Storica National Geographic - maggio 2017

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N. 99 • MAGGIO 2017 • 4,50 E

IL DAVID DI MICHELANGELO IL PRODIGIO GIOVANILE DEL GRANDE ARTISTA

- esce il 20/04/2017 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1, ne/vr germania 11,00 € - svizzera c. ticino cHF. 9,50- svizzera cHF. 9,90

TORRE EIFFEL

L’ARDITA COSTRUZIONE DEL COLOSSO DI PARIGI

UNA FLOTTA PER L’IMPERO LA MARINA DA GUERRA ROMANA

LA GRECIA DEVASTATA

LE VITTIME CIVILI DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO

IL CAMMINO DI SANTIAGO

art.

772035 878008 9

LA STORIA DELL’ALTRA SPECIE UMANA

70099

NEANDERTAL

periodicità mensile

IL PERICOLOSO VIAGGIO DEI PELLEGRINI MEDIEVALI


campagna di PicNic

IL RINASCIMENTO E LA RIFORMA La diffusione dell’Umanesimo dall’Italia al resto d’Europa portò allo sviluppo del Rinascimento, un’epoca che mise l’uomo al centro dell’universo. Si affermarono nuove tendenze nell’arte, nella letteratura e nella musica, si impose la monarchia autoritaria come forma di governo e l’Occidente fu testimone dei viaggi transoceanici, dell’ascesa della borghesia e della fioritura delle città. La necessità di una ricostruzione spirituale diede origine alla riforma di Lutero, che finì per dividere la cristianità e causò interminabili guerre di religione.

164

pagine

con tutta la qualità Storica NG

In edicola dal 5 aprile


EDITORIALE

A riscrivere

la più antica storia dell’umanità non è né l’archeologia né l’antropologia, come si potrebbe supporre, bensì una disciplina eminentemente scientifica: la paleogenetica. Esattamente ventun anni fa, il biologo svedese Svante Pääbo sottopose per la prima volta all’esame genetico alcuni campioni prelevati dai resti di un neandertaliano scoperto nel 1856. Fino a quel momento, l’Homo sapiens neanderthalensis era considerato il rappresentante di una specie a sé e la sua scomparsa alla fine dell’ultima glaciazione, verso il 40.000 a.C., era attribuita a un processo di selezione naturale darwiniano provocato dall’avvento, sulla scena europea, di una nuova specie “superiore”, l’Homo sapiens sapiens. Oggi, la decifrazione del genoma neandertaliano, la scoperta di una terza specie umana – il cosiddetto “uomo di Denisova” – e l’individuazione della presenza di geni neandertaliani nel nostro DNA tracciano, con le più recenti scoperte paleoantropologiche, un nuovo quadro. Sappiamo ora che neanderthalensis e sapiens si mescolarono, almeno in quelle aree del Vicino Oriente e dell’Europa orientale dove entrarono in contatto per la prima volta. E l’uomo di Neandertal, lungi dal corrispondere all’immagine ottocentesca di una “scimmia umana”, era tutt’altro che primitivo: condivideva con l’uomo anatomicamente moderno capacità tecnologiche, desiderio di abbellirsi, bisogno di tematizzare la morte e uso di sistemi di comunicazione che presuppongono la facoltà del linguaggio. Insomma, il neandertaliano era capace, come il suo parente moderno, di produrre “simboli”. ANDREAS M. STEINER Direttore


Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

N. 99 • MAGGIO 2017 • 4,50 E

IL DAVID DI MICHELANGELO

Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 99

IL PRODIGIO GIOVANILE DEL GRANDE ARTISTA

TORRE EIFFEL

L’ARDITA COSTRUZIONE DEL COLOSSO DI PARIGI

CONSEJERO DELEGADO

ENRIQUE IGLESIAS

via Gustavo Fara 35 20124 Milano

LA MARINA DA GUERRA ROMANA

LA GRECIA DEVASTATA

LE VITTIME CIVILI DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO

IL CAMMINO DI SANTIAGO

DIRECTORAS GENERALES

Direttore responsabile: ANDREAS STEINER

IL PERICOLOSO VIAGGIO DEI PELLEGRINI MEDIEVALI

NEANDERTAL LA STORIA DELL’ALTRA SPECIE UMANA

RICOSTRUZIONE DEL VOLTO DI WILMA, UNA DONNA NEANDERTALIANA, REALIZZATO DA KENNIS & KENNIS. FOTO: JOE MCNALLY / NGS

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4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA TORRE EIFFEL si innalza

sullo Champ de Mars, a Parigi. Il monumento accoglie sette milioni di visitatori ogni anno.

