chimico di 30 anni, è stato condannato a 14 mesi di reclusione per istigazione all'odio razziale. Attraverso una ricerca ha tentato di dimostrare in maniera surrettizia che ad Auschwitz non esistevano camere a gas. Nel 1991, l'ex generale nazista Otto Ernst Remer l'incaricò, dietro compenso, di effettuare delle analisi su pezzi di mattoni deflager polacco. Le conclusioni di Scheerer, che dopo la divulgazione dei risultati del suo studio fu licenziato dal prestigioso istituto Max Planck, si basavano sul fatto che sui campioni non erano stati rilevati residui di cianuro, da qui la teoria, ripresa dai neonazisti, secondo cui nessun ebreo era stato ucciso col gas ad Auschwitz. Gli esperti sanno che, scomponendosi, il cianuro non lascia tracce. Per di più è noto che alcuni edifìci che ospitavano le camere furono distrutti dagli Alleati ericostruitipiù tardi.

• la Repubblica sabato 24 giugno 1995


Immaginiamo che da «laggiù» il padre della rivoluzione marxista invii questa lettera semiseria

E Lenin alla Quercia manderebbe a dire Neoliberismo? Non capisco marniadeguo MAUHCOO BLONDET

C

ari compagni italiani, lasciate perdere le ' amarezze del compagno Ingrao, i l dispetto dei borghesi del Manifesto, i sogghigni di Bertinotti: la rivoluzione non è un pranzo di gala, men che meno una sfilata di moda. Sappiate che io -Vladimir Ul'ianov Lenin, da quaggiù dosVfi mi trovo -saluto nel compagno Massimo D'Alema, neo-liberale, l'ultimo vero comunista. I l più fedele interprete della mia teoria e deUa mia prassi. Stupiti? Vuol dire che vi siete imborghesiti, e non studiate più il mio saggio su L'estremismo, malattia i n f a n t i l e del comunismo: e sì che l'ho scritto per voi. 0 meglio, per certo compacgni che ai miei tempi, proprio come voi, eccepivano: ci sono dei pope che organizzano le r i vendicazioni sociali dei contadini, ma non sono comunisti, e perciò l i combattiamo. Matti. Anzi estremisti infantili. Voi, invece, mettetevi al servizio anche dei pope, se i pope hanno i l consenso; non commettete l'ingenuità di voler salvare la "purezza" del comunismo. Lo stesso ripeto a voi. Non v i sarete dimenticati cosa diceva Marx ne L'Ideologia Tedesca: "Il comunismo per noi non è un 'ideale'. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente". Abolire lo stato di cose presente significa (ve

che hanno ascoltato l'avversario Berluskcv senza fischiarlo. Questo è nulla nella storia di un Partito che, come mi ricorda i l compagno Stalin che è quaggiù con me, s'è alleato con Hitler, coi patti Ribbentrop-Molotov. I l vero sacrificio, lo so, è imparare a parlare da "liberali". Accettare " i l mercato". Sforzarsi di apparire persino "di centro". Questo sì, sembra i l contrario della nostra storia.

10 devo ricordare?) la rivoluzione fine a se stessa; e soprattutto, prendere il potere. Per questo scopo, tutto fa brodo. Allearsi ai pope? E sia. "Bisogna saper sopportare qualunque sacrifico per svolgere una agitazione sistematica, tenace, paziente nelle leghe, anche le più reazionarie, dove si trovano masse proletarie e semi-proletarie", ho scritto: e i l compagno D'Alema l'ha fatto, ingraziandosi persino la Lega di Bossi, che più che reazionaria è retrograda. Ma i l compagno D'Alema ha capito che non basta più nemmeno questo; ed ha fatto un altro passo da vero comunista, con i disciplinati compagni uniti con lui al congresso. A loro va

La realtà è dialettica, compagni. E l'Unione Sovietica è caduta, segno che i l socialismo reale non era "l'azione materiale più potente". L'azione materiale più potente nella storia s'è dimostrato i l capitalismo. E allora forza, compagni: mettetevi al servizio del capitalismo come noi ci mettemmo al servizio dei pope sociali, nell'interesse supremo del "cambiamento delle cose presenti". Sono i "mercat i " a legittimare i partiti? E noi ci proponiamo: dateci i l governo e faremo le privatizzazioni, taglieremo le spese sociali, gestiremo i l capitalismo con i metodi leninisti, ricorrendo (ricordate quel che ho scritto?) "ad ogni genere di astuzie, di metodi illegali, alle reticenze, all'occultamento della verità", ma beninteso anche nella legalità, perché " I rivoluzionari che non sanno associare le forme illegali di lotta con tutte le forme legali sono pessimi rivoluzionari". A i mercati, questo piacerà.

11 mio sostegno: "Bisogna saper sopportare qualunque sacrificio", e loro han sopportato perfino questo. No, non mi riferisco al fatto

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E invece no, e sono io, Vladimir Ul'ianov, ad assicurarvi: si può, anzi si deve, essere leninisti di centro. Si può e si deve diventare comunisti di mercato. Sveglia, compagni, riaprite i sacri testi. Anzitutto, ricordatevi che per noi la verità non esiste una volta per tutte: credere che la verità esista è già credere in Dio, e noi restiamo radicalmente atei. "Se al pensiero spetti una verità oggettiva non è una questione teoretica, bensì una questione pratica", diceva il nostro Marx. O devo ricordarvi quel che diceva Monnerot, un nostro avversario, ancora più chiaramente? "Quando afferma qualcosa, un marxista non afferma una verità, perché non c'è alcuna verità da contemplare; afferma una dottrina per l'azione, nella ricerca dell'azione materiale più possente per cui mezzo l'uomo crea se stesso e la sua storia."

Sento le vostre obiezioni, estremisti infantili: e dove va a finire l'abolizione della proprietà privata? La società senza classi? L'uguaglianza? I l bene degli operai? Compagni, Marx ed Engels sono stati chiari: la questione non è servire gli operai, ma servirsene come della "forza materiale più potente". Ora la realtà, dialettica come sempre, ha mostrato che gli operai non sono la forza più potente: e i l vero leninista scarica gli operai e si afferra alla coda delle forze materiali oggi potenti. I l vero leninista mica l'ha sposato, 0 proletariato; egli deve adottare "qualunque forza storica disponibile", diceva Marx, per "cambiare lo stato di cose presente". Spetta a noi comunisti, oggi, "dare un programma d'azione positivo" a qualunque forza sociale, e ib ve ne avevo indicate alcune, in Che Fare?: "agli studenti in effervescenza, ai malcontenti, ai membri delle sette religiose, ai maestri colpiti nei loro interessi, eccetera." E i n questo eccetera aggiungete pure: ai gay, ai verdi, ai piloti Alitalia, ai giudici...purché sia il Partito a guidare la protesta, qualunque protesta. Trasformismo? Ma no: leninismo alla stato puro. Quel che conta è l'azione, "cambiare i l mondo", e per agire occorre i l potere. E dunque "Un comunista cosciente affermerà ciò che serve ali 'azione che vuol condurre. E siccome l'azione si sviluppa nelle perpetua contraddizione dialettica, egli dirà domani il contrario di ciò che ha detto oggi, senza che ciò significhi conversione o ipocrisia": così diceva di noi Monnerot, che ci conosceva bene e sapeva che non siamo ipocriti. Socialisti ieri, oggi liberisti, ma sempre leninisti, pronti ad accettare ogni mutamento di verità quando a dettarla è il Partito. Senza ripensamenti e senza scrupoli, compagni: i l vostro mòtto sia, come sempre, "non capisco ma mi adeguo". Che è i l riassunto letterale di quest'altra frase di un Maestro: "Ogni atto va concepito, come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto abbia come riferimento i l moderno Principe (il Partito) e serva a incrementare i l suo potere o a contrastarlo". Spero che lo riconosciate: è i l vostro pensatore liberale, come vi ha spiegato D'Alema. È Antonio Gramsci. I l quale m'incarica di salutarvi da quaggiù, insieme al liberale Togliatti. Cordialmente vostro, V.U. Lenin, economista liberale.


