N. 97 • MARZO 2017 • 4,50 E
SPARTA
L’ANARCHIA MILITARE
I DRAMMATICI DECENNI DELL’IMPERO ROMANO
POITIERS
IL TRIONFO DI CARLO MARTELLO
CARLO IL TEMERARIO
772035 878008
IL CRIMINALE CHE TENNE LONDRA SOTTO SCACCO
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LO SQUARTATORE
70097
JACK
periodicità mensile
IL SOGNO DI FARE DELLA BORGOGNA UN REGNO AUTONOMO
germania
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AGIDE E CLEOMENE GLI ULTIMI EROI
presenta
UOMINI DI DIO
FEDE, POLITICA E CROCIATE. L’INARRESTABILE ASCESA DEI PONTEFICI DA GREGORIO MAGNO AD ALESSANDRO VI «Il vero imperatore è il papa»: queste parole, contenute in un testo del XII secolo, rendono bene l’idea della considerazione di cui godevano i titolari della Cattedra di Pietro in epoca medievale. Pastori di anime, ma anche, e talvolta soprattutto, veri e propri sovrani, decisi a tutelare l’autonomia e il potere dello Stato della Chiesa, senza disdegnare il ricorso alle armi. Ma che cosa spinse i pontefici dell’età di Mezzo alla grande scalata al potere temporale? Non solo l’ambizione o un calcolo strategico, ma la necessità di riproporre «l’incarnazione della Fede», rifiutando quelle tesi «spirituali» della funzione ecclesiale che ispirarono, per esempio, Celestino V, il pontefice del «grande rifiuto». Il Medioevo dei papi, tuttavia, non fu soltanto il lungo racconto di una vocazione gerarchica, lo spegnersi di un sogno teocratico e lo scatenarsi della repressione dell’eresia. A suo modo, esso può essere definito anche un passo verso la modernità. E il nuovo Dossier di «Medioevo» è l’occasione ideale per ripercorrere questa avvincente vicenda, attraverso i profili dei suoi protagonisti principali.
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EDITORIALE
La battaglia
di Poitiers è stata celebrata nei secoli come uno degli eventi decisivi contro l’avanzata araba in Francia e ammantata di un’aura mitica che si è protratta fino ai nostri giorni. In realtà, questa serie di eventi oggi viene letta in maniera diversa. Come ha scritto per esempio lo storico Franco Cardini, nostro collaboratore, «tale battaglia è in sé meno importante del mito cui ha dato origine, e al tempo fu utilizzata per esaltare la dinastia alla quale apparteneva Carlo Martello contro quella dei regnanti merovingi». Carlo Martello era infatti il capostipite della dinastia carolingia, nata dall’unione delle potenti famiglie dei Pipinidi e degli Arnolfingi, e che avrebbe assunto il potere con Pipino il Breve e poi con Carlo Magno. Nelle vicende legate ai raid musulmani in questa zona d’Europa, infatti, si intrecciarono lotte di potere che non avevano nulla a che vedere con le guerre di religione. Lo stesso sarebbe poi accaduto con l’imboscata di Roncisvalle, nella quale cadde Rolando, collaboratore e parente di Carlo Magno, celebrata con toni epici dalla Chanson de Roland. Come ha sempre scritto Cardini, «i guerrieri franchi vennero battuti in quell’occasione non già da musulmani, bensì da montanari baschi ostili alla marcia di un esercito straniero attraverso le loro terre». GIORGIO RIVIECCIO Direttore
Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION
N. 97 • MARZO 2017 • 4,50 E
SPARTA
Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 97
AGIDE E CLEOMENE GLI ULTIMI EROI
L’ANARCHIA MILITARE
PRESIDENTE
RICARDO RODRIGO
I DRAMMATICI DECENNI DELL’IMPERO ROMANO
CONSEJERO DELEGADO
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POITIERS
IL TRIONFO DI CARLO MARTELLO
ENRIQUE IGLESIAS
via Gustavo Fara 35 20124 Milano
CARLO IL TEMERARIO
IL SOGNO DI FARE DELLA BORGOGNA UN REGNO AUTONOMO
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LO SQUARTATORE IL CRIMINALE CHE TENNE LONDRA SOTTO SCACCO
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BRUGES. Sotto i duchi di Borgogna la città fiamminga fu un importante centro artistico e finanziario.
AVVISO AI LETTORI Gli indici 2016 di Storica National Geographic sono disponibili sul sito www.storicang.it
Grandi storie
20 Karnak, il grande santuario del dio Amon La spettacolare ricostruzione del grande tempio che i faraoni edificarono a Tebe, la capitale del loro regno. DI JOSÉ MIGUEL PARRA
34 Gli ultimi eroi di Sparta Agide IV e Cleomene III avviarono un programma di riforme per rilanciare la città dal declino e lo pagarono con la vita. DI MIREIA MOVELLÁN
46 L’anarchia militare di Roma Nel III secolo l’Impero conobbe un lungo periodo d’instabilità, durante il quale si succedettero più di cinquanta imperatori. DI MAURILIO FELICI
60 La battaglia di Poitiers L’espansione islamica in Europa fu bloccata nel 732 dall’esercito franco di Carlo Martello. DI ALBERTO RECHE
72 Il sogno di Carlo il Temerario La politica del duca che cercò di trasformare la Borgogna in uno Stato indipendente. DI M. MONTESANO
88 Jack lo Squartatore L’autore di cinque efferati crimini compiuti nel 1888 a Londra non fu mai catturato. DI I. PEYRÓ HERMES. COPIA ROMANA DI UN ORIGINALE GRECO. CARLSBERG GLYPTOTEK, COPENAGHEN.
Rubriche
8 PERSONAGGI STRAORDINARI
Raimondo Lullo
Dedicò la sua vita a convertire gli “infedeli” imparando l’arabo e servendosi di metodi innovativi.
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L’EVENTO STORICO
La guerra delle arance
Nel 1801, la pressione diplomatica di Napoleone spinse la Spagna a muovere guerra al Portogallo.
16 VITA QUOTIDIANA
La moda nell’antica Grecia
Le donne greche indossavano per lo più ampie tuniche elegantemente drappeggiate.
106 GRANDI SCOPERTE
Enkomi, la grande città dell’Età del bronzo La riscoperta su Cipro di un insediamento che fiorì grazie al commercio del rame.
110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI 114 PROSSIMO NUMERO
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Le nostre proposte di viaggio
Proposta di viaggio in occasione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia; spostamenti in pullman e treno veloce; servizio accompagnatore per l'intero periodo; trattamento in pensione completa in hotel 4 stelle a San Pietroburgo e Mosca; assicurazione medico-bagaglio; visita ai principali siti storici. Extra quotabile a parte volo A/R dalla città di partenza all’aeroporto di San Pietroburgo e Mosca. PROGRAMMA: 3 giorni a San Pietroburgo con visita alla Prospettiva Nevsky, Cattedrale di Kazan, Piazza del Palazzo d’Inverno, Piazzale delle Colonne Rostrate, Ammiragliato, Piazza Sant’Isacco con l’omonima cattedrale, Incrociatore Aurora, Fortezza di Pietro e Paolo, Museo Hermitage, Cattedrale di Smolny, Museo statale della Storia politica della Russia; 3 giorni a Mosca con visita alla Piazza Rossa, Chiesa di San Basilio, via Tverskaya, Piazza Teatralnaya e il Bolshoi, Lubianka, Collina dei Passeri, Museo della Storia Contemporanea, Mausoleo di Lenin, Cremlino, Museo di Lenin presso Gorki Leninskie. Partenza del viaggio soggetta ad un minimo di partecipanti; per le condizioni di vendita e le assicurazioni si faccia riferimento al sito www.sulleormedellastoria.it
PERSONAGGI STRAORDINARI
Raimondo Lullo, cavaliere, filosofo e missionario A seguito di alcune esperienze visionarie, Lullo dedicò la sua vita a convertire gli infedeli, soprattutto musulmani, imparando l’arabo e servendosi di metodi innovativi.
Nel nome della ragione e della fede 1232 Raimondo Lullo nasce da una famiglia nobile coinvolta nella conquista di Maiorca capeggiata da re Giacomo I d’Aragona.
1263 Le visioni di Cristo che folgorano Lullo si concentrano intorno a questa data, spingendolo verso una vita ascetica.
1287 Visita Parigi per la prima volta. È ricevuto dal sovrano e impartisce una lezione sul suo metodo all’università.
1307 Viaggia fino a Béjaïa (città nell’attuale Algeria) con il proposito di discutere di religione con i musulmani.
1315
N
ell’anno in cui si celebra il settimo centenario della morte del filosofo Raimondo Lullo, vale la pena ricordare questa complessa figura di portata universale, al di là dell’interpretazione data da inquisitori e mitomani occultisti che l’hanno spesso chiamata in causa. La vita di Lullo, caratterizzata da peripezie che rasentano la fantasia, è connessa a dibattiti molto attuali, come il dialogo fra religioni, la pace nel mondo e la riforma delle istituzioni corrotte. Raimondo Lullo nacque in una famiglia d’alto rango di Barcellona. Il padre e lo zio avevano partecipato alla conquista dell’isola di Maiorca capeggiata da Giacomo I d’Aragona (1229), guadagnandosi sul campo onori e vasti possedimenti. Il giovane cavaliere apparteneva dunque alla ristretta élite di conquistatori dell’isola che poteva permettersi di vivere di rendita. Si sposò presto con una giovane della ricca nobiltà, Blanca Picany, dalla quale ebbe due figli, Domingo e Magdalena. Ricoprì il ruolo di “siniscalco del re” presso la piccola corte dell’infante Giacomo II, figlio di Giacomo I, il quale sarebbe stato proclamato re di
Maiorca nel 1276 alla morte del padre. Nella capitale dell’isola, Lullo conduceva una vita da cavaliere, componeva canzoni alla maniera dei trovatori e s’abbandonava alle «lascivie dell’epoca», probabilmente relazioni extraconiugali. Finché, intorno ai 30 anni, visse una profonda crisi spirituale.
La conversione Secondo quanto racconta lo stesso Lullo nella sua biografia, intitolata La vita coetanea, una notte, mentre era intento a scrivere una canzone d’amore per una dama, ebbe una visione di Cristo sulla croce. Si mise a letto spaventato, cercando di dimenticare quanto gli era accaduto, ma, una settimana dopo, la visione si ripeté, e così un’altra volta, fino a cinque apparizioni. Lullo le interpretò come un’esortazione di Dio a lasciare le cose mondane per mettersi al suo servizio. Allora decise di rinunciare ai privilegi e al suo status, abbandonando moglie e figli, per vivere nella fede cristiana e praticare la pietà, l’austerità, la carità e la penitenza più rigorose. Senza mai abbracciare ordini religiosi, preferì rimanere laico pur indossando vesti particolari. Dopo la sua conversione, Lullo si dedicò anima e corpo a una missione
Lullo trascorse la gioventù tra l’élite dei nobili che avevano conquistato l’isola di Maiorca
Scrive la sua ultima opera a Tunisi e muore poco dopo, forse sulla via del ritorno a Maiorca.
MONETA CON GIACOMO II D’ARAGONA. MUSEO NACIONAL DE ARTE, BARCELLONA. PHOTOAISA
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MAESTRO NELL’ARTE DEL RAZIOCINIO ad affrontare le sue dispute religiose con ebrei e musulmani, Lullo ideò una serie di metodi d’argomentazione che sono citati nel suo Ars inveniendi veritatem, ossia l’arte di scoprire la verità. Espone un procedimento sofisticato, con grafici e combinazioni logiche pronte, secondo l’autore applicabili a qualunque tipo di problema. Quest’opera garantì a Lullo una schiera d’ammiratori entusiasti, quali Nicola Cusano nel XV secolo, il grande filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz nel XVII e, in tempi più recenti, Umberto Eco. Altri invece, come René Descartes, non lo considerarono affatto efficace. PER PREPARARSI
RAIMONDO LULLO ESPONE I PRINCIPI DELLA SUA ARTE. MINIATURA DEL BREVICULUM. BIBLIOTECA DI KARLSRUHE. PRISMA / ALBUM
epocale: convertire gli “infedeli” detti anche “saraceni”, cioè i musulmani. Era sua intenzione incontrare le comunità ebrea e islamica nei territori della corona d’Aragona, ma sognava pure di poter raggiungere i popoli dell’Africa settentrionale e della Terra Santa. Ideò un metodo basato sulla discussione con i capi religiosi musulmani, volto a dimostrare la superiorità della religione cristiana, e a tal fine scrisse «un’opera, la migliore del mondo, contro gli errori compiuti dagli infedeli». Era deciso a incontrare il papa a Roma, nonché principi e re cristiani, per chiedere il
loro sostegno e creare centri dove persone selezionate avrebbero imparato le lingue necessarie a comunicare con gli infedeli, come l’ebraico, l’arabo e il greco. E, grazie al sostegno del sovrano e del papa, fondò la prima scuola a Miramar (Maiorca). Durante la preghiera, Lullo praticava anche la meditazione. Compì pellegrinaggi a Rocamadour, nel sud della Francia, a Santiago de Compostela e a Roma, preparandosi per le sue missioni. Durante dieci anni si concentrò sullo studio per apprendere tutto il possibile, in primo luogo l’arabo,
perché altrimenti gli sarebbe stato impossibile qualunque contatto con la cultura islamica. Perciò, prese con sé uno schiavo musulmano per farsi insegnare l’idioma parlato e scritto, ma in seguito il servo attentò alla sua vita finendo suicida in carcere. Lullo ha lasciato centinaia di opere rivolgendosi a un pubblico cosmopolita, inserito nella vita cittadina, e scrisse soprattutto in catalano, ma anche in latino e, sporadicamente, in arabo. Inoltre, s’interessò direttamente di far copiare, tradurre e distribuire i libri che aveva scritto, riuscendo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
NELLA TERRA DEGLI INFEDELI UN MANOSCRITTO dell’autobio-
grafia di Lullo, La vita coetanea, contiene una dozzina di miniature assai suggestive che illustrano la vita del filosofo maiorchino. Nella scena accanto, la visita di Lullo a Béjaïa nel 1307. Dopo aver raggiunto la città maghrebina via mare 1, Lullo si rivolge alla folla con queste parole: «La legge di Cristo è vera e santa, quella dei saraceni erronea e falsa, io lo proverò a chiunque» 2. Segue una discussione con il qadi, il quale lo avverte: negare la legge di Maometto comporta la pena di morte 3. Quindi, i musulmani infieriscono su di lui picchiandolo e tirandolo per la barba 4 e infine lo rinchiudono in prigione 5.
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a diffondere il suo pensiero in tutta Europa. Scrittore e poeta di talento, Lullo si occupò di teologia, cosmologia, scienza e diritto con il fermo proposito di coinvolgere nuovi adepti nel suo progetto di riforma e conversione al cristianesimo. Il Libro del gentile e dei tre savi e il Libro dell’ordine della cavalleria ebbero notevole ripercus-
PRISMA / ALBUM
MINIATURA DEL CODICE BREVICULUM. BIBLIOTECA DI KARLSRUHE.
sione in tutto il Vecchio Continente. Il Libro dell’amico e l’amato, ritenuto una delle sue opere più importanti, esercitò grande influenza sulla storia della mistica occidentale. Nella sua letteratura prevale una visione mistica del cosmo. L’amore pervade ogni cosa; e in Lullo, personaggio incredibilmente attivo, domina l’ottimismo.
UN DONO PROFETICO IN EVAST E BLANQUERNA, che scrisse nel 1294, Rai-
mondo Lullo anticipa profeticamente di alcuni mesi la rinuncia al pontificato di papa Celestino V, il primo nella storia della Chiesa. Il seguente è stato Benedetto XVI nel 2013, che secondo fonti certe conosceva l’opera di Lullo, forse influente sulla sua decisione. PAGINA DA EVAST E BLANQUERNA. EDIZIONE DI VALENCIA, 1521. PRISMA / ALBUM
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Uomo instancabile, riuscì a visitare ogni centro culturale e politico dell’epoca degno di nota. A Montpellier, feudo preferito del sovrano maiorchino Giacomo II, Lullo trovò uno stimolante polo universitario dove rimase a scrivere diverse opere. Si recò a Parigi quattro volte, ottenendo il titolo di maestro delle arti. Inoltre, fu a Roma in almeno tre occasioni per offrire i suoi consigli ai papi.
Missione impossibile Barcellona, Genova, Palma, Perpignan, Messina, Napoli, Palermo e Pisa furono altre mete dei suoi viaggi: per lui tutto il Mediterraneo occidentale era casa. Come riuscì a farsi ascoltare da tanta gente? Il carisma di quest’uomo solitario e geniale doveva essere enor-
TONO BALAGUER / AGE FOTOSTOCK
SEPOLCRO di Raimondo Lullo,
custodito presso il convento di San Francesco a Palma di Maiorca. Fine del XV secolo.
me. Eppure, i risultati pratici dei suoi incontri furono assai modesti, poiché nelle alte sfere le riforme urgenti sono sempre posticipate. Lullo intendeva convincere diverse categorie di persone: prima di tutto i musulmani, ma anche gli ebrei, i cristiani dissidenti, i pagani e le persone non credenti. Forte delle sue «ragioni decisive» sfoggiava le sue argomentazioni pronto a farsi valere con chiunque, nelle moschee e nelle sinagoghe di Maiorca e della Catalogna, così come pure nel mondo islamico, nelle città del Nord Africa che visitò in tre occasioni e che furono teatro degli episodi più drammatici dei suoi anni di apologeta. Nel primo di questi viaggi, avvenuto nel 1293, Lullo si recò a Tunisi. Nella sua biografia narra il tentativo di far nascere una discussione a sfondo religioso con gli eruditi più esperti della città, cui promise di convertirsi
all’Islam qualora l’avessero convinto con argomentazioni più valide del cristianesimo. Ma, secondo quanto riportato, proprio quando stava iniziando a raccogliere i primi frutti del suo lavoro, alcuni oppositori convinsero il sultano a catturarlo e a metterlo sotto processo. Fu condannato a morte, ma la pena venne successivamente commutata in esilio.
Malmenato e bastonato Nel 1307, all’età di 75 anni, Lullo visitò Béjaïa, una città oggi algerina che manteneva stretti rapporti commerciali con Maiorca e la Catalogna. Anche in quell’occasione, il maiorchino provocò una discussione a proposito di religione con gli esperti locali dell’Islam e il qadi, il giudice. Ma si ritrovò da solo contro tutti e, per proteggerlo, il qadi lo fece rinchiudere in carcere. Nella sua biografia, Lullo racconta l’esperienza in terza persona: «Quando Ramon lasciò
la casa del qadi diretto alla prigione, lo colpirono a suon di pugni e bastonate trascinandolo brutalmente per la barba. Allora, lo rinchiusero nelle latrine del carcere assieme ai ladri, ove rimase qualche tempo a vivere di stenti». Fece ritorno a Tunisi nel 1314, accompagnato da alcune lettere di raccomandazione di Giacomo II, e questa volta fu ben accolto dal sultano, potendo così beneficiare del clima politico favorevole di allora. Non sappiamo se concluse la sua esistenza in quelle terre: sembra più probabile che sia morto facendo ritorno a Palma di Maiorca, all’età di 84 anni. VÍCTOR PALLEJÀ DE BUSTINZA ESPERTO DI CULTURA ARABA E ISLAMICA
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SAGGI
Raimondo Lullo. Opere e vita straordinaria di un grande pensatore medievale Sara Muzzi. Edizioni Terra Santa, 2016.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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La guerra delle arance il grande trionfo di Godoy Nel 1801, la pressione diplomatica di Napoleone costrinse Manuel Godoy, favorito di Carlo IV, a lanciare una guerra contro il Portogallo che fruttò alla Spagna la città di Olivenza.
N
el dicembre del 1800, un anno dopo che Napoleone Bonaparte era salito al potere in Francia e aveva cominciato a muovere i primi passi per la conquista dell’Europa, il fratello minore si trasferì a Madrid nelle vesti di ambasciatore francese. Pochi giorni dopo, Luciano scrisse a Napoleone per compiacersi dell’accoglienza che il governo spagnolo gli aveva riservato: «Qui mi colmano di favori. Sua Eccellenza ha abbattuto le barriere dell’etichetta. Vengo ricevuto ogni volta
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che ne ho voglia, e in udienza privata. Converso con il re e la regina su qualsiasi argomento». L’ambasciatore aveva acquisito un tale ascendente su Carlo IV, sua moglie Maria Luisa e Manuel Godoy, il favorito di entrambi, che gli ci volle solo una settimana per raggiungere l’obiettivo che lo aveva portato a Madrid: firmare un trattato (il 29 gennaio del 1801) in base al quale la Spagna e la Francia si alleavano per costringere il Portogallo a rompere l’alleanza con la Gran Bretagna, il principale nemico di Napoleone, e a chiudere i suoi porti e le
sue coste al commercio inglese. In caso contrario, lo Stato lusitano sarebbe stato occupato da truppe spagnole e francesi. Il primo ministro Godoy rivolse un ultimatum al Portogallo, che fu rifiutato dal suo re, Giovanni di Braganza. Costui era sposato con una figlia di Carlo IV, cosa che spinse il monarca a rammaricarsi davanti a Luciano Bonaparte al momento di ordinare la mobilitazione contro il Portogallo: «Vedete, caro ambasciatore, quale disdetta è essere un sovrano e vedersi obbligato dalla politica a fare la guerra contro la propria figlia».
ORONOZ / ALBUM
L’EVENTO STORICO
UNA BAMBINA PER NAPOLEONE era talmente desiderosa di guadagnarsi i favori di Napoleone Bonaparte che la regina Maria Luisa era disposta a concedergli in sposa la figlia tredicenne (nel celebre ritratto di famiglia di Goya la si vede con il braccio della madre sulle spalle) se egli avesse divorziato da Giuseppina. Luciano Bonaparte scrisse una lettera al fratello per informarlo della proposta, ma Napoleone non si degnò di rispondere. LA CORTE SPAGNOLA
FUERTE SANTA LUZIA a
Elvas. Fa parte del sistema di fortificazioni costruito in questa città dell’alto Alentejo portoghese nel XVII secolo.
SIGNATUR
Le truppe cominciarono subito a schierarsi lungo la frontiera portoghese. La Francia inviò 15.000 soldati, che si acquartierarono a Ciudad Rodrigo, mentre la Spagna ne mobilitò 60.000, così ripartiti: 20.000 in Galizia, 10.000 in Andalusia e 30.000 nell’Estremadura. Sotto la supervisione francese, le operazioni furono pianificate nel minimo dettaglio, e per la prima volta fu disposto il servizio di stato maggiore, anche se in nessun momento fu necessario l’impiego militare delle truppe napoleoniche. Da parte sua, Giovanni di Braganza poteva contare solo su 40.000 effettivi. A questi non si
aggregarono truppe britanniche, perché i loro generali si erano risentiti del fatto che il Portogallo non avesse accettato un comandante in capo inglese. Una decisione che probabilmente risultò fatale alla causa portoghese.
Attacco dall’Estremadura Godoy raggiunse Badajoz per guidare personalmente l’esercito di stanza nell’Estremadura, l’unico che alla fine sarebbe passato all’azione, dato che quelli in Andalusia e in Galizia erano stati schierati solo per obbligare il nemico a dividere le proprie truppe. Il 14 maggio, il favorito tenne un discorso patriottico nel quale giustificò la
Olivenza cadde in mani spagnole senza che fosse sparato un solo colpo MARIA DEL PORTOGALLO, MADRE DEL REGGENTE GIOVANNI DI BRAGANZA.
partecipazione francese in quell’impresa, attribuendosi al tempo stesso tutti i meriti della prevedibile vittoria. Un’ordinanza emessa due giorni dopo annunciava le dure punizioni per tutti quei soldati che avessero esitato in battaglia o dato segno di codardia, iniziativa che denunciava la scarsa fiducia che Godoy riponeva nelle truppe spagnole e il timore di coprirsi di ridicolo al cospetto degli alleati napoleonici. Di contro, il primo ministro prometteva ricompense e riconoscimenti a tutti coloro che si fossero battuti con valore. L’invasione ebbe inizio il 20 maggio, e subito cadde una ventina di città, tra cui Olivenza, la più importante. La verità è che i portoghesi non opposero praticamente alcuna resistenza e, nel caso di Olivenza, non fu sparato un solo colpo. Un po’più sofferta fu la conquista dell’enclave di Arronches che, secondo i dati degli spagnoli, probabilmente esagerati, costò al Portogallo 230 vittime tra morti e feriti, oltre a 280 prigionieri, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
D E A / A L B UM
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L’EVENTO STORICO
CHIESA DELLA RIDUZIONE
ANTONELLO / GETTY IMAGES
gesuita di São Miguel das Missões, a sud del Brasile, nella regione conquistata dai portoghesi nel 1801.
contro gli otto morti e le poche decine di feriti tra le file spagnole. Il 4 giugno, nei pressi di Crato, furono catturati 350 soldati portoghesi in possesso di un gran numero di bagagli e di altri beni. Ma la battaglia più importante, almeno per quanto riguarda la durata, si tenne a Campo Maior. I suoi abitanti, assediati dal 21 maggio, si rifiutavano di arrendersi, motivo per cui tre giorni
dopo iniziarono gli attacchi. Dapprincipio gli assediati risposero colpo su colpo all’imponente potenza di fuoco dispiegata dagli spagnoli; in seguito, constatate la superiorità militare degli avversari e l’impossibilità di ricevere rinforzi, il comando portoghese si vide costretto a consegnare la città. Era il 6 giugno, lo stesso giorno in cui fu siglata la pace. Nel complesso, entrambi
CITTÀ CONTESA IN SEGUITO ALLA CESSIONE forzata di Oli-
venza (1801), i portoghesi presentarono – e presentano ancora oggi – petizioni per la sua restituzione. Una clausola del trattato di Vienna del 1815 esortava la Spagna a negoziare la restituzione di Olivenza e del suo distretto. FONDI CARTOGRAFICI © INSTITUTO GEOGRÁFICO NACIONAL, ESPAÑA
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gli schieramenti contarono duecento vittime tra morti e feriti.
I rami d’arancio Va inoltre ricordato l’episodio che diede il nome alla guerra: l’assedio del castello di Elvas, dove Godoy colse due rami d’arancio che inviò alla regina Maria Luisa di Parma come segno di vittoria. Nelle sue memorie, il favorito riporta questo evento con toni epici: «I rami furono raccolti nei fossati di Elvas il 20 maggio, quando il nemico era barricato all’interno della cittadella fortificata. Una pioggia di proiettili si rovesciava sopra i valorosi che compirono quell’impresa, e oltre ai rami essi presero anche qualche prigioniero. Volli che il re venisse a conoscenza dell’audacia dei suoi soldati». Godoy si attribuisce anche il merito di aver fermato il conflitto. «Nulla mi impediva di proseguire, di passare il Tago e arrivare a Lisbona […] Se solo avessi richiamato le truppe ordinarie che si
Manuel Godoy, l’artefice della vittoria AL TERMINE DELLA GUERRA contro il Portogallo, Francisco Goya, pittore di camera di Carlo IV, realizzò
uno straordinario ritratto di Godoy, forse commissionato dallo stesso primo ministro. Carico di onorificenze, il favorito è raffigurato su uno scenario di guerra che enfatizza le dimensioni del conflitto. Ussari e ufficiali di cavalleria al fronte durante la guerra contro il Portogallo.
