Storica National Geographic - febbraio 2017

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N. 96 • FEBBRAIO 2017 • 4,50 E

POMPEI

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L’ENIGMATICA VILLA DEI MISTERI

VILLA ADRIANA LA CITTÀ-PALAZZO DELL’IMPERATORE

CAVALIERI OSPITALIERI

BATTAGLIE E POTERE DOPO L’AVVENTURA DELLE CROCIATE

11,00 € - svizzera ct ticino 0H3t 9,50- svizzera 0H3t 9,90

MASANIELLO

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CONFERME E SMENTITE SUI RACCONTI DELLE SCRITTURE

70096

L’ARCHEOLOGIA DELLA BIBBIA

germania

LA LUCIDA FOLLIA DEL CAPOPOPOLO NAPOLETANO


campagna di PicNic

L’EUROPA MEDIEVALE Tra la fine del V e l’inizio dell’XI secolo, ebbero luogo profonde trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali che diedero forma a quella che oggi conosciamo come Europa: le grandi migrazioni dei popoli barbari, il collasso dell’Impero romano d’Occidente, il consolidarsi dell’Impero bizantino, la diffusione e la supremazia della religione cristiana, la conservazione della cultura classica nei monasteri, l’improvvisa espansione dell’Islam, la fine della dinastia dei Sasanidi in Persia, la nascita dell’Impero carolingio e del Sacro Romano Impero.

164

pagine

con tutta la qualità Storica NG

In edicola dal 6 dicembre


EDITORIALE

La Villa dei Misteri,

con i suoi affreschi di metà del primo secolo a.C., è un esempio di come l’autarchia religioso-culturale dei primi sei secoli della storia di Roma si stesse disgregando con l’arrivo di influssi ellenistici e orientali, come dimostrano i riti orfici e dionisiaci effigiati sulle sue pareti. Ancora un secolo prima Catone il Censore si era scagliato con veemenza contro i filosofi ellenistici Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao – giunti come ambasciatori a Roma da Atene per chiedere una riduzione delle tasse – proponendone l’espulsione perché ritenuti pericolosi per la gioventù romana. Ma nello stesso periodo lo stoico Panezio di Rodi giunse più volte a Roma diventando consigliere del Circolo degli Scipioni, fondato da Scipione Emiliano; poco più tardi, proprio nella prima metà del I secolo a.C., i suoi scritti di etica, insieme con quelli del suo allievo Posidonio di Apamea, influenzarono notevolmente Cicerone, che conosceva bene il greco. E fu proprio Cicerone il primo a tradurre in latino la terminologia greca del mondo della filosofia, con la coniazione di nuove parole nella sua lingua. Così, con questa operazione culturale, la romanità fu salva, ma dovette “arrendersi” al pensiero delle altre grandi civiltà del Mediterraneo sulle quali aveva posto il suo dominio. GIORGIO RIVIECCIO Direttore


Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

N. 96 • FEBBRAIO 2017 • 4,50 E

POMPEI

Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 96

L’ENIGMATICA VILLA DEI MISTERI

VILLA ADRIANA

PRESIDENTE

RICARDO RODRIGO

LA CITTÀ-PALAZZO DELL’IMPERATORE

CAVALIERI OSPITALIERI

CONSEJERO DELEGADO

EDITORE: RBA ITALIA SRL

BATTAGLIE E POTERE DOPO L’AVVENTURA DELLE CROCIATE

MASANIELLO LA LUCIDA FOLLIA DEL CAPOPOPOLO NAPOLETANO

L’ARCHEOLOGIA DELLA BIBBIA CONFERME E SMENTITE SUI RACCONTI DELLE SCRITTURE

FOTOGRAFIA AEREA AL TRAMONTO DI MASADA VICINO AL MAR MORTO. FOTO: DUBY TAL / ALBATROSS / AGE FOTOSTOCK

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4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA PISCINA DEL CANOPO, nella Villa Adriana di Tivoli,

circondata da copie di famose statue greche.

Grandi storie

16 L’archeologia della Bibbia Dal XIX secolo molti archeologi hanno compiuto ricerche nel Vicino Oriente per stabilire la veridicità delle narrazioni bibliche. DI F. DEL RÍO

30 La Villa dei Misteri Situata poco fuori Pompei, è celebre per la stanza decorata con pitture murali legate probabilmente al culto di Dioniso. DI E. CASTILLO

48 Villa Adriana Lo straordinario complesso della città-palazzo dell’imperatore Adriano, a Tivoli, fu vittima di secolari spoliazioni. DI E. CASTILLO

66 I cavalieri ospitalieri Nato per assistere i pellegrini, l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme ha attraversato nove secoli di storia. DI J. MORDENTI

80 La rivolta di Masaniello La parabola di un pescivendolo divenuto a metà del XVII secolo capitano generale di Napoli. DI ROSA MARIA DELLI QUADRI

92 Alla ricerca dell’ultimo continente Nel 1768, il capitano inglese James Cook iniziò un epico viaggio per scoprire un mitico continente: la Terra Australis. DI J. M. LANCHO COOK VISTO DAGLI INDIGENI STATUINA LIGNEA, MAORI RAFFIGURANTE COOK, MUSEO D’ARTE, GLASGOW.

Rubriche

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PERSONAGGI STRAORDINARI

Paracelso, il medico visionario del Cinquecento

Nel XVI secolo, Paracelso propose una nuova medicina basata sull’uso di sostanze chimiche.

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L’EVENTO STORICO

L’attentato al re di Spagna Ferdinando il Cattolico

Nel 1492, un contadino fu barbaramente giustiziato per avere attentato alla vita di Ferdinando d’Aragona.

106 GRANDI SCOPERTE

Il tesoro dell’Oxus, meraviglia della civiltà achemenide Nel 1877 in Tagikistan fu trovato uno splendido tesoro del V secolo a.C.

110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI 114 PROSSIMO NUMERO


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PERSONAGGI STRAORDINARI

Paracelso, le battaglie di un medico visionario In conflitto contro gli insegnamenti medici ereditati dal Medioevo, lo scienziato svizzero propose una nuova medicina basata sull’uso di sostanze chimiche e non di antichi rimedi

Tra la medicina e l’alchimia 1493-1494 Nasce Theophrastus von Hohenheim a Einsiedeln, in Svizzera, figlio del chimico e medico Wilhelm Bombast von Hohenheim.

1516 Theophrastus si laurea in medicina all’Università di Ferrara e decide di adottare il soprannome di Paracelso.

1526-1527 Si stabilisce a Strasburgo e l’anno successivo è nominato medico municipale e docente all’Università di Basilea.

1530 Dopo aver lasciato Basilea per aver condannato la medicina classica, Paracelso non trova un editore per le sue opere.

1541 Muore a Salisburgo a 48 anni e viene sepolto nella chiesa cittadina di San Sebastiano.

U

n medico commediante e un ubriacone: così il religioso inglese Thomas Fuller presentava Paracelso in alcune note sulla sua vita scritte cent’anni dopo la sua morte. All’epoca lo scienziato svizzero era ancora una figura molto controversa. La sua messa in discussione del sistema medico tradizionale l’aveva trasformato nella bestia nera dei medici conservatori, per i quali i rimedi chimici e minerali che Paracelso promuoveva erano una truffa. Come scrisse un altro dei suoi avversari, il francese Guy Patin, «Paracelso era il più grande e pernicioso fanfarone, maestro nell’uccidere la gente con la chimica». I rinnovatori, invece, lo videro come un pioniere della medicina chimica che avrebbe poi trionfato nel XVIII secolo. Theophrastus von Hohenheim nacque tra il 1493 e il 1494 a Einsiedeln, in Svizzera. Trascorse la maggior parte dell’infanzia con il padre, medico e professore di chimica nella scuola mineraria di Villach, nel Sud dell’Austria. Con lui apprese l’arte della medicina e la mineralogia. A soli 14 anni iniziò la

vita da studente tipica della sua epoca, spostandosi da un’università all’altra alla ricerca dei professori migliori. Studiò a Basilea, Tubinga, Vienna, Wittenberg e Lipsia. Tuttavia, è molto probabile che ben presto si sia sentito insoddisfatto dell’insegnamento scolastico impartito in quei centri, basato esclusivamente sui trattati di Aristotele, Galeno e Avicenna. Nel 1516 si laureò in medicina all’Università di Ferrara. Fu allora che assunse il soprannome di Paracelso (ossia superiore a Celso), forse per dichiarare che aveva ormai superato il medico romano Celso e, in generale, la medicina classica.

Dalla Tartaria alla Terrasanta Negli anni seguenti Paracelso proseguì i suoi viaggi in terre sempre più lontane. Si dice che sia stato nelle Isole Britanniche, nei Paesi Bassi e persino in Russia – dove sarebbe stato catturato dai tartari –, in Egitto, Arabia, Terrasanta e a Costantinopoli. Rientrò in Germania nel momento in cui scoppiò la guerra dei contadini tedeschi (1524). Incarcerato per la sua complicità con i rivoltosi, evase dalla prigione e nel 1526 si stabilì a Strasburgo, dove iniziò a esercitare come medico chirurgo.

Paracelso rifiutò la medicina tradizionale e curò le malattie con sostanze minerali UN ALCHIMISTA USA UN APPARECCHIO PER DISTILLARE. HIERONYMUS BRUNSCHWIG. XVI SEC.

SPL / AGE FOTOSTOCK

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GRANDE AUTODIDATTA DEL XVI SECOLO amava definirsi come un uomo del popolo davanti ai suoi azzimati e pedanti rivali: «La Natura non mi ha creato sofisticato, né sono cresciuto a fichi e pane bianco, ma piuttosto con formaggio, latte e pane d’avena, dunque posso essere maleducato con chi è lindo e pulito. Perché quelli che sono cresciuti nella bambagia, e noi che siamo cresciuti senza troppi agi, non andiamo molto d’accordo. Quindi a loro devo sembrare rozzo, sebbene io mi reputi elegante. Come posso non apparire strano a qualcuno che non ha mai viaggiato sotto il sole cocente?». PARACELSO

TEOPHRASTUS VON HOHENHEIM, PARACELSO, IN UN RITRATTO ESEGUITO DA QUENTIN MASSYS. XVI SECOLO. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

ERICH LESSING / ALBUM

Nella città alsaziana, Paracelso non tardò a farsi una reputazione e a diventare celebre come medico. Durante i suoi anni vagabondi aveva accumulato una grande esperienza medica, per esempio nella cura delle ferite da guerra durante il periodo trascorso come chirurgo dell’esercito di Venezia. Tuttavia, invece di trattare le ferite con impiastri di muschio o sterco secco – metodi abituali all’epoca –, Paracelso raccomandava di drenarle, estraendo il sangue o il pus, secondo il principio per cui bisognava lasciare agire la natura. Rifiutava anche il tradizionale ricorso

a pillole, infusi, balsami o purganti, e al loro posto proponeva medicamenti basati su minerali dalle proprietà curative, come il mercurio, lo zolfo, il ferro, il solfato di rame.

Cure miracolose La fama di Paracelso come medico si diffuse rapidamente nei territori di lingua tedesca. Un giorno ricevette un messaggio dal celebre stampatore Johannes Froben, che gli chiedeva di fargli visita urgentemente poiché soffriva di una grave infezione a una gamba, forse una cancrena, e secondo i me-

dici l’unico rimedio era l’amputazione. Paracelso accettò di recarsi a Basilea e lì gli prescrisse i suoi medicamenti, evitando l’intervento chirurgico. Dopo pochi giorni, e con grande stupore dei medici, Froben si era rimesso del tutto e addirittura era stato in grado di partecipare alla fiera del libro di Francoforte. Il grande umanista Erasmo da Rotterdam, che era ospite a casa di Froben, il suo editore, scrisse una lettera a Paracelso lodando la sua impresa e approfittò per chiedergli consiglio su come alleviare i dolori di cui soffriva regolarmente. ParaSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CHRISTOF SONDEREGGER / FOTOTECA 9X12

PERSONAGGI STRAORDINARI

IL PONTE SUL RENO a Basilea. Negli anni in cui visse nella città svizzera, Paracelso raggiunse una certa fama come medico.

celso gli diagnosticò una calcolosi, all’epoca conosciuta come il“male della pietra”, e gli raccomandò di seguire un trattamento specifico. I successi di Paracelso spinsero il consiglio di Basilea a offrirgli un posto come medico municipale, carica alla quale era associata la docenza all’università. Nonostante la forte opposi-

zione del collegio docenti e dei medici alla nomina, questa divenne effettiva all’inizio del 1527. A 34 anni, Paracelso aveva davanti a sé l’opportunità di raggiungere una posizione stabile e prestigiosa nella società svizzera, ma il suo carattere battagliero ebbe la meglio. Non appena prese possesso della carica annunciò in modo clamoroso

IL PROFETA CHE È IN NOI PARACELSO CREDEVA che tutti gli esseri viventi avessero uno spirito o evestrum. Questo comunicava con la persona, soprattutto durante il sonno, per avvertirla dei pericoli o profetizzare eventi futuri. «Le sibille del passato leggevano il futuro negli evestra, e gli evestra facevano sì che i profeti parlassero come in un sogno». INCISIONE DA UN LIBRO DI PROFEZIE DI PARACELSO. 1536. SCALA, FIRENZE

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la sua ribellione contro la tradizione medica imperante. Il 24 giugno, giorno di San Giovanni, bruciò il Canone della medicina di Avicenna davanti agli studenti e ai professori sulla porta dell’università. Lesse anche un manifesto nel quale condannava gli insegnamenti di Galeno e Ippocrate, e si offrì di insegnare la sua nuova medicina per due ore al giorno a tutti coloro che volessero assistere alle sue lezioni. Queste, inoltre, si sarebbero tenute in tedesco, non in latino, giacché «la verità si può apprendere solo in tedesco», diceva. Non sorprende, dunque, che molti paragonassero Paracelso a Lutero, il riformatore tedesco che, da professore all’Università di Wittemberg, si ribellò contro la dottrina tradizionale della Chiesa, bruciò le bolle papali di scomunica e rivendicò la predicazione in lingua tedesca.


LIBERATORE DELLE MENTI

PROCESSO CONTRO PARACELSO

a Basilea nel 1527, per l’accusa di Cornelius von Lichtenfels secondo cui chiedeva onorari esorbitanti. Incisione.

PARACELSO sentiva che uno spirito lo spingeva nel suo compito di rinnovare la medicina. «Voi di Parigi, Colonia, voi dell’Italia, della Dalmazia, di Atene, della Grecia! Seguitemi! Non io devo seguire voi, perché mia è la monarchia. Uscite dalla notte della mente! Verrà il tempo in cui nessuno di voi resterà nel suo angolo oscuro, perché io sarò il monarca».

MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

IPPOCRATE, PADRE DELLA MEDICINA CLASSICA. COPIA DI UN ORIGINALE GRECO DEL IV SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.

DEA / ALBUM

I professori reagirono espellendo Paracelso dall’Università di Basilea. Poco dopo, Froben morì all’improvviso in seguito a un ictus, e ciò rafforzò i sospetti sui suoi rimedi miracolosi. In città iniziarono a circolare violente critiche contro di lui, tra cui un sonetto in cui si denunciavano le fanfaronate di «Cacofrasto» e si consigliava di regalargli una corda perché si impiccasse. La tensione culminò con un’accusa di oltraggio contro Paracelso, che per evitare il carcere dovette fuggire alla chetichella da Basilea durante la notte.

Medico, mago e alchimista Negli anni seguenti, Paracelso viaggiò di città in città, esercitando come medico mentre scriveva la sue opere. Secondo un suo allievo, Valentinus, scrisse oltre 230 libri di filosofia, 40 di medicina, 12 di politica e 7 di matematica e astrologia, oltre a 66 di magia e di arti occulte.

Il suo pensiero aveva molti punti in comune con l’alchimia, che tuttavia lui non praticò. Per esempio, nel Paragranum (1529-1530) stabiliva che le quattro colonne della sua nuova medicina erano la filosofia naturale, l’alchimia, l’astrologia e la virtù. Secondo lui, ogni corpo era composto da tre sostanze: zolfo, mercurio e sale. Per esempio, in un pezzo di legno che brucia, «la parte infiammabile è lo zolfo, il fumo è il mercurio e la cenere è il sale». Lo stesso si applicava al corpo umano, in cui le malattie sono causate da variazioni delle tre sostanze, e per questo motivo prescriveva medicine con componenti chimici. Il principio delle tre sostanze, affermava, «è molto importante, poiché riguarda la ricerca umana della salute, è la sua acqua della vita, la sua pietra filosofale, il suo arcano, il suo balsamo». Paracelso morì nel 1541 a Salisburgo, a 48 anni, in circostanze misterio-

se. Si diffuse una storia secondo la quale, durante un banchetto, gli sgherri di alcuni medici rivali lo attaccarono a tradimento e lui cadde battendo la testa su una pietra, il che ne avrebbe causato la morte dopo qualche giorno. Tempo dopo, un esame del cranio mostrò la presenza di una frattura dell’osso temporale. L’ipotesi più probabile, tuttavia, è che sia morto in conseguenza di una qualche malattia, poiché pochi giorni prima della morte aveva lasciato i suoi pochi beni ai poveri della città. I suoi resti furono sepolti nel cimitero della chiesa di San Sebastiano a Salisburgo. SERGI GRAU TORRAS STORICO

Per saperne di più

Paracelso, medico e profeta Pirmin Meier (a cura di). Salerno Editrice, Roma, 2000. Le meraviglie della natura. Introduzione all’alchimia Elémire Zolla. Marsilio Editori, Venezia, 1998.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL PAYÉS JOAN DE CANYAMARS BRIDGEMAN / ACI

si scaglia con una spada contro il re d’Aragona Ferdinando il Cattolico a Barcellona, il 7 dicembre 1492. Incisione.

L’attentato al re spagnolo Ferdinando il Cattolico Nel 1492, un contadino disperato e mentalmente instabile tentò di uccidere con un colpo di spada il re Ferdinando d’Aragona mentre usciva dal Palazzo Reale di Barcellona

L’

anno che era iniziato con la conquista di Granada e aveva visto la partenza della spedizione di Colombo che avrebbe scoperto un nuovo continente fu sul punto di chiudersi in maniera tragica, con la morte di Ferdinando il Cattolico per mano di un contadino catalano. I Re Cattolici erano giunti nella capitale della Catalogna al termine di un giro nei loro domini di Castiglia e Aragona nel quale furono acclamati per la fine della guerra di Granada. A Barcellona,

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

tra le altre questioni, Ferdinando aveva intenzione di negoziare con Carlo VIII di Francia la restituzione delle contee del Rossiglione e della Cerdagna, che erano in mano francese dal 1462. Durante il loro soggiorno nella capitale catalana, i sovrani e i loro figli scelsero come residenza un piccolo palazzo nella parte bassa della città, molto vicino alle mura sul mare e annesso al convento e casa madre dei mercedari. Per le udienze e gli affari ufficiali, invece, si utilizzava il complesso del vecchio Palacio Real

Mayor, che si trovava in pieno centro. Ferdinando trascorse lì la mattina di venerdì 7 dicembre 1492, occupandosi di varie questioni di governo, poi, passato mezzogiorno, si preparò a lasciare l’edificio per recarsi a pranzo. Accompagnato da un piccolo gruppo di uomini di fiducia, scese la scalinata del palazzo; non appena mise il piede sulla staffa della sua cavalcatura sentì che qualcuno lo colpiva forte sulla schiena con una spada. Istintivamente, parte del seguito cercò di proteggerlo e riuscì a metterlo in salvo


L’EVENTO STORICO

ERICH LESSING / ALBUM

portandolo all’interno del palazzo, dove si ebbe modo di constatare che la ferita del sovrano sanguinava copiosamente. Il taglio era profondo e aveva scheggiato la clavicola. La grossa catena che il re portava al collo, dalla quale pendeva l’emblema dell’Ordine del Toson d’oro, aveva deviato la lama dalla sua traiettoria fatale. Nel frattempo, le guardie di Ferdinando, spada alla mano, avevano catturato l’aggressore, e l’avrebbero ucciso sul posto se il re non avesse ordinato di non togliergli la vita.

La città in subbuglio

LA DISPERAZIONE DI ISABELLA NARRA IL CRONISTA Alonso de Santa Cruz che quando la regi-

na venne informata dell’attentato, «urlando come impazzita, chiedeva a tutti, in lacrime, del re suo signore; e non potendo sopportare tanta sofferenza, se ne andò accompagnata dalle sue dame e personaggi della città ed entrò nel palazzo dov’era il sovrano, chiedendo a gran voce se il re suo signore era vivo».

accorrere dal marito con il principe Giovanni. Poiché le sue condizioni erano delicate, il re dovette rimanere per un certo periodo nel Palazzo Reale, soprattutto quando, pochi giorni dopo, le ferite si infettarono e causarono un momentaneo aggravamento. Solo più tardi, superato il momento critico, la famiglia reale poté lasciare la città e sistemarsi nel vicino monastero di Sant Jeroni de la Murtra, dove Ferdinando avrebbe proseguito la convalescenza. L’autore dell’attentato si chiamava Joan de Canyamars (Juan de Cañamares nelle cronache in castigliano). Aveva circa 60 anni ed era un conta-

dino di Dosrius, un piccolo villaggio presso Mataró, a nord di Barcellona. La giustizia voleva sapere se avesse agito da solo o se fosse il semplice esecutore di un piano ordito da qualcuno dei numerosi nemici del sovrano aragonese. Per questo, nonostante fosse stato ferito durante l’arresto, Canyamars fu sottoposto a tortura per chiarire i fatti. Negò di avere complici e confessò di aver agito spinto da una rivelazione dello Spirito Santo, che lo esortava a uccidere Ferdinando per poi salire egli stesso al trono e instaurare così il bene comune nel Principato di Catalogna. Le autorità conclusero che Canyamars era un

Il regicida era un payés de remensa, un contadino servo che aveva preso parte alla rivolta catalana per abolire la servitù feudale e i malos usos

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Dopo l’attentato, nelle strade di Barcellona si diffusero il caos e il panico. Inizialmente circolò la notizia della morte del sovrano. La stessa regina Isabella credette a questa voce e, temendo che si trattasse di una rivolta, si affrettò a prendere le misure necessarie per proteggere la vita del principe Giovanni, l’erede al trono. Ordinò a tutta la famiglia di imbarcarsi sulle galere spagnole attraccate nel porto di Barcellona, nonostante molti dei suoi consiglieri l’avessero esortata ad attendere notizie più affidabili. Subito dopo giunse il cardinal Mendoza, che sino a poco prima era con Ferdinando e aveva dunque potuto constatarne lo stato. Il re era in condizioni serie, ma non in pericolo di vita. Appreso ciò, la regina annullò l’ordine di partenza e attese che nelle vie cittadine tornasse la calma per

DUE CONTADINE AL LAVORO. MINIATURA DA SPECULUM VIRGINUM. CONRAD DI HIRSAU. XII SECOLO. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’EVENTO STORICO

ALFRED ABAD / AGE FOTOSTOCK

LA PLAZA DEL REY di

Barcellona fu teatro dell’attentato contro Ferdinando e la prima tappa dell’esecuzione del colpevole.

pazzo, un «demente», come si legge nel resoconto di un cronista.

La causa remensa La realtà, tuttavia, era molto più complessa. Ferdinando era una figura lontana ed estranea per la maggior parte dei catalani. La sua ultima visita in quella regione risaliva al 1481, e da allora la situazione economica e gli

squilibri sociali si erano aggravati. Canyamars apparteneva a un gruppo sociale che era stato particolarmente danneggiato: quello dei payés de remensa, i contadini legati in modo ereditario alla terra che nel corso del XV avevano lottato per l’abolizione dei malos usos, gli oneri che li mantenevano sottomessi ai signori feudali, tra i quali vi era l’obbligo del pagamento

GLI ATTI DEL GOVERNO municipale di Barcellona conservano l’unica immagine contemporanea dell’attentato e riportano: «Joan de Canyamars, contadino e malvagio, con animo diabolico [...] all’uscita di Sua Maestà il re dal palazzo in plaza del Rey [...] gli sferrò un colpo al collo con una spada, facendo uscire il sangue».

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PHOTOAISA

LA MANO DEL DIAVOLO

di un riscatto, o remensa, per liberarsi e poter quindi abbandonare le terre. Durante la guerra civile della Catalogna del 1462-1472, i remensas avevano appoggiato la monarchia contro la nobiltà catalana sperando di ottenere l’abolizione degli obblighi feudali e della servitù della gleba. Ma poiché le loro richieste rimasero inascoltate, si ribellarono di nuovo. Alla fine, il re abolì i malos usos con la Sentenza Arbitrale di Guadalupe (1486), ma nonostante questo molti contadini non riuscirono a pagare ai signori l’indennità per usufruire delle terre. Canyamars aveva partecipato alla guerra civile in favore della Corona, ma era rimasto deluso per la mancanza di ricompensa e la sua vita era diventata sempre più precaria e tormentata. Dalla confessione che gli estorsero mediante la tortura si può evincere che Canyamars vide nella sua azione un atto di giustizia sociale.


Castigo terribile per un crimine abominevole

Francia, 1610 Ravaillac, assassino di Enrico IV, fu sottoposto al supplizio dell’attanagliamento, poi gli venne bruciata la mano e alla fine fu squartato con quattro cavalli.

Convinto che il regicida non fosse che un pazzo, Ferdinando chiese clemenza per lui, ma il Consiglio Reale sentenziò che si trattava di reato di lesa maestà e tradimento e condannò Canyamars alla pena capitale per squartamento, supplizio terribile riservato ai crimini di estrema gravità e che mirava a mostrare alla popolazione quello che accadeva quando si attentava contro il potere reale.