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CRONACHE

POLEMTCA Ennesima provocazione accolta dal silenzio di sindaco e assessori. Centomila firme contro le nozze omosessuali

Unione gay, Bologna ci prova RegistroArci per coppie di fatto. Sponsor due consiglieti STEFANO ANDR1NI

BOLOGNA. Un registro anagrafico per le coppie gay che vogliono convolare a nozze. E questa l'ultima inquietante iniziativa promossa dall'Arcigay alla vigilia della manifestazione nazionale che vedrà sabato primo luglio il capoluogo emiliano trasformato nella «capitale dell'orgoglio omosessuale». Come e noto la legislazione italiana nonriconoscelegittimità ed efficacia alle unioni tra persone dello stes: so sesso, a differenza di quanto accade nei Paesi del Nord Europa. Di qui la «trovata» del presidente dell'Arcigay Franco Grillini di istituire un registro per certificare le convivenze non solo degli omosessuali, ma anche dei conviventi more uxorio, e più in generale di tutti coloro che pur non riconoscendo la normativa sui matrimoni, vogliono ugualmente usufruire dei benefici che questa prevede. D «fattaccio» è accaduto presso la sede dell'associazione, quel Cassero concesso diversi anni fa dall'amministrazione comunale, allora comunista, in spregio alla devozione mariana di una città che per secoli, prima dell'arrivo dei gay, ha visto fare tappa, presso quel monumento, fimmagine della Madonna di San Luca. Dopo aver pronunciato il «fatidico» sì alla presenza di ben due «celebranti», il consigliere comunale di minoranza Valerio Monteventi (Rifondazione comunista) e Marcella Di Folco, verde, primo transessuale d'Italia ad essere eletto in un Consiglio comunale, e componente della maggioranza che appoggia la coalizione di centrosinistra a Palazzo D'Accursio, i «novel-

li sposi» hanno apposto la loro èrma inaugurando il registro. Folklore? Cattivo gusto? In realtà dietro all'ennesima sceneggiata inventata da Grillini, ratta di patetici scimmiottamenti dei matrimoni veri e di gay in passerella con abiti da sposa (firmati?) c'è un preciso obiettivo politico: quello di scardinare il concetto di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio affiancandole un nuovo istituto giuridico che superi l'unione tradizionale. Che ne pensa l'amministrazione comunale di questo «cavallo di Troia» ospitato nel territorio della citta? A Palazzo D'Accursio l'imbarazzo è palpabile: ma, complice il sabato, tutti cercano di scansare i commenti sulla vicenda e le proprie corresponsabilità. Il sindaco, appena uscito dal suo ufficio per il week-end, ha il cellulare comodamente staccato. L'assessore al decentramento Elisabetta Possati, la qua-

le siriconoscenei Popolari di Bianco che — come l'Arcigay — danno sostegno a questa maggioranza, al centro delle cronache per la sua decisione di non sottoscrivere la delega per la celebrazione dei matrimoni civili, rintracciatatelefonicamente,declina gentilmente l'invito a pronunciarsi. «Ho già avuto troppa pubblicità» dice. Anche il consigliere comunale Paolo Mengoli, popolare di Bianco, è restio a commentare: in fondo, afferma lui, «si tratta di una scelta privata che non coinvolge l'amministrazione». Caustico il commento del buttiglioniano Paolo Foschini, vicepresidente del Consiglio comunale: «Ogni lettura maliziosa tesa a superare la legge non può trovare cittadinanza. Se tuttavia quello dell'Arcigay è uno scherzo, è comunque di pessimo gusto». Intanto c'è chi si oppone. «Mai, in alcun modo, la Chiesa ha legittimato il vizio omosessuale. Meno che mai ne

può accettare la legalizzazione, che costituisce per sé un peccato ancora più grave della pratica privata dell'omosessualità». Questo, in sintesi, il principio al quale si richiama la campagna nazionale per la raccolta di firme contro il matrimonio omosessuale, promosso dall'«Associazione Famiglia Domani», aderente ai Comitato di difesa dall'ordine naturale e cristiano. Una compagna che ha superato finora le 100 milafirmein tutta Italia.

N o t a delT'Osservatore r o m a n o "

«Contro il progetto di Dio» L'Osservatore Romano prende posizione contro le dichiarazioni del Governatore dell'Australia sui diritti degli omosessuali e delle coppie gay. In una nota il teologo padre Gino Concetti nega l'idea secondo cui i diritti degli omosessuali possano essere messi sullo stesso piano dei diritti umani fondamentali,riconosciutiad ogni essere umano e tutelati dalle carte costituzionali degli Stati. «Il diritto autentico — scrive il giornale vaticano —è un valore iscritto nella dignità della persona, la cui fonte e causa è l'immagine scolpita da Dio nel momento della creazione dell'uomo e della donna. In quella dignità, in quel nucleo sorgivo di diritti — prosegue — non c'e posto per rivendicazioni o pretese che contrastino con quella divina immagine, con quel nucleo originario. L'omosessualità è chiaramente contro il progetto creativo di Dio ed è fortementeriprovatadalla Bibbia». Duro anche il giudizio sull'altra tesi dello stesso •Governatore, secondo cui le condizioni precarie ed estreme degli anziani giustificherebbero ilricorsoall'eutanasia. «È solo ipocrita — replica sempre padre Concetti — sostenere che uccidere una persona anziana o malata terminale equivalga ad aiutarla a morire con dignità. Uccisione e dignità sonoterminiinconciliabili, irriducibilmente contrapposti». CITTÀ DEL VATICANO.

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Avvilire

Domenica 2 luglio 1995

CRONACHE

CORTEO Ottomila in corteo per la 'Giornata dell'orgoglio'. Messaggi di solidarietà da D'Alema e Bertinotti

Bologna, sfila la «tolleranza » gay

Slogan e lazzi contro il cardinale Biß e la morale cattolic BOLOGNA. «Biffi ci fai un baffo!», grida il cartello, all'indirizzo dell'arcivescovo. Sono quelli che chiedono, anzi pretendono, la tolleranza. Quelli che marciano contro le discriminazionL Quelli che si dicono «portatori di valori morali non meno degni della morale cattolica», come dice il loro leader Franco Grillini. Insomma, gli omosessuali in corteo. Tizi tatuati, teste rasate, calzoncini di cuoio, su moto colossali Altri mascherati da corsaro, camicie di seta e volante. Le «lesbiche del Sud» con tatuaggi e spilloni nelle labbra. Gli omosex di Trento con lo striscione, capelli verdi e gialli. Uno vestito da sposa in bianco, con basette e baffi, che ogni tanto mostra le cosce. Sfila con un transessuale travestito da torta nuziale, rosa e volani che fa le linguacce ai fotoreporters. n cartello con l'invettiva al cardinale è innalzato da una suora. 0 meglio da un giovanotto vestito da suora, che marcia accanto ad uno vestito da cardinale, zuccotto e fascia rossa, orecchini di corallo. Perché questo travestimento? «E la risposta ai duri attacchi della Chiesa che impedisce l'applicazione della raccomandazione di Strasburgo», risponde lui. E di Bolzano. E tu perché sei vestito da suora? «Ma io sono una suora», dice. Sbalordisco. «Suora della perpetua indulgenza», cinguetta, «de-

