N. 98 • APRILE 2017 • 4,50 E
L’ENIGMA MILLENARIO DEL SEPOLCRO PERDUTO
MILIONARI A ROMA
COME SI ACCUMULAVANO ENORMI FORTUNE
KUBLAI KHAN
L’IMMENSO IMPERO DELLA DINASTIA YUAN
SIENA
772035 878008 9
LA STORIA CONTROVERSA DELLA BIOGRAFIA UFFICIALE
70098
FRANCESCO D’ASSISI
periodicità mensile
LA FINE DELLA REPUBBLICA DOPO SECOLI DI SPLENDORE
germania
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LA TOMBA DI ALESSANDRO
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EDITORIALE
Nel 1209
Francesco d’Assisi fondò l’Ordine dei frati Minori, cioè i francescani; nel 1216 papa Innocenzo III riconobbe la regola dei Domenicani. I due Ordini avrebbero offerto anche un contributo decisivo al pensiero filosofico e teologico, sia pure in modo speculare. In seno ai Domenicani, attraverso Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, si sviluppò l’alta Scolastica, una scuola di pensiero caratterizzata da una profonda fiducia insita nella vita, nell’uomo e nell’operato di Dio in generale, e dall’audacia intellettuale. A questa si contrappose il pensiero di Bonaventura da Bagnoregio, francescano, secondo il quale anche nel mondo naturale la fede doveva rimanere il giudice di ultima istanza, negando di fatto alla ragione, cioè alla filosofia, un’autonomia reale. La rivalità tra i due Ordini sarebbe destinata a perdurare nei secoli e ancora oggi si riflette sulle correnti teologiche del pensiero cristiano. *** Dopo otto anni al timone di Storica, che ho diretto dalla fondazione, lascio questa splendida avventura per altri itinerari professionali. Vorrei ringraziare tutti gli autori italiani per avere fatto di questo giornale un punto di riferimento prestigioso e autorevole e tutti i lettori per averlo seguito così fedelmente. E sono certo che le nostre strade si incontreranno ancora. GIORGIO RIVIECCIO Direttore
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N. 98 • APRILE 2017 • 4,50 E
LA TOMBA DI ALESSANDRO
Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 98
L’ENIGMA MILLENARIO DEL SEPOLCRO PERDUTO
PRESIDENTE
RICARDO RODRIGO
MILIONARI A ROMA
CONSEJERO DELEGADO
EDITORE: RBA ITALIA SRL
COME SI ACCUMULAVANO ENORMI FORTUNE
KUBLAI KHAN
ENRIQUE IGLESIAS
via Gustavo Fara 35 20124 Milano
L’IMMENSO IMPERO DELLA DINASTIA YUAN
SIENA
LA FINE DELLA REPUBBLICA DOPO SECOLI DI SPLENDORE
FRANCESCO D’ASSISI
LA STORIA CONTROVERSA DELLA BIOGRAFIA UFFICIALE
BASILICA DI SAN FRANCESCO, PATRIMONIO MONDIALE DELL’UNESCO. PERUGIA, ITALIA.
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LA CITTÀ PROIBITA
Kublai Khan trasferì la capitale della Cina a Pechino, che i mongoli chiamavano Khanbaliq (“la città del khan”).
Grandi storie
20 Il leggendario tempio di Efeso Nel VI a.C., Creso, re della Lidia, fece costruire il tempio dedicato ad Artemide divenuto una delle sette meraviglie del mondo. DI F. J. MURCIA
30 La tomba di Alessandro Magno Le spoglie del conquistatore macedone furono venerate ad Alessandria in un mausoleo di cui non è più nota l’ubicazione. DI F. J. GÓMEZ ESPELOSÍN
42 Come diventare ricchi a Roma I bottini di guerra, la speculazione immobiliare e l’usura sono all’origine delle grandi fortune della Repubblica e dell’Impero. DI J. J. FERRER MAESTRO
54 La biografia di san Francesco La vita del santo di Assisi fu trasfigurata e rimaneggiata fino alla biografia definitiva di Bonaventura da Bagnoregio. DI JACOPO MORDENTI
66 Il mondo dei trovatori Presso le corti del Sud della Francia, nell’XI-XII secolo questi poeti celebravano l’amore e i fatti d’arme. DI J. E. RUIZ-DOMÉNEC
78 Kublai Khan, il conquistatore della Cina Dopo aver completato la conquista della Cina, iniziata dal nonno Gengis Khan, fondò la dinastia Yuan. DI VERÓNICA WALKER VADILLO
92 La repubblica di Siena Nel complesso quadro delle guerre d’Italia, la repubblica di Siena fu sacrificata a favore della medicea Firenze. DI VITTORIO H. BEONIO-BROCCHIERI ARTEMIDE EFESIA, COPIA DELLA STATUA ADORATA A EFESO. II SECOLO D.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
Rubriche
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ATTUALITÀ PERSONAGGI STRAORDINARI
Alfred Nobel, dagli esplosivi al premio
L’industriale svedese dedicò la sua immensa fortuna ai premi destinati a scienziati e letterati.
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L’EVENTO STORICO
Gli spagnoli nel Grande Nord
Nel XVIII secolo le coste del Nordamerica furono esplorate dagli iberici.
16 VITA QUOTIDIANA Lo schiavismo nel Medioevo
Il proficuo commercio dei prigionieri di guerra in epoca medievale.
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GRANDI SCOPERTE
Il ritrovamento di Dura Europos
Nel 1920 furono portate alla luce le vestigia della città greco-romana in Siria.
110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI 114 PROSSIMO NUMERO
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Le nostre proposte di viaggio
Proposta di viaggio sulle tracce del Vallo di Adriano, il baluardo difensivo voluto dall’imperatore romano per contenere le incursioni dei Pitti; spostamenti in pullman Gran Turismo; servizio accompagnatore per l'intero periodo; trattamento in mezza pensione in hotel 3 stelle a Newcastle, Carlisle e Ambleside; esperta guida storica per l’intero viaggio; assicurazione medico-bagaglio; visita ai principali siti storici. Extra quotabile a parte volo A/R dalla ci di partenza all’aeroporto di Newcastle Upon Tyne. città PROGRAMMA: visita al Great North Museum a Newcastle, al Forte di Segedunum a Wallsend, al Museo e al Forte di Arbeia, alla città romana di Corbridge, al Forte e al Museo di Chesters, al Forte di Vindolanda, al Museo romano di Haltwhistle, al Forte di Birdoswald, al Museo di Maryport, alla Bath House di Ravenglass, ai resti del Forte di Hardknott. Partenza del viaggio soggetta ad un minimo di partecipanti; per le condizioni di vendita e le assicurazioni si faccia riferimento al sito www.sulleormedellastoria.it
PERSONAGGI STRAORDINARI
Alfred Nobel, dagli esplosivi al premio per la pace Alla fine della sua vita, l’industriale svedese, chimico esperto in esplosivi e fabbricante di armi, decise di dedicare la sua immensa fortuna ai premi internazionali che portano il suo nome
L
a Rivoluzione Industriale del XIX secolo portò con sé una grande richiesta di esplosivi, necessari per usi militari e civili, in particolare per il lavoro in miniera. Per quasi mille anni l’unica sostanza esplosiva conosciuta dall’umanità era la polvere da sparo, ideale per la sua maneggevolezza e sicurezza, ma la nuova era industriale esigeva esplosivi molto più potenti. Nel 1847 Ascanio Sobrero, chimico italiano, scoprì la nitroglicerina, una nuova sostanza molto più potente della polvere e che consisteva in un liquido instabile che esplodeva con grande facilità. Fu il chimico svedese Alfred Nobel che finì per scoprire l’esplosivo ideale per le necessità del mondo moderno, potente come la nitroglicerina e sicuro da maneggiare come la polvere da sparo: la dinamite. Il padre di Alfred, Immanuel Nobel, era un industriale e inventore svedese che si stabilì in Russia al servizio degli zar. La sua fabbrica fornì armi all’esercito russo durante la guerra di Crimea (1853-1856), ma quando il conflitto si concluse la domanda di armamenti si ridusse drasti-
Produttore di armi e filantropo 1833 Nasce Alfred Nobel a Stoccolma, il 21 ottobre. È figlio del ricco industriale Immanuel Nobel e di Karolina Andriette Ahlsell.
1864 Un incidente fa saltare per aria la fabbrica della famiglia Nobel. Muoiono cinque persone, fra queste suo fratello Emil.
1867 Alfred Nobel idea un nuovo esplosivo a base di nitroglicerina: la dinamite. L’invenzione gli procura subito fama e ricchezza.
1896 Muore Alfred Nobel a Sanremo, il 10 dicembre. Lascia gran parte della sua fortuna alla fondazione di premi con il suo nome.
È istituita la Fondazione Nobel. Durante l’anno seguente vengono consegnati i primi premi.
LOREM IPSUM
1900
camente e l’impresa, nel 1862, finì nelle mani dei creditori. Alfred, che dall’età di cinque anni viveva con i genitori e i fratelli a San Pietroburgo, dove aveva iniziato gli studi di chimica, tornò a Stoccolma e proseguì le sue ricerche sugli esplosivi. Nel 1863 mise a punto un detonatore molto più affidabile per la nitroglicerina, ma la gestione di questo esplosivo continuava a essere molto pericolosa: nel 1864 un incidente fece saltare in aria il laboratorio dei Nobel e uccise cinque persone, fra cui Emil Nobel, fratello minore di Alfred. Nonostante questa disgrazia, egli continuò a fare ricerche e nel 1865 inventò un detonatore che utilizzava fulminato di mercurio.
L’eplosivo perfetto Nel 1867, Nobel osservò accidentalmente che la diatomite, una roccia silicea di origine organica, assorbiva la nitroglicerina. Verificò che la miscela continuava a essere esplosiva e inoltre era molto più stabile e sicura da maneggiare. Alfred la chiamò dinamite, dal greco dynamis,“potere”. La scoperta gli portò immediatamente fama e ricchezza. Altri si sarebbero adagiati sugli allori, ma lui continuò a investigare e nel 1875 inventò una mi-
Nobel notò che la dinamite costituiva un esplosivo più stabile e sicuro da maneggiare EXTRADINAMITE DI ALFRED NOBEL. MUSEO NOBEL, STOCCOLMA. FAI / ALB UM
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UN INVENTORE ERRANTE E SOLITARIO crebbe in un ambiente cosmopolita. Nacque a Stoccolma e visse a San Pietroburgo sin dai 5 anni. Intraprese viaggi formativi in Germania, Francia e Stati Uniti e, oltre alla sua lingua natale, parlava inglese, francese, tedesco, russo e italiano. Solitario e amante della vita ritirata e semplice, non si sposò ed ebbe poche amicizie femminili. Viaggiava costantemente e questo lo teneva lontano dai suoi parenti. Un giorno cadde gravemente malato e ricevette solo la visita di un impiegato, evento che lo portò a riflettere sulla sua vita e sulla sua eredità. ALFRED NOBEL
RITRATTO DI ALFRED NOBEL. FOTOGRAFIA SCATTATA FRA IL 1895 E IL 1896. ARCHIVIO DI ARTE E STORIA, BERLINO.
AKG / ALBUM
stura di nitroglicerina e nitrocellulosa più resistente all’acqua e più potente della dinamite originale: la gelignite. Alfred Nobel morì a San Remo nel 1896, all’età di 63 anni, secondo uno studio pubblicato nel 1997 a causa di un’intossicazione di nitroglicerina. Quando venne aperto il suo testamento la sorpresa fu generale. Alla sua morte, possedeva 360 brevetti e novanta fabbriche in tutto il mondo e la sua fortuna personale ammontava a 33 milioni di corone svedesi, circa 330 milioni di euro attuali. Di questa immensa ricchezza i parenti avrebbero
ricevuto solo 100.000 corone. Il resto sarebbe stato utilizzato per dare origine a una fondazione che ogni anno avrebbe premiato studiosi distintisi per ricerche in fisica, chimica, medicina, letteratura e nelle attività a favore della pace e del disarmo.
Pacifista e filantropo Che cosa spinse Nobel a creare i suoi celebri premi, in particolare quello per la pace? È stato suggerito che un episodio lo colpì particolarmente e lo portò a riflettere sul suo lascito: quando nel 1888 morì il fratello Ludvig, un perio-
dico francese, credendo che il defunto fosse Alfred, annunciò: «Il mercante di morte è morto». Di certo, Nobel si distinse sempre come mecenate delle scienze e sostenitore di molteplici cause. Quanto al premio per la pace, bisogna ricordare che la preoccupazione per la guerra e la corsa agli armamenti era molto diffusa nell’Europa della fine del XIX secolo. Libri di grande successo come Giù le armi, della baronessa Bertha von Suttner, o Le guerre future, di I. S. Bloch, contribuirono a dare vita a numerosi movimenti pacifisti che poterono contare su mecenati come STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
NELLA SALA DORATA
CHAD EHLERS / AGE FOTOSTOCK
del municipio di Stoccolma ha luogo il ballo ufficiale dopo il banchetto che segue la consegna dei premi Nobel.
Andrew Carnegie, il grande industriale nordamericano dell’acciaio. In questo contesto, il pacifismo militante di Alfred Nobel non risulta così insolito, ma come qualcosa di incoerente. Anche se la dinamite in sé ebbe un uso più civile che militare – esplode troppo facilmente dentro il cannone se si cerca di sparare un proiettile –,
la famiglia Nobel fu sempre coinvolta nel commercio degli armamenti. Nel 1894, sei anni dopo la morte del fratello Ludvig, Alfred acquisì la Bofors, una fabbrica svedese che produceva acciaio, la potenziò e la convertì nella leggendaria fabbrica di cannoni che continua a essere tutt’oggi, e come direttore e principale azionista di questa impresa
L’ULTIMO MANDATO RAGNAR SOHLMAN iniziò a lavorare per Nobel a Sanremo nel 1893. Nel 1896 con Rudolf Lilljeqvist ricevette l’incarico di portare avanti i progetti del defunto capo, anche se proseguì con la sua carriera professionale: diresse la fondazione Bofors, proprietà di Nobel, e fra il 1929 e il 1946 fu presidente della Fondazione Nobel. RAGNAR SOHLMAN (1870-1948) IN UNA FOTOGRAFIA. TT NEWS / CORDON PRESS
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guadagnò molto denaro fino alla sua morte. Per di più, la sua ideologia era conservatrice: si opponeva al suffragio femminile e aveva un atteggiamento paternalistico nei confronti degli operai delle sue fabbriche.
Un testamento polemico Il testamento di Nobel designava una serie di istituzioni come incaricate della consegna dei premi: l’Accademia Reale Svedese delle Scienze si sarebbe occupata dei premi di fisica e chimica, il Karolinska Institutet avrebbe consegnato quello per la medicina e l’Accademia di Stoccolma avrebbe stabilito quello per la letteratura, mentre il premio per la Pace era affidato al Parlamento della Norvegia, Paese che al tempo si trovava sotto la sovranità svedese. Che i norvegesi ricevessero l’incarico di assegnare il premio per la Pace risultava una scelta particolarmente
I PRIMI PREMIATI NEL 1901, PER DARE CREDITO alle
MARIE CURIE, polacca naturalizzata francese, vinse il Nobel per la Fisica nel 1903 e per la Chimica nel 1911, anno in cui fu scattata questa fotografia.
ALLEGORIA DI PACE E FRATERNITÀ. VERSO DELLA MEDAGLIA DEL NOBEL PER LA PACE.
polemica, poiché proprio in quegli anni esisteva in Norvegia un importante movimento secessionista che ottenne l’indipendenza nel 1905. Inoltre, il re Oscar II di Svezia era furioso poiché considerava i premi una stravaganza che ogni anno avrebbe provocato la spesa di grandi somme di denaro da parte del suo Paese. Anche i parenti diseredati erano scontenti. Non avevano problemi di denaro, poiché esercitavano numerose attività e possedevano pozzi di petrolio altamente redditizi nel Caucaso. Ma poiché le imprese di Alfred erano strettamente vincolate a quelle dei suoi parenti, questi potevano legittimamente lamentare che la liquidazione del patrimonio del defunto li avrebbe danneggiati. Emanuel Nobel, nipote di Alfred, fu uno dei pochi che appoggiarono la volontà dello zio. Se una sola delle istituzioni designate da Nobel avesse declinato quell’ono-
re non richiesto, tutto sarebbe fallito. Né il testamento né altri documenti asserivano alcunché sull’organizzazione della fondazione o il modo in cui si sarebbe dovuto amministrare il denaro. La visione di Nobel venne realizzata grazie a Ragnar Sohlman, un ingegnere di 26 anni che affrontò ogni aspetto, pubblico e privato, del lascito di Alfred. Lo fece da una caserma, mentre svolgeva il servizio militare. Cercò di ottenere una proroga, che gli fu negata a causa della crisi secessionista norvegese. Anche se affittò una casa vicino alla caserma, con segretari e aiutanti, spesso dipendeva dall’unico telefono del reggimento, riservato inizialmente agli ufficiali, a cui lo chiamavano incessantemente ministri e banchieri di diversi Paesi. Terminato il servizio militare, Sohlman andò a Parigi per farsi carico del patrimonio di Alfred prima che i suoi parenti prendessero delle misure per impedirlo. Le azioni e
ALBUM
AKG / ALBUM
prime premiazioni, si cercarono candidati solidi, come Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa (premio per la Pace), o Röntgen, scopritore dei raggi X (per la Fisica). Le prime donne a vincerne uno furono Marie Curie (per la Fisica, nel 1903) e Bertha von Suttner (per la Pace, nel 1905).
il denaro in metallo furono trasferiti in Svezia a poco a poco con invii postali, attraverso l’ambasciata e la ferrovia. Il testamento concedeva a Sohlman 100.000 corone (una cifra pari a quella che Alfred lasciò all’intera famiglia), riconoscimento che si guadagnò, poiché nel 1901, dopo cinque anni di impegni, vennero finalmente concessi i primi premi Nobel. Da allora, l’impatto di questi premi è stato colossale, anche se non sono mancate le polemiche sugli eletti e i dimenticati, in particolare nel caso del Nobel della Pace; basta pensare che fra i nominati a questo premio arrivarono a figurare Hitler nel 1939 e Stalin nel 1945. JUAN JOSÉ SÁNCHEZ ARRESEIGOR STORICO
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STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Fra Alaska e Canada: spagnoli nel Grande Nord Nel XVIII secolo, i naviganti iberici esplorarono le coste del nordovest dell’America per contrastare la penetrazione di russi e britannici nelle terre della Corona ispanica
A
metà del XVIII secolo, la costa del nordovest dell’America, una vastissima striscia di terra suddivisa oggi fra Stati Uniti e Canada, era ancora praticamente inesplorata. La colonizzazione spagnola non era andata oltre la California e, anche se al principio del XVII secolo alcune spedizioni raggiunsero i 43º di latitudine nord, trovarono un paesaggio desolato che non invitava all’insediamento di avamposti permanenti. Ma la scoperta dello stretto
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di Bering nel 1728 e l’avanzata russa dalle coste dell’Alaska indusse le autorità spagnole a organizzare diverse campagne di esplorazione in quello che consideravano un territorio di loro sovranità. Nel 1774, una spedizione al comando di Juan José Pérez Hernández raggiunse l’isola di Nootka (nell’attuale Canada), ma dovette tornare a causa dello scorbuto e della mancanza di provviste. L’anno seguente partì da San Blas, nell’attuale Messico, un’altra spedizione di tre navi comandata da
Bruno de Heceta con la missione di raggiungere i 65º di latitudine nord. Vi partecipò anche Juan Francisco de la Bodega y Quadra, un competente ufficiale nato in Perú nel 1743, figlio di un nobile cantabro e di una dama dell’aristocrazia di Lima. Dopo il rientro di una delle navi alla base, Heceta e de la Bodega proseguirono verso nord, fino a raggiungere un’ampia baia che battezzarono Rada de Bucareli (Point Grenville, oggi nello Stato di Washington). Dopo un primo contatto amichevole con gli amerindi quinault, presero
ALASKA 60º
56º 7´
Unalaska
Puerto de Santiago Ensenada del Susto
ORONOZ / ALBUM
L’EVENTO STORICO
Puerto Valdés Puerto de los Remedios
Rada Bucareli
IF N
R
Bahía Bodega
44º
O
OCÉANO PACÍFICO
CAL
Isla de Nutka
53º
IA
Bahía de San Francisco 35º
MAPPA DELL’AMERICA NORD-OCCIDENTALE. 1791. MUSEO NAVAL, MADRID.
San Blas Acapulco
SENZA VOLTARSI INDIETRO DURANTE IL VIAGGIO DEL 1775, quando la maggior parte dei marinai, streBAIA DELL’ISOLA DI NOOTKA. Incisione
ispirata a un disegno di José Cardero, membro della spedizione di Malaspina, che giunse in questo luogo nel 1791. Ministero degli Esteri, Madrid.
mati dal freddo, dalla mancanza di acqua e dallo scorbuto, chiese di tornare alla base, de la Bodega y Quadra rispose: «Mi è stato dato un ordine, devo eseguirlo con l’onore che meritano i miei natali [...] Dio aiuta e richiede azioni grandi e, se necessario, morire ognuno nel proprio esercizio e per il Re è gloria per i posteri».
ORONOZ / ALBUM
possesso della terra, che chiamarono Nuova Galizia. Ma poco dopo i quinault attaccarono a sorpresa e Heceta, ferito, dovette tornare a San Blas. De la Bodega proseguì verso nord, e nonostante la mediocre governabilità della sua imbarcazione arrivò fino al 59º di latitudine nord, ma gli stenti lo costrinsero a ritornare, dopo che solo due membri dell’equipaggio erano ancora in salute. Heceta e de la Bodega non incapparono in nessun insediamento straniero, dimostrando così che le notizie sull’espan-
sione russa erano esagerate. Presto si palesò però una minaccia più imminente e diretta: quella degli inglesi. Nel 1778 il capitano Cook, durante il suo terzo giro del mondo, visitò il Pacifico del Nord e sbarcò sull’isola di Nootka. Credendo di esserne lo scopritore, Cook si sorprese nel vedere uno degli indigeni con un paio di cucchiai d’argento appesi al collo come ornamento, un regalo che gli spagnoli avevano offerto in cambio di pelli e cappelli di giunchi.
Un’isola contesa Nel 1779, dopo aver appreso dell’incursione di Cook, gli spagnoli reagirono organizzando una nuova spedizio-
Nel 1779, de la Bodega toccò la massima latitudine nord raggiunta da navigante spagnolo JUAN FRANCISCO DE LA BODEGA Y QUADRA. RITRATTO.
ne, capitanata da Ignacio de Arteaga e con de la Bodega al comando della seconda delle fregate che la componevano. Entrambi arrivarono fino a Port Etches, sull’isola di Hinchinbrook, già nel golfo dell’Alaska. Questo luogo, situato a 61º 17´ di latitudine nord e battezzato Puerto de Santiago, fu il punto più a nord raggiunto dagli spagnoli nel Pacifico. La lotta per il controllo del Pacifico del Nord con gli inglesi – e, per estensione, con i nordamericani, che avevano proclamato la loro indipendenza nel 1776 – ebbe come scenario l’isola di Nootka. Quando nel 1789 gli spagnoli avvistarono diverse navi americane e inglesi nella zona, decisero di erigere sull’isola il Forte San Miguel, l’unico insediamento spagnolo nell’attuale Canada. Il forte era sorvegliato dai soldati della Prima compagnia libera di volontari della Catalogna e per questo, quando la spedizione di Alessandro Malaspina giunse per esplorare la zona STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ALAMY / ACI
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L’EVENTO STORICO
CHRIS CHEADLE / AGE FOTOSTOCK
L’ISOLA DI VANCOUVER, con
460 chilometri di lunghezza, è nota per le innumerevoli baie, come quella di Clayoquot, nell’immagine.
nel 1791, molti dei suoi abitanti vennero raffigurati con la barretina, il tipico copricapo catalano. Al fine di evitare possibili incidenti, i governi spagnolo e britannico decisero di avviare un negoziato per fissare i rispettivi domini. Nel 1790 perciò si incontrarono a Nootka de la Bodega e George Vancouver, un vecchio compagno di Cook che nel giro di tre
anni portò a compimento un’accurata esplorazione della costa nord-occidentale del continente americano. L’incontro durò diverse settimane, ma risultò infruttuoso. La buona educazione di entrambi i rappresentanti permise loro di avere relazioni cordiali, ma le esigenze dei rispettivi governi erano troppo lontane e la questione non si risolse che nel 1794.
POPOLO DI BALENIERI I NOOTKA, o nuu-chah-nulth, si dedicavano alla pesca e alla caccia di balene. Navigavano in grandi canoe fatte di tronchi cavi. L’arponiere apparteneva a una famiglia di alto rango che custodiva la scienza pratica e magica necessaria per la caccia. MASCHERA NOOTKA DI LEGNO. XVIII SECOLO. MUSEO DELL’AMERICA, MADRID. P. MAEYAERT / PHOTOAISA
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Per gli spagnoli la permanenza a Nootka fu comunque fruttuosa. Accompagnava de la Bodega il naturalista José Mariano Mociño, che aveva percorso gran parte dei territori spagnoli in America durante la Real Expedición Botánica a Nueva España. Al termine della missione, Mociño scrisse Noticias de Nutka, un testo in cui descrive la botanica e la fauna del luogo così come la sua popolazione, «sulla cui religione e sistema di governo credo di essere stato il primo a raccogliere le informazioni possibili, dopo aver imparato il loro idioma a sufficienza per intrattenere con essi qualche conversazione». Secondo Mociño, i nootka vivevano solo sulla costa, «lasciando i monti a disposizione di orsi, linci, procioni, opossum, scoiattoli, cervi eccetera». L’autore descrive le loro abitudini, come quella di porre i
La celebrazione in casa del capo Macuina NEL 1792, il capo indigeno Macuina organizzò una festa in onore di Vancouver e de la Bodega,
che erano andati a Nootka per negoziare la sovranità sull’isola. Questa incisione, realizzata da un membro della spedizione, mostra l’interno dell’abitazione di Macuina. Pesce secco
Musici
Totem
Bambino
Capo con un manto di pelle di nutria
neonati in scatole di legno per deformarne appositamente la testa, e il loro gusto nel dipingersi la pelle: «Il molto grasso con cui si cospargono il corpo e l’ocra rossa con cui lo dipingono non permettono di vedere in essi il colore originale». I principi, come il tais Macuina, indossavano solitamente anche un «eccellente manto, fatto con molte pelli di martora finissime» e un cappello conico fabbricato intrecciando fibre vegetali.