Una sanguinosa via crucis Il 12 dicembre, cinque giorni dopo l’aggressione, Joan de Canyamars fu prelevato dalla prigione reale, molto vicina al palazzo in cui Ferdinando stava guarendo dalle ferite, e fatto salire su un carriaggio sul quale era stata costruita una specie di pedana da cui sporgeva una colonna di legno. Con Canyamars nudo e legato a quella struttura – «come crocifisso», narra una fonte –, il carriaggio partì per un

Inghilterra, 1660 Recuperato il trono, Carlo II fece giustiziare chi aveva votato per la morte di suo padre nel 1649. Ai colpevoli, decapitati, fu strappato il cuore e i corpi dati alle fiamme.

lugubre percorso lungo le strade di Barcellona, in mezzo alla confusione della folla, soprattutto giovani, che correvano e saltavano attorno al carro e insultavano il condannato. Secondo il resoconto di Pere Miquel Carbonell, cronista della città e testimone oculare di quello spettacolo, la prima fermata fu sul luogo dell’attentato. Ai piedi della scalinata della Plaza del Rey, il boia tagliò a Canyamars la mano e parte del braccio destro, quello che aveva impugnato l’arma omicida. Dopo di che, il corteo seguì il percorso utilizzato per la processione del Corpus Domini, facendo fermate successive in ciascuna delle quali il condannato subiva una mutilazione davanti alla folla. In una gli fu cavato un occhio, in quella dopo gli tagliarono l’altra mano, poi l’altro braccio, e così via sino ad arrivare al Portal Nou, la porta della muraglia più orientale della città.

AGE FOTOSTOCK

AKG / ALBUM

BRIDGEMAN / ACI

Fino al XVIII secolo inoltrato, in tutti i Paesi d’Europa il regicidio era il crimine più orribile che si potesse immaginare. I colpevoli non erano solo giustiziati, ma venivano sottoposti a terribili torture e sevizie che dovevano servire come lezione e ammonimento per tutta la società.

Portogallo, 1759 Il marchese di Távora, accusato di aver attentato alla vita del re Giuseppe I, fu legato a una croce, torturato con una specie di maglio (sopra, lettera B) e strangolato.

La colonna di legno del carriaggio e le funi che lo avvolgevano erano l’unica cosa che teneva ancora eretto il corpo ormai inerte di Canyamars. L’atto finale di quella particolare via crucis era la lapidazione; la gente cominciò a raccogliere pietre dal bordo della strada per scagliarle contro il carro del reo. Un boia gli aprì la testa per estrarne il cervello e, con grande orrore del cronista Andrés Bernáldez, gli strappò il cuore attraverso un orifizio praticato appositamente nella schiena. Per finire, si diede fuoco alla struttura di legno e le ceneri del povero contadino che aveva osato attentare alla vita e al potere di Ferdinando II d’Aragona furono disperse nel vento. CARLOS BLANCO FERNÁNDEZ DOTTORE IN STORIA

Per saperne di più

Ferdinando e Isabella. I Re Cattolici Ernest Belenguer. Salerno Editrice, Roma, 1999.

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UNA STORIA MILLENARIA

Raccolta di pezzi provenienti da Ascalona, risultato degli scavi effettuati nel sito, che mostra l’ampio ventaglio di culture e popoli che lasciarono la loro traccia nell’antica città portuale, distrutta e ricostruita più volte nella sua storia. ROBERT CLARK / NGS


Cosa dicono gli archeologi

LA BIBBIA Dal XIX secolo, molti studiosi hanno compiuto ricerche archeologiche nel Vicino Oriente con lo scopo di stabilire o meno la veridicità delle narrazioni bibliche sulla storia del popolo ebraico, come pure sulle origini del cristianesimo FRANCISCO DEL RÍO SÁNCHEZ DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA SEMITICA UNIVERSITÀ DI BARCELLONA

F

ino al XIX secolo inoltrato, la Bibbia era considerata non solo il libro sacro di ebrei e cristiani, ma anche una testimonianza storica assolutamente affidabile. Per questo, quando i pellegrini e i viaggiatori giungevano in Terrasanta credevano di riconoscere senza dubbio alcuno gli scenari degli episodi narrati in questo o in quel passo della Bibbia. Così, per esempio, a Gerusalemme si trovavano il Muro del pianto, uno dei resti visibili del grande tempio degli ebrei; il monte Golgota, dove, secondo la tradizione, Cristo fu crocifisso, e quella che è nota con il nome di “Torre di Davide”. Chiaramente, molti di questi luoghi erano avvolti da leggende pie senza alcuna base storica. Alcuni di essi erano addirittura successivi: la già citata Torre di Davide, per esempio, non fu opera del sovrano giudeo del X secolo a.C., bensì dei governanti asmonei della città nel II secolo a.C.


LE TOMBE DEI RE C R O N O LO G I A

I segreti della Terrasanta

L’inglese David Roberts viaggiò in Egitto e in Terrasanta tra il 1838 e il 1839. Il risultato di questo lungo periplo fu un’ampia serie di disegni, acquerelli e incisioni, come questo, che raffigura il complesso monumentale delle Tombe dei Re a Gerusalemme. ERICH LESSING / ALBUM

1805

Il teologo Johann Jahn pubblica la prima opera sull’archeologia biblica. Afferma che i dati delle Sacre Scritture hanno carattere storico.

1838

Edward Robinson localizza uno degli ingressi principali del Tempio di Erode, a Gerusalemme, e identifica il tunnel costruito dal re Ezechia.

1896

L’egittologo britannico Flinders Petrie scopre a Tebe la Stele di Merenptah, prima testimonianza scritta in cui compare il nome di Israele.

1902

Fino al 1909, Robert Macalister scava a Gezer e scopre il testo più antico conosciuto in un dialetto intelligibile dell’ebraico, datato all’incirca al 925 a.C.

1947

Alcuni beduini scoprono per caso antichi manoscritti in una grotta di Qumran, sulle rive del Mar Morto, nell’attuale Cisgiordania.

1952

Fino al 1958, Kathleen Kenyon scava nelle rovine di Gerico. L’archeologa rivela che il luogo era disabitato all’epoca della conquista israelita.

Anni Sessanta del ‘900 Yigael Yadin è il paladino della nuova archeologia biblica. I suoi scavi a Masada fanno del luogo il simbolo della lotta del popolo giudeo.

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FIGURINE DORATE, FORSE IMMAGINI DI DIVINITÀ CANANEE, RITROVATE A GEZER (ISRAELE). XVI SECOLO A.C. MUSEO ROCKEFELLER, GERUSALEMME.

Queste incertezze condussero alla comparsa, agli inizi del XIX secolo, di una nuova disciplina: l’archeologia biblica. Inizialmente la motivazione era puramente religiosa, come rivela l’opera che si ritiene in genere la fondatrice di questo tipo di studi: Archaeologia biblica in compendium redacta, del sacerdote e orientalista moravo Johann Jahn, il cui obiettivo dichiarato era quello di «chiarire e illustrare gli eventi che costituiscono la storia della salvezza». Poi incominciò a svilupparsi un’archeologia di taglio più scientifico che, attraverso lo studio meticoloso di antiche iscrizioni e siti, permise di comprendere sempre meglio lo sfondo storico reale della Bibbia, confermando talvolta ciò che essa affermava, ma correggendola o smentendola completamente in numerose altre occasioni.

Inizia l’esplorazione moderna Anche se è certo che l’esplorazione archeologica del Vicino Oriente ebbe inizio con gli studiosi francesi che accompagnarono Napoleone nella sua celebre campagna in Egitto


CIPR

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Siti archeologici

LIBAN

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Sidone Tiro Tell Dan Hazor

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Alture del Golan

Cesarea

Megiddo

E ISRA

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Gerico

Ascalona

(1798-1801), è il teologo statunitense Edward Robinson che deve essere considerato il primo archeologo biblico nel vero senso della parola. Nel 1837 Robinson, un ebraista ed ellenista che aveva completato i suoi studi in Germania, intraprese un viaggio in Palestina assieme al missionario protestante Eli Smith con il proposito di condurre uno studio geografico della zona, approfittando della presenza di un nuovo governatore ottomano che aveva allentato le restrizioni contro i missionari e i viaggiatori occidentali. Con l’aiuto di Smith, che si destreggiava discretamente con l’arabo, Robinson percorse la Palestina a cavallo utilizzando la Bibbia come guida di viaggio. Poté così identificare alcune vestigia importanti, come i resti del monumentale arco d’ingresso alla spianata del Tempio di Erode a Gerusalemme (oggi noto come «arco di Robinson») o il famoso tunnel di Siloe, scavato dal re Ezechia di Giuda nel 701 a.C. I successi di Robinson, assieme ad altre scoperte che gettavano luce sui medesimi racconti biblici, suscitarono un interesse ap-

M ar Mo rto Masada

passionato per tutte le scoperte archeologiche che avessero a che fare direttamente o indirettamente con la Bibbia. In effetti, le notizie di tali scoperte occuparono molto spesso le prime pagine dei giornali dell’epoca, e addirittura vi furono giornali – come il londinese Daily Telegraph – che non esitarono a finanziare spedizioni in Palestina, Siria e Mesopotamia in cambio dell’esclusiva delle notizie. La ricerca archeologica in Terrasanta, inoltre, diede avvio a una vera e propria gara tra le potenze occidentali, che in essa impegnavano il loro prestigio e la loro posizione nella scacchiera del Vicino Oriente. Nel 1865 in Gran Bretagna fu creato, sotto il patrocinio della regina Vittoria, il Palestine Exploration Fund, e cinque anni dopo venne fondata la American Palestine Exploration Society, entrambi con l’obiettivo di promuovere, finanziare e divulgare le ricerche nella zona. Nel 1890 fu il turno dei francesi, che a Gerusalemme fondarono l’École Biblique et Archéologique Française de Jérusalem, affidata alla direzione dei frati domenicani – a dimo-

CULTO LUNARE A HAZOR

Stele cananea con la rappresentazione di due mani che si levano verso la dea Luna, rinvenuta nel tempio delle Stele, nella località cananea di Hazor. XV secolo a.C.

BRIDGEMAN / ACI

Qumran

Gerusalemme

EOSGIS.COM

Gezer


La cittadella di Megiddo Iniziati nel 1903, gli scavi a Megiddo hanno portato alla luce venti strati di occupazione che coprono un arco di duemilatrecento anni. Il disegno riproduce la fisionomia della città nei secoli X-IX a.C. 1 PALAZZO MERIDIONALE

4 CISTERNA

L’edificio era dominato da una grande torre con merlature. Fu costruito con mura ciclopiche e le colonne erano coronate da capitelli protoionici.

Questa costruzione circolare serviva per raccogliere l’acqua di una fonte situata fuori città. Il pozzo dava accesso a un tunnel che portava sino alla fonte.

2 GRANDE SILO

5 MURA

L’enorme spazio per immagazzinare i cereali era probabilmente coperto da un tetto in legno. Vi si accedeva attraverso due scale a spirale.

Verso il 930 a.C., fu eretta una possente cinta muraria costruita con rientranze e sporgenze per proteggere la città da possibili invasori.

3 SCUDERIE

6 PORTA MONUMENTALE

Vi sono due complessi di scuderie. Uno di essi si apre su un grande cortile; l’altro, più ampio, è composto da un grande numero di edifici lunghi e stretti.

La grande porta fortificata attraverso la quale si entrava a Megiddo era formata da sei aperture che potevano essere chiuse in caso di assedio.

strazione del fatto che l’obiettivo degli studi era sempre quello di certificare l’autenticità della storiografia biblica –. Per non rimanere indietro, nel 1898 la Germania fondò la Deutsche Orient-Gesellschaft (Società Tedesca di Studi Orientali), per volere del kaiser Guglielmo II. Le nuove istituzioni dettero un notevole impulso ai lavori archeologici in Terrasanta. Nel 1867, due militari inglesi, Charles Warren e Charles W. Wilson, poterono esplorare e scavare con maggior cura la Spianata e le zone attorno al Tempio di Gerusalemme. Grazie al loro lavoro oggi conosciamo parte dei tunnel che si snodano nel sottosuolo della monumentale costruzione, compreso quello noto come Pozzo di Warren, una cavità profonda 14 metri che probabilmente faceva parte del sistema di rifornimento idrico dell’antica Gerusalemme. Warren mise in relazione il pozzo con il canale attraverso il quale i soldati del 20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

re Davide penetrarono a Gerusalemme per conquistare la città dalle mani dei gebusei, come narrava il libro di Samuele. Successivamente, Warren e Wilson divennero celebri per attività molto diverse dall’archeologia: il primo come il capo della polizia che non riuscì a catturare Jack lo Squartatore, e il secondo per il fallimento della missione per salvare il generale Gordon nella Khartum assediata dai guerriglieri sudanesi di el-Mahdi. Alla fine del XIX secolo, un eminente archeologo britannico, William Matthew Flinders Petrie, rivoluzionò il campo dell’archeologia del Vicino Oriente. Con una formazione da autodidatta e un carattere esuberante, era solito lavorare in condizioni estreme, accompagnato dall’infaticabile moglie Hilda. I due dormivano in capanne o in tombe vicine ai siti archeologici e si nutrivano dei cibi in scatola – in molti casi I scaduti – che donava loro AC AN /

GLI AVORI DI MEGIDDO

Gli scavi archeologici eseguiti nel sito di Megiddo portarono alla luce numerosi pezzi in avorio, come questa cassa decorata con leoni e sfingi alate. X-IX secolo a.C. Museo Rockefeller, Gerusalemme.

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BALAGE BALOGH / ART RESOURCE / SCALA, FIRENZE

l’esercito britannico. Petrie sviluppò il metodo di datazione dei siti secondo gli strati che li componevano e i resti di ceramica che vi si ritrovavano. Applicò per la prima volta questo metodo a Tell el-Hesi, probabilmente il luogo in cui sorgeva la biblica Eglon. Lavorò anche in Egitto, e più precisamente a Tebe, dove, nel 1896, scoprì la famosa Stele di Merenptah, che datò al 1210 a.C. e sulla quale compare per la prima volta nella storia il nome di Israele.

Echi della guerra mondiale Altri archeologi seguirono la scia di Petrie. Tra il 1902 e il 1909, l’irlandese Robert Macalister scavò le rovine di Gezer, città della quale la Bibbia dice: «Il faraone, re d’Egitto, con una spedizione aveva preso Gezer, l’aveva data alle fiamme, aveva ucciso i Cananei che abitavano nella città e poi l’aveva assegnata in dote a sua figlia, moglie di Salomone». Lì, Macalister portò alla luce il più antico testo conosciuto in un dialetto intelligibile della lingua ebraica: il calendario di Gezer, datato al 925 a.C.

Dal canto suo, Thomas Edward Lawrence, il celebre Lawrence d’Arabia, che fu archeologo in Oriente prima che militare, si propose di localizzare i siti archeologici visibili tra Wadi Araba e il deserto del Negev. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, però, costrinse a sospendere gli scavi archeologici in Siria, Palestina e Transgiordania, e archeologi come Macalister e Lawrence si arruolarono nei loro eserciti come esperti della regione. Dopo il conflitto, l’eredità di Petrie venne raccolta da William Albright, uno statunitense esperto in lingue orientali nato in Cile da una famiglia metodista profondamente religiosa, che fu alla guida delle

LE MURA DI MEGIDDO

Ricostruzione della cittadella murata di Megiddo nella quale sono sovrapposte strutture dell’epoca di Salomone (X secolo a.C.) e di quella dei regni di Omri e di Acab (IX secolo a.C.).

Flinders Petrie scoprì nel 1896 la Stele di Merenptah, sulla quale compare la più antica menzione del nome di Israele

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Un antico canale sotto Gerusalemme A GERUSALEMME, Edward Robinson ed Eli Smith

fecero un’importante scoperta, non senza una buona dose di spirito d’avventura e temerarietà. Nel 1838, i due esploratori si recarono alla piscina di Siloe per studiare il tunnel costruito dal re Ezechia nell’VIII secolo a.C., che collega la sorgente di Gihon con la piscina. Poiché il livello dell’acqua era basso, i due studiosi si tolsero le scarpe e percorsero il passaggio. Dopo duecento metri, però, dovettero rinunciare perché il cammino era quasi del tutto bloccato da pietre. Il giorno seguente entrarono nel tunnel in senso inverso, cioè dalla fonte, e procedettero carponi fino al punto raggiunto il giorno prima. In questo modo furono in grado di calcolare che l’estensione dell’antico canale sotterraneo era di 525 metri.

QUESTA ISCRIZIONE IN LINGUA EBRAICA FU SCOPERTA QUARANT’ANNI DOPO L’ESPLORAZIONE DI ROBINSON E SMITH DA UN GIOVANE CHE SI AVVENTURÒ NEL TUNNEL DI EZECHIA. SI RITIENE CHE SIA STATA INCISA PER CELEBRARE IL COMPLETAMENTO DEL PROGETTO.

ACCESSO AL TUNNEL DI EZECHIA, COSTRUITO DAL MONARCA NEL 700 A.C. CIRCA SOTTO GERUSALEMME.


IL MITO DELLE MURA DI GERICO

L’ARCHEOLOGA KATHLEEN KENYON DURANTE GLI SCAVI DI GERICO.

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FOTO: BRIDGEMAN / ACI

BETTMANN / GETTY IMAGES

urante le sette campagne di scavi che condusse a Gerico, Kathleen Kenyon si guadagnò il rispetto della popolazione locale e dei lavoratori nativi. Questi ultimi la soprannominarono as-sitt al-kabira, “la grande signora”, per le sue maniere britanniche e la formalità con la quale riceveva alla sua tavola i visitatori degli scavi. Kenyon dimostrò che le origini della città risalivano al Mesolitico (verso il 12000 a.C.) e che durante il Bronzo Medio (1800-1550 a.C.) fu innalzato un potente sistema difensivo, che sicuramente fu distrutto da un terremoto alla fine di quel periodo. Non furono trovate prove della ricostruzione delle mura, ragione per cui la storia dell’assedio di Gerico da parte di Giosuè (XIVXIII secolo a.C.) narrata nella Bibbia è priva di una base storica.

American Schools of Oriental Research a Gerusalemme per più di dodici anni. Albright, di natura piuttosto modesta, scavò siti di proporzioni relativamente ridotte, come Tell el-Ful (Ghibea, città natale del re Saul) o Tell Bayt Misrim (probabilmente la biblica Debir), ma ciò non gli impedì di esercitare una notevole influenza attraverso il suo lavoro di interpretazione e i suoi numerosi discepoli, che si affrettarono ad applicare i suoi metodi di ricerca. In alcuni casi, le conclusioni di questi archeologi riflettevano un’eccessiva credenza nella veridicità della narrazione biblica. Per esempio, l’équipe che negli anni Venti scavò Megiddo – la grande città cananea conquistata da Salomone – rinvenne una serie di pilastri molto alti e strutture che somigliavano a un abbeveratoio. Prendendo la Bibbia come guida, gli archeologi identificarono subito questo spazio come le scuderie nelle quali il sovrano aveva ricoverato i cavalli impiegati nelle sue campagne militari. Studi ulteriori hanno invece stabilito che le costruzioni in

questione si devono datare almeno un secolo più tardi, ovvero che risalgono all’epoca dei regni di Omri o Achab.

Il nuovo Stato ebraico La creazione dello Stato d’Israele al termine della Seconda Guerra Mondiale diede il via a una nuova fase dell’archeologia biblica, caratterizzata soprattutto da polemiche politiche che perdurano ancora oggi. È significativo il fatto che una delle scoperte più importanti dell’archeologia biblica contemporanea, quella dei celebri rotoli del Mar Morto, abbia avuto luogo nel 1947, nel momento esatto in cui alle Nazioni Unite si discuteva della creazione di uno Stato ebraico. I manoscritti ritrovati casualmente da due pastori beduini in una caverna sulle sponde del Mar Morto portarono alla scoperta dell’esistenza di una setta apocalittica ebraica tra il II secolo a.C. e

LA LUCE CONTRO LE TENEBRE

Frammento della Regola della guerra, uno dei primi manoscritti scoperti a Qumran nel 1947. Il testo fa riferimento alla battaglia finale tra le forze del Bene e quelle del Male. Museo del Libro, Gerusalemme. AKG / ALBUM

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Stele di Merenptah

1.

Nel 1896, Flinders Petrie la scoprì nel tempio funerario del faraone Merenptah, a Tebe. Risale al 1210 a.C. circa. Una delle 28 linee incise su di essa dice: «Israele è distrutto, è ormai senza seme»; si tratta della più antica menzione del nome di Israele.

Calendario di Gezer Tra il 1902 e il 1907, Macalister scavò a Gezer, dove portò alla luce questa iscrizione, a quanto pare un calendario agricolo in versi, forse scritto da uno studente e risalente al X secolo a.C. È la più antica iscrizione conosciuta in lingua ebraica.

2.

Incisioni su pietra La Bibbia non è l’unica fonte di cui disponiamo per conoscere i fatti più importanti della storia di Israele. Possiamo contare anche su una serie di stele e iscrizioni rinvenute sia in Egitto sia in Israele. Per esempio, la Stele di Merenptah confermò la presenza di un gruppo umano chiamato Israele all’epoca di questo faraone della XIX dinastia. La Stele di Mesha, oltre a riportare il nome di Yahweh, il dio degli ebrei, confermò l’esistenza di due regni indipendenti nel IX secolo a.C., uno con capitale a Samaria e l’altro a Gerusalemme. L’obelisco del re assiro Salmanassar III, infine, dimostrò che il regno di Israele aveva già perduto l’indipendenza all’epoca del re Jehu.

Stele di Tel Dan I suoi frammenti furono scoperti tra il 1993 e il 1994 nel sito archeologico di Tel Dan. L’iscrizione in aramaico, del IX secolo a.C., offrì la prima menzione del nome di Davide al di fuori della Bibbia: «E ho ucciso [...]yahu figlio di [...il re] della Casa di Davide».


Obelisco di Salmanassar III Durante i suoi scavi a Nimrud nel 1846, Layard scoprì un obelisco in alabastro nero eretto dal re assiro Salmanassar III nel 825 a.C. Vi sono riportati i tributi che il monarca riceve dai regni vassalli, tra i quali quelli di Jehu, re d’Israele. 5.

Stele di Mesha 3.

PEZZI : 1. stele di merenptah. museo egizio, il cairo. DEA / SCALA, FIRENZE 2. calendario di gezer. museo archeologico, istanbul. BRIDGEMAN / ACI 3. stele di tel dan. museo d’israele, gerusalemme. BRIDGEMAN / ACI 4. stele di mesha. museo del louvre, parigi. ERICH LESSING / ALBUM 5. obelisco di salmanassar iii. british museum, londra. SCALA, FIRENZE

La Stele di Mesha fu scoperta nel 1868 a Dhiban, 20 chilometri a est del Mar Morto. Composta verso il 835 a.C., contiene il primo riferimento al dio degli israeliti: «Presi da là i vasi di Yahweh e li portai davanti a Kemosh».

4.


IL GRANDE COSTRUTTORE

Moneta coniata da Erode il Grande. Oltre al palazzofortezza di Masada e all’Herodion, dove è stata ritrovata la sua tomba, si deve a questo re costruttore il secondo tempio di Gerusalemme. I secolo a.C.

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quale era convinto che per giustificare l’esistenza del nuovo Paese fosse necessario dimostrare la presenza degli antenati degli ebrei in Giudea e Samaria sin dall’epoca biblica. Per la prima volta nella storia, centinaia di volontari di diverse provenienze e condizioni si unirono all’impresa archeologica di Yadin con l’obiettivo di aiutare a corroborare la storia biblica. Questo tipo di “archeologia di massa e per le masse”, come veniva descritta all’epoca, ebbe il suo esempio più evidente negli scavi diretti da Yadin a Masada, la grande fortezza edificata da Erode il Grande nell’anno 40 a.C. e ultimo baluardo della resistenza giudaica contro l’occupazione romana nel 74 d.C. LOREM IPSUM

il I secolo d.C., e stimolarono gli archeologi a studiare il possibile luogo di residenza di questa comunità. Roland de Vaux, un sacerdote domenicano che ricoprì l’incarico di direttore della Scuola Biblica Francese di Gerusalemme, diresse numerose campagne di scavi nel sito, che portarono alla luce un cimitero, uno scriptorium, un refettorio, varie vasche e un quartiere di abitazioni. Negli anni Cinquanta brillò di luce propria la britannica Kathleen Kenyon, che scavò nell’antica Gerico e scoprì le mitiche mura che, secondo la Bibbia, Giosuè diede ordine di circondare prima di conquistare la città; con i suoi studi, però, la Kenyon dimostrò che ai tempi di Giosuè la città era molto probabilmente già disabitata. Parallelamente nacque una scuola di archeologi israeliani che ebbe in Yigael Yadin il suo esponente più illustre. I suoi scavi in vari siti del IX secolo a.C., come Hazor, Megiddo o Gezer, ricevettero l’appoggio entusiasta del primo ministro israeliano, David Ben Gurion, il

Una nuova prospettiva A partire dagli anni Settanta, alcuni archeologi cominciarono a chiedersi se una disciplina come l’archeologia dovesse limitarsi a essere un mero elemento probatorio delle narrazioni bibliche. Come reazione a questa visio-


BRIDGEMAN / ACI

L’ARCHEOLOGO YIGAEL YADIN DURANTE GLI SCAVI CONDOTTI A MASADA.