Aiutante sul campo di Godoy, forse il conte di Peralta.
trovavano ancora in Spagna, avremmo potuto continuare le conquiste». Ma, a suo dire, preferì evitare che i soldati francesi restassero troppo tempo in Spagna, dal momento che Napoleone era un uomo ambizioso e irrequieto, che considerava «il commercio e gli scambi di città e province alla stregua di una partita a carte». Dopo soli diciotto giorni di scontri, il Portogallo accettò di intavolare colloqui di pace. Il 6 giugno, a Badajoz, venne firmato un trattato in base al quale il governo portoghese si impegnava a chiudere i suoi porti agli inglesi e a vigilare sul contrabbando lungo le sue frontiere. Inoltre, la Spagna chiese e ottenne a titolo definitivo Olivenza e l’area limitrofa, affermando che in passato la città era appartenuta alla corona spagnola; di conseguenza, il confine con il Portogallo venne spostato più a ovest, lungo il corso del Guadiana. Il trattato di pace, però, non lasciò soddisfatto
ORONOZ / ALBUM
Godoy, in uniforme di capitano generale, con un dispaccio di guerra in mano.
Bandiere portoghesi sottratte in guerra e donate dal re a Godoy.
Napoleone, il quale voleva imporre condizioni più dure agli sconfitti, inclusa l’occupazione di parte del suo territorio. A trarre profitto da quell’operazione fu anche Luciano Bonaparte, che tornò in Francia carico di doni da parte del governo spagnolo, tra cui venti quadri delle collezioni reali e diamanti per un valore di 200.000 duro.
attraversava quella regione di frontiera, e si protrasse fino alla fine del 1801. A guerra ultimata, il Portogallo si appropriò di un’ampia porzione di territorio che sarebbe rimasta per sempre annessa al Brasile. Secondo quanto stabilito dal trattato di Badajoz, Spagna e Portogallo dovevano ripristinare le frontiere antecedenti la guerra, ma ciò non accadde dal momento che i portoghesi, Disfatta americana se da una parte reclamavano la restituAnche se si tende a dimenticarlo, la zione di Olivenza, dall’altra si rifiutaguerra tra Spagna e Portogallo si svi- vano di restituire i territori americani luppò su un secondo fronte, a migliaia conquistati. La nascita degli Stati indidi chilometri di distanza. A metà luglio, pendenti in America del Sud, a partire i portoghesi in Brasile vennero a sape- dal 1808, rese impossibile qualsiasi re dell’inizio delle ostilità nella Peni- ritorno alle vecchie frontiere. sola Iberica e, alleati con un gruppo JUAN CARLOS LOSADA STORICO indigeno, invasero zone dell’attuale Paraguay appartenenti al vicereame spagnolo del Rio de la Plata per annetImperi dell’Atlantico. America Per e America spagnola, saperne britannica tere le missioni gesuitiche locali. Il con1492-1830 di più flitto era l’ennesimo episodio della coJohn H. Elliott. Einaudi, Torino, 2010. stante tensione che da quasi un secolo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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V I TA Q U OT I D I A N A
Moda in Grecia, semplice ma elegante Gli abiti delle donne greche erano perlopiù ampie tuniche che, grazie a sapienti drappeggi e fibbie, diventavano capi d’effetto a misurare fino a quattro metri in larghezza e tre in altezza. Veniva avvolto attorno al corpo, piegando su se stessa la parte superiore, per creare una specie di falda, chiamata apotygma, che ricadeva sul petto e sulla schiena. Il peplo si fissava con due spille o due fibbie sulle spalle, in modo tale che le braccia rimanevano scoperte. Per legarlo al corpo, ed evitare che si aprisse del tutto, si usava una cintura che lasciava soltanto un’apertura laterale, dalla quale poteva far capolino una gamba. Le donne spartane, invece, non usavano cinture e lasciavano le gambe in vista, ed era per questo che gli ateniesi le chiamavano phainomérides, «quelle che mostrano le gambe».
Il chitone e l’himation
raffigurante delle donne vestite con chitoni che giocano con una colomba nel gineceo. V secolo a.C. Museo Archeologico Nazionale, Atene.
Il peplo, indumento comodo che permetteva una grande libertà nei movimenti, era proprio delle popolazio- invece, situate sulla costa mediterranea ni doriche della Grecia continentale, dell’attuale Turchia e influenzate dai inclusa Atene. Le comunità ioniche, gusti orientali, preferivano un abito più elaborato, il chitone. Sebbene potesse essere confezionato in lana, più frequentemente il chitone era di lino. Anch’esso aveva forma rettangolare, come il peplo, però, LE CALZATURE erano fatte di pelle, che talvolta veniva tinta invece di essere fissato soltanto in due con colori come rosso, nero, giallo o bianco. Il modello più punti sulle spalle, si abbottonava o si utilizzato era un tipo di sandalo chiamato krepis, con allacciava con varie spille nella parte una specie di linguetta in cuoio che copriva il collo del superiore, creando così qualcosa di piede e che si legava con strisce che potevano equivalente alle nostre maniche. Quearrivare al ginocchio. ste ultime venivano legate lasciando PIEDE CON SANDALO. VI SEC. A.C. MUSEO DI PAESTUM. piccole aperture che davano l’effetto di una manica traforata.
CALZATURE SOFISTICATE
DEA / AGE FOTOSTOCK
CERAMICA A FIGURE ROSSE
DEA / SCALA, FIRENZE
N
ell’antica Grecia non esisteva nulla di simile all’abitudine moderna di andare per negozi per comprare l’ultimo modello. Gli abiti venivano fatti in casa, e i tipi di indumento, sia da uomo sia da donna, erano sempre gli stessi. Questo, però, non significa che l’abito non fosse importante nella cultura ellenica. Al contrario: era un chiaro indicatore sociale, che denotava la classe cui apparteneva ogni persona. L’abito doveva rendere evidente a prima vista se chi lo indossava era una donna sposata, una schiava o una prostituta. E anche se lo stile del vestito non cambiava, i colori vivaci e le pieghe accattivanti erano metodi infallibili per attirare gli sguardi. I due tipi principali di vestito femminile erano il peplo e il chitone. Il primo, dominante nell’epoca arcaica, era un indumento rettangolare, solitamente di lana, che poteva arrivare
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Il chitone veniva cucito sui lati, a differenza del peplo, che era aperto. Le pieghe sottili cadevano parallelamente e in modo armonioso sul corpo, creando un effetto molto elegante, come possiamo vedere in molte sculture. In genere il chitone era stretto da due cinture, una sotto il seno e l’altra in vita. La prima formava il colpos, una specie di balza o piega che poteva essere usata come tasca ed era molto utile per tenervi il denaro o gli oggetti personali, dal momento che i greci non usavano borse. Abitualmente, sotto il peplo o il chitone non si indossava nulla, anche se
Abiti fatti in casa oppure comprati LA DECORAZIONE dei vasi antichi comprende un grande numero
di immagini legate alle abitudini domestiche e quotidiane dei greci, e in modo particolare delle donne. Una delle scene più frequenti è quella in cui la donna è ritratta mentre fila in casa. In effetti, l’attività tessile era fondamentalmente femminile e si volgeva nel gineceo – lo spazio domestico riservato alle donne – mediante semplici telai verticali. Il fatto che la donna greca tessesse gli abiti per la sua famiglia aveva un carattere simbolico e pratico: faceva abiti di tela così
come faceva figli, assolvendo quindi alle sue responsabilità e ai suoi doveri di moglie. Questo non vuol dire che non esistessero artigiani tessili specializzati e non andassero di moda lussuosi articoli d’importazione come i vestiti ricamati di Cipro o il lino proveniente dal golfo di Corinto.
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V I TA Q U OT I D I A N A
Le statue riflettono la moda ASSIEME ALLA DECORAZIONE
su ceramica, la ricca scultura greca offre una delle migliori testimonianze dell’evoluzione dell’abbigliamento, sia maschile sia femminile, nell’antica Grecia. Gli artisti riprodussero con grande realismo anche i minimi dettagli della fattura degli indumenti, come si può vedere nei quattro esempi di statue che sono riportati in queste pagine, la cui datazione è compresa dall’epoca arcaica a quella ellenistica.
sappiamo dell’esistenza dell’apodesmos, un indumento che potremmo considerare l’equivalente del reggiseno che usiamo oggi, anche se più semplice: era una sottile fascia di lino alta dai dieci ai venti centimetri che cingeva il petto. L’utilizzo più frequente dell’apodesmos era l’attività sportiva, anche se questa, nel caso delle donne, era piuttosto limitata. Il chitone era considerato quasi un capo d’abbigliamento intimo, che si usava soprattutto in
PEPLO
La copia romana di una delle cariatidi dell’Eretteo raffigura una giovane con un delicato peplo le cui pieghe cadono con eleganza ed è legato in vita da una cintura morbida. I capelli sono acconciati in trecce.
CHITONE
La Koré Phrasikleia (540 a.C.) presenta gli indumenti, i gioielli, l’acconciatura e le calzature di una giovane greca del periodo arcaico. L’attillato chitone che indossa è decorato con una fascia con greche e fiori.
casa. Quando si usciva bisognava coprirsi con l’himation, un indumento di uso sia maschile sia femminile. Di un politico ateniese del IV secolo a.C., Focione, e di sua moglie si diceva che erano tanto poveri e vivevano in tale austerità da avere un solo himation che usavano entrambi, e che per questo uscivano di casa uno per volta. Questo indumento era tanto versatile che si usava anche come coperta per il letto. L’himation poteva essere indossato in diversi modi. Nel caso delle donne vi erano sino a dodici combinazioni possibili: in alcuni casi lasciava scoperto un braccio o una spalla; in altri
Le prostitute erano identificate dagli abiti che indossavano, fatti con stoffe quasi trasparenti PISSIDE OPERA DEL PITTORE DI LONDRA. 440 A.C. MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON. BRIDGEMAN / ACI
ricopriva completamente la parte superiore del tronco, le spalle e anche la testa. Una donna con il capo coperto era una donna sposata. Nulla a che vedere con le tuniche corte indossate dalle schiave o con i vestiti di velo e tessuti quasi trasparenti che permettevano di identificare le prostitute, che in genere erano anche truccate in modo molto più vistoso delle altre donne.
Nuove mode La moda orientale del chitone giunse ad Atene verso la metà del VI secolo a.C., ed ebbe subito successo tra le donne più benestanti per la sua novità e l’associazione con il lusso. Poiché, però, nella moda tutto torna, qualche anno dopo venne rispolverato il gusto per il peplo, forse un modo per sottolineare la distanza con i costumi orientali dopo le guerre con l’Impero persiano (491-479 a.C.). A partire da quel momento convis-
HIMATION
DA SINISTRA A DESTRA: M. MAUZY / SCALA, FIRENZE; SCALA, FIRENZE; AKG / ALBUM; JOSSE / SCALA, FIRENZE
Le donne indossavano questo mantello sia sopra il peplo sia sopra il chitone. Poteva avvolgere una parte del corpo o tutto, compresa la testa, come nel caso di questa statuina in terracotta proveniente da Tanagra.
CHITONE CORTO
Mentre le donne indossavano un chitone lungo, quello degli uomini era corto. In quanto dea della caccia, Artemide era sempre raffigurata con un chitone maschile, sopra il ginocchio.
sero il vecchio e austero peplo di lana – che prese il nome di chitone dorico – e il chitone ionico, l’elegante tunica di lino, anche se la popolarità dell’uno e dell’altro cambiò a seconda dell’epoca. Possiamo seguire l’evoluzione della moda in Grecia attraverso le sculture di figure femminili, una delle fonti di documentazione più interessanti per ricostruire usi e costumi in fatto di abbigliamento. Bisogna tuttavia tenere presente che, poiché in genere si scolpiva nel marmo, la scultura greca ci ha trasmesso un’immagine distorta degli indumenti antichi: pepli, chitoni e himation non erano di un bianco puro, come suggeriscono le statue che vediamo oggi, ma venivano tinti con diversi colori e avevano bordi ricamati con motivi geometrici, floreali o animali che creavano un insieme variopinto. Per la tintura delle stoffe si potevano usare pigmenti di origine vegetale o animale. Secondo la tradizione, la
tecnica della tintura era stata portata in Grecia da Afrodite, la dea dell’amore. Un colore che acquistò una rilevanza particolare nell’Antichità era il porpora, riservato alle élite e che si ricavava da un piccolo mollusco chiamato murex (murice) mediante un procedimento ereditato dai fenici. Tra i colori di origine vegetale vi erano quelli prodotti con l’indaco, lo zafferano, il cartamo o la gualda. Se i colori più tenui e i toni dell’ocra erano usati dalle schiave, quelli più vivaci e brillanti, invece, come il giallo e il rosso, erano riservati alle donne libere. L’abito nuziale era particolarmente decorato, con bordure, fasce e greche.
Acconciatura e maquillage Quando si preparava, una donna non faceva attenzione solo al vestito. Anche l’acconciatura aveva una grande importanza, e anch’essa era un elemento di differenziazione sociale, poiché
le schiave portavano i capelli corti, mentre le donne libere li tagliavano soltanto in segno di lutto. C’era anche la possibilità di tingersi i capelli, normalmente di biondo, e di usare parrucche e posticci. Il trucco cercava di simulare una pelle il più possibile bianca, effetto che si otteneva con l’applicazione di un cosmetico pericoloso: la biacca, ossia polvere di bianco di piombo. Una carnagione pallida era simbolo di virtù, perché indicava che la donna era rimasta chiusa in casa,al riparo dagli sguardi indiscreti . MARÍA JOSÉ NOAIN ARCHEOLOGA
Per saperne di più
SAGGI
La vita quotidiana della donna nella Grecia antica Claude Mossé. Rizzoli, Milano, 1988. La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle R. Flacelière. Rizzoli, Milano, 1989.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA GRANDE SALA IPOSTILA
Dietro il secondo pilone di Karnak si innalza un bosco di 134 gigantesche colonne di pietra riccamente decorate con rilievi. La struttura simboleggia il fitto canneto che circondava la collina primigenia emersa dall’oceano primordiale, il Nun, all’origine dei tempi. OVERSNAP / GETTY IMAGES
Il grande santuario del dio Amon
KARNAK Le splendide ricostruzioni della nuova collezione Archeologia di National Geographic rivelano come era originariamente il grande santuario del dio Amon che i faraoni ersero a Tebe, la capitale del loro Regno JOSÉ MIGUEL PARRA EGITTOLOGO. MEMBRO DEL PROGETTO DJEHUTY
ARCHEOLOGIA
S
e verso la fine dell’Antico Regno (2686-2192 a.C.) a un abitante di Tebe fosse stato detto che la sua città si sarebbe in breve tempo trasformata nella capitale religiosa della valle del Nilo, avrebbe guardato il suo interlocutore con un’espressione incredula. Infatti allora Tebe era una capitale di provincia priva di importanza dove non accadeva nulla che fosse degno di essere ricordato. Tutto cambiò durante il Primo Periodo Intermedio (2192-2055 a.C.), un’epoca in cui l’Egitto si era frammentato dopo il naufragio dell’autorità faraonica. In quest’epoca, i nomarchi o governatori di Tebe arrivarono a trasformarsi nella potenza dominante dell’Alto Egitto e riuscirono a riunificare la valle del Nilo sotto una nuova dinastia, la XI. Tebe si trasformò nella capitale del paese e nel suo centro religioso, poiché in questo luogo si innalzava il tempio dedicato al dio
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1956-1911 a.C. Sesostri I erige il tempio calcareo che costituirà il nucleo del recinto di Amon.
1450 a.C.
Per il suo primo giubileo, Thutmose III costruisce l’AkhMenu, di 50 stanze.
1352-1336 a.C. Akhenaton decide di costruire un tempio dedicato ad Aton a Karnak.
380-362 a.C.
Nectanebo I decora con sfingi il viale che collega Luxor e Karnak.
guerriero Monthu, la divinità tutelare dei governanti tebani. Nonostante i re della XII dinastia avessero costruito nel nord del paese una nuova capitale, Ity Tawy, essi non smisero di favorire Tebe. Segno della preferenza che mostrarono per la capitale dell’Alto Egitto fu la loro decisione di erigere un tempio dedicato al dio Amon, che probabilmente ne rimpiazzò uno precedente di dimensioni più ridotte. Amon ereditò da Monthu parte del suo carattere di dio guerriero e formò la triade divina di Tebe con la sua sposa, la dea Mut, e il dio lunare Khonsu. Da allora, l’importanza religiosa di Tebe fu simile a quella del tempio di Amon, la divinità favorita dai nuovi sovrani egizi. Il tempio di Amon eretto da Sesostri I costituì il punto di partenza del gigantesco santuario di Karnak oggi conosciuto, poiché tutti i re che gli succedettero vollero lasciare la loro traccia e aggiunsero, modificarono, rimodel-
Secondo un antico testo egizio, Karnak era «la città della luce [...] il tempio di colui al quale gli dei dichiarano il loro amore»
Di fronte al primo pilone del tempio di Amon si allunga un viale di sfingi con teste di capra, simbolo del dio, che unisce l’ingresso del santuario di Karnak e il pontile dove attraccavano le barche sacre.
PAUL VINTEN / AGE FOTOSTOCK
GUARDIANI DEL SANTUARIO
larono, distrussero ed eressero nuovi edifici e piloni. I faraoni delle dinastie XVIII e XIX resero il tempio l’elemento centrale di un grande complesso, sui cui terreni svettavano altri templi più piccoli, come quelli di Khonsu o di Ptah; all’interno di un recinto sacro di circa 500 metri quadri. Un testo definiva il complesso come «la città di luce dove il Creatore colpì con il piede, la madre delle città del grande dio che esiste dalle origini, il tempio di colui a cui gli dei dichiarano il loro amore».
Centro politico e religioso Il faraone era l’unico mortale a poter svolgere il ruolo di intermediario fra il mondo degli dei e quello degli uomini, ma poiché non era onnipresente delegava a suoi rappresentanti lo svolgimento dei riti quotidiani in tutti i templi del paese (questi erano insigniti del ti-
ARALDO DE LUCA
ARCHEOLOGIA ARALDO DE LUCA
IL FARAONE TUTANKHAMON RAFFIGURATO COME IL DIO AMON IN UNA STATUA RINVENUTA A KARNAK. MUSEO DI LUXOR.
tolo di Hem Netjer,“servo del Dio”). A Karnak quattro grandi sacerdoti potevano penetrare nel sancta sanctorum, dove veniva conservata l’immagine del culto, e realizzare i rituali tre volte al giorno. Per farlo potevano contare sull’aiuto dei sacerdoti wab, incaricati della cura degli oggetti sacri, e del sacerdote lettore, l’hery-hebet, che leggeva tutti i passaggi del rituale affinché venisse eseguito perfettamente. Il popolo rimaneva a margine di queste cerimonie, poiché non poteva oltrepassare il cortile del tempio e vedeva il dio solo quando veniva portato in processione nella sua barca durante alcune festività. Date le sue dimensioni, il tempio di Amon richiedeva un ingente supporto economico. Sappiamo che durante la XX dinastia, sotto il regno di Ramses V, il tempio possedeva circa 2.400 chilometri quadrati di terreno agricolo, 421.362 capi da allevamento, 433 fattorie, 65 villaggi, 83 barche, 46 centri di produzione e 81.322 operai. A questo si aggiungevano le offerte reali, che erano considerevoli. Questa capacità economica e la sua rilevanza religiosa fecero di Karnak un importante centro del potere politico. Qui infatti venivano incoronati i faraoni del Nuovo Regno, con una cerimonia che terminava con il loro ingresso nel sancta sanctorum, dove lo stesso dio li investiva. Sotto Ramses XI, ultimo re della XX dinastia, Herihor, un militare nominato servo del dio e poi visir, arrivò ad adottare i parafrenali reali e ad agire come faraone nella regione di Tebe. L’antico Egitto non offrì nessun altro scenario tanto reconditamente maestoso per i faraoni come Karnak, il tempio dei templi.
national geographic archeologia è una collezione di 60 volumi, di 96 pagine ciascuno e riccamente illustrati, che ci presentano le grandi scoperte dell’archeologia e ci svelano la storia, la vita e i costumi delle città dell’Antichità. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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La città dei templi DURANTE IL NUOVO REGNO, intorno al tempio di Amon a Karnak si sviluppò una città popolosa chiamata Uaset , chiamata Tebe dai greci. Essa si estendeva su due aree separate dal Nilo: sulla sponda occidentale si trovavano le necropoli e i templi funerari dei re, e sulla sponda orientale si sviluppavano i fastosi palazzi dei faraoni e i grandi recinti di culto. La sponda est è l’area che corrisponde all’attuale città di Luxor, dove ancora oggi si ergono i resti degli antichi templi di Karnak e Luxor. Intorno a questi santuari si svilupparono complessi residenziali, commerciali e artigianali.
1 Recinto di Amon
7 Sala ipostila
Tempio di Ptah
Nono pilone
2 Dromos e
8 Terzo pilone
Recinto di Monthu
Decimo pilone
9 Quarto pilone
pontile
Settimo pilone
Dromos di Mut
3 Tempio di Amon
Obelischi
Tempio di Khonsu
Recinto di Mut
4 Primo pilone
Quinto pilone
Tempio di Opet
5 Tempio di Ramses III
Sesto pilone
Ottavo pilone
Viale delle sfingi
6 Secondo pilone
Portico del Medio Regno
Lago sacro
Tempio di Luxor
RECONSTRUCCIÓN: 4D NEWS. FOTO: SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
ARCHEOLOGIA
PANORAMICA DEL TEMPIO DI AMON A KARNAK
La fotografia aerea mostra lo stato attuale del recinto di Amon a Karnak e la sua collocazione vicino al Nilo. Il recinto di Mut, sposa del grande dio tebano, si trovava nelle vicinanze, e presso l’angolo sud-ovest del recinto di Amon si trovava quello di Khonsu, figlio di entrambi. Una volta all’anno, durante la festa di Opet, le statue della triade tebana venivano trasportate sulle loro sacre barche fino al tempio di Luxor, situato tre chilometri a sud e unito a Karnak da un viale fiancheggiato da sfingi.
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La grande dimora dell ’Occulto IL TEMPIO DI AMON fu la costruzione più rilevante del complesso di Karnak; un’opera realizzata con mattoni di fango e oggetto di ampliamenti, ricostruzioni e aggiunte. Ogni faraone abbellì il recinto con nuove costruzioni a maggiore gloria di Amon, dio tutelare dello Stato, il cui nome significa “L’Occulto”. Il santuario si articola su un asse principale orientato da ovest a est e su un asse secondario orientato da nord a sud. L’asse principale è segnalato dal primo pilone fino al sesto, e lungo di esso si succedono il cortile porticato, la sala ipostila, due piccole corti ricche di obelischi e il portico del Medio Regno con la sala della barca e il sancta sanctorum; dietro, Thutmose III eresse l’Akh-Menu. Lungo l’asse nord-sud si trovavano i piloni dal VII al X.
Il secondo pilone fu fatto costruire da Horemheb, con materiale recuperato da altre costruzioni. Ai lati dell’ingresso si trovavano due statue colossali di Ramses II.
La sala ipostila è un grande spazio dove si innalzano 134 colonne papiriformi: dodici di 23 m di altezza e altre 122 di 15 m. La decorano rilievi di Seti I e Ramses II.
Di fronte al secondo pilone si innalza una statua colossale di Ramses II con una delle sue figlie. La scultura è ancora visibile nel portico. La statua fu usurpata da Pinedjem I.
Il chiosco, costruito dal faraone nubiano Taharqa, constava di due file di cinque colonne di 21 metri di altezza, con capitelli papiriformi aperti. Il faraone Seti I costruì un piccolo tempio per le barche sacre della triade tebana (Amon, Mut e Khonsu) appena dopo il primo pilone.
Il primo pilone, che misurava 113 metri e aveva uno spessore di 15 metri, rimase incompiuto.
Il cortile porticato si trovava fra il primo e il secondo pilone. Misurava 103 x 82 metri e constava di 26 colonne. Il portico fu tagliato dal deposito di Ramses III.
La sala delle feste ospitò i primi due obelischi eretti nel tempio, quelli di Thutmose I. A questi si aggiunsero poi i due innalzati da Hatshepsut e altri due di Thutmose III.
L’Akh-Menu era una sala di 40 m di ampiezza con venti colonne a forma di pali da padiglione e il tetto dipinto di blu e decorato con stelle. Fu costruito da Thutmose III.
ARCHEOLOGIA
La sala Uadyet accolse due obelischi eretti dalla regina Hatshepsut, che poi furono “nascosti” da Thutmose III. In questo spazio per lungo tempo venne celebrata la festa Sed.
Il giardino botanico era un annesso dell’Akh-Menu che Thutmose III fece decorare con rilievi che rappresentavano piante e animali esotici. Il sancta sanctorum ospitava la statua del culto del dio Amon. Di forma quadrata, misurava 38 m di ampiezza e 6 di altezza. Includeva un portico di statue osiriche e un portico.
IL TEMPIO DI AMON
Il deposito per ospitare le barche sacre di Ramses III comprendeva un portico con pilastri osiriaci, una sala ipostila e un santuario con gli altari delle barche.
RICOSTRUZIONE: 4D NEWS. FOTO: YANN ARTHUS BERTRAND / GETTY IMAGES
La fotografia aerea mostra l’aspetto attuale del complesso di Amon a Karnak. Si può apprezzare ciò che resta del portico e del deposito delle barche di Ramses III, a destra, e i resti del secondo pilone, che si affaccia sulla grande sala ipostila, di cui si conserva parte del tetto. Ancora oggi svettano due dei numerosi obelischi che si innalzavano nel tempio.
Un bosco di colonne «I SUOI PILASTRI raggiungono il cielo, come i quattro pilastri
del firmamento». Queste parole di Amenhotep III riferite al tempio di Karnak possono essere attribuite alla sua grande Sala Ipostila, composta da 134 gigantesche colonne, tutte di arenaria, che rappresentano gli elementi che sostengono l’universo. La cronologia della sala non è chiara. Alcuni ricercatori pensano che fu iniziata da Horemheb, ultimo faraone della XVIII dinastia, che vi dispose colonne papiriformi allineate di fronte alle pareti. Ma si continua ad attribuirne l’autorità a Seti I, padre di Ramses II, che appare rappresentato in alcuni scene rituali e in trionfo sui nemici, come suo figlio Ramses, mostrato anche come vincitore degli ittiti nella battaglia di Qadeš.
La differenza di altezza fra i due settori di colonne permise di aprire nella parte alta del muro delle persiane che filtrassero la luce.
Le 122 colonne delle navate laterali si suddividono in due gruppi da 61. L’altezza di ognuna di esse è di 15 metri. A differenza dei capitelli del corridoio centrale, questi sono a forma di papiro chiuso.
La sala ipostila consta di 134 colonne. Dodici di queste articolano il corridoio centrale (sei per ogni lato). Misurano 23 m di altezza e la loro circonferenza supera i dieci metri. I capitelli, a forma di papiro aperto, misurano 5,2 m di diametro.