sì, non pare monolitico. Ma riceve benedizioni importannostro inviato ti. Massimo D'Alema telegrafa: «Abbiamo sempre combattuto l'intolleranza (sempre sempre?, ndr) di qualunque segno e natura. Ecco perché siamo al vostro fianco contro i l pericolo del diffondersi di nuovi pregiudizi e discriminazioni». Fausto Bertinotti, «dispiaciuto» di non poter intervenire, scrive: «Il Parlamento italiano dita alla pace, all'amore (e Moschettiere Nero: «Perché i deve recepire la risoluzione strizza l'occhio) e alla lotta diritti si prendono, non si di Strasburgo sulla parità di contro l'Aids. chiedono». L'Arcigay ci di- trattamento della persona Afa tremenda. Sudore. I l scrimina, incalza un Corsaro indipendentemente dal comcorteo (8 mila per la Questu- Nero a torso nudo, spilloni portamento sessuale». Idem, ra, ma gli organizzatori dico- ficcati nei capezzoli, catene e trasmette Ripa di Meana. Sano 20 nula) muove dal Casse- borchie dappertutto: «Siamo luti da Rutelli sindaco di Roro verso piazza del Nettuno. un ghetto nel ghetto». Uno ma, da Luigi Bersani presiRaggiungo uno striscione: innalza un cartello con un di- dente della Regione Emilia«Lesbiche separatiste». Sepa- segno: è la Madonna che san- Romagna. Walter Vitali, sinratiste rispetto a che?, chiedo guina, circondata da triango- daco cu Bologna, è presente alla capofila, parrucca da l i rosa «La Madonna di Civi- sul palco in Piazza del Nettustrega e trucco da vecchia, tavecchia rappresenta tutti i no. «Vanno tenuti distinti», pregiudizi atavici, anche l'o- grida, «il matrimonio dal riche tira una carriola con un'altra strega che agita un dio contro noi gay», è la spie- conoscimento delle convicampanaccio. «Rispettro al- gazione. Poi c'e lo striscione venze di fatto. Se teniamo l'Arci-gay. I maschi, anche degli "Uomini Casalinghi". ferma questa distinzione, gay, fanno politiche da ma- Chi siete? «Matriarchi», m i possiamo condurre insieme sch». Per esempio? «Il Comu- risponde un fiorentino. «Noi la battaglia per una piena citne non vuol finanziarci il Fe- rifiutiamo la lotta Per que- tadinanza». Poi parla Renzo stival del cinema lesbico. E ci sto siamo contro l'Arcigay». Imbeni, ora vicepresidente ha bloccato i fondi per "Taxi E poi: «Viviamo in comunità del Parlamento Europeo. femminee, come quella di Rievoca la "battaglia" per rosa", una nostra iniziativa contro la violenza sessuale. Saffo». Ma come? Siete uomi- strappare a Strasburgo la Prendiamo sì e no 5 milioni n i «Prego, chiamaci ragazzi. raccomandazione pro-gay: dall'Assessorato delle politi- Uomo è un termine che im- «Non è stato focile». Franco che sociali, t i pare giusto?». plica la lotta, il successo. Noi Grillini, capo dell'Arcigay, Come contribuente no, lo vogliamo curare la casa e esprime sardonico "comammetto. Un altro striscio- facciamo cominciare la sto- prensione" per i l cardinal ne: "Alternative gays". An- ria da Saffo: ora siamo nel Biffi: «E in difficoltà. I cattolici non seguono più la morale che voi in disaccordo? «Sì», 2607, lo sapevi»? n movimento, diciamo co- cattolica». Se lo dice lui.. mi risponde un travestito da MAURGOO BLONDET

In piazza anche il sindaco Vitali: «Possiamo condurre insieme la lotta per la vostra cittadinanza»

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INGHILTERRA:

i gay hanno

dichiarato

"guerra aperta ai poteri delio Stato" A Londra gravissimi disordini sono stati provocati da dimostranti omosessuali davanti al Parlamento in seguito alla decisione della ; Camera dei Comuni di abbassare I I l'età del "consenso" per i rapporti omosessuali dai 21 ai 18 anni. Gli omosessuali pretendevano però che l'età minima per non incorrere nei rigori della legge venisse addirittura abbassata ai 16 anni. Per non aver ottenuto, in una democratica votazione, il 100*^ di tutto quello che volevano, organizzatisi in migliaia di attivisti provenienti da tutta l'Inghilterra gli omosessuali hanno preso d'assalto il Parlamento,, fermati solo dalla pronta reazione degli uomini di Scotland Yard.

Così descrive le violenze, tra gli altri, il giornale Avvenire del 23.3.94: I "Un sergente di polizia è stato malj menato rimanendo ferito e contuso e uno dei portoni del Parlamento è | stato danneggiato, mentre le forze dell'ordine venivano bersagliate con ; bottiglie e aste di legno che erano . ! servite ai gay per innalzare cartelli (...) Un gruppo di dimostranti ha ? cercato anche di prendere d'assalto ; la sede del Primo Ministro al numero 10 di Downing Street, che fortu. natamente, è protetta da una robusta cancellata di ferro. La polizia ha operato otto arresti". Come se non bastasse il leader ì omosessuale inglese Peter Tatchell ; . annunciava in piazza con un megafono "nuove azioni di disobbedienza civile, nuovi disordini". Al cronista dell'Avvenire non rimane - che constatare amaramente che "27 anni dopo la legalizzazione dell'omosessualità in Inghilterra, i gay •: sono ora in grado di dichiarare guerra aperta alla a u t o r i t à del : Parlamento e a i poteri dello Stato".

T O R R E / IL SOCIOLOGO BURGALASSI PARLA DEI SIGNIFICATI PIÙ PROFONDI D I UNA CRISI

'Ma in alto quelle campane non suonano più'

In questa vicenda della torre e del suo rapporto con la città, esistono anche significati che trascendono il fatto tecnico. Del resto, Silvano Burgalassi, sacerdote, sociologo e studioso di cose pisane, aveva già mirabilmente descritto questi significati nel suo pamphlet «La piazza del Duomo di Pisa. Enciclopedia teologicosimbolica di pietra e calendario cosmico». Un 'analisi di grande suggestione, i marmi come segno del divino e dell'esistenza dell'uomo. Scrive Burgalassi: «Nascita, sofferenza, vita gioiosa, avvenimenti lieti e tristi, fatica quotidiana, festa e morte erano condensati in quella piazza in cui il dato umano, proprio del ciclo umano di vita, si sposava con il da-

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to religioso. Il Battistero apriva la vita dolente, in quelle campane silenziose. umana a quella religiosa, la Cattedrale Del resto, ormai, il significato delle camparlava il linguaggio dell'impegno abi- pane e dei campanili è stato stravolto tuale e festivo, l'ospedale parlava il lin- ovunque. Da tempo, nei grandi complessi guaggio di una sofferenza lenita dalla fe- urbanistici, in alto vengono collocati gli de, il Camposanto diceva la parola «fi- uffici delle banche. Così, se nel passato ne» nella speranza dell'eternità. Ma so- l'uomo guardava in alto, ascoltava le prattutto era il Campanile, turris ebur- campane e guardava il cielo, oggi se alza nea, che sanciva con i suoi tocchi alle va- la testa, vede in cima a quelle torri solrie ore del giorno e dei mesi, nei vesperi tanto delle banche: ecco che il senso del precedenti le feste dei santi, il tempo del divino è sostituito da un nuovo valore, il mercante e quello della chiesa, il tempo denaro. L'uomo è continuamente insidiaterreno e quello dell'eternità». to nei suoi valori più alti ed un ammoniQuesto scriveva Burgalassi. Ed oggi, di mento in tal senso viene anche dai due fronte alla torre che soffre, a quelle cam- geroglifici che si trovano ai piedi della pane silenziose, qual è il suo pensiero di nostra torre pendente dove si vede il seruomo di studi e di religione? «Vedo un pente che minaccia di mordere il bue». forte significato simbolico in questa torre [R. C ]