UN EROE PER ISRAELE «ECCELLENZA, ho l’onore di comunicarle che abbiamo scoperto quin-

Verso l’anno 40 a.C., Erode iniziò a trasformare l’isolata rocca di Masada, di fronte al Mar Morto, qui vista dal lato sud, in un grande palazzo-fortezza dal disegno ardito.

ne tradizionale, un archeologo statunitense, William Dever, propose di cambiare la denominazione «archeologia biblica» in «archeologia siro-palestinese», al fine di inquadrare le scoperte effettuate nella regione in un contesto più ampio delle semplici frontiere dell’Israele biblico. Dopo le guerre arabo-israeliane del 1967 e del 1973, una nuova generazione di archeologi israeliani, come David Ussishkin, Israel Finkelstein o Amikhai Mazar, ha adottato una diversa prospettiva secondo la quale i ritrovamenti dovrebbero essere interpretati e datati seguendo unicamente le tecniche proprie della disciplina, evitando di fare ricorso alla cronologia biblica. È stata così rivista la cronologia di alcuni eventi e si è persino ipotizzato che qualcuno in realtà non sia mai accaduto, almeno non nella forma in cui è narrato nel libro sacro. Da allora non si è smorzato il dibattito tra gli storici minimalisti, ossia quelli che ritengono che la Bibbia non contenga verità storiche, e gli storici massimalisti o tradizionalisti, convinti del contrario. Sia gli uni sia gli

MICHAEL MELFORD / GETTY IMAGES

LA FORTEZZA DI MASADA

dici lettere scritte dall’ultimo presidente dell’antico Israele 1800 anni fa», disse l’archeologo Yigael Yadin a un sorpreso David Ben Gurion. Si riferiva al ritrovamento all’interno di una grotta di un piccolo fascio di papiri che si rivelò essere una serie di ordini impartiti ai suoi ufficiali da Simon Bar-Kocheba, il leader della resistenza giudaica contro Roma.

altri hanno potuto segnare punti a loro favore. Per esempio, se i minimalisti affermano che la presunta conquista della Terra Promessa da parte di Giosuè si limitò ad alcune regioni dell’interno della Palestina, i loro oppositori hanno trovato una possibile prova dell’esistenza del re Davide in un’iscrizione aramaica del IX secolo a.C. ritrovata negli anni Novanta nel sito di Tel Dan, e nella quale si fa riferimento alla casa di Davide. Oggi la tendenza è quella di cercare una posizione intermedia nella quale il testo biblico viene ritenuto una fonte di informazioni più che qualcosa che va letto alla luce di altre fonti, e sempre tenendo presente la sua data di composizione, la sua finalità e il suo genere letterario.

Per saperne di più

SAGGI

Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele Mario Liverani. Laterza, Bari, 2007. Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito Israel Finkelstein, Neil Asher Silberman. Carocci, Roma, 2011.

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ASCALONA ATTRAVERSO LA

Gli archeologi hanno portato alla luce le successive fasi di occupazione della millenaria ISLAMICA 640-1153

«Il dominio è di Allah», recita l’iscrizione in arabo su questo muro medievale. Poco dopo la città fu conquistata dai crociati, ma nel 1270 fu distrutta dal sultano egizio Baybars.

Lanterna con scena erotica ritrovata nello strato di epoca romana di Ascalona. Nella città, i romani costruirono splendide ville, e la lanterna viene proprio da una di esse.

Ceramica greca importata, del VII secolo a.C., di stile “delle capre selvatiche” proveniente dallo strato filisteo di Ascalona. Anche i filistei decoravano le ceramiche con disegni simili.

Vitello in bronzo ritrovato nello strato cananeo di Ascalona. Si tratta di una rappresentazione del dio Baal; è la terza di queste immagini scoperte in Israele, e anche la più antica.

FOTO: ROBERT CLARK / NGS. ILLUSTRAZIONI: CHRISTOPHER KLEIN / NGS

Durante i loro 500 anni di dominio i musulmani decorarono i mobili con osso intagliato. Quando presero Ascalona nel 640, la città era uno scalo per i cristiani che si recavano in Terrasanta.

ROMANA E BIZANTINA 37 A.C.-640 D.C.

La città di Ascalona si espanse durante l’epoca bizantina e commerciò nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Anfore come questa erano utilizzate per trasportare il vino tra il IV e il VI secolo. ELLENISTICA 332-37 A.C.

La conquista di Alessandro Magno si tradusse in una durevole influenza greca. Questa ansa di anfora proviene da Rodi, all’epoca un grande centro commerciale del Mediterraneo. PERSIANA/FENICIA 538-332 A.C.

In epoca persiana, i fenici recuperarono Ascalona dalle ceneri della distruzione babilonese, avvenuta nel 604 a.C., e la resero prospera. Questo busto fu importato da Cipro. FILISTEA 1175-604 A.C.

I navigatori filistei portarono la cultura greca ad Ascalona. Questo perno dell’asse di un carro, che finisce con la testa di una divinità, rivela la loro abilità tecnica e la loro probabile origine egea. CANANEA 1950-1175 A.C.

I cananei, primo popolo che si ritiene abbia usato un alfabeto, copiarono lo stesso motivo egizio del falco degli hyksos, che conquistarono l’Egitto verso il 1650 a.C.


STORIA città biblica

Quadrettatura 50

Radici putrefatte di alberi usati come frangivento Case

Pozzo bizantino

Distruzione delle forze greche sotto Tolomeo I, verso il 295 a.C. Cimitero canino Magazzino Distruzione dei babilonesi nel 604 a.C. Altare dell’incenso Costruzioni del bazar Ghiaia e fango riempiono un foro lasciato per coprire le tombe Case

Nel 1921, la Scuola Britannica di Archeologia di Gerusalemme iniziò gli scavi ad Ascalona, che furono portati avanti dal 1985 dall’archeologo Lawrence Stadzher, dell’Università di Harvard, i cui lavori si concentrarono sul porto della città. Alla fine degli anni Novanta, l’Università di Chicago continuò gli scavi nel sito utilizzando le più moderne tecniche radar per localizzare antiche strutture.

Sepolcro rivestito di mattoni per una sepoltura esterna

Camera di una tomba

1 metro

Letto di roccia

Porta verso Jaffa Porta verso Gerusalemme Quadrettatura 38 Porta verso Gaza

Quadrettatura 23

DISEGNO DI CHRISTOPHER A. KLEIN; FONTE: SPEDIZIONE LEON LEVY

Quadrettatura 50 Porta verso il Mediterraneo


UNA SONTUOSA SALA DI RAPPRESENTANZA

Il facoltoso proprietario della Villa dei Misteri di Pompei ostentava la sua posizione e la sua ricchezza accogliendo i visitatori in un’ampia sala di ricevimento (oecus), decorata con affreschi che ricreano architetture e paesaggi immaginari, dando l’illusione di tridimensionalità. CARLO HERMANN


ARCHEOLOGIA

Gli enigmatici affreschi di Dioniso

LA VILLA DEI MISTERI La residenza, situata poco fuori Pompei, è celebre per la stanza decorata con originali pitture, forse legate a un qualche culto del dio del vino. La ricostruzione presentata in queste pagine è tratta dalla nuova collezione Archeologia National Geographic ELENA CASTILLO RAMÍREZ FILOLOGA E DOTTORE IN ARCHEOLOGIA


GRANDE PORTICO MERIDIONALE

La Villa dei Misteri è composta dalla domus signorile, circondata da una terrazza panoramica, e dal quartiere rustico, su un lato del quale si estende il porticato con colonne in laterizio.

a Villa dei Misteri era una delle residenze più lussuose di Pompei, paragonabile alla casa del Fauno, a quella dei Ceii, a quella della Venere in Conchiglia o a quella dell’Ara Massima. Fu costruita nella prima metà del II secolo a.C. al di fuori delle mura cittadine, a ottocento metri dalla Porta Ercolano, da dove partiva la via che portava alla città costiera. La villa sorgeva in posizione privilegiata su una collinetta non lontano dal mare, quindi dalle stanze e dalle terrazze occidentali si godeva di una vista eccezionale sul golfo di Napoli dominato dal Vesuvio. La villa fu scoperta nel 1909, quando l’archeologo Giulio de Petra era sovrintendente di Pompei. A scoprirla fu il padrone stesso del terreno, Aurelio Item, che, come altri proprietari o locatari del territorio extraurbano di Pompei, aveva ottenuto una licenza di scavo 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

1909-1910

Aurelio Item scava nella Villa dei Misteri e porta alla luce la zona nobile.

1929-1930

Amedeo Maiuri prosegue gli scavi e pubblica i risultati e tavole a colori.

1969-1974

Si ricoprono l’atrio, il peristilio e il portico nord per proteggere gli affreschi.

2013-2015

Un’équipe interdisciplinare restaura gli affreschi.

per un tempo limitato. In quegli anni, gli scavi archeologici dell’area vesuviana avevano come unico obiettivo la scoperta di sculture e oggetti di grande valore, e l’iniziativa privata era un modo per ottenere il massimo risultato al minor costo possibile. Una volta estratti dal sottosuolo i pezzi e i materiali più preziosi, si faceva una pianta delle strutture architettoniche portate alla luce, che poi venivano nuovamente ricoperte. I ritrovamenti effettuati da Item, tuttavia, superarono ogni aspettativa: pochissimo tempo dopo aver iniziato i lavori, infatti, venne alla luce una grande sala decorata con una serie di splendidi affreschi magnificamente conservati, oltre a varie stanze minori riccamente decorate e a un ampio peristilio o cortile interno porticato. Per questo motivo, le autorità decisero di espropriare immediatamente il terreno e bloccare gli scavi. I lavori vennero ripresi soltanto nel 1929, quando una donazione


MIMMO FRASSINETI / AGE FOTOSTOCK

Dopo il terremoto del 62 a.C., la Villa dei Misteri venne ristrutturata e trasformata in complesso agricolo dedicato alla produzione di vino

di 50.000 lire da parte del direttore del Banco di Napoli permise all’archeologo Amedeo Maiuri di riportare alla luce il resto della villa.

STATUA DI LIVIA DRUSILLA, MOGLIE DI AUGUSTO, SCOPERTA NELLA VILLA DEI MISTERI.

ARALDO DE LUC

In origine, la villa fu concepita come una residenza aristocratica, con oltre cinquanta ambienti distribuiti attorno al peristilio e a due atrii (cortili coperti). Lungo la facciata che dava sul mare correva una grande terrazza, alla quale si accedeva dalle stanze più nobili della casa. Tuttavia, dopo il terribile terremoto che colpì Pompei nel 62 d.C., e che causò gravi danni alle abitazioni e all’economia della città, la villa fu trasformata in una tenuta agrico-

A

Da residenza di lusso a villa rustica

la (villa rustica) destinata alla produzione di vino (il famoso vino della Campania). La parte sudoccidentale della struttura fu riservata all’uso esclusivo del proprietario. Sappiamo che questa zona era in corso di restauro poco prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., poiché furono ritrovati materiali da costruzione ammucchiati in diverse parti della casa e alcuni elementi decorativi apparivano fuori del loro contesto originario, come una statua dell’imperatrice Livia, collocata provvisoriamente accanto a una parete del peristilio. Nella metà nordorientale furono collocati una grande cantina con torchio e una serie di spazi destinati alla servitù e al villicus o responsabile dello sfruttamento agricolo, un liberto chiamato Lucio Istacidio Zosimo. In questa parte della casa, l’eruzione del Vesuvio seppellì alcune vittime sotto la pioggia di cenere e le macerie: una ragazzina che cercava di uscire dalla tenuta e il portiere (ostarius), che morì coprendosi il capo con un braccio per proteggersi dal gas tossico, mentre con l’altra mano teneva stretto il suo piccolo tesoro di cinque denari.

La camera degli affreschi Le sale di rappresentanza, nelle quali il dominus o padrone di casa riceveva i visitatori, e le stanze private sue e della sua famiglia erano distribuite attorno a un atrio. Il tablinum (una specie di studio) e la camera da letto o cubicolo matrimoniale erano decorati con simboli di Dioniso e con personaggi del corteo del dio del vino, come Sileno o satiri danzanti. La camera da letto comunicava con un’altra stanza di grandi dimensioni, sulle cui pareti furono dipinti gli affreschi che hanno reso famosa la villa: una seSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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rie di scene con figure molto grandi, secondo uno stile che tecnicamente è noto come megalografia. Gli affreschi della casa furono realizzati in buona parte alla fine del I secolo a.C. nel cosiddetto “secondo stile pompeiano”, caratterizzato dalla creazione di strutture architettoniche con la tecnica del trompe-l’oeil, composizioni di carattere mitologico, scene teatrali. Nell’epoca appena prima dell’eruzione del 79 d.C., questo tipo di decorazione megalografica (che aveva già un centinaio di anni) pareva un poco antiquata e si ritiene che dovesse essere eliminata durante i lavori di riORFEO SUONA LA LIRA NELLA SCENA APPARTENENTE AL PANNELLO CENTRALE DI UN MOSAICO ROMANO RINVENUTO A TUNISI. MUSEO DEL BARDO, TUNISI. 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AKG / ALBUM

strutturazione che si stavano eseguendo nella villa e che dovesse essere sostituita da affreschi eseguiti secondo l’ultimo stile pittorico in voga a Pompei.

Affreschi enigmatici Nel momento stesso in cui vennero scoperti gli affreschi, si pose la questione del loro significato. Non v’è dubbio che siano legati in qualche modo con Dioniso, antico dio del vino che appare chiaramente rappresentato in una delle scene e in cui onore nel mondo antico si celebravano rituali in cui i fedeli cadevano in uno stato di estrema ubriachezza per raggiungere la comunione con il dio. La discussione sul significato di ciascuna delle scene


CARLO HERMANN

Lo storico Paul Veyne ritiene che le pitture raffigurino la preparazione di una giovane per il matrimonio, secondo i precetti di un culto misterico

che compongono l’affresco e la funzione che esso aveva, tuttavia, è ancora aperta. All’inizio furono avanzate teorie fantasiose, come quella secondo cui il luogo era la sede di una società segreta dedita al culto di Bacco (il Dioniso romano), proibito a Roma dal 182 a.C., o una basilica orfica – una corrente religiosa predicata dal poeta tracio Orfeo – il cui accesso era riservato ai membri. Dopo gli scavi di Maiuri, però, si comprese che la stanza era un procoeton o anticamera nuziale, in cui la domina o signora della casa aveva voluto raffigurare se stessa attorniata da immagini del culto che professava, donne e spose iniziate ai misteri in onore di Bacco, il dio al quale dovevano la loro ricchezza i proprietari della villa, intimamente legata al commercio vinicolo. Lo storico francese Paul Veyne ha suggerito che le pitture parietali rappresentino la preparazione di una giovinetta per il matrimonio, secondo i precetti del culto misterico di Dio-

LA STANZA DEI MISTERI

Sulle quattro pareti di questa stanza affacciata sul mare fu dipinta una serie di scene, quasi a grandezza naturale, che sembrano rappresentare un qualche tipo di rito misterico o di iniziazione.

niso oppure secondo il culto orfico. Può essere che la matrona della casa, forse sacerdotessa o fervente seguace del culto di Bacco, avesse scelto l’anticamera della sua alcova matrimoniale – dove probabilmente riceveva altre adepte al culto – per rappresentare i momenti più significativi del rituale precedente le sue nozze: la purificazione, la liberazione dall’infertilità mediante la flagellazione (come avveniva a Roma durante la festività dei Lupercali), l’agghindamento per le nozze e la preparazione per un’unione amorosa simile a quella simboleggiata da Bacco e Arianna o Bacco e Venere, coppia divina alla quale si rendeva culto in un tempio di Pompei. Altri studiosi mettono in relazione i dipinti con scene di un mimo satirico sulla vita di Dioniso. In realtà, di tutti i personaggi rappresentati soltanto alcuni possono essere identificati con certezza. In primo luogo, Dioniso, ebbro e reclinato sul grembo della sua sposa Arianna, seduta su un trono. Si riconosce anche Papposileno, divinità fluviale del corteo di Dioniso, che osserva Panisca che allatta una capretta, mentre Pan suona la zampogna e Sileno suona la lira. Il legame degli affreschi con i culti misterici si fece strada a partire da una scena nella quale due giovani coprono una cesta (denominata mystica vannus) che contiene un fallo, simbolo di fecondità, di fianco a un essere alato che flagella una donna. Tuttavia, poiché gli iniziati dovevano mantenere il segreto sui rituali cui partecipavano, è difficile ricostruirli e dare un significato convincente alle scene che li rappresentano.

ARCHEOLOGIA national geographic archeologia è una collezione di 60 volumi, di 96 pagine ciascuno e riccamente illustrati, che ci presentano le grandi scoperte dell’archeologia e ci svelano la storia, la vita e i costumi delle città dell’Antichità. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CAMERA DA LETTO MATRIMONIALE

Secondo gli studiosi, questa sala era un cubicolo con doppia alcova. Le pitture parietali comprendono una figura di satiro danzante e una sacerdotessa. La piccola porta sulla destra comunica con la sala che contiene i celebri affreschi dei Misteri. ARALDO DE LUCA



CASA DI LUSSO E VILLA RURALE Situata nei dintorni di Pompei, fuori dalla Porta Ercolano, la spettacolare residenza trasformata in villa agricola aveva lussuose stanze circondate da giardini e riservate al proprietario e alla sua famiglia, ma disponeva anche di spazi destinati alla produzione di vino e ad abitazione per gli schiavi. In queste pagine vediamo una dettagliata ricostruzione.

1 VESTIBOLO

2 PERISTILIO

L’ingresso della villa era situato presso la via Superiore. Da un grande portone si accedeva direttamente al peristilio, o cortile, secondo la disposizione tipica delle tenute agricole.

Quando la residenza signorile fu trasformata in villa rustica, il cortile principale della casa, costituito da un portico a 16 colonne doriche in tufo, stuccate e dipinte, divenne una zona di servizio.

6 CUBICOLO NUZIALE

7 ANTICAMERA NUZIALE

Dal tablinum si accedeva a una camera concepita come stanza matrimoniale, che condivideva il vestibolo con la stanza dei Misteri. In piccoli riquadri sono raffigurati il corteo di Dioniso e un sacrificio a Priapo.

La famosa stanza con gli affreschi dei «Misteri» era un salone attiguo all’alcova principale della casa, con la quale aveva in comune un vestibolo con finestre affacciate sul giardino e sul mare.

DEA / GETTY IMAGES

Villa dei Misteri

Porta Ercolano

POMPEI

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TORCULARIUM

Nell’angolo nord della villa si trovavano gli ambienti per la produzione del vino: una vasca per pigiare l’uva, un torcularium per pressarla e ottenere il mosto, e i tini per la fermentazione.

ZONA DI SERVIZIO

Accanto al torcularium vi erano le stanze nelle quali vivevano i servi incaricati dei lavori agricoli e i locali in cui venivano riposti gli attrezzi di lavoro.


3 ATRIO

4 TABLINUM

5 ESEDRA

Dopo il peristilio si trovava l’atrio, che conduceva al tablinum e alla parte della villa riservata ai proprietari. Le pareti furono decorate con gli esempi più antichi che conosciamo di pitture parietali a tema paesaggistico, che raffigurano scene del Nilo.

Lo spazio di rappresentanza del padrone di casa era decorato con motivi legati al dio Dioniso, in uno dei migliori esempi di pittura del tardo terzo stile pompeiano. I simboli dionisiaci in miniatura appaiono in combinazione con figure egizie.

All’estremità del tablinum e con vista sulla costa, fu costruita una terrazzaveranda di forma semicircolare. Si innalzava su un ampio criptoportico, creato per ovviare al brusco dislivello del terreno che scendeva verso il mare. Oggi questa zona è l’ingresso della villa.

8 OECUS

9 CUCINA

Perpendicolare all’atrio era l’oecus, un grande salone di ricevimento o per riunioni, decorato con fantasie architettoniche e con il trompe-l’oeil di una porta creato per ricoprire la cavità lasciata da un’antica porta inutilizzata.

La cucina della casa, che era scoperta, era dotata di forni. Come nella maggior parte delle case di Pompei, accanto alla cucina vi era un altare, il larario, dedicato al culto delle divinità tutelari (i lari), oltre alle dispense e a una latrina.

ATRIO SECONDARIO

I vapori caldi della cucina venivano utilizzati per riscaldare un piccolo locale termale attiguo. Dopo il bagno di calore nella sauna (laconicum) e dopo essersi rinfrescati con l’acqua della vasca, si poteva godere dell’aria in un piccolo atrio tetrastilo.

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Criptoportico

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© VALOR-LLIMÓS ARCHITETTURA: LAURA LLIMÓS, JOSE J. MARTÍNEZ ROIG, AINA GARRIDO DURÁN

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Alta tecnologia per il restauro degli affreschi GRAZIE ALL’APPLICAZIONE delle più sofisticate tecniche di restauro pittorico, gli affreschi della sala dei Misteri sono tornati ai loro colori originari e sono stati consolidati per evitare danni futuri. Dopo un’analisi chimica dei pigmenti e degli strati di pittura, è stata effettuata la pulizia della superficie. Allo stesso tempo, è stato aggiunto uno strato di gesso di colore neutro per ricoprire le parti di muro nelle quali gli affreschi si erano staccati dopo l’eruzione del 79 d.C. o durante gli scavi del XX secolo. Quando la villa fu scoperta da Aurelio Item, la consuetudine era quella di applicare sugli affreschi un consolidante composto da paraffina mescolata con idrocarburi (il che, fondamentalmente,

equivale a cera e benzina). Questa patina permise di salvaguardare la superficie, però con il tempo finì per scurire i colori originari. L’utilizzo di cementi con abbondanza di sali nei restauri più recenti accelerò il deterioramento. Tra il 2013 e il 2015 sono stati eliminati i depositi salini con l’ausilio di strumentazione laser, mentre gli strati di cera sono stati puliti con solventi e sostanze assorbenti. Il restauro non si è limitato ai famosi affreschi, ma ha compreso anche il consolidamento dei pavimenti a mosaico e opus sectile (combinazione di pezzetti di marmo di colori differenti) dei diversi ambienti della villa per garantire la conservazione di una delle case più visitate di Pompei.

UN’ARCHEOLOGA LAVORA AGLI AFFRESCHI DELL’ALCOVA NUZIALE DURANTE I RECENTI RESTAURI DEGLI AFFRESCHI DELLA VILLA DEI MISTERI, COMPLETATI NEL 2015. PASQUALE SORRENTINO / AGE FOTOSTOCK


L’AFFRESCO COMPLETO Le pitture della Villa dei Misteri ricoprono le quattro pareti di una stanza rettangolare di 6 metri per 8, interrotte da un’ampia finestra e da una grande porta. In queste pagine è riprodotto il ciclo completo. 2

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L’educazione di Dioniso la prima scena si trova accanto a una porticina che comunica con la camera da letto matrimoniale. Due donne ascoltano la lettura di un rotolo di papiro, tenuto tra le mani da un bambino completamente nudo, con indosso solo degli stivali o caligae che lo coprono fino a metà polpaccio 1. Secondo alcuni ricercatori, si tratta di Dioniso bambino, tra la madre Semele e la di lei sorella, Ino, che legge le regole del rituale a lui dedicato. Lo storico Paul Veyne, invece, lo identifica con il fratello minore della sposa.

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Probabile banchetto nuziale tra la scena precedente e la successiva, nella quale compaiono tre donne attorno a un tavolo, vi è una donna incinta in piedi 2 e con una corona di mirto sul capo, che porta un vassoio di dolci e guarda lo spettatore. Secondo alcuni si tratta della Primavera, e le altre tre figure femminili sono l’Estate (senza corona) 3, l’Inverno (di spalle) 4 e l’Autunno (in piedi, con una brocca d’acqua) 5. È stato ipotizzato anche che la scena raffiguri l’offerta di dolci durante il matrimonio e la preparazione del bagno rituale della sposa. DEA / GETTY IMAGES


ROMANO / SCALA, FIRENZE

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La danza frenetica sulla destra della figura femminile con la brocca, e in primo piano, si vede Papposileno (l’anziano Sileno, precettore di Dioniso e padre dei Satiri) nudo 6, con un mantello sulla spalla sinistra, che suona una lira, appoggiata su una piccola colonna. Al suono della sua musica pare danzare in maniera sfrenata una donna, che solleva il mantello con il braccio destro mentre gira su se stessa 7. È risaputo che, nei riti dionisiaci, le Menadi o seguaci del corteo di Dioniso (chiamate anche thiades, le

“effervescenti”) cadevano in un’ebbrezza selvaggia attraverso la quale raggiungevano la comunicazione con il dio (l’enthusiasmós) mediante la musica di cembali, tamburi e flauti frigi, la danza frenetica e l’ingestione di allucinogeni, di vino e forse anche di sangue. In secondo piano vediamo una Panisca 8, la versione femminile romana di Pan (membro del corteo di Dioniso caratterizzato dalle orecchie appuntite) che allatta al seno una capretta, mentre Pan 9, che sta suonando la zampogna, si interrompe per osservarla. DEA / GETTY IMAGES


ROMANO / SCALA, FIRENZE

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all’estrema sinistra è collocato un gruppo di tre figure che hanno spinto a reinterpretare l’intero affresco come relativo a una rappresentazione teatrale a tema dionisiaco. Un Papposileno, con una corona d’alloro 1, gira il volto verso la menade danzante della scena precedente e solleva una grande ciotola verso un satiro che si trova dietro di lui 2, inclinato in avanti per poter interpretare i fondi del vino. Un giovane a torso nudo 3, sullo sfondo, regge tra le mani la maschera teatrale di un sileno barbuto.

DEA / GETTY IMAGES

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Rappresentazione teatrale

Le nozze di Dioniso e Arianna al centro della parete appare il dio Dioniso a torso nudo, con la metà inferiore del corpo ricoperta da un mantello e il piede destro scalzo 4. È seduto su uno sgabello e adagiato languidamente sul grembo di una donna assisa in trono 5. Questa figura femminile, alla quale manca la metà superiore, è stata identificata sia con Arianna (sposa di Dioniso) sia con Afrodite, la dea dell’amore. Quest’ultima e Dioniso erano adorati in un santuario che si trovava poco lontano dal centro urbano di Pompei.