ARCHEOLOGIA
COLONNE GIGANTESCHE RICOSTRUZIONE: 4D NEWS. FOTO: MIKE FUCHSLOCHER / GETTY IMAGES
Attualmente, la sala ipostila di Karnak ha un eccellente stato di conservazione. Le sue colonne mantengono gran parte dei rilievi che le decoravano anticamente, anche se hanno perso la maggior parte della policromia.
Il tetto, che era una allegoria del cielo, copriva la totalità della sala colonnata, di 103 m di ampiezza e 52 m di profondità.
Nel corridoio centrale, le colonne – quelle di maggiore ampiezza – sostengono il tetto fino a quasi 24 metri di altezza.
Le colonne sono decorate con scene relative alla fondazione dei templi e di portatori di offerte che rendono omaggio al dio Amon, recanti nomi di re incisi su cartigli.
Gli obelischi, raggi di sole pietrificati
Terzo pilone, costruito da Amenhotep III, che racchiuse gli obelischi nella sala delle feste.
LA SALA IPOSTILA di Karnak dà accesso a uno spazio dove
RICOSTRUZIONE: 4D NEWS. FOTO: YANN ARTHUS BERTRAND / GETTY IMAGES
vennero innalzati diversi obelischi, elementi di simbologia solare. Thutmose I fu il primo a erigere due di questi aghi stilizzati di fronte al quarto pilone del tempio. Poi, sua figlia Hatshepsut ne innalzò altri due, che erano stati commissionati dal suo sposo Thutmose II, e il suo successore Thutmose III dispose altri due monoliti, che dopo la costruzione del terzo pilone restarono racchiusi in quella che oggi è conosciuta come sala delle feste. Questi pilastri monolitici a quattro lati, tagliati in un solo blocco, si restringono leggermente dalla base alla cuspide, coronata da un pyramidion coperto d’oro o elettro (una lega di oro e argento); questo elemento rappresenta la collina primigenia che sorse dall’oceano primordiale. Gli obelischi di Karnak sono di granito estratto dalle cave di Assuan.
Sala delle feste
AGHI DI PIETRA A KARNAK
L’immagine permette di apprezzare lo stato attuale del patio della festa di Karnak, con i due unici obelischi che sono rimasti in piedi: a sinistra, quello di Thutmose I, e a destra quello di sua figlia Hatshepsut. Sui quattro lati del monolite si incidevano i testi cerimoniali e i titoli dei faraoni. Nell’iscrizione sul lato est del suo obelisco, Hatshepsut enfatizza il legame tra la sua figura e il dio del sole proclamandosi figlia di Amon-Ra: «Sua Maestà ha fissato il nome di suo padre su questo monumento...».
Le cappelle di Sesostri I e di Amhenhotep I fiancheggiavano i sei monoliti racchiusi nella sala delle feste.
La regina Hatshepsut ordinò di terminare e di erigere i due obelischi di 28 metri di altezza che erano stati commissionati dal suo sposo, Thutmose II.
ARCHEOLOGIA
I due primi obelischi eretti nel recinto di Karnak furono costruiti da Thutmose I. Misuravano 19,5 metri ciascuno.
Thutmose III situò due obelischi di quasi 30 metri di altezza fra quelli eretti per sua zia Hatshepsut e i due primi innalzati da Thutmose I.
A quanto pare, fu Thutmose III a ordinare che i due obelischi di Hatshepsut eretti nella sala Uadyet fossero incorporati in un pilone e poi coperti da un soffitto.
Sala Uadyet
Il santuario del dio della Luna IL TEMPIO DEDICATO al dio lunare Khonsu, figlio di Amon
e Mut, assieme ai quali forma la triade tebana, si trova nell’angolo sudovest del grande recinto di Amon a Karnak. Il tempio, che misura 70 m di larghezza per 27 m di ampiezza, fu costruito da Ramses III (XIX dinastia), ed è un esempio perfetto della pianta classica dei templi egizi: un viale di sfingi, un pilone di ingresso, un cortile porticato, una sala ipostila e il sancta sanctorum che contiene l’immagine di culto. In questo santuario si distinguono il cortile porticato, che fu costruito con materiali recuperati dei templi di Amenhotep II e Horemheb (XVIII dinastia), così come vari edifici di Seti I e Ramses II (XIX dinastia). La sua decorazione fu commissionata da Ramses XI (faraone della XX dinastia) a Herihor, sommo sacerdote di Amon che adottò titoli reali, come si può notare nei rilievi delle colonne.
Il portico, costruito dal faraone nubiano Taharqa, probabilmente aveva il soffitto in legno. Lo formavano quattro file di cinque colonne ognuna, precedute da sfingi con testa di capra.
Le 20 colonne del portico avevano la forma a papiro aperto. Fra le file di colonne vi era una distanza fra i 7 e gli 8 metri.
La strana posizione delle criosfingi (sfingi con testa di capra), all’esterno delle colonne, è dovuta al fatto che dovettero essere spostate per lasciare spazio al portico.
I quattro alti alberi incastrati nel pilone sostenevano gli stendardi del dio ed erano fatti di legno, probabilmente di cedro. Albero e stendardo sono una rappresentazione del geroglifico che significa “dio”.
La sala ipostila era formata da otto colonne papiriformi. Il soffitto era decorato con rilievi e pitture che rappresentavano il cielo. Sulle pareti era rappresentato il faraone che portava offerte al dio Khonsu, figlio di Amon.
ARCHEOLOGIA
Circondato su tre dei suoi lati da due file di quattro colonne, il cortile costituisce un chiaro esempio di sala ipetra (a cielo aperto). Questo elemento architettonico fu un segno caratteristico dei templi egizi.
Il cortile misura 10 x 15 m, ed è formato da 28 colonne di 12 m di altezza, con capitelli papiriformi chiusi. Le colonne sono decorate con scene di offerte del sommo sacerdote Herihor ad Amon, Mut e Khonsu. Herihor indossa il cobra che identifica il faraone. Due piccole porte laterali, situate sulle facciate est e ovest, davano anch’esse accesso al cortile porticato.
Gli annessi ospitavano, fra le altre stanze, la sala della barca sacra e il sancta sanctorum, che accoglieva l’immagine divina.
UN TEMPIO BEN CONSERVATO
Il tempio di Khonsu è uno dei meglio conservati del complesso di Karnak. È orientato seguendo l’asse nord-sud e rivolge lo sguardo al vicino tempio di Luxor. Sul pilone di ingresso si possono ancora apprezzare gli inserti dove si posizionavano gli alberi degli stendardi del dio lunare. Il cortile porticato mantiene ancora il suo soffitto.
RICOSTRUZIONI: 4D NEWS. FOTO: ROBERT HARDING / ALAMY / ACI
Il pilone che precede il templio di Khonsu misura 34,5 m di ampiezza e 18 m di altezza. Ognuna delle due torri trapezoidali include inserti per collocare gli alberi e gli stendardi raffiguranti il geroglifico “dio”.
GLI ULTIMI EROI DI
SPARTA Nel III secolo a.C., due re di Sparta, Agide IV e Cleomene III, avviarono un importante programma di riforme per riscattare la città dal declino in cui versava da decenni. Entrambi pagarono il tentativo con la vita MIREIA MOVELLÁN LUIS RICERCATRICE DELL’UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID
LA MORTE DEL RE AGIDE IV
Catturato dai nemici, Agide fu impiccato in segreto in una cella. Il dipinto di N. A. Monsiau mostra il suo corpo senza vita, sul quale piange la madre Agesistrata, che verrà uccisa assieme alla nonna del re, Archidamia, il cui cadavere è sulla destra, coperto da una tunica. 1789. Petit Palais, Parigi. ROGER-VIOLLET / PHOTOAISA
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I cittadini di Sparta consumavano tutti i pasti in comune e avevano il divieto di accumulare ricchezze superflue. Non potevano nemmeno svolgere lavori manuali, che erano riservati alle classi inferiori: i perieci – contadini dei dintorni di Sparta – e gli iloti, servi dei proprietari terrieri spartiati. Guerrieri temibili, i lacedemoni raggiunsero l’apice della loro potenza sconfiggendo la grande rivale, Atene, nella guerra del Peloponneso, che ebbe termine nell’anno 404 a.C. Due secoli dopo, tuttavia, la situazione era cambiata radicalmente. Perduta la fama di invincibile dopo la sconfitta contro Tebe nel 371 a.C., Sparta si trovò sempre più accerchiata dall’avanzata della Macedonia, anche se non arrivò a perdere l’indipendenza. Parallelamente, la società spartana subì profonde trasformazioni. Una serie di leggi permise la concentrazione della terra nelle mani di poche famiglie, e poiché la condizione di cittadino era legata al possesso della terra, il nu-
mero di spartiati diminuì considerevolmente: da circa 9000 nel V secolo a.C. ad appena 700 nel III secolo a.C. Di conseguenza, l’esercito non poté essere formato solo da cittadini, come era tradizione, ma dovette accogliere anche perieci e iloti. Questo a sua volta aumentò la tensione tra gli aristocratici e le classi popolari, che chiedevano miglioramenti delle loro condizioni di vita, come la suddivisione delle terre e il condono dei debiti, che sovente li portavano a una condizione di schiavitù.
Agide, l’idealista Sparta era governata da due re che regnavano in modo congiunto, ma il cui potere era tuttavia assai limitato da altre istituzioni dello Stato, come l’Assemblea, il Senato o Gerusia e, soprattutto, gli efori, un collegio di cinque giudici che potevano anche destituire i monarchi. Fu proprio l’arrivo di un nuovo re, Agide IV, a metà del III secolo a.C., a risvegliare le speranze di una riforma che riscattasse Sparta dalla sua condizione di decadenza e le restituisse il suo antico potere. Come spiega Plutarco nella biografia che gli dedicò nelle sue Vite parallele, Agide era profondamente convinto della necessità di recuperare i valori tradizionali di Sparta, che si erano visti “corrotti” da influenze esterne, quelle dei persiani nel passato e dei macedoni
Agide IV intraprese una riforma per recuperare i valori tradizionali stabiliti e promossi da Licurgo IL DIO HERMES. COPIA ROMANA DI UN ORIGINALE GRECO DEL 270 A.C. CARLSBERG GLYPTOTEK, COPENAGHEN.
SANTIRF / GETTY IMAGES
TARKER / BRIDGEMAN / ACI
ell’ambito della storia della Grecia, Sparta sviluppò un modello sociale unico, che suscitava negli altri greci un misto di invidia e ammirazione. Il sistema era composto da una serie di rigide norme, attribuite a un legislatore di natura quasi mitica, Licurgo. I cittadini ricevevano un’educazione rigorosa incentrata sull’esercizio fisico affinché le donne diventassero madri sane e gli uomini buoni soldati.
C R O N O LO G I A
APOGEO E CADUTA DI SPARTA 405 a.C. Ha luogo la battaglia di Egospotami, nella quale Sparta sconfigge Atene e diventa la potenza egemonica della Grecia.
338 a.C. Filippo II sconfigge le città greche nella battaglia di Cheronea e l’egemonia passa da Sparta alla Macedonia.
244 a.C. Agide IV sale al trono di Sparta, ma a causa di una controversa riforma viene incarcerato e giustiziato nell’anno 241 a.C.
222 a.C. Il re di Sparta Cleomene III viene sconfitto nella battaglia di Sellasia. Si esilia ad Alessandria, dove muore dopo una rivolta fallita.
146 a.C. Nella battaglia di Corinto, i romani sconfiggono le città della Lega Achea. La Grecia diventa un protettorato romano. ROVESCIO DI UNO STATERE D’ORO CONIATO ALL’EPOCA DI FILIPPO II DI MACEDONIA. CASA DE LA MONEDA, MADRID.
TEATRO DEL SANTUARIO DI DELFI
Secondo Plutarco, gli efori di Sparta potevano destituire i re per violazione delle antiche leggi cittadine fino al pronunciamento favorevole da parte dell’oracolo, di Delfi o di Olimpia. Così fecero con Leonida II, che si opponeva ad Agide IV. / NOZ O RO
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LICURGO IL LEGISLATORE
Agide IV si ispirò ai valori tradizionali di Licurgo, ritratto in uno studio di Jacques-Louis David mentre mostra agli anziani il loro re. 1791. TEMPIO DI CORINTO
MUSEE DES BEAUX-ARTS, BLOIS / BRIDGEMAN / ACI
gradite all’Assemblea degli anziani, né agli efori, e neppure al coreggente di Agide, Leonida II, che si dimostrò deciso a difendere le famiglie aristocratiche.
Libertà e uguaglianza Agide si sforzò di sostituire alcuni degli efori e nominare al loro posto suoi familiari o sostenitori; riuscì persino a ottenere che gli efori destituissero Leonida e che egli si ritirasse a Tegea, nella parte settentrionale dell’Arcadia, ma le difficoltà non facevano che aumentare. Nel suo impegno per convincere e convertire alla sua causa il resto degli aristocratici, fece appello agli antichi oracoli che ammonivano gli spartani sulla perversità della cupidigia, così come a un altro oracolo più recente, che aveva ricevuto dal Tempio di Pasifae a Talama, una città costiera del golfo di Messenia, e che ordinava agli spartani di vivere in uguaglianza. Quando il piano di abolizione dei debiti era ormai avviato, Agide dovette rivolgere l’attenzione a un conflitto esterno. La Lega Etolica, una confederazione di città del nord del golfo di Corinto, decise di attaccare le rivali del-
Il popolo spartano acclamò Agide come «il miglior re di Sparta in trecento anni» O DIX
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ELMO DI TIPO CORINZIO IN BRONZO. VI SECOLO A.C.
BOB TURNER / AGE FOTOSTOCK
in tempi più recenti. Per questo, si propose di restaurare l’uguaglianza promossa da Licurgo e di ristabilire un regime autarchico che garantisse la sussistenza e l’indipendenza della città. Nella sua ansia di recuperare l’antico stile di vita spartano, egli stesso decise di rinunciare a qualsiasi lusso, consegnò le sue terre all’erario comune e tornò a vestirsi con il tradizionale mantello spartano – allontanandosi dalle nuove mode importate – e a frequentare i bagni pubblici. Allo stesso tempo, abolì la schiavitù per debiti e propose una nuova suddivisione delle terre, il che permise di ampliare il numero di spartiati a 4500. Tra questi fu incluso un certo numero di perieci, cioè tutti coloro che erano in grado di pagarsi un’armatura con i propri mezzi. Il popolo si dimostrò subito assai favorevole a queste iniziative e acclamava Agide come «il miglior re di Sparta in trecento anni», per usare le parole di Plutarco. Queste misure, però, non furono affatto
La città del Tempio di Apollo fu annessa alla Lega Achea nel 243 a.C., quando l’etolico Arato sconfisse la guarnigione macedone.
FAVOREVOLI E CONTRARI
QUESTIONE DI ETÀ E SESSO Plutarco spiega nella sua biografia di Agide le diverse reazioni che la società spartana manifestò davanti alle proposte di riforma formulate dal re.
«I giovani, tentati dall’idea di Agide di riportare l’uguaglianza nella patria e ripopolarla, ben presto e oltre ogni sua speranza gli prestaron l’orecchio e si posero dalla parte della virtù, risoluti a cambiare modo di vita, come se fosse un vestito, per vivere in libertà.
Ai più attempati, e a quelli che erano già invecchiati nella corruzione, avvenne come al servo fuggitivo, che ricondotto dal padrone trema; temevano di tornare alle severe ordinazioni di Licurgo e biasimarono Agide, che si lamentava dello stato presente e desiderava rivedere l’antica dignità di Sparta.
Le donne s’opposero, sentendosi private di una vita di lusso in cui, non conoscendo l’onesto, collocavano la felicità, e perché si vedevano strappato l’onore e il potere di cui godevano per via delle loro ricchezze». Plutarco, Vita di Agide, cap. 6.
LA GRECIA NEL III SECOLO A.C.
Nel periodo ellenistico le città greche si divisero in due grandi confederazioni, la Lega Etolica e la Lega Achea, come mostra la mappa. CAPITALE DEL PELOPONNESO
Lega Etolica
Battaglia
Lega Achea
Territorio strappato ai seleucidi da Roma e suddiviso tra Pergamo e Rodi CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
la Lega Achea, che riuniva le città-Stato del nord del Peloponneso. Arato, generale acheo, sollecitò l’aiuto di Sparta per frenare l’invasione e Agide partì con l’esercito alla volta di Corinto, anche se le sue divergenze con Arato gli impedirono di entrare in combattimento. Al suo ritorno a Sparta, Agide scoprì che Leonida era rientrato in città ed era stato riammesso al trono, quindi decise di ritirarsi sull’Acropoli, nel tempio di Atena Calcieco (“di bronzo”). Solamente di tanto in tanto scendeva in città per fare un bagno, protetto da qualche amico. E fu proprio in una di queste sortite che venne fatto prigioniero dai sostenitori di Leonida. Portato davanti agli efori per essere giudicato, Agide riconobbe tutta la sua azione di governo e non volle pentirsi di nulla, e ciò gli valse la condanna a morte da parte del tribunale. Plutarco racconta che, al momento di morire, vedendo uno dei suoi assistenti piangere disperato, gli disse: «Non piangere per me, amico mio, poiché sebbene io muoia
così empiamente e ingiustamente, sono migliore di quelli che mi tolgono la vita», e offrì il collo al capestro senza emettere un lamento. Lo stesso giorno e con la stessa corda vennero impiccate anche sua nonna e sua madre, Archidamia e Agesistrata.
Sulle orme di Agide Agide lasciò una vedova, Agiatide, ancora giovane e molto bella. Inoltre, la donna era l’erede della grande fortuna di suo padre, quindi Leonida ordinò che diventasse la moglie di suo figlio, Cleomene, nonostante quest’ultimo fosse poco più che un bambino. Ben presto il ragazzo, che era impulsivo e desideroso di gloria, si innamorò della sua sposa, e questo fece sì che prestasse molta attenzione a ciò che lei gli raccontava delle idee e dei progetti del re Agide, tanto che, quando Leonida morì e Cleomene III ereditò il trono, decise di rompere con la via seguita dal padre e riprendere con entusiasmo le politiche riformiste che Agide aveva lasciato a metà. Una delle sue prime decisioni fu quella di disfarsi degli efori, poiché sapeva che
Una volta salito al trono, Cleomene destituì gli efori e mandò in esilio ottanta oppositori BP
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CLEOMENE III. ROVESCIO DI UN TETRADRAMMA D’ARGENTO. 226-222 A.C. MUSEI STATALI, BERLINO. REN
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Domini dell’Egitto tolemaico
La fantasiosa ricostruzione di un artista del XIX secolo contraddice ciò che sappiamo di Sparta, che era priva di mura e di grandi edifici.
CRIMINE DI STATO
OMICIDI NEL CARCERE DI SPARTA Agesistrata, la madre di Agide, ebbe un cattivo presentimento sulle azioni del figlio. Secondo Plutarco, «al principio, stupita, tentò di quietare il figlio come se egli desiderasse cose impossibili a fare e non utili», ma alla fine lo assecondò. Quando Agide fu arrestato, la madre e la nonna accorsero alla prigione per chiedere un processo giusto. Quando la nonna arrivò alla cella, il nipote era già stato impiccato, e lei ebbe la stessa sorte. Poco dopo fu fatta entrare Agesistrata.
«Quando entrando vide il corpo del figlio disteso in terra e la madre morta pendente dal capestro, ella stessa ne sciolse il corpo dal laccio con l’aiuto dei guardiani e, distesolo accanto a quello di Agide, lo coprì. Si accasciò poi sul figlio, gli baciò la fronte e disse: “Figlio mio, la tua bontà, la clemenza e l’umanità furono cagione della tua e della nostra morte”. Amfare, osservando dalla porta ciò che accadeva all’interno, entrò e si rivolse irato ad Agesistrata: “Poiché condividesti ciò che fece tuo figlio, condividi anche la sua pena”. Agesistrata, levatasi in piedi alla vista del capestro, disse: “Almeno giovi questo fatto a Sparta”». Plutarco, Vita di Agide, cap. 20.
UNA FAMIGLIA DISTRUTTA
La vendetta del re Leonida II QUANDO AGIDE avviò il suo movimento di riforma ottenne l’appoggio di Cleombroto, che era il genero dell’altro re della città, Leonida. Cleombroto cospirò con i sostenitori di Agide per rovesciare il suocero e venne poi convinto a reclamare il trono al posto suo. Leonida fuggì a Tegea assieme alla figlia Chilonide, che decise dunque di abbandonare il marito Cleombroto. Poco dopo, tuttavia, mentre Agide combatteva contro la Lega Etolica, a Sparta scoppiò una sommossa guidata da uno degli efori, Agesilao, che riportò sul trono Leonida. NELLA SUA VITA DI AGIDE Plutarco nar-
ra il burrascoso incontro tra suocero e genero. Cleombroto si rifugiò nel santuario di Poseidone, ma Leonida lo raggiunse con un gruppo di uomini armati. All’interno del santuario, Leonida rimproverò il genero, che rimaneva seduto e in silenzio. Chilonide, però, che in precedenza aveva sostenuto il padre, lo supplicò di risparmiare la via del marito, abbracciandolo e mostrandogli i due figli piccoli. Leonida, commosso dal dolore e dalla pena della figlia, «dopo aver parlamentato con i suoi uomini, ordinò a Cleombroto di alzarsi e andarsene in esilio, e pregò invece sua figlia di rimanere e non abbandonarlo, giacché tanto la amava». Leonida, però, non riuscì a convincere Chilonide che, dopo essersi prostrata davanti all’altare del dio, se ne andò e partì per l’esilio con il marito e con i loro figli.
LEONIDA CONDANNA CLEOMBROTO. DIPINTO DI PELAGIO PALAGI. 1807-1810. MUSEO D’ARTE MODERNA, BOLOGNA. MAMBO - MUSEO D’ARTE MODERNA DI BOLOGNA
L’ESILIO DI CLEOMENE
Odeon romano di Alessandria d’Egitto. Esiliato nella capitale del paese del Nilo, Cleomene vi rimase fino alla fine dei suoi giorni, nel 219 a.C. L’USURPATORE NABIDE
si sarebbero opposti a qualsiasi riforma egli avesse intrapreso. Proprio allora un eforo gli raccontò un sogno che aveva fatto mentre dormiva nel tempio di Pasifae: tutti gli scranni dei suoi colleghi di eforato scomparivano e ne rimaneva soltanto uno. Cleomene interpretò il sogno come un segno divino che lo esortava a concentrare nella sua persona tutte le funzioni dell’eforato, ragione per cui un giorno inviò i suoi uomini contro gli efori mentre erano riuniti per mangiare. Quattro dei cinque efori furono assassinati, e il giorno seguente Cleomene mandò in esilio altri ottanta cittadini.
La fine di Cleomene A quel tempo, Cleomene dovette mettersi alla guida dell’esercito per fronteggiare la nuova minaccia di Arato, che stava scendendo con le sue truppe verso Sparta con l’intento di unificare tutto il Peloponneso sotto l’egemonia della Lega Achea. Cleomene lo contrastò in diverse occasioni e quando riuscì a sconfiggerlo in Arcadia, Arato replicò prendendo una decisione audace: chiese aiuto ad Antigono III, il re di Macedonia. L’esercito macedone entrò di nuovo in Grecia e, dopo vari scontri, Cleomene fu definitivamente vinto a Sellasia (222 a.C.) e dovette prendere la strada dell’esilio verso Alessandria, in Egitto. Secondo quanto è narrato da Plutarco, nel corso della 44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
battaglia morì la maggior parte dei soldati delle truppe ausiliarie e sopravvissero soltanto duecento spartiati. Dopo la sconfitta, i macedoni insediarono una guarnigione stabile a Sparta, soppressero la monarchia e abolirono tutte le riforme agrarie. Lungi dal darsi per vinto, Cleomene sperava di ottenere l’aiuto dei sovrani d’Egitto, dapprima Tolomeo III e poi il figlio e successore, Tolomeo IV, per riprendere il potere a Sparta. Il suo piano, però, non si concretizzò e, sentendosi sempre più emarginato e controllato alla corte alessandrina, Cleomene decise di lanciarsi con i suoi compagni in una rivolta disperata che si concluse con la loro morte. Il suo cadavere fu scuoiato e crocifisso per ordine di Tolomeo, ma dopo qualche giorno comparve un serpente attorcigliato alla sua testa, e questo impedì a qualsiasi uccello di avvicinarsi per cibarsi della sua carne. Gli alessandrini considerarono il fatto un prodigio divino e decisero di onorare Cleomene, l’ultimo grande uomo dell’antica Sparta, come un eroe e un figlio degli dei.
Per saperne di più
SAGGI
Sparta Ernst Baltrusch. Il Mulino, Bologna, 2002. TESTI
Vite parallele. Agide e Cleomene Plutarco. Rizzoli, Milano, 1991.
THIERRY OLLIVIER / RMN-GRAND PALAIS
DEA / GETTY IMAGES
Discendente degli Euripontidi, s’impadronì del potere nel 206 a.C. e divenne tutore di Pelope, figlio di Licurgo, che fu poi ucciso. Scultura di P.-J. David. Louvre.
L’ULTIMO SPARTANO
RIBELLIONE E MORTE DI CLEOMENE Ad Alessandria, Cleomene e i suoi compagni credevano si stesse tramando la loro morte, quindi decisero di ribellarsi.
«Quando giunse il meriggio e le guardie dormivano per aver ben bevuto, Cleomene, vestitosi col mantello e con la spada nuda saltò fuori accompagnato da tredici amici [...] Si diedero a correre per le strade invitando il popolo alla libertà, ma nessuno osò seguirli. Quindi andarono verso la fortezza, con l’intenzione di aprire le prigioni e servirsi della moltitudine degli incarcerati [...] Fallito questo tentativo, il re esortò i suoi amici a darsi una morte degna di lui e delle sue opere [...] Ciascuno uccise se stesso, con coraggio e senza esitare.
A Panteo, bellissimo e nel fiore degli anni, il re, che fu innamorato di lui, comandò che uccidesse se stesso quando avesse visto cadere lui e tutti gli altri. Essendo già gli altri in terra, Panteo li punse tutti col pugnale, perché non rimanesse nessuno vivo. Quando pungendo a Cleomene il tallone gli vide torcere il volto, lo baciò e si sedette accanto a lui. Quando morì, abbracciato il corpo, si tagliò la gola sopra di esso». Plutarco, Vita di Cleomene, cap. 37.
La crisi del III secolo
ANARCHIA
Un cinquantennio di grande instabilitĂ con piĂš di cinquanta imperatori,
LA GUARDIA PRETORIANA
Nel rapido avvicendamento degli imperatori che caratterizzò il III secolo, grande ruolo ebbe la potente guardia pretoriana che, legata ai generali, ne acclamò l’ascesa e ne decise la caduta. CHRIS HELLIER / AGE FOTOSTOCK
MAURILIO FELICI
PROFESSORE DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO, UNIVERSITÀ LUMSA, PALERMO
MILITARE spesso acclamati dalle truppe, ma tutti destinati a un breve regno
IL FORTE DI SAALBURG
Ricostruzione del castrum romano che sorgeva lungo il limes germanico, la linea di confine dei territori imperiali che nel corso del III secolo conobbe frequenti infiltrazioni barbare. GÜNTER GRÄFENHAIN / FOTOTECA 9X12
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n’epoca terribile, caratterizzata dal sistematico cedimento del diritto di fronte alla forza. E come contestare questa semplice – eppure persistente – sensazione di fondo che da secoli rimane tra i pensieri del cultore della storia, al momento di tirare le somme sulle testimonianze relative ai turbolenti anni che vanno dal 235 al 284?