Cerimonie misteriose Gli indigeni vivevano in grandi case comuni. Lì preparavano i pasti a base di pesce, molluschi e cacciagione, «rimanendo gettata a terra gran parte di questi avanzi, che decomponendosi lì causano un disgusto insopportabile a coloro che non siano cresciuti in mezzo a tanto fetore». Mociño descrive anche i rituali religiosi dei nootka. Vide, per esempio,
come il tais Macuina restò tre giorni in un grande cassone cerimoniale per pregare i suoi dei, e mentre ne colpiva i lati pronunciava preghiere, di cui Mociño offre una traduzione. In passato, sicuramente queste preghiere erano accompagnate da sacrifici umani in cui le vittime erano prigionieri di guerra, anche se «non tutti avevano mangiato carne umana, né sempre, ma solamente i guerrieri più coraggiosi, quando si preparavano alla guerra». Mociño registra il grande cambiamento che il contatto con spagnoli e inglesi comportò per gli indigeni, anche nell’alimentazione. Prima dell’arrivo degli europei non conoscevano le bevande fermentate, ma poi presero «ad affezionarsi al vino, all’acquavite e alla birra, a cui si dedicano fin troppo», in particolare durante le lunghe serate invernali vicino al fuoco, in cui cantavano, ballavano e si abbandonavano «a ogni sorta di leggerezza».
ORONOZ / ALBUM
Europei
Nel 1794, la convenzione di Nootka pose fine alla disputa fra inglesi e spagnoli per il controllo della zona, così che nel 1795 la Spagna smantellò il Forte San Miguel. De la Bodega era nel frattempo già morto, vittima di una malattia. I suoi successi di esploratore sono ricordati da toponimi come l’Isola Quadra, vicino a Nootka, e la Baia di Bodega, a nord di San Francisco. La grande isola presso quella di Nootka avrebbe dovuto chiamarsi Isola di Quadra e Vancouver, secondo quanto concordato da entrambi gli esploratori nel 1792, ma il destino volle che finisse per essere conosciuta solo con il nome dell’ufficiale inglese. JORDI CANAL-SOLER STORICO
Per saperne di più
SAGGI
Verso il Nuovo Mondo. L’immaginario europeo e la scoperta dell’America Francesco Surdich. Giunti, Firenze, 1991.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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V I TA Q U OT I D I A N A
Gli schiavi, il bottino di guerra più prezioso Il Medioevo fu scenario di un intenso commercio di prigionieri di guerra diretto verso città del Mediterraneo come Barcellona In un primo momento, gli schiavi erano in maggioranza musulmani che erano stati catturati durante una guerra in un territorio islamico, per esempio nelle campagne della Reconquista spagnola. La cattura poteva anche essere il risultato di una razzia, come avvenne nel 1412, quando Rodrigo de Luna guidò un assalto al villaggio algerino di Sharshal nel quale catturò 700 prigionieri. A partire dal XIV secolo, tuttavia, anche se gli schiavi musulmani non scomparvero, divennero più numerosi quelli acquistati mediante il traffico commerciale, soprattutto orientali e balcanici.
Prezzo secondo sesso ed etnia Si potevano ridurre in schiavitù anche i cristiani, vuoi perché scomunicati dal papa – come fece Clemente V con i veneziani nel 1305 –, vuoi perché erano considerati eretici, come accadde ai bizantini dopo lo scisma con la Chiesa romana nel 1054.
MINORANZA NERA ALL’INIZIO del XV secolo, del totale de-
RAMON MANENT
gli schiavi maschi presenti a Barcellona poco più di un 30 per cento era di pelle nera; il resto erano euroasiatici e slavi. La percentuale di schiave femmine di pelle nera non arrivava al 10 per cento. SCHIAVA NERA. DETTAGLIO RETABLO DE LA VIRGEN DE SIGENA.
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UN GRUPPO DI PRIGIONIERI ALAMY / ACI
L
a schiavitù fu una realtà quotidiana nell’Europa mediterranea sin dall’epoca romana e nel corso del Medioevo. Dopo la Peste Nera del 1348-1351 il suo peso aumentò, poiché le richieste di aumento del salario da parte di lavoratori giornalieri e apprendisti delle botteghe spinsero molti proprietari a cercare un’alternativa nella manodopera forzata. Inoltre, l’espansione commerciale di città come Venezia, Genova, Pisa, Barcellona o Valenza attraverso il Mediterraneo diede accesso a molte zone di reclutamento di schiavi, dai Balcani e dalle coste del Mar Nero fino al nord dell’Africa. Tra il XII e il XV secolo, gli schiavi africani di pelle nera, che gli europei compravano in Libia o a Tunisi da commercianti arabi, erano una minoranza, anche se il loro numero andò via via aumentando. Assieme a loro si potevano trovare schiavi bosniaci, bulgari, albanesi, tartari, russi e turchi.
cristiani catturati dai musulmani. Miniatura del XIII secolo.
A Barcellona, gli schiavi dovevano essere dichiarati e ottenere il certificato di «buona guerra», che significava che erano stati catturati in maniera «legale». Non dobbiamo immaginare grandi carichi di prigionieri che venivano venduti in un mercato pubblico, anche se alcune fonti alludono alla Lonja de Mar come luogo di vendita. Gli schiavi arrivavano in piccoli gruppi e di solito venivano venduti tra privati o attraverso mediatori. Il prezzo dello schiavo dipendeva dalla sua età – le cifre più elevate erano quelle della fascia compresa tra i 14 e i 40 anni –, così come dalle sue condi-
zioni fisiche e dall’uso che intendeva farne il nuovo proprietario. Il prezzo fluttuò molto nel corso del tempo. Per esempio, nel 1419 una schiava circassa di 15 anni veniva venduta per 60 lire, mentre nel 1460 una schiava tartara di 16 anni valeva solo la metà di quella cifra (i circassi provenivano dalla costa orientale del Mar Nero). Le schiave più costose erano quelle orientali o provenienti dai Balcani: nel 1416 una schiava bulgara di 30 anni fu acquistata per 85 lire, quasi lo stesso prezzo pagato nel 1423 per una russa di 20 anni. In quello stesso periodo, invece, si pagava poco più di 40 lire per schiave musulmane
Manodopera a basso costo per artigiani NELLA BARCELLONA del basso Medioevo i proprietari di schiavi appartenevano a tutte le classi sociali. Fatto piuttosto curioso, l’aristocrazia era quella che, in percentuale, ne possedeva meno, così come il clero, poiché usavano gli schiavi soltanto
come domestici. Al contrario, la BORGHESIA e gli artigiani, anche i più modesti, li utilizzavano come manodopera nelle loro aziende e botteghe. In qualche frangente questo diede luogo ad accuse di “concorrenza sleale” perché gli schiavi erano lavoratori estranei alla struttura delle corporazioni.
Per questo, nel caso dei barcaioli, alla fine del XIV secolo e agli inizi del XV il numero di schiavi che potevano acquistare venne limitato a due o anche nessuno. Neppure ai PESCATORI o ai venditori di corallo era consentito di possedere più di «un maschio e una femmina o due femmine».
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V I TA Q U OT I D I A N A
SCHIAVI NERI EMANCIPATI
PLAZA DEL REY di Barcellona.
La città catalana divenne un importante centro di vendita di schiavi tra i secoli XIV e XV.
ha dimostrato che nel XIV secolo molti degli schiavi di pelle nera e religione musulmana a Barcellona si convertirono al cristianesimo. Alcuni di questi furono emancipati dai loro padroni e si integrarono nella società cittadina, al punto che nel 1455 crearono una confraternita di liberti neri.
UNO STUDIO
RAMON MANENT
STEFAN ESPENHAHN / AGE FOTOSTOCK
VOLTO DI UN UOMO DI COLORE SULLA FACCIATA DEL PALACIO DE LA GENERALITAT, A BARCELLONA.
nere della stessa età. Talvolta le donne venivano vendute con i loro figli. Nel 1413, la moglie di un cavaliere acquistò da un carpentiere di Barcellona, per 70 lire, la russa Maria, di 30 anni, e suo figlio Luigi, di cinque mesi. Per gli uomini, invece, i prezzi erano più uniformi: tra il 1418 e il 1454 furono venduti per la stessa somma, 65 lire, un nero di 14 anni, un russo di 18 e un tartaro. Il venditore aveva l’obbligo legale di dichiarare qualsiasi malattia o difetto fisico dello schiavo. Se non lo faceva e il compratore scopriva qualche problema
costrinse la moglie di un cavaliere che le aveva venduto una schiava circassa, anch’essa epilettica, a riprenderla e restituirle le 27 lire che aveva pagato. Negli archivi si trovano numerosi reclami per schiavi acquistati da poco ai quali venivano scoperti problemi fisici di ogni tipo. Tuttavia, esisteva la possibilità di includere nel documento di Frodi nella “mercanzia” compravendita una rinuncia espressa Un certo Andreu Garcia, per esempio, a tali reclami successivi all’acquisto, oste di Lérida, denunciò l’argentiere di che comportava il ribasso del prezzo Barcellona Bernat Blascho per la vendi- dello schiavo. ta della schiava Nicolaua, circassa di 28 Una volta concluso l’acquisto, la anni, che soffriva di epilessia. Nel 1395, maggior preoccupazione dei proprietala vedova di un mercante barcellonese ri di schiavi era tenerli sotto controllo. All’inizio del XV secolo fu presentata al Consiglio di Barcellona la proposta che i padroni di schiavi potessero chieIl venditore era obbligato dere al balivo della città di castigarli a dichiarare qualsiasi malattia in caso di cattivo comportamento o o difetto fisico dello schiavo disobbedienza. Nel 1455 a Valenza fu creata un’associazione di proprietari per punire gli schiavi che commetteCROAT CONIATO A BARCELLONA SOTTO ALFONSO IV IL MAGNANIMO. XV SECOLO. PRISMA / ALBUM
dopo la transazione, poteva annullare la vendita, oppure tenersi lo schiavo ma recuperare una parte del prezzo pagato. In caso di disputa, una commissione di due medici, designati dal giudice locale (balivo) di Barcellona o un giudice proposto dalle parti, doveva emettere un verdetto.
Sfruttamento sessuale femminile SIAMO A CONOSCENZA di molti
casi di schiave sfruttate sessualmente dai loro padroni nella Barcellona del XIV e XV secolo. Non soltanto potevano metterle incinte senza timore di conseguenze – potevano anzi vendere i figli come schiavi –, ma a volte le costringevano a prostituirsi per pagare le quote o tallas che esigevano per concedere loro la libertà, nonostante esistesse un’ordinanza contro «le schiave che per pagare tali tributi abbandonano il loro corpo al sopracitato peccato di lussuria».
vano crimini contro di loro. Particolarmente pressante era il problema della fuga degli schiavi, soprattutto in Catalogna, poiché potevano fuggire nella vicina Francia, dove la schiavitù non era riconosciuta. I musulmani erano tentati di fuggire nel regno di Granada, per terra o per mare. Nel 1434 un barcaiolo di Barcellona chiese che gli fossero pagate le spese per l’inseguimento a bordo di un leuto (un’imbarcazione leggera) di alcuni schiavi fuggiti dalla città.
Leggi draconiane Per evitare le fughe, nel 1343 le autorità di Barcellona proibirono agli schiavi di circolare di notte in città, transitare nelle zone della spiaggia o uscire dal territorio del municipio, a meno che non avessero un permesso del proprietario; in caso di inadempimento venivano castigati con una multa o a subire dalle 10 alle 20 frustate in pub-
RAMON MANENT
GESÙ E LA SERVA. RETABLO DELLA TRASFIGURAZIONE, DI BERNAT MARTORELL. CATTEDRALE DI BARCELLONA.
blico. Nel 1350, il consiglio cittadino stabilì che se a fuggire era un gruppo, colui che lo guidava doveva essere condannato a morte e gli altri al taglio delle orecchie. Nel 1449, le autorità di Barcellona si rivolsero a quelle di Manresa a proposito di uno schiavo nero di 35 anni, proprietà di un conciatore barcellonese, che dopo essere fuggito era stato arrestato per furto e rischiava l’amputazione delle orecchie. I consiglieri barcellonesi chiedevano che fosse riconosciuto un indennizzo al proprietario e che lo schiavo fosse frustato, ma che non gli tagliassero le orecchie per un primo furto, poiché avrebbe perso valore sul mercato. Talvolta i proprietari incaricavano dei “procuratori” di cercare gli schiavi fuggiti e riportarli con la forza. Altri, invece, preferivano promettere la libertà ai fuggiaschi se fossero tornati e avessero continuato a lavorare per loro per un certo periodo mediante i
cosiddetti“contratti di affrancamento”. Per esempio, nel 1443 un fabbricante di bacinetti (un tipo di elmo) di Barcellona offrì a un suo schiavo rifugiatosi a Tolosa di liberarlo a condizione che lo servisse per altri sette anni. Esistevano, dunque, schiavi emancipati, alcuni dei quali non esitarono a diventare a loro volta sfruttatori. È il caso del liberto Joan Coll, alias Splugues, saraceno nero ed ex schiavo del mercante Bernat Coll, che nel corso dell’anno 1442 comprò quattro prigionieri: Alí, di 35 anni; Fatima, di 30 anni; un secondo schiavo musulmano proveniente da Bugia, sulla costa algerina, e Marta, una schiava circassa di quasi 40 anni. ANTONI ALBACETE
STORICO E ARCHIVISTA
Per saperne di più
SAGGI
Il mercato degli schiavi a Genova nel secolo XV D. Gioffré. Fratelli Bozzi, Genova, 1971.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL TEMPIO PIÙ FAMOSO
L’incisione a colori ricostruisce in modo idealizzato la scalinata principale del tempio di Artemide a Efeso, considerato una delle Sette Meraviglie dell’Antichità. Domina la scena una statua della dea su un carro trainato da serpenti. MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK
L’IMMAGINE DEL SANTUARIO
Moneta coniata all’epoca di Adriano, nel 117 d.C. Sono le monete antiche che ne riportano l’immagine a darci un’idea di come doveva essere il tempio di Artemide a Efeso, del quale rimangono solo pochi resti. ERICH LESSING / ALBUM
UNA DELLE 7 MERAVIGLIE DELL’ANTICHITÀ
IL TEMPIO DI EFESO Dopo aver conquistato la città dell’Asia Minore, il re Creso di Lidia vi fece costruire un tempio in onore di Artemide che divenne leggendario per le sue dimensioni imponenti FRANCISCO JAVIER MURCIA DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA
N
el III secolo a.C. venne stilata nel mondo greco la celebre lista delle Sette Meraviglie dell’Antichità. Al catalogo furono apportate alcune variazioni nel corso del tempo, ma uno dei monumenti che non vennero mai esclusi fu il tempio di Artemide nella città di Efeso, sulla costa egea dell’Asia Minore (l’attuale Turchia). In effetti, per alcuni autori la più spettacolare delle sette meraviglie era proprio quella di Efeso. Nel II secolo a.C. il poeta Antipatro di Sidone scriveva: «Ho posto gli occhi sulle grandi mura di Babilonia antica, su cui resta una strada per carri, e sulla statua di Zeus presso l’Alfeo [a Olimpia], ed i giardini pensili [di Babilonia], ed il Colosso del dio Sole [a Rodi], e il gran lavoro dell’alte piramidi [a Giza, in Egitto] e di Mausolo la gran tomba [ad Alicarnasso];
ROVINE MILLENARIE
Del tempio di Artemide a Efeso, o Artemision, oggi non rimangono che due colonne. Quella sullo sfondo fu ricostruita nel 1973 dall’archeologo austriaco A. Bammer utilizzando tamburi di diverse colonne. GETTY IMAGES
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Larissa
Eritre
Tebe Atene
Corinto
Pilo
EFESO Mileto
Sparta
M a r M e d i t e r r ane o
ma quando io vidi la casa d’Artemide che sormonta le nubi, perser tutte codeste meraviglie il lor splendore e allora dissi:“Invero, mai il Sole vide una grandezza così ampia”». Antipatro non fu il solo a entusiasmarsi. Nel II secolo d.C., lo scrittore e geografo greco Pausania scrisse a proposito del santuario: «Tre cose contribuiscono alla sua fama: la grandezza del tempio, che supera tutte le costruzioni umane, lo splendore della città di Efeso e la rinomanza della dea». Purtroppo, oggi si conservano pochissimi resti materiali di quel monumento, e le fonti antiche trasmettono informazioni molto parziali e assai spesso non prive di elementi leggendari.
Il tempio del re Creso La città di Efeso era stata fondata nel X secolo a.C. dagli ioni (greci provenienti dall’Attica e stabilitisi sulla costa egea dell’Asia Minore), alla foce del Caistro. Lì, nel paludoso delta del fiume, i greci avevano trovato un santuario dedicato dalla popolazione locale a una dea della vegetazione e della fecondità che identificarono con Artemide, che nella mitologia greca era protettrice degli animali selvatici e della vita agreste. Gli efesini eressero successivamente fino a tre templi in onore di Artemide. Fu
C R O N O LO G I A
MILLE ANNI DI STORIA
NELLA CARTA È INDICATA L’UBICAZIONE DI EFESO, SULLA COSTA EGEA DELL’ASIA MINORE, OGGI APPARTENENTE ALLA TURCHIA.
però un re straniero, il sovrano di Lidia, Creso, a costruire il tempio monumentale passato alla storia. Secondo Erodoto di Alicarnasso, lo fece dopo aver conquistato la città nel 560 a.C., per assicurarsi la fama di uomo devoto, pio e amico dei greci. Il tempio fu costruito dall’architetto Chersifrone di Cnosso, che iniziò i lavori con l’aiuto di suo figlio. Tuttavia, furono due architetti locali, Demetrio e Peonio, a portarlo a termine seguendo i progetti di costruzione che Chersifrone aveva lasciato. In epoca romana, lo scrittore e naturalista romano Plinio il Vecchio indicò le enormi proporzioni del tempio – 115,1 metri di lunghezza per 55, 1 metri di larghezza – che superava tutti quelli conosciuti sino ad allora, e disse che per la sua costruzione furono necessari 120 anni. Nel tempio si innalzavano ben 127 colonne, un vero e proprio bosco ispirato ai grandi templi dell’Egitto che probabilmente Chersifrone aveva avuto modo di vedere. La costruzione di un monumento di tali dimensioni rappresentò un’autentica sfida per l’ingegneria dell’epoca. Plinio ci riferisce degli ingegnosi sistemi ideati dall’architetto per trasportare i blocchi di marmo dalla cava, situata
560 a.C.
356 a.C.
263 d.C.
401 d.C.
Il re di Lidia, Creso, inizia a Efeso la costruzione di un grande tempio di Artemide.
Secondo la tradizione, Erostrato incendia il tempio per passare alla storia.
I goti attaccano e saccheggiano Efeso, causando gravi danni al tempio.
Il patriarca di Costantinopoli Giovanni Crisostomo ordina il saccheggio del tempio di Efeso.
TESORI NEL SOTTOSUOLO
Spilla in elettro risalente al VII secolo a.C. Gli scavi nel Tempio di Artemide portarono alla luce diversi oggetti in oro e metalli preziosi, depositati nelle fondamenta. Museo Archeologico, Istanbul.
ERICH LESSING / ALBUM
Delfi
Mar Ege o
BIBLIOTECA DI CELSO
Fu costruita in onore di Tiberio Giulio Celso Polemeano, governatore romano della provincia dell’Asia, di cui Efeso era capitale, tra il 110 e il 135 d.C. La città era passata sotto il dominio romano nel 129 a.C. MURATART / GETTY IMAGES
a dodici chilometri di distanza. Il lavoro per issare i pezzi dell’architrave (la parte dell’edificio che poggia sui capitelli) fu enorme. Secondo la leggenda, vedendo che l’architrave che andava collocato sopra la porta e che era il più pesante non si incastrava in alcun modo, Chersifrone, angosciato, pensò di suicidarsi; durante la notte, però, gli apparve in sogno la dea Artemide e lo incoraggiò a vivere, dicendogli che ella stessa aveva sistemato l’enorme pietra. In effetti, il giorno seguente Chersifrone scoprì che l’architrave era perfettamente sistemato al suo posto. L’Artemision, come venne chiamato il tempio, fu un’istituzione molto potente. Il terreno attorno al santuario era contrassegnato da cippi che indicavano che era proprietà della dea, e che pertanto era inviolabile e al cui interno si godeva del diritto d’asilo. Allo stesso tempo, il tempio possedeva vaste proprietà rurali e numerosi schiavi, e poiché era protetto dal suo carattere sacro funzionava grossomodo come una banca: custodiva depositi, cambiava moneta e faceva prestiti. Sappiamo che il filosofo Eraclito, che era originario di Efeso, depositò nel tempio il suo libro approfittando della sicurezza che esso offriva. Nella figura della dea, conosciuta come Artemide o Diana Efesina, si univano elementi greci e orientali. La sua statua di culto presentava file di protuberanze sul torso che sono state tradizionalmente interpretate come seni (in relazione al suo carattere di dea madre), ma che attualmente si ritiene siano testicoli di toro, un elemento che veniva offerto in sacrificio alla dea e che ha a che vedere anche con la forza generatrice. Una volta l’anno la dea usciva in processione a contemplare i suoi domini, secondo l’usanza orientale.
Incendio e ricostruzione Nell’anno 356 a.C., il tempio fu totalmente distrutto da un incendio. Secondo la tradizione, ciò accadde perché Artemide, una delle cui funzioni era quella di assistere le donne durante il parto, era così occupata con la nascita di Alessandro Magno, avvenuta quello stesso giorno, che non poté accorrere in tempo per salvare il proprio tempio. Il responsa-
DAGLI ORTI / ART ARCHIVE
IL TEMPIO DI ARTEMIDE IN FIAMME. MUSEO DELLE ARTI DCORATIVE, PARIGI.
MARMO RIDOTTO IN CENERE DOPO AVER SPOGLIATO DEL SUO TESORO il tempio di Artemide, Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, lo fece distruggere e autorizzò l’installazione di un forno da calce sulla scalinata d’accesso al santuario per trasformare il prezioso marmo di colonne, rilievi e muri in malta da costruzione. Secoli dopo, gli archeologi che scavarono nel sito sul quale un tempo sorgeva il tempio scoprirono i resti di questo forno, del diametro di cinque metri.
bile dell’incendio era un criminale di nome Erostrato, che sotto tortura confessò di averlo fatto perché desiderava che il proprio nome diventasse famoso in tutto il mondo per aver distrutto il celebre edificio. Gli efesini cercarono di punirlo con l’oblio e cancellarono il suo ricordo mediante un decreto, ma invano, giacché Teopompo, uno storico dell’epoca, consegnò il suo nome alla posterità. Quando Alessandro Magno liberò la città dai persiani nel 334 a.C. si offrì di pagare la ricostruzione del tempio, e ciò avrebbe significato includere un’iscrizione con il suo nome. Tuttavia, poiché gli efesini non volevano che il loro tempio fosse associato ad altre persone, declinarono l’offerta con grande diplomazia, dicendo ad Alessandro che non era conveniente che un dio dedicasse
VESTIGIA DELLE COLONNE
Tamburo di una delle colonne del Tempio di Artemide, decorato con una scena in rilievo. British Museum, Londra. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE
L’immagine della dea di Efeso IL MUSEO ARCHEOLOGICO Nazionale di Napoli cu-
stodisce una delle copie che sono giunte sino a noi della statua della dea Artemide adorata a Efeso. Si tratta dell’Artemide Efesia della Collezione Farnese, risalente al II secolo. La statua, in bronzo e alabastro, ha un copricapo a forma di mura con porte (come la dea greca Tyche, che garantisce la prosperità di una città), attorno al quale un grande disco con teste di leoni allude alla sua invocazione come dea lunare. A cingerle la gola è un collare dal quale pendono ghiande, simbolo di fertilità. Il busto è coperto da quattro file di quelli che oggi si ritiene siano testicoli di toro, che venivano offerti in sacrificio alla dea; secondo altre interpretazioni sono seni o datteri. Il corpo, tubolare, ricorda gli xoanon, antiche immagini di culto in legno, ed è decorato con la parte frontale (protomi) di diversi animali come leoni, grifoni, cervi, sfingi, api, che fanno riferimento al suo carattere di dea della Natura e all’attributo di Signora degli Animali (potnia theron). RENÉ MATTES / GTRES
BRIDGEMAN / ACI
un tempio a un altro dio. Si fece pertanto ricorso a una sorta di sottoscrizione popolare; secondo quanto riportato dallo storico greco Strabone, «costruirono un tempio ancor più bello raccogliendo i gioielli delle donne e i beni privati e vendendo le colonne anteriori». Eccezion fatta per un crepidoma o piattaforma a gradini, il nuovo tempio rispecchiava la struttura del precedente, edificato da Creso. Incluso nella lista delle Sette Meraviglie del mondo, l’Artemision attirò un turismo religioso che divenne anche un’importante fonte di reddito per la città. Sappiamo che gli orefici di Efeso si guadagnavano da vivere fabbricando piccole copie della statua e del Tempio di Artemide per i numerosi pellegrini. Quando l’apostolo cristiano Paolo di Tarso si stabilì in città e nelle sue prediche disse che non erano dei quelli fatti dalla mano dell’uomo, gli orefici insorsero al grido di «Grande è l’Artemide degli Efesini».
LA LOCALIZZAZIONE DEL SANTUARIO NEL 1869, L’ARCHEOLOGO britannico John Turtle Wood rinvenne a Efeso un’i-
scrizione dei tempi di Augusto che indicava i limiti del recinto sacro del tempio di Artemide. Poco dopo, ritrovò uno dei capitelli che erano scampati alla distruzione del tempio e infine rinvenne il pavimento di marmo. Tra i resti delle colonne riportate alla luce vi era un’iscrizione che confermava la paternità della costruzione del tempio: «Il re Creso la dedicò».