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La cesta mistica nella scena all’estrema destra, una baccante inginocchiata 6 , con il torso nudo e con il tirso (bastone sormontato da foglie di edera e di vite) poggiato sulla spalla sinistra, si dispone a scoprire l’oggetto nascosto in una cesta di vimini, nella quale è stata riconosciuta la mystica vannus o cesta mistica 7. Al suo interno si conservava un fallo, simbolo di fecondità e amuleto contro Nemesi, la dea infernale della vendetta 8 , qui rappresentata come una donna con grandi ali nere, che indossa una tunica corta

gialla e calza stivali alti. Nella mano destra brandisce una fusta con la quale si prepara a colpire una donna inginocchiata (nella scena successiva), mentre con la sinistra fa un gesto di disprezzo o repulsione verso il simbolo protettore contenuto nella cesta. In secondo piano, dietro la baccante inginocchiata, si riconosce la metà inferiore di altre figure femminili, una delle quali, vestita con una tunica verde 9 , regge tra le mani un vassoio d’argento sul quale è posato un ramo di pino, attributo di Dioniso.

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nocchiata sia Semele. Secondo il mito, Giunone, la sposa di Giove, chiamò Nemesi per vendicarsi dell’adulterio commesso dal marito con Semele, da cui nacque Dioniso. La donna sul cui grembo si accascia la neofita le accarezza i capelli mentre guarda con timore l’essere infernale. Le altre due figure femminili in piedi, una vestita e con un tirso 3 e l’altra, di spalle, completamente nuda 4, alludono con la loro danza e con la musica dei crotali (due piattini di metallo) alla nascita di Dioniso e al giubilo delle sue feste.

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all’estrema sinistra si vedono quattro donne: le prime due sono strettamente legate al personaggio infernale alato, che esegue la flagellazione rituale espiatoria della neofita 1, inginocchiata e reclinata sul grembo di una donna di età più matura 2 . La sua espressione di dolore e i capelli sciolti indicano che le sono già state inflitte alcune frustate e che attende con sofferenza la fine della flagellazione, con la quale, secondo alcuni, potrà liberare il suo corpo dalla sterilità. Altri ritengono che la donna ingi-

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La flagellazione rituale


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La preparazione della sposa nell’ultima scena della parete una giovane, seduta su uno sgabello dalle gambe decorate 5, si acconcia i capelli con l’aiuto di una schiava, mentre un Cupido alato 6 sostiene uno specchio nel quale si vede chiaramente il suo riflesso. Probabilmente si tratta della sposa che si prepara per il matrimonio e che ha superato l’iniziazione ai misteri dionisiaci narrati nelle scene precedenti. La giovane è vestita con una tunica color zafferano (colore caratteristico degli abiti nuziali romani) cinta da un nastro viola.

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La matrona della casa l’ultimo personaggio rappresentato è la padrona della casa 7, che osserva tutto l’insieme pittorico con sguardo attento e la bocca socchiusa, da una posizione privilegiata. La donna è seduta su una grande cattedra con poggiapiedi e indossa una tunica e un mantello zafferano (palla), che le ricopre anche la testa. Davanti a lei, Eros, l’aiutante di Afrodite 8, partecipa alla preparazione della futura sposa, che ha sicuramente colpito con uno dei suoi dardi amorosi, scagliati con l’arco che ora riposa sulla sua spalla sinistra.

LUCIANO ROMANO / SCALA, FIRENZE

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La città-palazzo dell’imperatore

VILLA ADRIANA lo straordinario complesso di edifici fatto costruire a tivoli, con varie terme, giardini, un teatro e lussuosi palazzi, fu vittima di secolari spoliazioni ELENA CASTILLO FILOLOGA E DOTTORE IN ARCHEOLOGIA


STATUE SUL BORDO DELLA VASCA

La piscina del Canopo, di 119 x 18 metri, era circondata da un portico nel quale alle colonne si alternavano copie di famose statue greche come le cariatidi dell’Eretteo. Sotto il portico, destinato a feste e banchetti, si disponevano lungo tutto il perimetro i triclini per i commensali. PAUL WILLIAMS / ALAMY / ACI


ADRIANO E LA DEA ROMA

L’imperatore viene accolto dalla dea Roma al suo arrivo in città. Rilievo di un arco situato nelle vicinanze del tempio del divo Adriano. Palazzo dei Conservatori, Roma. ROVINE IMPONENTI

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a villa che l’imperatore Adriano ordinò di costruire a Tibur (l’odierna Tivoli) come residenza ufficiale imperiale è, senza dubbio, la più famosa e monumentale delle ville imperiali romane. Sebbene abbia subìto uno spoglio sistematico iniziato addirittura prima del suo abbandono definitivo nel III secolo, gli splendidi resti che vi si conservano, uniti alla bellezza del paesaggio, parlano del grandioso progetto che l’imperatore ideò e disegnò personalmente, almeno in parte. La distribuzione di circa trenta edifici in un vasto terreno di oltre 120 ettari, la costruzione di padiglioni indipendenti e le variazioni del progetto iniziale durante la sua

IL GRANDE PALAZZO DI TIVOLI

50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

esecuzione tra il 118 e il 138 sono stati interpretati tradizionalmente come prove evidenti della partecipazione diretta dell’imperatore nella concretizzazione di un sogno architettonico grandioso. La decisione di costruire una villa fuori Roma non era affatto una novità tra i membri dell’aristocrazia. Sin dall’epoca repubblicana, le grandiose residenze dell’élite romana punteggiavano le campagne e le coste di Lazio e Campania, e si concentravano soprattutto nel golfo di Napoli, attorno a Baia, dove anche Adriano possedeva una residenza imperiale estiva. Queste ville erano concepite in generale come un luogo destinato esclusivamente all’otium, al riposo alla maniera greca.

BLOM UK / GETTY IMAGES

G. NIMATALLAH / ART ARCHIVE

Dopo i primi scavi condotti per volere di papa Alessandro VI, la villa di Adriano divenne una vera e propria miniera di opere d’arte, che furono prelevate e inviate in tutta Europa.

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INIZIA la costruzione di Villa

L’IMPERATORE, assieme alla

DOPO LA MORTE in Egitto

Adriana a Tivoli; in questa fase viene eretta la maggior parte dei padiglioni. Il luogo è dichiarato residenza ufficiale dell’imperatore al ritorno dal suo primo viaggio.

moglie Vibia Sabina, viaggia nell’Italia meridionale e nei Paesi d’Oriente. Durante la sua assenza vengono completati l’Edificio con Peschiera e la Piazza d’Oro.

del giovane Antinoo, amante di Adriano, affogato nelle acque del Nilo, l’imperatore conclude un giro nelle province orientali e si ritira nella sua villa.


134-138 DURANTE gli ultimi quattro

anni della vita di Adriano viene costruito l’Antinoeion, un tempio dedicato alla memoria del giovane Antinoo. L’imperatore muore nella sua villa di Baia, a Napoli.


IMPERATORI IN FUGA DALLA CAPITALE MENTRE IL SENATO e gli organi dell’amministrazione imperiale mantene-

In un ambiente paesaggistico sublime e circondati da lussi e comodità di ogni genere, i nobili romani trascorrevano le giornate nuotando, leggendo e conversando con buoni amici, come narra Plinio il Giovane nelle sue lettere. Con la costruzione di una nuova villa a Tibur, però, Adriano intendeva abbinare ai vantaggi dell’otium i doveri del negotium, del lavoro che derivava dall’amministrazione dell’Impero. Si trattava di un autentico palazzo imperiale alla maniera ellenistica, con luoghi esclusivi per la familia augusta, con zone riservate all’accoglienza di gruppi numerosi e al divertimento della corte e con una grande rete di passaggi sotterranei che permettevano alla servitù di spostarsi senza essere vista.

Un impero in un giardino L’ubicazione del palazzo permanente di Adriano a Tibur, a circa 28 chilometri dalla capitale, obbediva a diverse ragioni. Da un lato, lì avevano costruito le loro ville vari membri della cerchia di fiducia dell’imperatore, formato da persone provenienti dalla Hispania e in particolare da Italica, la fiorente città della Baetica nella quale era nato lo stesso Adriano. Era questo il caso della suocera di Adriano, 52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Il frigidarium, l’ampia sala con volte a crociera e piscine alle estremità nella zona centrale delle terme, che si ritiene fossero destinate al personale della villa.

Matidia Maggiore, e della moglie dell’imperatore, Vibia Sabina; infatti, la villa dei Vibii Sabini costituì il nucleo originario della residenza imperiale tiburtina. Dall’altro lato, i quattro principali acquedotti che portavano l’acqua a Roma attraversavano Tibur, garantendo dunque il rifornimento della nuova villa, mentre le vicine cave di travertino, pietra calcarea, tufo e pietra vulcanica fornivano i principali materiali di costruzione. Adriano, «quel proprietario del mondo che volea riunire nel suo giardino una immagine del proprio impero», come lo definì Chateubriand, concepì il proprio palazzo come uno scenario ineguagliabile per le cerimonie di corte alle quali partecipava. La massima espressione del suo potere si manifestava nella sua residenza attraverso

Grandi terme

DEA / AGE FOTOSTOCK

RICCARDO AUCI / VISIVALAB

VILLA ROMANA SUL MARE. DETTAGLIO DI UN AFFRESCO DELLA CASA DI MARCO LUCREZIO FRONTONE A POMPEI.

LE GRANDI TERME

ORONOZ / ALBUM L. ROMANO / SCALA, FIRENZE

vano la sede a Roma, gli imperatori potevano trasferire la loro residenza fuori dalla capitale e trascorrere lunghi periodi nelle loro ville situate in ambienti naturali di grande bellezza. Augusto ebbe la sua prima villa imperiale a Prima Porta, vicino a Roma; Tiberio, prima del suo ritiro definitivo a Capri, era solito recarsi di tanto in tanto nella sua villa di Sperlonga, nota come La Grotta, e Nerone, oltre alla Domus Aurea a Roma, si fece costruire una villa a Subiaco, con un grande lago artificiale. Domiziano preferì Sabaudia come luogo di svago e riposo, e Traiano, Arcinazzo. A differenza di questi luoghi che erano seconde case, la villa tiburtina di Adriano fu proclamata residenza ufficiale permanente dell’imperatore e di tutta la sua corte.



LA VILLA DI TIBUR, IL SOGNO Come la reggia di Versailles di Luigi XIV, ma su scala ancora più grande, Villa Adriana 1  Teatro

2  Pecile

È un piccolo edificio del diametro di 36 m a pianta semicircolare. Al suo interno si tenevano rappresentazioni per la corte e gli invitati dell’imperatore.

Era una vasta piazza, con una piscina centrale e delimitato da un quadriportico per passeggiate o corse. Il nome è un richiamo alla Stoà Poikile di Atene, o portico dipinto.

Ingrandimento

Tempio di Venere

1

2

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE


DELL’IMPERATORE ADRIANO fungeva allo stesso tempo da palazzo di svago e capitale amministrativa 3  Piccole terme

4  Terme private

5  Stanze per ospiti

6  Palazzo

La loro architettura era sorprendente, articolata attorno a una sala ottagonale. Probabilmente erano riservate a famiglia imperiale e personaggi di alto rango.

La sala rotonda coperta da una cupola fu interpretata come un heliocaminus, una sala per i bagni di sole; oggi è stata identificata come una sudatio, una sala per bagni turchi.

Gli hospitalia erano composti da un gruppo di dieci camere tutte delle stesse dimensioni e con tre letti ciascuna, usate per dare ospitalità ai personaggi di rango inferiore.

Sul nucleo dell’antica villa repubblicana fu eretto il palazzo, con una sala delle udienze, camere da letto, triclini per banchetti e un padiglione per grandi feste.

Cortile delle Biblioteche

6 5

Teatro Marittimo

4

Stadio

3

Vestibolo Quadriportico


7  Piazza d’Oro

8  Tempio di Plutone

Al peristilio di 51 x 61 m, con giardino centrale, si accedeva attraverso un vestibolo a pianta ottagonale. All’estremità si trovavano cinque ninfei o fontane.

Situato vicino al Ninfeo degli Inferi, il tempio è dedicato al dio dell’oltretomba. È a pianta rettangolare con un’abside su uno dei lati lunghi.

Ingrandimento

7

8

Inferi

Pretorio

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Canopo Grandi terme

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE


9  Spianata del Pretorio

Vi si trovavano gli alloggi del personale di servizio. La parte inferiore è composta da tre piani di piccoli ambienti; nella parte superiore venne costruito un padiglione panoramico.

Serapeo

Odeon Si trattava di un teatro a cielo aperto, con un tempietto sopra la cavea. Durante gli scavi furono rinvenute le statue di Muse sedute che oggi sono custodite al Museo del Prado.

Accademia di Atene Sulla grande spianata con giardini e portici sorgevano edifici come il tempio di Apollo, una sala circolare di 12 metri di diametro, decorata con sculture e mosaici.

Belvedere In questa zona si innalzava una torre, forse a tre piani, oggi nota come Roccabruna. Si ritiene che probabilmente avesse la funzione di osservatorio astronomico.


DECORAZIONI A MOSAICO

Mosaici in bianco e nero decoravano il pavimento degli hospitalia, le stanze per gli ospiti, ciascuna predisposta con tre letti, riservate al personale di medio rango di Villa Adriana. PISCINA DEL CANOPO

un’architettura monumentale e innovativa, in cui il lusso veniva sfacciatamente ostentato con una decorazione sontuosa. Tra vaste zone a giardino, stagni, fontane e ninfei si ergevano originali costruzioni che creavano prospettive sorprendenti: portici, teatri, complessi termali, sale riservate per banchetti, una biblioteca e addirittura un’isola artificiale, il tutto decorato con splendidi pavimenti e adornato con circa 400 busti e sculture di divinità ed eroi, che copiavano gli esemplari più famosi della statuaria greca.

Un mondo in miniatura Secondo la biografia di Adriano contenuta nella Historia augusta, ai diversi spazi della villa venivano dati i nomi di luoghi e monumenti celebri della Grecia – il Pecile, l’Accademia, la valle di Tempe – e dell’Egitto, come il Canopo. Oggi, tuttavia, si ritiene che non vi sia mai stata una relazione diretta tra le forme architettoniche della villa di Tivoli e gli edifici a cui facevano riferimento quei nomi, poiché questi ultimi venivano usati sin dai tempi della Repubblica nelle ville di svago come uno sfoggio di erudizione da parte dei proprietari. In qualsiasi caso, tutta la villa doveva riflettere in qualche modo il pensiero e la sen58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sibilità di un imperatore che, oltre che ottimo stratega, era un uomo colto e un instancabile viaggiatore, profondamente attirato dalla filosofia e dall’architettura delle province orientali dell’Impero. È quello che dimostra uno dei luoghi più belli della villa, il Canopo. Attorno a un canale lungo quasi 120 metri, l’Euripo, si innalzava un porticato, sostenuto da sileni e cariatidi identiche a quelle dell’Eretteo di Atene. Sotto il portico c’era una lunghissima fila di triclini, dove si accomodavano centinaia di commensali invitati ai sontuosi banchetti dell’imperatore. Adriano e la cerchia ristretta degli amici occupavano sempre i posti d’onore all’estremità sud dello specchio d’acqua, sotto una grande abside a volta, il Serapeo, rinfrescata da cascate d’acqua. Tradizionalmente si

Canopo

DEA / AGE FOTOSTOCK

RICCARDO AUCI / VISIVALAB

ELENA CASTILLO

Il nome dello specchio d’acqua deriva da quello della città egizia di Canopo. Il bacino o Euripo era decorato con copie di statue greche di Fidia, Policleto e Alcamene.



UN TEMPIO IN ONORE DELL’AMANTE DI ADRIANO DURANTE GLI SCAVI a Villa Adriana diretti dall’arche-

ologo Zaccaria Mari, nel 2002, vennero trovati i resti di un’esedra (spazio semicircolare) e di due templi affrontati, che nell’antichità erano attorniati da palme da dattero, oltre a numerosi pezzi scultorei di stile egizio: un dio falco, una statua del faraone Ramses II in frammenti, una testa regale, rilievi legati a Iside. Il complesso è stato interpretato come un Antinoeion, un tempio-cenotafio nel quale si venerava l’amante di Adriano, Antinoo, assimilato a Osiride, dio della fertilità e dell’abbondanza. Secondo un’iscrizione geroglifica su un cratere di granito trovato nel Canopo, Antinoo fu sepolto in un sht, e cioè uno “spazio campestre”.

TEATRO MARITTIMO

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

è sempre pensato che la forma della vasca si ispirasse al canale che in Egitto univa la città di Canopo ad Alessandria, sulle cui sponde si tenevano grandi feste notturne. Dopo la scoperta dell’Antinoeion, però, il tempio-cenotafio costruito in onore di Antinoo – l’amante di Adriano che morì affogato nelle acque del Nilo –, si è ritenuto più opportuno assegnare i nomi di Canopo e Serapeo a questo luogo.

Rifugio intimo Secondo le fonti storiche, Adriano era un buon atleta, dotato di un fisico potente, e a questo scopo aveva a disposizione una sorta di palestra, il Pecile, dotato di una piscina rettangolare lunga cento metri e di un portico destinato al “passeggio pomeridiano”, come indicava un’iscrizione ritrovata nei pressi. I medici di corte avevano consigliato all’imperatore di camminare per due miglia ogni giorno (circa tre chilometri) dopo mangiato, distanza che si copre percorrendo per sette volte tutto il circuito del portico. Dopo l’esercizio, Adriano probabilmente si recava alle sue terme private (l’heliocaminus), il complesso balneare più antico della villa, provvisto di una grande sauna (laconicum o sudatio) e dei consueti frigidarium, tepidarium e calidarium 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

(sale fredda, tiepida e calda). Queste terme erano situate all’interno della zona propriamente residenziale ed erano riservate esclusivamente all’imperatore, a sua moglie Sabina e ai suoi consiglieri più fedeli, mentre il resto della corte e degli invitati che saltuariamente pernottavano nella villa dovevano utilizzare uno degli altri due complessi termali, situati a poca distanza dal Canopo. Tra membri permanenti della corte, servitori e invitati, il vasto complesso residenziale era quasi sempre affollato di gente, ma Adriano si era riservato un rifugio intimo nel quale poteva isolarsi completamente. Al centro di quello che conosciamo come Teatro Marittimo, un portico circolare con soffitto a volta e circondato da un canale, sorgeva una casa in miniatura, anch’essa circolare, alla quale si

Teatro Marittimo DEA / AGE FOTOSTOCK

GUIDO COZZI / FOTOTECA 9X12

ANTINOO COMI OSIRIDE. STATUA PROVENIENTE DA VILLA ADRIANA. MUSEO EGIZIO, MONACO DI BAVIERA.

Nonostante il nome che fu scelto dai primi archeologi, suggerito dalla piscina centrale, oggi si ritiene che fosse una villa in miniatura per i momenti d’ozio dell’imperatore.



UN PALAZZO CHE ERA ANCHE UN MUSEO GLI ARTISTI del Rinascimento scoprirono a Villa Adriana o nelle sue vici-

accedeva attraverso un ponte levatoio. Come il tiranno Dionisio di Siracusa nel suo “laboratorio”, Adriano si ritirava lì per giorni per non essere disturbato.

Un esercito di servi I servitori che si occupavano della manutenzione e della gestione di tutto il complesso residenziale erano numerosissimi, ma sia i loro spostamenti sia le loro abitazioni erano praticamente invisibili per il resto degli abitanti della villa. I servi, infatti, vivevano in minuscoli spazi contigui, situati sotto le spianate artificiali che erano state create per superare i dislivelli del terreno, e si spostavano attraverso una complicata rete di strade sotterranee che li portavano direttamente ai loro posti di lavoro, come i forni con i quali si scaldavano gli ipocausti delle terme. Al di sotto della terrazza occupata dal Pecile erano distribuite le Cento Camerelle, stanzette suddivise su quattro livelli sovrapposti che occupavano i quindici metri di altezza del sistema di costruzioni creato per ovviare al dislivello del terreno. Al livello inferiore, quello più vicino alla strada sotterranea, si conservavano le provviste del palazzo. 62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Il tempietto circolare, restaurato nel 1958, deve il nome al ritrovamento di una copia dell’Afrodite Cnidia di Prassitele e si ispira al tempio rotondo di Cnido.

Dopo l’abbandono della villa, le pianure sulle quali secoli prima si ergevano Roccabruna, il Cortile delle Biblioteche, il Tempe e altre costruzioni ospitarono uliveti e vigneti nei quali affioravano i resti di edifici un tempo imponenti. I primi scavi archeologici furono promossi da papa Alessandro VI Borgia alla fine del XV secolo, e a partire da quel momento la villa divenne, e fu per secoli, una vera e propria miniera di opere d’arte che i papi vendettero ad aristocratici di mezza Europa, e allo stesso tempo una fonte di ispirazione per i grandi architetti del Rinascimento e del Barocco. Villa Adriana fu considerata come l’esempio più alto del brillante e sensibile ingegno di Adriano, l’imperatore che disegnò e finanziò alcune delle opere più ammirevoli dell’architettura romana.

Tempio di Venere

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COLOMBE CHE SI ABBEVERANO A UNA CONCA D’ORO. COPIA DI UN’OPERA DI SOSO DI PERGAMO. ROMA, MUSEI CAPITOLINI.

TEMPIO DI VENERE

ORONOZ / ALBUM DEA / AGE FOTOSTOCK

nanze stupefacenti esempi della scultura dell’Antichità, in genere copie di opere greche commissionate dall’imperatore. La villa, però, doveva essere anche una galleria di copie a mosaico di grandi opere pittoriche greche, come dimostrato nel 1737 da una scoperta che fece sensazione. Il cardinale Giuseppe Furietti, lo stesso che rinvenne i due splendidi centauri in marmo che portano il suo nome, recuperò un mosaico nel quale erano raffigurate quattro colombe posate su una bacinella d’oro colma d’acqua. Oltre che per le sue qualità intrinseche, l’opera risulta particolarmente preziosa perché si tratta della copia di un dipinto eseguito da Soso di Pergamo, nel II secolo a.C., e descritto dall’autore romano Plinio il Vecchio nella sua Historia naturalis.



IL CENTRO NEVRALGICO DELLA

La zona occidentale del grande complesso di Tivoli comprendeva un insieme

IL PALAZZO

La villa repubblicana della famiglia di Vibia Sabina, moglie dell’imperatore, con atrio, tablinum e peristilio, fu conservata come nucleo del palazzo.

CORTILE DELLE BIBLIOTECHE

In realtà si tratta di un grande peristilio (cortile circondato da colonne) del nucleo residenziale del palazzo. È una delle parti preesistenti e più antiche della villa.

BIBLIOTECHE

Nonostante il nome, recentemente sono state interpretate come due atrii che fungevano da accesso monumentale al palazzo. Si è pensato anche che fossero triclini estivi.


ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

VILLA DI ADRIANO di residenze privadre, biblioteche e giardini

EDIFICIO CON PESCHIERA

L’edificio con criptoportico (galleria sotterranea) e piscina, disposto su tre livelli, è ritenuto il palazzo d’inverno di Adriano.

TEATRO MARITTIMO

La costruzione, che ha le stesse misure del Pantheon, era circondata da un fossato con ponte levatoio e un portico circolare con soffitti a volta.

SALA DEI FILOSOFI

Il grandioso edificio, con doppio ingresso, in passato era ritenuto una biblioteca, mentre oggi si crede che fosse una sala di rappresentanza o sala del trono.

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L’EROICA DIFESA DI RODI

Roccaforte dell’Ordine di San Giovanni, Rodi subì nel 1522 un lungo assedio da parte degli ottomani di Solimano il Magnifico. Nonostante la strenua resistenza dei cavalieri, l’Ordine dovette lasciare l’isola. BRIDGEMAN / ACI


L’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme

I CAVALIERI OSPITALIERI Nato per assistere i pellegrini in Terrasanta, l’Ordine monastico–militare dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme ha attraversato, non senza profondi mutamenti, oltre nove secoli di storia JACOPO MORDENTI STORICO E SCRITTORE


L’OSPEDALE E I SUOI MEMBRI

L’

ORDINE, nel quale – previo pronun-

ciamento dei voti di povertà, castità e obbedienza – si accettavano perlopiù uomini adulti, già addestrati ed equipaggiati, si articolava in cavalieri e sergenti: a partire dal secondo Duecento fu sempre più l’estrazione sociale dei postulanti – che tendevano a provenire non dalla alta, bensì dalla media e bassa aristocrazia, soprattutto francese – a qualificare tale distinzione. Dotato di propri cappellani, all’esterno l’Ospedale si serviva tanto di mercenari – come turcopoli, balestrieri ecc. – quanto di burocrati e inservienti, il tutto senza ovviamente prescindere dal possesso di schiavi. Un’attenzione particolare era rivolta all’ingaggio di medici, chirurghi, salassatori: del resto, nell’ambito della cerimonia di consegna dell’abito dell’Ordine, il postulante doveva dichiararsi «servo e schiavo dei signori malati».

BRIDGEMAN / ACI

CAPPELLANO DELL’ORDINE

Ordine monastico e militare, gli ospedalieri si dividevano tra attività assistenziali e belliche comprendendo tra i loro ranghi uomini d’arme e di chiesa.