C R O N O LO G I A
LA FORZA MILITARE IN 50 ANNI DI IMPERO
dei punti di forza: tra le concause, il consistente aumento del soldo militare deciso in età severiana. Non era la prima volta che si verificava una situazione del genere: in circostanze diverse, ma omologabili quanto a certe modalità, le truppe, acclamando i propri comandanti, erano già state decisive nell’accendere e nell’alimentare le “crisi costituzionali” verificatesi rispettivamente alla morte di Nerone e a quella di Commodo. In entrambi i casi le congiunture furono superate solo grazie alla fondazione di dinastie “forti”, quella dei Flavii prima e dei Severi poi.
LA MONETA DI AURELIANO
Militare di carriera, le sue truppe lo acclamarono imperatore nel 270. La sua attenta politica non lo risparmiò tuttavia dal destino riservato ai suoi predecessori e venne assassinato cinque anni dopo. TOM COCKREM / AGE FOTOSTOCK
Un nuovo ordine imperiale Ma nello scorcio temporale che costituì la parte di mezzo del III secolo d.C., ciò non fu possibile e si assistette a una sistematica (e quasi meccanica) riproposizione di sovrani provenienti quasi sempre dai ranghi militari più o meno qualificati e che, giocoforza, dipendevano dagli umori (e dai donativi!) delle legioni o delle coorti pretoriane che ne determinavano acclamazione e rovesciamento, di frequente nelle aree periferiche dell’impero. Non a caso si parla in proposito di “anarchia militare”. A inasprire le dure condizioni
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Dopo la fine della dinastia dei Severi, inizia una fase che vede molti augusti emergere dai ranghi militari.
I tanti imperatori che si succedono sono impegnati nelle lotte contro i barbari; Decio muore ad Abritto.
Nello scontro di Edessa, Sapore I re sassanide cattura Valeriano. L’impero è diviso e sotto attacco.
Nonostante le capacità di Aureliano, sarà Diocleziano a porre fine alla crisi.
ALESSANDRO SEVERO, ULTIMO IMPERATORE DELLA DINASTIA SEVERIANA. BUSTO, III SECOLO.
DEA / SCALA, FIRENZE
Si tratta del cinquantennio che dalla morte di Alessandro Severo giunge sino all’ascesa al potere di Diocleziano, caratterizzato dal complesso intrecciarsi di un numero molto elevato (più di 50!) di cosiddetti imperatori-soldato (un’espressione che ricalca quella originale di Soldatenkaiser, cara alla storiografia tedesca di fine Ottocento e oltre) ai vertici dello Stato romano. Ma la sola considerazione delle fredde cifre darebbe un’impressione in certa misura erronea: infatti, una parte consistente degli Augusti, effettivi o usurpatori, che, qui o lì nell’impero, spesso accavallandosi, si fregiarono del titolo e rientrano nel conteggio, ebbe durata davvero effimera e solo a una decina tra di loro toccò la ventura di lasciare, nel bene o nel male, un segno durevole del proprio passaggio. A dettare i ritmi per l’innalzamento alla porpora imperiale furono (quasi sempre) la potente guardia pretoriana o singoli corpi d’armata, legati ormai a una fedeltà prezzolata e sempre più animati da uno spirito particolaristico che urtava palesemente contro quel senso dello Stato che, un tempo, ne aveva costituito tratto distintivo e uno
TEMPIO DI SATURNO, FORO ROMANO
Roma, da impero in espansione diventa una potenza aggredita. Le forze armate si riveleranno strumenti capaci più di alimentare l’instabilità politica che di garantire la sicurezza della difesa. PIETRO CANALI / FOTOTECA 9X12
Il soldato-imperatore La figura di Massimino il Trace, sotto questo aspetto, è esemplificativa della direzione di marcia che avrebbe caratterizzato il corso degli eventi. Nel profilo biografico tracciato dalla Storia Augusta (una collezione di testi per la verità controversa) è descritto come «il primo soldato a essere acclamato imperatore dall’esercito senza essere senatore, e in assenza di una deliberazione del senato». Di più. Egli, che pure, tra gli altri, aveva affidato l’educazione del figlio al noto giurista Modestino, riteneva che «il potere non potesse essere mantenuto se non con la brutalità». Aveva cominciato a far carriera già sotto Settimio Severo e si era distinto per un’irruenza e una risolutezza in battaglia che gli derivavano dall’imponenza e dalla forza fisica e risultarono anni dopo determinanti per i commilitoni al momento di trovare un sostituto al giovane Alessandro Severo. Questi fu assassinato a Magonza, assieme alla madre Giulia Mamea, ultima delle influenti principesse siriache di corte, mentre trattava con alcune tribù germaniche una pace ritenuta inopportuna. Massimino, nei suoi tre anni di regno, assecondò i voleri dell’esercito ed ebbe modo di dimostrare la sua abilità nelle intense campagne militari lungo
MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK
di disorientamento politico, in un gioco di incroci difficilmente districabile di cause ed effetti, l’impero dovette far fronte all’accentuarsi (e al trasformarsi del carattere) delle infiltrazioni delle popolazioni germaniche lungo il limes renano-danubiano, a una intensa crisi economica e al prolungarsi (e quasi al cronicizzarsi) di una perniciosa epidemia, tradizionalmente chiamata “peste”, ma che con ogni probabilità fu di vaiolo. Tra le conseguenze più vistose, quella della contrazione demografica si ripercosse sulla composizione degli eserciti, al cui interno si dovette favorire necessariamente un più ragguardevole concentramento di elementi barbarici: fattore di sviluppo non marginale per i sentimenti di separatismo che avrebbero condotto all’esistenza del cosiddetto Impero delle Gallie (e, in un diverso contesto, al regno di Palmira).
GNEO DOMIZIO ULPIANO, RITENUTO TRA I MAGGIORI ESPONENTI DELLA DOTTRINA GIURIDICA ROMANA. ILLUSTRAZIONE DI ANDRÉ THEVET.
IL DIRITTO E LE ARMI L’ANARCHIA MILITARE prende corpo sulle ceneri della dinastia dei Severi, e si può considerare la conseguenza di alcuni frutti amari di questo periodo, come il forte aumento del soldo militare, che mutò radicalmente le dinamiche dei rapporti tra imperatore e guardia pretoriana o legioni. Pochi anni prima Ulpiano, allora prefetto del pretorio, era stato ucciso dai “suoi” soldati: il primo segno della fine del cosiddetto impero dei giuristi.
le frontiere dell’Europa centrale. Ma il peso dei costi bellici, ripartito ovviamente sulla cittadinanza (e specialmente sui provinciali), aveva creato un diffuso malcontento oltre che a Roma, dove il sovrano peraltro non andò mai, in gran parte dell’impero. E fu così che Massimino, con l’intenzione di fronteggiare gli Augusti “concorrenti” che il senato gli aveva contrapposto, calò in Italia, ma trovò la morte durante il lungo assedio che aveva posto ad Aquileia, ucciso, con l’omonimo figlio, dai suoi stessi soldati, stanchi delle privazioni e della rigida disciplina loro imposta. Si ripeteva per lui il destino toccato a chi l’aveva preceduto. Gli anni che seguirono videro consolidarsi la posizione del nuovo imperatore, l’adolescente Gordiano III (di stirpe senatoria, successore delle effimere
LA NUOVA LEGGE DI ROMA
Le spade con cui i romani conquistarono regni e titoli: fu la forza militare a decidere le sorti dell’impero. SCALA, FIRENZE
I 378 tratti murari merlati erano intervallati da 14 porte principali e da numerose feritoie. Ogni 30 metri si ergevano le 381 torri.
La cinta muraria era alta dai 6 agli 8 metri (a cui si sommavano i 2 delle fondazioni) e aveva uno spessore di oltre 3 metri.
GILLES CHAILLET / ÉDITIONS GLÉNAT
LA MURA AURELIANE
I NUOVI CONFINI DI ROMA
Degli originari 19 km di lunghezza, oggi le mura si sviluppano lungo un percorso che si snoda per circa 12,5 km corrispondente all’allora confine daziario della città.
ERANO TEMPI DIFFICILI, l’Impero romano era mi-
LUCIO DOMIZIO AURELIANO, IMPERATORE MUSEO CIVICO ROMANO, BRESCIA. DEA / SCALA, FIRENZE
UN CANTIERE URGENTE
GIOVANNI SIMEONE / FOTOTECA 9X12
nacciato dalle popolazioni barbare che calavano da nord e la capitale cominciava a dubitare della propria potente inviolabilità. Per questo, nel quadro del convulso cinquantennio del III secolo, l’imperatore Aureliano decise di munire Roma di un’imponente cinta muraria, un baluardo di difesa che venne costruito in appena cinque anni, dal 270 al 275. Dopo oltre 1700 anni, le mura aureliane sono oggi una cinta tra le più antiche e meglio conservate al mondo.
Per velocizzare la costruzione delle mura, si lavorò allo stesso tempo su tratti separati, includendo nel perimetro della cinta le costruzioni già esistenti.
ROMANI CONTRO BARBARI I GRAVI PROBLEMI riscontrati per la tenuta dei confini, sia a Oriente sia a Occidente, dipesero anche dalle nuove forme di aggregazione che Roma dovette fronteggiare. L’impero dei sassanidi non nascondeva le ambizioni di estendere i propri domini a ovest dell’Eufrate. D’altra parte, franchi, goti e alemanni si raccolsero spesso in coalizioni i cui assalti erano più difficili da prevedere e che gettavano nel terrore le popolazioni civili.
romana, il che comportò oltre all’ossequio, almeno nominale, alle magistrature repubblicane, con la“riesumazione”della censura e la decisione di ricoprire ininterrottamente la carica di console, anche il sostegno, in veste di pontifex maximus, alla religione ufficiale. Fu stabilito infatti che ogni cittadino compisse pubblicamente sacrifici in onore degli dei e del sovrano: nell’ambito di tale provvedimento si inserisce quindi la prima formale persecuzione dei cristiani che si rifiutassero di manifestare così una pretesa fedeltà allo Stato.
SIMBOLI LEGIONARI
Le insegne che distinguevano le unità militari di base dell’esercito imperiale romano.
Nemici interni ed esterni Alla caduta di Decio contro i goti nella battaglia di Abritto, si aprì un travagliato biennio in cui si susseguirono brevi e sfortunate esperienze di uomini che non seppero impedire disfatte contro l’antico
BRIDGEMAN / ACI
avventure del nonno e dello zio e del fugace interludio di Pupieno e Balbino). Egli rimise le cure della res publica al valente prefetto del pretorio (e suo suocero) Timesiteo: una più equilibrata politica nelle relazioni con il senato e i tentativi di una stabile e più adeguata difesa dei confini (in specie contro il “pericolo persiano”) possono considerarsi tra le linee guida della sua azione di governo. Ma dopo aver colto vittorie notevoli, con la riconquista di Antiochia e di vaste aree della Mesopotamia, Timesiteo cadde durante la spedizione militare contro Sapore I e, poco più tardi, la stessa sorte occorse a Gordiano presso Circesium, sull’Eufrate, verosimilmente eliminato per opera del nuovo prefetto del pretorio che gli sarebbe succeduto al trono (febbraio 244), Marco Giulio Filippo, detto l’Arabo, secondo quanto attestato da Zosimo. Filippo preferì ritirarsi dal fronte persiano, stipulando alla svelta con i sassanidi una pace che si espose al biasimo dei più. Si ricordano di lui le solenni celebrazioni indette per i mille anni dalla fondazione di Roma (248). Di modesta provenienza, dimostrò nel suo quinquennio al potere capacità non indifferenti nella gestione dei rapporti con il senato, nella cura alla rete viaria dell’impero, anche per mezzo dell’azione di contrasto al brigantaggio. Un secolo più tardi, la sua tolleranza religiosa fu scambiata da Eusebio di Cesarea per adesione al cristianesimo, probabilmente anche per la contrapposizione stridente con la politica del suo successore. Filippo si distinse nel tentativo di limitare le infiltrazioni dei goti e dei quadi e nella repressione delle sedizioni di eserciti che portarono brevemente alla ribalta questo o quell’usurpatore. Nulla poté però contro Decio, generale illirico che pure l’aveva fino ad allora sostenuto, ma che si risolse ad accogliere l’acclamazione a imperatore delle sue truppe e che, pur in inferiorità numerica, batté Filippo in uno scontro nei dintorni di Verona. Decio, che univa alle abilità militari un’estrazione aristocratica, interpretò i suoi anni al potere (249-251) nel segno del ristabilimento degli antichi ideali della tradizione
LANMAS / AGE FOTOSTOCK
SARCOFAGO LUDOVISI, ALTORILIEVO RAFFIGURANTE UNA SCENA DI BATTAGLIA TRA ROMANI E BARBARI. PALAZZO ALTEMPS, ROMA.
AURELIANO E ZENOBIA
Tela raffigurante Aureliano nell’atto di ricevere dalla regina di Palmira Zenobia la corona e le chiavi del suo regno. M. Bortoloni, Villa Casnedi Raimondi, Lentate sul Seveso (MB). MAURO RANZANI / SCALA, FIRENZE
SARCOFAGO DI ACILIA, DALLE MONUMENTALI MISURE, FU ESEGUITO PER UN SENATORE, IL PADRE DI GORDIANO III. MUSEO NAZIONALE ROMANO.
BRIDGEMAN / ACI
nemico persiano (le armate sassanidi giunsero perfino a occupare la splendida Antiochia!), e che nulla poterono contro la recrudescenza dell’epidemia di vaiolo che arrivò fino alle porte della capitale. Ne emerse Valeriano, esponente dell’élite senatoria e già governatore della Rezia, che nella tarda estate del 253 si ritrovò a essere il solo signore di Roma. Valeriano, che recuperò la politica deciana di intolleranza religiosa, è noto per esser stato il primo imperatore a esser fatto prigioniero dal nemico, caduto a tradimento in mani persiane durante la battaglia di Edessa (260): da tempo, e con alcuni iniziali successi, era infatti alla testa dell’esercito romano nel tentativo di difesa del fronte orientale dagli attacchi sassanidi (mentre aveva destinato il figlio Gallieno al controllo del limes renano). Ancora oggi attraverso le res gestae divi Saporis e i monumenti celebrativi di Bishapur si possono cogliere i toni ampiamente dilatati della propaganda persiana in proposito, ma non si può negare che, già in età antica, la riprovazione nei confronti di Gallieno per non essere riuscito (o almeno aver seriamente provato) ad affrancare il padre dalla servitù cui l’aveva ridotto Sapore fu unanime. Toccò quindi a Gallieno, che era stato per tempo associato al potere da Valeriano, sobbarcarsi delle responsabilità di governo per un periodo piuttosto lungo (260-268), durante il quale va segnalato il livello delle energie profuse a cui, però, non corrisposero in pieno i risultati sperati in un momento in cui, sui fronti occidentale e orientale, prendeva corpo quel mutamento della natura delle incursioni barbariche, cui si è accennato, e con l’ascesa al potere dei dinasti sassanidi, la politica espansionistica persiana diveniva di arduo contenimento. La necessità costante di opporsi ai vari comandanti di armate che, in specie lungo la frontiera centroeuropea, finivano per aspirare al trono indusse Gallieno a separare la sfera civile dalla militare in capo ai governatori delle province, allontanando i senatori dalla guida delle legioni. Rinunciò inoltre a proseguire la pratica di intolleranza religiosa paterna. Per porre un freno alle mire del minaccioso Sapore I
IL SENATO AI MARGINI I NUMEROSI CASI DI ELEZIONI di Augusti nelle aree periferiche dell’impero
certificano un fenomeno che è stato chiamato “decentramento della centralità” al cui interno si può osservare la perdita del ruolo cruciale per secoli rivestito dal Senato. Già in parte marginalizzato dal principato severiano, non ebbe grandi chance e di rado vi fu tra i suoi uomini chi riuscisse a incarnare l’antico senso dell’appartenenza alla nobilitas.
individuò nel nobile palmireno Odenato un perfetto rector Orientis: una scelta indovinata fino a che Zenobia, sua vedova, tra il 267 e il 272 poté optare per la formazione di un vasto regno separato dall’impero, che comprendeva parti cospicue della penisola anatolica, del Medio Oriente e dell’Egitto. Nello stesso periodo, del resto, ma con un’estensione temporale maggiore (259-274) l’Occidente era assoggettato al cosiddetto Imperium Galliarum, sorto dall’iniziativa del comandante secessionista delle truppe renane Postumo, e che arrivò a includere i territori di Gallia, Spagna e Britannia, ma che garantì un argine alle invasioni barbariche del quale si giovò anche Roma.
Da Aureliano a Diocleziano Dopo che Gallieno cadde vittima di un complotto ordito dagli ufficiali del suo entourage,
LA MINACCIA DEI SASSANIDI
Sovrano del regno sassanide, i cui scopi espansionistici si scontrarono nel III secolo con Roma. PETER HORREE / AGE FOTOSTOCK
IL REGNO DI ZENOBIA
Palmira, in Siria. Oggi tristemente noto per le devastazioni del sedicente Stato islamico, nel III secolo fu la capitale del regno di Zenobia che Aureliano riconquistò a partire dal 272. ROBERT PRESTON / AGE FOTOSTOCK
A. DAGLI ORTI / SCALA, FIRENZE
mentre era a Milano (268) nel tentativo di sbarazzarsi dell’usurpatore del momento, fu il turno (breve) di Claudio. Egli è ancor oggi conosciuto come “il Gotico” per la brillante vittoria ottenuta sui goti a Naissus agli inizi del 269, ma il merito andrebbe condiviso con il comandante della cavalleria, e suo luogotenente, Aureliano, che di lì a poco ne sarebbe divenuto successore per acclamazione delle truppe pannoniche, dopo la scomparsa di Claudio per un’epidemia di “peste”. Tra i molti meriti che spettarono ad Aureliano, rappresentante per eccellenza della serie dei cosiddetti imperatori illirici, vi fu, sotto il profilo militare, la ricomposizione dell’unità territoriale dell’impero, con la riconquista del regno di Palmira e del dominio delle Gallie e il consolidamento dei fronti renano e danubiano (pur con la perdita della Dacia). Fu artefice di una seria e proficua riforma monetaria, che arrestò la tendenza al depauperamento del valore della moneta, nel cui ambito dovette reprimere la rivolta dei dipendenti della zecca di Roma, riconosciuti autori di una truffa inveterata ai danni dello Stato. Ma anche l’imperatore Aureliano, rimasto famoso per la costruzione delle imponenti mura di Roma, morì per “il tradimento di un sol uomo” tra i membri del suo staff, nel settembre del 275. Il cordoglio in tutto l’impero fu grande, per le speranze che aveva riacceso nel popolo. Il valente generale Probo, che si affermò dopo di lui e pur godette di buona fama, non riuscì, nei sei anni che seguirono, a eguagliarne i risultati. L’imposizione all’esercito di alcune prestazioni civili finì per alienargliene i favori: fu ucciso all’inizio dell’autunno del 282 e il suo posto preso dall’allora prefetto del pretorio Caro, sfortunato iniziatore di una fragile dinastia. Perì infatti in Mesopotamia, forse colpito da un fulmine, all’apice di una vittoriosa campagna contro i sassanidi (i cui esiti vantaggiosi furono poi abilmente messi a profitto da Diocleziano), e i figli, Numeriano e Carino, già suoi coreggenti, ebbero vita breve. Numeriano fu tolto di mezzo verosimilmente per opera del prefetto del pretorio Apro nel 284, Carino l’anno successivo,
EUGENIA DI ROMA, MARTIRE CRISTIANA DEL III SECOLO. MOSAICO DEL V-VI SECOLO, CAPPELLA DELL’ORATORIO DI SANT’ANDREA, RAVENNA.
PERSECUTORI E MARTIRI A POCHI ANNI dalla celebrazione del primo millenario di Roma da parte di Filippo l’Arabo, il nuovo imperatore Decio pretese che ogni cittadino dimostrasse la propria lealtà allo Stato con pubblici sacrifici alle divinità del culto ufficiale. Ciò comportò la prima formale persecuzione del cristianesimo: ma l’esempio dei martiri rafforzò la fede dei molti che riuscirono a scampare alle difficoltà del momento.
tradito da alcuni suoi ufficiali, mentre già brillava la stella di Diocleziano, con il quale si chiude l’epoca terribile dell’anarchia militare, suggellata per sua mano dall’esecuzione pubblica di un prefetto del pretorio, Apro, simbolicamente rappresentativo, ai nostri occhi, dei troppi prefetti fino ad allora coinvolti nelle congiure che avevano eliminato molti imperatori. Diocleziano, che non a caso tornò ad affidarsi, ma con modalità nuove, all’equilibrio e alla sapienza dei giuristi, avrebbe finalmente inaugurato una nuova era. Per saperne di più
Società romana e Impero tardoantico, I-II a cura di Andrea Giardina. Laterza, Roma-Bari, 1986. Storia di Roma, 3.1. L’Età tardoantica. Crisi e trasformazioni a cura di A. Carandini. Einaudi, Torino, 1993.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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BISHAPUR IL TRIONFO SASSANIDE
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SYBIL SASSOON / AGE FOTOSTOCK
In Iran, lungo l’antica strada che metteva in comunicazione Persis ed Elam, si trova un monumentale sito archeologico dove ammirare i bassorilievi incisi nella roccia a imperitura memoria della vittoria conquistata nel III secolo dal regno sassanide sull’Impero romano.
FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK
Sapore I, re dei sassanidi. Nel quadro delle guerre romano-sassanidi per l’egemonia sul Vicino Oriente e l’occupazione delle province romane orientali, il sovrano Sapore I (215 circa-270) inflisse gravi sconfitte all’Impero romano, prima nella battaglia di Barbalisso (252), poi in quella di Edessa (260) in cui le forze persiane non solo sbaragliarono quelle romane, ma giunsero persino a catturare l’imperatore Valeriano. Per Roma fu una disfatta.
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1 Sapore I
2 Valeriano
Raffigurato con il tipico copricapo dei sovrani sassanidi, Sapore I compare imponente in sella al proprio cavallo nel momento di massimo trionfo sull’Impero romano. Le incisioni di Bishapur vennero infatti realizzate per suggellare la riuscita delle operazioni espansionistiche del re.
Dietro Sapore I, in piedi, è raffigurato l’imperatore Valeriano, che il sovrano sassanide tiene saldamente per un braccio a sottolinearne la cattura. Secondo un’altra interpretazione, l’uomo sarebbe invece Filippo l’Arabo, mentre Valeriano apparirebbe in ginocchio davanti al re persiano.
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3 Gordiano III
4 Filippo l’Arabo
5 I generali
6 Il monumento
Nella parte bassa del bassorilievo, Gordiano III giace a terra, morto, sotto il cavallo di Sapore I. La sua posizione prona enfatizza ulteriormente la volontà propagandistica del sovrano sassanide che con le monumentali incisioni intendeva confermare il proprio trionfo sul nemico, Roma.
Medesima volontà propagandistica e trionfalistica trasmette la figura di Filippo l’Arabo, rappresentato in ginocchio, davanti a Sapore I, in posa di resa, a chiedere clemenza. Come anticipato prima, la sua figura e quella di Valeriano potrebbero tuttavia essere invertite.
Sulla destra compaiono i generali sassanidi che al fianco del loro sovrano sconfissero il potente Impero romano durante le guerre per il controllo delle province orientali. Approfittando del periodo di instabilità che Roma stava attraversando, le armate di Sapore I conquistarono Antiochia.
Il bassorilievo di Bishapur, il cui nome significa “la bella città di Shapur”, è inciso sulle pareti rocciose di una vasta gola fluviale. Secondo alcune fonti, gli stessi soldati romani catturati vennero impiegati come forza lavoro per la costruzione di alcune opere della vicina città sassanide.
UN SIMBOLO DELL’OCCIDENTE
Nel 1837, il pittore Charles de Steuben raffigurò lo scontro di Poitiers come simbolo della grandezza nazionale della Francia, paladina dei valori cristiani. Museo di Versailles. ERICH LESSING / ALBUM
Il trionfo di Carlo Martello
LA BATTAGLIA DI POITIERS Tra la primavera e l’estate del 732, un potente esercito musulmano proveniente da al-Andalus attraversò i Pirenei e si addentrò in Aquitania; sembrava che nulla potesse fermarlo ALBERTO RECHE ISTITUTO DI STUDI MEDIEVALI UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
L
a sconfitta del wali Abd al-Rahman ibn Abd Allah al-Ghafiqi per mano del condottiero franco Carlo Martello è incisa a fuoco nella memoria dell’Occidente come la grande vittoria sul nemico inarrestabile, che rese possibile un’Europa di matrice cristiana. Questo, almeno, ritennero molti storici a partire dal XVIII secolo. Forse il primo a esprimere con forza tale concetto fu Edward Gibbon, quando nel suo Declino e caduta dell’impero romano affermò che, senza la vittoria a Poitiers, «oggi forse nelle scuole di Oxford si spiegherebbe il Corano, e dall’alto delle sue cattedre si dimostrerebbe a un popolo circonciso la santità e la verità della rivelazione di Maometto». Altri storici hanno concordato con Gibbon. «L’istante in cui franchi e arabi si contesero il destino del mondo» o «Non vi è stata una battaglia più importante nella storia del mondo» sono affermazioni che chiunque decida di approfondire le vicende della battaglia di Poitiers incontrerà molto facilmente.
BRITISH LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI
GUERRIERI CAROLINGI
Miniatura del Salterio di Harley, dell’XI secolo, copia del Salterio di Utrecht, del IX secolo, dove sono raffigurati soldati vestiti come i guerrieri franchi dell’epoca di Carlomagno.
Poitiers non fu la prima vittoria in suolo francese contro l’Islam, né significò la fine della presenza musulmana al di là dei Pirenei, però è vista come un evento cruciale nel fermare un’avanzata islamica che sembrava inarrestabile dopo i decenni di conquiste che seguirono alla morte di Maometto, avvenuta nell’anno 632.
Le prime incursioni La folgorante espansione musulmana aveva raggiunto l’estremità dell’Europa occidentale nel 711, quando il regno
visigoto affondò dopo la sconfitta del re Rodrigo nella battaglia del Guadalete, e poco dopo, nel 718, i wali o governatori di al-Andalus lanciarono le prime incursioni in cerca di bottino al di là della catena dei Pirenei, spingendosi molto a nord di Pamplona e dell’attuale Catalogna. Assaltarono i territori dell’Aquitania, allora sotto la sovranità nominale dei re franchi, e della Linguadoca, le cui città più importanti erano ancora governate da visigoti. All’epoca, il loro obiettivo non era ancora la conquista di quei territori. Questa idea si fece lu-
C R O N O LO G I A
SCONFITTA DELL’ISLAM IN GALLIA 62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Prime incursioni islamiche al nord dei Pirenei, dopo la conquista della Hispania visigota. Si tratta di semplici razzie alla ricerca di un bottino.