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Oggi

In merito olla proposto

formulala

da uno degli operatori della procreazione

assistila

L'embrione umano e il frigorifero GINO CONCETTI Dopo l'ondata furiosa per legittimare l'aborto come un diritto civile della donna si sta sempre più prendendo coscienza dell'inviolabilità del diritto alla vita del nascituro. Ora non c'è più nessuno che non si arrenda di fronte al dato scientifico che la vita di un essere umano ha inizio nel momento stesso della fecondazione dell'ovulo. Un rilevante apporto in tal senso è venuto dalla fecondazione in vitro, che ha consentito agli scienziati di verificare tutti i processi della generazione umana. In questa fase di comprensione o di maggiore comprensione della vita nascente si possono però correre altri rischi che se non sono gravi come quelli legati alla distruzione della vita nascente, non sono meno inquietanti sotto il profilo morale, ed è giusto aggiungere sotto il profilo umano. Intendiamo alludere alla proposta formulata da uno degli operatori della procreazione assistita, il quale ritiene possibile e quindi fattibile il prelievo dell'ovulo già fecondato nel corpo della donna e congelarlo per differire la maternità in un periodo più favorevole alla donna e alla sua famiglia. «È l'alternativa alla pillola del giorno dopo — ha dichiarato il ginecologo — quella che blocca una gravidanza sul nascere, provocando un aborto precocissimo. Ed insieme — ha soggiunto — è una speranza per il futuro». Il ginecologo ha spiegato anche la tecnica da seguire per portare a termine l'operazione: istituire poi una ovoteca, una specie di banca in cui conservare gli ovuli fecondati, ovviamente mediante congelazione. La proposta merita di essere analizzata per parti. La prima è di notevole valore etico e giuridico. Si riconosce che l'uso della pillola del giorno dopo blocca la gravidaza in corso e che con tale intervento si provoca «un precocissimo aborto». Fondandosi su di essa, la Chiesa cattolica e la cultura cristiana hanno da sempre sostenuto che è già essere umano quello che nascerà. E perché in fatto di aborto o di interruzione del processo generativo non si coltivassero disinformazioni e dubbi ha da sempre dichiarato illecito qualunque intervento mirato a distruggere la vita nascente. Giovanni Paolo II, a conferma della tradizione e della dottrina, ha sancito, con una interpretazione autentica del can. 1398 del Codice di diritto canonico, che incorre nella scomunica latae sententiae non solo chi provoca l'aborto inteso nell'accezione scientifica e corrente, ma anche chi opera l'atto distruttivo dell'embrione o feto «in qualunque modo e in qualunque tempo dal momento del concepimento» (19/1/1988; 23/5/1988). Quindi con la dottrina e il magistero della Chiesa concorda anche la scienza. Una ragione in più perché la Chiesa consolidi l'inviolabilità della vita umana dal suo sbocciare fino al suo tramonto naturale.

La seconda parte, del prelievo dell'ovulo fecondato e di conservarlo congelato, non può che trovarci dissenzienti. L'operazione non può essere giustificata neppure in vista di un successivo reimpianto nella donna stessa. In tal senso si è espressa la Congregazione per la dottrina della fede nel suo documento fondamentale di bioetica, Donum vitae. Merita di essere citato il brano che riguarda la questione: «Lo stesso congelamento degli embrioni, anche se attuato per garantire una conservazione in vita dell'embrione — crioconservazione — costituisce un'offesa al rispetto dovuto agli esseri umani, in quanto espone a gravi rischi di morte o di danno per la loro integrità fisica, li priva almeno temporaneamente dell'accoglienza e della gestazione materna e li pone in una situazione suscettibile di ulteriori offese e manipolazioni». L'unica eccezione dell'estrazione dell'embrione potrebbe essere ammessa nell'ipotesi di un intervento terapeutico sull'embrione medesimo per migliorarne, in caso di grave malattia, la qualità fisica, rimosso ogni rischio di morte o di deformazione e per il tempo assolutamente necessario. Afferma Giovanni Paolo II: «Un intervento strettamente terapeutico che si prefigga come obiettivo la guarigione di diverse malattie, come quelle dovute a difetti cromosomici, sarà, in linea di principio, considerato auspicabile, supposto che tenda a realizzare la vera promozione del benessere personale dell'individuo, senza arrecare danno alla sua integrità o deteriorarne le condizioni di vita. Un tale intervento si colloca di fatto nella logica della tradizione cristiana» (28 ottobre 1983). Giova ribadire che l'operazione del prelievo-congelamento-reimpianto è ritenuta illecita dalla morale cristiana, anche se è meno grave della distruzione dell'embrione, sia con mezzi chimici che chirurgici. La diversità etica però non legittima un trattamento del genere. L'embrione è già un essere umano con la sua dignità e l'intera g a m m a dei suoi diritti. Non può essere subordinato a motivi anche comprensibili di donne che desiderano rinviare la gestazione. È come se si dicesse ad una persona: in questo momento mi sei d'incomodo, scusami ma ti colloco in un grande frigorifero e attendimi là che verrò a riprenderti nel momento che io riterrò opportuno. Nessuno accetterebbe questo ragionamento come saggio. Quello che è valido per la persona adulta lo è pure per l'essere umano di dimensioni microscopiche. E persona la prima è persona il secondo. La discriminazione ripugna alla coscienza e inquina la civiltà. L'alternativa all'aborto va dunque trovata in altri versanti che siano compatibili con le esigenze della morale cristiana. Ma nessuno può usare dell'altro come un oggetto di cui disporre a piacimento pur, nell'intenzione, rispettandone il diritto alla vita e la dignità di persona.

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Il genetista Sermonti: «Questo è il volto sinistro della scienza MAURIZIO BLONDET

Final Exit, il libro, anzi il manuale che insegna il suicidio assistito, ha venduto 400 mila copie in Usa. Ed ora viene pubblicato in Italia: un altro segno che la gran macchina "formatrice" della pubblica opinione (editoria, giornali, tv) è stata messa in moto per costruire i l consenso sociale all'eutanasia. La strategia non è nuova, e consta nell'esibizione dei casi pietosi, dello spettacolo della sofferenza e dell'agonia, che commuove la facile emotività di massa. Ma dietro alla maschera della pietà, l'argomento forte è economico: nei nostri anni di Aids e di prolungamento della vecchiaia, i malati senza speranza e i vecchi non autosufficienti sono un peso crescente per le compagnie d'assicurazione internazionale e i sistemi sanitari. Ma la scienza ha qualcosa da dire sull'eutanasia? V'è un argomento scientifico prò o contro la "dolce morte"? Lo chiedo al genetista (e anomalo scienziato critico) Giuseppe Sermonti. "Lo scienziato può solo tremare di fronte a questo tema", risponde lui: "perché la morte dell'uomo è appunto un evento umano, che coinvolge significati davanti a cui la scienza è cieca e muta." In che senso? "Nel senso che la scienza non sa nulla dell'uomo nel suo senso più profondo. La morte come "prova"; come ricapitolazione della vita; la sofferenza dell'agonia come espiazione, che è ancora un "dare significato" a qualcosa che in termini tecnici non ne ha: che cosa

può dire la scienza davanti al significato? La sola sua risposta è adottare soluzioni "tecniche", ossia disumane: come dare la morte con la minor sofferenza. Essa si riduce a manovrare metodologie sinistre: meglio asfissiare i l malato con l'ossido di carbonio o liquidarlo con un'iniezione di curaro? Ma le tecniche omicide sono assolutamente prive di ogni considerazione del significato." Altro è il discorso sulla medicina. "La medicina non è una scienza", avverte Sermonti: "Per millenni è stata un'arte dell'uomo, che usava come strumenti mezzi tecnico-scientifici; e i n questo senso, la morte è stata sempre presente al medico, come un dovere." Come, un dovere? "Nel senso che i l medico ha sempre sentito la sua intima lotta con la morte come una scelta etica, a volte tragica. Come quando doveva decidere di applicare "terapie eroiche", ossia cure che, per salvare la vita del paziente, rischiavano di accelerarne la morte, o di lasciarlo in una vita diminuita e mutilata. E sempre i l medico, davanti al sofferente senza speranza, s'è posto i l problema di assicurargli la morte dignitosa: cure palliative, tossici, oppiacei, che accorciano lo scampolo di vita che resta ma risparmiano l'umiliazione del dolore inumano, intollerabile." Ma la situazione è ben diversa dall'eutanasia. Questa, appare solo i n una medicina totalmente tecnicizzata e ospedalizzata, i n un'epoca in cui il medico si sente al servizio, più che dell'uomo, delle istituzioni - ospedali e casse sanitarie. "Allora l'eutanasia diven-

ta il mezzo per eludere la funzione antica del medico di fronte alla morte", conclude Sermonti: "L'accento non è più sull'alleviamento della pena, ma sul risparmio di un costo, sull'eliminazione di una seccatura per la burocrazia e il personale."