È

il 26 giugno 1522. Nelle acque di Rodi sopraggiunge una flotta di proporzioni epiche: i resoconti più iperbolici parlano di oltre centocinquanta imbarcazioni che si apprestano a sbarcare un esercito di duecentomila uomini. Arroccati al riparo delle fortificazioni della città, appena duemila soldati si preparano a sostenere un assedio che si prospetta evidentemente impari. Ad attaccare in massa quella che viene chiamata“l’isola delle rose” sono le truppe ottomane del sultano Solimano il Ma-

gnifico, deciso a fare dell’Egeo un mare turco; a difenderla, prima ancora dei mercenari e dei soldati rodioti, sono poche centinaia di cavalieri appartenenti all’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.

L’origine dell’Ospedale Per individuare la complessa origine dell’Ordine è necessario abbandonare la Rodi del primo Cinquecento e rifarsi piuttosto alla Gerusalemme dell’XI secolo, qualche decennio prima che essa venga espugnata dall’esercito cristiano nell’ambito del-

C R O N O LO G I A

CON LA CROCE E LA SPADA 68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Il 15 febbraio papa Pasquale II emana la bolla Pie Postulatio Voluntatis con la quale formalizza l’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.

1306-1310 ALAN SPENCER / AGE FOTOSTOCK

1113

Perduta la Terrasanta, dopo una breve parentesi cipriota, l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme conquista l’isola di Rodi, sull’asse commerciale fra Mar Nero ed Egitto, e qui crea un principato ecclesiastico indipendente.

CAVALIERE OSPEDALIERE. DETTAGLIO DI VETRATA, INGHILTERRA.


FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK

1798 Sullo scorcio della Rivoluzione Francese, il generale Napoleone Bonaparte, diretto in Egitto, conquista l’isola di Malta ed esilia l’Ordine di San Giovanni.

I

Insediatosi a Malta nel 1530, l’Ordine deve affrontare un nuovo assedio ottomano: questa volta la vittoria arride ai fratelli che decidono di costruire una città fortificata, quella che oggi è La Valletta.

Imponente fortezza degli ospedalieri, venne eretta nell’attuale Siria in posizione strategica e munita di due cinte murarie su un’area di circa tre ettari.

AC

Dopo un assedio durato mesi e nonostante le impressionanti difese allestite dall’Ordine su Rodi, i cavalieri sono costretti a trattare la resa con gli ottomani guidati dal sultano Solimano il Magnifico e lasciano l’isola.

1565

IL KRAK DEI CAVALIERI

N/

1522

struttura ospita una cappella intitolata a San Giovanni Elemosiniere. Il quadro viene scompaginato dalla conquista di Gerusalemme a opera dei crociati, nel 1099: in un momento imprecisato fra questo frangente e il 1113 – allorquando papa Pasquale II, con la bolla Pie Postulatio Voluntatis, rende l’Ospedale un Ordine internazionale e lo pone sotto la propria protezione – Gerardo istituisce un nuovo ospedale – il terzo – e acquisisce la vicina chiesa intitolata a San Giovanni Battista. Sono anni di profonde trasformazioni per la sua comunità, che rompe con i cluniacensi di Santa Maria Latina per avvicinarsi ai canonici se-

MA

la cosiddetta prima crociata (1095-1099). È infatti intorno alla metà del secolo che alcuni esponenti della comunità mercantile amalfitana, ben radicata in città, creano un primo ospedale nei pressi del Santo Sepolcro, avviando più o meno contestualmente lo sviluppo di quello che sarebbe diventato il complesso di Santa Maria Latina. Affidato a una comunità di monaci cluniacensi, di lì a qualche anno tale complesso viene a sua volta dotato di un ospedale – il secondo – la cui gestione finisce per essere delegata a una comunità di laici devoti guidati da un uomo di probabili origini amalfitane, Gerardo detto l’Ospedaliero; la

SIGILLO DEI CAVALIERI OSPEDALIERI

BR

IDG

E


GLI ABITI DEI CROCIATI. I DIVERSI COSTUMI INDOSSATI DAGLI OSPEDALIERI (1 E 2), DAI MEMBRI DELL’ORDINE TEUTONICO (3) E DAI CAVALIERI TEMPLARI (4).

2 1

LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI

I COLORI DELL’OSPEDALE

C

OSÌ COME GLI ALTRI ORDINI monastico–militari, anche

l’Ospedale ha con il tempo messo a punto per il proprio vestiario – che si pretendeva sobrio – alcune specifiche combinazioni di colori e simboli, così da permettere ai suoi membri di distinguersi sia nella quotidianità sia – soprattutto – sul campo di battaglia. Inizialmente quelle degli ospedalieri erano delle vesti monastiche nere che, in battaglia, venivano indossate sopra l’armatura: le lamentele sulle difficoltà di movimento indotte da tale prassi vennero accolte dal papato solo nel 1248, allorquando Innocenzo IV consentì all’Ordine di adottare alla bisogna delle «ampie sopravvesti, recanti sul petto il simbolo della croce»; tale croce, di colore bianco, già da qualche buon decennio doveva peraltro aver assunto la tipica forma a otto punte richiamante le otto beatitudini del Vangelo. Tale vestiario andò poi evolvendosi sia nella forma sia nel colore. Nella seconda metà del Duecento, per esempio, l’abito da battaglia dell’Ospedale – che a differenza di altri ordini non distingueva fra cavalieri e sergenti – mantenne la croce bianca ma sostituì al nero il rosso. E ancora: fra Tre e Quattrocento l’abito quotidiano vide la veste nera accorciarsi progressivamente fino a non raggiungere le ginocchia, senza peraltro disdegnare qualche dettaglio pregiato.

70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

colari del Santo Sepolcro. La regola monastica benedettina, impiegata dalla comunità per scandire la propria quotidianità, viene sostituita da quella agostiniana; allo stesso tempo, al patrocinio di San Giovanni Elemosiniere si preferisce quello ben più prestigioso di San Giovanni Battista. L’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni può dirsi nato. O forse no, non del tutto: pure istituzionalizzato, in origine l’Ospedale risulta privo di quell’esplicito carattere militare per il quale passerà alla storia. Nei suoi primi anni di vita l’Ordine deve limitarsi ad assistere – e al più, forse, a scortare – i pellegrini che giungono via via più numerosi a Gerusalemme; la sua militarizzazione avviene a conti fatti solo qualche decennio dopo, probabilmente sulla scia di quel Concilio di Troyes del 1129 che segna l’incipit della fortuna di un altro Ordine monastico-militare, quello dei templari. È vero che già fra il 1128 e il 1142 l’Ospedale entra in possesso di tre presidi strategici quali i castelli di Qalansawe, di Bethgibelin e del Krak, così come è vero che fra il 1164 e il 1169 partecipa


3

SALADINO, IL NEMICO DEI CROCIATI Alla guida delle forze musulmane, il sultano sconfisse i crociati nella battaglia di Hattin del 1187. Morto nel 1193, non vide però il crollo del Regno di Gerusalemme.

E. LESSING / ALBUM

alle campagne egiziane del re di Gerusalemme Amalrico I (1136-1174); ciò non toglie, tuttavia, come per trovare esplicitamente attestati cavalieri e sergenti ospedalieri sia necessario rifarsi agli statuti compilati nel 1182 durante il magistero di Roger des Moulins, mentre per una prima descrizione delle strutture militari sia necessario attendere gli statuti di Margat del 1203-1206. A ogni modo, complici le cospicue donazioni liquide, immobiliari e fondiarie da parte di istituzioni secolari quanto di singole persone, nel corso del XII secolo l’Ospedale cresce in numero di membri, in ricchezza, in potere, tanto nell’Oriente Latino quanto in Occidente. Monaci e al contempo cavalieri, gli ospedalieri impiegano la ricchezza generata dai propri possedimenti europei per sostenere il proprio puntuale impegno assistenziale e militare in Terrasanta e, di lì a breve, lungo il fronte della Reconquista spagnola. Protagonisti indiscussi delle travagliate vicende che, fra XII e XIII secolo, vedono sgretolarsi uno dopo l’altro i cosiddetti Stati Cro-

4

ciati, i cavalieri dell’Ospedale prendono parte a tutte le principali battaglie che insanguinano la Terrasanta. L’ultima, drammatica battaglia del frangente è quella di Acri del 1291: la perdita della città – dove l’Ordine aveva trasferito il proprio quartier generale fin da quando Saladino aveva espugnato Gerusalemme nel 1187 – segna la fine di fatto dell’Oriente Latino, e vede l’Ospedale riparare a Cipro.

La Rodi giovannita Privato dei suoi possedimenti in Terrasanta e a corto di uomini, a cavallo fra Due e Trecento l’Ordine vive una stagione cruciale. Naufragati i tentativi di muovere subito, su larga scala, contro l’Egitto o la Siria, nei primi anni del loro soggiorno a Limassol gli ospedalieri impiegano le proprie galere per difendere Cipro e la Piccola Armenia, così come per colpire occasionalmente le coste nemiche. È l’elezione a maestro di Foulques di Villaret, nel 1305, a segnare una svolta: convinto sostenitore dell’opportunità di un“passaggio particolare” STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA GERARCHIA DELL’OSPEDALE

IL MAESTRO E I CAVALIERI. PIERRE D’AUBUSSON, GRAN MAESTRO DELL’ORDINE DAL 1476, CIRCONDATO DAI CAVALIERI RICEVE UN LIBRO A LUI DEDICATO.

A

L VERTICE DELL’ORDINE si trovava

il Maestro, eletto da un collegio elettorale i cui meccanismi di formazione cambiarono più volte nel tempo. La discrezionalità del Maestro era ampia, ma incontrava un limite negli usi della comunità dei fratelli, il cosiddetto Convento: questo trovava rappresentanza nel Capitolo, un consesso che – pure di composizione varia e periodicità irregolare – si pronunciava in fatto di politica, guerra, legislazione interna; mossero per esempio da esso quegli Statuti che, combinati alla Regola e alle usanze, fin dal XII secolo costituirono il regolamento fattuale dell’Ordine. Al di sotto del Maestro vanno ricordati fra gli altri il Commendatore, con compiti amministrativi, e il Maresciallo, con compiti militari. A quest’ultimo era peraltro subordinato l’Ammiraglio, una delle ultime cariche a essere istituite: è attestata per la prima volta nel 1299.

BIBLIOTHÈQUE NATIONALE, PARIGI, FRANCIA / BRIDGEMAN / ACI

72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA VALLETTE: IL FONDATORE DI UNA CITTÀ Come Maestro dell’Ordine, La Vallette respinse l’assedio dei musulmani a Malta del 1565. A lui si deve la costruzione di La Valletta, città che dal maestro prende il nome.

BRIDGEMAN / ACI

– vale a dire di una campagna militare di portata ridotta, ma funzionale a creare nel breve termine le condizioni logistiche per una nuova crociata, o “passaggio generale” – Villaret intravede nell’isola di Rodi la possibile soluzione ai problemi che l’Ordine si trova ad affrontare tanto all’esterno quanto all’interno di esso. Siglato un accordo di spartizione con il pirata genovese Vignolo di Vignolo, gli ospedalieri avviano la conquista di Rodi e del Dodecaneso nel 1306. L’operazione si rivela dispendiosa e richiede non meno di quattro anni, e tuttavia è lungimirante: quello che l’Ordine ha modo di realizzare sull’isola è un principato ecclesiastico indipendente. Uno storiografo contemporaneo come il Templare di Tiro è lucidissimo in merito al salto di qualità operato nel frangente dagli ospedalieri, i quali «vivono in questo luogo in grande libertà e franchezza e in loro autonoma signoria, senza essere soggetti ad altra signoria». È in effetti opportuno notare come questi siano gli stessi anni in cui si consumano i processi ai templari, e in cui gli ordini monastico-militari perdono

parte della benevolenza che l’Occidente aveva in passato riservato loro. Non è un caso che lo stesso Clemente V avvii di lì a breve delle inchieste sulle rendite e sulla condotta dell’Ordine che, peraltro, anche al suo interno è percorso da intense fibrillazioni. La comunità dei fratelli, articolata nelle diverse nazionalità dei propri membri – le cosiddette“lingue”: inizialmente cinque, a lungo sette, infine otto – arriva a contestare l’autoritarismo di Villaret, che nel 1319 è costretto alle dimissioni e sostituito da Hélion de Villeneuve. La scelta di Rodi non è invece in discussione: collocata sull’asse commerciale fra Mar Nero ed Egitto, fra Tre e Quattrocento l’isola è oggetto da parte dell’Ospedale di interventi di ampia portata. In termini urbanistici la città viene fortificata e distinta in Borgo e Collachion: il primo è destinato agli isolani e ai commercianti latini ed ebrei, il secondo agli ospedalieri. Forte di un’autonoma base operativa, l’Ospedale persevera nel muovere guerra all’infedele, guerra che pure non ha più i connotati di una crociata di largo


JAN WLODARCZYK / AGE FOTOSTOCK

respiro, ma piuttosto quelli di una guerriglia navale atta a sfiancare vecchi e nuovi nemici musulmani: i mamelucchi d’Egitto da una parte, i beilicati turchi della costa anatolica dall’altra. Non stupisce come gli ospedalieri si trovino alla bisogna a operare in squadra: nel 1344 risultano fra gli alfieri della lega navale che conquista il porto di Smirne, prontamente affidato all’Ordine. Stupisce ancor meno come la vittoria non arrida sempre loro: nel 1378 lo stesso maestro giovannita, Juan Fernández de Heredia, viene catturato nel corso di un attacco ad Arta, nell’Epiro; l’Ordine non si limita a pagare il riscatto, ma rinuncia a quella strategia di presidio in Grecia che appena un anno prima lo aveva indotto a affittare il principato di Acaia. È la vicenda di Tamerlano, fra Tre e Quattrocento, a rappresentare una nuova cesura. Sconfitti dai mongoli a Smirne, nel 1402, i fratelli allestiscono una nuova testa di ponte in Anatolia sul sito dell’antica Alicarnasso, dove costruiscono il castello di San Pietro, l’odierna Bodrum; soprattutto, guadagnano una lunga tregua con la potenza ottomana che impiegherà

decenni per tornare a farsi minacciosa. Al contempo gli ospedalieri siglano con i mamelucchi d’Egitto una pace che consente loro, a partire dal 1403, di godere di una propria rappresentanza a Damietta, a Ramla, a Gerusalemme: l’intesa si romperà oltre vent’anni più tardi, quando i mamelucchi tenteranno inutilmente di invadere Cipro nel 1426, poi la stessa Rodi nel 1440. Conquistata Costantinopoli nel 1453, gli ottomani di Mehmed II premono su Rodi, chiedendo all’Ordine di sottomettersi e accordare un tributo. L’Ordine rifiuta: saccheggiata fra il 1455 e il 1456, l’isola vive una lunga stagione di tensioni che nel dicembre del 1479 culmina in un primo assedio della città. Complici le ingenti

IL PALAZZO DEI GRAN MAESTRI

Nella città di Rodi, la fortificazione risale al XIV secolo. Di quel periodo restano tuttavia solo l’ingresso e le imponenti torri; l’edificio venne infatti distrutto a metà Ottocento.

Quello che l’Ordine di San Giovanni ebbe modo di creare sull’isola di Rodi fu un principato ecclesiastico indipendente

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

73


LA SACRA INFERMERIA

Interno dell’ospedale istituito a La Valletta dall’Ordine degli Ospedalieri nel 1574. Con una capacità di 600 letti, accoglieva indiscriminatamente pazienti di ogni condizione e religione.

CARAVAGGIO A MALTA

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RA LE PERSONALITÀ storicamente più note prossime

all’Ordine di Malta va ricordata quella di Michelangelo Merisi (1571-1610), indicato più frequentemente come Caravaggio. Questi, ricercato in Italia con l’accusa di omicidio, nel 1607 ripara a Malta, accolto dal gran maestro dell’Ordine Alof de Wignacourt. In virtù della protezione accordatagli – nell’ambito della quale, un anno più tardi, viene insignito del titolo di cavaliere di grazia, che non prevede origini nobili e professione dei voti – Caravaggio impiega il suo soggiorno maltese per realizzare alcune delle sue più grandi opere, come il San Gerolamo e la Decollazione di San Giovanni Battista, oltre che un ritratto dello stesso Wignacourt. Di lì a breve, tuttavia, rimane coinvolto in uno scontro con un altro cavaliere dell’Ordine, che ferisce gravemente: viene allora privato dell’abito e tradotto in carcere. La sua evasione, sullo scorcio del 1608, è romanzesca: Caravaggio viene probabilmente aiutato a fuggire dagli uomini dello stesso maestro – che pubblicamente non può accordargli il perdono – e condotto segretamente a Siracusa; da lì proseguirà per Messina, Palermo e infine Porto Ercole, dove la sua travagliata vicenda troverà una drammatica conclusione.

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FRANCK GUIZIOU / GTRES

BRIDGEMAN / ACI

LA DECOLLAZIONE DEL BATTISTA. OLIO SU TELA REALIZZATA DA CARAVAGGIO NEL 1608 DURANTE IL SUO SOGGIORNO A MALTA. QUI È TUTTORA CONSERVATA.

perdite subite e la resistenza dei fratelli, gli ottomani si ritirano nell’agosto del 1480; Rodi, gravemente danneggiata, è ulteriormente provata l’anno successivo da un violento terremoto, e quindi ricostruita. Alla morte di Mehmed nel 1481 si scatena una lotta per il potere tra i suoi figli, Bajazet e Djem: la pressione turca sull’Ospedale – che arriva a trattenere in custodia lo sconfitto Djem – ne risulta allentata. L’equilibrio raggiunto nei fatti viene tuttavia meno a causa del supporto militare che l’Ordine si trova a dover dare a Venezia, che entra in conflitto con gli ottomani tra il 1501 e il 1503. All’orizzonte si direbbe profilarsi una nuova stagione all’insegna della mezzaluna: tra il 1516 e il 1517 la Sublime Porta ha la meglio sui persiani safavidi e sui mamelucchi, mentre quattro anni più tardi espugna Belgrado. Rodi è più che mai isolata. Si arriva al 26 giugno 1522. Salito al potere alla morte del padre Bajazet II, due anni prima, il nuovo sultano ottomano, Solimano, sferra un violento attacco contro l’Ordine. Avvicinandosi da nord-est, i turchi rimangono impressionati dalle difese di Rodi: la città, circondata da una


doppia cerchia di mura, sul versante marittimo dispone di bastioni a picco sul mare, mentre su quello terrestre può contare su un profondo fossato. Il porto è difeso da tre torri; le bocche da fuoco sono ovunque. Philippe de Villiers de l’Isle-Adam, il maestro dell’Ordine, pur con poche migliaia di soldati riesce ad approntare una difesa eccezionale, in grado di respingere i ripetuti attacchi degli ottomani e tenere testa al bombardamento della loro artiglieria. Ancora in stallo sotto le mura di Rodi, a fine agosto l’esercito ottomano viene raggiunto dal sultano in persona. Gli attacchi riprendono con maggiore intensità, ma inutilmente: Solimano conta decine di migliaia di morti. È ottobre quando i nervi del fronte giovannita cominciano a cedere: un servo del cancelliere André d’Amaral, ostile a l’Isle-Adam, viene catturato con un dispaccio segreto che invita i turchi a rinnovare l’attacco. Un processo sommario porta il cancelliere a essere giustiziato, ma ciò non risolve alcunché. Il 17 dicembre viene sferrato l’attacco che spezza defini-

SOLIMANO E GLI ASSEDI OTTOMANI Detto il Magnifico, guidò la sua potente flotta contro i cavalieri ospedalieri prima a Rodi del 1522 e poi nell’assedio di Malta del 1565. BRIDGEMAN / ACI

tivamente la resistenza dell’Ordine: è la milizia rodiota a chiedere al maestro di trattare la resa. Solimano accetta le condizioni di l’Isle-Adam: la città e la popolazione saranno risparmiate, le chiese non saranno abbattute, ai fratelli verrà concesso l’onore delle armi; i rodioti che lo vorranno potranno salpare con loro.

L’Ordine a Malta Il 2 gennaio 1523, seguito da alcune migliaia di rodioti, l’Ordine lascia l’isola alla volta di Creta, disponendo contestualmente lo smantellamento delle guarnigioni presso il castello di San Pietro e l’isola di Langò. Da Creta gli ospedalieri raggiungono Messina, quindi Civitavecchia; l’anno successivo papa Clemente VII concede loro l’usufrutto di Viterbo. Si tratta di una sistemazione transitoria, giacché si ritiene opportuno individuare una nuova sede per il Convento, trasferito in via ancora una volta provvisoria a Nizza. Fra le numerose ipotesi vagliate l’unica percorribile risulta essere quella di Malta, in merito alla quale già nel 1523 erano state avviate STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL PATRIMONIO DEL TEMPIO

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ON C’È ALCUNA RAGIONE di rite-

nere che l’Ospedale abbia avuto un qualche ruolo nei processi per eresia che nel 1312 portarono alla soppressione del Tempio. Pure occasionalmente in disaccordo in ambito politico, i due ordini condividevano il medesimo sforzo: non è un caso se, in ragione di una percezione spesso distorta delle loro responsabilità in Terrasanta, l’Occidente del tardo Duecento abbia più volte vagheggiato di fondere ospedalieri e templari in un unico ordine. Se è vero che, con la bolla Ad Providam Christi Vicarii del 1312, l’ingente patrimonio del Tempio viene assegnato all’Ospedale, è anche vero che quest’ultimo impiegherà decenni, e cifre da capogiro, per prenderne pieno possesso. Esemplare in questo senso il caso della Francia, dove il solo Filippo il Bello pretenderà 200 mila lire tornesi quali spese di gestione, nonché quello della Scozia, dove il recupero dei beni si trascinerà fino al 1354.

CLEMENTE V. FU CON LA BOLLA VOX IN EXCELSO CHE NEL 1312 IL PAPA SOPPRESSE L’ORDINE TEMPLARE PER TRASFERIRNE I BENI AI CAVALIERI OSPEDALIERI. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

a rimpinguare l’esausto Tesoro dell’Ordine. Beninteso gli sforzi dei fratelli a Malta non si esauriscono in questo: nei venti anni successivi le imbarcazioni giovannite ingrossano le flotte di quelle composite leghe cristiane che si susseguono nel tentativo di arginare la potenza turca nel Mediterraneo. Esposte alla controffensiva ottomana, le guarnigioni dell’Ordine sono peraltro occasionalmente sopraffatte: nel 1551 quella dell’infelice avamposto di Tripoli si trova costretta a negoziare la resa. Nei primi anni Sessanta, mentre le imbarcazioni giovannite battono le acque dell’Egeo e del Nord Africa, la pressione ottomana su Malta si fa palpabile: il maestro dell’Ordine Jean de La Vallette, un veterano dell’assedio di Rodi, nell’impossibilità di trasferire il Convento altrove predispone quanto necessario per affrontare un attacco che sospetta prossimo. Il sospetto è fondato: Solimano scaglia la propria armata contro Malta nel CI

NAPOLEONE E LA PERDITA DI MALTA Nel giugno del 1798, durante la campagna d’Egitto, il generale Bonaparte occupa l’isola di Malta. L’Ordine degli ospedalieri ne verrà così definitivamente allontanato.

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delle trattative con Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Spagna. Al di fuori delle principali rotte mediterranee, l’isola non è particolarmente ben vista dai fratelli: un’ispezione preliminare ne denuncia l’aridità e la scarsa difendibilità; se si aggiungono alcune condizioni avanzate da Carlo V – su tutte quella, poi caduta, che avrebbe voluto il giuramento di fedeltà dell’Ordine alla corona spagnola – si capisce bene come le trattative si trascinino fino al 1530, allorquando con la bolla di Carlo V del 24 marzo l’Ospedale riceve in feudo perpetuo, nobile e franco l’isola di Malta, l’isola di Gozo e il castello di Tripoli. I giovanniti prendono possesso di quanto accordato nell’autunno dello stesso anno; a Malta, stante l’inadeguatezza dell’unica città dell’isola, Mdina, collocano il Convento sulla costa nord-orientale, presso il Forte Sant’Angelo. Le incursioni sul mare riprendono: la guerra di corsa, del resto, aiuta

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DEA / SCALA, FIRENZE

maggio del 1565, impegnandola in un assedio di quattro mesi che si rivelerà inconcludente. Le poche migliaia di soldati di La Vallette – fra cui meno di cinquecento fratelli dell’Ordine – riescono nell’intento di sfiancare le quasi quarantamila unità del sultano, fino a che i turchi superstiti non si vedono costretti, in settembre, a tornare a fare vela verso Costantinopoli. All’indomani dell’assedio La Vallette concepisce la costruzione di una città fortificata sulla penisola maltese di Sciberras: ne nascerà la città nota oggi, non a caso, come La Valletta. Il maestro pone la prima pietra nel 1566, ma lo sviluppo della città potrà dirsi concluso solo un secolo dopo. Una politica urbanistica di tali proporzioni non preclude però ai fratelli il proseguimento del proprio impegno militare contro i turchi: fra Cinque e Seicento i legni giovanniti si distinguono nella battaglia di Lepanto (1571) e in quella dei Dardanelli (1656), nonché nelle numerose operazioni navali che portano la controffensiva cristiana scaturita dalla battaglia di Vienna (1683) a conseguire la definitiva sconfitta turca con la battaglia di Zenta (1697). Coinvolto

nella Rivoluzione – durante la quale sostiene la monarchia – sullo scorcio del Settecento l’Ordine viene privato dalle nazionalizzazioni francesi di ulteriori introiti, finendo in breve per indebitarsi considerevolmente. Nella primavera del 1798, lungo il viaggio che lo porterà in Egitto, Bonaparte occupa Malta: il 12 giugno, dopo una resistenza approssimativa, il maestro Ferdinand von Hompesch zu Bolheim firma la capitolazione, a cui fa seguito la confisca dei beni dell’Ordine e l’espulsione dall’isola dei fratelli. Malta non verrà più recuperata: strappata dalla Royal Navy ai francesi, ne verrà sancito il possesso inglese con il Trattato di Parigi del 1814. L’Ordine troverà asilo a Roma: esiste a tutt’oggi quale entità sovrana, con il nome di Sovrano Militare Ordine di Malta. Per saperne di più

IL PRINCIPE E IL MAESTRO

Il principe Djem, sconfitto dal fratello Bajazet nella lotta per l’eredità del sultanato ottomano, è accolto a Rodi dal gran maestro dell’Ordine Pierre d’Aubusson.