721 J. BERNARD / LEEMAGE / PRISMA
718-719
Il duca Oddone d’Aquitania sconfigge le truppe omayyadi che assediano Tolosa e pone fine a un tentativo di invasione. Si allea con Munuza, il governatore musulmano del nord di al-Andalus.
CARLO MARTELLO. SCULTURA DI J. B. J. DEBAY. XIX SECOLO.
ce un anno dopo, quando da Damasco, dove risiedevano i califfi della dinastia omayyade, giunse l’ordine di inviare gli eserciti in Gallia. In Linguadoca, berberi, siri e yemeniti calarono su Narbonne e non tardarono a conquistarla, e lo stesso accadde a Carcassonne. Lasciate delle guarnigioni nelle due città, il grosso delle truppe fece ritorno nella Penisola Iberica, ma ormai l’avamposto era saldo e Damasco tentò ben presto di ampliare il successo e iniziare a porre sotto assedio le popolazioni dell’Aquitania. Nel 721 si armò di nuovo un potente esercito, stavolta al fine di aggiungere Tolosa, la più grande città aquitana, all’elenco
731 Carlo Martello, maestro di palazzo del re merovingio, sconfigge e sottomette Oddone d’Aquitania, mentre al-Ghafiqi, emiro di Cordova e rappresentante del califfo di Damasco, elimina Munuza.
delle conquiste. A questo punto vale la pena fermarsi e lasciare che entri in scena uno dei personaggi fondamentali del cammino che condurrà allo scontro di Poitiers undici anni dopo: il duca Oddone d’Aquitania.
L’assedio di Tolosa Quella di Oddone, o Eudes, fu una vita al bivio. Di ascendenza franca, ma insediato nel cuore della Gallia romana, aveva puntato sulla fazione perdente nel suo coinvolgimento nel gioco di troni che era la politica franca di quegli anni, quando la dinastia merovingia governava due regni
732 Guidati da Carlo Martello e con l’aiuto di Oddone, i franchi sconfiggono l’esercito omayyade presso Poitiers, nella terza settimana di ottobre. Agli occhi del Papato, Carlo diventa il difensore della cristianità.
UNA VITTORIA CHE SUPERA I SECOLI
La battaglia di Poitiers, una delle pietre angolari della storia della Gallia, in una miniatura delle Grandi cronache di Francia del XV secolo conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
751 Pipino, figlio di Carlo Martello, porta a termine la presa di potere avviata dal padre: depone l’ultimo re merovingio, Childerico III, e si incorona re dei franchi. JOSSE / SCALA, FIRENZE
DA PRINCIPESSA A CONCUBINA
IL DESTINO DI LAMPAGIA
Q
uando il wali della Cerdagna, Uzman ibn Abi Nessa, decise di svincolarsi da Cordova, la capitale di al-Andalus, Oddone d’Aquitania vide un’opportunità. Il wali berbero e il duca aquitano erano entrambi preoccupati per la crescente forza dei loro vicini: la concentrazione di potere nelle mani di Carlo Martello, maestro di palazzo di Austrasia, e degli emiri di Cordova, ancora dipendenti dai califfi di Damasco, non prometteva nulla di buono. I nemici comuni finiscono per creare strane alleanze, e il patto tra i due fu sigillato con un matrimonio, quello di Lampagia, la figlia di Oddone, con Uzman, che le fonti cristiane chiamavano Munuza. L’unione di una cristiana aquitana e un musulmano berbero forse sorprende di più la nostra visione dell’epoca che i contemporanei. L’alleanza, tuttavia, non fu ben
vista né dall’Austrasia né da Cordova, che non tardarono a mandare i loro eserciti per punire quello che percepivano come un tradimento dei loro collaboratori. Quale fu il risultato? Oddone si sottomise al potere del regno di Austrasia, la testa di Uzman fu inviata a Damasco in salamoia. Lampagia, a quanto sembra, accompagnò i resti di colui che per poco fu suo marito in Siria, dove finì i suoi giorni nell’harem del califfo.
BIANCHETTI / LEEMAGE / PRISMA
LA CONSEGNA DI LAMPAGIA
Nell’incisione, una inorridita Lampagia viene consegnata dal padre, Oddone, al musulmano Munuza. In realtà, le donne accettavano di essere semplici pedine in alleanze consacrate dalle nozze.
contrapposti: Austrasia e Neustria. Oddone aveva preso partito contro l’ascesa del futuro Carlo Martello, il potente maestro di palazzo dell’Austrasia – carica grazie alla quale controllava il governo effettivo del regno –, ma questi lo sconfisse a Soissons, nel 719. Carlo unì Austrasia e Neustria, e Oddone venne a trovarsi in una posizione assai complicata proprio nel momento in cui cominciava l’espansione islamica nella regione. Se Oddone non è passato alla storia come il primo signore franco ad arrestare gli eserciti musulmani al di là dei Pirenei è esattamente per la sua opposizione ai progetti di Carlo Martello. Correva l’anno 721 e Tolosa, il gioiello
Inalberando gli stendardi omayyadi, migliaia di arabi e berberi avanzavano in Aquitania accompagnati dalle famiglie
64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
nella corona del ducato d’Aquitania, stava subendo un duro assedio da parte degli eserciti islamici. Oddone, senza appoggi al di fuori del suo ducato a causa della sconfitta a Soissons, riuscì a comandare un assalto alla retroguardia dell’esercito nemico e a coordinarlo con una carica a rotta di collo dei difensori della città. Grazie a questo attacco a sorpresa sterminò oltre la metà degli assedianti e mise in fuga il resto. Sebbene le sue azioni siano rimaste relegate a una nota a piè di pagina della storia, la vittoria di Oddone e dei suoi uomini nel 721 frenò l’avanzata musulmana per un decennio. Dobbiamo tenere presente che per Oddone non esisteva nulla di simile a un’idea di nazione, e che l’odio verso i musulmani poteva essere altrettanto intenso di quello che egli provava per nemici dell’Austrasia. Di fatto, Oddone non si fece scrupoli nello stringere un’alleanza con il governatore berbero ribelle della Cerdagna, Uzman ibn Abi Nessa – il Munuza delle fonti cristiane –, per creare uno Stato cuscinetto che garantisse l’indipendenza dell’Aquitania dai tentativi di invasione pro-
LA GRANDE MOSCHEA DI DAMASCO
Damasco era la capitale dei califfi della dinastia omayyade, che vi avevano costruito la splendida Grande Moschea. Nel 732, era Hisham a ricoprire la carica di califfo. MARCO BRIVIO / AGE FOTOSTOCK
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L’AVANZATA venienti dalla Penisola Iberica. Il patto tra sembrava che la Gallia stesse per subire la VERSO Oddone e Munuza non tardò ad avere constessa sorte come parte del sogno del califfo OCCIDENTE seguenze. L’alleanza tra i due non era vista di di Damasco: circondare il Mediterraneo e acL’occupazione buon occhio né da Metz, la capitale dell’Aucerchiare Costantinopoli, il cuore dell’Impedella Hispania strasia, né da Cordova, la capitale di al-Anro bizantino, una città inespugnabile che gli visigota fu dalus. Il primo a fare una mossa fu il maestro eserciti dell’Islam avevano attaccato senza compiuta grazie a truppe arabe di palazzo dell’Austrasia. Dalla battaglia di successo sessant’anni prima. e berbere. Soissons la macchina bellica di Carlo Martello Fu così che, nel 732, l’antica strada romana Entrambi i gruppi non si era fermata neppure per un momento, e che, da Saragozza, si snodava in Navarra e pasetnici presero parte nell’anno 731, alla guida di cinquemila uomini, sava da Roncisvalle per addentrarsi in Aquialle campagne contro il regno mise a ferro e fuoco le campagne dell’Aquitania tania vide avanzare un grande contingente franco, contiguo a e soggiogò l’indisciplinato duca: Oddone si umano che inalberava gli stendardi omayyadi, quello dei visigoti. vide costretto a giurare obbedienza al re arabi e berberi esperti nell’arte della REGNO FRANCO merovingio fantoccio di Carlo. La sorte guerra e accompagnati dalle loro famidi Munuza non fu migliore. In quello glie: a differenza di altre spedizioni in Poitiers (732) Autun León stesso 731, il nuovo emiro di Cordova, cerca di bottino, questa era stata proRI Tolosa A GA CA Z L Abd al-Rahman ibn Abd Allah al-Ghagettata perA l’occupazione del territorio. AL ANDALUS Ravenna Narbona RI Saragozza fiqi, lo attaccò con un esercito di circa Toledo Una scia di fuoco Guadalete (711) quindicimila uomini e reclamò la sua Roma Siviglia Tbilisi I testa, che fu inviata a Damasco. PerTaranto usare Durazzo l’immagine di un cronista Trebisonda BI MPE Tangeri ARMEN R Costantinopoli La fine dell’alleanza tra Oddone e contemporaneo,Z Agli invasori «erano O NT Tessalonica Bugia Tunisi Fez Angora Melitene IN Munuza lasciava musulmani e francome un incendio nei cespugli ravviO MAGHREB AZ Tlemcen Konya che Agadir Siracusa Tarso M E S O P O T chi gli uni di fronte agli altri. Vent’anvato dal vento». Le forze aquitane, I F R al-Qayrawan Efeso IQ Mossul I YA ni dopo la conquista della Hispania, erano inferiori per numero e si Antiochia stavano Aleppo BERBERI BU
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Tripoli
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC Tiro
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Ham S I R I A Baghd Damasco Yarmuk (636)
Gerusalemme
UNA NUOVA ARTE DELLA GUERRA?
POITIERS E IL FEUDALESIMO
A
lla fine del XIX secolo, lo storico tedesco Heinrich Brunner dichiarò che la battaglia di Poitiers fu decisiva nell’evoluzione del mondo medievale. Secondo la sua tesi, Carlo Martello, per opporsi ai musulmani, avrebbe avuto bisogno di creare un potente esercito di cavalleria pesante, e avrebbe ottenuto il denaro necessario allo scopo secolarizzando una grande quantità di beni ecclesiastici che concesse ai suoi vassalli in cambio del servizio militare a cavallo, e ciò segnò l’inizio del feudalesimo. Nel 1962, lo storico statunitense Lynn White aggiunse un altro elemento a questa idea: la necessità di combattenti a cavallo sarebbe aumentata per la rapida diffusione delle staffe (sconosciute nel mondo classico, e testimoniate tra gli avari nel VII secolo) nella società franca. Le staffe e la sella impedivano
CARLO MARTELLO UCCIDE AL-GHAFIQI A POITIERS, IN UNA RICOSTRUZIONE IMMAGINARIA DEI FATTI. 1883. LOUVRE, PARIGI.
che il cavaliere fosse sbalzato da cavallo dopo essersi scagliato sul nemico con la lancia. Tuttavia, anche se sotto Carlo Martello e i suoi discendenti aumentò il numero di guerrieri a cavallo, oggi sappiamo che la fanteria era la base del loro esercito, e che la diffusione delle staffe fu molto più lenta: secondo uno studio del 1967, su 135 cavalieri sepolti nella Francia orientale tra la fine del VII secolo e gli inizi del IX, soltanto 13 avevano le staffe.
ERICH LESSING / ALBUM
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LA TATTICA DI CARLO MARTELLO Elmo merovingio. Guidare la solida linea di fanteria che contenne gli assalti della cavalleria omayyade e diede il successo ai franchi esigeva valore, disciplina e leadership.
DEA / SCALA, FIRENZE
ancora riprendendo dalle campagne dell’estate precedente contro gli austrasiani, poterono fare poco per frenare la loro avanzata: furono annientate sulle sponde della Garonna, presso Bordeaux, città che non tardò a cadere e che subì un saccheggio selvaggio. La tappa successiva, Poitiers, avrebbe consentito agli invasori di addentrarsi verso il cuore della Francia. E nel frattempo che cosa faceva Carlo Martello? Le disperate richieste d’aiuto lanciate da Oddone lo sorpresero in piena campagna militare sul Danubio. Sapendo che la situazione era drammatica, non esitò ad avanzare a tappe forzate con i suoi uomini, circa diecimila, e riunirsi a Tours con il duca d’Aquitania, che lì attendeva con ciò che restava delle sue truppe. Intanto, fuoco e distruzione avevano colpito la bella basilica di Saint-Hilaire le Grand, appena fuori Poitiers, che fu spogliata dei suoi tesori. Imperturbabile, l’esercito omayyade proseguì, puntando in direzione di Tours. Era ottobre. Le forze erano schierate e pronte per la battaglia, che si protrasse per sette giorni.
Abituati a immaginare le battaglie così come le vediamo nei film di Hollywood, fatichiamo ad avvicinarci alla realtà degli scontri medievali. I sette giorni di combattimento a Poitiers furono una successione di finte, schermaglie, caotiche mischie, ordini confusi, ritirate strategiche e una sorprendente mancanza di coreografia, molto distante dagli spiegamenti millimetrici che di solito abbiamo in mente.
Il muro di ghiaccio Nei primi giorni dello scontro, le truppe franche si limitarono a stuzzicare il nemico, che era in superiorità numerica: breve assalto e ritirata mentre si cercava un terreno adeguato sul quale dare battaglia. Dal canto loro, le truppe musulmane avevano come priorità l’avanzata; il loro obiettivo era arrivare alla venerabile città di Tours, dove avrebbero potuto acquartierarsi per passare l’inverno ormai prossimo. Il sesto giorno, Carlo trovò il terreno adeguato ai suoi scopi: l’altura di Moussais-la-Bataille. Da lì, sulla collina – do-
CHRISTIAN GUY / GTRES
minando la strada romana lungo la quale dovevano avanzare gli invasori –, la fanteria franca partiva in vantaggio o, almeno, alla pari, compensando la maggior mobilità dell’esercito omayyade. Non dobbiamo dimenticare che la tattica preferita dagli arabi era l’equilibrata combinazione della cavalleria pesante e di quella leggera, che caricavano ripetutamente il nemico per poi ripiegare. Utilizzata con successo in moltissimi scontri precedenti, questa volta la tattica omayyade si trovò davanti un imprevisto: una solida e compatta muraglia di scudi dispiegata sui pendii di Moussais-la-Bataille che non cedette a nessun attacco. La Cronaca mozarabe, scritta nel 754 nella Hispania cristiana, descrive la fanteria franca con aperta ammirazione: «Gli uomini del nord rimasero immobili come fossero una parete. Erano come un muro di ghiaccio congelato e indissolubile mentre uccidevano gli arabi con la spada. Gli austrasiani, dalle lunghe estremità e dalla mano di ferro, si aprirono un varco con valore e coraggio a metà del combattimento».
Lasciando da parte il lato poetico del paragone, il muro franco di scudi raggiunse l’obiettivo: resistere alla cavalleria omayyade, respingendone ogni assalto, mentre la cavalleria franca e quella aquitana entravano in azione. Fu allora che, nel fragore dello scontro, il duca Oddone e il suo esercito di cavalieri si lanciarono sull’accampamento nemico, dove si trovavano non solo le provviste e il bottino trafugato nelle incursioni, ma anche le donne e i figli dei guerrieri islamici. Davanti a un simile attacco, numerosi fanti berberi abbandonarono la battaglia per difendere l’accampamento. La cavalleria di Carlo, dal canto suo, era rimasta nascosta fino a quel
SAINT-HILAIRE LE GRAND
Nella chiesa, all’epoca fuori delle mura di Poitiers, era sepolto Ilario, vescovo del IV secolo. I musulmani la saccheggiarono nel 732, e i vichinghi nel secolo seguente; la basilica attuale risale all’XI secolo.
Carlo Martello ordinò alla sua fanteria di formare un muro di scudi per fermare l’assalto della cavalleria omayyade
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LA CROCE E LA SPADA
POITIERS E LA VIA VERSO IL TRONO
A
metà dell’VIII secolo, il Papato aveva bisogno di una spada che difendesse la Chiesa, e la trovò nei discendenti di Carlo Martello. La sua figura, che fu esaltata come quella del salvatore unto da Cristo in opere come la Historia langobardorum di Paolo Diacono, era il sostegno perfetto per sostituire la vecchia idea di romanitas, la romanità, il mondo modellato da Roma, con il nuovo concetto di christianitas, la cristianità, guidata da pontefice romano. Nel 751 si palesò questo cambiamento delle forme del potere: il figlio di Carlo, Pipino il Breve, all’epoca maestro di palazzo di Neustria e Austrasia, si consultò con papa Zaccaria sul destino del regno merovingio. Era ben visto da Roma che il figlio del vincitore di Poitiers orchestrasse un colpo di Stato contro re Childerico e prendesse la corona? La risposta del
vescovo di Roma, «si diventa re governando», era tutto ciò di cui Pipino aveva bisogno per deporre l’ultimo monarca merovingio. Religione e politica camminavano per mano, la croce sostenuta dalla spada, e ciò divenne evidente con la generazione successiva quando, nell’anno 800, papa Leone III incoronò il figlio di Pipino, Carlo Magno, celebrato come sovrano dell’Impero romano d’Occidente, restaurato per l’occasione.
SAMUEL MAGAL / BRIDGEMAN / ACI
IL DIFENSORE DELLA CRISTIANITÀ
Carlo Martello in una vetrata policroma della cattedrale di Strasburgo. Morto nel 741, a circa 53 anni, fu sepolto nella basilica di Saint-Denis, dove riposavano diversi sovrani merovingi.
momento e la sua irruzione nel bel mezzo del caotico combattimento fece pendere definitivamente la bilancia in favore dei franchi. Lo stesso al-Ghafiqi morì mentre cercava di mettere ordine nelle sue file, colpito da una freccia o un giavellotto. Quando scese la notte sulla collina di Moussais-la-Bataille sul campo di battaglia era rimasto soltanto qualche gruppo di berberi. All’alba del giorno seguente, di loro non c’era traccia: i sopravvissuti avevano raccolto i loro morti durante la notte e avevano preso la via della fuga verso la Penisola Iberica. La sanguinosa sconfitta di Poitiers, come quella di undici anni prima a Tolosa per mano di
Poitiers avvolse Carlo Martello e i discendenti in un’aura vittoriosa MONETA CONIATA DA PIPINO IL BREVE, FIGLIO DI CARLO MARTELLO. COSTA / LEEMAGE / PRISMA
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Oddone, rimase scolpita nell’immaginario islamico con il nome di Balat al-Shuhada, “il lastricato dei martiri”.
La fine delle incursioni Contrariamente a quanto si è soliti pensare, la vittoria di Carlo Martello non significò la fine delle ambizioni degli omayyadi nella Gallia, tutt’altro: Poitiers diede il via all’intensificazione delle incursioni durante il decennio successivo. Non bisogna dimenticare che i musulmani possedevano ancora importanti città nella parte francese del bacino del Mediterraneo, come Narbonne e Marsiglia, e che le incursioni attraverso il corridoio occidentale dei Pirenei non diminuivano. In realtà, la fine di questa politica di conquista fu dovuta molto meno alla sconfitta di Poitiers – per l’Islam, un semplice incidente – che alle dispute interne nella Penisola Iberica e alla crisi del califfato. Ad al-Andalus, i berberi, sempre soggiogati dagli arabi, si sollevarono contro di essi nel 741; contingenti siri si recarono nella penisola per aiutare gli
FRANCIS LEROY / GTRES
arabi a soffocare la ribellione e il territorio andaluso fu lo scenario di una cruenta lotta. Intanto, un’altra ribellione scoppiata in Iraq aveva sterminato gli omayyadi, che erano stati sostituiti dagli abbasidi. Un giovane principe omayyade di nome Abd al-Rahman sfuggì al massacro e si rifugiò nel caotico al-Andalus, dove racimolò sufficienti appoggi militari per proclamarsi emiro, sottraendo la penisola al controllo degli abbasidi. In questa situazione, la conquista delle terre oltre i Pirenei cessò di essere una priorità per i nuovi poteri islamici di Cordova, dove si insediò Abd al-Rahman, e di Baghdad, dove gli abbasidi trasferirono la capitale del califfato. Al contrario, per i vincitori di Poitiers la battaglia significò molte cose. È sintomatico che l’autore della Cronaca mozarabe definisse i trionfatori di Poitiers europenses.“Europei”. Questa parola nuova andava a sostituire l’idea di cittadinanza romana, un concetto che risultava anacronistico quando erano ormai trascorsi due secoli e mezzo dalla scomparsa dell’Impero d’Occidente. “Europei” sarebbe
diventato sinonimo di cristiani, e a Carlo Martello sarebbe stata attribuita la“salvezza” della civiltà cristiana. Nessuno si sarebbe ricordato della clamorosa e non meno dura sconfitta che Oddone aveva inflitto ai musulmani a Tolosa. Anche se idealizzare Poitiers come la pietra miliare della nascita dell’Europa e come la grande vittoria che pose fine all’avanzata islamica non corrisponde alla realtà storica, non è azzardato affermare che – grazie all’aura vittoriosa che circondò Carlo Martello e i suoi discendenti – il trionfo di Poitiers è all’origine di uno dei primi tentativi di costruzione europea: l’impero forgiato da Carlo Magno, nipote del potente maestro di palazzo dell’Austrasia.
Per saperne di più
LE ROVINE DI VIEUX-POITIERS
È possibile che nella spedizione di Poitiers l’accampamento delle truppe franche si trovasse in questa antica enclave romana, la cui torre avrebbe costituito un importante elemento difensivo.
SAGGI
La battaglia di Poitiers David Nicolle. Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2013. Massacri e cultura. Le battaglie che hanno portato la civiltà occidentale a dominare il mondo Victor Davis Hanson. Garzanti, Milano, 2002.
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FIUME CLAIN
PER TOURS 86 KM
PER NAITRÉ 4 KM
La mattina, Carlo Martello si schiera sulla via romana, forse con i fianchi protetti dalle foreste circostanti.
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Probabilmente i franchi si accampano nelle rovine romane di Vieux-Poitiers, che possono usare come elemento difensivo.
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Lo scontro ebbe luogo nella terza settimana di ottobre a Moussais-la-Bataille, sull’antica strada romana che univa Tours e Poitiers, lungo la quale avanzavano le truppe musulmane. Deciso a fermarle, il franco Carlo Martello attraversò il fiume Vienne con Oddone d’Aquitania, che mesi prima era stato sconfitto dagli invasori. Se avessero fallito, Tours e la sua venerata chiesa di Saint-Martin sarebbero state occupate FIUME VIENNE e saccheggiate.
LA BATTAGLIA MOMENTO PER MOMENTO
I musulmani lanciano ripetute cariche di cavalleria, che si infrangono contro il muro di scudi franco.
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MOUSSAISLA-BATAILLE
Al-Ghafiqi sistema l’accampamento su un rilievo e lo dota di fortificazioni.
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I berberi dell’esercito omayyade retrocedono verso l’accampamento musulmano per respingere l’attacco.
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Un esercito guidato da Oddone, probabilmente di cavalleria, attacca l’accampamento nemico.
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In file compatte di fanteria, i franchi formano un muro di scudi per resistere all’assalto della cavalleria omayyade.
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PER POITIERS 26 KM
FORESTA DI MOULIÈRE
MONTGAMÉ
CARLO MARTELLO A POITIERS, IN UNA RICOSTRUZIONE EPICA DEL XIX SECOLO. INCISIONE A COLORI.
Abd al-Rahman ibn Abd Allah al-Ghafiqi, governatore di al-Andalus, guida il più grande esercito che abbia mai attraversato i Pirenei: forse 30.000 combattenti arabi e berberi, molti dei quali accompagnati dalla famiglia, vengono per insediarsi nel territorio che sperano di conquistare. Sul fronte opposto, Carlo Martello e Oddone d’Aquitania schierano forse 13.000 uomini.
1. LO SCONTRO
PER NAITRÉ 4 KM
«Il principe Carlo [Martello] si schierò in formazione di battaglia dinanzi a nemici, e il guerriero si lanciò su di essi. Con l’aiuto di Cristo, rovesciò le sue tende e si affrettò a dare battaglia per distruggerli nella carneficina». Così esaltava il comandante franco lo sconosciuto continuatore della Cronaca di Fredegario, che narrava la storia dei re merovingi. Per i posteri, Carlo Martello divenne il salvatore dell’Occidente cristiano grazie alla
Il significato di Poitiers
FIUME CLAIN
Forse l’esercito franco si riunisce a Vieux-Poitiers per riprendere il combattimento il giorno seguente.
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PER TOURS 86 KM
ESERCITO OMAYYADE
ESERCITO FRANCO
Parte dell’esercito musulmano continua a combattere sino al tramonto e i franchi non riescono a prendere il loro accampamento, quindi abbandonano la lotta al calar del sole.
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MOUSSAISLA-BATAILLE
L’esercito franco avanza approfittando della disorganizzazione delle file nemiche. La cavalleria di Carlo attacca.
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LES RABOTTES
ASCIA MEROVINGIA. LE INCROSTAZIONI D’ARGENTO SONO LA PROVA DEL RANGO ELEVATO DEL POSSESSORE. VII SECOLO. BRITISH MUSEUM, LONDRA.
sua vittoria di Poitiers, probabilmente decisiva nell’arrestare l’espansione dell’Islam. Tuttavia, gli attacchi musulmani non cessarono e nel 739-740 il territorio franco subì una nuova, più forte e più devastante incursione. In realtà, a porre fine agli attacchi alla Gallia fu soprattutto l’instabilità interna di al-Andalus, dove l’ostilità tra arabi e berberi (che avrebbe finito per provocare una guerra) esigeva la presenza costante del governatore o wali.
LES GRIPPAUX
FIUME VIENNE
PER POITIERS 26 KM
L’attacco a sorpresa di Oddone contro l’accampamento musulmano è decisivo per ottenere la vittoria, poiché numerosi soldati musulmani – forse berberi – retrocedono per difenderlo, rompendo così le righe omayyadi. La crisi si aggrava con la morte del comandante, al-Ghafiqi, durante la battaglia.
2. LA VITTORIA
FORESTA DI MOULIÈRE
MONTGAMÉ
Durante la notte, i musulmani abbandonano prigionieri e bottino e si ritirano verso Poitiers, a sud.
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La fuga dei berberi rompe le righe omayyadi e Carlo Martello carica con la sua cavalleria, che teneva pronta. Al-Ghafiqi muore in battaglia.
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INCISIONE: COSTA / LEEMAGE / PRISMA. MAPPE: GRAHAM TURNER / OSPREY PUBLISHING. ASCIA: BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
CARLO IL TEMERARIO
Divenuto duca di Borgogna nel 1467, furono la sua indole impulsiva, il suo genio militare e le sue ambizioni politiche a valergli l’appellativo di “Temerario”. Ritratto di Pieter Paul Rubens, Kunsthistorisches Museum, Vienna. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE
La Borgogna tardomedievale
CARLO IL TEMERARIO
Sullo sfondo della guerra dei Cent’anni, tra scontri interni e alterne alleanze, il prospero ducato di Borgogna guidato dal Temerario accarezzò il sogno di diventare uno Stato indipendente MARINA MONTESANO PROFESSORE ORDINARIO DI STORIA MEDIEVALE, UNIVERSITÀ DI MESSINA
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on Carlo di Valois-Bourgogne, meglio noto come “il Temerario” (1433-1477,) si chiude un grande capitolo della storia di Francia: il progetto di trasformare il ducato di Borgogna in un regno autonomo. Sotto il suo dominio la stirpe ducale arrivò a controllare un territorio stretto da vicini potenti quali la corona di Francia e l’Impero, che si estendeva dalle Fiandre fino ai confini con la Savoia e i cantoni elvetici. La storia dei duchi di Borgogna si può far partire da Filippo II l’Ardito, bisnonno di Carlo (1342-1404), figlio del re di Francia Giovanni II il Buono e di Bona di Lussemburgo, morta nel 1349. Filippo aveva ricevuto il ducato dal padre; attraverso il matrimonio con Margherita di Fiandra ottenne anche il controllo della contea di Fiandra, della contea di Borgogna (che si sommava così al ducato), di Nevers e di Rethel.