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Farmacologi e tossicologi si appellano al ministero della Sanità perché si opponga alla legalizzazione delle droghe «leggere»

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Lo spinello è cancerogeno Chi fuma hashish e marijuana rischia il tumore al polmone. 1"Aids e l'epatite

Roma

pinello uguale cancro ed altro. Chi fuma marijuana ha un rischio di cancro al polmone doppio rispetto a chi fuma tabacco ed il suo sistema immunitario è indebolito al punto da favorire devastanti infezioni da parte dei virus dell'epatite e dell'Aids. Per questo le «droghe leggere» non debbono essere assolutamente liberalizzate. Lo hanno affermato ieri a Milano il professor Giancarlo Pepeu, presidente della Società italiana di Farmacologia ed il professor Pier Francesco Mannaioni, presidente della Società italiana di Tossicologia durante la conferenza stampa del I Congresso Europeo di Farmacologia organizzato dall'Ephar e dalla Fondazione Giovanni Lorenzini, presiedute dal professor Rodolfo Paoletti. Il parere negativo sulla proposta di legge presentata il 20 luglio 1994 dal deputato Corleone è contenuto in un documento inoltrato al Ministero della Sanità. Secondo gli esperti, chi fuma cannabis e derivati deve sapere che: «il principio attivo (The) si accumula nel suo organismo ed è necessario un mese per la sua completa eliminazione; l'incidenza della schizofrenia è sei volte più alta nei consumatori di hashish; gli effetti del The sull'apparato cardiocircolatorio predispongono all'angina di petto, all'infarto del miocardio e all'emorragia cerebrale; il rischio di cancro del polmone è doppio rispetto a chi fuma tabacco; il sistema immunitario è indebolito; il diabetico vedrà aggravarsi la sua malattia; chi soffre di diminuita potenza sessuale vedrà il suo "drive" ancora più ridotto».

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Per quanto riguarda il ruolo del fumo di una sigaretta di marijuana nello sviluppo del cancro il professor Mannaioni ha spiegato che «ci sono le stesse quantità di ossido di carbonio, di acido cianidrico, di acetaldeide, di acroleina e nitrosamine del tabacco, con l'eccezione degli idrocarburi cancerogeni (benzantracene e benzopirene) che sono contenuti in quantità doppia nella sigaretta di marijuana rispetto al fumo di una sigaretta di tabacco. Quindi chi fuma marijuana deve sapere di correre il rischio del cancro al polmone in misura doppia rispetto a chi fuma tabacco». Secondo il professor Pepeu «è prevedibile che una larga diffusione dell'uso della cannabis porti ad aumento del numero degli incidenti stradali durante l'intossicazione acuta (rilassamento, sonnolenza, lievi alterazioni della percezione, alterazione del senso del tempo e della distanza, deficit della memoria recente, alterata coordinazione motoria), aumento di casi di psicosi in soggetti normali ma soprattutto in pazienti mentali, aumento di patologie a carico dell'apparato cardiocircolatorio e respiratorio, aumento dei casi di sindrome amotivazionale nei giovani con conseguenze personali, familiari e sociali. Infine aumento del rischio di patologie infettive, tumorali, di alterazioni delle funzioni riproduttive e di disturbi nello sviluppo postnatale». Secondo gli esperti riuniti a Milano, infine, occorre tenere presente che l'80 per cento degli eroinomani riferisce di aver iniziato il lungo e doloroso cammino sulla via della droga partendo dai derivati della cannabis.


Cosí la Polonia cristiana fermò Lenin

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GIOVANNI CANTONI

'IMPERO socialcomunista è in via di liquidazione dal punto di vista statuale e di consistente trasformazione da quello culturale; di questa liquidazione anche l'opinione meno sensibile ai valori religiosi è disponibile ad attribuire parte del merito alla nazione polacca e al «Papa polacco», il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, cioè a considerarla frutto di una lenta ma inesorabile erosione del sia pur minimo consenso sociale del regime instaurato in questo paese all'ombra dell'Annata Rossa nel 1945, un'erosione accompagnata dalla conservazione e dall'alimentazione del corpo sociale con valori naturali e cristiani. Con la liquidazione dell'impero socialcomunista nella sua incarnazione statuale è in via di conclusione, sotto i nostri occhi, la «terza guerra mondiale», così da poter dire, con Furio Colombo, che stiamo vivendo «il terzo dopoguerra». Il protagonismo riconosciuto della nazione polacca in questa terza guerra mondiale accresce anche l'interesse per la storia polacca, cioè per le premesse della situazione attuale; e, visitando questa storia, si scopre che vi è già stato un altro dopoguerra — quello seguente la Grande Guerra —, in cui la nazione polacca ha avuto una parte tutt'altro che insignificante, benché quasi completamente ignorata. A tale dopoguerra è dedicata questaricerca—ricostruzione,interpretazione e documentazione —, volta a illuminare il passato, ma intesa pure — confessatamente — a essere utile anche quanto al presente e al futuro, prossimo e remoto.

SECOLO

Domenica 13 agosto 1995

del 2 luglio 1918, nel quale esalta co- resa dei conti. me «profezia scientifica» un testo di «L'esercito della Bandiera Rossa Friedrich Engels del 15 dicembre e l'esercito dell'Aquila Bianca pre1887 — più un programma che una datrice stanno l'uno di fronte all'al«profezia», per quanto «scientifica» tro in uno scontro mortale. —, in cui si osserva che «infine non è «La via della conflagrazione monpossibile altra guerra per la Prussia- diale passa sul cadavere della PoloGermania che una guerra mondiale, nia Bianca». e in verità una guerra mondiale di Il 19 febbraio 1919 la dieta costiuna ampiezza e di una violenza fino- tuente polacca affida le funzioni di ra mai viste», al cui termine vi sarà capo della rinata Repubblica a Jozef «[...] soltanto un risultato assoluta- Pilsudski, che ha già guidato sul mente certo: l'esaurimento generale fronte russo le legioni polacche ade la creazione delle condizioni per la destrate in territorio austro-ungarico; vittoria definitiva della classe ope- il 19 marzo 1920, surichiestadei caraia». pi militari, lo stesso statista assume il Con una «situazione geopolitica grado di maresciallo. In questa veste molto difficile» come pure con «una lancia un esercito in Ucraina, costistoria molto difficile, specialmente tuito da polacchi e da ucraini comannell'arco degli ultimi secoli» — le dati dall'atamano Simon Vasilovic notazioni sono di Papa Giovanni Petljura, capo del governo della RePaolo II — «[...] dall'anno 1918 [...] pubblica Popolare d'Ucraina Indila Polonia come Stato sovrano si ri- pendente; e questo esercito entra in trovò sulla carta dell 'Europa», dalla Kiev il 7 maggio. quale era scomparsa dopo le tre spartizioni, avvenute a opera dei tre im- L'aggressione peri confinanti, quello russo, quello germanico e quello austro-ungarico, defl'Armata Rossa fra il 1772 e il 1795. Ma «il ritorno della Repubblica alla vita dopo una L'Armata Rossa, che nel 1919 si schiavitù di più di un secolo — scri- era limitata a difendere le regioni vive lo storico polacco Oskar Halecki tali della Russia contro gli Esercitil — fu il primo atto di un dramma, Bianchi al comando del generale Annon ancora concluso, che la Polonia ton Ivano vie Denikin, è ora in grado moderna vive pienamente consape- di concentrare i suoi sforzi sulla Povole dell'importanza storica di esso lonia mentre a Varsavia non manca e con incrollabile fede di un esito fe- chi è già pronto ad acclamare un golice». Il rinato Stato polacco infatti verno sovietico polacco. I polacchi e venne considerato dalla diplomazia i loro alleati ucraini vengono respinti europea come «un errore di produ- alle porte di Leopoli e di Varsavia, zione», una conseguenza non gradi- mentre sulla Bassa Vistola corpi di ta, se non assolutamente «non previ- cavalleria sovietica, guidati da Ghaia sta». Se il Trattato di Versailles, del Dmitriyevic Ghai Khan, premono 28 giugno 1919, ne fissava a grandi verso Torun. L'indifferenza, quando linee le frontiere occidentali, secon- non l'ostilità, dei governi occidentali Lo «scaltro do il tenore dell'articolo 87 rimane- è generale: se si esclude una missiovano da definire quelle orientali, ne interalleata di cui fa parte il genesfruttatore» verso la Russia bolscevica, forse — rale Maxime Weygand, ogni aiuto Il 1 maggio 1917, Papa Benedetto come non ipotizzarlo? — per lascia- viene rifiutato e quelli da tempo preXV, salito sulla Cattedra di Pietro re aperta la possibilità di eliminare la visti vengono ostacolati o indirettapoco dopo l'esplosione del conflitto, «conseguenza non gradita». mente da ondate di scioperi nei paesi lo qualifica come «il suicidio delProprio a questo fine — nella pro- da cui dovrebbero partire oppure dil'Europa civile» e nota che le «deva- spettiva strategica del Weltoktober, rettamente dai governi stessi, come stazioni morali della guerra» vengo- dell'«Ottobre mondiale», che apre la nel caso di quello cecoslovacco, la no «[...] scaltramente sfruttate da chivia alla Weltrevolution, alla «Rivo- cui politica estera è guidata da Edspia le sventure e le abiezioni, per luzione mondiale» — il maresciallo vard Benes, che rifiuta il passaggio a volgerle a profitto della irreligione e sovietico Michajl Nikolaevic Tucha- truppe ungheresi che il reggente, amdell'abbrutimento sociale». E ap- cevskij, in un ordine del giorno del 2 miraglio Miklos Horthy di Nagybàpunto Vladimir Ilyc Lenin si candida luglio 1920 diretto alle forze dell'Ar- nya, vorrebbe inviare a sostegno delcome «scaltro sfruttatore» delle «de- mata Rossa sul Fronte Occidentale e l'esercito polacco in difficoltà. vastazioni morali della guerra» con intitolato Verso Occidente!, proclaun articolo pubblicato sulla Pravda ma che «è giunto il momento della AG