SAGGI

I cavalieri di Gerusalemme. L’ordine crociato degli Ospitalieri 1100-1565 David Nicolle. Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2014. L’eroica difesa di Malta Tim Pickles. Osprey Medioevo, Milano, 2012.

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I CAVALIERI PER MARE: Fra le imbarcazioni giovannite spicca la Sant’Anna, una caracca

Ancora nel Settecento la Marina giovannita era considerata fra le migliori d’Europa: non è un caso che non meno di 65 fratelli figurino fra gli ufficiali superiori della flotta francese prerivoluzionaria.

Agli ordini dell’Ammiraglio la gerarchia dell’Ordine poneva il Luogotenente e, per il comando operativo delle unità in navigazione, il Capitano delle Galere (poi Capitano Generale delle Galere o semplicemente Generale).

In linea con il pragmatismo dell’Ordine – relativamente precoce nel dotarsi di armi da fuoco, attestate già sullo scorcio del Trecento – le navi vennero quanto prima dotate di cannoni.

Dotata della prima chiglia rivestita in piombo nota in Europa, aveva un dislocamento di 3 mila tonnellate, quattro alberi, due ponti di cannoni, 50 bocche da fuoco grandi più numerose altre più piccole, un’armeria per 600 fra cavalieri e soldati. Disarmata già nel 1540 a causa dei proibitivi costi di manutenzione, venne demolita nel 1548.


LA MARINA GIOVANNITA

eccezionale messa in cantiere a Nizza nel 1522 e varata due anni più tardi

I mangani occasionalmente attestati a bordo venivano soltanto trasportati per essere impiegati a terra: l’immagine del lancio di pietre nel corso di una battaglia navale è probabilmente da rigettare.

La caracca era imponente: veniva perlopiù impiegata in appoggio a due o più galere.

Si può ipotizzare come, in funzione militare, una nave giovannita potesse ospitare a bordo fra i 40 e i 60 armati.

Gli equipaggi dei legni dell’Ordine erano costituiti da marinai della più diversa provenienza: assodato come alla fine del Quattrocento due terzi dei vogatori fossero schiavi, va notato come fra i volontari – i cosiddetti buonavoglia – ci fossero molti maltesi già prima che l’Ordine si trasferisse sull’isola.

HERITAGE MALTA COLLECTION AT THE NATIONAL MARITIME MUSEUM BIRGU, MALTA

In termini militari era il castello di prua a rappresentare il fulcro della difesa e dell’attacco.


LA RIBELLIONE DI NAPOLI

La rivolta guidata da Masaniello a Napoli nel luglio del 1647. Il popolo insorge in piazza del Mercato, centro economico della cittĂ , nei cui pressi viveva Masaniello. Dipinto di M. Cerquozzi, Galleria Spada, Roma. DEA / BRIDGEMAN / ACI


La rivolta dei “Lazzari”

MASANIELLO La parabola di un pescivendolo che divenne capitano generale di Napoli, una delle città più importanti d’Europa, e che nel 1647 sollevò la popolazione contro le autorità spagnole del vicereame ROSA MARIA DELLI QUADRI DOCENTE DI STORIA DEL MEDITERRANEO MODERNO, UNIVERSITÀ DI NAPOLI “L’ORIENTALE”


HELLOWORLD IMAGES / AGE FOTOSTOCK

SANTA CROCE E PURGATORIO

Facciata della chiesa su piazza del Mercato. Importante luogo di culto della città partenopea, la sua storia ha accompagnato quella di Napoli sin dal XIV secolo.

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inalmente la divina bontà, per mostrare quanto sia immensa una scintilla della sua provvidenza, ha mandato il Davide per liberare un popolo così fedele, dalle troppo crudeli et inhumane tirannidi della saulitica nobiltà». Quel Davide era, agli occhi dell’autore anonimo della Succinta Relatione sulla rivolta avvenuta a Napoli nel 1647, Tommaso Aniello, detto Masaniello, nato in quella città il 29 giugno 1620 da Francesco d’Amalfi, un riparatore di scarpe. Pur essendo poche e incerte, le notizie emerse dalle fonti dell’epoca descrivono la sua famiglia povera e travagliata, appartenente ai ceti bassi cittadini. La madre Antonia Gargano, la sorella Grazia Francesca e la moglie Berardina Pisa facevano le prostitute e Ma-

saniello veniva spesso deriso proprio grazie alle frequentazioni della consorte con alcuni suoi conoscenti. I fratelli erano due, Antonio Carmine e Giovanni Battista. La parte più carente di informazioni è quella relativa agli anni dell’infanzia, dell’apprendistato e della formazione, tuttavia, grazie alla passata e recente storiografia, basata soprattutto sui lavori di Schipa, Croce, Galasso, Musi, Benigno, Foscari e D’Alessio, è possibile ricostruire i tratti importanti di un povero pescatore, spesso dedito al contrabbando, che per dieci giorni governò una delle città più grandi dell’Impero spagnolo e d’Europa, divenendo quasi un sovrano assoluto in grado di guidare migliaia di persone pronte a eseguire i suoi ordini. Un avvenimento senza precedenti storici immediati. All’epoca dei fatti era un ragazzo di 27 anni, di bell’aspetto, statura media, capelli lunghi e scuri, più magro che grasso e con occhi pronti a osservare tutto. Scalzo, in camicia e calzoncini di tela e un berretto da marinaio, vivace ma nel complesso garbato, Masaniello lavorava alla “Pietra del Pesce”e vendeva, insieme al fratello, cartocci di carta straccia (cuoppi) e scarti di pesce, servendo anche a domicilio e facendo ogni tipo di servizio pur di sopravvivere. Dal carattere scherzoso, girava spesso per taverne a procurarsi il cibo, attraendo i clienti con i suoi modi, interveniva nelle liti per risolvere le questioni, dimostrando un certo senso della giustizia, sapeva suonare la cetra e per quanti lo seguivano rappresentava una figura coinvolgente. Abitava in una casa piccola, con due sole camerette, ma alimentava all’aria aperta la sua esuberanza, il suo carisma e la sua capacità di imporsi sugli altri.

Tasse e gabelle La vicina piazza del Mercato era il centro principale del commercio cittadino, ma anche il luogo della riscossione delle imposte da parte degli ufficiali del governo spagnolo, che a Na-

C R O N O LO G I A

GIUGNO 1620

FEBBRAIO 1646

Il giorno 29, da un’umile famiglia, nasce a Napoli Tommaso Aniello, detto Masaniello, che ventisette anni dopo guiderà la rivolta.

A guidare il viceregno di Napoli viene scelto Rodrigo Ponce de León, duca d’Arcos, che ripristina alcune gabelle esasperando il popolo.

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L’EROE DEL POPOLO

TOMMASO ANIELLO DETTO MASANIELLO. RITRATTO ATTRIBUITO A ONOFRIO PALUMBO.


BASILICA DI SANTA MARIA DEL CARMINE

Nei pressi di piazza del Mercato, la chiesa fu teatro di molti episodi legati alle vicende del 1647. Qui infatti Masaniello subĂŹ un fallito attentato e qui il suo corpo rimase sepolto fino al 1799. L. ROMANO / ALBUM

GIUGNO 1647

LUGLIO 1647

OTTOBRE 1647

LUGLIO 470 A.C.1648

La casa della gabella sulla frutta viene incendiata e Masaniello inizia a sollevare la piazza di Napoli contro il fiscalismo degli spagnoli.

Inizialmente acclamato dal popolo, Masaniello viene nominato Capitano generale per poi essere assassinato il giorno 16.

Prende vita la breve e filofrancese esperienza della Real Repubblica napoletana guidata da Gennaro Annese.

IBis. resti del capopopolo Valicer udaciest facio, vengono ricomposti e confertium qui cri strum dopo un solenne funerale, tem quod cavo, Pala nonfes Masaniello è sepolto egervid co hos fuissil nella basilica del Carmine. tandiurnic oportud.


LA “TURBA DI LÁZAROS”

LA MORTE DEL TRADITORE. LA FOLLA DECAPITA GIUSEPPE CARAFA, ACCUSATO CON IL FRATELLO DI AVER TENTATO DI UCCIDERE MASANIELLO. DIPINTO DI MICCO SPADARO (1647 CA.). MUSEO DI SAN MARTINO, NAPOLI.

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EI RAGAZZI «tinti di volto» che

seguivano Masaniello si rintraccia il primo episodio storico che coinvolge i “guaglioni” napoletani, organizzati in gruppi e bande militarizzati, guidati da Scipione Giannettasio detto Pione. Rappresentavano il ceto più infimo della plebe, senza né arte né parte, senza casa né lavoro e, secondo Dumas, non avevano leggi e il loro unico padrone era la libertà. La “turba di lázaros” che attorniava il pescivendolo capopopolo, così chiamata dagli spagnoli e dai signori napoletani spagnoleggianti in senso dispregiativo (il termine spagnolo lázaro si traduce in italiano con straccione, pezzente), era infatti lacera e seminuda e viene identificata con la compagnia di giovani armati nata tra la zona del Lavinaio e del Mercato, che aveva prodotto gli Alarbi. In testa portavano un berrettino rosso, segno politico insurrezionale, mentre come arma portavano l’archibugio.

SCALA, FIRENZE

IL PALAZZO DI GIUSTIZIA

Castel Capuano ai tempi della rivolta di Masaniello. Tra i più antichi castelli di Napoli, con la costituzione del vicereame qui vennero riunite tutte le corti di giustizia. BRIDGEMAN / ACI

poli aveva istituito un viceregno che sarebbe durato fino al termine della Guerra di successione spagnola, nel 1713. Durante la prima metà del Seicento, la Spagna degli Asburgo aveva dovuto affrontare una serie di lunghi conflitti e, a causa delle numerose spese belliche, la pressione fiscale in città era aumentata soprattutto a partire dal primo anno del viceregno di Monterey (1631-1637). Fu, però, durante l’amministrazione del viceré Rodrigo Ponce de León, duca d’Arcos, in città dal febbraio 1646, che la situazione degenerò con il ripristino della gabella della frutta, un aumento di vari carlini (cinque o dieci) sulla frutta fresca e secca, che pesava su quella parte della popolazione che faceva affidamento sui piccoli guadagni. Non pagarla poteva voler dire finire in carcere, così come accadde proprio alla moglie di Masaniello, Berardina, fermata dagli ufficiali del governatore della gabella sulla farina, perché ne

portava in braccio un sacco su cui non aveva pagato la tassa. Incarcerata per otto giorni, suo marito riuscì a liberarla solo pagando una grossa cifra, ricavata dalla vendita di quel poco che possedeva. Secondo la tradizione, questo avvenimento lo irritò profondamente, facendo nascere in lui il desiderio di vendetta, ma in realtà, l’origine della rivolta che si sarebbe scatenata di lì a breve, pur avendo in quella antifiscale una delle ragioni principali, è da ricercare anche nella crisi economica che aveva investito l’intero regno, nel contesto politico-sociale della capitale e in quello internazionale. Intanto, manifestazioni di disapprovazione in città erano apparse già dal mese di maggio attraverso “cartelli” che minacciavano rivoluzioni.

I giorni della rivolta Nella notte tra il 6 e il 7 giugno 1647 la casa della gabella sulla frutta a piazza del Mercato fu incendiata e distrutta e tra la fine del mese e i primi di luglio Masaniello fu tra coloro che più cercarono di sollevare il popolo sia contro il grande fiscalismo imposto dagli spagnoli sia contro tutto il patriziato napoletano, conside-


CASTEL DELL’OVO

Tra gli edifici simbolo di Napoli, nel corso della sua lunga storia è stato più volte fortificato e ristrutturato. Da qui gli spagnoli bombardarono la città nel tentativo di sedare la rivolta guidata da Masaniello. BHIDETHESCENE / GETTY IMAGES


LA CITTÀ DI MASANIELLO. L’INCONFONDIBILE PROFILO DEL VESUVIO SULLO SFONDO DOMINA LA CITTÀ DI NAPOLI E IL SUO GOLFO. PANORAMA VISTO DA CASTEL SANT’ELMO. SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12

IL CONSIGLIERE DI MASANIELLO

Giulio Genoino, giurista e presbitero, affiancò il capopopolo nelle difficili e delicate negoziazioni con il viceré di Napoli. Assieme a Masaniello, è considerato l’artefice della rivolta del 1647. DEA / SCALA, FIRENZE

rato troppo accondiscendente nei confronti di una riscossione così sfrenata. Ritagliandosi un ruolo importante in una rivolta che rompesse i meccanismi con cui si introducevano le gabelle, egli riuscì a unire, nel tempo brevissimo dei primi giorni del moto, la plebe misera, disordinata e non qualificata, che lo riconobbe come suo portavoce, e il popolo organizzato nelle arti e corporazioni. Il 30 giugno il giovane garzone radunò il gruppo dei suoi lazzari, gli Alarbi, dai 200 ai 500 ragazzi minori di diciotto anni, che in occasione della festa della Madonna del Carmine del 16 luglio, si esibivano al mercato. Armati di canne e lance, durante la sfilata davanti al Palazzo Reale imprecarono contro i notabili spagnoli affacciati al balcone e una settimana dopo, il 7 luglio, insieme a Masaniello sollevarono la popolazione al grido di «Viva il Re di Spagna, mora il mal Governo, e fora le gabelle» ed entrarono nel Palazzo. Durante la sommossa, che non aveva ancora un leader ma un comitato dirigente al Mercato,

il duca d’Arcos si rifugiò nel convento di San Luigi, dove fu raggiunto dal cardinale Ascanio Filomarino, arcivescovo della città e intercessore tra i rivoltosi e le autorità spagnole. Qui, assieme a Genoino, altro capo popolare che svolse un ruolo importante durante il moto, iniziò a negoziare con il viceré per elaborare le istanze che potevano portare a un cambiamento netto delle condizioni di vita in città. Intanto, dopo l’assalto alle carceri e la scarcerazione di migliaia di persone, Masaniello fu eletto capitano generale del popolo e venne organizzato un governo popolare armato accanto a quello politico del viceré. L’11 luglio, dopo essere scampato a un fallito attentato nella chiesa del Carmine, il capitano si recò a palazzo insieme al cardinale e a Genoino per incontrare il viceré, ristabilire la pace e avere la sua firma sui nuovi Capitoli del privilegio.

Il breve “regno” Il duca d’Arcos firmò le carte nel Duomo il 13 luglio 1647 e durante la cerimonia Masaniello, che più di tutti aveva contribuito a ottenere questo risultato in favore del popolo, iniziò a dare segni di uno squilibrio che lo avrebbe


L’ARCIVESCOVO MEDIATORE

Ascanio Filomarino durante la rivolta di Masaniello si reca a incontrare il viceré di Napoli, il duca d’Arcos. L’arcivescovo è raffigurato al suo arrivo a Largo di Palazzo, l’odierna piazza del Plebiscito. SCALA, FIRENZE


MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK

LA MUTA DI PORTICI L’opera che ispirò i moti nazionalistici e la rivoluzione belga

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pera lirica in cinque atti musicata da Daniel Auber su libretto di Eugène Scribe, La muta di Portici è conosciuta anche con il titolo di Masaniello proprio perché alla rivolta del capopopolo napoletano si ispira. Rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1828, l’opera ebbe un immediato successo che si propagò in tutta Europa, da Berlino a Lisbona, da Londra a Milano fino a Bruxelles. Qui, in particolare, la rappresentazione de La muta di Portici si inserì in uno scenario socio-politico già delicato che vedeva le Province del Sud dei Paesi Bassi chiedere la secessione dal Regno. Sull’onda della Rivoluzione di Luglio scoppiata in Francia nel 1830 contro Carlo X che aveva dato avvio in tutta Europa a una scia di moti rivoluzionari ispirati a principi nazionalistici, l’opera di Auber a Bruxelles accese gli animi fino a sollevare la popolazione contro il re Guglielmo I per giungere poi a una rivoluzione che avrebbe portato all’indipendenza del Belgio.

Sinossi SIAMO A NAPOLI e il figlio del viceré, Alfonso, convola a nozze con la principessa Elvira. Lo sposo è tuttavia anche il seduttore e carceriere di Fenella – protetta della sposa – che fugge a Portici per trovare rifugio presso il fratello, Masaniello. Quest’ultimo solleva il popolo contro gli spagnoli costringendo la coppia di sposi a rifugiarsi anch’essa a Portici e ad accettare l’aiuto del capopopolo per fuggire. Forte del sostegno delle truppe reali, Alfonso torna però a Napoli, doma la rivolta e consegna Masaniello al suo stesso popolo che lo giustizia accusandolo di aver aiutato lo spagnolo. Su tutti domina il Vesuvio nella cui lava si getta Fenella.


RAPPRESENTAZIONE DE LA MUTA DI PORTICI DEL 25 AGOSTO 1830 A BRUXELLES. LO SPETTACOLO ACCESE GLI ANIMI FINO A CONDURRE ALLA LOTTA PER L’INDIPENDENZA DEL BELGIO DAL REGNO UNITO DEI PAESI BASSI. DIORAMA. BRIDGEMAN / ACI

Gli autori EUGÈNE SCRIBE (1791-1861) è stato un drammaturgo e librettista parigino. Tra i più prolifici dei suoi tempi, raggiunse la fama internazionale grazie alla collaborazione con compositori d’opera quali Giacomo Meyerbeer, Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi e Daniel Auber. DANIEL AUBER (1782-1871) è stato un

AUGUSTIN EUGÈNE SCRIBE. LIBRETTISTA DELL’OPERA ISPIRATA A MASANIELLO. RITRATTO. CLASSIC VISION / AGE FOTOSTOCK

compositore francese. Conoscerà il trionfo proprio con La muta di Portici del 1828 le cui arie, in particolare Amour sacré pour la patrie – accolto come una nuova Marsigliese – infiammarono l’intera Europa attraversata in quegli anni da moti nazionalistici.

DANIEL FRANÇOIS ESPRIT AUBER. COMPOSITORE DE LA MUTA DI PORTICI. IMAGEBROKER / AGE FOTOSTOCK


IL RESTAURATORE DON GIOVANNI D’AUSTRIA VENNE INVIATO DALLA CORONA DI SPAGNA A NAPOLI PER RISTABILIRE IL VICEREGNO DOPO LA BREVE ESPERIENZA DELLA REAL REPUBBLICA NAPOLETANA.

DON GIOVANNI D’AUSTRIA

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IGLIO DEL RE SPAGNOLO Filippo IV

e dell’attrice María Calderón, a soli diciotto anni fu al comando della flotta spagnola del Tirreno che nell’ottobre 1647 giunse nel porto di Napoli per ristabilire la calma in città, dopo la rivolta di Masaniello. All’inizio del mese incontrò una delegazione di nobili che esposero tutte le lagnanze contro il viceré rispetto ai fatti accaduti, senza escludere la colpa di aver armato il popolo, i cui esponenti il 5 ottobre furono attirati a Castel Nuovo e arrestati. Dopo alcuni giorni di resistenza, Don Giovanni cercò di dividere i ribelli e attese che l’appoggio popolare ai governanti filofrancesi venisse meno. Esortò il duca d’Arcos ad allontanarsi, restaurò il viceregno e lo lasciò nelle mani del viceré il Conte d’Ognate. Partì da Napoli il 23 settembre 1648.

ORONOZ / ALBUM

LA FAMA DI MASANIELLO

Piatto da pompa in ceramica decorato con scene della rivolta di Masaniello e risalente al XVII secolo. La popolarità del pescatore capopopolo fu enorme a Napoli, ben oltre i fatti del 1647. DEA / SCALA, FIRENZE

condotto ad atteggiamenti sempre più folli, come l’ultimo discorso sul pulpito della basilica del Carmine, senza abiti e deriso dai presenti alla messa. Dagli onori di cui aveva iniziato a godere presso la corte spagnola si ritrovò nudo, senza corona e senza regno, chiuso nella cella del convento dove fu raggiunto da amici corrotti dagli spagnoli, che lo fucilarono, lo decapitarono e ne trascinarono il corpo per le strade, prima di gettarlo in un fosso. La testa fu consegnata al duca d’Arcos come prova della sua morte e i congiurati furono tutti premiati dalla Corona di Spagna. Il 18 luglio 1648, dopo aver recuperato il corpo di Masaniello e per tenere buono quel popolo che lo aveva scelto come capitano, vennero celebrati funerali solenni e il feretro fu portato in processione per tutta la città, quasi come un santo. Restò sepolto nella basilica del Carmine fino al 1799 quando, dopo la fine della

rivoluzione napoletana, re Ferdinando IV di Borbone ordinò la dispersione delle ceneri per cancellare i segni della ribellione. Dopo la sua morte, a continuare la battaglia come capitano generale fu Gennaro Annese, che con il sostegno di Enrico II di Guisa proclamò la Real Repubblica Napoletana, durata fino al dicembre 1648, quando Don Giovanni d’Austria, figlio del re Filippo IV di Spagna, ristabilì il viceregno. Il 13 settembre, due mesi dopo i funerali, fu ancora Masaniello a comunicare attraverso un cartello e a intervenire nella vicenda politica per avvisare «che non si fiassero né del viceré, né del Toraldo, né del Palombo né dell’eletto che li tradivano e che facendo nuova sollevazione per uscire da sì fatti travagli avessero gridato libertà o chiamato il governo del Pontefice». Per saperne di più

SAGGI

Masaniello. La sua vita la sua rivoluzione Bartolommeo Capasso. Luca Torre, Napoli, 1993. Masaniello. L’eroe e il mito Vittorio Dini. Newton Compton, Roma, 1995.


LA RESIDENZA DEL VICERÉ

Il Palazzo Reale di Napoli, nel centro cittadino, venne eretto agli inizi del XVII secolo per essere destinato a residenza dei viceré spagnoli. È oggi una sede museale e ospita la biblioteca nazionale. MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12


RITRATTO DI UN PIONIERE

Un compagno di spedizione descrisse così James Cook: «Il suo volto era molto espressivo. Aveva un naso ben delineato; gli occhi, piccoli e marroni, erano vivaci e penetranti, e le sopracciglia prominenti gli davano un’aria austera». Ritratto di Nathaniel Dance-Holland, 1775. BRIDGEMAN / ACI


Alla ricerca dell’ultimo continente

JAMES COOK

Nel 1769 il capitano inglese, a bordo dell’Endeavour, iniziò un epico viaggio per osservare il transito di Venere in Polinesia e scoprire il mitico continente meridionale, la Terra Australis JOSÉ MARÍA LANCHO STORICO

’esplorazione del Pacifico fu una delle più grandi avventure dell’era dell’Illuminismo. Nel XVI secolo, da quando Magellano l’aveva attraversato nel 1521, l’immenso oceano era diventato un “lago spagnolo”, un mare clausum chiuso ad altre potenze, e molti navigatori iberici iniziarono a stabilire la geografia dei Mari del Sud e delle loro miriadi di isole e arcipelaghi. All’inizio del XVII secolo, agli spagnoli si aggiunsero gli olandesi e, saltuariamente, gli inglesi, come il corsaro Dampier. Fu però a metà del XVIII secolo che le potenze europee, specie Francia e Gran Bretagna, iniziarono una vera e propria gara per insediarsi nelle zone inesplorate di quel vasto spazio. Nell’ultimo terzo del Settecento furono organizzate varie spedizioni che segnarono un’epoca nella storia delle esplorazioni, guidate da figure come i francesi Bougainville e La Pérouse, gli spagnoli Malaspina e Bustamante e gli inglesi Wallis e James Cook.


Plymouth 13-VII-1771

Batavia 10-X / 26-XII-1770

Città del Capo 15-III / 15-IV-1771 Nuova Zelanda 7-X-1769 / 1-IV-1770

UN VIAGGIO DI TRE ANNI

Planisfero con la rotta del viaggio verso Tahiti e la Terra Australis. Le spedizioni del capitano Cook gettarono le basi dell’Impero britannico del XIX secolo.

Quest’ultimo, con i suoi tre grandi viaggi attorno al mondo – l’ultimo dei quali interrotto dalla sua tragica morte alle Hawaii –, incarna forse meglio di tutti lo spirito di quella generazione di esploratori, grazie a una miscela di coraggio, tenacia, impegno scientifico e grande apertura alla diversità del mondo umano e naturale. Sebbene di solito gli storici non lo dicano, l’origine della spedizione di Cook risiede in un episodio avvenuto lontano dall’Inghilterra. Nel 1762, Manila, capitale delle Filip-

pine spagnole, fu conquistata dai britannici e Alexander Dalrymple, un geografo, spia e diplomatico scozzese, ne divenne il governatore. Questo mise a sua disposizione lo straordinario archivio di documenti conservato nella città, con una messe di informazioni sugli oltre duecento anni di navigazione condotti dagli spagnoli nel Pacifico. Dalrymple probabilmente prestò un’attenzione particolare ai rapporti di navigatori come Fernández de Quirós, che nella sua traversata del Pacifico occidentale credette di giungere alla Terra Australis (è effettivamente possibile che abbia scorto la costa

1767

IL PRIMO VIAGGIO DI COOK 94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Alexander Dalrymple fa pervenire all’Ammiragliato la sua proposta di viaggio per cercare il continente australe basandosi su una cartografia spagnola proveniente da Manila.