Invasioni e intolleranza Nell’anno 263 d.C., dalle loro basi nel Mar Nero i goti penetrarono con le loro imbarcazioni nell’Egeo e seminarono il terrore in regioni tanto sguarnite quanto colme di ricchezze. Una delle città che attaccarono e saccheggiarono fu proprio Efeso, che non era protetta da mura difensive. Il Tempio di Artemide, la famosa biblioteca di Celso e i quartieri residenziali furono rasi al suolo. Anche se il tempio fu parzialmente ricostruito durante il periodo di calma della Tetrarchia (verso la fine del III secolo), non tornò mai all’antico splendore. A metà del IV secolo, il cristianesimo divenne la religione dominante dell’Impero e gli imperatori chiusero le porte dei templi pagani e vietarono il culto delle immagini. A Efeso, le statue di Artemide furono demolite e sostituite dalla croce; persino il nome della dea venne cancellato dalle iscrizioni. Il tempio fu spogliato dal patriarca Giovanni Crisostomo durante la sua visita a Efeso nel 401. Da allora, l’Artemision divenne una cava di materiali per nuove costruzioni – chiese, muraglie o bagni pubblici –, mentre le statue e le decorazioni in marmo partivano
verso il palazzo imperiale di Giustiniano a Costantinopoli. Con il passare dei secoli, le fondamenta del tempio finirono per essere ricoperte da oltre otto metri di terra e detriti alluvionali del fiume, e addirittura si dimenticò del tutto il luogo in cui era stato edificato. Fino al 1869, quando John Turtle Wood, un architetto inglese che aveva deciso di lasciare il suo lavoro nella costruzione delle prime linee ferroviarie nel sud-est della Turchia per scavare nella città di Efeso, annunciò al mondo di avere ritrovato i resti di una delle più preziose meraviglie del mondo antico.
Per saperne di più
LE ROVINE DI EFESO
L’incisione, comparsa nel London News del 19 aprile 1890, raffigura il sito del Tempio di Artemide così come lo videro i primi esploratori e viaggiatori.
SAGGI
Le sette meraviglie del mondo Peter A. Clayton, Martin J. Price. Einaudi, Torino, 2005. Templi dell’antica Grecia Tony Spawforth. Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 2007.
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IL GRANDE TEMPIO DI ARTEMIDE A partire dalle rappresentazioni dell’edificio su monete di epoca romana e dalle descrizioni dei viaggiatori è possibile riprodurre in modo approssimativo l’aspetto dell’Artemision così come fu ricostruito in epoca ellenistica, quando divenne una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico.
COLONNE
Il tempio era composto da 127 colonne ioniche alte 20 metri così disposte: tre file da otto sulla facciata, 21 ai lati e 9 nella parte posteriore.
GIARDINI
A circondare il tempio vi era un ampio giardino ben curato che faceva riferimento al carattere di dea della Natura di Artemide.
Il frontone della facciata aveva una decorazione scultorea in marmo, che era presente anche sui tamburi inferiori delle colonne.
CELLA
La stanza nelle quale era custodita la statua di culto della dea – situata sotto un baldacchino di due metri – era lunga e stretta.
ALTARE
All’esterno del santuario, come era consuetudine in tutti i templi greci, si apriva l’altare del culto alla dea, dove i sacerdoti celebravano i sacrifici rituali.
ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE
RILIEVI
LA MUMMIA DI ALESSANDRO MAGNO
L’imperatore romano Augusto contempla il corpo mummificato del leggendario condottiero macedone nella sua tomba di Alessandria. Dipinto di François Schommer. XIX secolo. Musée des Beaux-Arts, Parigi. BEAUX-ARTS DE PARIS / RMN-GRAND PALAIS
LA TOMBA DI ALESSANDRO MAGNO Il sepolcro perduto di Alessandria Qualche tempo dopo la morte del condottiero macedone, i suoi resti furono deposti in un grande mausoleo ad Alessandria, il Soma, la cui localizzazione è a tutt’oggi un enigma FRANCISCO JAVIER GÓMEZ ESPELOSÍN ORDINARIO DI STORIA ANTICA. UNIVERSITÀ DI ALCALÁ
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el IV secolo d.C., in piena disputa tra cristiani e pagani, Giovanni Crisostomo, il celebre patriarca di Costantinopoli, sfidava i suoi avversari a indicargli il luogo in cui si trovava la tomba di Alessandro Magno. I cristiani sapevano bene che il fondatore della loro religione era stato sepolto a Gerusalemme, nel luogo in cui era stata appena costruita la chiesa del Santo Sepolcro, ma la tomba del più grande eroe dell’Antichità sembrava essere sparita dalla faccia della terra, o almeno da Alessandria, la città che aveva accolto i suoi resti secoli addietro. Da allora, la localizzazione del sepolcro di Alessandro divenne uno degli enigmi più frustranti della storia, nonostante le tenaci ricerche di decine di archeologi e viaggiatori. Le fonti antiche raccontano con dovizia di particolari i funerali di Alessandro Magno. Dopo la sua morte a Babilonia nel 323 a.C., in circostanze non del tutto chiare – vi furono anche voci di avvelenamento –, il suo corpo fu accuratamente imbalsamato.
ALESSANDRO SUL LETTO DI MORTE, A BABILONIA. DOMENICO INDUNO. XIX SECOLO. SERGIO ANELLI / ALBUM
Per la sua traslazione in Macedonia fu organizzato un impressionante corteo funebre, ma Tolomeo I, un potente generale di Alessandro, deviò la comitiva e decise di trattenere le spoglie del grande conquistatore macedone in Egitto. In questo modo intendeva legittimare il proprio potere sul Paese del Nilo, di cui aveva fatto il suo nuovo regno. I resti di Alessandro rimasero per un certo periodo a Menfi, l’antica capitale dell’Egitto faraonico. Forse furono deposti nel magnifico sarcofago in pietra destinato all’ultimo faraone egizio, Nectanebo II, rimasto vuoto dopo che il suo futuro occupante era fuggito in Etiopia quando i persiani avevano invaso l’Egitto nel 343 a.C. Il sarcofago si trovava a Saqqara, la necropoli di Menfi, all’interno di un edificio dedicato al dio Serapide, che si ergeva accanto a un tempio di Nectanebo. Davanti a questo tempio era disposta a semicerchio una serie di statue in pietra calcarea che rappresentavano i saggi greci, tra i quali forse figurava anche Aristotele, il maestro di Alessandro. Questo gruppo di statue potrebbe essere stato collocato a custodire simbolicamente un santuario di una certa importanza, come la tomba del sovrano macedone. Tra gli anni 290 e 280 a.C., Tolomeo II, succeduto al CATAFALCO DI ALESSANDRO MAGNO. RICOSTRUZIONE DELL’ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO. FINE DEL XIX SECOLO. IVY CLOSE / AGE FOTOSTOCK
padre Tolomeo I sul trono d’Egitto, fece trasferire i resti ad Alessandria, la città fondata da Alessandro. Lì, il celebre conquistatore fu oggetto di un culto religioso che aveva i propri sacerdoti. Di fatto, un fratello di Tolomeo, Menelao, divenne il primo sommo sacerdote del culto di Alessandro in città. A partire dal 272 a.C., il sacerdozio di Alessandro venne menzionato in decreti e contratti emessi dai Tolomei; a quanto pare, la persona che occupava quella posizione – sempre appartenente alle famiglie più illustri della città – era inviolabile ed era libera da tutti gli obblighi civici.
Un mausoleo per Alessandro Verso il 215 a.C., Tolomeo IV cambiò l’ubicazione della tomba. Costruì un grande mausoleo chiamato Sema o Soma – “tomba” e “cadavere”, in greco –, e vi sistemò i resti mortali di Alessandro assieme a quelli dei propri antenati. Fu in quel recinto che personaggi illustri dell’epoca romana visitarono Alessandro: Giulio Cesare, Augusto, probabilmente anche Germanico (pronipote di Augusto) e gli imperatori Caligola, Vespasiano, Tito, Adriano, Settimio Severo e Caracalla. Sappiamo pochissimo delle caratteristiche dell’ultimo mausoleo di Alessandro. Il grandioso monumento si trovava al centro della città, molto vicino all’incrocio delle due arterie che definivano il
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BABILONIA, MENFI, ALESSANDRIA 323 a.C. Alessandro Magno muore a Babilonia a 33 anni, dopo aver contratto una febbre. Il suo vasto impero viene affidato ai suoi generali.
321-320 a.C. Il corpo imbalsamato di Alessandro viene trasferito in Egitto e sepolto nel Serapeo di Saqqara, a Menfi.
290-280 a.C. Tolomeo II trasferisce il corpo di Alessandro ad Alessandria. Nel 215 a.C. Tolomeo IV erige un grande mausoleo.
89 a.C. Tolomeo X saccheggia la tomba di Alessandro, il Soma, e trafuga il sarcofago d’oro e i tesori del conquistatore.
365 d.C. Un terremoto e il conseguente maremoto distruggono numerosi edifici di Alessandria, tra i quali forse anche il Soma.
L’OASI DI SIWA
Negli anni Novanta, dello scorso secolo l’archeologa greca Liana Souvaltzi sostenne di aver ritrovato al tomba perduta di Alessandro nell’oasi egiziana di Siwa. In realtà si trattava di un tempio eretto un secolo dopo la morte del conquistatore macedone.
CAMMEO CON L’EFFIGIE DI ALESSANDRO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.
DESIGN PICS / GETTY IMAGES
DEA / ALBUM
MAUSOLEO DI ALICARNASSO
A quanto sembra, la tomba di Alessandro Magno era ispirata a quella del re Mausolo di Alicarnasso, della quale è mostrata una ricostruzione. COLONNA DI POMPEO
tracciato urbano della capitale. Quanto alla sua struttura, probabilmente era influenzata da grandi opere pressoché contemporanee, come il grande mausoleo di Alicarnasso, una delle Sette Meraviglie dell’Antichità. Secondo alcune informazioni, il Soma di Alessandro si trovava all’interno di un recinto murato che conteneva anche le tombe a forma di piramide dei primi Tolomei. Possedeva un grande altare molto simile a quello di Pergamo – oggi visibile al Pergamonmuseum di Berlino – ed era dotato di una cripta nella quale era esposto il corpo imbalsamato di Alessandro. Era conservato all’interno di sarcofago d’oro che fu saccheggiato durante una rivolta nell’anno 89 a.C. e fu sostituito da un altro in cristallo. Il mausoleo di Alessandro Magno subì gli effetti della turbolenta storia di Alessandria. Dalla metà del III secolo d.C., la città fu lo scenario di ripetute guerre, insurrezioni e sommosse popolari che provocarono importanti distruzioni, special-
mente nel quartiere del Brucheion, dove si trovava il Soma. Tuttavia, non si può escludere che il mausoleo di Alessandro fosse ancora in piedi a metà del IV secolo. Nel 361, lo storico Ammiano Marcellino sembra riferirsi a esso quando menziona «lo splendido tempio del Genio», se il «genio» o guardiano tutelare della città può essere identificato con lo stesso conquistatore macedone.
Forse distrutto da un terremoto Nel 365 si verificò un terremoto seguito da un maremoto, fenomeni che ebbero ripercussioni catastrofiche su tutta la città e che forse cancellarono la localizzazione precisa della tomba. Se il mausoleo si salvò da questo disastro, probabilmente non superò l’ondata di distruzioni di templi e simboli pagani che si scatenò all’epoca dell’imperatore Teodosio il Grande, alla fine del IV secolo. Sappiamo, in effetti, che le turbe cristiane guidate dal fanatico patriarca di Alessandria, Teofilo, rasero al suolo il Serapeo e altri santuari pagani, e trasformarono in chiese luoghi come il Cesareo, un tempio dedicato a Giulio Cesare. Tuttavia, risulta piuttosto significativo che quando le fonti parlano di questo episodio non facciano esplicito riferimento al Soma, il che può essere interpretato come un chiaro segnale del fatto che il monumento era già passato alla storia.
USHABTI DI NECTANEBO II IN CERAMICA BLU. IV SECOLO A.C. MUSEO EGIZIO, TORINO.
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FMAE / SCALA, FIRENZE
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Si ritiene che qui sorgesse il Serapeo, uno dei monumenti più importanti di Alessandria assieme al mausoleo di Alessandro.
VISITATORI FAMOSI
ROMA SI INCHINA AD ALESSANDRO Quando l’Egitto divenne una provincia di Roma, i visitatori che giungevano ad Alessandria si recavano al mausoleo di Alessandro, come fecero vari imperatori. Sappiamo che Giulio Cesare visitò il Soma nel 45 a.C., nel periodo in cui risiedeva ad Alessandria per sostenere la regina Cleopatra.
Quindici anni più tardi, anche Augusto si recò a rendere omaggio al conquistatore macedone. Depose una corona d’oro sulla mummia e, come racconta un aneddoto riportato da Cassio Dione, toccandola le ruppe il naso. Quando gli proposero di visitare le tombe dei Tolomei, replicò: «Sono venuto a vedere un re, non cadaveri». Di Caligola si diceva che durante la sua visita alla sepoltura non esitò ad appropriarsi della corazza d’oro di Alessandro. Nel 200 d.C., Severo ordinò di sigillare l’accesso della tomba, per salvarla dal degrado. Suo figlio Caracalla fu l’ultimo visitatore imperiale di Alessandro, nel 215. Come tributo, l’imperatore depose il suo anello e la sua cintura.
Alessandria, la città delle catacombe dro Magno ha stimolato l’esplorazione del sottosuolo di Alessandria, dove sono state rinvenute numerose tombe ellenistiche e romane. Nel 1901 venne alla luce in modo fortuito l’ipogeo più importante dell’antica capitale egizia: le catacombe di Kom el-Shuqafa, “collina dei cocci” in arabo, nome che si deve ai numerosi frammenti di ceramica ritrovati nelle immediate vicinanze. La costruzione, che è stata fatta risalire al II secolo d.C., consta di tre livelli scavati nella roccia. Il più basso fu inondato e attualmente è inaccessibile, mentre il superiore è costituito da una rotonda con un’apertura
centrale, provvista di un triclinio che suggerisce che lo spazio fosse utilizzato per celebrare banchetti funebri. Una piccola scala conduce al secondo livello, che vediamo nella fotografia. È qui che fu costruita la tomba, decorata con motivi che riflettono la mescolanza di culture e religioni tipica della Alessandria romana: rilievi di serpenti barbuti che sostengono il caduceo del dio Hermes e portano sul capo la doppia corona dei faraoni e il simbolo di Dioniso, gli dei Anubi e Sobek vestiti secondo lo stile romano, foglie di vite rampicante, teste di Medusa, pitture a tema egizio realizzate in stile greco-romano.
KENNETH GARRETT / NGS
LA RICERCA della tomba di Alessan-
IL SARCOFAGO DI ALESSANDRO
In realtà appartiene al re Abdalonimo di Sidone. Sui lati, i rilievi raffigurano diverse imprese del condottiero macedone, come la battaglia di Isso. NECROPOLI DI MUSTAFA PASCIÀ
La conquista di Alessandria da parte dei musulmani nel 642 comportò una trasformazione completa del piano urbano, sicché scomparve qualsiasi traccia rimasta del mausoleo di Alessandro. Ciononostante, non smisero di circolare teorie in merito alla localizzazione della celebre tomba, che alcuni collocavano nel sito della moschea di Dul Qarnain (un misterioso personaggio che appare nel Corano e che alcuni identificavano con Alessandro), presso le porte della città. Forse lo storico arabo al-Masudi, del X secolo, si riferiva a questo luogo quando parlava di un modesto edificio chiamato “La tomba del profeta e del re Eskender”.
In cerca di Alessandro Agli inizi del XVI secolo, l’esploratore berbero nato a Granada Leone l’Africano situa la tomba di Alessandro in una piccola cappella in mezzo alle rovine dell’antico centro di Alessandria. I viaggiatori europei del XVIII secolo videro che un piccolo santuario nel cortile della moschea el-Attarin (costruita sopra l’antica chiesa di San Attanasio) era venerato dalla popolazione locale come la tomba di Alessandro Magno, tradizione che sembrò trovare conferma alla fine del secolo, quando due membri della spedizione napoleonica in Egitto scoprirono in quel luogo un imponente sarcofago di granito grigio. Qualche anno dopo, però, la 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
decifrazione della scrittura geroglifica da parte di Champollion permise di leggere le iscrizioni del sarcofago e si scoprì che in realtà era appartenuto al faraone Nectanebo II. La ricerca ossessiva della tomba di Alessandro continuò per tutto il XIX secolo. Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia, visitò Alessandria nel 1888 con l’obiettivo di trovarne i resti sotto la moschea del profeta Daniele (Nabi Daniel), però le autorità religiose locali gli negarono il permesso di condurre scavi. Poco tempo dopo, un certo Joannides sostenne di aver scoperto le tombe di Alessandro e Cleopatra in una necropoli tolemaica e giunse ad affermare che sulle porte di bronzo delle tombe erano scritti i nomi dei loro occupanti. Forse il più celebre dei cercatori fu Stelios Komoutsos, un alessandrino che a metà del XX secolo decise di investire tutti i suoi risparmi in questa impresa, arrivando a inviare alle autorità nientemeno che 322 richieste di permesso di scavo in tutta la città. Nessuno di questi, però, ha dato frutti. Il mistero della tomba di Alessandro è ancora intatto. Per saperne di più
SAGGI
La tomba di Alessandro. L’enigma Valerio Massimo Manfredi. Mondadori, Milano, 2011. Alessandro Magno Pietro Citati. Adelphi, Milano, 2004.
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RICHARD ASHWORTH / AGE FOTOSTOCK
La tomba 2 di questa necropoli alessandrina presenta molte similitudini con le tombe macedoni di Verghina, come l’architrave dipinto.
LA TOMBA DI ALABASTRO
EL SHATBY, L’ULTIMA CANDIDATA Agli inizi del XX secolo furono scoperti nella necropoli di El Shatby, ad Alessandria, i resti di una tomba del III secolo a.C., di stile macedone, fatta in alabastro e ricoperta da un tumulo di terra. Nel 1964, dopo un primo studio di Evaristo Breccia, Achille Adriani, direttore del Museo Greco-Romano della città, iniziò uno scavo in profondità.
Adriani sostenne da subito che si trattava della tomba di Alessandro. Secondo lui, la struttura di alabastro era il vestibolo che portava (attraverso una seconda porta che non esiste più) a una camera interna, quella del sarcofago, dove riposava il corpo del conquistatore macedone.
L’archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi ha dato molto rilievo a questa identificazione della “tomba di alabastro”, ma la maggior parte degli esperti non concorda. Secondo il professor El Fakharani, dell’Università di Alessandria, che ha scavato per oltre quarant’anni sul posto, se anche la tomba facesse parte di un cimitero reale non si può dimostrare che sia quella di Alessandro.
UNA RICERCA LUNGA DUE SECOLI Dalla fine del XVIII secolo, numerosi esploratori e archeologi hanno cercato di localizzare qualche resto del mitico mausoleo di Alessandro Magno basandosi su tradizioni e leggende rimaste vive dopo la conquista araba di Alessandria. La ricerca si è concentrata nell’area in cui si ritiene sorgesse il Soma, accanto all’attuale moschea di Nabi Daniel, però a oggi non è stato ritrovato nulla. LA CITTÀ DI ALESSANDRIA FU FONDATA NEL 331 A.C. DA ALESSANDRO MAGNO E DISEGNATA DALL’ARCHITETTO DINOCRATE CON L PIANTA A SCACCHIERA.
Alessandro riposa qui? Secondo gran parte degli autori classici, il mausoleo del fondatore della città si troverebbe nel quartiere reale, vicino al teatro e al Cesareo.
NELLE CATACOMBE DI ALESSANDRIA. INCISIONE DI LUIGI MAYER. VEDUTE DI EGITTO, PALESTINA E ALTRE PARTI DELL’IMPERO OTTOMANO. 1804.
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SEUM / SC
ALA, FIREN
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FERNANDO G. BAPTISTA / NGS
SARCOFAGO IN GRANITO DEL FARAONE NECTANEBO II, TROVATO NELLA MOSCHEA EL- ATTARIN. BRITISH MUSEUM, LONDRA.
1800 Moschea el-Attarin.
Nel cortile interno di questa antica moschea di Alessandria, che la gente del posto chiamava «la tomba di Alessandro», i membri della spedizione napoleonica del 1798 trovarono un enorme sarcofago in granito. I britannici se ne impossessarono e nel 1801 lo inviarono al British Museum, a Londra, dove lo studio dei geroglifici permise di scoprire che appartenne al faraone Nectanebo II. Secondo alcuni ricercatori in questo sarcofago riposò il corpo di Alessandro quando fu trasferito da Menfi, prima di essere portato nella sepoltura definitiva nel Soma.
DEA / M. SEEMULLER / GETTY IMAGES
1850 Moschea di Nabi Daniel.
Nel 1823, Mohamed Ali costruì, accanto alla deteriorata moschea el-Attarin, una moschea dedicata al profeta Daniele, nel luogo che dall’XI secolo era conosciuto come «la collina del corpo». Nel 1850, un impiegato del consolato russo in Egitto percorse parte del complicato labirinto di tunnel che corre sotto la moschea e uscendo disse di aver visto un sarcofago di cristallo nel quale giaceva un corpo umano con un diadema sul capo. Poco dopo, anche Ambroise Schilizzi, guida locale, assicurò di aver visto sotto la moschea il feretro in cui riposava Alessandro.
1960 Kom el-Dikka. Non lontano dalla moschea di Daniele si trova la necropoli greco-romana di Kom el-Dikka, dove sorgeva una chiesa detta Chiesa di Alessandro. Alla fine del XIX secolo si eseguirono alcune prospezioni, ma il governo egizio era restio a consentire gli scavi perché vi erano sepolti alcuni membri della famiglia reale. Verso il 1960, una spedizione polacca portò alla luce i resti di un odeon, terme romane, cisterne e un quartiere residenziale, ma non trovò nessuna traccia della tomba di Alessandro. TESTA IN MARMO DI ALESSANDRO MAGNO RITROVATA A KOM EL-DIKKA. MUSEO DI ALESSANDRIA. BIBLIOTHECA ALEXANDRINA ANTIQUITIES MUSEUM / CHRISTOPH GERIGK
Saccheggi, traffici e usura
I MILIONARI Nel I secolo a.C., alcuni romani accumularono enormi fortune con l’usura, l’attività
UN BANCHETTO ROMANO
Nell’antica Roma, un modo assai diffuso per ostentare la propria ricchezza era organizzare splendidi banchetti nei quali venivano serviti i piatti più raffinati e costosi. Dipinto di Roberto Bompiani. XIX secolo. Getty Museum, Los Angeles. BRIDGEMAN / ACI
JUAN JOSÉ FERRER MAESTRO
ORDINARIO DI STORIA ANTICA. UNIVERSITÀ JAUME I (CASTELLÓN)
DI ROMA immobiliare e il governo delle province
IL DENARO, IDOLO DEI ROMANI
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A CASA DI SIRICO è una delle grandi
abitazioni parzialmente recuperate negli scavi della città romana di Pompei. Apparteneva a Publio Vedio Sirico, un ricco commerciante e politico della città, e sulla soglia, su un pavimento a mosaico, si conserva un’iscrizione che accoglieva visitatori e clienti della domus con un esplicito e beneaugurante Salve, lucrum! ovvero “Benvenuto, guadagno!”. Nel primo secolo della nostra era, prima che la città scomparisse a causa della catastrofica eruzione del Vesuvio nell’agosto del 79 d.C., i commerci avevano arricchito (e mandato in rovina) molti imprenditori e usurai di Pompei, ma la storia del lucro romano ha a che vedere soprattutto con l’enorme potere raggiunto dalla Repubblica romana e la deriva ideologica della sua classe dirigente.
ERICH LESSING / ALBUM
LA CASA DI SIRICO
Questa residenza pompeiana fu scavata a metà del XIX secolo. Il nome del proprietario si conosce grazie al ritrovamento di un sigillo in bronzo.
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n qualsiasi epoca, diventare milionario è un destino riservato a una piccola minoranza dotata di attitudini singolari e con pochi scrupoli. Roma non fece eccezione. Anzi, divenne addirittura il modello di coloro che in epoche successive hanno inseguito questo destino nella nostra civiltà occidentale. Le strade per diventare ricchi nell’antica Roma erano diverse. Senza dubbio, la più rapida era la guerra, che poteva far ottenere bottini molto ingenti ai generali vittoriosi. Non meno proficuo era otte-
nere il governo di una provincia conquistata, che un proconsole o un propretore potevano sfruttare in maniera arbitraria per accrescere la loro fortuna personale. Vi fu anche chi divenne immensamente ricco mediante l’accaparramento di proprietà agrarie, con i commerci e gli affari derivati dai grandi contratti con lo Stato o, per finire, come banchiere o prestasoldi a usura. Tra saccheggi, abusi di autorità, prevaricazioni e usura, molti romani si arricchirono a piene mani. Alcuni, semplici furfanti, non seppero amministrare il patrimonio e finirono per perdere
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SIN
Dopo le guerre sannitiche, l’economia romana cresce e la dracma greca viene sostituita dalle nuove monete romane. Dopo la sconfitta di Annibale a Zama, Roma si espande verso Oriente.
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RICCHI GRAZIE AI BOTTINI
E.
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168 a.C.
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290-202 a.C.
Trionfo di Emilio Paolo su Perseo di Macedonia nella battaglia di Pidna. Roma comincia a traboccare di ricchezze grazie ai territori conquistati e ai bottini di guerra ottenuti.
OINOCHOE D’ARGENTO. TESORO DI BOSCOREALE. I SECOLO. LOUVRE.
IL PALATINO
Oltre a essere il luogo di residenza degli imperatori, il colle Palatino era un quartiere esclusivo di alto livello, dove i personaggi ricchi e famosi fecero costruire le loro lussuose case. JANE SWEENEY / GETTY IMAGES
capitale e dignità, ma i più astuti riuscirono a far aumentare proprietà e fortuna con il prestito di denaro, gli investimenti immobiliari e l’incremento di residenze e latifondi.
Crasso il Ricco Verso la fine della Repubblica, nel I secolo a.C., vi furono numerosi casi di rapido arricchimento personale. Non per nulla, agli occhi di molti contemporanei, quella fu un’epoca dominata da una passione irrefrenabile per il denaro, come riconobbe lo storico Tito Livio: «Da qualche tempo la ricchezza ha introdotto l’avarizia. E piaceri sempre più sfrenati hanno
133-123 a.C. I fratelli Tiberio e Gaio Sempronio Gracco cercano di riequilibrare la diseguale suddivisione dell’espansione territoriale tra classi elevate e popolo, ma il Senato si oppone alle loro riforme.
generato la smania di rovinarsi e di sperperare ogni cosa nel lusso e nella libidine». L’uomo più ricco di Roma in quegli anni era Marco Licinio Crasso (115-53 a.C.), soprannominato «il ricco» (Dives). Secondo Plutarco, il suo patrimonio, che all’inizio della sua carriera era di 300 talenti, aveva raggiunto i 7100 prima della morte, mentre per Plinio possedeva terre per un valore di 200 milioni di sesterzi. Crasso era convinto che nessuno si potesse considerare milionario se non era in grado di mantenere un esercito. Se teniamo conto che il mantenimento di un paio di legioni consolari costava circa 2,5 milioni di sesterzi
31 a.C. La flotta di Ottaviano vince nella battaglia di Azio. La vittoria segna la fine della Repubblica e l’inizio di un nuovo regime politico ed economico, nel quale i nuovi milionari saranno cortigiani.