Il 24 luglio si costituisce in Polo- francesi al II Congresso del Kominnia un governo di coalizione, di cui è tem chiuso a Mosca il 7 agosto 1920, primo ministro Wincenty Witos, lea- afferma in modo categorico: «Sì, le der del Partito Contadino Piast e più truppe sovietiche sono a Varsavia. di cinquecentosettantamila coscritti, Fra poco avremo anche la Germapiù di centosessantamila volontari nia. Riconquisteremo l'Ungheria, e i sono inviati alfronte.A metà del me- Balcani si solleveranno contro il case di agosto del 1920 — fra il 14 e il pitalismo. L'Italia tremerà. L'Euro16, ma è decisivo quanto accade il pa borghese scricchiola da tutte le 15, nella solennità dell'Assunzione parti, in mezzo a questa tempesta»; della Beata Vergine Maria — il ma- nell'autunno dello stesso anno, invita resciallo Jozef Pilsudski lancia una la militante comunista tedesca Clara controffensiva che, guidata dal gene- Zetkin a «[...] ;non [...] ritornare su rale Jozef Haller, ferma l'Armata quanto è accaduto in Polonia»; inRossa davanti a Varsavia, mentre fatti — confessa — «noi abbiamo sulla Bassa Vistola il generale Wla- contato sulla Rivoluzione in Polonia, dyslaw Sikorski minaccia di isolare e questa non si è prodotta». l'ala marciante dei bolscevichi, che Nel mese di luglio del 1920, menbattono in ritirata e firmano a Riga tre l'Armata Rossa avanza minacciol'armistizio il 12 ottobre dello stesso samente fino alle porte di Varsavia, i anno e la pace il 18 marzo dell'anno vescovi polacchi indirizzano una letseguente. tera pastorale alla nazione e, dopo L'episodio bellico va sotto il nome aver chiesto a Papa Benedetto XV la di «miracolo della Vistola» — l'e- benedizione per la Polonia, inviano spressione è attribuita al generale Jo- all'episcopato mondiale una lettera zef Haller, che, prima dell'offensiva, che colpisce per la puntualità e la aveva ordinato un ottavario di pre- chiaroveggenza e che anticipa con ghiere — per manifestare gratitudine espressioni di grande efficacia quanverso la divina Provvidenza per un to dovranno scrivere i vescovi spasuccesso umanamente insperabile, e gnoli il 1 * luglio 1937, dopo 1'Alzacostituisce il momento più alto e miento del 1936, dopo l'inizio della quasi il coronamento della guerra so- Cruzada che si protrarrà fino al 1939 vietico-polacca, «[...] una delle pagi- e in seguito all'incomprensione di ne più gloriose nella storia della ri- cui è fatta oggetto in tutto il mondo, costituzione della Repubblica» po- cattolico non escluso. Alla supplica lacca nonché «[....] un episodio im- dell'episcopato polacco il Pontefice portante per la storia in generale, risponde con una lettera, datata 5 perché — scrive ancora Orkar Ha- agosto 1920 e indirizzata al Cardinalecki — questa guerra difensiva sal- le Vicario; né il Santo Padre manca vò non solo la Polonia da un annien- di felicitarsi, dopo la conclusione tamento che minacciava di avvenireprovvidenziale del dramma, con una subito dopo la riconquista della li- nuova lettera, questa volta indirizzabertà, ma preservò l'Europa dal fla- ta a tutti i presuli polacchi, datata 8 gello del bolscevismo che, se fosse settembre 1920, «nella festività della venuta a mancare la resistenza po- Natività della Beata Vergine Malacca, avrebbe potuto unirsi ai moti ria», documento in cui afferma il carivoluzionari tedeschi e ungheresi». rattere straordinario dell'accadimenNella stessa campagna merita di es- to. sere ricordata, accanto alla battaglia Dopo il miracolo della Vistola» di Varsavia, l'eroica resistenza degli nasce di necessità e di fatto la riflesucraini a Zamosc, preludio della di- sione socialcomunista sulle modalità sfatta della Cavalleria Rossa del ma- di conquista del potere in paesi i cui resciallo Semen Michajlovic Buden- popoli non sono soltanto società eleniyj. mentari — dominanti e dominati — e in qualche modo statiche, ma sono segnate dalla dinamica della storia, D coronamento cioè sono «nazioni», e caratterizzate da un'articolazione pluralistica, della guerra quindi sono «democrazie»; dunque si Circa la portata dell'accadimento, articola l'incarnazione culturale delsocialcomunista. «In non mancano conferme dalla parte l'impero degli sconfitti, sia dopo che prima Oriente lo Stato era tutto, la società della sua realizzazione: Vladimir I . civile era primordiale e gelatinosa; Lenin, conversando con i delegati nell 'Occidente fra Stato e società ci-

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vile c 'è un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte»: su questa constatazione di Antonio Gramsci si fonda la riflessione che vede all'avanguardia la Rivoluzione in Italia; riflessione che subirà un'accelerazione dopo la «lezione spagnola» del 1936-1939, e il cui frutto sarà sperimentato in Cile negli anni di Salvador Allende come «rivoluzione nella libertà» e conoscerà il suo apice come «eurocomunismo» nella politica italiana di «compromesso storico», arrestata nel 1979 dalla «lezione italiana», tutt'altro che insignificante per il decorso e per l'esito della Rivoluzione mondiale nell'intero mondo cattolico ma, soprattutto, in America Latina. Il tempus meditandi et lugendi concesso dalla divina Provvidenza a quanto rimane della Cristianità, all'Europa cristiana, è rapidamente cancellato dalla memoria storica e, quindi, messo in condizioni di non esser fatto fruttare adeguatamente; e nel 1939, all'inizio della seconda guerra mondiale, scoccae l'ora della «vendetta» sul «miracolo della V i stola» e, con il patto Molotov-von Ribbentrop, vengono poste le premesse perché dell'antemurale polacco non rimanga pietra su pietra. Anche il dopoguerra della terza guerra mondiale offre a tutti gli occidentali — in un certo senso a tutti gli uomini — un tempus meditandi et lugendi, un tempo per riflettere sulla domanda: anzitutto, che cosa hanno fatto gli europei del tempo che è stato loro dato dopo la Grande Guerra, attraverso la vittoria polacca, prima dell'irruzione del socialcomunismo in Europa e nel mondo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale? Quindi: che cosa stiamo facendo del tempo che ci viene concesso dopo l'implosione dell'impero socialcomunista, grazie anche alla resistenza polacca e all'opera del Papa polacco? In quest'ultimo caso, si tratta di un tempo in cui la promessa di Fatima — «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà» — si presenta agli uomini come una meta non solo da attendere e per cui pregare, ma al cui perseguimento e al cui raggiungimento collaborare attivamente. La mancanza di questa collaborazione umana, cioè la mancata utilizzazione efficace di questo tempo di riflessione e di conversione, apre però sull'eventualità che la punizione, in qualche modo sospesa, si realizzi e il giudizio abbia corso.