IL PALAZZO DEI DUCHI C R O N O LO G I A
Il sogno di un ducato sovrano
Nel cuore di Digione, capitale dell’allora ducato di Borgogna, i duchi eressero una splendida residenza a testimonianza del prestigio e del potere raggiunto.
1363 Filippo II l’Ardito, bisnonno di Carlo, diventa duca di Borgogna. Grazie a un proficuo matrimonio, annette alle sue terre le ricche Fiandre.
1404 Il suo erede, Giovanni Senza Paura, approfittando della Guerra dei Cent’anni e della follia del re Carlo VI, si ritaglia un ruolo importante nel regno.
1419 La debolezza della corona di Francia lascia spazio allo scontro tra borgognoni e Orléans. A ereditare il ducato sarà Filippo III detto il Buono.
1429 Il borgognone sceglie di schierarsi a favore di Carlo VII, incoronato re di Francia. Il ducato si espande formando i Paesi Bassi borgognoni.
1467 Duca di Borgogna diviene Carlo che, a eccezione del padre, continua la tradizione di famiglia meritandosi l’appellativo “il Temerario”.
1471 Nello scontro con il nuovo re Luigi XI, Carlo si dichiara affrancato dalla sovranità regia mentre affronta le ribellioni delle Fiandre.
1477 Proprio durante una delle tante repressioni, nella battaglia di Nancy, Carlo il Temerario muore, e con lui il sogno di una Borgogna sovrana.
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LO STEMMA
Particolare di arazzo con lo stemma di Carlo il Temerario. XV secolo. Historisches Museum, Berna. DEA / SCALA, FIRENZE
Attraverso le nozze delle figlie realizzò l’annessione della contea di Hainaut. Si mostrò abile nel gestire la situazione politica non facile in cui versava il regno francese: la minorità di Carlo VI, suo nipote, poi la sua pazzia gli lasciarono largo spazio di manovra. Con suo figlio Giovanni detto“Senza Paura”(1371-1419) le vicende del ducato si intrecciarono a quelle della Guerra dei Cent’Anni. L’erede era nato a Digione, capitale del ducato, da Margherita III di Fiandra. Il soprannome deriva dal suo impegno nella battaglia di Nicopoli nel 1396 contro gli ottomani che avanzavano in Ungheria. Tuttavia, la crociata fu un disastro, le armate cristiane distrutte da Bayazed I. Giovanni fu preso prigioniero e suo padre Filippo dovette pagare 200.000 fiorini per il riscatto. Più accorta fu invece la politica in patria. Alla morte del padre, Giovanni ne ereditò le terre e il ruolo politico. Le crisi di follia di Carlo VI erano ormai ricorrenti, e di fatto la Francia ve-
MANUEL COHEN / AURIMAGES
Armagnacchi e borgognoni A sua volta, però, anche la politica di Giovanni richiedeva finanziamenti, e una parte dei proventi della Borgogna proveniva dal Tesoro
IL RE SENZA CORONA Figlio di Carlo VI detto il Pazzo, Carlo VII venne agli inizi privato della corona dal re d’Inghilterra per poi riconquistarla grazie all’aiuto di Giovanna d’Arco.
BRIDGEMAN / ACI
niva governata dai grandi del regno. Il ruolo principale spettava al duca Luigi I di Orléans. Tuttavia anche Giovanni esercitava una parte importante, forte della simpatia mostratagli dalla regina Isabella di Baviera. Il matrimonio tra il suo erede Filippo con una figlia del sovrano, Michelle de Valois, non poteva che rafforzare i legami con la corona. Agli inizi del Quattrocento le tensioni fra corona di Francia e corona d’Inghilterra erano all’apice dopo una pausa di alcuni anni. Il duca di Orléans cercava di imporre nuove tasse per sostenere gli eserciti, ma Giovanni, che dalla madre aveva ereditato anche le Fiandre, si opponeva: assicurava le ricche città dei Paesi Bassi che le imposte non sarebbero state riscosse, e con questa mossa si pose di fatto in conflitto diretto con Luigi d’Orléans.
della corona; inevitabile dunque che le tensioni portassero a una diminuzione degli introiti. Ormai tra i due cugini era scontro aperto; parte della popolazione parigina propendeva per il duca di Borgogna, se non altro perché l’Orléans veniva identificato con le tasse che gravavano sui cittadini; e dalla sua vi erano anche molti giuristi e maestri dell’Università. Giovanni si poté permettere persino un ingresso a Parigi, nell’agosto 1406, con un esercito di 800 cavalieri al seguito, per un colloquio privato con il Delfino, futuro Carlo VII, che poteva facilmente passare per un rapimento. Lo scontro tra le due fazioni si fece sempre più acuto finché Giovanni pianificò un attentato contro il duca d’Orléans, che il 23 novembre 1407 cadde sotto i colpi dei sicari. Dopo che i tentativi della moglie e degli eredi di ottenere giustizia fallirono, il figlio del defunto, Carlo d’Orléans, si rivolse a Bernard conte d’Armagnac per trovare una sponda militare; l’alleanza fra le due casate si rafforzò con il matrimonio fra Carlo e la STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LILLA, LA CITTÀ DELLE NOZZE
Nel Nord della Francia, fu a Lilla che Carlo il Temerario sposò il 30 ottobre del 1454 Isabella di Bourbon, principessa di sangue francese. Nell’immagine, il campanile della Camera di Commercio e Industria della città.
LO SFARZO DEI DUCHI
MATRIMONI E FESTE
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l pari di suo padre, Carlo il Temerario amava circondarsi di splendore: palazzi, castelli, abiti, gioielli, armi; tutto doveva contribuire a promuovere la magnificenza della casata, a rappresentarne le mire politiche. Per questa ragione il fasto della corte dei duchi di Borgogna è servito al grande storico Johan Huizinga quale modello per dipingere il suo mirabile ritratto della società tardoamedievale. I matrimoni che servivano a unire le grandi aristocrazie d’Europa erano un’occasione per mettere in mostra lo sfarzo delle dinastie. Carlo il Temerario si sposò tre volte: il suo primo matrimonio, con Caterina di Francia, figlia di Carlo VII, era stato celebrato nel 1440 quando lei aveva 12 anni e lui 6, ma la giovane non superò i diciotto. In seconde nozze, per volontà del padre, nel 1454 si unì a Isabel-
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la di Bourbon, che gli dette una figlia, l’unica: Maria, futura duchessa di Borgogna. Per quanto è noto fu un’unione felice, alla quale pose fine la tubercolosi che uccise Isabella nel 1465. Per il terzo matrimonio, nel 1468, Carlo scelse Margherita di York, sorella del re d’Inghilterra Edoardo IV. Uno sposalizio pensato come una grande celebrazione del potere del Temerario: dieci giorni di festeggiamenti mostrarono all’Europa del tempo il fasto della corte di Borgogna.
figlia dell’Armagnac. Nel 1410 fra armagnacchi e borgognoni iniziò una guerra civile, che si intrecciò con le mire inglesi sulla corona di Francia. La prima fase della Guerra dei Cent’Anni si era infatti arrestata nel secolo precedente senza una vera e propria conclusione. La pazzia di Carlo VI, la giovane età del Delfino, la guerra civile sembravano favorire il re d’Inghilterra Enrico V, le cui truppe nel 1415 sconfissero ad Azincourt la cavalleria francese. Il sostegno di Giovanni Senza Paura contro l’avanzata inglese era stato assai scarno; anzi il duca ne aveva approfittato per estendere il suo controllo su Parigi. Nel 1419 il Delfino e Giovanni stipularono un accordo, che avrebbero dovuto ratificare con un incontro, il 10 settembre a Montereau. La dinamica dei fatti non è chiara, perché le fonti di parte borgognona e quelle favorevoli agli Orléans offrono versioni contrastanti: ma un litigio degenerato o un vero e proprio attentato portò alla morte del duca di Borgogna. Al cadavere fu amputata una mano, così come i suoi sicari avevano fatto con Luigi. Scontata
BRIDGEMAN / ACI
RICHARD SOBERKA / GTRES
RITRATTO DI CARLO LADOPPIO «SEÑORA DE LOS LIBROS». IL TEMERARIO E DI ISABELLA SESHAT, COMPAÑERA DE THOT, DIINSCRIBE BOURBON, ENSUA UNASECONDA RAMA DE MOGLIE. OLIO SULOS TAVOLA. INDICABAN AÑOS DE
a quel punto l’alleanza tra inglesi e borgognoni, a capo dei quali si pose l’erede Filippo III“il Buono” (1396-1467): a sancirla ufficialmente arrivò, nel 1420, il trattato di Troyes.
GIOVANNA D’A RCO
Negli anni successivi, Filippo espande i suoi domini nelle aree settentrionali, dando vita ai cosiddetti “Paesi Bassi borgognoni”. Nella Guerra dei Cent’Anni era saldamente alleato del duca di Bedford, reggente per conto di Enrico VI dopo la morte prematura di suo padre. A dieci anni il re bambino venne incoronato anche sovrano di Francia a Notre-Dame di Parigi. Era il 16 dicembre 1431. Poco prima, il 17 luglio, il Delfino era stato incoronato con il titolo di Carlo VII a Reims; vi era giunto passando furtivamente attraversando il ducato di Borgogna, scortato da Giovanna d’Arco e da alcuni fedeli alla casa d’Orléans. L’intervento della Pulzella fu decisivo nel rovesciare le sorti
JOSSE / SCALA, FIRENZE
Lo “Stato” di Borgogna
Fu la pulzella d’Orléans a scortare Carlo VII a Reims per l’incoronazione. Qui ritratta in abiti militari. Musée des Beaux-Arts, Rouen, Francia.
di un conflitto che sembrava ormai perso per Carlo VII. Catturata proprio dai borgognoni, venne consegnata al duca di Bedford per volontà di Filippo, condannata in un processo per eresia dai forti toni politici e infine arsa a Rouen il 30 maggio 1431. Tuttavia poco dopo l’incertezza della guerra costrinse gli inglesi al tavolo delle trattative. Ma, soprattutto, portò il duca di Borgogna a ripudiare il trattato di Troyes e, con un clamoroso cambio di alleanze, a tornare al fianco di Carlo VII; che a sua volta fece ammenda per l’uccisione di Giovanni Senza Paura. Nel 1439 arrivò anche la pace con Enrico VI d’Inghilterra. A quel punto l’insieme dei suoi territori costituiva quello che molti storici definiscono uno“Stato borgognone”, nonostante i tentativi di rivolta (che resteranno una costante) delle ricche Fiandre. Alla morte del duca, nel 1467, fu suo figlio Carlo a prenderne la guida. Il suo esordio nella guida politica e militare era già avvenuto poco dopo la metà del secolo, quando si era occupato STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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BRUGES
Vista notturna del Rozenhoedkaai, il pittoresco lungofiume della storica cittĂ delle Fiandre. Bruges era nel Quattrocento un ricco centro che prosperava grazie a un fiorente mercato tessile. Sotto i duchi di Borgogna divenne anche un importante centro artistico e finanziario. BERND ROHRSCHNEIDER / AGE FOTOSTOCK
LA DÉBÂCLE FRANCESE
La battaglia di Azincourt
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li inglesi guidati da Enrico V erano sbarcati sul suolo francese: il sovrano aveva avanzato richieste ritenute oltraggiose dagli occupati, prima fra tutte la stessa corona di Francia. Ci si preparava quindi alla battaglia e, benché il numero degli effettivi di ciascuno schieramento non sia ancora certo, è indubbio che l’esercito francese si aspettasse una vittoria, data la netta superiorità numerica dei suoi uomini. E che uomini: conti, duchi e nobili di tutta la Francia erano in campo. Ma la storia andò diversamente da quanto immaginato. ALLE UNDICI DEL 25 OTTOBRE DEL 1415 la battaglia infuriò e le truppe di Enrico V, strategicamente posizionate, seppero trasformare il proprio fuoco di frecce e il terreno paludoso nel campo di sconfitta della celebre cavalleria francese. Alle sedici era già tutto finito: la Francia di Carlo VI aveva vissuto uno dei momenti più cupi della sua storia, l’Inghilterra uno dei suoi più fulgidi.
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RE ENRICO V DIEDE AVVIO ALLO SCONTRO AL GRIDO DI: «AVANTI O BANDIERA! IN NOME DI DIO ONNIPOTENTE, E CHE SAN GIORGIO SIA OGGI IL TUO AIUTO!». HEVER CASTLE, KENT, REGNO UNITO.
LA BATTAGLIA DI AZINCOURT
BRIDGEMAN / ACI
Nell’ambito della Guerra dei Cent’anni, le truppe del re d’Inghilterra Enrico V sconfiggono l’esercito francese di Carlo VI; 25 ottobre 1415. John Gilbert, Atkinson Art Gallery, Southport, Regno Unito.
I CAPOLAVORI DELLE FIANDRE
Adorazione dell’agnello mistico, parte del monumentale e apribile polittico a dodici pannelli dipinto da Jan van Eyck tra il 1426 e il 1432 che si trova nella cattedrale di San Bavone a Gand, nelle Fiandre Orientali.
IL MECENATISMO DEI DUCHI
L’ARTE FIAMMINGA
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otto i duchi di Borgogna l’arte fiamminga raggiunse il suo apice. Bruges era il centro di maggiore attività, soprattutto a partire dagli inizi del Quattrocento, poiché brulicava di una popolazione cosmopolita, con una forte rappresentanza di mercanti e banchieri italiani. Il pittore di maggiore importanza nei primi decenni del secolo fu Jan van
Eyck, il quale si stabilì a Bruges nel 1425 su invito di Filippo il Buono. Lavorò a stretto contatto con il duca e, fra tutti i grandi “primitivi fiamminghi”, sarà quello più intimamente vicino alla Casa di Borgogna. A partire dal 1435 Filippo stanziò una cifra cospicua per assicurarsene i servigi; e per il duca van Eyck compirà anche alcune missioni all’estero. Restò invece più legato a Bruges Petrus Christus. Ugualmente collegato alle committenze ducali fu Rogier van der Wey-
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den. Il suo atelier di Bruxelles era una grande impresa commerciale. Nel 1460 eseguì anche un celebre ritratto di Carlo il Temerario. Come van Eyck e Petrus Christus, anche Hans Memling stabilì la sua attività a Bruges e vi costruì la sua fortuna. All’indomani della morte di Carlo, la città cominciò a subire un calo della presenza straniera; soprattutto la disertarono i grandi banchieri, Medici in testa. Era la fine di un’epoca breve, ma brillante, di assoluto splendore.
di reprimere le insurrezioni delle Fiandre. Nel 1465 aveva anche riportato una grande vittoria contro le truppe del re a Monthléry. All’epoca Carlo era ancora soltanto conte di Charolais; in questa veste si era posto a capo della cosiddetta“lega del bene pubblico”, una rivolta feudale contro le mire di centralizzazione espresse dal sovrano di Francia. Il carattere del futuro duca di Borgogna si evidenzia già da questi primi successi militari: l’impulsività, la crudeltà, ma anche il genio militare. Il soprannome“il Temerario”gli verrà conferito precocemente, già alla fine del secolo. Il valore in battaglia, i tornei, gli ideali crociati erano parte essenziale della sua personalità. Le insurrezioni cittadine risultavano, alla luce di questo, un affronto da reprimere senza quartiere.
Un duca con molti nemici Dopo la morte del padre, il Temerario rafforzò le difese dei suoi domini, con il chiaro intento di trasformarli in un regno. Tuttavia, proprio la volontà di primeggiare nella scena politica del
FRANK VAN GROEN / AGE FOTOSTOCK
SCALA, FIRENZE
LIEGI IN RIVOLTA CONOBBE LA DURA REPRESSIONE DI CARLO IL TEMERARIO. IL PALAZZO DEI PRINCIPI-VESCOVI SOSTITUÌ PROPRIO QUELLO DISTRUTTO DAL DUCA.
suo tempo creava continue rivalità. A partire da quella, senza tregua, con Luigi XI. Nel 1468 il sovrano si era recato a Péronne presso Carlo per trattare una pace che evitasse il risorgere della Lega. A sua volta, il duca puntava al riconoscimento della giurisdizione sovrana sui feudi francesi. Mentre la trattativa andava avanti, la rivolta di Liegi – a dire il vero fomentata dagli emissari del re – portò il Temerario addirittura a rinchiudere il suo sovrano nelle mura cittadine, facendolo di fatto prigioniero. Temendo per la sua vita, Luigi firmò il trattato alle condizioni richieste, mentre Carlo si lasciava andare a una brutale repressione contro Liegi, che venne rasa al suolo dinanzi agli occhi di Luigi. Nel maggio 1469, con il trattato di Saint-Omer, diverse città e terre della zona renana gli vennero cedute dal duca d’Austria Sigismondo d’Asburgo, bisognoso di rimpinguare le finanze. L’espansione dello“Stato borgognone”aveva così ormai raggiunto confini inediti. Ma i pro-
TRATTATO DI TROYES Il re d’Inghilterra Enrico V e quello di Francia Carlo VI firmano il trattato che prevede il passaggio del trono di Francia al sovrano inglese.
blemi non mancavano. Intanto, per realizzare la sua politica, il Temerario aveva a sua volta forti necessità economiche. Questo lo portava costantemente in rotta con le città delle Fiandre e dei Paesi Bassi borgognoni, in cerca di autonomie e invece gravate dalle tasse e dal giogo di una concezione del potere profondamente differente dalla loro. Il conflitto con il re di Francia era inoltre endemico, e per far fronte Carlo cercò la sponda dell’imperatore Federico III di Asburgo e del re d’Inghilterra Edoardo IV. Alla fine del 1471, in virtù dell’annullamento unilaterale del trattato di Péronne da parte di Luigi XI, Carlo si dichiarò affrancato dalla sovranità regia. Era evidente a quel punto che lo Stato borgognone era sulla via di non essere più vassallo, neppure teoricamente com’era rimasto fino ad allora, ma stava divenendo uno Stato sovrano a pieno titolo. Questa mossa pose però Carlo in una situazione pericolosa anche nei rapporti con l’impero, del quale pure, per alcuni STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
TALLANDIER / BRIDGEMAN / ACI
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IL MONUMENTO FUNEBRE
Il riposo di padre e figlia GIÀ VICTOR HUGO, ammirando i monumenti funebri di Carlo il Temerario e di sua figlia Maria nella chiesa di Nostra Signora di Bruges, scrisse: «Ce sont d’énormes bijoux» (sono enormi gioielli). Padre e figlia – deceduta appena cinque anni dopo il padre a causa di un incidente – riposano infatti fianco a fianco, in due splendide tombe risalenti in realtà a periodi diversi: quella di Maria, in stile
gotico, venne ultimata nel 1502, mentre quella di Carlo, in stile rinascimentale, fu completata solamente nel 1562, quasi un secolo dopo la sua morte. A portare i resti di Carlo il Temerario a Bruges accanto a quelli di Maria fu nientemeno che Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero nonché pronipote (Maria aveva sposato Massimiliano I d’Asburgo, nonno di Carlo) del “Temerario” duca di Borgogna.
ERICH LESSING / ALBUM
CATTEDRALE DI BEAUVAIS
Deciso a espandere i propri domini, Carlo il Temerario assediò la città nel 1472, ma secondo la tradizione i suoi piani vennero bloccati dall’eroismo di una donna, Jeanne Hachette.
DALLA CASA DI BORGOGNA ALL’IMPERO
IL TOSON D’ORO
L’
Ordine del Toson d’Oro venne fondato da Filippo il Buono, come narra il poeta di corte Michault Taillevent ne Le songe de la Toison d’Or. Era il tempo in cui un po’ tutte le grandi famiglie d’Europa fondavano ordini. Il duca si ispirava al toison, termine francese che indica il “vello” d’oro del mito di Giasone e di Medea; un riferimento all’avventura e alla conquista in terre lontane. Il grande sogno di Filippo il Buono era infatti quello di portare la bandiera reale francese in una crociata contro i turchi. Ma la simbolica fu cristianizzata da un vescovo che era consigliere del duca e cancelliere dell’ordine: Jean Germain. Egli indirizzò l’attenzione del suo signore a un altro vello, quello che secondo la Bibbia (Giudici, 6,37) sarebbe servito a Gedeone per raccogliere la rugiada del cielo: un episodio che i Padri della Chiesa usarono per simboliz-
zare la fecondazione divina del seno della Vergine. L’ordine aveva come scopo l’affinamento delle virtù personali dei cavalieri che vi si affiliavano e la gloria della casa di Borgogna. Attraverso Maria, figlia di Carlo il Temerario e sposa dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, il patrocinio dell’ordine passò alla casa imperiale; e quindi al nipote di Maria e Massimiliano: Carlo V.
CARLO IL TEMERARIO TRA I CAVALIERI DELL’ORDINE DEL TOSON D’ORO, 1473. BRIDGEMAN / ACI
territori, era vassallo. Il suo era un progetto comprensibile alla luce della potenza acquisita, ma giudicato pericoloso dalle due grandi autorità che lo circondavano.
L’epilogo Cominciarono allora ad accavallarsi i problemi. Nel 1473 Federico III rifiutò la proposta di Carlo di farlo eleggere “re dei Romani” ; il figlio dell’imperatore, Massimiliano, si sarebbe dovuto unire in matrimonio con Maria di Borgogna, figlia di Carlo. Le concessioni imperiali erano già state molte, tuttavia Carlo pretendeva di estendere il potere anche ai Cantoni svizzeri: troppe richieste portarono Federico III e suo figlio ad abbandonare i colloqui. Bisogna poi considerare le continue rivolte con le quali il Temerario doveva confrontarsi: nel 1472 aveva massacrato
BRIDGEMAN / ACI
BERTRAND GARDEL / GTRES
la popolazione di Nesle, ma fallito contro Beauvais. Nel 1475 rinunciò ad assediare Neuss, mentre le province dei Paesi Bassi borgognoni gli rifiutavano l’aiuto finanziario richiesto. Nello stesso anno, la svolta decisiva arrivò con la pace fra il re d’Inghilterra e Luigi XI: a quel punto le speranze di suscitare una nuova invasione inglese divenivano per Carlo vane. Gli ultimi anni del suo regno furono costellati di rivolte. La Confederazione dei Cantoni svizzeri non solo gli resisteva, ma giunse a invadere il Pays de Vaud; a finanziare l’operazione c’era il re di Francia. Carlo era convinto di poter sottomettere gli svizzeri, ma dalla sua aveva truppe in parte composte di mercenari italiani che, a corto di paga, evidentemente avevano poca voglia di combattere: il 2 marzo e poi ancora il 22 giugno del 1476, il Temerario subì due sconfitte inattese. Nel mese di ottobre, Carlo si rivolse allora alle zone settentrionali del suo dominio, pure in rivolta. Pose l’assedio a Nancy, in Lorena, e durante una battaglia contro le truppe lorenesi e svizzere, combattuta poco a sud della città, il 5 gennaio del 1477
Carlo il Temerario trovò la morte; complice il tradimento del suo luogotenente Nicolas de Montfort, passato al nemico insieme con i suoi mercenari. Il corpo venne trovato due giorni più tardi presso lo stagno di Saint-Jean, con il cranio spaccato. Morto Carlo senza eredi maschi, le richieste di Maria di Borgogna a Luigi XI affinché rispettasse l’unità dei domini del padre furono inutili. Il re di Francia si impossessò di larga parte dei territori del ducato di Borgogna. Il matrimonio di Maria con Massimiliano d’Asburgo portò tuttavia all’Impero il Lussemburgo, le province fiamminghe e l’Hainaut. Nelle aree meridionali la Confederazione elvetica poté invece dare inizio alla sua indipendenza.
Per saperne di più
L’ASSEDIO DI NANCY
Durante lo scontro tra Carlo il Temerario e l’esercito lorenese alleato a quello della confederazione svizzera del 1477, e anche grazie all’intervento del re Luigi XI che finanziò il reclutamento lorenese, il duca di Borgogna perì.
SAGGI
L’autunno del Medioevo Johan Huizinga. Milano, 1998. Armagnacchi e Borgognoni (1380-1422) A. Coville. In Storia del mondo medievale, Garzanti, Milano, 1999.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL FASCINO DEL CRIMINE
Il 13 febbraio 1891, due anni e mezzo dopo gli omicidi, il settimanale francese Le Journal Illustré pubblicava questo «ritrovamento di una vittima di Jack lo Squartatore». Il criminale era già famoso. RUE DES ARCHIVES / ALBUM
IL COLTELLO DELLO SQUARTATORE
Coltello a doppia lama che si presume Jack lo Squartatore abbia abbandonato accanto a una delle sue vittime, un fatto che però nessuna prova conferma. Collezione di Donald Rumbelow. MARY EVANS / CORDON PRESS
IL CRIMINALE DELLA METROPOLI
JACK
LO SQUARTATORE
Nel 1888, la città di Londra fu scossa dai brutali omicidi di cinque prostitute nell’East End, il quartiere in cui le condizioni di vita erano le più degradate della capitale britannica. L’autore di quei crimini non fu mai catturato IGNACIO PEYRÓ GIORNALISTA E SCRITTORE
UNA DELLE MOLTE LETTERE FIRMATE DA JACK THE RIPPER RICEVUTE DALLA POLIZIA. ALCUNE FURONO SPEDITE DA GIORNALISTI PER AUMENTARE LA TIRATURA DELLE LORO TESTATE. DPA / ALBUM
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ltimi anni del XIX secolo. L’Inghilterra è la nazione più potente della Terra e Londra, la sua capitale, è la città più grande del mondo. Anche senza saperlo, è qualcosa che ogni viaggiatore può intuire con un solo sguardo. Le torri del Parlamento di Westminster si innalzano orgogliose per affermare e sottolineare il dominio politico britannico, così come le banche della City controllano il commercio internazionale. Nel frattempo, il Times dà conto degli svaghi dell’aristocrazia, dal music hall alle battute di caccia alla volpe. Per assicurare la pace, l’esercito controlla i mari e l’ammirata polizia britannica «rivela, solo a guardarla, lo splendore dell’Impero». Da Buckingham Palace, la regina Vittoria regna sull’epoca di maggior gloria e potere della storia d’Inghilterra. Tuttavia, non ci sono solo luci in quell’Inghilterra. E per averne la prova non serve andare nelle miniere di carbone o a Manchester, con i suoi «diabolici telai». A brevissima distanza dall’eleganza del West End, esiste ancora a Londra una zona «inesplorata come Timbuctù». È l’East End e, dentro l’East End, Whitechapel è il luogo in cui la miseria tocca il fondo. Parliamo di un dedalo di viuzze inondate dalle esalazioni maleodoranti del Tamigi. Di bassifondi in cui malattie, alcolismo e prostituzione fanno strage tra le loro ottantamila anime. Di un quartiere le cui case, ammassate, paiono inclinarsi minacciosamente su chi trova il coraggio per passeggiare alla loro ombra. 90 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Whitechapel è la Londra che il resto di Londra non vuole vedere. Nell’autunno del 1888, però, tutta l’Inghilterra finirà per volgere gli occhi verso quel quartiere malfamato. Perché Whitechapel sarà il sinistro scenario dei delitti di Jack the Ripper, lo Squartatore.