GRANGER / ALBUM

C R O N O LO G I A

1768 James Cook riceve l’incarico di guidare una spedizione per osservare il transito di Venere davanti al Sole nel Pacifico meridionale e subito dopo proseguire verso sud alla ricerca del continente australe.

CRONOMETRO USATO DA COOK NEL SUO SECONDO VIAGGIO. 1772.


Plymouth 26-VIII-1768

Tahiti 13-IV / 14-VII-1769

Rio de Janeiro 13-XI / 6-XII-1768

Terra del Fuoco 16/20-I-1769

Rotta del primo viaggio di Cook (1768-1771)

ROYAL GEOGRAPHICAL SOCIETY, LONDON, UK / BRIDGEMAN / ACI

1769 L’Endeavour doppia Capo Horn e arriva a Tahiti per osservare Venere. Una volta raggiunta la Nuova Zelanda, Cook crede si tratti del continente australe. Joseph Banks afferma che è la terra di Juan Fernández.

dell’economista Adam Smith e dello scienziato Benjamin Franklin, si affrettò a proporre all’Ammiragliato britannico una spedizione per esplorare il Pacifico del Sud. Il progetto ricevette l’appoggio dell’Ammiragliato e della Royal Society, la principale istituzione scientifica del Paese, che vide in esso l’opportunità di portare a compimento una missione scientifica di cui tutti parlavano all’epoca: l’osservazione del transito del pianeta Venere nei luoghi del Pacifico Meridionale. Anche se l’Ammiragliato accolse il progetto di Dalrymple con entusiasmo, ben presto ci si rese conto che l’ex governatore della sac-

1770

1771

Cook percorre la costa orientale dell’Australia, a cui dà il nome di Nuovo Galles del Sud. L’Endeavour si incaglia nella Grande Barriera Corallina australiana. È questo il momento più pericoloso del viaggio.

La spedizione, decimata dalle malattie, arriva a Città del Capo. L’Endeavour fa ritorno in Inghilterra con un carico di 30.000 esemplari di piante, animali, disegni, mappe, oggetti e osservazioni.

COOK VISTO DAGLI INDIGENI

La statuina lignea, proveniente dalla Nuova Zelanda, è una raffigurazione del capitano Cook realizzata dagli indigeni maori delle isole Cook. Museo d’Arte, Glasgow.

BRIDGEMAN / ACI

nord dell’Australia). Nel XVIII secolo, molti credevano ancora nell’esistenza di un grande continente molto popolato nell’emisfero sud del pianeta che aspettava soltanto che una potenza europea lo conquistasse. Lo stesso Dalrymple supponeva che la Terra Australis fosse ampia almeno 7500 chilometri e avesse 50 milioni di abitanti e assicurava che «i resti della sua economia basterebbero per mantenere il potere, il dominio e la sovranità della Gran Bretagna perché darebbero lavoro a tutte le sue manifatture e le sue imbarcazioni». Di ritorno a Londra dopo la restituzione di Manila alla Spagna, Dalrymple, con l’aiuto


SPIONAGGIO GEOGRAFICO

DALRYMPLE, LA MENTE DEL VIAGGIO

G

eografo, storico, statista e spia, Alexander Dalrymple (1737-1808) lavorò fin da giovane per la Compagnia delle Indie Orientali, una potente società commerciale che in quegli anni stava creando quasi da sola l’embrione dell’Impero britannico in Asia. A nome della Compagnia, Dalrymple fu per un breve periodo governatore di Manila, dopo la conquista da parte dei britannici durante la guerra dei Sette Anni (1756-1763). A Manila, Dalrymple si dedicò alla ricerca di informazioni sulle terre del Pacifico negli archivi e nelle biblioteche della città, in particolare nella biblioteca del convento di San Pablo, che fu saccheggiato. In mezzo a tutti i documenti trovò quello che è noto come Memorial de Arias, racconto del viaggio del pilota Juan

Fernández nel 1576, che dal Cile, seguendo la linea dei 40º di latitudine Sud, giunse a una terra che Dalrymple non ha dubbi a identificare con il continente australe. Allo stesso tempo descrive lo stretto attraversato da Torres nel 1606 tra la Nuova Guinea e l’Australia. Cartografia e memorie come quelle dello spagnolo Fernández de Quirós e i diari dell’olandese Tasman furono anche le fonti del progetto del viaggio.

NATIONAL MUSEUMS SCOTLAND

ALEXANDER DALRYMPLE

Geografo e botanico, Dalrymple rimase molto deluso quando l’Ammiragliato scelse Cook e non lui per guidare la missione alla ricerca del continente australe. Ritratto Dalrymple attribuito a John Thomas Seton. 1765.

cheggiata Manila non poteva comandare una presunta spedizione scientifica attraverso i domini spagnoli. A Dalrymple venne offerto un posto sulla nave, con il pretesto che la Marina non poteva accettare un civile al comando di una delle sue imbarcazioni, ma lo scozzese, deluso, lo rifiutò. Al suo posto, le autorità misero gli occhi su un marinaio che sino ad allora aveva svolto un ruolo tanto discreto quanto efficiente. A 40 anni, Cook non era ancora tenente, né aveva conosciuto i Mari del Sud e neppure aveva comandato una nave, ma in compenso aveva grandi conoscenze di cartografia, non aveva combattuto con gli spagnoli e, prima di arruolarsi in Marina, aveva navigato con

Gli ordini sigillati del viaggio dicevano: «Se il luogo è disabitato, prenderne possesso per conto di Sua Maestà»

96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

il tipo di imbarcazione che Dalrymple aveva proposto per la spedizione: una semplice nave carboniera. La celebre Endeavour non era altro che una nave di dimensioni modeste – con le sue 370 tonnellate di dislocamento rispetto alle 1500-5000 dei vascelli –, però aveva una grande portata ed era eccezionalmente stabile e resistente.

Verso l’avventura James Cook fu messo al comando di un equipaggio di 73 uomini, più dodici fanti di marina e dieci civili. In gran parte erano marinai esperti, come il luogotenente John Gore, che aveva già fatto due giri attorno al mondo, e i due capitani di vascello, Robert Molyneux e Richard Pickersgill. Quanto alla parte scientifica della spedizione, la Royal Society propose Charles Green, aiutante dell’astronomo reale, il dottor Bradley, per dirigere le osservazioni astronomiche, mentre la Marina cercò un giovane erudito con il quale Cook aveva già collaborato: Joseph Banks, che a sua volta portò con sé l’amico Daniel Solander, un eccellen-


L’OSSERVATORIO DI MOOREA

Il monte Rotui, sull’isola di Moorea. Qui James Cook installò un punto di osservazione del transito di Venere nel 1769. Erano presenti il re dell’isola, Tarroa, e sua sorella Nuna, che seguirono attentamente le spiegazioni del botanico Joseph Banks.

MATTEO COLOMBO / AWL IMAGES

te botanico svedese. Il ritorno in Inghilterra della spedizione del capitano Wallis servì per stabilire la prima destinazione segreta di Cook: l’isola di Tahiti, scoperta da Wallis proprio in quel viaggio, dove si sarebbero svolte le osservazioni astronomiche in programma. La nave, carica di provviste per i 18 mesi della durata prevista del viaggio, partì da Deptford il 30 luglio 1768. Fu lì che a James Cook furono consegnate le istruzioni segrete e sigillate che fissavano gli obiettivi politici e più riservati del viaggio, nello specifico la ricerca della Terra Australis a 40º di latitudine sud, come stabilivano i rapporti spagnoli, e la presa di possesso delle terre scoperte. Quest’ultimo punto era così formulato: «Con il consenso dei nativi, prendere possesso nel nome del Re della Gran Bretagna delle posizioni più convenienti di questo continente o, se il luogo è disabitato, prenderne possesso per conto di Sua Maestà con le insegne e le iscrizioni adeguate, come primi scopritori e possessori».

UN BOTANICO IN TERRA AUSTRALE Il naturalista e botanico Joseph Banks si unì alla spedizione di Cook nel 1768. Medaglia commemorativa della Royal Horticultural Society con l’effigie di Banks. 1820.

B R I D G E M A N / AC I

Dopo una sosta a Plymouth, l’Endeavour lasciò infine l’Inghilterra il 26 agosto. A Madeira fecero una fermata movimentata, nella quale un marinaio morì affogato. Oltrepassando l’Equatore, il 5 ottobre 1768, si celebrò il tradizionale “battesimo” dei marinai – e altri esseri viventi come cani e gatti – che non avevano mai passato prima la linea dell’Equatore, una cerimonia che consisteva nel legare il battezzato a una puleggia e farlo cadere e ritirarlo su per tre volte dall’albero maestro. Ventuno membri della spedizione erano in questa condizione, compresi Cook e Banks, anche se i viaggiatori più importanti evitarono il brutto momento in cambio di una certa quantità di brandy. Dopo aver fatto scalo a Rio de Janeiro – dove affogò un altro marinaio – e alle Malvine, l’Endeavour doppiò Capo Horn con facilità grazie a una eccezionale fase di tempo buono e venti moderati. Tuttavia, i sei giorni di sosta forzata nella Terra del Fuoco misero a dura prova la loro resistenza. Sebbene STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

97


OSSERVATORIO PORTATILE NEL QUALE UN OROLOGIO ASTRONOMICO VENIVA FISSATO AL SUOLO. FU USATO DURANTE IL SECONDO VIAGGIO DI COOK.

IL TRANSITO DI VENERE

ASTRONOMI NEI MARI DEL SUD

I

l transito di Venere è il momento in cui il pianeta si frappone tra la Terra e il Sole e la sua sagoma si disegna sul disco solare come in un’eclissi. Il fenomeno nel XVIII secolo si verificò nel 1761 e nel 1769, e il transito successivo ebbe luogo nel 1874. Tra il XVII e il XVIII secolo, vari astronomi, tra cui Edmond Halley, suggerirono che misurando con precisione il transito di Venere era possibile calcolare la distanza tra il Sole e la Terra. Dopo un tentativo fallito nel 1761, nel 1769 le autorità scientifiche britanniche predisposero vari punti di osservazione, dal Canada a Città del Capo, compresa Tahiti, all’epoca scoperta di recente. Cook riuscì ad arrivare in tempo e l’astronomo ufficiale Charles Green organizzò con grande meticolosità l’osservazione, il 3 giugno del 1769, cui avrebbero partecipato lo stesso Cook e il na-

turalista svedese Solander. Quel giorno il cielo era del tutto limpido, ma per via di un effetto atmosferico chiamato Black Drop (goccia nera), del quale si ignoravano le cause, e che rende difficile determinare con esattezza l’inizio e la fine del transito, i risultati furono deludenti. Green morì durante il viaggio di ritorno, e in patria le autorità scientifiche riservarono al suo operato solo aspre critiche.

DEA / SCALA, FIRENZE

Tahiti, la terra di Venere Raggiunto il Pacifico, Cook fece rotta su Tahiti. L’arcipelago della Polinesia era stato visitato poco tempo prima da Wallis e Bougainville, come gli uomini di Cook ebbero modo di provare subito vedendo che gli indigeni ostentavano oggetti di fattura europea, come le asce. A differenza di Wallis, Cook si attenne alle istruzioni che lo esortavano ad «adoperarsi con ogni mezzo equo per coltivare l’amicizia con i nativi». I marinai, dal canto loro, interpretarono l’ordine alla lettera e appena messo piede a terra si lasciarono affascinare dalla disinvoltura e dalla bellezza delle indigene, con le quali ben presto entrarono 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

TECNOLOGIA PER VEDERE GLI ASTRI Quadrante astronomico portatile simile a quello usato da Cook per misurare il transito del pianeta Venere da Tahiti nel suo primo viaggio.

SSPL / AGE FOTOSTOCK

l’Ammiragliato avesse fornito un equipaggiamento specifico per il freddo – compresi indumenti confezionati con un tessuto di lana molto pesante chiamato fearnought –, Banks rischiò di perdere la vita e due dei suoi servitori neri morirono per ipotermia durante una notte trascorsa a terra.

in rapporti intimi. Temendo la diffusione di malattie veneree, Cook cercò di imporre loro la continenza, ma dalle sue stesse descrizioni degli usi dei tahitiani si evince che non rimase indifferente alle tentazioni che gli si offrivano. Quanto a Banks, avrebbe poi descritto nei suoi racconti la suggestione che avvertì sbarcando su un’isola in cui «l’amore è la principale occupazione». Gli studiosi che partecipavano alla spedizione fecero disegni della fauna e della flora dell’isola e raccolsero esemplari di insetti, piante e minerali per le accademie londinesi. Osservarono anche gli usi degli indigeni e presto si resero conto che non avevano nulla dei selvaggi. Furono colpiti in particolare dalle conoscenze marittime dei tahitiani, al punto che li interrogarono sul continente australe e convinsero uno di loro, Tupaia, a unirsi alla spedizione e far loro da interprete. Il 14 luglio 1769, Cook lasciò Tahiti e si accinse a seguire il passo successivo delle istruzioni ricevute: scendere sino ai 40º di latitudine sud per localizzare il continente


NATIONAL MARITIME MUSEUM / ALBUM

australe. Una violenta tempesta fece temere all’equipaggio che avrebbero perso il velame necessario per tornare in Inghilterra; una notte, il disegnatore di bordo scrisse che la nave girava con tanta forza che i mobili volavano e gli uomini stessi temevano di essere strappati dalle amache in cui riposavano. Nonostante tutto, non appena il tempo lo permise Cook riprese la rotta verso il sud e il 7 ottobre, quando avevano appena superato i 40º di latitudine sud, avvistarono terra. Era la Nuova Zelanda, una terra scoperta, nella parte occidentale, dagli olandesi nel 1642 e che si pensava potesse far parte della leggendaria Terra Australis.

In cerca di un continente mitico Cook e i suoi uomini tentarono un approdo in quella che avrebbero poi battezzato Poverty Bay, nome scelto per la delusione rispetto alle aspettative iniziali. A differenza di Tahiti, infatti, quella era una terra inospitale e abitata da nativi ostili. Se Tahiti era l’isola di Venere, la Nuova Zelanda era la regione di Marte, il dio della guerra.

Gli scontri con gli abitanti del luogo finirono con alcuni morti tra gli indigeni, anche se alcuni gruppi, blanditi con diversi regali, finirono per mostrarsi più accoglienti. Dopo aver preso possesso del territorio – incidendo su un albero il nome della nave e la data, e issando subito dopo la bandiera britannica –, Cook passò i successivi quattro mesi esplorando la zona, il che gli permise di accertare che la Nuova Zelanda non faceva parte della Terra Australis, ma era invece un sistema insulare. La ricerca, dunque, doveva continuare. Il 1° aprile, l’Endeavour salpò dalla Nuova Zelanda e si diresse a ovest, mantenendosi sui 40º di latitudine sud. Nonostante i terribili

SCENE DI VITA A TAHITI

Barche da guerra dipinte da William Hodges. Il pittore si unì alla seconda spedizione di Cook (1772-1775) e dipinse numerosi paesaggi e scene di vita delle genti dell’Oceania. National Maritime Museum, Londra.

Per osservare il transito di Venere, Cook fece costruire un piccolo osservatorio, noto come Point Venus

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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/ SCA

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SCALA, FIRENZE

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Testa di animale

BRIDGEMAN / ACI

Maschera da lupo usata in rituali dell’isola di Nutka. Questo animale era considerato il Signore dei Morti e compare in diversi racconti. Museo Etnografico, Berlino.

SCALA , FIRENZE

nelle tre spedizioni, Cook e gli scienziati che lo accompagnarono raccolsero un’infinità di oggetti dei popoli con i quali entrarono in contatto. Spesso si trattava di doni dei capi indigeni in segno di amicizia e come benvenuto. Per esempio, il chirurgo dell’Endeavour, William Monkhouse, narrava che all’arrivo in Nuova Zelanda «ben presto i nativi iniziarono a barattare stoffe di Tahiti con i nostri uomini, dando in cambio i loro remi, tanto che rimasero con un numero appena sufficiente per tornare a terra». Oggi tutti questi oggetti sono esposti in vari musei d’Europa, Oceania e America. RITRATTO DI UN CAPO MAORI CON UN TATUAGGIO FACCIALE. INCISIONE A COLORI DI SYDNEY PARKINSON. 1769.

BRIDGEMAN / ACI

100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Armatura Riportata dal terzo viaggio di Cook, l’armatura in legno, decorata con volti umani, proviene dalla costa nord-ovest del Nordamerica. Museo di Archeologia, Cambridge.

Barchetta a foca Recipiente in legno a forma di foca dei chugach, popolo dell’Alaska; Cook fu il primo europeo a incontrarli nel 1778. British Museum.

Remo in cedro rosso Decorato con simboli rituali, veniva usato come dono di scambio tra i membri dell’élite tlingit della costa nord-ovest dell’America. Accademia delle Scienze, Lisbona.

SCALA, FIRENZE

I “souvenir” del capitano Cook


Strumento da pesca Proveniente dalla Nuova Zelanda, l’oggetto, il cui nome maori è Pohau Manga, è fatto di legno, osso e fibre vegetali. Museo Te Papa Tongarewa, Wellington.

AC I N/ MA DGE BRI

Le wakas (canoe da guerra) dei maori della Nuova Zelanda erano spinte da remi decorati come questo, raccolto da Cook nel 1769. British Museum.

BRIDGEMAN / ACI

Remo da guerra

Cappello in paglia Proveniente dalle Hawaii, fu riportato dal terzo e ultimo viaggio di James Cook (1776-1779). Accademia delle scienze, Lisbona.

Nel primo viaggio, Cook e i suoi uomini furono accolti e trattati molto bene dagli indigeni di Tahiti, soprattutto dal loro capo, Tupaia, che li accompagnò durante il resto del viaggio e li avvertì dei possibili attacchi. Incisione di Isaac Robert Cruikshank per il libro I viaggi del capitano Cook.

BRIDGEMAN / ACI

Trattati come dèi

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GLI ALTRI VIAGGI

DALLA GLORIA ALLA TRAGEDIA

D

opo il grande successo del viaggio dell’Endeavour, Cook si riposò soltanto per qualche mese prima di prendere nuovamente il mare con una seconda spedizione. Guidava una nave simile all’Endeavour, la Resolution, stavolta, però, accompagnato da un secondo vascello, più leggero, l’Adventure. Cook si diresse verso il Pacifico costeggiando l’Africa e dopo l’approdo in Nuova Zelanda scese fino a 71º di latitudine sud, superando il circolo polare antartico, ed ebbe la conferma definitiva che non esisteva una Terra Australis verso il polo sud (l’Antartide fu scoperta solo nel 1820). Un’équipe di 16 scienziati condusse ricerche di portata ancor più ampia di quelle del primo viaggio. Al suo ritorno in Inghilterra nel 1775, nominato capitano ed eletto membro della

Royal Society, Cook avrebbe potuto godersi una serena pensione, e invece un anno dopo partì per un nuovo viaggio, stavolta con l’obiettivo di scoprire il passaggio a nord-ovest tra il Pacifico e l’Atlantico passando per il Nord America. Quando giunse alle Hawaii nel 1779, però, in una scaramuccia con gli indigeni persero la vita lo stesso Cook e quattro membri dell’equipaggio, oltre a trenta nativi.

BRIDGEMAN / ACI

AUSTRALIA BRITANNICA

L’incisione di Samuel Calvert raffigura il momento in cui James Cook prende possesso dell’Australia in nome della Corona britannica nel 1770. Illustrated Sydney News Supplement, dicembre 1865.

temporali che si abbatterono sulla nave, il 19 aprile 1770 Cook avvistò nuovamente terra: si trattava del sud-est dell’Australia, l’immensa costa che olandesi e portoghesi avevano già percorso a ovest e a sud. Cook maturò la convinzione che la sua ricerca della Terra Australis fosse vana e che quel mitico continente non esisteva, «intendo a Nord di 40 gradi Sud – scrisse nel suo diario di bordo –, per quello che riguarda a Sud di tale latitudine non saprei dire. Di certo non abbiamo visto nulla che si potesse prendere per un segno di terra in vista, né nelle rotte verso nord né in quelle che si dirigevano verso sud». Il 29 aprile, Cook approdò

A Botany Bay, gli scienziati raccolsero una grande quantità di campioni FRUTTO DELL’ALBERO DEL PANE. VIAGGI DEL CAPITANO COOK. 1773. GRANGER / ALBUM

102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

in quello che dapprima si chiamò Stingrays Harbour, ma che poi fu registrato sulle mappe come Botany Bay, per la grande abbondanza di campioni animali e vegetali raccolti dagli scienziati dell’Endeavour. Gli aborigeni, tuttavia, sfuggirono ogni contatto. Cook proseguì lungo la costa australiana fino quando, il 10 giugno, la nave si avvicinò a un banco di corallo e si incagliò, subendo gravi danni allo scafo. Fu il momento più critico della spedizione. Tutti temettero di rimanere imprigionati per sempre in un luogo esposto alle tempeste e dove mai nessuno sarebbe giunto in loro soccorso. Un ufficiale, però, ebbe l’idea di cucire una grande quantità di lana, pelo e stoppa a un pezzo di vela, e si spinse dalla prua fin sotto la nave per tappare la falla, dopo di che si procedette con le riparazioni, che durarono sette settimane. Nel frattempo, si era reso necessario gettare in mare buona parte dell’artiglieria, dei barili d’acqua e della legna.


DAVID WALL / ALAMY / ACI

Cook apprese la lezione e non guidò mai più una spedizione di una sola nave. L’Endeavour avanzò fino a giungere all’imbocco dello stretto di Torres, dove il 22 agosto del 1770, su un isolotto roccioso chiamato Possession Island, Cook prese possesso di tutta la costa orientale del continente australiano in nome del re britannico Giorgio III, nonostante le istruzioni dell’Ammiragliato proibissero un atto simile, trattandosi di una terra abitata e la rivendicazione fosse fatta senza aver cercato il consenso della popolazione. Battezzò il territorio con il nome di Nuovo Galles del Sud.

Il rientro in Inghilterra Il viaggio di ritorno in Europa fu lento e ricco di ostacoli. Fino a quel momento, Cook era riuscito a mantenere sana e salva la maggior parte dell’equipaggio, grazie soprattutto a un’alimentazione ricca di vegetali che prevenne il più grande pericolo nei lunghi viaggi oceanici: lo scorbuto. Nella sosta a Batavia (l’attuale Giacarta, capitale dell’Indonesia), una città insalubre che aveva già colpito duramente la

spedizione di Wallis, molti marinai e membri della spedizione furono uccisi dalla malaria e dalla dissenteria. Ripreso il mare, l’Endeavour arrivò a fatica a Città del Capo il 14 marzo 1771, con appena sei uomini abili. Cook fu costretto ad arruolare dieci nuovi marinai per poter proseguire e raggiungere l’Inghilterra il 13 luglio del 1771, dopo un viaggio durato quasi tre anni. In Inghilterra l’impresa di Cook fu celebrata come un trionfo nazionale. Lord Sandwich investì 6000 sterline (più di quanto era costata l’Endeavour) perché uno scrittore molto in voga, John Hawkesworth, basandosi sui diari dello stesso Cook, narrasse il suo viaggio in toni epici, facendo del navigatore un eroe modello che incarnava il destino imperiale della Gran Bretagna. Per saperne di più

MARLBOROUGH SOUNDS

In questa regione della Nuova Zelanda, il capitano Cook scoprì un tipo di pianta, endemica della zona, molto ricca di vitamina C, che aiutò a curare e a prevenire lo scorbuto tra i membri del suo equipaggio.

TESTI

La riva fatale. L’epopea della fondazione dell’Australia R. Hughes. Adelphi, Milano, 1995. Giornali di bordo. Vol. 1: Il viaggio dell’“Endeavour” 1768-1771 James Cook. TEA, Milano, 2009.

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PICCOLA NAVE GRANDI SCOPERTE Con 32 metri di lunghezza e 370 tonnellate di dislocamento, l’Endeavour passava inosservata rispetto alle imponenti navi da guerra che solcavano l’Atlantico all’epoca, con una portata dieci volte maggiore. Per la sua resistenza e la sua maneggevolezza, però, era ideale per un viaggio d’esplorazione.

BRIDGEMAN / ACI

i cannoni perduti. Nel 1770, durante il viaggio di ritorno in Europa, l’Endeavour si incagliò nella Grande Barriera Corallina a est dell’Australia. Cook ordinò di gettare in mare 48 tonnellate di materiale, compresi sei cannoni. Nel 1969 un’équipe di archeologi localizzò in situ i sei cannoni, che oggi sono esposti in diversi musei del mondo.

4

DAVID COLEMAN / ALAMY / ACI

Nella pancia dell’ ‘Endeavour’

INTERNO DELLA REPLICA DELL’ENDEAVOUR COSTRUITA IN AUSTRALIA: LA SALA DA PRANZO O SALA DI SVAGO SOTTOCOPERTA.

Quando vennero avviati i preparativi per il primo viaggio di Cook, la marina britannica decise di acquistare una nave carboniera costruita quattro anni prima. Seppur di dimensioni modeste, era una nave robusta e il fondo piatto la rendeva ideale per navigare in acque profonde e al contempo avvicinarsi alla costa o risalire i fiumi. La Earl of Pembroke, ribattezzata Endeavour, costò 2840 sterline, a cui se ne

aggiunsero almeno altre 2294 per prepararla e riadattarla per il viaggio. Oltre a rafforzare e calatafare lo scafo, si costruì un nuovo ponte interno tra la coperta superiore e quella inferiore, il che permise di ricavare uno spazio riservato al capitano, ai suoi ufficiali e agli scienziati: una grande cabina 1 e una sala da pranzo o di svago 2. La nave fu dotata anche di dieci cannoni di ferro 3 e 12 cannoni girevoli.