IV secolo d.C. Le grandi fortune crescono al ritmo delle eredità e la maggior parte dei ricchi proprietari si rinchiude in enormi e sontuose ville.
MARCO LICINIO CRASSO. SCULTURA DEL XIX SECOLO. ROMA. PAOLO GAETANO / GETTY IMAGES
LA CASA DEL CRIPTOPORTICO
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La lussuosa residenza, che era una delle più grandi di Pompei, apparteneva a una facoltosa famiglia e prende il nome dall’ampio corridoio con volta a botte che veniva utilizzato come magazzino.
RICCHI ALL’OMBRA DELLO STATO
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PATRIMONI PIÙ INGENTI dell’antica Roma appartenevano a
due classi privilegiate: la nobiltà e l’ordine equestre. La prima costituiva la tipica aristocrazia oziosa. Concentrata sulla guerra e sul governo dello Stato attraverso il Senato, viveva delle rendite delle sue vastissime proprietà agricole e aveva il divieto di svolgere qualsiasi altra attività che portasse beneficio economico. Gli equites, invece, che non erano sottoposti a queste limitazioni, potevano dedicarsi ai settori più redditizi dell’economia romana, come il commercio all’ingrosso, la banca e l’appalto delle imposte. Quest’ultima attività era particolarmente ambita. Gli equites si raggruppavano in “società”, anticipavano al governatore di una provincia una determinata somma e in cambio si occupavano direttamente della riscossione delle imposte (il publicum, da cui viene il nome di pubblicani con il quale venivano designati), inviando sul territorio una serie di ufficiali, spesso schiavi, che riscuotevano senza troppi scrupoli i tributi per un valore molte volte superiore alla somma anticipata. DUE GENTILUOMINI ROMANI CONVERSANO NEL TABLINUM O SOGGIORNO DELLA CASA DI UNO DEI DUE. DIPINTO DI SIR LAWRENCE ALMA-TADEMA. XIX SECOLO.
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l’anno, è chiaro che Crasso poteva permettersi facilmente quella spesa. E in effetti, durante le lotte politiche a Roma, Crasso non esitò ad armare un esercito personale e a mettere la sua fortuna e il suo potere a disposizione di terzi, come fece con Cesare, suo alleato nel triumvirato che governò Roma tra il 60 e il 53 a.C. Pur avendo ereditato dalla sua famiglia una fortuna considerevole, Crasso la accrebbe enormemente con diversi mezzi. Si aggiudicò a prezzi simbolici i beni che il dittatore Silla confiscò ai suoi nemici dopo le proscrizioni dell’81 a.C. Successivamente creò un’impresa immobiliare per acquistare per somme irrisorie gli edifici in cui si ammassavano le abitazioni popolari (insulae) che erano state preda di frequenti incendi o crolli a Roma. Comprò fino a cinquecento schiavi perché lavorassero come architetti e capomastri nel restauro degli immobili e continuare così a godere delle rendite. La maggior parte degli edifici in affitto della capitale passò per le sue mani, e in questo modo Crasso divenne il maggior proprietario di beni immobiliari di Roma. Il facoltoso triumviro
MANUEL COHEN / AURIMAGES
morì vittima della sua cupidigia nel 53 a.C., quando alla guida del proprio esercito intraprese un’azzardata offensiva contro l’Impero dei parti. Sconfitto a Carre (l’attuale Harran, in Turchia), Crasso fu catturato dai parti che, secondo le fonti antiche, lo assassinarono versandogli in gola oro fuso, metafora dell’avarizia che aveva caratterizzato tutta la sua vita.
Bottino di guerra Anche la parabola di Giulio Cesare illustra bene la stretta interconnessione tra denaro e politica nell’antica Roma. Cesare apparteneva a una famiglia romana di antica stirpe ma di scarsa fortuna, il che lo costrinse a indebitarsi per finanziare la sua carriera politica. Secondo Appiano, prima di compiere 40 anni Cesare aveva accumulato debiti per 25 milioni di sesterzi, e quando fu eletto propretore della Hispania Ulterior i suoi creditori minacciarono di bloccare i fondi che riceveva dallo Stato se non avesse restituito i prestiti.
MONETE CONIATE A ROMA Sesterzio di Giulio Cesare. A partire dal III secolo a.C. Roma creò la propria moneta, l’aes grave, di bronzo, stampigliata e con un peso standard. I secolo a.C.
AKG / ALBUM
Fu Crasso ad accorrere in suo aiuto facendo da garante con i creditori, il che permise a Cesare di recarsi come propretore nella Hispania e usare i guadagni della carica per estinguere i debiti. In seguito, il bottino ottenuto nelle guerre galliche (58-51 a.C.) lo rese finalmente il milionario che aveva sempre desiderato essere. La gloria militare e l’arricchimento personale erano indispensabili a Roma per raggiungere il successo politico e le alte cariche istituzionali, e Cesare fu lo statista che meglio seppe vedere ed esemplificare l’indispensabilità del denaro per raggiungere il potere. Anche Gaio Sallustio Crispo (86-34 a.C.), storico e fedele sostenitore di Cesare, si arricchì grazie alle estorsioni praticate nel suo ruolo di propretore della provincia dell’Africa Nova. Con il bottino proveniente dai suoi saccheggi si fece costruire a Roma il favoloso complesso conosciuto come Horti Sallustiani, i «giardini di Sallustio», un’opulenta villa suburbana dotata di splendidi giardini, templi, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL TRICLINIO DEI VETTII
La ricostruzione in 3D mostra la sala da pranzo della casa dei Vettii, a Pompei. La decorazione della stanza spicca, tra l’altro, per gli affreschi di amorini impegnati in varie occupazioni. EDUARDO BARRAGÁN
Nella residenza di due liberti di Pompei UNA DELLE CASE più belle di Pompei
è quella di due fratelli liberti, Aulo Vettio Conviva e Aulo Vettio Restituto, che dopo la manomissione si arricchirono dedicandosi al commercio. Per ostentare il loro nuovo status sociale fecero decorare la loro casa in modo lussuoso, con statue e magnifici affreschi. Una delle stanze più importanti era il triclinio o sala da pranzo, aperto sul peristilio, come le altre sale principali della casa. Si conserva gran parte della splendida decorazione delle pareti, così come il pavimento a mosaico, ma non l’arredamento, che pro-
babilmente era quello tipico delle case romane delle famiglie ricche. I commensali si reclinavano su un lettino (lectus), che era una semplice struttura in legno con strisce di cuoio sopra le quali veniva collocato un materasso con cuscini e coperte. Non di rado questi letti avevano una spalliera cui appoggiarsi. Un tavolo centrale, in muratura o in legno, serviva per disporre le stoviglie, il vasellame e i cibi. Ci potevano essere anche alcune sedie, bracieri per riscaldarsi e lampade a olio, sia a mano sia da appendere al soffitto mediante catene.
SPORTIVI FAMOSI E MILIONARI
LA QUADRIGA VITTORIOSA GIUNGE AL TRAGUARDO. MOSAICO CIRCENSE DI BARCELLONA. MAC, BARCELLONA.
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AIO APULEIO DIOCLE è passato
alla storia come uno degli aurighi (guidatori dei carri nel circo) più famosi di Roma. Ma Diocle non fu solo famoso; fu anche un uomo molto ricco. Idolo delle folle, l’auriga lusitano, nato a Mérida, si ritirò dalle competizioni a 42 anni, dopo una carriera ricca di successi durata ben 24 anni e durante la quale vinse 1462 gare delle 4257 cui prese parte. A quanto pare Diocle era specializzato nella conduzione delle quadrighe, carri trainati da quattro cavalli, per diverse squadre (bianchi, verdi e rossi). Una stele commemorativa rinvenuta nei pressi del circo di Nerone – sul colle Vaticano di Roma – ci fornisce qualche statistica sulla sua fortuna e i suoi trionfi. Al momento del ritiro, nel 146 d.C., Diocle disponeva di una fortuna valutata in 35.863.120 sesterzi.
ORONOZ / ALBUM
padiglioni porticati, terme, criptoportici, statue, fontane e ninfei. La villa occupava una vasta area situata tra i colli del Viminale e del Quirinale e il Campo Marzio, terreni che in precedenza erano appartenuti a Cesare e che negli anni successivi sarebbero passati nelle mani degli imperatori.
Banchieri e usurai In un elenco delle tipologie dei ricchi dell’antica Roma non possono mancare i banchieri. Chiamato in latino argentarius o nummularius, il banchiere romano svolgeva diverse funzioni: cambio della moneta, deposito di fondi, intermediario nelle vendite all’asta e, naturalmente, prestasoldi. Gli interessi sui prestiti erano assai elevati, e sebbene una legge della metà del I secolo a.C.li limitasse al dodici per cento, talvolta veniva richiesto un interesse superiore, una pratica usuraria che i tribunali non poterono sradicare e che era esercitata da importanti membri del Senato, latifondisti e accaparratori di terre statali. 50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
SENECA E LE RICCHEZZE Secondo il celebre filosofo, l’eccessiva prosperità fiacca lo spirito: «Un animo grande disprezza la grandezza e preferisce la moderazione agli eccessi». L. PEDICINI / ALBUM
Attraverso il politico e oratore Cicerone ci possiamo fare un’idea del grande potere che avevano gli usurai nella Roma del I secolo a.C. Quando era all’apice della sua carriera, Cicerone decise di andare a vivere sul Palatino, la zona esclusiva delle classi dirigenti, ma poiché non aveva una genealogia aristocratica né una cospicua fortuna familiare dovette ricorrere ad astuzie legali e all’usura. Nel 62 a.C. ricevette la donazione di un cliente per comprare la casa che era appartenuta a Crasso sul colle del Palatino, un fatto per il quale fu molto criticato, giacché la legge proibiva agli avvocati di ricevere compensi economici dai clienti. Per pagare l’immobile Cicerone dovette ricorrere a un prestito a usura. Alla fine di quell’anno, si lamentava così in una lettera all’amico che gli aveva consigliato l’acquisto: «Ho comprato la casa [di Crasso] e l’ho pagata tre milioni e mezzo di sesterzi. E così, sappi che ho tanti debiti che ho voglia di partecipare a una congiura, se qualcuno mi vorrà». Qualche giorno dopo, Cice-
AG TRAVEL / ALAMY / ACI
rone confessò all’amico Pomponio Attico che stava ancora cercando credito presso alcuni senatori usurai, tentando di trovare un tasso di interesse che non superasse il massimo del dodici per cento stabilito dalla legge. Molti degli usurai che facevano affari redditizi alle spese di personaggi come Cicerone che avevano bisogno di denaro appartenevano a un gruppo sociale che aveva un grande potere economico: i liberti, ex schiavi emancipati. Parecchi di loro prosperarono alla corte di Augusto e dei suoi successori. Abili amministratori, approfittavano della loro situazione privilegiata per accumulare fortune straordinarie, molto più ingenti di quella di Crasso il Ricco, a quanto sostiene Plinio. Accadde così a Callisto, liberto di Caligola, a Narciso, liberto dell’imperatore Claudio e incaricato della sua corrispondenza imperiale, successivamente condannato a morte da Nerone, o a Pallante, che con Agrippina, la moglie di Claudio, tenne le redini dell’Impero romano per un certo periodo e finì per essere avvelenato, anch’egli per ordine di Nerone.
Fuori dall’ambito della corte, i liberti furono uno dei gruppi più dinamici dell’economia romana ed ebbero un ruolo importante come banchieri. A questo proposito ricordiamo uno dei personaggi del Satyricon di Petronio, Trimalcione, il liberto che organizza un sontuoso banchetto nel quale si comporta con la volgarità di un nuovo ricco. Nel testo si spiega che Trimalcione si arricchì grazie a un investimento che gli portò un beneficio di dieci milioni di sesterzi, il che gli permise di dedicarsi da quel momento in poi all’attività di usuraio. Non era comunque necessario essere un ex schiavo per fare l’usuraio. L’uomo più facoltoso di Roma a quell’epoca era il filosofo Seneca, servitore di fiducia sia di Claudio sia di Nerone, che secondo Tacito e Cassio Dione accumulò un capitale di trecento milioni di sesterzi grazie all’usura. Per saperne di più
LA TOMBA DEL FORNAIO
Il monumento funebre fu eretto in onore di Marco Virgilio Eurísace, un liberto arricchitosi lavorando per lo Stato nella distribuzione gratuita di pane. I secolo a.C. Porta Maggiore, Roma.
SAGGI
Economia e società nel mondo antico Moses Finley. Laterza, Bari, 1984. Economia e finanza a Roma A. Marcone, F. Carlà. Il Mulino, Bologna, 2011.
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RICCHI E POVERI
La frattura sociale nell’antica Roma
EL EMPERADOR CÓMODO, DESDE EL GRADERÍO, DISPARA CON SU ARCO UNA FLECHA A UN LEOPARDO QUE SE HA ESCAPADO DE SU JAULA EN LA ARENA. GRABADO POR JAN COLLAERT PARA LA OBRA VENATIONES FERARUM, AVIUM, PISCIUM (LÁMINA 14). PUBLICADA EN ÁMSTERDAM EN EL SIGLO XVII.
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e informazioni delle fonti antiche su rendite e salari sono molto scarse. Per comprendere la dimensione delle fortune romane si dovrebbero stabilire dei modelli di quantificazione molto complessi e difficili. Tuttavia può essere utile fare dei paragoni che aiutino a farsi un’idea in merito. Per esempio, il prezzo di un’abitazione nel centro storico di Roma oscilla oggi tra 10.000 e 15.000 euro al metro quadro. Se pensiamo alla casa di Cicerone nell’esclusivo quartiere Palatino, calcoliamo circa 500 m2 di estensione e applichiamo il prezzo di 15.000 euro/m2, otteniamo un costo di 7,5 milioni di euro per questa residenza.
CICERONE ERA UN RICCO PROPRIETARIO: oltre a questa casa pos-
sedeva beni ad Arpino, vari complessi di abitazioni da affittare (insulae) a Roma, tenute e ville rurali a Pompei, Cuma, Alba, Astura, Pozzuoli, Frosinone, Formia e Tuscolo, dedite alla produzione agricola e zootecnica con schiavi di sua proprietà (ogni schiavo costava circa 2000 sesterzi) e dotate di tutti i lussi e i comfort necessari per lo svago del proprietario e dei suoi ospiti occasionali. A tutto questo bisogna aggiungere gli oltre venti milioni di sesterzi ricevuti con varie eredità, prodotto dei suoi servigi di avvocato. Eppure, nonostante tutto, quella di Cicerone non fu una delle fortune più grandi di Roma. ALCUNI ESEMPI ci permettono di scorgere la grande frattura
tra la plebe e i grandi proprietari. Un secolo prima di Cicerone, nella provincia spagnola della Lusitania si pagavano sei sesterzi per un medimno di grano (circa 52 litri), un maiale ne costava 30, per un bue da aratro ne servivano 40 e si poteva acquistare l’equivalente di 4,5 kg di fichi per quattro sesterzi. Due secoli dopo, un segretario municipale nella Hispania (la carica più elevata tra i funzionari delle città romane) percepiva 1200 sesterzi all’anno, un littore 600 e un banditore 300. Basta paragonare questi salari ai 350 milioni della casa di Cicerone con il rapporto attuale tra redditi base e grandi fortune per farsi un’idea molto chiara del valore di quelle tenute e di quei capitali milionari.
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MARCO TULLIO CICERONE. BUSTO DI MARMO. MUSEI CAPITOLINI, ROMA.
IN QUESTO MOSAICO DELLA CASA DEI LABERII, A UTICA (NELL’ATTUALE TUNISIA), SONO RAFFIGURATI I LAVORI TIPICI DI UNA VILLA ROMANA RUSTICA: UOMINI CHE ARANO LA TERRA, L’ESTRAZIONE DI ACQUA DA UN POZZO, VARIE SCENE DI CACCIA, LA CATTURA DI PERNICI CON UNA RETE. MUSEO DEL BARDO, TUNISI.
AKG / ALBUM
SHEILA TERRY / AGE FOTOSTOCK
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LA MEMORIA DEL SANTO
SAN FRANCESCO Già a pochi anni dalla sua scomparsa, il messaggio e l’immagine di Francesco sono oggetto di interpretazioni diverse finché Bonaventura da Bagnoregio non ne impone una univoca con la sua Legenda maior JACOPO MORDENTI STORICO E SCRITTORE
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antificato ad appena due anni dalla morte, Francesco fu da subito oggetto di interpretazioni contrastanti, finché Bonaventura da Bagnoregio, insigne teologo presso l’Università parigina e autore di una biografia di Francesco d’Assisi che passerà alla storia come la Legenda maior, non ne impose una univoca. È il 1266, e a Parigi è in corso il Capitolo generale dell’Ordine francescano. Sotto l’energica guida di Bonaventura da Bagnoregio viene diramato un ordine di portata inusitata: tutti i precedenti materiali biografici sul santo fondatore, siano essi biografie compiute o semplici appunti informali, devono essere rintracciati convento per convento e distrutti. In gioco c’è la memoria storica di un uomo straordinario con il quale, a quarant’anni dalla morte, l’ordine non ha mai davvero finito di misurarsi: Francesco, il giullare di Dio.
SAN FRANCESCO D’ASSISI
Noto anche come il “Poverello di Assisi“, fu il fondatore dell’Ordine dei Frati Minori nonché uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana. Jusepe de Ribera, Palazzo Pitti, Firenze. ALINARI / RMN-GRAND PALAIS
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LA BASILICA DEL SANTO
È su mandato di papa Gregorio IX che frate Elia, fra i più stretti compagni del santo, individua il luogo dove erigere la basilica, su di un declivio a nord di Assisi, chiamato il “Colle Infero”.
Nato nei primissimi anni Ottanta del XII secolo in seno a un’agiata famiglia mercantile di Assisi, Francesco aveva compiuto la propria conversione intorno ai venticinque anni. La sua proposta di vita rappresentava qualcosa di radicalmente nuovo: laico, propugnava una povertà assoluta, una predicazione gioiosa del Vangelo, un itinerare fra gli emarginati del secolo. Il successo della sua parola e del suo esempio era stato folgorante, e aveva portato a raccogliersi intorno a lui una comunità di fratelli, di frati, che nel volgere di pochissimi anni era arrivata a contare migliaia di membri. Diramatosi rapidamente in tutta Europa,
ancora vivo Francesco l’ordine aveva tuttavia mostrato di essere percorso al suo interno da non poche fibrillazioni che alla morte del fondatore – già dimissionario dalla guida dei frati nel 1220, stroncato dalla malattia sei anni più tardi – alimentano una lunga, sorda guerra fra i diversi modi di interpretare la vicenda francescana e la“Regola”che questa stessa vicenda informava. Chi era stato, davvero, Francesco? Che valenza attribuire, alla luce del tempo trascorso e della crescita dell’ordine, ai suoi ferrei precetti di vita? Come conciliare il rigore dei primi frati – quegli stessi primi frati che, orbitanti intorno alla chiesa di Santa Maria
C R O N O LO G I A
IL SANTO E LA SUA EREDITÀ 56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Consumato dalla malattia, Francesco si spegne presso la Porziuncola, suo personale “luogo santo”, circondato dai suoi primi frati.
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Contestualmente alla sua canonizzazione, voluta da papa Gregorio IX, Tommaso da Celano redige la sua Vita beati Francisci, che tuttavia non è soddisfacente. MINIATURA TRATTA DALLA LEGENDA MAIOR DI BONAVENTURA. XIV SECOLO.
Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’ordine e autore di quella biografia del santo destinata a imporsi nella storia, in un olio su tela del XVII secolo. Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
Tommaso lavora febbrilmente alla Vita beati Francisci, sia raccogliendo alcune dirette testimonianze dei più stretti compagni di Francesco, sia attingendo agli atti del proces-
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Vengono realizzati i cicli pittorici della Basilica superiore di Assisi: la Legenda maior trova così una declinazione iconografica che la imprime nell’immaginario.
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Il capitolo generale di Parigi impone la Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio quale unica biografia ammessa, disponendo la distruzione di tutti gli altri materiali sino ad allora redatti.
1288-1292
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Alcuni frati, tra i primi compagni del santo, forniscono alla dirigenza dell’ordine nuovi materiali biografici: confluiranno in parte nel Memoriale di Tommaso da Celano.
Quale Francesco?
L’AUTORE DELLA LEGENDA MAIOR
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che stemperi, sintetizzandole, le divergenze che vanno montando all’interno dell’ordine. Gregorio IX assegna il compito di raccontare Francesco, di raccontarlo in tempo utile alla sua proclamazione a santo, a Tommaso da Celano: un francescano accolto nell’ordine nel 1215 per essere poi trapiantato in Germania, avulso dalle polemiche fra i diversi orientamenti dei frati.
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della Porziuncola, non avevano mai smesso di vivere la condizione di minorità sancita da Francesco – con le prospettive di crescita culturale e di serenità materiale coltivate da intere nuove schiere di francescani radicate nel Nord Italia, e poi più ancora nel Nord Europa? È nell’ambito del processo di canonizzazione che, per la prima volta, mettere a fuoco Francesco diviene un’esigenza ineludibile. A promuovere la sua santità – a promuoverla fin troppo tempestivamente, secondo alcuni osservatori – è papa Gregorio IX: è questi, istruito il processo di canonizzazione già all’indomani della morte del frate, a valutare come urgente un’agiografia
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AGLI ALBORI DELLA LETTERATURA
IL CANTICO DI FRATE SOLE
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all’indomani del controverso soggiorno alla Verna nel 1224 che Francesco, già gravemente malato, compone il Cantico di Frate Sole, più noto come Cantico delle creature. Capace, giacché in volgare, di raggiungere un vasto pubblico, contrariamente a quanto a lungo proposto dalla vulgata francescana il Cantico non è un componimento istintivo e ingenuo: è al contrario complesso sia per contenuto sia per forma. Se concettualmente si oppone alla dominante visione di un mondo da disprezzare, per propugnare al contrario l’idea di un creato emanazione diretta dell’amore di Dio, da un punto di vista linguistico il componimento adotta strategie tecnico-stilistiche di una certa raffinatezza: si pensi in questo senso all’impiego della paratassi – che aiuta a scandire un ritmo didattico-morale – nonché
dell’anafora, dell’allitterazione, della paronomasia, della rima per contatto. Sul piano contenutistico va notato come l’enumerazione consequenziale delle componenti ontologiche del cosmo, così come i riferimenti scritturistici, siano indice di una buona cultura: non è forse un caso che, ripetutamente citato nei materiali a opera dei primi compagni del santo, il Cantico venga obliterato dalla Legenda maior di Bonaventura.
DEA / SCALA, FIRENZE
IL CANTICO DELLE CREATURE
Il testo, che Francesco scrisse pochi anni prima di morire, è una lode a Dio intrisa di una visione positiva della natura, intesa come riflesso divino, che diventa quindi lode alla vita stessa.
so di canonizzazione; al contempo modella la propria opera sulla falsariga delle agiografie dei grandi santi, avendo in mente il registro con il quale in passato era stata tratteggiata la vicenda di Agostino, di Martino di Tours ecc. La Vita è ultimata qualche mese più tardi rispetto a quel 16 luglio 1228 in cui viene celebrata la canonizzazione di Francesco, oppure – più probabilmente – a una prima parte del testo Tommaso aggiunge solo in un secondo momento una seconda e una terza parte, brevissime: a ogni modo la sua opera si rivela nel complesso una delusione. Stilisticamente appesantito dai modelli letterari di riferimento, il Francesco di Tommaso è narrativamente poco
Nella Vita beati Francisci, il santo sembra vivere un’esperienza mancante dell’autenticità dei primi anni
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efficace, quando non problematico: non produce in vita quella pletora di miracoli“classici”, inerenti magari l’ambito delle guarigioni, che aiuterebbe Gregorio IX a tacitare quanti guardano con scetticismo a una canonizzazione fulminea; non prescinde – non del tutto, almeno – da una certa amarezza indotta dalle ripetute richieste di mitigare la Regola avanzate da una sempre più nutrita frangia di frati, quella stessa frangia che è parte in causa nelle attuali fibrillazioni dell’ordine; soprattutto, irrompe sulla scena già pienamente adulto, come privo di un retroterra, vivendo un’esperienza sì intensa e tuttavia mancante dell’autenticità dei primi, felici anni della comunità francescana. Eppure un altro Francesco è possibile: lo mettono nero su bianco alcuni dei primi compagni del santo – Leone, Rufino, Angelo Tancredi – quando l’11 agosto 1246 indirizzano al ministro generale dell’ordine, Crescenzio da Iesi, la cosiddetta Lettera di Greccio. La lettera accompagna dei materiali biografici sul santo che, a detta degli autori, risulteranno utili a recuperare il Francesco più vero, quello che alcuni
LA RINUNCIA AI BENI SCENA TRATTA DALLE STORIE DI SAN FRANCESCO, AFFRESCO, BENOZZO GOZZOLI, MUSEO DI SAN FRANCESCO, MONTEFALCO.
SCALA, FIRENZE
opportuno notare come «quelle poche cose» – espresse nei materiali al seguito della lettera: la Leggenda dei tre compagni, senz’altro, così come probabilmente un secondo scritto confluito successivamente nella Compilazione di Assisi – non rispondano soltanto all’autonoma volontà dei primi frati di preservare l’autentica memoria storica di Francesco, ma anche alla necessità, esplicitamente avvertita dai vertici dell’ordine, di commissionare una seconda biografia del fondatore che possa riuscire là dove la prima ha fallito: nella sintesi conciliante – e una volta di più documentata – fra le diverse anime francescane.
SAN FRANCESCO E SANT’ANTONIO
Dal loro confronto emerge la distinzione tra l’inimitabile vertigine di Francesco e la pratica, imitabile, di Antonio. Simone Martini, affresco, Basilica di Assisi.