L’enigma Probabilmente Jack lo Squartatore non fu il più letale degli assassini, ma può benissimo essere considerato il più crudele e indubbiamente è il più famoso. Sarà perché il suo nome evoca ancora in noi la paura che possono scatenare soltanto dei passi nell’oscurità, il bagliore della lama di un coltello che compare all’improvviso in una via deserta. Sarà perché, anche se alcuni criminali non furono mai catturati, a lui dovette essere affibbiato un soprannome perché non si seppe mai neppure la sua identità. Sarà, infine, perché «i crimini di Whitechapel» scossero le fondamenta benestanti della società vittoriana e rivelarono l’esistenza di una Gran Bretagna diversa, umiliata e povera.
C R O N O LO G I A
1888:UN
ANNO DI TERRORE 31 agosto Mary Ann Nichols muore sgozzata tra le 2:00 e le 3:40. L’assassino la pugnala al basso ventre, ma non la eviscera.
8 settembre Annie Chapman muore tra le 5:30 e le 6:00. Sgozzata come tutte le vittime, è la prima che Jack sventra.
30 settembre Elizabeth Stride muore tra le 00:45 e l’1:07. L’assassino, interrotto dall’arrivo di una persona, non la eviscera.
30 settembre Catherine Eddowes muore tra l’1:30 e l’1:45. Viene sventrata con un taglio dall’inguine allo sterno e il volto è sfigurato.
9 novembre Mary Jane Kelly muore tra le 2:00 e le 3:00. Il suo corpo viene orribilmente mutilato; l’assassino porta via con sé il cuore. VITTORIA I, SOVRANA DEL REGNO UNITO TRA IL 1837 E IL 1901. RITRATTO SUL ROVESCIO DI UNA CORONA D’ARGENTO.
LA VITA NELLE STRADE DI LONDRA
Era questo il titolo del reportage che il fotografo John Thomson e il giornalista Adolphe Smith pubblicarono in dodici uscite mensili. Questa fotografia fu scattata in una via di Whitechapel. MUSEUM OF LONDON / BRIDGEMAN / ACI N O RO
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iano puntualmente nuove ipotesi sulla sua identità. Ce ne sono state di tutti i tipi, più o meno stravaganti: basti dire che se per alcuni the Ripper fu addirittura un eminente membro della Casa Reale, per altri l’assassino era un gorilla fuggito dallo zoo. Tra i due estremi, l’elenco dei sospettati comprende di tutto, da persone di prestigio come Lewis Carroll (autore di Alice nel paese delle meraviglie) a poveretti come un calzolaio londinese, il cui unico crimine fu quello di girare per le strade portando gli strumenti del suo lavoro.
Che cosa sappiamo
LA VENDETTA DELL’ABBANDONO. IL TITOLO DELL’INCISIONE ALLUDE ALLE PENOSE CONDIZIONI SOCIALI DELL’EAST END, SCENARIO DEI CRIMINI DEL 1888. LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI
LANTERNA A OCCHIO DI BUE RISALENTE ALL’EPOCA DEGLI OMICIDI. FACEVA PARTE DELL’EQUIPAGGIAMENTO DEI POLIZIOTTI CHE PATTUGLIAVANO LE STRADE DI LONDRA DI NOTTE. MUSEUM OF LONDON. BRIDGEMAN / ACI
Tuttavia, queste spiegazioni non bastano a chiarire perché, più di centoventicinque anni dopo, la figura dello Squartatore sia diventata leggenda; perché continuino a uscire libri sui suoi delitti; perché vi siano riviste specializzate nello studio del suo profilo o perché le investigazioni abbiano addirittura dato il nome a una materia, la“ripperologia”, a metà tra la scienza e la mera speculazione. La risposta è semplice: se fosse stato arrestato, Jack lo Squartatore avrebbe smesso di interessarci già da un pezzo. Il fatto è, però, che dopo tanto tempo ciò che sappiamo di lui è, in sostanza, quello che si sapeva all’epoca: nulla. Nulla di certo, nulla di sicuro, assolutamente nulla. Per questo non deve sorprendere che, con tutti i misteri che avvolgono lo Squartatore, ogni momento appa-
In senso stretto, tutto quello che sappiamo di Jack lo Squartatore, per quanto possa sembrare ovvio, è che uccise. Però neppure sul numero delle sue vittime c’è accordo, e non per niente i suoi delitti sono solamente una parte degli undici “crimini di Whitechapel” che ebbero luogo all’epoca. E anche se le fonti tentennano al momento di dar conto della sua attività criminale, gli investigatori più famosi limitano al numero di cinque le sue vittime. Si tratta di Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly, tutte prostitute, tutte dedite all’alcol e tutte, infine, destinate a essere molto meno ricordate del loro assassino. È stata data anche una delimitazione temporale all’azione del mostro: dalla fine di agosto alla metà di novembre, lo Squartatore agì nell’arco di soli settanta giorni. Come avrebbe scritto il detective Reid, uno dei più sagaci tra quelli che seguirono il caso, «questi sono gli unici fatti accertati. Tutti i delitti sono stati commessi dopo l’orario di chiusura dei bar; tutte le vittime appartenevano alla stessa classe sociale – la più bassa tra le basse – e vivevano a non più di un quarto di miglio le une dalle altre. Inoltre, tutte sono state assassinate allo stesso modo». Il resto è ancora oggi avvolto nell’ombra, un mistero impenetrabile, ma quello che i criminologi chiamano modus necandi è il tratto più distintivo – e più raccapricciante – dello Squartatore. In effetti, la sua crudeltà senza precedenti fu in buona parte responsabile dell’ondata di panico che si sollevò dopo i suoi delitti: come disse uno degli esperti incaricati delle autopsie, non gli bastava uccidere, ma doveva anche arrecare un «danno gratuito al
2. Annie Chapman, 29 Hanbury Street 8-9-1888
1. Mary Ann Nichols, Bucks Row 31-8-1888
5. Mary Jane Kelly, Miller´s Court 9-11-1888
Nel 1889, il sociologo Charles Booth pubblicò il primo volume di Life and Labour of the People in London (Vita e lavoro della popolazione di Londra), in cui fece una mappa della povertà strada per strada. Questa sezione corrisponde all’East End. Il nero indica povertà estrema (senzatetto, delinquenti); il blu scuro, situazioni al di sotto del livello di povertà (lavoratori occasionali, disabili); il blu chiaro, lavoratori con salari regolari ma molto bassi; il rosa, situazioni al di sopra del livello di povertà grazie a entrate regolari, e il rosso, la classe media.
4. Catherine Eddowes, Mitre Square 30-9-1888
3. Elizabeth Stride, Dutfield´s Yard 30-9-1888
MUSEUM OF LONDON / BRIDGEMAN / ACI
LONDRA, UNA CITTÀ DI MISERIA NEL 1890, l’Esercito della Salvezza informava che, dei quasi sei milioni di abitanti di Londra, 30.000 erano prostitute. Nel 1889, 160.000 persone finirono in carcere per alcolismo, 2297 si suicidarono e 2157 furono trovate morte in tuguri, strade e parchi. Quasi un cinque per cento della popolazione non aveva una casa, e molte persone tiravano avanti in ricoveri, ospedali o per la strada, stremate dalla povertà, dall’alcol e dalla fame; tutti questi mali affliggevano le donne che caddero sotto la lama di Jack lo Squartatore. Quelle sventurate si concentravano nell’area in cui agì l’as-
sassino: l’East End, la parte orientale di Londra, che comprendeva il porto e i quartieri fatiscenti di Whitechapel e Spitalfields; a sud era delimitata dal Tamigi, e a ovest confinava con la dinamica City, il cuore economico della metropoli. Nei suoi vicoli e nelle misere catapecchie si ammassavano inglesi e immigrati che fuggivano dalla fame e dalle persecuzioni dell’Europa Orientale, come gli ebrei (che un graffito indicò come colpevoli dei delitti): tra gli innumerevoli sospettati vi furono il calzolaio John Pizer e Aaron Kosminski, entrambi ebrei di origine polacca. Non sorprende, quindi, che nell’East End si nutrisse il desiderio di un futuro migliore: Elizabeth Stride venne assassinata nei pressi del Circolo Educativo dell’Internazionale Operaia, i cui membri erano ebrei provenienti dall’Est Europa. x
ANZIANA CHE VIVEVA PER STRADA. FOTOGRAFIA DI JOHN THOMSON. 1877. BRIDGEMAN / ACI
MONTAGUE J. DRUITT. AVEVA 31 ANNI NEL 1888, QUANDO IL SUO CORPO FU RINVENUTO NELLE ACQUE DEL TAMIGI.
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ALCUNI SOSPETTATI
WALTER SICKERT IN UNA FOTOGRAFIA SCATTATA VERSO IL 1884. AVEVA 28 ANNI ALL’EPOCA DEGLI OMICIDI.
Y1y Aaron Kosminski
u sir Melville Macnaghten, che dopo i delitti fu
F a capo del Dipartimento di Investigazione Cri-
minale (DIC) della Polizia Metropolitana londinese –conosciuta come Scotland Yard–, ad affermare, anni dopo i crimini, che Jack era l’autore solo di cinque di essi: quelli di M. A. Nichols, A. Chapman, E. Stride, C. Eddowes e M. J. Kelly, le «vittime canoniche» (molti ritenevano che fossero di più), e indicò tre sospettati: Montague John Druitt, Aaron Kosminski e Michael Ostrog. La sola cosa certa è che dal 1888 sono stati indicati numerosi possibili colpevoli, sovente con prove di dubbia entità.
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Secondo sir Robert Anderson, direttore del DIC all’epoca dei delitti, il colpevole era un ebreo polacco di bassa estrazione sociale e pazzo, identificato con l’A. Kosminski indicato da Macnaghten. Nel 2014 fu trovata concordanza tra il DNA mitocondriale dei familiari viventi di Kosminski e quello prelevato da uno scialle sul luogo della morte della Eddowes, ma le prove del DNA non sono affidabili e non è certo che lo scialle fosse della vittima. AARON KOSMINSKI IN UNO SCHIZZO DELL’EPOCA.
Y2y Montague J. Druitt Era avvocato e di buona famiglia. Macnaughten lo definì «sessualmente malato», cioè omosessuale (forse per questo nell’autunno del 1888 fu espulso dal collegio dove insegnava). Si suicidò gettandosi nel Tamigi qualche settimana dopo l’omicidio della Kelly. Tuttavia, come affermò l’investigatore responsabile del caso dello Squartatore, Frederick Abberline, non vi era alcuna prova contro di lui. SCIALLE FORSE APPARTENUTO A C. EDDOWES.
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LEATHER APRON, «GREMBIULE DI CUOIO» (COME ALL’INIZIO I GIORNALI CHIAMARONO L’ASSASSINO) DAVANTI ALLE IMMAGINI DEI SOSPETTATI.
Y3y Walter Sickert
Famoso pittore britannico, interessato al caso e autore del dipinto La camera di Jack lo Squartatore, fu indicato come l’assassino dalla scrittrice Patricia Cornwell, che vide in lui tratti psicopatici. Si trovò corrispondenza di DNA mitocondriale tra una lettera inviata da Sickert alla moglie e una dello Squartatore, ma circa il 10% della popolazione condivide questo tipo di DNA.
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Y4y John Pizer
Questo calzolaio ebreo, soprannominato Leather apron (“grembiule di cuoio”) perché andava in giro con il grembiule tipico del suo lavoro, fu arrestato due giorni dopo l’omicidio della seconda vittima dello Squartatore, Annie Chapman, nella notte dell’8 settembre: una donna lo accusò di averle puntato contro un coltello quel giorno all’alba. L’uomo era già stato protagonista di alterchi con prostitute, ma aveva alibi solidi per le notti dei due omicidi.
ALBERTO VITTORIO, DUCA DI CLARENCE, IN UNA FOTOGRAFIA COLORATA. MORÌ DI POLMONITE NEL 1892, A 28 ANNI.
Y5y Cospirazione reale
Nel 1976, lo scrittore britannico Stephen Knigth pubblicò il libro Jack the Ripper: The Final Solution, nel quale sosteneva che gli omicidi di Whitechapel erano il risultato di una cospirazione orchestrata all’interno della casa reale. Secondo questa teoria, che per gli esperti è assolutamente infondata ma che è molto popolare, gli omicidi avevano lo scopo di porre fine al ricatto di cui era vittima il duca di Clarence, nipote della regina Vittoria. Il duca avrebbe avuto una figlia con una prostituta, e le amiche di questa avrebbero minacciato di rendere pubblica la cosa se il duca non avesse pagato; fu allora che lui decise di ucciderle e di dare la colpa degli omicidi a un personaggio fittizio, Jack. Ai delitti avrebbe preso parte anche il medico personale della regina, William Gull.
WILLIAM GULL, MEDICO PERSONALE DELLA REGINA VITTORIA D’INGHILTERRA, IN UN’INCISIONE DELL’EPOCA.
DA SINISTRA A DESTRA, DALL’ALTO IN BASSO: AGE FOTOSTOCK; ALBUM; BRIDGEMAN / ACI; CORDON PRESS; AFP / GETTY IMAGES; AFP / GETTY IMAGES; BRIDGEMAN / ACI.
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Sensazionalismo e xenofobia nella stampa
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ELLA LORO LOTTA SPIETATA per aumentare le vendite, i
giornali della Londra vittoriana trovarono nei crimini dello Squartatore un filone inesauribile; si è persino ipotizzato che lo stesso Ripper fosse un giornalista in cerca di storie. Sebbene per la pudicizia dell’epoca non si potesse alludere alla professione delle vittime – si parlava di «disgraziate», mai di prostitute –, la stampa non lesinò dettagli sordidi. Inoltre, non avendo fonti attendibili nella polizia, diede vita a speculazioni di ogni genere: si disse che gli ebrei ortodossi avevano l’abitudine di uccidere le donne con le quali avevano avuto rapporti o che gli europei dell’Est facevano veglie con rituali magici usando «gli stessi organi» che strappava lo Squartatore. Il messaggio, da parte della stampa, era chiaro: un criminale tanto spietato non poteva essere un gentleman britannico. ANNUNCIO DELL’ARRESTO DI UN ALTRO SOSPETTATO: WILLIAM H. BURY, CHE AVEVA UCCISO LA MOGLIE. BRIDGEMAN / ACI
ELIZABETH STRIDE IN UNA FOTO DI SCOTLAND YARD. LE MACCHINE DELL’EPOCA NON POTEVANO INQUADRARE VERSO IL BASSO, E I CORPI ERANO MESSI IN VERTICALE CONTRO UN MURO.
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cadavere». Salvo poche eccezioni, il suo modus necandi era il seguente: cominciava tagliando la gola della vittima da un lato all’altro con una coltellata, dopo di che ne apriva, sempre a coltellate, la cavità addominale. Nella maggior parte dei casi, procedeva allora a estrarre gli organi; talvolta arrivò anche a portarsi via, per esempio, un rene, come un macabro souvenir. Vere e proprie mattanze, insomma, e la descrizione che dei cadaveri fecero gli esperti forensi può turbare ancora ai giorni nostri anche la persona più temprata: «Le viscere sono state trovate in vari punti: l’utero, un seno e i reni sotto la testa; l’altro seno accanto al piede destro, il fegato vicino ai piedi, gli intestini accanto al fianco destro [...] Il pericardio era aperto e mancava il cuore».
Come sottolinea un ripperologo, «il nucleo della paura è che è incomprensibile [...] e l’ignoto è ciò che temiamo più di tutto». Nel caso dello Squartatore, il mistero non faceva che alimentare la paura. Nessuno udì mai un solo grido, una richiesta di aiuto, in un quartiere in cui le persone vivevano, letteralmente, ammassate le une sulle altre. Nessuno dei cadaveri presentava le ferite da difesa che indicano una resistenza all’aggressione. Anzi, l’unico presunto avvistamento del criminale servì solo a gettare ancor più terrore sul suo modo di uccidere. Vale la pena ricordarlo. Nella notte dell’8 settembre del 1888, una donna incontrò Annie Chapman accompagnata da uno sconosciuto dalla pelle bruna e di statura media, con indosso un mantello scuro e un berretto come quello di Sherlock Holmes. L’incontro era avvenuto poco dopo le cinque e mezzo del mattino; ebbene, alle sei e dieci– quando il medico G. B. Phillips andò a rimuovere il cadavere –, lo Squartatore aveva già ucciso la Chapman. Come le altre vittime, neppure lei poté «resistere né gridare».
Un aspetto innocuo In una Londra in preda a terrore e dicerie, persino la regina Vittoria aveva le sue teorie sull’assassino. Nel suo caso, come in quello di buona parte dell’aristocrazia, l’ipotesi poteva essere ben riassunta nel titolo di un quotidiano dell’epoca: era impossibile che un inglese avesse commesso crimini del genere. In ogni caso, la nobiltà non fu l’unica a mostrare preconcetti, perché i delitti dello Squartatore servirono a ogni strato della società britannica come sfogo delle proprie ossessioni. Poiché a Whitechapel abitavano numerosi ebrei, gli antisemiti ebbero il loro pretesto. E tra le classi più dimenticate prese forza la convinzione che crimini del genere potessero essere opera di qualche aristocratico perverso. Anche gli intellettuali dell’epoca presero partito: per il drammaturgo George Bernard Shaw, i crimini cercavano, innanzitutto, di denunciare le penose condizioni dell’East End. E persino le sedute spiritiche, tanto in voga nella Londra di quel tempo, offrivano le loro dubbie congetture per la ricerca e la cattura dell’assassino. Scotland Yard – la polizia metropolitana di Londra – interrogò centinaia di persone. Si alludeva alla vicinanza di Whitechapel al porto:
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THE ILLUSTRATED POLICE NEWS, UN SETTIMANALE SENSAZIONALISTICO CHE SI OCCUPAVA DI FATTI CRIMINALI, COPRÌ AMPIAMENTE IL CASO DI JACK LO SQUARTATORE.
DAL TOWER BRIDGE ALL’EAST END
Whitechapel si trova sulla riva nord del Tamigi, pochi minuti a piedi dal Tower Bridge. All’epoca in cui Jack lo Squartatore era attivo, il ponte era in costruzione: i lavori erano cominciati nel luglio del 1887. CHRIS CLOR / GETTY IMAGES
Diverse sono le teorie sulla personalità dello Squartatore. Uno dei pionieri nell’elaborazione de profili criminali fu il dottor Thomas Bond, il cui rapporto è stato accolto dal plauso generale: «L’assassino è probabilmente un uomo fisicamente forte e di grande freddezza e audacia [...] È molto verosimile che l’assassino appaia esternamente innocuo e tranquillo, forse di mezza età e vestito in maniera ordinata e rispettabile». Vi è un altro tratto che Bond non segnalò: l’assassino aveva una conoscenza dettagliata di Whitechapel e dei suoi vicoli malfamati. Il profilo stilato dal dottor Bond ha ricevuto apprezzamenti e lodi sino ai giorni nostri, ma manca ancora la risposta alla domanda fondamentale: chi era Jack? A tal proposito, ripperologi in cerca di pubblicità sono arrivati persino a fare il nome di William Gladstone, quattro volte primo ministro della Gran Bretagna. Stratagemmi di comunicazione a parte, sia la polizia sia la stampa dell’epoca avevano i loro preferiti. E, dal XIX secolo a oggi, l’investigazione ha aggiunto via via altri nomi, sino ad arrivare a un catalogo di centinaia di sospettati. WOOD’S BUILDINGS. IL CORPO DI MARY ANN NICHOLS FU RITROVATO NELLE VICINANZE DA DUE COCCHIERI CHE ERANO APPENA PASSATI DI LÌ. LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI
MARY EVANS / COR
DON PRESS
NEL 1884, GLI AGENTI DELLA POLIZIA METROPOLITANA DI LONDRA INIZIARONO A USARE FISCHIETTI PER COMUNICARE TRA LORO, SOSTITUENDO LE VECCHIE RAGANELLE DI LEGNO USATE AL MEDESIMO SCOPO.
poteva essere stato un marinaio di passaggio o forse uno stivatore. Si ipotizzò che l’assassino fosse un medico o – come minimo – un macellaio, cioè qualcuno che avesse conoscenze di anatomia o, almeno, di sezionamento. Ma anche le piste possibili aumentavano la confusione. Per esempio, la scritta col gesso accanto al grembiule insanguinato di Catherine Eddowes, che incolpava gli ebrei: «Il popolo ebraico non dovrà mai essere considerato colpevole di nulla»; la scritta fu poi fatta cancellare per evitare attacchi antisemiti. Oppure uno dei pezzi forti della ripperologia: la «lettera dall’inferno» che, accompagnata da metà di un rene, fu inviata alla polizia e che, per una volta, non sembrava un’invenzione della stampa.
Un’infinità di possibili colpevoli Una delle teorie sostiene che il colpevole si sia suicidato dopo aver commesso i delitti. Tra le persone indagate dalla polizia, Montague John Druitt sembrava l’uomo giusto: giovane adulto, di buona famiglia ma caduto in disgrazia, fu rinvenuto cadavere nel Tamigi ai primi di dicembre. Tuttavia, quanto alla colpevolezza, – come quasi tutti gli altri sospettati – aveva un alibi solido: il giorno del primo omicidio era a giocare a cricket nel Dorset. Anche Seweryn Klosowski fu scagionato: era noto per la sua tendenza ad avvelenare le donne, ma gli assassini seriali raramente cambiano modus necandi. Quanto ad Aaron Kosminski – che purtroppo per lui era un ebreo polacco –, fu giudicato così mentalmente disturbato che se fosse stato l’autore dei crimini non sarebbe stato capace di tenerlo per sé. E Francis Tumblety? Anch’egli indagato, è uno dei personaggi eccentrici legati al caso: un medico strano, incline a frequentare delinquenti e a quanto pare possessore di una collezione di organi umani. La stampa, dal canto suo, aveva tra i sospettati per così dire preferiti un certo dottor Cream, anch’egli avvelenatore di amanti, che
UNA LETTERA DALL’INFERNO onsegnato alla polizia nell’ottobre
STEVE VIDLER / ALAMY / ACI
C del 1888, il documento conosciu-
to come «lettera dall’inferno» –così indicava l’intestazione– era accompagnato da metà di un rene umano: l’altra metà, secondo quanto scritto nel testo, l’aveva mangiata l’autore della missiva. La polizia di Londra ricevette centinaia di lettere a proposito dei delitti, ma questa, senza firma,
secondo gli studiosi è la meno sospetta di essere un falso. Il testo era diverso da quello delle altre, l’ortografia indica una persona colta ma disturbata, e il rene che l’accompagnava era –come quelli delle povere prostitute– di una persona alcolizzata. Il documento originale, purtroppo, non può più fornire indizi: da molto tempo, assieme ad altre prove, è scomparso dagli ar-
chivi di Scotland Yard. Ecco il testo: «Dall’inferno / Mr Lusk / Signore / Vi mando metà del rene che ho preso da una donna l’ho conservato per voi. L’altra metà l’ho fritta e l’ho mangiata era molto buona. / Potrei mandarvi il coltello insanguinato con cui l’ho tolto se solo aspettate ancora un po’ / Firmato / Prendetemi se ci riuscite / Signor Lusk». x
La polizia accusata di incompetenza
A
I GIORNI NOSTRI c’è una maggior indulgenza verso le
mancanze della polizia nel caso dello Squartatore. Vi furono comunque errori, e non pochi: la polizia tardò a reagire, non conosceva bene la zona, non si avvalse di mezzi sufficienti e i vertici erano molto divisi. Come se ciò non bastasse, si ricorse appena alla fotografia. L’assenza di indizi – se non addirittura la loro cancellazione – e le lettere false finirono per sopraffare le autorità. Certo, lo Squartatore era un criminale astuto, le prostitute erano un obiettivo facile e nessun possibile testimone ammise mai di essere stato con una di loro. Nonostante questi aspetti, una certa vergogna pesa su Scotland Yard, che per tanto tempo ha nascosto gli archivi del caso.
BRIDGEMAN / ACI
SIR CHARLES WARREN, CAPO DI SCOTLAND YARD TRA IL 1886 E L 1888, SI DIMISE A SEGUITO DELLE CRITICHE PER L’INCAPACITÀ DELLA POLIZIA NEL CASO DI JACK LO SQUARTATORE.
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102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
MANIFESTO DELLA POLIZIA IN CUI SI CHIEDE AIUTO AI CITTADINI PER IDENTIFICARE L’AUTORE DI UNA LETTERA FIRMATA DALL’ASSASSINO.
a quanto pare in punto di morte avrebbe fatto la sua confessione, seppur incompleta: «Sono Jack lo…». La classe medica ha sempre avuto un ruolo rilevante nei sospetti sullo Squartatore, a maggior ragione se – come nel caso di sir William W. Gull – parliamo di colui che era il medico della regina Vittoria, il che aggiunge morbosità. Qualcosa di simile accadde a sir John Williams, ginecologo della principessa Beatrice e accusato di assassinare prostitute in un vano tentativo di studiare le cause dell’infertilità femminile. La pista aristocratica arrivò a includere addirittura un principe, Alberto Vittorio, duca di Clarence, nipote della regina Vittoria, figlio del vizioso Edoardo VII e secondo nella linea di successione al trono. Negli anni Sessanta del secolo scorso, la stampa
ipotizzò che Alberto Vittorio – solo, o con la complicità di un presunto amante – avrebbe come minimo cospirato per eliminare coloro che sapevano di un suo supposto figlio illegittimo. Se questa storia pare complicata, ancor di più lo è quella di Alexander Pedachenko, che (secondo un certo manoscritto perduto di Rasputin e in qualità di agente della polizia segreta zarista, l’Ochrana) avrebbe commesso i crimini per macchiare la reputazione di Scotland Yard. Non è inverosimile che addirittura Rasputin avesse a che fare con le morti di Whitechapel? Del resto, la plausibilità non è mai stata il punto forte della ripperologia.
Nessuno saprà nulla Secondo gli studiosi più caritatevoli, i delitti avvenuti nel 1888 ebbero l’effetto di attirare l’attenzione sulle terribili condizioni di sobborghi come Whitechapel. L’insalubrità di quelle zone degradate, focolaio di malattie, finì in effetti per arrivare in Parlamento, ma quando accadde, tuttavia, la febbre assassina dello Squartatore era già diventata, come dice uno dei grandi storici della città, «un aspetto durevole del mito di Londra». Jack the Ripper fu il primo criminale di una grande metropoli. E l’atmosfera miserrima di quell’East End contribuì a far sì che «le vie e le case del quartiere si identificassero con i crimini stessi, quasi al punto da condividerne la colpa», «come se lo spirito o l’ atmosfera della città avesse avuto un ruolo» in quelle morti. Alla fine, l’unica certezza del caso di Jack lo Squartatore è che tutti i crimini irrisolti finiscono per richiamare i suoi. Forse per far diminuire l’interesse morboso non molto tempo fa, in un sondaggio, Jack the Ripper fu eletto «il peggior britannico della storia». È una consolazione per accettare la triste verità che, all’epoca dei delitti, affermò uno dei capi di Scotland Yard: «Nessuno sa nulla, né saprà mai nulla neppure tra mille anni, sulla vera storia dello Squartatore». Per saperne di più
SAGGI
La vera storia di Jack lo Squartatore Paul Begg. UTET, Torino, 2006. Ritratto di un assassino Patricia Cornwell. Mondadori, Milano, 2002. La vita quotidiana in Inghilterra ai tempi della regina Vittoria Jacques Chastenet. Rizzoli, Milano, 1985.