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Nell'ultimo libro di Hugh Thomas. «Io Montezuma». appena uscito in Spagna, l'imperatore degli Aztechi parla in prima persona e racconta la sua verità sull'inverosimile impresa dei cinquecento uomini sbarcali nel Nuovo Mondo per impossessarsi del Messico e assoggettarne l'antica civiltà. E ' una verità sorprendente, in contrasto con secoli di storiografia, e tuttavia, venendo dalla voce della vittima, dovrebbe essere credibile. Montezuma scagiona il suo carceriere e carnefice del suo popolo. Cortés era un uomo abile e intelligente, che non usava il terrore come norma ma soltanto quand'era indispensabile. Fu certo favorito dalla debolezza deila resistenza ed ebbe perfino la facilitazione di essere accolto con onore perché Montezuma s'era convinto, da alcuni segni premonitori, che lo sconosciuto ospite fosse Quetzalcátl. dio del vento e dello spirito. Ma i vantaggi non sminuiscono le capacità, politiche oltre che militari, dell'emissario di Carlo V. Hernán Cortés sapeva alternare i toni duri ai concilianti, la furia alla persuasione. Nella sua versione buona ricchezza d'eloquio e sguardo magnetico lo rendevano irresistibile. Montezuma confessa di essersi fatto incantare dalle parole e dalla forza interiore dell'interlocutore, di aver subito profondamente quella seduzione fino a restarne plagiato.

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TERZA PAGINA

MADRID

o, Montezuma. non sapevo come comportarmi con quegli stranieri arrivati da lontano. Nonostante la predilezione per i sacrifici umani, ero un mite, riflessivo e incerto per natura. Come intellettuale e come religioso, vacillavo di fronte alla guerra. Mi lasciai sopraffare facilmente, ma non potrei dire di essere stato obbligato dalla violenza di Cortés. Fui piuttosto io a lasciargli via libera, affascinato dal suo carattere, forse ingannato, comunque soggiogato.

ominio di personalità o qualcosa di diverso. come un'infatuazione sentimentale? Il sovrano ieratico, che guardava morir decapitate e scuoiate nel tempio le giovani indie appena possedute, potrebbe anche essersi innamorato del barbuto condottiero castiglia-

REVISIONI in una

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l'immagine di crudeltà attribuita adi spagnoli

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no. Hugh Thomas non sa se si trattò di ambigua attrazione o di sindrome di Stoccolma ante litteram. cioè della dipendenza affettiva di Montezuma dal capo di coloro che gli decimavano i sudditi, violando le donne e saccheggiando i villaggi. Si limita a descrivere, in maniera assai viva, le trame psicologiche che possono sostenere la tesi controcorrente. Da molto tempo lo studioso inglese, autore d'un testo basilare sulla guerra civile spagnola, si dedica alla riscoperta degli Aztechi e un anno fa pubblicò «La conquista del Messico», prima opera nella quale presentava il suo tentativo di revisione. I conquistadores spagnoli non furono i feroci invasori che si dice né si macchiarono del genocidio che viene loro addebitato. Nel 1518 la popolazione era di otto milioni e non di venticinque. E ' vero che cinquant'anni dopo gli abitanti non superavano i tre milioni, ma la drammatica riduzione fu dovuta, secondo lo storico, al vaiolo e al morbillo assai più che alla strage. E i soldati di Cortés neppure furono predoni insaziabili né fecero terra bruciata lungo il loro trionfale cammino. Lo scrittore pensa che la civiltà azteca sia stata, tutto sommato, rispettata. Con danni, certo, e dentro i limiti non agevoli del conflitto tra le insegne cattoliche dei vincitori, che avanzavano inneggiando alla Vergine Maria, e le ancestrali, sanguinarie divinità sacre agli indigeni. «Non si pensi però — avverte Thomas — che gii spagnoli abbiano trovato la situazione tribale tipica del Caribe. Qui c'era un sistema simile all'europeo: divisione per classi, re e imperatori, riscossione dei tributi, passione per l'arte, i gioielli, le statue. Era una cultura impressionante. naturalmente molto diversa dalla nostra, ma una cultura». Con questo modello di vita gli occupanti raggiunsero un'integrazione, come dimostrerebbero Futilizzo degli aristocratici locali in veste di assistenti e. soprattutto, il gran numero di matrimoni misti.

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L'imperatore azteco fu affascinato da Hernán Cortés, non sopraffatto dalla sua violenza. Stragi, genocidio? No. la vecchia civiltà messicana fu rispettata, a differenza di quello che sarebbe aevenuto nel Nordamerica

Donne stuprate, però anche elette a compagne della vita. «Niente del genere — afferma l'autore — avvenne nell'America del Nord. L'idea stessa della promiscuità suscitava in Inghilterra grande scandalo. L'imperialismo britannico fu animato da emigranti protestanti, sfuggiti alle persecuzioni religiose e privi di ogni dubbio sui proprio operato. In Spagna si trattava, invece, di eserciti mandati a fare conquiste e ciò sviluppò una forte discussione morale, promossa da figure come Sepùlveda e Bartolomeo de Las Casas. Nessun altro impero europeo, né i romani, né i francesi, né gli inglesi, ha mai sollevato, sull'eticità dell'espansione, i dubbi che si posero gii spagnoli. E . al di là deila leggenda, la differenza si vede nell'America di oggi. Al Nord gli indiani sono praticamente scomparsi mentre nel resto del continente gli indios. sebbene con difficoltà, sopravvivono». La leggenda, anzi la leggenda nera: è per Hugh Thomas la stratificazione di falsi e calunnie che s'è accumulata dal X V I secolo sulla testa di Cortés. non coraggioso navigatore ma corsaro senza scrupoli, non valente comandante ma sterminatore d'inaudita crudeltà. Sia il voluminoso saggio dell'anno scorso sia questo diario romanzato vorrebbero raddrizzare una storia troppo a lungo travisata. Entrambe le opere partono dalla descrizione dei due mondi, le lucenti corazze contrapposte al bagliore dell'oro e al variopinto incantesimo delle piume, e finiscono per concentrarsi sui due personaggi chiamati a incarnare lo straordinario contatto. Come sarebbe andata a finire si poteva capire ancor prima che l'incontro diventasse scontro, forse fin dal-

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la volta in cui Montezuma sentì parlare di «quegli estranei dai capelli meno scuri e dalle strane armi» approdati in un lembo del suo territorio. Mentre l'avanzata continuava l'aspettativa diventò parossistica e l'apparizione sembrò confermare le fantastiche elucubrazioni dell'imperatore. «Finalmente — racconta — si mostrò alla nostra vista montando un cavallo alto e grande. Incedeva con eleganza tra le colonne dei nobili che facevano profonda riverenza».