L’evoluzione dell’ordine È nuovamente Tommaso da Celano a essere incaricato del compito. Abbandonate le velleità letterarie della Vita beati Francisci, alle prese con la compilazione del Memoriale Tommaso non si fa illusioni sulla riuscita dei suoi sforzi: «Chi, fra così
SCALA, FIRENZE
di loro hanno conosciuto fin da ragazzo prima, e con il quale hanno vissuto fianco a fianco poi: il giovane brillante e carismatico, affascinato dalla letteratura cortese, che sogna di diventare cavaliere; il rampollo di buona famiglia che vive una lunga, sofferta crisi spirituale, che risolve in un messaggio nuovo trascinando con sé un’intera generazione; il giullare di Dio che ammalia l’uditorio con la propria predicazione gioiosa, e che al contempo non transige – né transigerà mai – sulla professione di una povertà assoluta, sulla necessità del lavoro manuale, sull’inopportunità dello studio giacché è anche attraverso di esso che si rischia di coltivare quell’orgoglio che è nemico della tanto agognata minorità. «Quelle poche cose che qui riportiamo» – si legge nella lettera – «le potete fare inserire, se vi sembrerà opportuno, nelle leggende già scritte, perché riteniamo che quei venerabili uomini che scrissero tali leggende, se avessero conosciuto prima queste cose, certamente non le avrebbero omesse, ma le avrebbero semmai impreziosite con il loro eloquio e trasmesse ai posteri»: è
SCALA, FIRENZE
IL SANTO E LA PORZIUNCOLA All’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli, ad Assisi, si trova la Porziuncola, un piccolo edificio che fu assai caro a Francesco, giacché rappresentò il fulcro della prima comunità di frati, fungendo da luogo di preghiera e di lavoro. Fu qui che Francesco decise di fondare l’Ordine dei Frati Minori.
APPROVAZIONE DELLA REGOLA
SCALA, FIRENZE
Fu papa Onorio III a convalidare il documento che Francesco redasse nel 1223 al posto della precedente Regola, ritenuta da una parte dell’ordine insostenibile per severità e radicalità.
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tante parole e fatti, potrebbe soppesare ogni cosa con una bilancia di tale precisione che tutti si trovino d’accordo su ogni singolo punto?». Non è un caso che l’agiografo si trovi a rimaneggiare la propria opera ancora nei primi anni Cinquanta del Duecento: il succedersi delle redazioni del Memoriale lascia intuire quanto sia arduo tenere insieme i materiali raccolti, le diverse anime francescane e gli indirizzi politici via via sviluppati dall’ordine. È da questo equilibrio precario che muovono le differenze fra le due biografie di Tommaso, il quale si vedrà infine costretto a indicare il più grande miracolo francescano non già nella figura del fondatore, ma nel successo storico dell’ordine tutto, diffusosi ovunque e forte di non poche personalità eccezionali quali per esempio Sant’Antonio di Padova. Dalla morte di Francesco sono passati quasi trent’anni: le diver-
genze all’interno dell’ordine si sono acuite, perché ad acuirsi è stata la distanza che separa quanti continuano a propugnare l’osservanza letterale dei precetti del santo, da una parte, e dall’altra quanti al contrario propendono per adattare questa stessa osservanza alle circostanze nel frattempo evolutesi. Non c’è, nei primi, alcuna ingenuità d’animo o semplicità intellettuale: c’è invece un profondo legame sentimentale con la memoria di Francesco, che va di pari passo con la consapevole, argomentata scelta di non derogare a quei principi che hanno rappresentato la scintilla originaria dell’ordine. Al contempo, nei secondi, non c’è – non ancora, almeno – la volontà di distorcere il passato francescano, quanto piuttosto l’urgenza di attualizzarne lo spirito prendendo atto di ciò che nel frattempo è diventato l’ordine. Come potenziare la predicazione senza un’adeguata preparazione teologica? E come intraprendere un’adeguata preparazione teologica senza poter possedere alcunché, siano anche i libri per lo studio? E come potere applicarsi nello studio – vero e
Una chiesa nella chiesa
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SAN FRANCESCO NELL’ATTO DI PROMULGARE L’INDULGENZA, AFFRESCO, ILARIO DA VITERBO, LA PORZIUNCOLA, ASSISI.
ungi dal presentarsi con l’imponenza e la sfarzosità della più nota Basilica di San Francesco, nella sua modestia la Porziuncola forse meglio rappresenta la semplicità della regola francescana. Si tratta di una piccola struttura di appena quattro metri per sette, costituita da un’unica aula con abside chiusa da una pala d’altare risalente al 1393 e che, inglobata in età moderna nella Basilica, ai tempi del santo si trovava invece tra i boschi. L’edificio ancora presenta l’originale struttura trecentesca con il suo pavimento in cocciopesto. Divenuto famoso in tutto il mondo soprattutto per il Perdono d’Assisi, l’indulgenza plenaria che i fedeli possono ottenere dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del 2 agosto di ogni anno, è meta di numerosi pellegrini e rappresenta un luogo particolarmente importante per il francescanesimo.
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proprio lavoro, ancorché intellettuale – senza poter prescindere dal sostentamento conseguito per mezzo del lavoro manuale? Ecco allora venire nei fatti relativizzata quella precarietà che, in evidente controtendenza con il sentire del suo tempo, aveva rappresentato per Francesco il massimo grado della libertà; ecco allora lo stimolo delle nuove generazioni di frati ad acculturarsi ad alti livelli fino a prendere parte ai meccanismi decisionali del mondo: fino a legarsi a doppio filo, magari, con quella Chiesa di Roma che Francesco aveva sì sempre rispettato, ma alle cui maglie aveva sempre cercato di sottrarsi. Il caso dell’Università di Parigi, che i frati frequentano prima in veste di studenti e poi in veste di docenti di teologia, pur nella sua complessità è in questo senso illuminante.
La Legenda maior di Bonaventura La battaglia raggiunge uno dei suoi primi e massimi apici negli anni del generalato di Bonaventura da Bagnoregio. Nato intorno al 1217, questi aveva conseguito alla Sorbona il diploma di magister in artibus: vestito il saio,
aveva proseguito gli studi fino ad assurgere fra i protagonisti dell’insegnamento teologico parigino. Quando viene eletto al vertice dell’ordine, nel 1257, i francescani stanno vivendo un frangente quanto mai delicato: le recenti, ardite speculazioni teologiche di alcuni frati avevano esposto l’ordine alla critica serrata dei suoi detrattori, particolarmente animati proprio là dove l’ordine aveva messo radici, ovvero l’Università di Parigi. Bersagliati, i francescani avevano avviato un’epurazione interna al fine di fugare ogni dubbio sulla loro piena ortodossia: è allora nell’ottica di una rinnovata compattezza che Bonaventura propende per affrontare una volta per tutte il nodo dell’identità fran-
Le divergenze si acuiscono tra chi propugna l’osservanza letterale dei precetti e chi propende per adattarli
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UN TESTAMENTO TRAVISATO
UN NUOVO ORDINE: QUALE REGOLA?
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l testo della prima Regola, approvata solo verbalmente da papa Innocenzo III nel 1208, è andato perduto. Quella indicata normalmente quale prima Regola dell’ordine è dunque in realtà la seconda: messa per iscritto da Francesco nel 1221, viene avversata da una frangia di frati che ne denuncia l’insostenibile radicalità in fatto di povertà e lavoro; priva del sigillo pontificio di convalida, tale Regola viene definita non bollata. Francesco la rimaneggia più volte, inutilmente: è solo due anni più tardi che si giunge a una nuova Regola, la terza, finalmente bollata da papa Onorio III; si tratta di un testo formalmente e sostanzialmente compromissorio, nel quale le ferree prescrizioni del passato divengono blande raccomandazioni. Amaramente consapevole dello slittamento occorso, poco prima di morire Francesco
redige un primo, poi un secondo testamento dove intima ai frati di applicare la Regola alla lettera, senza interpretazioni: si tratta di un’estrema presa di posizione che tuttavia si rivela inutile, giacché già nel 1230 papa Gregorio IX dichiarerà non vincolanti le ultime volontà del santo. Cinquant’anni più tardi papa Nicola III si spingerà oltre, intendendo esplicitamente la Regola di Francesco come un prodotto storico superato.
BRIDGEMAN / ACI
IL FRATE E IL PONTEFICE
Francesco nell’atto di presentare a Innocenzo III la Regola dell’ordine che il papa approverà solo verbalmente. Niccolò Ricciolini, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma.
cescana, conciliando energicamente il passato dell’ordine con il suo presente. Il primo passo del generale è quello di riordinare la letteratura legislativa francescana: nel corso del capitolo di Narbona del 1260 presenta quelle Costituzioni generali che rivedono le Costituzioni in essere, eliminando con ciò le divergenze interpretative in merito alla Regola. È probabilmente ancora a Narbona, inoltre, che Bonaventura presenta il progetto di una nuova biografia di Francesco che possa finalmente dotare l’ordine di una memoria condivisa: se ne fa carico personalmente, avviando la redazione di quella Legenda maior che si può ipotizzare verrà approvata già tre anni più tardi durante il capitolo di Pisa.
Il Francesco di Bonaventura è un inviato di Dio che non può essere imitato, giacché inimitabile
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Destinato a imporsi nell’immaginario collettivo, il Francesco di Bonaventura è lontano da quello di Tommaso da Celano, lontanissimo da quello dei primi compagni del santo: non più un arduo ma pur sempre praticabile modello di vita religiosa, ma un inviato di Dio che può e che deve essere venerato, certo, ma non imitato giacché inimitabile. Simplex et idiota – come lo stesso Francesco si era definito, benché in un’accezione provocatoria che Bonaventura finge di non cogliere – il santo della Legenda maior è un mistico inarrivabile: si immerge in acqua ghiacciata, dorme sulla nuda roccia, non prova disgusto per i segni della lebbra, si flagella, mangia solo pane secco, vive in comunione profonda con il regno animale. La cornice in cui si muove è priva di conflitto; la sua decisionalità, mai minata dal dubbio, è indefessamente subordinata alla visione o al segno profetico, non fosse altro perché – ingenuo e sprovveduto – è solo per ispirazione divina che può afferrare il mondo e la Scrittura. Segnato dalle stimmate – un miracolo di portata straordinaria che, pure già narrato nei precedenti mate-
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riali biografici, Bonaventura porta al massimo grado – il Francesco della Legenda maior è a conti fatti un inequivocabile manifesto politico sotto le mentite spoglie di una figura escatologica: nell’anticipare inarrivabilmente quella vita in comune che si realizzerà solo negli ultimi tempi, lascia ai frati il compito di prepararsi a essi in modi nuovi che prescindono dalla sua ipotetica approvazione. Non certo, va da sé, da quella del ministro generale dell’ordine.
La penombra della clandestinità L’epurazione promossa da Bonaventura si risolve in un successo di ampie proporzioni: eliminati dalla scena i materiali che potrebbero disturbarne la prospettiva, è la sua Legenda maior a imporsi storicamente quale biografia di riferimento di san Francesco. E tuttavia, pure nella penombra della clandestinità, non tutto del Francesco altro va davvero perduto, giacché si può dedurre come frate Leone disobbedisca al comando del suo generale e, prima di imboccare definitivamente la via del romitaggio, riesca a mettere in salvo i materiali biografici da
lui raccolti nel tempo: riportati alla Porziuncola all’indomani della morte di Bonaventura nel 1274, tali materiali devono essersi prestati a essere sistemati, copiati e tramandati nel tempo. Sarà sullo scorcio dell’Ottocento che il pastore calvinista Paul Sabatier, da lungo tempo sulle tracce di fonti alternative alla Legenda maior, rinverrà fra i codici della Biblioteca Mazarine di Parigi lo Specchio dello stato di perfezione dei frati minori, opera di un anonimo compilatore che, attivo alla Porziuncola intorno al 1318, aveva avuto accesso ai materiali leonini. Sarà con tale, felice scoperta che prenderà il via un’operazione di recupero dell’autentica memoria storica di Francesco: un’operazione di lungo periodo, alimentata nel tempo da nuovi rinvenimenti, di fatto ancora in corso.
Per saperne di più
SANTUARIO DELLA VERNA
Nell’aretino, inserito nel parco delle Foreste Casentinesi e arroccato sul monte Penna, è noto soprattutto per essere il luogo in cui Francesco avrebbe ricevuto le stigmate.
SAGGI
Francesco d’Assisi. La storia negata Chiara Mercuri. Laterza, 2016. Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi Chiara Frugoni. Einaudi, 2015.
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LA BASILICA DEL SANTO AD ASSISI l progetto della doppia Basilica di Assisi prende il via quando il processo di canonizzazione di Francesco è ancora in corso. Nel 1230 la Basilica inferiore, destinata ai pellegrini, risulta ultimata almeno nelle sue strutture essenziali: la traslazione in essa del corpo di Francesco si concretizza il 25 maggio. Le pareti della Basilica superiore, destinata alla liturgia dell’ordine, verranno decorate più tardi: pure realizzati da botteghe diverse, in tempi diversi e con tecniche diverse, i cicli iconografici si direbbero rispondere a una concezione unitaria profondamente affine alla narrazione della Legenda maior. Di particolare interesse i tre affreschi sotto presentati. BASILICA INFERIORE DI SAN FRANCESCO D’ASSISI, DALL’INTERNO SI ACCEDE ALLA CRIPTA CHE CONSERVA LE SPOGLIE DI FRANCESCO ALAMY / ACI
1 Il sogno del Laterano cadente Forse opera di Giotto, l’affresco si trova nella Basilica superiore (parete nord, seconda campata) e venne dipinto tra il 1295 e il 1299: l’episodio, ricorrente nell’iconografia francescana, è in realtà probabilmente mutuato da un precedente riferito a san Domenico, eclissato in breve dal successo della vulgata francescana. SCALA, FIRENZE
2 L’Angelo del sesto sigillo
e i quattro venti
Opera di Cimabue, ad Assisi per decorare la Basilica superiore, l’affresco si trova nel transetto sud, parete sud: sulla scorta dell’escatologismo di Gioacchino da Fiore, il pensiero francescano propone l’assimilazione fra l’angelo, protagonista dell’Apocalisse, e Francesco. SCALA, FIRENZE
3 Francesco riceve le stimmate Si trova nella parete sud, quinta campata: il controverso miracolo verificatosi presso l’eremo della Verna, nel 1224, nella traduzione iconografica della Legenda maior operata da Giotto è folgorante: è il Serafino/Cristo crocifisso, collegato a Francesco attraverso i raggi di luce, a ferire quest’ultimo con i segni della Passione. SCALA, FIRENZE
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trovatori i poeti dell'amore e della guerra Tra l'XI e il XII secolo nelle corti nobiliari del Sud della Francia fiorì una cultura nuova e raffinata, nella quale poeti nobili e plebei cantavano le dame e le battaglie JOSÉ ENRIQUE RUIZ-DOMÈNEC ORDINARIO DI STORIA MEDIEVALE DELL'UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA
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resto vedremo campi cosparsi di pezzi / d’elmi, di scudi, di spade e d’arcioni / e busti spaccati fino alla cintura; / e vedremo destrieri andar vagando, / e tante lance conficcate nei fianchi e nei petti, / e gioia e pianto e dolore ed esultanza». In questo modo gioioso celebrava la guerra l’audace Bertran de Born, il trovatore che meglio di tutti cantò le armi. Lo faceva, come il resto dei suoi compagni di lettere, nella lingua volgare che essi stessi chiamarono romans e che successivamente fu conosciuta come proensal, vale a dire, provenzale. Ecco come suonavano i versi sopracitati nella lingua di Bertran: «Veirem champs jonchatz de quartiers / d’elms e d’escutz e de brans e d’arzos / e de fendutz per bustz tro als braiers; / et arratge veirem anar destriers / e per costatz e per pechs mainta lanza / e gauch e plor e dol e alegranza».
CARCASSONNE, SIMBOLO D'OCCITANIA
Alla crociata contro i catari del sud della Francia seguì il declino dei trovatori, perché la nobiltà occitana che, come i Trencavel, visconti della città, proteggeva gli uni e gli altri, fu sconfitta. DAVID CLAPP / AGE FOTOSTOCK
IL TRIONFO DELL'AMORE
Valva di specchio con la corte dell'amore. Il fin'amor dei trovatori divenne una moda che si rifletteva in fini sculture d'avorio. XIII secolo. Museo del Louvre, Parigi. ERICH LESSING / ALBUM
INFLUSSO ANDALUSO
Musici sulla pisside di alMughira, figlio di Abd al-Rahman III. Il contatto con al-Andalus fu decisivo nella comparsa dei trovatori. X secolo. Louvre. CASTELLO DI PUIVERT
Oggi questa lingua viene chiamata occitano, che è un modo di riconoscere che si tratta della lingua d’oc (i cui dialetti sono parlati ancora oggi nella Francia meridionale) contrapposta al francese, la lingua d’oil. I trovatori furono i primi scrittori europei a dare dignità a una lingua volgare: dopo la poesia classica in latino, furono loro a sviluppare la prima lirica colta e in lingua moderna.
Poesie latine e canzoni arabe A differenza dei giullari, che si limitavano a cantare o recitare poemi, i trovatori erano esperti nell’arte di trobar, letteralmente “trovare”, cioè comporre versi in musica. Si sono conservate 2542 composizioni appartenenti
a trecentocinquanta poeti che scrissero nei secoli XII e XIII. Sorprendentemente, la poesia trobadorica nacque verso il 1100 con tutta la sua perfezione metrica, senza alcuna testimonianza di tentativi precedenti. La sua nascita è legata alla lirica latina delle scuole poetiche di Turenna, che disquisiva di bellezza femminile con grandi autori come Matteo di Vendôme, ma anche alla poesia araba della Penisola Iberica. A questo proposito fu fondamentale l'effetto che ebbero le schiave cantanti andaluse, le qiyân, sui nobili della Francia meridionale che presero parte alla crociata di Barbastro nel 1064. Le qiyân intonavano canzoni accompagnate da un liuto e, secondo lo storico arabo Ibn Hayyan, i loro cantici
1071-1126 VITA di Guglielmo IX
LA PENNA E LA SPADA
68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
d'Aquitania, considerato il primo trovatore, la cui attività ha un'importanza decisiva nello sviluppo della lirica trobadorica.
XII SECOLO CON ELEONORA d'Aquitania, nipote del primo trovatore e moglie di Luigi VII di Francia ed Enrico II d'Inghilterra, si diffondono in questi Paesi temi e usi dell'amore cortese.
MANUEL COHEN / AURIMAGES
ORONOZ / ALBUM
I musici scolpiti in una sala della torre centrale evocano una famosa riunione di trovatori cantata da Peire d'Alvernha e che forse ebbe luogo proprio qui.
1209-1244 LA CROCIATA ALBIGESE
contro i catari piega la nobiltà occitana indipendente e pone fine al suo mecenatismo a favore dei trovatori, che si spostano nelle corti spagnole.
XIV SECOLO L'INFLUENZA dei trovatori si
traduce nella nascita del dolce stil novo in Italia, che attraverso i sonetti di Petrarca influenzerĂ l'opera di Villon, Garcilaso e Shakespeare.
TROBAIRITZ, I TROVATORI DONNE
DONNA CASTELLOZA
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NEL MONDO DEI TROVATORI spicca la presenza di diciassette donne poeta conosciute come trobairitz, "trovatrici". Della maggior parte conosciamo soltanto il nome e l'opera, ma di cinque di esse sappiamo anche la condizione sociale, il luogo di nascita e in qualche caso anche la famiglia cui appartengono: la contessa de Dia, Azalaïs de Porcairagues, Castelloza, Tibors e Lombarda. Sono notizie scarne, poco precise, e secondo alcuni ricercatori, in realtà, a firmare con questi nomi erano uomini. Oggi i migliori specialisti tendono a pensare che fossero donne di grande talento, in grado di competere con i trovatori più famosi. Eccezionale fu il caso di Gormonda de Montpellier che, con un sirventes, rispose alle critiche di un altro trovatore, Guillem Figueira, alla Chiesa cattolica. Per la sua difesa dell'ortodossia di Roma e i suoi attacchi agli eretici catari la sua poesia fu la prima con contenuto politico scritta da una donna nel Medioevo.
La trobairitz è raffigurata nel capolettera di un manoscritto del XIII secolo. Secondo la sua Vida, era sposata a Turc de Mairona ed ebbe come amante Arman de Breon.
valevano tutto l'oro del mondo. Al ritorno in patria, i nobili portarono con loro il ricordo di quelle melodie e una generazione dopo i loro discendenti cominciarono a comporre canzoni trobadoriche.
Al servizio di una dama
LOREM UPSUM
L'essenza della cultura dei trovatori è il culto della dama, la moglie del signore feudale, che appare sempre circondata da cavalieri senza terra, soldati di fortuna, vassalli. Davanti a loro si mostrava come una donna distante, raffinata e inavvicinabile, che tuttavia amava molto ascoltare le canzoni trobadoriche. Diciamo "ascoltare" perché quella poesia si recitava o si cantava, non si leggeva, e questo spiega l'importanza che in essa hanno le parole con un doppio senso. Quanto più piccante era una can-
zone, maggiore era l'interesse che suscitava tra i membri della cerchia sociale al cui centro si trovava la dama, attenti ai gesti del marito, al quale la poesia riservava il ruolo ridicolo del geloso, il gilos. Ciò provocava situazioni piuttosto tese per via dei calunniatori, che parlavano malissimo delle dame che davano mostra di un'attenzione particolare verso i trovatori. Irto, dunque, di ostacoli per il suo coronamento, il fin’amor o amor cortese espresso in quelle canzoni era un mezzo per elevarsi tanto dal punto di vista spirituale quanto da quello sociale: quanto a onore, la dama era sempre in posizione più elevata rispetto al suo amante. Il fin’amor era aristocratico e riservato all'élite che frequentava le corti. Il servizio alla dama seguiva gli stessi passi e lo stesso modello del servizio del vassallo al signore feudale, e per questo motivo i trovatori si presentano come vassalli di una dama alla quale giurano fedeltà eterna.
La moglie del signore feudale era al centro della cultura trobadorica MUSICI NELLE CANTIGAS DE SANTA MARÍA, DI ALFONSO X. XIII SECOLO. ORONOZ / ALBUM
PRISMA / ALBUM
AKG / ALBUM
SOLO QUATTRO CANZONI D'AMORE I CANZONIERI attribuiscono quattro componi-
menti a una trobairitz che chiamano semplicemente La comtessa de Dia, la cui biografia, raccolta nelle Vidas dei trovatori, occupa tre righe. Lì si dice che, mentre era sposata al conte Guglielmo I di Poitiers, si innamorò del trovatore Raimbaut d’Aurenga e per questo compose le sue canzoni. Un dato che pare confermarlo è che l'inizio del suo componimento Estat ai en greu cossirier (a destra) è praticamente uguale a quello della poesia Amics, en gran cossirier, di Raimbaut. Quest'ultima si apre con i rimproveri indirizzati al poeta da una dama innamorata: «Amico, in grande tormento / e in grave pena sono per voi; / e del male che patisco / credo non vi dispiaccia affatto, / perché come potete dirvi innamorato se lasciate a me tutto il dolore?».
Son caduta in un grave tormento (ESTAT AI EN GREU COSSIRIER)
Son caduta in un grave tormento / per un cavaliere che ho avuto, / e voglio che per sempre si sappia / che l’ho amato fino alla follia; / ora mi accorgo che vengo tradita / perché non gli concessi il mio amore: / è per questo che provo gran pena / nel letto e quando son vestita. e Vorrei stringere nudo, una sera, / il mio cavaliere tra le mie braccia, / e che lui si sentisse felice / solo ch’io gli facessi da cuscino, / perch’è lui che mi piace più di quanto / non sia piaciuto Florio a Biancofiore: / io gli concedo il mio cuore e il mio amore, / il mio senno, i miei occhi e la mia vita. e Bell’amico, gentile e valoroso, / quando vi avrò in mio potere? / Solo una sera insieme a voi giacere / per farvi dono d’un bacio d’amore! / Sappiate, avrei grande desiderio / di possedervi al posto del marito, /a condizione che mi promettiate / di fare solamente ciò che dico.
TROVATORE GERMANICO (MINNESÄNGER) CON LA SUA AMATA. MINIATURA DEL CODEX MANESSE, REALIZZATA PROBABILMENTE DA JOHANNES HADLAUB. 1300 CIRCA. BIBLIOTECA UNIVERSITARIA, HEIDELBERG.
I CATARI E I TROVATORI POICHÉ TROVATORI E CATARI appartenevano alla stessa zona geografica,
LA FINE DEL CATARISMO
ORONOZ / ALBUM
il sud della Francia, e alla stessa epoca, i secoli XII e XIII, studiosi del catarismo come René Nelli si chiesero se vi fossero legami tra i temi poetici degli uni e le dottrine degli altri. Si offrirono così letture esoteriche e politico-religiose di molte poesie, e si esaltò la coincidenza del declino della poesia trobadorica con la crociata francese contro gli albigesi o catari, quando alla battaglia di Muret (1213) fecero seguito l'occupazione del Paese da parte delle truppe di Luigi IX di Francia e la repressione dell'Inquisizione. Di recente si è sottolineato che la purezza del Paese occitano che trovò espressione nella religione catara era un prodotto dei trovatori. Da qui l'analogia tra questi e l'opposizione alla cultura ufficiale cattolica, definita nell'espressione AMOR opposta a ROMA (che è «amor» letto al contrario, da destra a sinistra).
Con la vittoria dei crociati a Muret, il catarismo perse i suoi appoggi militari. Miniatura che raffigura la battaglia di Muret nelle Grandi cronache di Francia, del XIV secolo.
ORONOZ / ALBUM
essere quasi un sinonimo di "amare", e con questo significato continuò a essere utilizzato nel corso del XVII secolo, come fece Lope de Vega nelle sue commedie.