ALAMY / ACI
MOSCA CIECA. È IL TITOLO DATO ALL’INCISIONE DAL SUO AUTORE, JOHN TENNIEL, ILLUSTRATORE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE. PUBBLICATA IN PUNCH IL 22 SETTEMBRE 1888, ALLUDEVA ALL’INCAPACITÀ DELLA POLIZIA DI TROVARE PISTE VALIDE CHE CONDUCESSERO ALL’ASSASSINO.
VITE DI MISERIA E ABBANDONO NELL’EAST END Tutti coloro che hanno indagato sui crimini dello Squartatore concordano: le cinque “vittime canoniche” morirono per mano sua. Le loro storie sono un esempio della vita senza speranza delle prostitute (le «disgraziate», come le chiamava la stampa) dell’East End.
L
e sordide strade dei quartieri di Withechapel e Spitalfields erano, sovente, l’unica casa di donne che non avevano neppure i pochi penny necessari a pagare un letto nelle doss-houses, pensioni di infima categoria con sudice camerate in cui il soggiorno si pagava in anticipo. QUANDO FURONO UCCISE , Mary Ann Nichols e Annie Chapman erano in cerca di clienti per pagarsi il posto letto. La Chapman aveva addosso tutti i suoi beni, come molte donne che temevano di essere derubate in quelle pensioni mentre dormivano o che passavano la notte per strada perché non potevano permettersi un alloggio. Di solito i rapporti con
RIFUGIO PER PROSTITUTE A WHITECHAPEL, GESTITO DALL’ESERCITO DELLA SALVEZZA. WILLIAM BOOTH FONDÒ L’ORGANIZZAZIONE NELL’EAST END NELL’ANNO 1865. DORSET STREET, DOVE DONNE E BAMBINI VIVEVANO NELL’IMMONDIZIA, FU LO SCENARIO DELL’ASSASSINIO DI M. J. KELLY. FOTOGRAFIA SCATTATA NEL 1902.
i clienti si consumavano in piedi e in un angolo appartato all’aperto, non su un letto nell’intimità di una camera. La prostituzione era l’unica risorsa di donne che non avevano un uomo che le mantenesse e le cui entrate erano scarse e irregolari: la Chapman vendeva fiori e lavori all’uncinetto, Elizabeth Stride fa-
ceva le pulizie, Catherine Eddowes era appena tornata dal raccolto del luppolo per la birra nel Kent. L’ABBANDONO era la caratteristica comune a tutte. Il marito della Nichols l’aveva abbandonata per il vizio dell’alcol, quello della Chapman l’aveva lasciata, ma le pagò una pensione fino al giorno della morte, il marito della Stride era morto, la Eddowes viveva con un certo John Kelly in una pensione dalla quale se ne andò la notte della sua morte perché non poteva pagare la sua metà del letto, e il marito di Mary Jane Kelly era morto e da allora lei aveva vissuto con diversi uomini; poche ore prima di morire discusse con l’ultimo di questi, Joseph Bar-
PROSTITUTE INTIRIZZITE NELLA NOTTE A WHITECHAPEL. INCISIONE PUBBLICATA DA UN GIORNALE NEL 1888.
LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN/ ACI
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nett (un pescivendolo che era stato sospettato di aver commesso i delitti di Jack lo Squartatore). SOPPORTARE UNA VITA come questa non era affatto facile. Tutto spingeva queste donne a sprofondare nell’alcolismo. Nichols, Chapman, Eddowes e Kelly erano ubriache la notte in cui furono uccise (Eddowes aveva addirittura perso conoscenza a causa dell’alcol e aveva trascorso qualche ora al commissariato fino a quando non si era ripresa). La solitudine, l’alcol e la necessità di guadagnare qualche penny per trovare un riparo dal freddo e dall’umidità dell’autunno londinese resero queste donne facili prede per un criminale in agguato come Jack. x
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1 ENTRATA A MILLER’S COURT DA DORSET STREET. 2 VICOLO CHE UNIVA DORSET STREET CON MILLER’S COURT, DOVE M. J. KELLY ABITAVA. 3 LA STANZA DI M. J. KELLY, CHE VI ENTRA ACCOMPAGNATA DAL SUO ASSASSINO
LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN/ ACI
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Mary Jane Kelly, presunta ultima vittima di Jack lo Squartatore
MARY EVANS / CORDON PRESS
IL CORPO MUTILATO DI M. J. KELLY. IL RAPPORTO DELLA SUA AUTOPSIA È L’UNICO CHE SI CONSERVA DEI CINQUE DELLE “VITTIME CANONICHE”.
MARY EVANS / CORDON PRESS
ALBUM
Non vi è unanimità sul numero di omicidi dello Squartatore. L’ultima delle cinque «vittime canoniche», M. J. Kelly, morì letteralmente squartata nella sua abitazione in Miller’s Court, per la quale doveva ancora pagare l’affitto (fu trovata da un inviato del padrone di casa) e in cui riceveva i clienti. Ma potrebbero essercene altre. Il 16 luglio del 1889 fu ritrovato il cadavere di un’altra prostituta, Alice McKenzie, sgozzata e con mutilazioni all’addome. L’autopsia fu eseguita dal dottor Thomas Bond, che aveva tracciato un profilo psicologico dello Squartatore per la polizia e che era presente all’autopsia della Kelly; per Bond, la McKenzie era un’altra vittima dell’assassino di Whitechapel.
GRANDI SCOPERTE
Enkomi, una florida città cipriota dell’Età del Bronzo Tra il XIX e il XX secolo sull’isola fu riportato alla luce questo antico insediamento che fiorì grazie al commercio di rame nel Mediterraneo
1878
TURCHIA
Enkomi CIP RO
SIRIA
MAR MEDITERRANEO
Inglesi a Cipro
EGITTO
ovest, e quando anche questa fu abbandonata, nel VI secolo d.C., fu Famagosta, sette chilometri a sud, a svolgere la funzione portuale. A differenza di Salamina, che ancora conserva visibili vestigia romane, di Enkomi si perse ogni traccia e memoria. Così, quando a metà del XIX secolo alcuni viaggiatori francesi presero a percorrere la Cipro ottomana in cerca di iscrizioni, nessuno fece caso al sito. Nel 1877 furono rinvenuti numerosi sigilli cilindrici, oltre a indizi della presenza
Alexander Murray, curatore del British Museum, porta alla luce un centinaio di tombe a camera.
di tombe, così nel 1896 fu avviato il primo scavo, sotto la guida di Alexander Murray, curatore della sezione d’arte greco-romana del British Museum di Londra.
I lavori di Murray portarono alla luce una grande necropoli, costituita da un centinaio di tombe a camera contenenti oggetti in oro, argento, bronzo, avorio, ceramica e pietre preziose. Murray non poteva però immaginare che i resti di costruzioni che aveva rinvenuto appartenessero a una città dell’Età del Bronzo, e il ritrovamento di ceramiche di epoca medievale lo portò a ritenere di trovarsi di fronte a edifici di epoca bizantina. Nel 1913 il Cyprus Museum, con la collaborazione di John Myers, professore della Oxford University e massi-
1913
John Myers , del Cyprus Museum, riprende gli scavi. Nel 1930, lo svedese Ernst Gjerstad scopre 22 tombe.
FIGURINA FEMMINILE DI TERRACOTTA RINVENUTA A ENKOMI. BRITISH MUSEUM, LONDRA. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
1934-1970
Claude Schaeffer, con una lunga spedizione francese svoltasi in due fasi, porta alla luce un terzo del sito.
GEORG GERSTER / AGE FOTOSTOCK
A
causa della sua storia turbolenta, che è la causa della distruzione di molte sue vestigia, Cipro non conserva molti siti archeologici. Tuttavia, tra le testimonianze del passato si distingue Enkomi, sulla costa orientale dell’isola. Sita nella piana di Mesaria, tra i fiumi Yialias e Pedieos, Enkomi fu, durante il periodo finale dell’Età del Bronzo (XV-XI secolo a.C.), il principale porto di Cipro e centro di commercio del rame, la principale fonte di ricchezza dell’isola. Dall’XI secolo a.C. il porto divenne impraticabile e la città fu abbandonata a favore di Salamina, tre chilometri a
VEDUTA AEREA di Enkomi, sito cipriota del periodo finale dell’Età del Bronzo. Secondo Claude Schaeffer sarebbe l’Alashiya citata nei testi antichi.
ma autorità dell’archeologia cipriota, intraprese una ricerca di tre mesi in un’area in cui affioravano numerosi muri regolarmente smantellati dai locali. Anni più tardi, Myers ricordò che «nono-
1970
Olivier Pelon, aiutante di Schaeffer, prosegue gli scavi fino al 1974, quando la Turchia occupa il nord di Cipro.
UOMO DI FRONTIERA
stante i muri non fossero né bizantini né greco-romani e sembrassero appartenere alla città collegata alla necropoli, decidemmo di abbandonare gli scavi». Lo stesso accadde a Ernst Gjerstad, che nel 1930 portò alla luce 22 tombe e distinse due livelli di muri, che datò però all’epoca bizantina. Anni più tardi, l’archeologo svedese riconobbe il proprio errore: «Partii da un’idea preconcetta [...] non immaginavo che a Enkomi la situazione fosse diversa».
Alla fine fu l’archeologo francese Claude Schaeffer a svelare il segreto di Enkomi. Nato a Strasburgo nel 1898 e formatosi qui e a Oxford, Schaeffer si dedicò alla preistoria francese fino a quando, nel 1929, lavorò agli scavi della necropoli di Minet el-Beida e della vicina collina di Ras Shamra, l’antica Ugarit, entrambe sulla costa siriana, proprio di fronte a Cipro. A Ugarit, Schaeffer trovò molto materiale cipriota, e per questo nel 1934
era una regione tedesca, Claude Schaeffer (1898-1982) combattè nella Prima Guerra Mondiale nell’esercito germanico, e nel secondo conflitto, da cittadino francese, si unì a De Gaulle e si occupò di spionaggio e crittografia. Sotto, in un programma televisivo francese nel 1953.
PHILIPPE BATAILLON / GETTY IMAGES
NATO IN ALSAZIA quando
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
107
GRANDI SCOPERTE
Idoli e suppellettili di Enkomi GLI SCAVI effettuati a Enkomi hanno portato alla luce migliaia di pezzi rinvenuti
soprattutto nelle tombe e nei santuari della città, come quelli mostrati qui. La maggior parte di essi è conservata al British Museum e al Museo di Cipro. Un guerriero lotta contro un grifone, con testa d’aquila e corpo di leone, sul telaio in avorio di uno specchio. 1200-1100 a.C. Vaso di Stile Pastorale su cui è raffigurato un toro nell’atto di incornare un uccello. 1300-1200 a.C.
Coppa d’argento con incrostazioni dorate a forma di bucrani e fiori di loto. XIV secolo a.C.
Divinità cornuta, bronzo rinvenuto nel principale santuario di Enkomi. XIII-XII secolo a.C.
Diadema d’oro con motivi vegetali a sbalzo di influenza micenea. XIV secolo a.C. AVORIO E VASO: BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE. COPPA E BRONZO: DEA / AGE FOTOSTOCK. DIADEMA: PRISMA / ALBUM
decise di compiere ricerche sull’isola. Schaeffer guidò la spedizione francese di Enkomi per 32 stagioni, fino al 1970, con un’unica interruzione dovuta alla Seconda Guerra Mondiale. Complessivamente, effettuò gli scavi di un terzo del sito. Tra il 1948 e il 1958 potè contare sull’aiuto di Porfirio Dikaios, direttore del Dipartimento delle Antichità di Cipro. Fu Schaeffer a rendersi conto che Enkomi non era una semplice necropoli, ma che includeva zone con abitazioni e laboratori, come li aveva visti in Siria. Identificò quattro fasi, tra il 1650 a.C. e il 1050 a.C., la 108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
più spettacolare delle quali era la terza (1340-1200 a.C.). L’insediamento urbano, con due assi centrali, aveva strade ad angolo retto ed era circondato da mura ciclopiche. Al suo interno sorgevano abitazioni costruite con grandi pietre, santuari e laboratori nei quali si realizzavano articoli di lusso, si lavorava il rame e si fabbricavano oggetti in bronzo. Schaeffer trovò anche prove del fatto che gli abitanti di Enkomi conoscevano la scrittura. La ricchezza della città era così grande che Schaeffer la identificò con Alashiya, un luogo menzionato nelle lettere di Amarna – la corrispon-
denza diplomatica tra l’Egitto e i regni del Vicino Oriente all’epoca di Amenhotep III e di Akhenaton – come un importante centro di produzione del rame. Nel 1963, il ritrovamento di una statuetta in bronzo raffigurante una divinità su un lingotto di rame corroborò la sua teoria.
Domande insolute Nel 1970, fu Olivier Pelon ad assumere la responsabilità degli scavi, che sfortunatamente furono interrotti nel 1974 in seguito all’occupazione turca del nord di Cipro. Enkomi, oggi abbandonata, è sporadicamente visitata dai turisti, mentre altri si-
ti ciprioti della medesima epoca ne contendono l’importanza. Si dubita inoltre che possa corrispondere ad Alashiya, dopo che l’analisi petrografica delle tavolette di rame che la menzionano ne ha fissato l’origine a un luogo più a ovest. Soltanto la ricchezza degli oggetti esposti in diversi musei – a Londra, a Nicosia e a Salamina – permette di immaginarne lo splendore. MARÍA TERESA MAGADÁN ARCHEOLOGA
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alle “maledizioni” che accompagnano scoperte e rinvenimenti, e quella che incombe sugli scavi di Pompei non fa eccezione. Un libro sui tanti e piccoli ladri di cimeli del sito che, pentiti e spaventati, restituiscono la refurtiva secondo la miglior tradizione della scaramanzia vesuviana.
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uando gli antichi romani dicevano verba volant, scripta manent esprimevano quanto già in Mesopotamia sapevano da tempo: l’importanza della scrittura. Già cinquemila anni fa, infatti, nella“Terra tra i fiumi” si conosceva quanto rilevante fosse la scrittura per la trasmissione del sapere, ed è proprio a questa rivoluzionaria espressione culturale che la mostra allestita a Palazzo Loredan di Venezia è dedicata. Promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue,
l’esposizione presenta la nascita e la diffusione della scrittura cuneiforme. Sono circa 200 i pezzi in mostra, tra cui tavolette di argilla e sigilli, ma anche sculture, bassorilievi, intarsi e vasi le cui misteriose incisioni e i cui segni sono testimonianze della vita culturale, sociale ed economica degli antichi popoli assiri e babilonesi. Il percorso della mostra accompagna il visitatore alla scoperta della Mesopotamia, analizzando il passaggio dal disegno al segno, approfondendo lingue e testi,
presentando il lavoro dello scriba, dello sfragista e dei materiali impiegati, fino a giungere, nell’ultima sala, alla decifrazione delle antiche scritture della Mesopotamia. A impreziosire ancor di più la collezione, un sapiente allestimento che, grazie a strumenti multimediali e moderne tecnologie, consente di avvicinarsi a una civiltà che è stata culla della nostra e il tutto – non poteva essere altrimenti – nelle sale di una libreria settecentesca:“tempio” dei testi scritti. (A.G.) Prima dell’alfabeto Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura LUOGO Palazzo Loredan, campo Santo Stefano, Venezia TELEFONO 041 2705616 WEB www.primadellalfabeto.it DATE Fino al 25 aprile
IL SETTECENTO E L’ANTICHITÀ
Carlo di Borbone, sovrano illuminato stampa. Ed ecco che, accanto a preziosi documenti storici, si potrà ammirare anche una selezione delle oltre 200 matrici in rame della Stamperia Reale nonché tele, incisioni e sculture che permettono di scoprire l’attività archeologica e soprattutto di svelare il lungimirante ruolo del sovrano nella ricerca, promozione e diffusione delle antichità. (A.G.)
MANN MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI
S
i è aperta lo scorso dicembre nelle sale del MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – una mostra dedicata alla figura di Carlo III di Borbone, e la scelta dei tempi non è casuale poiché segna i trecento anni dalla nascita del sovrano. L’esposizione rende omaggio in particolare al ruolo di estimatore e“valorizzatore” dell’antichità di Carlo che, durante gli anni napoletani, non solo ammirò i capolavori artistici provenienti da Ercolano e Pompei, ma soprattutto volle divulgarne le bellezze tramite la realizzazione di volumi a
MATRICE ORIGINALE IN RAME ACCOMPAGNATA DALLA PROVA DI STAMPA E DALL’ORIGINALE COPIATO NEL RAME.
Carlo di Borbone e la diffusione delle Antichità LUOGO Museo Archeologico Nazionale, Napoli WEB www.museoarcheologiconapoli.it DATE Fino al 16 marzo
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ITINERARI Saalburg Digione
4 PALAZZO DEI DUCHI
Digione, Francia; www.destinationdijon.com
I percorsi di Storica
Dichiarata monumento storico di Francia già nel 1862, l’antica residenza dei duchi di Borgogna nel cuore della città fu testimone e a tutt’oggi simbolo del loro potere.
3 FORTE DI SAALBURG
Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica
Bad Homburg, Germania; www.saalburgmuseum.de
Un viaggio nel tempo sul crinale del Taunus, alla scoperta di un antico castrum romano tra i meglio ricostruiti lungo la linea di confine tra romanità e “barbarie”.
raggiungono i 23 metri di altezza per una circonferenza di oltre 10). La visita prosegue con il Santuario della Barca Sacra, la Sala delle Feste e il Lago Sacro dove ammirare la statua di Khepri a forma di scarabeo: tradizione vuole che girarci attorno tre volte assicuri prosperità: ognuno ha i propri dei... pagina 20
karnak È uno dei siti archeologici più visitati al mondo, è una città di pietra che testimonia di oltre mille anni di storia egizia: è Karnak 1 . Siamo a pochi chilometri a sud di Luxor, sulla riva destra del Nilo, dove la visita al tempio di Amon, frutto di una progressiva stratificazione architettonica occorsa nei secoli, si trasforma in un vero e proprio viaggio nel tempo. Oltre al tempio di Amon, il complesso comprende anche quello di Mut e di Khonsu, estendendosi su un’area di 300.000 metri quadrati. Dal lungo viale costeggiato da sfingi criocefale – e lungo il quale si snodava il corteo reale durante la Festa di Opet – la visita conduce ai grandi piloni e ai recinti, tra statue e obelischi, per giungere anche alla suggestiva sala ipostila. Impossibile non rimanere soggiogati dall’imponenza delle 136 colonne papiriformi, tutte decorate e alte 15 metri (dodici di queste in realtà 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Sparta
tempio, tra cui una statua bronzea di Atena raffigurata in posa rigida e vestita di peplo dorico nonché la celebre statua del guerriero spartano, chiamata Leonida. Sull’acropoli cittadina è possibile inoltre ammirare, sul lato meridionale, l’antico teatro di Sparta risalente al primo periodo imperiale di cui rimangono oggi l’orchestra e la grande cavea, il cosiddetto “edificio semicircolare” risalente al V secolo a.C. la cui destinazione d’uso è ancora oggetto di indagine da parte degli studiosi e infine i resti dei negozi sorti un tempo nell’area attigua a quella del teatro.
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sparta
Rifugio, seppur temporaneo, del re Agide fu il tempio di Atena Calcieco sull’acropoli di Sparta 2 . Di questo importante complesso, costruito su progetto dell’architetto Vathykles di Magnesia, gli scavi avviati all’inizio del secolo scorso hanno restituito tuttavia solo resti frammentari, ma la visita ai luoghi più antichi di una città quasi leggendaria, immersi nella rigogliosa vegetazione degli uliveti, è impagabile. Nel locale museo archeologico sono conservate invece alcune preziose opere rinvenute nel
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anarchia militare Un confine separava i territori romani da quelli “barbari”, una barriera fatta di forti e fortini, di torri, palizzate e valli, un limes come quello germanico-retico che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità. Lungo un percorso
2 ACROPOLI DI SPARTA Peloponneso, Grecia; www.exploresparta.gr
Nel nucleo più antico della leggendaria città di Leonida che l’altrettanto leggendario Licurgo seppe trasformare in una delle polis più potenti e temute di tutta l’antica Grecia.
1 COMPLESSO TEMPLARE DI KARNAK Luxor, Egitto; www.egypt.travel
Karnak
Nei pressi dell’antica Tebe per un viaggio nella storia dell’Egitto dei faraoni dove la pietra e il fango hanno modellato una millenaria città, quella «della luce».
che si snoda tra il Reno e il Danubio, l’itinerario tocca diversi siti archeologici tra cui quello tedesco di Saalburg 3 , di particolare interesse proprio perché oggetto di una ricostruzione tra le più complete. Siamo nell’Assia, nei pressi di Bad Homburg e qui, dell’antico castrum, si può visitare un sito che ne ripropone la struttura: si tratta di un’area di 147 per 221 m in cui si aprono quattro porte; un doppio fossato e un muro cingono l’interno in cui si apre un largo principia, una piazza sulla quale si affacciano la sala destinata alle adunanze, il praetorium, ovvero la residenza del comandante, un horreum, il magazzino che oggi ospita il museo del sito e le caserme, due delle quali ricostruite.
la visita della città inizia con il battistero di San Giovanni, ritenuto uno dei principali esempi di architettura merovingia, il cui nucleo originario risale al IV secolo e per questo è considerato anche il più antico edificio cristiano di Francia. Da non perdere poi la cattedrale di San Pietro, in stile gotico angioino, la cui costruzione risale al XII secolo e la cui imponente facciata è affiancata da due torri incompiute. All’interno si potrà invece ammirare una serie di vetrate istoriate risalenti al medesimo periodo, tra cui una crocifissione ritenuta tra i migliori esempi di arte vetraria medioevale francese. Tra le costruzioni civili, di particolare interesse risulta il palazzo di giustizia, un tempo residenza dei conti di Poitiers, in stile gotico-angevino, che venne costruito nel IX secolo per Luigi il Pio figlio di Carlo Magno. Chi volesse poi scoprire i luoghi della battaglia – benché l’individuazione esatta non sia stata ancora accertata dagli studiosi – potrà recarsi a Vouneuil-sur-Vienne, in località Moussais-la-Bataille dove, come in un museo a cielo aperto, una scacchiera gigante accompagna i visitatori di casella in casella tra disegni, citazioni e tavole esplicative (tradotte anche in arabo) alla scoperta delle fasi della battaglia e dei grandi protagonisti che la combatterono.
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battaglia di poitiers Se Carlo Martello fu ritenuto il difensore della cristianità, Poitiers venne considerata il suo baluardo. Nella Francia centrale, in Aquitania,
carlo il temerario Capitale del ducato di Borgogna era Digione, attuale capoluogo di regione, e qui i duchi eressero la loro residenza. Affacciato su place de la Libération, il palazzo ducale 4 , che ospita oggi
il Municipio e il Museo di Belle Arti, presenta due corpi: uno medievale in stile gotico e uno in stile barocco, frutto di un ampliamento realizzato dopo la morte di Carlo il Temerario. Del nucleo originario si possono ancora ammirare la Tour de Bar, voluta da Filippo l’Ardito e costituita da una torre a tre piani in cui si aprono ampie sale con camini, la grande cucina con volta voluta da Filippo il Buono e il Logis ducal in cui si può visitare la maestosa Sala delle Guardie che, nei suoi 18 metri di lunghezza per 9 di larghezza, ospitava le sontuose feste dei duchi. Al Logis venne in seguito aggiunta la Tour de la Terrasse, che con i suoi 46 metri di altezza è simbolo dell’autorità ducale.
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jack lo squartatore
Sono passati quasi 130 anni dai macabri assassini di Jack lo Squartatore e la sua fama – a Londra e non solo – è pari al mistero che lo circonda. Per rivivere, o per fortuna solo immaginare, l’atmosfera dei vicoli che furono teatro dei suoi efferati crimini, oggigiorno ci sono diverse agenzie a cui rivolgersi per un tour guidato a Whitechapel sulle tracce di Jack “the Ripper”. Tutte con partenza serale, come nella miglior tradizione horror, le visite toccano gli storici luoghi dei ritrovamenti delle vittime, tra i vicoli acciottolati e gli angusti passaggi di un East End che, almeno in alcuni tratti architettonici, di poco è cambiato rispetto alla fine del XIX secolo. Alcuni tour, pensati appositamente come un’investigazione, catapulteranno i visitatori nel 1888 sulle tracce del killer come fossero veri Sherlock Holmes. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero COME DIVENTARE MILIONARI A ROMA L’ESPANSIONE di Roma
BRIDGEMAN / ACI
diede l’opportunità ai romani più ambiziosi di arricchirsi rapidamente, attraverso i bottini di guerra, lo sfruttamento senza scrupoli delle terre assoggettate o i grandi contratti pubblici. I segni di questa nuova ricchezza si potevano notare ovunque, fra lussuose residenze, festini, collezioni d’arte...
IL MISTERO DELLA TOMBA DI ALESSANDRO MAGNO SE FRENETICA fu la vita di Alessandro Magno, la storia dei suoi resti mortali non fu certo da meno. In seguito alla sua morte a Babilonia, il suo corpo imbalsamato fu sepolto a Menfi, per essere poi trasportato ad Alessandria e collocato infine in un grande mausoleo, il Soma, nel centro della città. In seguito, il monumentale sepolcro sarebbe stato danneggiato da guerre, rivolte e terremoti finché non se ne persero le tracce nonostante la tenace ricerca degli archeologi, che prosegue tutt’oggi. DEA / ALBUM
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Efeso, meraviglia dell’Antichità Dopo aver conquistato Efeso, il re lido Creso decise di costruire un tempio favoloso dedicato ad Artemide, la dea delle foreste e della fertilità.
La vita riscritta di San Francesco La Legenda maior è la biografia ufficiale che Bonaventura scrisse su Francesco, evitando di narrarne i tratti più sovversivi, ritenuti pericolosi dalla Chiesa.
I trovatori del Medioevo Nel XII secolo si diffusero nel sud della Francia dei poeti dediti al comporre –trobar– versi in onore di una qualche gran dama maritata con il feudatario del luogo.
Kublai Khan, signore della Cina Il più noto successore di Gengis Khan completò la conquista della Cina e governò un fiorente impero fondato su di un avanzato modello di tolleranza religiosa.
La fine della Repubblica di Siena Nel 1555, con la sconfitta nella battaglia di Montalcino, finì dopo quattro secoli la storia della Repubblica di Siena, che fu anche laboratorio politico senza precedenti.
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