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3 affascinazione / subì un crescendo.

appena increspato dal dubbio che Cortes non fi dio del vento e dello spirito tanto superstiziosamente atteso. Prevaleva però l'illusione che quell'uomo sarebbe stato portatore di nuova luce, magari svelando i prodigi dei quali soltanto lui conosceva il segreto: cavalcare al galoppo, usare l'archibugio. Un approccio improntato alla fiducia, anzi di più: quasi alla devozione umana e religiosa. Peccato che l'idillio fosse destinato a interrompersi. Un giorno Montezuma si rivolse ammirato all'ospite: «Accetteremo con soddisfazione di essere amici dei re che ti ha mandato». E Cortés affidò all'interprete Mulinali la risposta: «Sarebbe meglio dire vassalli». Per l'imperatore, sequestrato dagli spagnoli e lapidato dai suoi, si profilava la fine. Per i conquistadores s'apriva l'epopea: buoni, come assicura Hugh Thomas, ma forse non del tutto. • ] , | J


Un imponente saggio dello storico francese ripercorre le origini e le ragioni di un «sogno» politico del nostro tempo

L a bancarotta di un'idea Ss

François Furet: il fascino dèi comunismo come mito epocale *BT I

inquietante sensa' zione che i l fallimento dei regimi • i dell'Est non investa Jb^A solo i l comunismo, ma obblighi «a ripensare alcune convinzioni vecchie quanto la sinistra occidentale e addirittura quanto la democrazia» emerge con particolare chiarezza dall'analisi di François Furet: con il «senso della storia», il marxismo-leninismo «aveva pensato di dare una garanzia scientifica all'ottimismo democratico», ma «se il capitalismo è diventato l'avvenire del socialismo, se è il mondo borghese a succedere al mondo della «rivoluzione proletaria», che cosa ne s a r à di questa assicurazione nel tempo? ...La storia ridiventa un tunnel dove l'uomo entra nel buio, senza sapere dove lo porteranno le sue azioni, incerto sul proprio destino, privo dell'illusoria sicurezza di una scienza di quello che fa. Privo di Dio, l'individuo democratico di fine secolo vede tremare dalle fondamenta la divinità storia: un'angoscia che deve esorcizzare». Furet giunge a questa lucida e severa diagnosi nelle ultime pagine del suo I I passato di un'illusione (Mondadori) dopo una lunga e sistematica ricerca, condotta con estremo rigore scientifico. Il titolo corrisponde al tema. Furet non ha scritto una storia del comunismo, ma una storia dell'illusione che esso ha prodotto. Un'illusione tenace, che nei Paesi comunisti ha abbacinato e tenuto avvinti militanti e cittadini malgrado l'orrore in cui vivevano, e in Occidente ha tenuto incantata a guardare all'Est la sinistra marxista e non marxista e persino una larga schiera di democratici non di sinistra, malgrado l'orrore che era pur noto. Un'illusione contro cui nulla hanno potuto i racconti degli esuli e degli scampati, le invettive degli apostati e dei ravveduti, un'illusione che è riuscita a trovare una forma di sopravvivenza persino dopo che i regimi comunisti si sono miseramente sfasciati.

l'Europa». Furet cerca di scoprire le cause di un'aberrazione che sembra non averne alcuna, e che pure non p u ò restare avvolta nel mistero, se ha potuto inquinare cosi profondamente i l passato, e se nel suo stesso dissolversi riesce a stendere una cosi fìtta e sconcertante oscurità sul futuro. È un enigma che Furet cerca di svelare analizzando la pretesa comunista di non rappresentare soltanto un'idea ma l'incarnazione stessa della razionalità storica, e poi individuando il nesso di continuità che in tanta parte del pensiero occidentale lega la Rivoluzione francese a quella d'Ottobre. È i l doppio aspetto di uno stesso problema, p e r c h é i l «senso della storia», di cui i comunisti tendono i fili verso i l loro punto di approdo, si articola nel pensiero moderno proprio a partire dalla Rivoluzione francese, e da quel punto iniziale si proietta verso sviluppi che sembrano già contenuti logicamente e necessariamente nelle premesse. Certo, è stato i l marxismo a fissare in termini rigorosi la successione delle fasi e dei rivolgimenti che dovevano portare dalla società «borghese» a quella «proletaria». Furet lo riconosce, ma vede anche lucidamente che l'attesa di una rivoluzione sociale volta all'eguaglianza economica, quale necessaria e logica prosecuzione di quella liberale volta all'eguaglianza politica, non apparteneva al marxismo soltanto: anche perché, sia pure in termini più generici e meno «scientifici», ne aveva preceduta la nascita. E si rende anche conto che furono i bolscevichi a cercare meticolosamente i l parallelo tra quanto facevano e quanto i giacobini avevano fatto. Ma non gli sfugge che fu tutta la sinistra democratica - e non solo la sinistra - a seguire il filo di quel parallelo e, pur non identificandosi con i l bolscevismo, a riconoscere quel che avveniva in Russia come un prolungamento della propria esperienza.

I l fascino di questa illuIn questa prospettiva, i l sione è tanto forte che «l'i- mito della «violenza rivoludea comunista ha vissuto zionaria» non si presenta più a lungo negli animi che più come un pretesto usato nei fatti; più a lungo nel- dai bolscevichi per giustifil'Ovest che nell'Est del- care gli eccessi ai quali si

abbandonarono dopo aver preso i l potere. Appare piuttosto come la manifestazione di un'intima natura, alimentata alle fonti di una tradizione culturale e ideale che risaliva ai traumatici eventi dell'89 e del '93, e non temeva di riconoscere le proprie origini in un vortice di terrore e di sangue. E la forza di attrazione che quel mito esercitava su tanta parte dell'intellettualità occidentale non si presenta più come una manifestazione patologica di cecità e di acquiescenza, ma come la naturale sintonia - e in qualche caso simbiosi - tra due mondi che sentivano di essere nati nello stesso tragico e lacerante modo: chi si radicava nella sfera ideale partorita dalla ghigliottina francese, non rifiutava anche inorridendo - quella che sgorgava dal colpo alla nuca sovietico. I capitoli più efficaci e interessanti del libro sono proprio quelli in cui Furet segue, rivolo per rivolo, ambiente per ambiente, l'estendersi e ramificarsi di questo stato d'animo in Francia, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in tutti i punti più sensibili e «avanzati» della cultura occidentale. Stato d'animo che non perde la sua forza nemmeno quando in Russia al leninismo segue lo stalinismo, e i l terrore si trasforma da strumento di lotta in sistema di governo. A ben vedere, già a quel punto le previsioni del marxismo erano state smentite e i l «senso della storia» aveva fatto bancarotta, p e r c h é la rivoluzione proletaria si era verificata dove il proletariato non c'era, e dove Marx aveva escluso che potesse e dovesse avvenire, mentre non se ne vedevano gli indizi nei Paesi del «capitalismo maturo» che avrebbero dovuto generarla. Ma anche di fronte a questa clamorosa smentita dei fatti l'atteggiamento di fondo non cambia, né vacilla di fronte ai massacri di massa e alle «purghe» sistematiche che accompagnano la nascita e lo svilluppo del «socialismo in un solo Paese». E anche chi si dissocia o prende le distanze, continua pur sempre a pensare che, malgrado la forzatura storica, le contraddizioni della teoria e le aberrazioni della prassi, con l'aboli-

zione della p r o p r i e t à e la fine dello «sfruttamento» l'Urss segna una tappa dell'evoluzione della società verso la liberazione dei popoli. A questo punto, a Furet basterebbe solo u n passo per spingersi fino al nocciolo dell'enigma. Egli tuttavia non lo compie, e si astiene dal guardare fino in fondo, fino alla sostanza i deologica che sta alla base della connessione da lui individuata e descritta. Un legame cosi tenace, che regge a tutto e non viene meno neanche quando uno dei due termini si sfalda e svanisce, deve avere come origine un'unica ispirazione ideale, una comune visione del mondo. Ma Furet non la cerca, e per lui il mistero resta mistero. Qui il titolo del libro, cosi efficace nel mettere a fuoco il senso dell'analisi, rivela una carenza di fondo che compromette la sintesi. Furet crede di aver descritto un'illusione, e non si avvede che ha di fronte una realtà. Se davvero il mondo della democrazia «borghese», ancorato ai valori della Rivoluzione francese, si fosse ingannato credendo di vedere nella Rivoluzione d'Ottobre una sua proiezione nel tempo e nello spazio, e in prospettiva i l suo stesso futuro, non di una illusione sarebbe stato vittima, ma di una allucinazione collettiva, di un fenomeno non più ideologico ma patologico. Ma, naturalmente, non è possibile che le cose stiano cosi. Se quel mondo si è sentito intimamente legato alla sua apparente antitesi, è perché quel legame esisteva davvero, ed era più forte di tutto: p e r c h é l'uno e l'altra sorgevano dalla stessa stagione del pensiero, dallo stesso atteggiamento dello spirito umano. Questo è i l limite che la ricerca di Furet incontra. E le conseguenze si vedono con maggiore evidenza quando l'analisi si volge a esaminare il fascismo, terzo protagonista delle lotte del secolo insieme alla democrazia occidentale e al comunismo. Seguendo una linea interpretativa non del tutto nuova, Furet

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