Il primo trovatore La maggior parte dei trovatori è stata identificata grazie alle Vidas del XIII secolo in cui compaiono nome, luogo di nascita e opere, ma anche alcuni tratti di carattere leggendario, poco realistici. Il primo è Guilhèm de Peitieus, il duca Guglielmo IX d'Aquitania: un signore feudale con un gran patrimonio, rispettato e temuto, che rifiutò l'invito di papa Urbano II alla prima crociata, anche se poi partì per la Terrasanta quando lo ritenne opportuno; che aiutò Alfonso il Battagliero, re d'Aragona, contro gli almoravidi e partecipò alla battaglia di Cutanda, fondamentale per la conquista della valle dell'Ebro. In una canzone si serve di un "gatto rosso" per burlarsi dell'ipocrisia sociale:
Il trovatore serve la sua dama con la stessa fedeltà del vassallo verso il signore DUE AMANTI. SCULTURA FRANCESE IN AVORIO. XIV SEC. GALLERIA NAZIONALE DELL'UMBRIA, PERUGIA. AKG / ALBUM
BRIDGEMAN / ACI
Tale circostanza dava alla poesia trobadorica una ricchezza di sfumature che oggi difficilmente possiamo apprezzare, come nel caso di questi versi di Guillem de Berguedà alla sua dama: «Là io andrò, se vi piace, o no [se non vi piace], / perché in me non v'è diritto né ragione / ma sono come un servo (che Dio mi perdoni!), / poiché misi le mie mani nelle vostre / e mai mi astenni dal servirvi». Per noi questa è semplicemente una canzone d'amore, ma all'epoca chi la ascoltava poteva riconoscere, per esempio, un riferimento alla immixtio manum, la parte fondamentale della cerimonia di omaggio nella quale il servus, il vassallo, metteva le proprie mani tra quelle del signore. E il termine "servire" proviene dal latino servire, che significava compiere i servizi di vassallaggio. Nell'uso dei trovatori, "servire" passò a
LE ORIGINI DEL ROMANZO NEL XIX SECOLO, il filologo e medievalista Gaston
Paris tradusse in francese come amour courtois ("amor cortese") il fin'amor dei trovatori occitani, l'"amore puro" o "amore perfetto". Il fin'amor era un nuovo tipo di relazione amorosa, che rispecchiava l'essenza della società feudale: l'amante si dichiarava vassallo di quella che considerava la sua signora, una dama sempre sposata. Alla fine del XII secolo, questo nuovo tipo d'amore fu codificato dallo scrittore Chrétien de Troyes nei suoi romanzi del ciclo arturiano, dove il cavaliere Lancillotto si
innamora di Ginevra, moglie di re Artù. Nacque così il roman courtois, il romanzo cavalleresco che è all'origine del romanzo occidentale, nel quale l'eroe vive avventure che mettono alla prova il suo valore, e amori che fanno vacillare il suo senso della fedeltà e la sua rettitudine. Questa immagine letteraria, forgiata nei secoli XII e XIII, era espressione di una nuova sensibilità nelle relazioni tra uomo e donna, più libere rispetto ai secoli precedenti. BUONA FORTUNA! COSÌ EDMUND LEIGHTON INTITOLÒ IL DIPINTO CON L'ADDIO DI UNA DAMA AL CAVALIERE CHE PARTE PER LA GUERRA. 1900.
LA CORTE DEI TROVATORI
ELEONORA D'AQUITANIA
FU ELEONORA, DUCHESSA D'AQUITANIA, a fare dell'amor cortese un feno-
meno europeo. Nipote di Guglielmo IX d'Aquitania, il primo trovatore, e cresciuta in un ambiente di raffinata cultura in cui regnavano le norme del fin'amors trobadorico, si sposò con Luigi VII di Francia (1137) e con Enrico II d'Inghilterra (1152), nelle cui corti introdusse gli usi cortesi del sud della Francia. La sua azione elevò il provenzale al rango di lingua della cultura europea e suscitò in Occidente la comparsa di poeti emuli dei trovatori. Anche suo figlio Riccardo Cuor di Leone, re d'Inghilterra, fu trovatore. Quando fu trattenuto come prigioniero in Austria, mentre attendeva che si riunisse la cifra astronomica del suo riscatto, scrisse questi versi in provenzale: «Ho molti amici, ma poveri sono i loro doni. / Saranno biasimati, se per non darmi riscatto, / Son già due inverni che sono qui prigioniero».
La tomba di Eleonora, regina dell'amor cortese, si trova nell'abbazia di Fontevrault, dove riposano anche suo marito Enrico II e suo figlio Riccardo. IL CASTELL O DI BERTRAN
Il castello di Hautefort appartenne al famoso trovatore Bertran de Born; nel XVII secolo fu ristrutturato e divenne una sontuosa residenza.
due dame lo spogliano e obbligano un grosso gatto a graffiarlo per assicurarsi che sia muto – perché non si lamenta – e quindi giacere con lui senza paura che racconti la sua avventura. In un'altra composizione si interroga sul limite della creazione lirica facendo «un verso sul puro nulla». Per la perfezione della sua opera e la sua risonanza sociale Guglielmo fu l'alfiere di questo movimento poetico.
Guerrieri e amanti Jaufré Rudel, principe di Blaia, è il trovatore dell'amor de lohn, l'amore lontano, verso una dama che non aveva mai visto e che viveva in Terrasanta, ma della quale si innamorò solo per aver sentito parlare di lei. «Le nostre terre sono troppo lontane», si duole, «vi sono molti valichi e strade». Il giullare Marcabru inizia la sua attività poetica alla corte d'Aquitania ma si trasferirà poi alla corte di Alfonso VII di Castiglia. Dallo stile oscuro, è considerato un grande moralista della causa cattolica. Bernart de Ventadorn, la cui opera poetica si colloca tra il 1164 e il 1194, fu considerato il miglior trovatore. Di umile estrazione, apprese l'arte di trobar dal conte Ebolo II, marito di Agnes de Montluçon, una delle dame per cui cantò la sua poesia. Per questo motivo fu esi74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
liato e si rifugiò in Normandia, dove amò addirittura Eleonora d'Aquitania, moglie di Enrico II d'Inghilterra. In fuga da quest'ultimo, giunse alla corte di Raimondo V di Tolosa, ma la moglie di questi, Ermengauda, si innamorò di lui e fu costretto a cercare rifugio nell'abbazia di Dalon, dove morì. Una vita tanto intensa lasciò una ricca produzione di canzoni d'amore: «Più non ebbi il dominio di me stesso, / più non m’appartenni da allora, / quando negli occhi suoi lasciò specchiarmi, / in quello specchio che tanto mi piace!». Bertran de Born è invece il trovatore della guerra grazie a poemi come questo, nel quale esorta Riccardo Cuor di Leone a entrare in battaglia contro i baroni francesi insorti: «Ed altresì mi piace quando vedo / che il signore è il primo all’assalto, / a cavallo, armato, senza tema, / che ai suoi infonde ardire / così, con gagliardo valore; / e poi ch’è ingaggiata la mischia / ciascuno dev’essere pronto / volonteroso a seguirlo». Per saperne di più
SAGGI
I trovatori Costanzo Di Girolamo. Bollati Boringhieri, Torino, 1989. Donne nello specchio del Medioevo Georges Duby. Laterza, Roma-Bari, 1995.
TIM MANNAKEE / FOTOTECA 9X12
ERICH LESSING / ALBUM
Dell'opera di Guilhèm, conte di Poitiers e duca d'Aquitania, si conservano solo undici poesie nelle quali affiorano temi che vanno dalle note oscene al più tenero amore, al pentimento davanti alla morte, che possiamo apprezzare in questa selezione di versi da quattro sue canzoni.
Questo è uno dei poemi trobadorici più famosi e intriganti. Oggi lo si considera una parodia delle poesie d'amore dell'epoca. La "controchiave" dell'ultima strofa alluderebbe al commiato delle canzoni nelle quali la poesia viene inviata alla dama attraverso un intermediario.
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né quando veglio, se non me lo dici; / per poco il cuor non m’è partito / d’un duol corale / e non m’importa un fico, / per San Marziale!
III. Non so a che ora mi addormii /
di me né su altra gente, / né su amor né giovinezza, / né su nient’altro: / composto lo ho / dormendo su un cavallo.
I. Farò un canto sul puro nulla: / né su
(FARAI UN VERS DE DREIT NIEN)
sul puro nulla
Farò un canto
TROVATORE. FACSIMILE DI UNA MINIATURA DELLA FINE DEL XV SECOLO TRATTA DALLA STORIA DELLA LETTERATURA FRANCESE ANTICA, DI HERMANN SUCHIER. 1913.
Guglielmo ebbe due mogli. La seconda si ritirò nell'abbazia di Fontevrault con la loro figlia, stanca degli amori pubblici del marito con la viscontessa di Châtellerault. Narra lo storico Guglielmo di Malmesbury che il conte aveva fatto dipingere sul proprio scudo il ritratto della viscontessa perché, diceva, voleva avere al suo fianco in battaglia la donna che aveva al suo fianco a letto.
L'amante di tutte le donne
Vida di Guilhèm de Peitieus
«Il conte di Poitiers fu uno degli uomini più cortesi al mondo e uno dei più grandi seduttori di donne. Eccellente cavaliere e guerriero, senza pregiudizi verso l'altro sesso, compositore raffinato e cantore di canzoni, viaggiò per il mondo, seducendo le donne».
LE POESIE DI GUGLIELMO IX D'AQUITANIA
GUILHÈM DE PEITIEUS, DUCA D'AQUITANIA. CAPOLETTERA DI UN COMPENDIO DI POESIA TROBADORICA DEL XIII SECOLO.
DA DESTRA A SINISTRA: AKG / ALBUM; LEEMAGE / PRISMA
Una bella –e tipica– canzone d'amore cortese, nota anche come Il ramo del biancospino, nella quale non v'è traccia di ironia, se si esclude l'espressione disinvolta degli ultimi versi. Il «finimmo l'amorosa guerra» della seconda strofa allude alla riconciliazione fra il trovatore e la sua dama dopo la rottura o il distacco precedente; l'anello è considerato un pegno di fedeltà.
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quando finimmo l’amorosa guerra / e lei mi dette un dono così grande: / l’amore suo fedele e il suo anello. / Mi lasci viver Dio ancora tanto / che abbia le mani sotto il suo mantello!
IV. Ancora mi ricordo di un mattino /
il ramo del biancospino, / che intirizzisce sull’albero, la notte, / nella pioggia e nel gelo, /fino all’indomani, quando il sole si diffonde / attraverso il verde fogliame sul ramoscello.
III. Il nostro amore è come /
(AB LA DOLCHOR DEL TEMPS NOVEL)
della nuova stagione
Per la dolcezza
FIORI IN UNA MINIATURA DEL CODEX MANESSE, 1300 CIRCA.
Cavalleria e Orgoglio: / così a Dio piace e così sia / ed Egli mi prenda con sé.
IX. Ciò che amai, tutto ho lasciato, /
/ ma Nostro Signore non vuol più / ora non posso portare il fardello / tanto sono prossimo alla fine.
VIII. Molto sono stato gaio e gioviale,
né il re da cui ho tutti i miei onori / gli faranno male quasi tutti / felli guasconi e angioini.
IV. Se Folco d’Angiò non lo soccorre /
dal dominio del Poitou! / Lascio in custodia a Folco d’Angiò / tutta la terra di suo cugino.
III. Tanto dura è per me la dipartita /
in gran paura, in gran pericolo, / in guerra lascerò mio figlio /gli vorranno male i suoi vicini.
II. Ora me ne andrò in esilio /
(POS DE CHANTAR M’ES PRES TALENZ)
voglia di cantare
Poiché m'è presa
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Questa canzone fu composta nel 1111 o nel 1112, quando Guilhèm fu ferito a una gamba durante una guerra locale contro altri due nobili e fu sul punto di morire. Compose allora questo poema, con segni di pentimento e grande preoccupazione per la sorte di suo figlio e suo erede, di circa undici anni.
a sto riguardo, / mai sono stato più in dubbio su una scelta:/ tener mi devo donna Agnese o donna Arsenda?
VIII.- Cavalieri, datemi un consiglio
IV.- Se potessi ammansirli a mio piacere / mai dovrei cambiare il mio equipaggiamento, / perché avrei la migliore cavalcatura al mondo.
ammodo, / sono buoni, arditi in guerra e anche valenti, / ma tener non posso entrambi, ché l’un l’altro non accetta.
III.-Due cavalli ho alla mia sella, bene e
(COMPANHO, FARAI UN VERS QU'ER COVINEN)
Compagni, farò un canto fatto bene
In questa composizione satirica, scritta per cantarla davanti ai suoi compagni di svago, Guilhèm presenta le sue due dame, Agnese e Arsenda, come se fossero due cavalli tra i quali non riesce a scegliere perché uno non tollera la compagnia dell'altro. Si tratta di una similitudine scherzosa molto frequente nel Medioevo.
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VIII. Ho fatto il canto, non so su chi, / e a colui lo manderò / che per altri me lo manderà / verso il Poitou, / che del suo scrigno m’invierà / la controchiave.
IL SOVRANO PIÙ POTENTE
Kublai Khan governò l’impero più grande che il mondo avesse conosciuto sino ad allora. Ritratto dipinto poco prima della morte (1294). Palazzo Nazionale, Taipei. BRIDGEMAN / ACI
LE CAMPAGNE FALLITE
Elmo mongolo preso come trofeo nel 1274 o 1281 da giapponesi vittoriosi. La mancata conquista del Giappone appannò il lungo elenco di successi militari di Kublai. BRIDGEMAN / ACI
L’IMPERO DI
KUBLAI KHAN Dopo aver completato la conquista della Cina, iniziata dal nonno Gengis Khan, fondò la dinastia Yuan, che per cento anni governò quell’immenso impero VERÓNICA WALKER VADILLO ARCHEOLOGA
C R O N O LO G I A
Il fondatore di una dinastia 1215
Nasce Kublai Khan, figlio della principessa turcomongola Sorghaghtani Beki e di Tolui, quarto figlio del mongolo Gengis Khan.
1251
Möngke, fratello di Kublai, diventa gran khan. Kublai resta al comando del nord della Cina e si circonda di consiglieri di varie etnie.
1259
Möngke muore in battaglia; Kublai e il fratello Arig si disputano la successione. Scoppia una guerra civile da cui Kublai esce vincitore.
1271
Kublai prende il titolo imperiale di Yuan, dinastia che guiderà la Cina sino alle rivolte antimongole che portano al potere la dinastia Ming nel 1368.
1275
Il mercante veneziano Marco Polo giunge alla corte di Kublai a Xanadu dopo un lungo e pericoloso viaggio, e si mette al servizio del khan.
LA PECHINO MONGOLA
Sullo sfondo della foto appare la Torre del Tamburo di Pechino, costruita assieme alle mura erette tra il 1267 e il 1292, quando Kublai Khan trasferì qui la capitale del suo impero.
1281
Kublai attacca il Giappone, che aveva cercato di invadere nel 1274, ma fallisce di nuovo per un tifone (kamikaze o “vento divino” in giapponese).
1294
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BRI
VASO CINESE IN PORCELLANA DI EPOCA YUAN.
DG
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AN
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CI
Kublai muore nel suo palazzo a causa della gotta di cui soffre. Viene sepolto a Burkhan Khaldun, vicino al nonno Gengis Khan.
È
facile immaginare lo sguardo colmo d’aspettativa di Kublai davanti ai sei steli d’achillea, tutti della stessa lunghezza, estratti davanti allo sciamano. Dinanzi a lui si apriva un periodo di cambiamento, e probabilmente l’ansia era tanta. Il fratello minore, Arig, si era proclamato gran khan senza rispettare la tradizione secondo cui il titolo doveva essere conferito dalla maggioranza dell’assemblea dei principi mongoli. Kublai era a un bivio: accettare la spregiudicatezza del fratello o proclamarsi khan a sua volta, con l’appoggio dei principi. Si era riunito con loro a Xanadu, la capitale costruita qualche anno prima, e per decidere che strada prendere aveva fatto chiamare un esperto di I Ching, un antico metodo cinese di divinazione. Dopo che Kublai aveva estratto i sei steli, l’oracolo aveva proclamato che avrebbe ottenuto grandi successi se si fosse mantenuto nel giusto. Il dado era tratto. Tre volte i principi chiesero a Kublai di farsi gran khan; per due volte rifiutò, e, secondo la tradizione, alla terza accettò.
DUKAI / GETTY IMAGES
Fu così che il 5 maggio 1260 ereditò uno degli imperi più vasti della storia, che si estendeva dall’Oceano Pacifico al Mar Nero. I domini mongoli erano suddivisi in quattro khanati sui quali Kublai Khan aveva autorità: l’Orda d’Oro, sul Volga; il khanato Chagatai, in Asia Centrale; l’Ilkhanato, in Iran, che governava l’Asia sud-occidentale, e i territori cinesi governati dallo stesso Kublai. Negli anni che seguirono alla sua nomina a gran khan, l’interesse di Kublai si concentrò sull’espansione verso il Sud della Cina, a spese della dinastia Song, e –con maggiore o minor fortuna – verso Corea, Giappone e Paesi del Sudest asiatico.
Anni di apprendistato Kublai non era nato per governare. Suo zio Ogodei era stato designato gran khan dopo la morte di Gengis Khan nel 1227. Kublai era il quarto figlio di Tolui, figlio minore di Gengis, quindi alla sua nascita nulla faceva prevedere che sarebbe diventato uno degli uomini più potenti della storia. Forse a giocare un ruolo chiave nel destino di Kublai fu sua madre, Sor-
ghaghtani, una cristiana della setta nestoriana. Uno storico e religioso dell’epoca, Barebreo, disse di lei: «Tutti i principi si meravigliavano davanti alla sua abilità nell’amministrazione; se tra le donne dovessi vederne un’altra come lei, dovrei dire che sono di molto superiori agli uomini». Sorghaghtani fu decisiva nella formazione dei suoi figli. Si assicurò che fossero educati alle tradizioni mongole e alle leggi di Gengis Khan, ma con Kublai fece di più: lo iniziò al governo degli uomini. Rimasta vedova di Tolui, Sorghaghtani chiese al cognato, il gran khan Ogodei, di cederle un territorio di Hebei in Cina come possedimento personale, e vi si trasferì con Kublai. Era una regione dedita all’agricoltura, attività che i nobili mongoli guardavano con disprezzo. Sorghaghtani, però, aveva una visione più complessa del mondo: dove i mongoli vedevano pascoli, lei vedeva un’oppor-
IL PRIMO GRAN KHAN
Statua di Gengis Khan eretta a Ulan Bator, la capitale della Mongolia. Nonno di Kublai, fu lui a guidare l’espansione dei mongoli e a dare avvio alla conquista della Cina. BRIDGEMAN / ACI
LE CAMPAGNE IMPERIALI DI KUBLAI KHAN dopo la morte di Gengis Khan, i contatti dei mongoli con le popolazioni della Cina del nord furono molto limitati fino al regno di Ogodei (1229-1241), quando completarono l’occupazione di quel territorio e iniziarono a sfruttarne sistematicamente le ricchezze. In quel momento ING RA NDIMENTO divenne evidente che per costruire unità politiche durature e proseguire la loro espansione, i mongoli dovevano iniziare
ad associarsi e mettere al loro servizio i popoli che avevano sottomesso, poiché costituivano una piccola minoranza in mezzo alle numerose e diverse popolazioni che avevano posto sotto il loro giogo. Questo accadde tanto nell’amministrazione quanto in ambito militare: le campagne di Kublai (1260-1294), dalla conquista della Cina del sud alle spedizioni contro Giappone, Birmania, Vietnam e Giava, furono condotte con truppe reclutate nella stessa Cina e mediante flotte coreane e cinesi. Anche se il gran khan non riuscì a fare del Giappone e di Giava dei territori vassalli, fu in grado di sottomettere il sud dell’Asia.
1 Corea
I mongoli invadono nel 1231 il regno di Koryo, ma non riescono a piegarlo fino a quando le rivolte dei contadini del posto non provocano una crisi interna. Nel 1258, Koryo firma la pace e si riconosce vassallo dei mongoli.
1 3
3 Giappone
Falliscono le due spedizioni lanciate da Kublai nel 1274 e nel 1281. Nella seconda, un tifone spazza le coste dell’isola di Kyushu, dove i mongoli avevano stabilito la loro testa di ponte, e distrugge la loro enorme flotta.
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Impero mongolo nel 1294 Confini dei khanati Stati vassalli
Viaggi di Marco Polo (1271-1795) Campagne di Kublai Khan Capitale di regno Frontiere attuali
MAPA: EOSGIS.COM; FOTO SUPERIOR: BRIDGEMAN / ACI; FOTO INFERIOR: WERNER FORMAN / GTRES
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5 Giava
Nel 1268, il re Kertanagara, sposato con una principessa del Champa, si era rifiutato di pagare il tributo a Kublai. Nel 1292, questi invia un migliaio di barche e 20.000 uomini a Giava, ma dovrà ritirarsi dall’isola l’anno seguente.
2 Cina del Sud
Nel 1272-1273, i mongoli prendono Xiangyang e Hangzhou, le chiavi del fiume Chang Jiang, nel 1277 occupano Canton e nel 1279, nella battaglia di Yamen, muore affogato l’ultimo imperatore Song, di soli otto anni.
4 Vietnam e Champa
Le lotte tra questi due regni favoriscono l’attacco di Kublai contro Dai Viet (Vietnam) nel 1283-1284 e nel 1287. Le tattiche di guerriglia e terra bruciata del generale Tran Hung Dao, però, sconfiggono gli invasori.
4 Nanzhao e Pagan
Nel 1253, i mongoli conquistano Nanzhao, il regno dei tai. Kublai esigerà la sottomissione di Pagan (Birmania), al sud. Poiché la sua pretesa viene respinta, attacca Pagan, e nel 1287 ne rovescia la dinastia: il regno si frammenta.
GUERRIERI GIAPPONESI SCONFIGGONO I MONGOLI. IMMAGINE TRATTA DA MOKO SHURAI EKOTOBA, “SULLE INVASIONI MONGOLE”. QUESTO EMAKI, O NARRAZIONE ILLUSTRATA IN FORMA DI ROTOLO DIPINTO, RISALE AL 1275-1293. MUSEO DELLE COLLEZIONI IMPERIALI, TOKYO.
LE TRUPPE DI KUBLAI ATTRAVERSANO UN PONTE DI BARCHE SUL CHANG JIANG PER ATTACCARE UNA FORTEZZA. IL SUD DELLA CINA AVEVA SEMPRE RESISTITO AI GUERRIERI DELLE STEPPE, I CUI ESERCITI A CAVALLO ERANO FERMATI DAI TANTI FIUMI E CANALI DI QUESTA REGIONE.
UNA PARTITA DI CACCIA QUESTO CELEBRE dipinto di Liu Guandao ci porta in un vasto mare di sabbia gialla, sul confine settentrionale della Cina, in un freddo giorno d’autunno. Kublai è al centro dell’immagine, con un cappotto bianco; accanto a lui vi sono l’imperatrice, suo figlio e alcuni dei più stretti collaboratori. Quello sulla sinistra, che tutti guardano, sta per scagliare una freccia contro un’oca in volo. Nel gruppo della parte inferiore, un servitore regge un falco, mentre un altro porta sulla groppa del cavallo un ghepardo, utilizzato, come il falco, per cacciare. Altri due cavalieri portano i simboli imperiali: una lunga mazza e uno stendardo con le code di yak al vento. Sullo sfondo avanza lentamente una carovana di cammelli carichi di tappeti.
DIPINTO SU SETA REALIZZATO DA LIU GUANDAO NEL 1280. MUSEO DEL PALAZZO NAZIONALE, TAIPEI.
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CHABI, SPOSA E CONSIGLIERA
CHABI, IN QUANTO MOGLIE DEL GRAN KHAN, AVEVA IL TITOLO DI KATUN.
L
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AKG / ALBUM
a posizione delle donne nel mondo mongolo era molto avanzata per l’epoca, poiché da loro ci si aspettava che sapessero amministrare le proprietà del marito in sua assenza. Per questo motivo era indispensabile scegliere una moglie che fosse in grado di assolvere a questo compito. Quando Sorghaghtani scelse la sposa di Kublai, si preoccupò che questa fosse come lei: intelligente, indipendente, tollerante e dinamica. Tutte queste virtù furono trovate in Chabi, famosa per la sua bellezza, la fede buddhista e l’abilità nel cercare di migliorare la convivenza tra i mongoli e il mondo rurale della Cina. Chabi diede a Kublai quattro figli e cinque figlie che, seguendo l’esempio di Sorghaghtani, furono tutti educati nella cultura cinese e mongola e introdotti alle basi del confucianesimo e del buddhismo.
tunità per generare ricchezza. Sorghaghtani assunse tutori cinesi affinché Kublai – che allora aveva 21 anni – studiasse le tradizioni locali e apprendesse le basi del buddhismo e del taoismo. Quello stesso anno decise di metterlo alla prova e gli cedette un territorio con diecimila famiglie perché lo amministrasse. L’esperienza, tuttavia, non fu affatto positiva. Kublai non fu in grado di controllare i suoi ufficiali mongoli, la cui condotta diede luogo in poco tempo a rivolte e migrazioni; inoltre, il volume di entrate fiscali diminuì in maniera drammatica. Questa fu una delle lezioni più importanti della sua vita. Visti i risultati della sua catastrofica gestione, Kublai ordinò una serie di riforme per migliorare l’amministrazione, e imparò a circondarsi di gente capace e con una maggior conoscenza delle istituzioni locali. E così, prima di diventare un grande leader militare, Kublai governava già con successo ampli territori agricoli appartenenti alla sfera cinese, e aveva avuto un’istruzione multiculturale
che era stata utile per fare di lui un efficiente diplomatico, capace di comprendere l’importanza di adattare il proprio governo alle tradizioni di ciascuna regione.
Il guerriero Nonostante il suo illustre lavoro di diplomatico, Kublai non cessò mai di essere nipote di Gengis Khan, dal quale ereditò la brutalità che aveva reso i mongoli avversari temibili. L’espansione mongola dipendeva dal terrore suscitato dai castighi imposti a chi si opponeva. Le rappresaglie erano feroci: di solito veniva tagliata la testa a tutti gli uomini delle città che opponevano resistenza. Ed erano anche imprevedibili: a volte decidevano di uccidere tutti gli uomini di una determinata altezza, in altre occasioni tagliavano le orecchie a tutti. Non sorprende, dunque, che molti territori si arrendessero.
IL DOMINIO DELLA CINA
Fibbia da cintura in giada bianca, con drago. I mongoli stabilirono la trasmissione ereditaria della professione: i figli degli artigiani dovevano succedere ai padri nel lavoro. Dinastia Yuan. DANITA DELIMONT / AGE FOTOSTOCK
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L’ESILIO IN PATRIA DEGLI INTELLETTUALI CINESI
Quando Kublai conquistò la Cina dei Song, molti funzionari leali a questa dinastia si ritirarono dall’attività pubblica per dedicarsi alla poesia, alla calligrafia o alla pittura. Uno di essi fu Qian Xuan, nelle cui opere il realismo di epoca Song si mescola all’evocazione dell’antica arte dell’epoca Tang. In questo dipinto, Minghuang – imperatore Tang dell’VIII secolo –, sul suo cavallo, osserva la sua concubina Yang Guifei mentre monta in sella. BRIDGEMAN / ACI
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LA CITTÀ PROIBITA
Kublai trasferì la capitale a Pechino, che i mongoli chiamavano Khanbaliq (“la città del khan”), ma gli edifici della grande residenza imperiale che vediamo oggi risalgono all’epoca Ming.