2

1

3

L’ampia stiva 4  fu stipata di provviste, con carne, farina, riso, crauti, sale, olio, zucchero e una riserva d’alcol di circa 6000 litri. Dopo il viaggio di Cook, l’Endeavour cambiò nuovamente

nome e fu utilizzata come nave da trasporto e poi come nave prigione durante la guerra d’indipendenza americana, sino a quando non venne affondata dagli stessi inglesi nel 1778.

ILLUSTRAZIONE: ROBERT W. NICHOLSON / NGS


GRANDI SCOPERTE

Il tesoro dell’Oxus dal passato perduto del Tagikistan Nel 1877 furono trovati sulle sponde del fiume Amu Darya alcuni splendidi pezzi d’oro e argento elaborati intorno al V secolo a.C.

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

1877

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sponda nord dell’Oxus, vicino alla città di Takht-e Kobad, opposta a Khulm e a due giorni da Kunduz, fu trovato un grande tesoro d’oro e argento composto da statuine, ornamenti e monete».

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della ferrovia dell’Asia Centrale, si trovava nella regione e aspettava una nave per attraversare l’Oxus quando ebbe modo di esplorare un’area di rovine: «Gli abitanti che ci aiutarono – raccontò un anno più tardi durante un’intervista – ci dissero che avevano trovato fra le montagne di rovine una tigre d’oro massiccio». Poco tempo dopo fu Alexander Cunningham, direttore generale dell’Archaeological Survey of India, a evocare la scoperta in una rivista pubblicata nel Bengala: «Nel 1877, sulla

Ha luogo la scoperta del tesoro dell’Oxus sulle sponde del fiume Amu Darya, nell’attuale Tagikistan.

1880

Il ritrovamento Il tesoro in questione è una delle più pregiate raccolte dell’artigianato dell’Impero persiano achemenide (VIIV secolo a.C.). È conosciuto come tesoro dell’Oxus per via del luogo in cui venne trovato, Takht-e Kobad, un’antica città a sud dell’attuale Tagikistan, nella confluenza di due fiumi che in questo punto formano appunto l’Amu Darya o Oxus. Oggi si pensa che costituisse un insieme di offerte realizzate in un tempio o santuario di Takht-e Kobad nel corso di vari decenni o addirittura secoli.

Tre commercianti di Bukhara comprano pezzi del tesoro e successivamente li vendono a Rawalpindi.

1897

Augustus Wollaston Franks, acquistata parte del tesoro, dona la collezione al British Museum.

UOMO VESTITO CON ABBIGLIAMENTO MEDO REALIZZA UN RITUALE. TESORO DELL’OXUS. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

CARRO D’ORO BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

I

ntorno al 1880 iniziarono a circolare notizie a proposito di un tesoro straordinario rinvenuto nella valle dell’Amu Darya, il grande fiume dell’Asia Centrale conosciuto come Oxus nell’Antichità. Britannici e russi, che in quel periodo si disputavano il controllo della regione, furono i primi a darne notizia. Nel 1879, il numismatico inglese Percy Gardner scriveva: «Da pochi mesi il signor Alexander Grant, direttore delle Indian State Railways, ci ha informati che nell’Emirato di Bukhara è stato rinvenuto un grande tesoro d’oro e monete d’argento». Quello stesso anno, il generale russo N. A. Mayev, incaricato della gestione

in miniatura, condotto da due personaggi vestiti con il tipico abbigliamento medo. British Museum, Londra.

Di certo, i pezzi non ricomparvero in un solo luogo, ma disseminati lungo il fiume, il che sicuramente si spiega con l’erosione del giacimento a causa dell’azione dell’acqua, che avrebbe spo-

1931-1953

Il British Museum compra parte del tesoro dell’Oxus. Oggi sono esposti circa 180 oggetti.


GRAN COLLEZIONISTA

ramente cercatori di tesori delle tribù locali che conoscevano bene le ricchezze celate in quella zona. Un ufficiale russo scriveva a proposito di Takht-e Kobad: «Nonostante la desolazione del luogo, c’è sempre qualche gruppo di persone che cercano altri tesori. Raccontano che una volta trovarono un idolo in oro dell’altezza di un uomo». Quanto alla data, Cunningham affermava che la scoperta venne realizzata nel 1877, anche se

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

stato una parte del tesoro di alcuni chilometri. Questa era l’ipotesi formulata da Cunningham: «Si può ipotizzare che gli oggetti fossero conservati in casse di legno o vasi di argilla che andarono in pezzi quando la corrente fluviale li trascinò, e il loro contenuto rimase sparso sulle sabbie del fiume». Anche se le informazioni in proposito sono molto imprecise, sembra chiaro che gli oggetti vennero trovati da persone del luogo, sicu-

SIR ALEXANDER CUNNINGHAM fece parte dei Begal Engineers nell’esercito dell’impero anglo-britannico. L’interesse per storia e archeologia lo avrebbe portato alla nomina di direttore generale dell’Archaeological Survey of India nel 1871. Cunningham scrisse numerosi libri e riunì importanti collezioni di antichità e opere d’arte. Una delle collezioni più prestigiose, composta da monete d’oro e argento, andò perduta quando nel 1884 la nave che la trasportava naufragò di fronte alle coste dell’isola di Ceylon (Sri Lanka).

107


GRANDI SCOPERTE

Oreficeria di prima classe IL TESORO DI OXUS è composto da un’ampia varietà di oggetti: piatti, carri in miniatura,

gioielli, statuine, frammenti di recipienti, monete. I pezzi mostrati sono esposti a Londra, al British Museum.

Rappresentazione di animale fantastico. Illustra l’influenza dell’arte nomade delle steppe nella Persia achemenide.

sicuramente ebbe luogo in momenti diversi. Dopodiché, i pezzi furono messi in vendita da commercianti di passaggio e in circostanze rocambolesche.

Una lunga peripezia Come raccontò più tardi Ormonde Maddock Dalton, curatore del British Museum fra il 1921 e il 1928, nel maggio del 1880 tre commercianti di Bukhara diretti in India con grandi somme di denaro per comprare mercanzie deviarono il loro percorso venendo a sapere che l’emiro dell’Afghanistan imponeva un salato pedaggio a tutti i viaggiatori 108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Testa d’oro di giovane. Poteva far parte di una statua, forse in legno.

FOTOS: BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Statuina d’argento con tipico copricapo persiano. La nudità ne denuncia l’influenza greca.

Stambecco o capra di montagna d’argento, elemento decorativo di un recipiente andato perduto.

diretti a Kunduz. Venuti a conoscenza della scoperta del tesoro dell’Oxus, i commercianti decisero di acquistarlo per non portare con sé denaro in metallo e di nascondere i pezzi fra le loro mercanzie. Inizialmente lo stratagemma funzionò e riuscirono a eludere il pedaggio, ma fra Kabul e Peshawar furono assaliti dai banditi, che li portarono nella regione di Karkatcha, ricca di grotte. Lì, mentre i furfanti discutevano sulla suddivisione del bottino, uno dei servitori dei commercianti riuscì a scappare e chiese aiuto all’autorità britannica della zona, il capitano Francis C. Burton,

che riuscì a scovare i ladri e a recuperare il tesoro. Burton restituì il bottino ai suoi proprietari, non senza comprare un braccialetto d’oro che poi vendette al Museo di South Kensington – da dove due anni più tardi sarebbe passato al British Museum –. I commercianti proseguirono fino a Rawalpindi (attuale Pakistan), dove vendettero le loro mercanzie a pezzi singoli. Il tesoro si sarebbe potuto disperdere se non fosse stato per l’interesse di Alexander Cunningham, che acquistò diversi oggetti, e dell’antiquario Augustus Wollaston Franks, che ne acquisì altri,

in seguito aggiungendo quelli dello stesso Cunningham, per poi donarli alla sua morte, avvenuta nel 1897, al British Museum. Questa istituzione acquisì altri pezzi fra il 1931 e il 1953. Oggi il tesoro di Oxus è composto da 180 oggetti, molti dei quali sono veri capolavori di oreficeria, ma nessuno sa quanti ne siano andati perduti durante il loro lungo viaggio. FELIP MASÓ ARCHEOLOGO

Per saperne di più L’arte persiana Giovanni Curatola. Jaca Book, Milano, 2008.


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Il suo nome significa “città della pace”, eppure Gerusalemme è testimone da 3.000 anni di sanguinosi conflitti. Luogo sacro della fede cristiana, Betlemme è oggi uno dei punti caldi della questione mediorientale. Grazie a speciali permessi che hanno dato alla troupe di National Geographic l’opportunità di accedere a luoghi protetti, questo eccezionale documento filmato accompagna lo spettatore alla scoperta di una storia millenaria, di un incontro tra fedi religiose, di una terra segnata da secolari conflitti, ma anche di un forte desiderio di pace e convivenza tra popoli.

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L I B R I E A P P U N TA M E N T I

CIVILTÀ NORDICHE

La spiritualità di un popolo guerriero

O E.O.G. Turville-Petre

GLI DEI VICHINGHI

Edizioni Ghibli, 2016, 520 pp., 25 ¤

dino il sapiente, Thor il potente e Loki l’astuto sono solo alcune – forse le più note – divinità vichinghe, ma l’antico mondo nordico adorava un ben più ricco pantheon. Indagare il mondo spirituale di un popolo che non aveva ancora sviluppato una scrittura paragonabile a quella dei popoli mediterranei, tuttavia, ha di molto rallentato le indagini degli studiosi che si sono dovuti cimentare con criptici e magici segni runici, con saghe e leggende, con la

poesia degli scaldi e con le tradizioni orali, tramandate sì per secoli, ma giunte però a generazioni ormai lontane, generazioni che, oltretutto, si erano già allontanate dalla religione pagana vichinga. Alla ricerca si è dedicato Edward Oswald Gabriel Turville-Petre, che è stato docente di letteratura islandese antica all’Università di Oxford e non è certo un caso che sia proprio la letteratura dell’isola del ghiaccio e del fuoco a essere coinvolta. Le fonti a cui l’autore ha attinto sono

infatti i poemi e i testi trascritti nel corso del XIII secolo proprio nella remota Islanda, che sembra divenire quindi il luogo depositario della cultura e della spiritualità di un mondo al tramonto. L’Edda in prosa e quella poetica, libri redatti in Islanda, così come altri scritti dello storico e poeta islandese Snorri Sturluson, rappresentano infatti i principali testi di riferimento per la ricerca di informazioni sulla mitologia nordica. In sedici capitoli e oltre cinquanta illustrazioni, l’autore svela un mondo pagano a lungo ignorato, una religiosità popolata di dei e di divini eroi, di spiriti custodi e di sacrifici, di luoghi e di oggetti di culto e che si perde infine nelle origini del mondo e nella sua fine. (A.G.)

SAGGI

MITI E LEGGENDE DEI CONQUISTADORES SETTE CAPITOLI PER SETTE LEGGENDE, quelle che

hanno accompagnato la conquista spagnola delle Americhe, sette miti sulla colonizzazione del Nuovo Mondo che lo storico Matthew Restall indaga, analizza e, soprattutto, sfata. Con uno stile chiaro e divulgativo, l’autore individua quei luoghi comuni che hanno per esempio circondato le figure dei conquistadores e la loro presunta eccezionalità, quelli che hanno attorniato la reale reazione degli indigeni alla conquista iberica o ancora quelli relativi alla superiorità tecnologica degli spagnoli. Un volume in cui l’autore propone una nuova chiave di lettura dell’intera vicenda e in cui, tra leggende e falsità, si fa invece strada la storia. Matthew Restall

I SETTE MITI DELLA CONQUISTA SPAGNOLA

21 Editore, 2016, 254 pp., 16 ¤

110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AGENTI DELL’IMPERO Noel Malcolm Hoepli, 2016, 608 pp., 39 ¤

I TRATTATI DI UTRECHT a cura di Frédéric Ieva, Viella, 2016, 200 pp., 29 ¤

NEL CINQUECENTO tra gli Stati cristiani dell’Europa e la potenza ottomana si consumava una guerra, fatta certo di battaglie, ma anche di una sottile arte diplomatica e di spionaggio. Tramite le biografie di due famiglie veneto-albanesi, l’autore svela un Mediterraneo fatto di intrighi di potere e ambiziosi progetti.

A OGNI GUERRA segue una pa-

ce e quella firmata a Utrecht nel 1713 sancì la fine di quella di successione spagnola. Le trattative, le negoziazioni e la corrispondenza diplomatica tra le potenze coinvolte modificarono la geografia politica del continente, al punto che il trattato segnò «una pace di dimensione europea».


ARTE PRECOLOMBIANA

In mostra la bellezza del popolo maya INAH. MUSEO NACIONAL DE ANTROPOLOGÍA. CIUDAD DE MÉXICO, D.F.

A

K’INICH JANAHB’ PAKAL, PALENQUE, CHIAPAS, PERIODO CLASSICO TARDO, STUCCO.

rchitetti, matematici e astronomi, ma anche scrittori e artisti, i maya hanno lasciato nell’America centrale le tracce di un’antica, misteriosa e affascinante cultura. Ed è in particolare alle loro espressioni artistiche che la mostra allestita nelle sale di palazzo della Gran Guardia a Verona è dedicata. Organizzata dal governo messicano e dall’INAH, l’Instituto Nacional de Antropología e Historia, importante ente preposto alla conservazione e diffusione del

patrimonio archeologico messicano, l’esposizione raccoglie oltre 250 oggetti che spaziano dalla vita quotidiana a quella spirituale del popolo maya, ma tutti selezionati sulla base di un criterio artistico. Lungo un percorso che si articola in quattro sezioni tematiche, ci si potrà immergere nell’antico e millenario mondo maya e ammirare, tra gli altri, sculture in pietra e in terracotta dalle forme umane e animali, strumenti musicali e urne funerarie, frammenti di testi e di

mappe, vasi, incensieri, maschere di giada e – a indicare quanto la bellezza rappresentasse un elemento portante nella civiltà maya – anche abiti, collane e orecchini. Apparentemente vanesi e futili, la cura del corpo e l’attenzione per la bellezza rappresentarono in realtà uno dei tratti caratteristici di questa lontana civiltà e una tale attenzione all’estetica non poteva che sfociare nella bellezza che, dopo19 anni di assenza dall’Italia, torna a splendere in una mostra imperdibile. (A.G.) Maya. Il linguaggio della bellezza LUOGO Palazzo della Gran Guardia, piazza Bra, Verona TELEFONO 045 853221 WEB www.mayaverona.it DATE Fino al 5 marzo 2017

UMANESIMO TARDOGOTICO

La “prima” di Giovanni dal Ponte pientemente curato e dagli effetti scenografici, trovano posto capolavori quali l’Incoronazione della Vergine e la Madonna col Bambino in trono che, proprio per l’occasione, sono state sottoposte a un delicato lavoro di restauro che ne ha svelato gli splendidi colori, e ancora la Resurrezione di Cristo e il Trittico di San Giovanni evangelista. (A.G.)

MINNEAPOLIS (MINNESOTA), THE MINNEAPOLIS INSTITUTE OF ARTS, THE PUTNAM DANA MCMILLAN FUND

Q

uella allestita nella Galleria dell’Accademia di Firenze è la prima mostra monografica dedicata a Giovanni dal Ponte, pittore toscano vissuto tra il 1385 e il 1437/8. Si tratta di un’occasione unica per gli amanti della pittura che potranno avvicinarsi a un artista che grande importanza ebbe nel primo Rinascimento. Sono circa cinquanta le opere esposte, raccolte anche grazie alla collaborazione di enti museali di tutto il mondo quali la National Gallery di Londra, il Museo del Prado di Madrid e il Minneapolis Institute of Arts. In un allestimento sa-

RESURREZIONE DI CRISTO, GIOVANNI DAL PONTE, 1425-1430, TEMPERA E ORO SU TAVOLA.

Giovanni dal Ponte. Protagonista dell’Umanesimo tardogotico fiorentino LUOGO Galleria dell’Accademia, Firenze WEB www.accademia.org DATE Fino al 12 marzo 2017

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ITINERARI

2 VILLA ADRIANA

Largo Marguerite Yourcenar, Tivoli; www. villaadriana.beniculturali.it

I percorsi di Storica

La Valletta

Malta; www.visitmalta.com

Definita “città-fortezza”, il nome della capitale di Malta deriva proprio da quello del Gran Maestro Jean de la Valette che qui costruì la roccaforte dei cavalieri ospedalieri di San Giovanni.

seconda piscina, chiamata “inferiore” e che gli studiosi hanno ipotizzato essere quella del periodo del Secondo Tempio. Di forma trapezoidale, presenta tre serie di cinque scalini e pareti di pietra coperte di stucco. Che sia stata scoperta per caso? O si tratta forse di un miracolo? L’archeologia svela sempre segreti sorprendenti. pagina 16

gli archeologi e la bibbia

112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Napoli

3 LA VALLETTA

Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica

«Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe“. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva» (Vangelo secondo Giovanni 9, 6-7). Quello citato è il miracolo del cieco nato attribuito a Gesù e quella indicata è la piscina di Siloe 1 o Siloam che ancora oggi si può ammirare a Gerusalemme. Di preciso siamo sul fianco meridionale del monte Ophel, riconosciuto come il nucleo originario di Gerusalemme, e la struttura si presenta come una piccola area intaccata nella roccia che riceveva le acque del tunnel fatto scavare da Ezechia. Tuttavia sono stati degli operai intenti a lavorare sulla fognatura vicina a imbattersi in una sensazionale scoperta: accanto alla piscina, infatti, hanno individuato dei gradini di roccia che conducevano più a valle, a una

Tivoli

A pochi chilometri da Roma, tra i resti della sfarzosa residenza di Adriano, costruita su un dedalo invisibile di passaggi segreti.

villa a pianta quadrata si articolava a partire da un ampio peristilio attorno al quale si aprivano le diverse aree della residenza, quella servile che comprendeva le cucine con doppio forno, i bagni e le immancabili terme, quella produttiva in cui trovavano posto le cantine per la conservazione del vino e il torchio (visibile una riproduzione) e, ovviamente, quella residenziale, la zona signorile. Tra colonnati, portici e terrazze, la villa rappresentava un lussuoso rifugio fuori città, un’oasi immersa nella natura che i proprietari adornarono con affreschi che non fanno certo mistero della loro bellezza.

pagina 30

la villa dei misteri

Non vi è dubbio che tra le attrattive principali della villa dei Misteri di Pompei vi sia l’incredibile quanto ancora dibattuto ciclo pittorico dionisiaco, ma lo splendore e il mistero delle megalografie che sembrano quasi danzare nei loro vivaci colori attorno al visitatore,non dovrebbero tuttavia assorbirne l’intera attenzione. Il complesso, infatti, rappresenta una perfetta commistione tra villa d’otium e villa rustica, capace, a millenni di distanza, di fornire preziosi informazioni sulla vita nell’antica Pompei. La grande

pagina 48

villa adriana Costruita sui monti Tiburtini, Villa Adriana 2 era un monumentale complesso che su centinaia di ettari racchiudeva palazzi, teatri, terme, piscine e giardini e destinata, nelle intenzioni di Adriano, ad accogliere


4 NAPOLI

Campania; www.napoli-turismo.it

Nei tortuosi vicoli e nelle ariose piazze della città che conobbe la rivolta di Masaniello, con un occhio alla storia del capopopolo e uno agli splendori barocchi partenopei. Gerusalemme

1 PISCINA DI SILOE

Gerusalemme, Israele; www.itraveljerusalem.com

Nella città di Davide sulle orme di Gesù per scoprire i resti di una “miracolosa” piscina che rappresentò un importante punto d’incontro per i pellegrini giunti a Gerusalemme.

l’imperatore e la sua corte. Aggirarsi per il vasto parco archeologico tra i resti di un glorioso passato, potrebbe tuttavia far dimenticare quanto vi è sotto: le ricerche hanno infatti evidenziato che scendendo a sette metri di profondità da questa “città nella città”, ve ne è un’altra “sotto la città”. È quella fatta di cunicoli, gallerie, passaggi e persino strade carrabili sotterranei che, come una metropolitana antica, permetteva ai servitori di raggiungere ogni zona della villa senza essere vista dai suoi nobili abitanti. Brulicanti di cuochi e giardinieri affaccendati a provvedere ai pigri ritmi della corte sono ancora oggi in fase di studio, ma altrettanto affascinanti della villa che li sovrasta.

La Valletta 3 . Visitare la città è come ripercorrere la storia dell’ordine sull’isola che qui ha lasciato numerose testimonianze del proprio operato. Prima tappa è il palazzo del Gran Maestro edificato a partire dal 1571 secondo un impianto architettonico severo e austero e in cui ammirare la Stanza degli arazzi, che al tempo dei cavalieri ospitava le riunioni dell’assemblea dell’ordine, e la Stanza di San Michele e San Giorgio, che ospitava invece le riunioni del Gran Consiglio. In città non poteva mancare poi una chiesa dedicata a san Giovanni e per questo i cavalieri costruirono nel 1573 la concattedrale, la chiesa conventuale dell’ordine che divenne uno splendido esempio di arte barocca e che ancora oggi conserva la Decollazione di Giovanni Battista e il San Gerolamo di Caravaggio. Altra tappa imperdibile è la Sacra Infermeria risalente al 1574, espressione della vocazione assistenziale dei cavalieri, ospedalieri appunto. Divenuto oggigiorno un centro conferenze, nelle suggestive sale sotterranee ospita una mostra dedicata ai giovanniti. Ultima tappa, questa decisamente legata alla vocazione militare dell’ordine è il forte Sant’Elmo, arroccato sulla penisola di Sciberras e teatro dell’eroica resistenza degli ospedalieri all’attacco ottomano.

pagina 80 pagina 66

cavalieri ospitalieri Cacciati da Rodi nel 1522, i cavalieri ospedalieri si insediarono su un’altra isola: Malta. Qui costruirono una cittadella fortificata che oggi è

masaniello Eroe del popolo divenuto simbolo di riscatto ben oltre le vicende del 1647, Masaniello è indissolubilmente legato a Napoli 4 . Ancora oggi se ne possono seguire le tracce visitando i luoghi che

sono stati testimoni della sua rivolta. Il tour inizia in vico Rotto al Mercato, un’angusta e pittoresca stradina dove si trovava la casa natale del capopopolo, oggi ricordata tramite una targa recante un’iscrizione dedicata a Masaniello. Ma fu nella vicina piazza del Mercato che infuriò la rivolta, la stessa che oggi ospita due settecentesche fontane-obelischi e la chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato. Dalla piazza è inoltre visibile la vicina basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore, risalente al XIII secolo e mirabile esempio di barocco napoletano. Fu qui che Masaniello venne assassinato e qui che i suoi resti vennero conservati fino al 1799.

pagina 92

capitano cook

Un itinerario sulle tracce di James Cook dovrebbe seguire le storiche rotte nel Pacifico, fino alla lontana Australia, ma un volo fino a Melbourne risulta decisamente più comodo. Quel che forse sorprenderà è che è proprio qui – e non nella vecchia Inghilterra – che si trova la casa natale del navigatore. Strano, ma vero. Nell’ameno parco cittadino di Fitzroy Gardens, infatti, si trova il Cook’s Cottage, la casa costruita nel 1755 nel villaggio inglese di Great Ayton, Yorkshire, dai genitori dell’esploratore e venduta nel 1933 per essere poi smantellata, mattone per mattone, imballata in 253 casse e 40 barili, trasportata fino a Melbourne e qui finalmente ricostruita. Il Cook’s Cottage è così diventata la casa più antica di tutta l’Australia offrendo ai turisti la possibilità di immergersi nel passato di chi quella terra “scoprì”. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

113


Prossimo numero CRIMINALI A LONDRA: JACK LO SQUARTATORE

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

NEL 1888, Londra rimase scioccata dall’assassinio di cinque prostitute nell’East End, il quartiere con le condizioni di vita peggiori della città. L’autore di questi atti efferati, che costituirono per la stampa popolare un fruttuoso filone di vendita, non fu mai individuato. Venne chiamato Jack The Ripper, “lo Squartatore”, poiché questa era la firma che compariva su una delle lettere, probabilmente scritte dall’omicida, inviate alla polizia, che venne accusata di incompetenza.

CARLO IL TEMERARIO E LA BORGOGNA di Valois-Bourgogne, figlio di Filippo il Buono e di Isabella del Portogallo, si chiude un grande capitolo della storia di Francia: il progetto di trasformare in un regno autonomo il ducato di Borgogna, una regione che nei secoli ha rappresentato un territorio chiave nella storia d’Europa. Il Temerario, celebre per la sua acuta intelligenza quanto per la violenza del suo carattere, riflessa nel suo soprannome, cercò di affrancarsi dal vassallaggio al re di Francia con spericolate alleanze e con l’uso delle armi. CON CARLO

PHOTOAISA

I megaliti Nell’Europa atlantica di 6000 anni fa furono erette numerose costruzioni imponenti. Tra queste spiccavano maestose tombe ricoperte da grandi tumuli.

La disfatta di Sparta Sparta perdette la sua indipendenza nel II secolo a.C., dopo che la sua chiusa aristocrazia rifiutò le riforme dei sovrani Agide IV e Cleomene III, condannandoli a morte.

L’anarchia militare a Roma Nel III secolo si alternarono a Roma venti tra imperatori e usurpatori, provenienti dal mondo militare, che gettarono nel caos l’Impero.

La battaglia di Poitiers Nell’ottobre del 732, i guerrieri franchi di Carlo Martello sconfissero un esercito musulmano proveniente da al-Andalus, frenando l’espansione dell’Islam in Europa.



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