LE PRIME BANCONOTE
Banconota emessa nel 1287. La cartamoneta fece la sua comparsa in Cina verso l’800. Non solo Kublai conservò il sistema di valuta esistente, ma autorizzò la conversione della cartamoneta Song in denaro Yuan.
contro i nemici. Impossessatosi di 150 navi dei Song, iniziò una campagna d’assalto sulla costa per tagliare le vie di rifornimento del nemico. Era la prima volta che le truppe mongole delle steppe si lanciavano in mare. I Song opposero una feroce resistenza, ma nel 1279 capitolarono davanti al gran khan.
Governo e crepuscolo Influenzato in parte dalle idee confuciane, Kublai pensava che un leader dovesse essere giusto con i suoi sudditi affinché il suo governo fosse duraturo, e dopo aver concluso la conquista della Cina introdusse importanti riforme che favorirono un lungo periodo di prosperità. Tra le sue iniziative vi sono la costruzione di canali per migliorare le comunicazioni e la creazione di banche del grano per distribuirlo ai contadini quando la guerra o la siccità provocavano periodi di carestia. Seppe riconoscere il valore dell’amministrazione cinese e riunì mezza dozzina di consiglieri cinesi perché lo affiancassero nella gestione del Paese.
LOREM IPSUM
La carriera militare di Kublai iniziò quando suo fratello Möngke divenne gran khan nel 1251. Fino ad allora aveva dimostrato le sue capacità come governante, ma per i mongoli il valore di un leader si misurava dalle sue conquiste. Su richiesta del fratello, Kublai riprese la conquista dei domini della dinastia Song del Sud della Cina, un territorio che rifiutava tenacemente di cadere in mani mongole. Möngke morì nel pieno del conflitto con i Song, nel 1258, senza lasciare un erede. La minaccia di una guerra civile tra diverse fazioni mongole costrinse Kublai ad abbandonare l’assalto ai Song per tornare in Mongolia, dove, come abbiamo visto, fu proclamato gran khan nel 1260. Una volta pacificato il territorio mongolo, mise di nuovo gli occhi sui domini dei Song, un territorio con circa 50 milioni di abitanti la cui conquista mise alla prova le sue capacità strategiche. Come leader militare, Kublai era coraggioso e audace, e mise in pratica un piano temerario: lanciare attacchi marittimi 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL GRAN KHAN NELLA SUA CAPITALE, MINIATURA DEL XIV SECOLO.
UN LUOGO MERAVIGLIOSO MELODIOUS VISION / GETTY IMAGES
SHANGDU, conosciuta come Xanadu, fu la capitale estiva di Kublai. Le
Gli assessori cinesi erano esperti nel governo di una nazione grande, mentre gli assessori turchi venuti dall’Asia Centrale servivano come segretari e traduttori. Uno dei suoi ministri più illustri fu Ahmad Fanakati, musulmano di origine persiana, responsabile delle finanze imperiali. Per le questioni militari, si appoggiava ai suoi uomini di fiducia mongoli. Questa visione dell’Impero come un conglomerato di diverse culture fu la base dell’efficiente governo che fece di lui uno degli uomini più potenti della storia. Il gran khan si mise in luce anche per la sua tolleranza religiosa, ereditata dal nonno Gengis. Uno dei passatempi preferiti dalla corte erano i dibattiti religiosi tra sacerdoti di diverse credenze. Non sorprende, quindi, che Kublai avesse affidato a Marco Polo una lettera per il papa nella quale chiedeva che fossero inviati alla sua corte cento cristiani esperti in discipline come geometria o astronomia. L’ansia di conquista non abbandonò mai Kublai, che nel 1274 intraprese la prima campagna d’invasione del Giappone, fallita quan-
sue mura di mattoni scuri sono ancora in piedi, ma non rimane nulla del magnifico palazzo che meravigliò Marco Polo per i suoi marmi e le sue sale rivestite d’oro e dipinte con figure di uomini, bestie e uccelli. La descrizione di Marco Polo affascinò tanto gli europei che Xanadu divenne sinonimo di splendore, ricchezza e autorità.
do un tifone disperse le sue navi. Nel 1281 lanciò una seconda campagna, ma fallì di nuovo. Questa sconfitta e la morte della moglie Chabi quello stesso anno, seguita poco dopo dalla morte improvvisa del figlio ed erede Jingim, segnarono profondamente il sovrano. Kublai perse interesse per il governo e iniziò a mangiare e bere smodatamente senza pensare alle conseguenze; il vino e l’airag (latte di cavalla fermentato) erano la sua debolezza. Quando morì, nel 1294, aveva già scelto suo nipote Temür come successore. Lasciò scritto che i suoi resti dovevano riposare accanto a quelli del nonno Gengis a Burkhan Khaldun, una montagna nel nord-est della Mongolia. Nonostante gli anni vissuti in Cina, il suo cuore appartenne sempre alle steppe mongole. Per saperne di più
SAGGI
Gengis Khan il grande conquistatore M. Prawdin. Giunti, Firenze, 1998. Viaggio nell’impero dei mongoli Guglielmo Rubruc. Marietti, Genova, 2002.
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LA CINA MULTIETNICA DI Al vertice c’erano i mongoli; alla base i cinesi sottomessi, e nel mezzo
ASCOLTANDO IL QIN (STRUMENTO TRADIZIONALE CINESE A CORDA). DIPINTO SU SETA. XIII SECOLO.
BODHISATTVA AVALOKITESVARA. BRONZO DORATO DI EPOCA YUAN. ASHMOLEAN MUSEUM, OXFORD.
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1 1 Cinesi
2 Mongoli
Gli Yuan classificarono la popolazione della Cina in vari gruppi: mongoli, semuren (stranieri) e hanren (cinesi e popolazioni del nord: kitan, jürchen, coreani), a cui successivamente si aggiunsero gli xinfuren (cinesi del sud), che occuparono il gradino più basso dell’Impero. Ai cinesi si applicavano le regole penali più rigorose ed essi erano esclusi dalle cariche importanti di governo.
La guida dello Stato era nelle loro mani. La loro profonda diffidenza verso i cinesi li spinse, per amministrare il Paese, a ricorrere a ex nomadi come kitan e jürchen, oltre che a musulmani di Asia Centrale, Medio Oriente e addirittura a europei. L’aristocrazia mongola non poteva mescolarsi con gli altri gruppi etnici (e neppure questi ultimi tra loro).
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1. CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE. 2. BILDARCHIV / AGE FOTOSTOCK. 3. BRIDGEMAN / ACI. 4. GRANGER / ALBUM. 5. BRIDGEMAN / ACI.
PARTITA DI CACCIA DI TEMÜR KHAN, NIPOTE DI KUBLAI. DIPINTO SU SETA. 1300 CIRCA.
KUBLAI KHAN
un’ampia varietà di genti di tutta l’Eurasia
2 3 Tibetani
4 Musulmani
5 Occidentali
Il buddhismo tibetano, con i suoi aspetti magici, si adattava bene alla sensibilità religiosa dei mongoli, e Kublai favorì i lama, i sacerdoti buddhisti del Tibet. Molti furono messi alla guida degli aspetti religiosi della Cina e si resero invisi per la loro cupidigia, che li portò a rubare e uccidere. Nel 1278, uno di essi, Yanglianzhenjia, giunse a violare le tombe imperiali Song in cerca di tesori.
Con Kublai collaboravano musulmani iraniani come Moiz al-Dîn, che propose la creazione dell’Accademia Islamica (Huihui Guozixue), o l’astronomo Jamâl al-Din, autore del nuovo calendario stabilito nel 1267. Gli Yuan, che crearono a Pechino un osservatorio astronomico musulmano (Huihui Sitiantan), favorirono la diffusione dell’Islam, che si radicò nei territori di Gansu e Yunnan.
Alla corte di Kublai giunsero europei come il missionario Giovanni da Pian del Carpine, l’ambasciatore francese Guglielmo di Rubruck e Marco Polo, che servì l’imperatore a Yangzhou (dove la lapide della veneziana Katerina Vilioni, morta nel 1342, prova l’esistenza di una comunità mercantile italiana nella città).
I FRATELLI POLO OFFRONO UNA BIBBIA E UN CROCIFISSO A KUBLAI KHAN. MINIATURA DEL XV SECOLO.
OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI PECHINO, INCISIONE FRANCESE DEL XVIII SECOLO.
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Tre guerre in una
LA FINE DELLA REPUBBLICA DI SIENA nel complesso quadro delle guerre d’italia che videro spagna e francia contendersi il controllo della penisola, la repubblica di siena divenne una pedina destinata a essere sacrificata a favore della medicea firenze VITTORIO BEONIO-BROCCHIERI PROFESSORE DI STORIA MODERNA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA
LA BATTAGLIA DI MARCIANO
Nota anche con il nome di battaglia di Scannagallo, dal nome del fosso presso il quale venne combattuta nel 1554, vide le truppe senesi di Piero Strozzi soccombere a quelle imperiali. FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK
posta in gioco il predominio nella Cristianità. La cosiddetta “Guerra di Siena”, oltre che l’ultimo capitolo di un confronto che durava da secoli fra le due città toscane, fu anche soprattutto una guerra per procura fra Francia e Spagna. Per comprendere però appieno gli avvenimenti, a queste due dimensioni, regionale e continentale, occorre aggiungerne un’altra, quella cittadina, interna a Firenze. A essere in discussione era infatti il dominio della famiglia Medici, un dominio ancora instabile e al quale molti fiorentini di famiglia spesso più antica e illustre, e talvolta quasi altrettanto ricca, non volevano rassegnarsi. Dunque abbiamo a che fare con tre guerre in una.
Monticchiello e Montalcino
I PROGETTI DI COSIMO I
Nella morsa che già Francia e Spagna esercitavano, Siena dovette fronteggiare un altro nemico, la Firenze guidata da Cosimo I de’ Medici, qui ritratto da Giorgio Vasari nell’atto di deliberare sulla guerra. FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK
L
a pace siglata fra Enrico II di Francia e Filippo II di Spagna a Cateau-Cambrésis, nell’aprile del 1559, segnò la fine delle interminabili «guerre horrende» d’Italia, iniziate nel 1494, ma anche della storia della repubblica di Siena. L’atto di morte di quella che era stata una delle più splendide città dell’Italia comunale e rinascimentale, patria di banchieri, uomini d’arme, artisti, papi e santi che hanno lasciato un’impronta profonda nella storia europea, finiva così per essere una postilla in un trattato fra grandi potenze transalpine. Repubbliche e signorie italiane, sempre divise da odi e rivalità che risalivano ai secoli del Medioevo, erano infatti ormai solo pedine nella partita fra le grandi potenze europee che aveva come
Questo capitolo conclusivo si apre nel 1552, quando Siena era di fatto occupata dall’esercito imperiale. Diego Hurtado de Mendoza, formalmente ambasciatore di Carlo V, era una sorta di governatore, di proconsole, i cui rapporti con i senesi erano tutt’altro che facili. La situazione precipitò quando il Mendoza decise di avviare la costruzione di una fortezza all’esterno della città. Dai senesi l’iniziativa venne interpretata come il tentativo di sottoporre la repubblica a un controllo militare permanente. Consapevoli di non poter sfidare il potere dell’imperatore da soli, i senesi cercarono un appoggio politico nella Francia. L’insurrezione di Siena venne quindi coordinata con l’intervento di truppe francesi e, nell’agosto del 1552, gli imperiali lasciarono la città. Il filofrancese cardinale Ippolito d’Este, rappresentante di Enrico II, prese quindi il posto del Mendoza come governatore. Più che riconquistare la libertà, la repubblica aveva di fatto cambiato padrone. Spagnoli e imperiali non potevano però lasciare ai francesi il controllo di un territorio strategicamente così importante. E neppure Cosimo I poteva rimanere indifferente, da-
C R O N O LO G I A
SIENA NELLA MORSA
1540
1552
Nel quadro delle Guerre d’Italia franco-spagnole, la Repubblica di Siena conosce l’occupazione dell’esercito imperiale.
Al progetto imperiale per la costruzione di una fortezza, la Repubblica si solleva e, ricevuto l’aiuto francese, Siena caccia gli spagnoli.
JOSSE / SCALA, FIRENZE
TRATTATO DI CATEAU-CAMBRÉSIS (1559), CHE SEGNA LA FINE DELLE GUERRE D’ITALIA.
I SIMBOLI DELLA REPUBBLICA SENESE
Il palazzo pubblico e la torre del Mangia di Siena si affacciano sulla celebre piazza del Campo la cui pianta è divisa in nove settori che simboleggiano il Governo dei Nove, istituito appunto alle origini della Repubblica. GUIDO COZZI / FOTOTECA 9X12
1553
1554
1555
1559A.C. 470
Accanto ai fuoriusciti spagnoli, anche Firenze tenta la riconquista, ma in primavera Monticchiello e Montalcino resistono.
Il 2 agosto i franco-senesi vengono sconfitti dalle truppe ispano-medicee nella battaglia di Marciano: è una disfatta per Siena.
Capitolata, Siena rientra sotto il controllo imperiale, ma riparata a Montalcino tenta un’ultima resistenza per salvare la Repubblica.
ConValicer la firmaudaciest del trattato di Bis. facio, Cateau-Cambrésis si pone confertium qui cri strum fine alle Guerre d’Italia tem quod cavo, Pala nonfes e, con esse, allafuissil secolare egervid co hos Repubblicaoportud. di Siena. tandiurnic
BLAISE DE MONLUC E LE ARMI
Q
BLAISE DE MONLUC, UOMO D’ARME, SERVÌ CINQUE RE DI FRANCIA. OLIO SU TELA, CASTELLO DI BEAUREGARD, CELLETTES, FRANCIA.
UANDO GLI VENNE AFFIDATA
la difesa di Siena, Blaise de Lasseran de Massencome non era ancora signore di Monluc. Il suo curriculum militare era però già di tutto rispetto. Nato nel 1502, fu presente a tutte le principali battaglie delle Guerre d’Italia. Del resto, per un “cadetto di Guascogna”, rampollo di una numerosa, ma non facoltosa, famiglia della piccola nobiltà, il mestiere delle armi era una scelta obbligata. Neppure la pace di Cateau-Cambrésis mise fine alla sua carriera. Durante le guerre di religione mise il proprio talento al servizio della monarchia contro gli ugonotti riportando diversi successi, ma anche una terribile ferita al volto che lo costrinse a indossare una maschera di cuoio. Oltre che alle imprese militari, la sua fama è legata alla produzione de i Commentarii, le memorie della sua vita. Morì il 26 giungo del 1577.
PATRICK LORETTE / BRIDGEMAN / ACI
IL SIGILLO DI SIENA
La Repubblica di Siena, nata nel 1125, fu uno Stato indipendente che riuscì a imporsi come uno dei principali centri finanziari del continente. Sigillo di Girolamo Macchi, risalente al 1247. DEA / ALBUM
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to che Siena sarebbe diventata una pericolosa base per le trame dei fuoriusciti fiorentini ostili ai Medici. La controffensiva imperiale venne organizzata dal viceré di Napoli, Pedro Álvarez de Toledo, che di Cosimo I era anche suocero. Questo primo tentativo tuttavia fallì grazie all’eroica resistenza del piccolo centro di Monticchiello – in val d’Orcia – e di Montalcino, nella primavera del 1553. A gennaio dell’anno seguente fecero la loro comparsa sulla scena quelli che sarebbero stati i due principali protagonisti della fase successiva, e più drammatica della guerra: Piero Strozzi e Gian Giacomo de’ Medici, marchese di Marignano. Il primo, un fuoriuscito fiorentino, era il più acerrimo nemico di Cosimo e prese il posto del cardinale d’Este come rappresentante del re di Francia assumendo il comando delle forze senesi. Il secondo, che nonostante il cognome non era un esponente della famiglia dei signori di Firenze, si presentò invece alla fine di gennaio davanti alle mura di Siena alla testa
dell’esercito imperiale e fiorentino. L’assedio era cominciato. Il Medici tuttavia non disponeva di forze sufficienti per imporre un vero blocco alla città. In giugno Piero Strozzi fu perfino in grado di prendere l’iniziativa e invadere lo Stato fiorentino. Lo scopo era quello di ricongiungersi con le truppe di rinforzo che il re di Francia aveva promesso di inviare, ma la speranza dello Strozzi era anche quella di provocare a Firenze un’insurrezione contro Cosimo. Nessuno dei due obiettivi venne però raggiunto e Piero Strozzi dovette far ritorno a Siena dove, all’inizio di luglio, giunse un altro inviato di Enrico II, il generale guascone Blaise de Monluc.
La battaglia di Marciano La situazione nella città si stava nel frattempo aggravando. Le truppe del marchese di Marignano, cresciute di numero, stavano infatti stringendo la morsa, rendendo sempre più difficile far entrare a Siena i rifornimenti necessari. Per alleggerire la pressione, in luglio lo Strozzi decise quindi di compiere un’altra sortita in forze, dirigendosi questa volta verso la Val di Chiana con il grosso dell’esercito: circa
LA VITTORIA DI CAMOLLIA
Prima che scoppiasse la guerra, la Repubblica di Siena aveva già dovuto affrontare assedi e attacchi da parte dei fiorentini, come quello di Camollia del 1526: in quell’occasione furono i senesi a cacciare le truppe medicee. SCALA, FIRENZE
IL TRIONFO MEDICEO SU SIENA DIPINTO NEL 1565 DA GIORGIO VASARI NEL SALONE DEI CINQUECENTO DI PALAZZO VECCHIO A FIRENZE.
BRIDGEMAN / ACI
ENRICO II RE DI FRANCIA
Protagonista delle Guerre d’Italia, il sovrano fu alleato dei senesi nella guerra contro gli spagnoli e i Medici, ma fu anche colui che, con la firma del trattato di CateauCambrésis, decretò la fine della Repubblica. SCALA, FIRENZE
14.500 fanti – tedeschi, guasconi e italiani – e 1.000 cavalieri. Monluc rimaneva a Siena al comando della guarnigione. Il Marignano si lanciò naturalmente all’inseguimento, con un numero pressoché uguale di fanti ma con 500 cavalieri di più, tra i quali 300“uomini d’arme”, ovvero cavalieri pesanti ai quali lo Strozzi non aveva nulla da contrapporre, come non aveva nulla da contrapporre alla pur modesta artiglieria avversaria. Fu proprio la netta superiorità della cavalleria imperiale a decidere le sorti dello scontro, quando i due eserciti si trovarono di fronte a Marciano, a una trentina di chilometri a sud di Arezzo, il 2 agosto del 1554. Non è tuttavia chiaro se per viltà o per tradimento, la cavalleria dello Strozzi si diede infatti alla fuga non appena venne attaccata da quella avversaria. A questo punto allo Strozzi rimaneva solo una possibilità: attaccare e sconfiggere con la propria fanteria quella nemica prima del ritorno della cavalleria del Medici. Per far questo però i suoi fanti dovevano attraversare il letto asciutto di un piccolo
corso d’acqua, detto Scannagallo, e nel corso della manovra le file dell’esercito dello Strozzi si scompaginarono. In breve lo scontro si trasformò in una rotta catastrofica. L’esercito franco-senese lasciò sul campo circa 4.000 uomini e altrettanti vennero catturati. La strage indusse a reinterpretare il nome del piccolo fosso presso il quale era stata combattuta la battaglia: Scannagallo, ovvero il luogo dove i francesi – “galli” – erano stati scannati. Da parte medicea la vittoria sarebbe stata celebrata con il grande affresco dipinto da Giorgio Vasari nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze. La guerra non era certo finita, ma ormai l’esito finale era scontato, nonostante la determinazione di Blaise de Monluc rimasto ad animare la resistenza della città, mentre Piero Strozzi era riparato a Montalcino.
Gli orrori dell’assedio Per tenere alto il morale vacillante di difensori e cittadini, Monluc continuava a promettere – sapendo di mentire – l’arrivo di ingenti rinforzi francesi in soccorso alla città. La verità era però che ogni speranza di aiuti esterni era ve-
LA RESISTENZA DI MONTICCHIELLO
La pittoresca strada costeggiata da cipressi conduce a Monticchiello in Val d’Orcia che nel 1553, assieme a Montalcino, seppe resistere all’assedio degli eserciti alleati spagnoli e medicei. ELSA BILD / AGE FOTOSTOCK
PIERO STROZZI CHE CAPITANÒ LE TRUPPE DELLA REPUBBLICA NELLA GUERRA DI SIENA E CHE DOPO LA DISFATTA DI MARCIANO, RESISTETTE A MONTALCINO.
dalla città e respinti dalle truppe assedianti, andarono così incontro a una morte orribile, e i contadini che cercavano di introdurre in città generi alimentari vennero spietatamente trucidati per scoraggiare simili tentativi.
La caduta di Siena
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SCUDO SENESE
Scudo d’oro della Repubblica di Siena risalente al 1553. La città era al tempo un importante centro economico e finanziario dove operavano numerosi banchieri e cambiavalute. BRIDGEMAN / ACI
nuta meno. Siena era ormai stretta da un assedio sempre più impenetrabile. Per alleggerire la pressione sulle scarse risorse alimentari, Blaise de Monluc fece quindi ricorso a un tipico espediente degli assedi, ovvero l’espulsione dalla città delle cosiddette“bocche inutili”, cioè tutti coloro – donne, vecchi, bambini, soprattutto dei ceti poveri – che consumavano cibo ma non potevano dare alcun contributo alla difesa. La risposta di Gian Giacomo de’ Medici – «uomo capriccioso e di mala natura» lo definisce un altro cronista – fu spietata: «Si notifica a qualsivoglia soldato del nostro felicissimo esercito, e sottoposto all’autorità nostra, che tutte quelle genti che troveranno che eschino da Siena, li uomini li debbino ammazzare, eccetto che fossero personae da far taglia o soldati che escissero volontariamente, e le donne le debbono tutte svaligiare e farle ritornare dentro Siena - E se trovassero villani o altri, che portassero vettovaglie, o andassero a Siena, gli debbino ammazzare irremissibilmente, e torgli ogni roba…». Centinaia di disperati, cacciati
In realtà Siena era ormai solo una pedina le cui sorti dipendevano dall’andamento della guerra altrove e dalle manovre diplomatiche. Del resto, fin dall’inizio, per la sua difesa, la città si era affidata a due uomini, certamente capaci e coraggiosi, la cui “agenda” politica e i cui interessi avevano però ben poco a che vedere con quelli della repubblica. Per lo Strozzi la difesa dell’indipendenza senese era solo uno strumento in vista del tentativo di rovesciare il regime mediceo, e Monluc agiva nel nome e per conto di Enrico II re di Francia. Nei primi mesi del 1555, dopo gli scarsi risultati ottenuti dal Marignano da una parte, e la delusione dei senesi per il mancato arrivo dei soccorsi tante volte promessi, si cominciò a parlare di una soluzione negoziale. Siena era certamente stremata, ma anche Cosimo I e i suoi alleati spagnoli erano inquieti per i successi delle armi francesi in Piemonte. Finalmente, il 7 aprile 1555 vennero sottoscritte le capitolazioni. Le condizioni erano almeno apparentemente miti. La «Cesarea Maestà» accettava di prendere «la città e la repubblica di Siena sotto la sua protezione et defensione» ma concedendo «alla città e repubblica predetta» la libertà. Naturalmente si trattava di una libertà “vigilata”dato che Siena era costretta ad accogliere una guarnigione imperiale anche se otteneva che non fosse ricostruita l’odiata fortezza, simbolo della sottomissione a un potere straniero. Blaise de Monluc e la guarnigione francese ottennero l’onore delle armi e poterono lasciare la città indisturbati. Siena, che prima dell’assedio contava circa 40.000 abitanti, era ridotta a circa 6.000. E nei giorni successivi alla resa e all’entrata delle truppe imperiali, in molti, comprensibilmente diffidenti delle reali intenzioni dei vincitori, abbandonarono la città cercando rifugio a Montalcino, dove si era insediato Piero Strozzi, e dove i fuoriusciti senesi proclamarono una «repubblica di Siena ritirata in Montalcino», con la speranza di poter un giorno restituire la piena libertà alla capitale. Queste speranze
LE MURA DI SIENA
La prima cinta muraria della città, risalente all’Alto Medioevo, subì numerosi interventi di ampliamento nel corso dei secoli, ma ciò non bastò a difendere Siena dagli attacchi nemici. HUBERTUS BLUME / AGE FOTOSTOCK
IL MEDICI DETTO IL “MEDEGHINO”
A
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI, MARCHESE DI MARIGNANO, GUIDÒ LE TRUPPE IMPERIALI E MEDICEE DURANTE LA GUERRA DI SIENA.
L MOMENTO della conquista di
Siena, momento culminante della sua carriera di condottiero, il nobile lombardo Gian Giacomo de’ Medici, detto “il Medeghino”, aveva alle spalle una vita turbolenta. Fratello di un futuro papa, Pio IV, e zio di un futuro arcivescovo e santo, Carlo Borromeo, Gian Giacomo non fu mai in odore di santità. Nella fase di transizione dagli Sforza agli Asburgo, Gian Giacomo aveva cercato di ritagliarsi una signoria per proprio conto nella zona del lago di Como. Sconfitto, era comunque rientrato nelle grazie di Carlo V al cui servizio si era posto, combattendo in Italia, Germania e Fiandre e conquistandosi ovunque una fama di ferocia oltre che di valore. Per questo fu probabilmente una delle figure alle quali Alessandro Manzoni si ispirò per il suo Innominato. Morì pochi mesi dopo la presa di Siena, l’8 novembre 1555.
DEA / SCALA, FIRENZE
IL GRANDUCATO DI TOSCANA
Bandiera del nuovo Stato indipendente nato nel 1569. Primo granduca, con una bolla emessa da papa Pio V, fu proprio Cosimo I de’ Medici che aveva sconfitto Siena. La dinastia medicea rimarrà al potere sino al 1737. ZOONAR / CHRISTIAN MUE / AGE FOTOSTOCK
tuttavia erano, ancora una volta, legate all’andamento del duello franco-imperiale, ora diventato franco-spagnolo. Con l’elezione, nel maggio 1555, del cardinale Carafa al pontificato come Paolo IV, sembrò che il vento girasse nuovamente a favore della Francia. Il nuovo papa era infatti ostile alla Spagna. Nel 1556 Enrico II inviò in Italia un altro esercito al comando del duca di Guisa. La sconfitta dei francesi nella battaglia di San Quintino, il 10 agosto 1557, mise però fine a ogni illusione. Non solo il Guisa fu richiamato in Francia, ma con lui se ne andarono anche Monluc e lo Strozzi. La difesa di Montalcino venne affidata a Cornelio Bentivoglio che riuscì a conservare la città fino a quando la Pace di Cateau-Cambrésis, nell’aprile del 1559, concluse definitivamente le «guerre horrende d’Italia» e quindi anche la guerra di Siena.
Lo Stato Nuovo Già dal luglio del 1557 Cosimo I aveva ottenuto da Filippo II Siena come feudo coronando il sogno di unire tutta la Toscana, o quasi, sotto il 102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
dominio dei Medici. Quasi, perché in realtà la repubblica di Lucca riusciva a salvare la propria indipendenza e perché la Spagna, per motivi strategici, si riservò il controllo di una parte della costa tirrenica – l’Argentario – che divenne lo Stato dei Presidi. Tuttavia il vecchio territorio della repubblica di Siena non fu semplicemente assorbito dallo Stato fiorentino, anche per non urtare troppo i sentimenti di una popolazione che si era dimostrata così tenacemente attaccata alla propria indipendenza. Il senese divenne il cosiddetto“Stato nuovo”con larghi margini di autonomia amministrativa, anche se naturalmente sottoposto alla sovranità di colui che, a partire dal 1569, sarebbe diventato il Granduca di Toscana, titolo appannaggio della dinastia dei Medici fino alla morte dell’ultimo erede, Gian Gastone, avvenuta nel 1737. Per saperne di più
SAGGI
La guerra di Siena (1552-1559) Roberto Cantagalli. Accademia Senese degli Intronati, Siena, 1962. La storia di Siena dalle origini al 1559 Luca Fusai. Il Leccio, Siena, 1987.
LA ROCCA DI MONTALCINO
Dopo aver respinto un attacco nel 1553, Montalcino divenne anche il ritiro di Piero Strozzi dopo la disfatta di Marciano; qui infatti i fuoriusciti senesi resistettero istituendo appunto la Repubblica di Siena riparata in Montalcino. CSP_PPI09 / AGE FOTOSTOCK
STORIA DEL PALIO DI SIENA
Chiocciola
Civetta
La corsa di cavalli del Palio, simbolo di Siena, ha una storia lunga e affascinante, iniziata nel Medioevo. Il Palio ha assunto infatti la forma che conosciamo oggi solo nel Seicento, quando la città era ormai parte del Granducato di Toscana.
LOCANDINA CHE ANNUNCIA IL TRADIZIONALE PALIO DI SIENA PREVISTO PER IL 2 LUGLIO, GIORNO IN CUI SI CORRE IL PALIO IN ONORE DELLA MADONNA DI PROVENZANO.
DEA / SCALA, FIRENZE
l Palio di Siena, così come lo conosciamo oggi, è il risultato di una lunga evoluzione storica che è iniziata nel Medioevo. Ai suoi inizi, nel XII secolo, il Palio veniva corso “alla lunga”, ovvero lungo un percorso lineare che partiva dall’esterno delle mura cittadine e terminava davanti al Duomo. In Piazza del Campo invece si tenevano altri tipi di giochi e competizioni, come le corse di bufali, dette “bufalate”. Nel 1605, quando Siena aveva ormai perso la sua indipendenza, le autorità cittadine ottennero da quelle granducali il permesso di trasferire la corsa di cavalli in Piazza del Campo, compiendone per tre volte il periplo. Era nato il cosiddetto “Palio alla tonda”, che veniva disputato in due date. Alla corsa più antica, che si teneva nel giorno dell’Assunta, il 14 agosto, si affiancò infatti quella del 2 luglio, in onore di un miracolo compiuto dalla Madonna detta di Provenzano, festeggiata appunto in quel giorno.
LAURENT GIRAUDOU / AGE FOTOSTOCK
Le contrade Dal Medioevo Siena era formata da tre “Terzieri”, il cui territorio era a sua volta ripartito in contrade. Nel 1729 Violante Beatrice di Baviera, moglie di Ferdinando de’ Medici e governatrice di Siena, stabilì il numero delle contrade – 17 – nonché i loro confini.
Lupa
Giraffa
Drago
Istrice
Leocorno
Nicchio
Oca
LA PROCESSIONE DELLE CONTRADE IN PIAZZA DEL CAMPO A SIENA. VINCENZO RUSTICI, COLLEZIONE PRIVATA.
Onda
Pantera
Selva
Bruco
Aquila
Valdimontone
Torre
CONTRADE: BRIDGEMAN / ACI; DEA / SCALA, FIRENZE
Tartuca
GRANDI SCOPERTE
Dura Europos, la frontiera di Roma sul fiume Eufrate Nel 1920, alcuni militari inglesi scoprirono in Siria una città grecoromana con numerosi affreschi magnificamente conservati
LOREM IPSJDAS
1920
SIRIA
Dura Europos
DA M A SCO
IRAQ
EGITTO ARAB IA SAUDITA
gure vestite di bianco che li fissavano da un antico muro liberato dalla terra. Murphy scrisse subito al suo superiore: «Ho scoperto delle antiche pitture murali in uno splendido stato di conservazione. Si trovano all’estremità occidentale del forte e si tratta delle figure a grandezza naturale di tre uomini, una donna e altre tre semicancellate. I colori sono principalmente rosso, giallo e nero». Le autorità britanniche reagirono con prontezza, forse per attribuirsi il merito di una grande scoperta archeo-
Soldati britannici in Siria scoprono per caso le rovine dell’antica Dura Europos.
1922
logica prima che il luogo passasse nelle mani dei francesi, come avrebbe sancito la Conferenza di Sanremo dell’aprile 1920. Per questo proposero a James Henry Breasted, un archeologo nordamericano che lavorava nella zona per conto dell’Università di Chicago, di guidare una missione di ricognizione.
La Pompei d’Oriente Giunto sul posto, Breasted impiegò i soldati come manodopera per portare alla luce parte dell’edificio cui appartenevano le pitture scoperte da Murphy, le fotografò e prese nota dei colori dei dipinti, temendo che potessero svanire. L’edificio, oggi conosciuto come Tempio degli dèi palmireni, fu immediatamente ricoperto di sabbia per il timore che gli arabi ne distruggessero le immagini, come in
Il nordamericano James Henry Breasted sollecita l’Accademia delle Belle Lettere di Parigi a scavare a Dura Europos.
1928-1937
Dopo il belga Franz Cumont nel 1922, Michael I. Rostovtzeff dirige dieci campagne di scavo a Dura.
GEORG GERSTER / AGE FOTOSTOCK
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TURCHIA
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el marzo del 1920, un’unità dell’esercito britannico percorreva la sponda ovest del fiume Eufrate diretta verso Baghdad, in un’operazione di controllo del territorio che Gran Bretagna e Francia si erano suddivise nel Vicino Oriente al termine della Prima Guerra Mondiale. Il giorno 30, il capitano Murphy, capo della spedizione, diede ordine ai suoi uomini di accamparsi per la notte su un promontorio strategico presso il fiume, sul quale affioravano alcune rovine. Quando gli uomini cominciarono a scavare una trincea ai piedi di un muro per sistemare una mitragliatrice, incrociarono sorpresi lo sguardo di alcune fi-
effetti accadde successivamente con uno dei volti dell’affresco romano. Breasted identificò anche il nome della città, Dura Europos, una postazione militare e mercan-
1932
Portata alla luce la sinagoga di Dura Europos, del III secolo d.C., con magnifiche pitture a tema biblici.
IL DIO APHLAD, FIGLIO DEL DIO DELL’URAGANO HADAD, SU DUE LEONI. RILIEVO DI DURA EUROPOS. MUSEO NAZIONALE, DAMASCO. DEA / SCALA, FIRENZE
VEDUTA AEREA del sito
di Dura Europos, in Siria. La sua ubicazione, affacciata sull’Eufrate, fece della città un’importante enclave strategica.
MISTERO RISOLTO IN UNO DEI DIPINTI del tempio degli dèi pal-
a quando gli archeologi non la riscattarono dall’oblio. In uno studio pubblicato poco dopo, Breasted mise in risalto il grande interesse delle pitture di epoca romana di Dura Europos, che riteneva un precedente dello stile dei mosaici bizantini. Tuttavia, poiché il suo centro di attività come archeologo era in Egitto, non ebbe la possibilità di continuare egli stesso la ricerca, ragione per cui sollecitò le autorità francesi, e in particolare
CORBIS / GETTY IMAGES
tile fondata nel 303 a.C. dal re Seleuco I Nicatore, uno dei generali di Alessandro Magno. Per la sua posizione privilegiata era stata contesa, in varie epoche della storia, tra greci, parti, romani e persiani sasanidi. Nel 256 d.C., un esercito sasanide guidato da Sapore I conquistò la città ai romani, che a loro volta l’avevano strappata ai parti nel 165 d.C. Dopo un breve periodo di dominio sasanide, l’urbe rimase deserta per quasi diciassette secoli, fino
mireni appariva un tribuno romano intento a celebrare un sacrificio, sotto lo sguardo di due figure identificate come Tychai (dea della fortuna) di Dura e Palmira. Breasted (a destra) pensò che Dura (“fortezza” in lingua semitica) fosse il nome della città scoperta. Europos allude alla città della Macedonia nella quale nacque Seleuco, fondatore della fortezza siriana.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GRANDI SCOPERTE
LA SINAGOGA DI DURA EUROPOS
IL MURO ORIENTALE DELLA SINAGOGA DI DURA EUROPOS POCO DOPO LA SUA SCOPERTA NEL 1932.
ropos portarono alla luce una sinagoga con magnifiche pitture murali risalenti al III secolo d.C., il che la rende una delle sinagoghe più antiche del mondo. Le pitture, di stile ellenistico, rappresentano vari episodi biblici con il proposito di istruire i fedeli: il sacrificio di Isacco, Mosè che riceve le Tavole della Legge o guida gli ebrei fuori dall’Egitto, le visioni del profeta Ezechiele e altri. Dopo la scoperta, le pitture furono trasferite per la conservazione al Museo Nazionale di Damasco. Attualmente, a causa della guerra tuttora in corso in Siria, sono state evacuate per motivi di sicurezza. VISIONE DI EZECHIELE SULLA RESURREZIONE DEI MORTI E IL RITORNO DELLE DIECI TRIBÙ PERDUTE DI ISRAELE, NELLA SINAGOGA.
FOTO: BRIDGEMAN / ACI
NEL 1932, gli scavi archeologici a Dura Eu-
GRANDI SCOPERTE
GEORG GERSTER / AGE FOTOSTOCK
DETTAGLIO di una delle pitture
scoperte nel Tempio degli dèi palmireni. La famiglia del sacerdote Conone celebra sacrifici al dio Zeus-Baal.
l’Accademia delle Iscrizioni e delle Belle Lettere di Parigi, a raccogliere il testimone. Il belga Franz Cumont diresse due campagne negli anni 1922 e 1923, interrotte da turbamenti politici nella zona. Le ricerche furono riprese nel 1928, per mano di Michael I. Rostovtzeff, un illustre storico di origine russa e docente presso l’Università di Yale. Le dieci campagne condotte da Rostovtzeff, tra il 1928 e il 1937, poterono contare sul tipico dispiegamento di forze dell’archeologia coloniale d’Occidente in quelle regioni: trecento operai beduini, un’équipe
interdisciplinare di orientalisti, filologi e architetti, e le indispensabili ferrovie a scartamento ridotto Decauville, adatte a spostare tonnellate di terra. Rostovtzeff portò così allo scoperto il sistema di fortificazioni, tre palazzi, un agorà, diciassette edifici di carattere religioso, cinque terme, necropoli, residenze e botteghe. Il ritrovamento più interessante, tuttavia, furono le pitture religiose che rivelarono la sorprendente diversità di culti accolta dalla città dell’Eufrate. Alcune raffiguravano divinità greche fuse con le antiche divinità semitiche, come Artemide
con Nannaia e Zeus con Baal. Altre riflettevano il culto a Mitra e a Giove Dolicheno (un ibrido tra Giove e Baal) introdotto dai militari romani. Uno degli edifici più spettacolari era una sinagoga ebraica, e fu rinvenuta anche una primitiva cappella cristiana.
Un brusco finale L’archeologia permise di documentare la drammatica fine della Dura Europos romana. Durante l’assedio sasanide vennero scavate mine e contromine su entrambi i lati dei muraglioni difensivi allo scopo di abbatterli. In una di quelle gallerie sot-
terranee i due schieramenti si diedero battaglia, finché, a un determinato momento, la muraglia non crollò, finendo per seppellirli. I cadaveri portati alla luce indossavano l’armatura completa, e i romani avevano la loro ultima paga nella borsa: quelle monete, coniate nell’anno 256, permisero di datare, in modo approssimativo, la conquista di Dura Europos da parte dei persiani. JORGE GARCÍA SÁNCHEZ UNIVERSITÀ COMPLUTENSE SAGGI
Il Mediterraneo antico Maurice Sartre. Controluce, Nardò, 2014. INTERNET
media.artgallery.yale.edu/ duraeuropos
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L I B R I E A P P U N TA M E N T I
NOVECENTO
L’Art Déco e gli anni ruggenti
ARCHIVIO STORICO RICORDI, MILANO / STUDIO ESSECI
F
TURANDOT, MANIFESTO, LITOGRAFIA A COLORI, LEOPOLDO METLICOVITZ, 1926.
u l’Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne, tenutasi a Parigi nel 1925, a dare il nome a un fenomeno di gusto passato alla storia come Art Déco. Ma non fu quello l’anno della sua nascita: il 1925 rappresentò solo la sua consacrazione. La Prima Guerra Mondiale era finita, l’uomo e il progresso sembravano inarrestabili e un nuovo mondo sembrava profilarli, quello delle città e delle sue luci, dell’industria e del lusso, della borghesia e del
superamento dei valori dell’Ottocento. Erano anni di mondanità e di bel mondo che l’Europa e l’Italia prima, gli Stati Uniti dopo, vissero all’insegna di un gusto e di un linguaggio artistico dirompente, fatto di nuovi materiali, di nuove forme e di nuove geometrie: in pittura, scultura, architettura, ma anche nelle arti decorative. Obiettivo della mostra allestita nei Musei San Domenico di Forlì, la prima in Italia di così ampio respiro dedicata all’Art Déco, è proprio quello di presenta-
re il gusto degli anni Venti con gli oggetti che produsse, dagli arredi agli abiti, dalle ceramiche ai gioielli, passando per la cartellonistica pubblicitaria e il design delle automobili. Se al rigore e all’austerità imposti dalla Grande Guerra gli Anni Venti sembrarono reagire con uno stile ricco e sfarzoso, eppur sintetico nella sua modernità, l’approssimarsi dei totalitarismi e del secondo conflitto mondiale sembrano fare di quegli anni “ruggenti” un’effimera parentesi di piacere. (A.G.) Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia LUOGO Musei San Domenico, Piazza G. da Montefeltro, Forlì TELEFONO 199 151134 WEB www.mostrefondazioneforli.it DATE Fino al 18 giugno
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Canistris fu una figura fuori dal comune in un’epoca, il XIII-XIV secolo, già di per sé intrisa di metafisica, esoterismo, simbolismo e fantasie sfrenate. Questo libro presenta e commenta il materiale conservato in due Codici vaticani: 87 fogli cartacei e 27 grandi pergamene ricoperte da un fitto intreccio di disegni, mappe geografiche antropomorfe, simboli, figure geometriche, immagini di mostri e di belve, giochi di parole, brani autobiografici, racconti. Nel secolo dei bestiari, quello di Opicino è un bestiario stralunato di metafisica geografica, dove l’uomo, il mondo, Dio, il soprannaturale e il terreno si intrecciano in vortici visionari. (G.R.) M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri, Roberto Limonta
VOLANDO SUL MONDO Archinto, 2016, 120 pp., 24 ¤
110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
MESSALINA Marisa Ranieri Panetta Salani Editore, 2016, 240 pp., 15,90 ¤
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IMPERATRICE dissoluta, scel-
UNA CITTÀ che tra Medioevo
lerata e trasgressiva: così Messalina viene ricordata dalla storia. O almeno dagli storici del tempo. In un saggio che si legge come un romanzo e inquadrando la protagonista nello scenario della corte imperiale del I secolo, l’autrice getta una nuova luce sulla vera storia di Messalina.
e Rinascimento divenne uno dei centri più importanti del continente, una realtà sociale ed economica che conobbe il fiorire delle arti e della cultura, ma anche della finanza e della politica, che seppe fare della propria borghesia mercantile l’ago della bilancia della penisola e dell’Europa.
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ITINERARI Poitiers
3 PALAZZO DI GIUSTIZIA Poitiers, Francia; www.poitiers-turismo.com
I percorsi di Storica
Toscana; www.terresiena.it
Nella città del Palio, una delle più belle d’Italia, alla scoperta dei luoghi e dei monumenti che ne hanno segnato la storia e che ancora oggi rappresentano il cuore pulsante della città.
diametro. Nel sito si potranno poi ammirare anche i resti del tempio di Adriano situato lungo via dei Cureti, le case terrazzate con i loro splendidi mosaici e l’Odeon. Se quella che era ritenuta una delle Sette Meraviglie del Mondo antico non è più visitabile, di certo l’area archeologica di Efeso ha in serbo molte altre meraviglie. pagina 20
il tempio di efeso
112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Assisi
4 SIENA
Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica
In Turchia, all’incirca tra Smirne e Aydin, si trova Efeso 1 , antica città ionica e oggi uno dei principali siti archeologici del Mediterraneo. Non sarà una sorpresa scoprire che quanto il tempo ha preservato del tempio dedicato ad Artemide consta di pochissimi resti, ma l’area conserva tuttavia altre, e importanti, testimonianze archeologiche. Prima fra tutte la celebre biblioteca di Celso, composta di un’unica sala rettangolare di 17 x 11 metri. Sulla facciata, frutto di un attento lavoro di restauro operato nel corso del secolo scorso, si aprono i tre ingressi fiancheggiati da quattro coppie di colonne ioniche e dalle quattro statue che celebrano saggezza, virtù, benevolenza e sapienza. Altro monumento da non perdere è il grande teatro che prevedeva una capienza di 24.000 spettatori e che si costituisce di una cavea semicircolare di 150 m di
Siena
Uno storico palazzo che ai tempi di Eleonora d’Aquitania ospitava una delle più floride corti trobadoriche e in cui i poeti occitani diedero vita a una nuova cultura.
dalle sporadiche eppur intense piogge, ad aver decretato la fine della cittadella, dando però vita all’attuale area archeologica che si presenta in splendide e suggestive forme. Là dove oggi crescono rigogliose le palme da dattero, in passato si ergeva un tempio dedicato al dio Sole – i cui resti possono ancora essere ammirati – e al cui oracolo si rivolse anche Alessandro Magno. Forse pure per questo l’oasi è stata tra le tante “candidate” che gli archeologici hanno considerato come sede sepolcrale del grande condottiero, ma il viaggio alla ricerca della tomba di Alessandro non può che continuare...
pagina 30
la tomba di alessandro magno Tra le tante e, sino a ora infruttuose, ipotesi sulla localizzazione della tomba di Alessandro Magno compare anche l’egiziana oasi di Siwa. Si tratta di un’area situata a circa 300 km dalle coste mediterranee, non distante dal confine con la Libia. L’odierno abitato si estende ai piedi del centro antico, una cittadella chiamata Shali che venne costruita sulla roccia naturale con mattoni di fango locale: pare sia la natura stessa dei materiali, pesantemente soggetti all’erosione
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san francesco Imponente, maestosa, ricca e famosa in tutto il mondo, la basilica di San Francesco ad Assisi 2 non ha bisogno di presentazioni. Inserita nella lista del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, è costituita da due chiese sovrapposte, la prima in
2 BASILICA PAPALE DI SAN FRANCESCO
Assisi, (PG); www.sanfrancescoassisi.org
Arte, storia e religione si fondono in uno scrigno architettonico pervaso di misticismo insignito del titolo di Caput et Mater dell’Ordine francescano.
Efeso
1 EFESO
Distretto di Smirne, Turchia; www.turismoturchia.com
Nel sito che ospitava il tempio di Artemide, annoverato tra le sette meraviglie del mondo antico, per scoprire i resti di una città che fu tra le più ricche della storia.
stile romanico-umbro, la seconda in stile gotico, ed è caratterizzata da un imponente e splendido apparato decorativo. La struttura inferiore, oltre a essere una chiesa sepolcrale in cui si trova, conservato in una piccola cripta, il sarcofago contenente le spoglie di Francesco, presenta decorazioni di grandi artisti quali Giotto, Cimabue e Simone Martini. La chiesa superiore, invece, a navata unica, permette ai visitatori e ai fedeli di ammirare la più completa raccolta di vetrate medievali del nostro Paese nonché quel ciclo di affreschi che ha reso la basilica uno dei più importanti esempi di arte italiana del Due e Trecento.
a re, magnati e adunanze cristiane raccontava molte volte con stanze ritmiche e poesie briose». E proprio a Poitiers 3 , nell’attuale Nuova Aquitania, fiorì una delle più ricche corti trobadoriche. Centro dell’attività e della cultura dei troubadours era quello che oggi è conosciuto come il palazzo di giustizia, ma che un tempo era il palazzo ducale. Splendido esempio medievale in stile goticoangevino, l’edificio subì nel corso della storia diversi interventi architettonici, ma fu ai tempi di Eleonora d’Aquitania, grande mecenate dei trovatori, che venne costruita la celebre Grande Salle, nota anche come Salle des pas perdus e che, con una dimensione di cinquanta metri per diciassette, rappresentava all’epoca una delle più vaste che si potessero trovare nel continente. Priva di soffitto, prevedeva già all’epoca decorazioni murali tipiche dell’arte gotica di stile plantageneto e rappresenta oggi una dei più interessanti esempi di architettura civile medievale. Del palazzo, da ammirare anche il torrione, chiamato Torre Maubergeon, di forma rettangolare dotato di una torre a ogni angolo che venne fatto costruire agli inizi del XII secolo per volere del conte Guglielmo IX, non a caso lo stesso che viene considerato il primo trovatore.
pagina 78 pagina 66
kublai khan
Un testimone oculare descrisse – si ipotizza per la prima volta nella storia – l’esibizione di un trovatore con le parole: «Allora il duca di Poitiers... le miserie della sua prigionia... davanti
«Si truova una cittade ch’è chiamata Giandu, la quale fee fare lo Grande Kane che regna, Coblai Kane. E àe fatto fare in questa città uno palagio di marmo e d’altre ricche pietre; le sale e le camere sono tutte dorate e è
trovatori
molto bellissimo marivigliosamente.» Così Marco Polo descriveva Xanadu, antica capitale estiva di Kublai Khan nell’attuale Mongolia interna. La città, abbandonata nel XV secolo, è oggi un’area archeologica che si estende su un’area di 25.000 ettari e che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità. Nonostante il fastoso palazzo descritto dal mercante veneziano sia andato distrutto, il sito permette di ammirare i resti di una città progettata sui principi del feng shui e concepita come fusione di cultura mongola e tradizione Han in cui ammirare le tracce di palazzi, templi, e tradizionali oboo (tumuli di pietra) dell’epoca dell’ultimo dei Gran Khan.
pagina 92
repubblica di siena
Simbolo della Siena repubblicana è il Palazzo Pubblico 4 , fatto costruire a cavallo tra Due e Trecento come sede del Governo dei Nove. Oltre alle funzioni civiche che ancora oggi ricopre, l’edificio è anche scrigno di importanti opere d’arte tra cui spicca l’affresco dell’Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti. A contraddistinguere l’inconfondibile profilo del palazzo è la torre del Mangia, che dai suoi 88 metri di altezza domina un altro simbolo cittadino, piazza del Campo. Di forma emiciclica, simile a una valva di conchiglia, prevede una pavimentazione divisa in nove settori, simbolo del Governo dei Nove della Repubblica, e ospita, com’è noto, il celebre Palio; i senesi lo sanno da tempo immemore: l’area non appartiene ad alcuna contrada ed è quindi super partes durante il Palio. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero NEANDERTAL, L’ALTRA SPECIE UMANA FURONO L’UNICA specie
JOE MC NALLY / NGS
umana nata in Europa e popolarono questo continente per oltre 100.000 anni fino alla loro enigmatica scomparsa, che coincise con l’arrivo dell’Homo sapiens , ovvero della nostra specie. Le relazioni fra i due furono più che strette, come dimostra il fatto che oggi tra l’1 e il 4 per cento del genoma degli europei provenga dagli antenati di Neandertal.
Una Grecia devastata
STORIA DI UN COLOSSO: LA TORRE EIFFEL IL 31 MARZO DEL 1889, Gustave Eiffel inaugurò la torre che porta il suo nome, una delle più straordinarie prodezze tecnologiche eseguite fino a quel momento: una costruzione di più di 300 metri di altezza, che divenne l’edificio più alto del mondo. Questa straordinaria struttura, destinata a commemorare il centenario della Rivoluzione Francese, fu realizzata in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi nel 1889. BRIDGEMAN / ACI
114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
La cruenta guerra del Peloponneso, che vide affrontarsi Atene e Sparta per trent’anni, causò migliaia di vittime civili, che ebbero un tragico destino: furono schiavizzate, assassinate, deportate...
La marina da guerra romana I romani preferivano combattere la guerra terrestre, ma quando si trovarono a dover affrontare Cartagine, per la prima volta allestirono una flotta, la più poderosa dell’Antichità.
Il Cammino di Santiago Nel loro viaggio lungo mesi se non addirittura anni verso Santiago de Compostela, i pellegrini dovevano superare un grande numero di avversità: malattie, predoni, ostici percorsi e calamità di ogni genere.
Il David di Michelangelo La scultura che diede la più grande fama a Michelangelo in vita fu il David, che egli realizzò con un blocco di marmo danneggiato, che altri artisti avevano rifiutato di usare giudicandolo inservibile.