Grandi storie

Rubriche

22 Neandertal, l’altra specie umana La loro enigmatica scomparsa coincise con l’arrivo dei primi Homo sapiens dall’Africa. DI JORDI ROSELL ARDÈVOL

42 La guerra del Peloponneso Per quasi trent’anni i greci si scontrarono in un violento conflitto che colpì soprattutto i civili. DI ANTONIO PENADÉS

54 Le grandi navi da guerra di Roma Abilissimi soldati a terra, i romani seppero però vincere anche contro forti potenze navali. DI ESTEBAN BÉRCHEZ CASTAÑO

68 Il cammino di Santiago Il pellegrinaggio di migliaia di fedeli lungo un percorso costellato di pericoli di ogni genere. DI JAVIER LERALTA

80 Il David di Michelangelo La storia del capolavoro rinascimentale che divenne il simbolo della Repubblica fiorentina. DI INÉS MONTEIRA

92 La Torre Eiffel, il colosso della modernità Per l’Esposizione Universale di Parigi del 1889, Gustave Eiffel eresse una torre di ferro alta più di 300 metri. DI I. LÓPEZ CÉSAR

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ATTUALITÀ PERSONAGGI STRAORDINARI

Olympe de Gouges

Femminista ante litteram, fu ghigliottinata dai rivoluzionari.

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DATA STORICA

1675: proibiti i caffè

Sospetti luoghi di dibattito, furono invisi al potere.

14 VITA QUOTIDIANA

A scuola nel XVII secolo

Fame, fatica, punizioni: la dura vita degli studenti.

18 MAPPA DEL TEMPO

Il planisfero di Cantino Una carta racconta il mondo conosciuto nel Cinquecento.

110 GRANDI INVENZIONI Il francobollo

Nato in Inghilterra nel 1840, si diffuse presto in tutta Europa.

112 LIBRI E MOSTRE 114 PROSSIMO NUMERO

DAVID DI MICHELANGELO. 1504. GALLERIA DELL’ACCADEMIA, FIRENZE. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ALCUNE pagine del Codice Grolier, che rappresentano scene del calendario di Venere.

CIVILTÀ MAYA

ORONOZ / ALBUM

ENRICO FERORELLI / NGS

AT T UA L I T À

Confermata l’autenticità del codice Grolier Uno studio realizzato da diverse università degli Stati Uniti sembra dirimere la controversia a proposito del quarto codice maya

IL CODICE GROLIER,

conservato nel Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico, si aggiunge all’esiguo numero dii codici maya giunti fino a noi: il Codice di Madrid o Tro-Cortesianus (nell’immagine), il Codice di Dresda e il Codice di Parigi.

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N

el 1971, l’antropologo Michael Coe espose presso il Grolier Club di New York un codice maya acquistato pochi anni prima da un collezionista messicano che portava a quattro il numero dei codici maya conosciuti. Il manoscritto, chiamato da allora Codice Grolier, fu al centro di una polemica. Anche se Coe aveva effettuato diverse analisi al carbonio 14 sul documento, che lo datavano fra il 1200 e il 1300, per molti ricercatori il risultato

non era conclusivo poiché nelle sue undici pagine il codice non presenta testo, ma solo rappresentazioni di quello che sembra essere il calendario di Venere.

Autentico o falso? Michael Coe non si diede per vinto, e come professore emerito dell’Università di Yale partecipò a una nuova indagine cui parteciparono esperti delle Università Brown, Harvard e California-Riverside. Lo studio, pubblicato sulla rivista Ar-

queología maya, conclude che il Grolier risale al XIII secolo ed è il libro più antico d’America, e afferma che è quasi impossibile che un falsario abbia creato le illustrazioni a metà degli anni Sessanta, poiché non esistevano le tecniche necessarie per riuscirci. Per esempio, la sintesi del blu maya fu realizzata solo nel 1980. Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia di Città di Messico non si sono pronunciati, riservandosi di farlo dopo una loro ricerca.



PERSONAGGI STRAORDINARI

Olympe de Gouges, femminista antesignana Autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, Olympe si ritagliò un ruolo nella Parigi rivoluzionaria, ma il suo sostegno alla monarchia le costò la ghigliottina

C

ontroversa, incostante e molto scomoda per la Rivoluzione, Olympe de Gouges fu giustiziata nel 1793. Appena prima che la lama cadesse sul suo collo, esclamò: «Figli della Patria, voi vendicherete la mia morte!». Come unica risposta ricevette un unanime «Viva la Repubblica!». Fu battezzata nel 1748, a Montauban, vicino a Tolosa, come Marie Gouze. I suoi genitori erano Anne-Olympe e Pierre Gouze, macellaio, anche se era vox populi che il suo padre biologico fosse l’autore teatrale Jean-Jacques Lefranc, marchese di Pompignan. Imparò a leggere e scrivere a sufficienza per firmare nella sua prima lingua, l’occitano, usata nel sud della Francia tanto dalla gente comune quanto dalla nobiltà. Sposata a forza con Louis-Yves Aubry, ebbe con lui il suo unico figlio. Presto si liberò di quel matrimonio rimanendo vedova e non si sposò di nuovo; per lei il matrimonio era «la tomba della fiducia e dell’amore». Il suo ideale di coppia era un’unione fra uomo e donna attraverso un contratto che – una volta separati – permettesse loro di avere figli legittimi con altre persone.

Paladina della libertà delle donne 1748 Il 7 maggio nasce Marie Gouze nel villaggio di Montauban, in Linguadoca. Appartiene a una famiglia di estrazione borghese.

1770 Con una nuova identità, Olympe de Gouges si trasferisce a Parigi, dove frequenta i salotti letterari.

1789 Scoppia la Rivoluzione Francese, a cui Olympe partecipa attivamente con i suoi scritti.

1791 Nella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina afferma che la donna nasce uguale all’uomo.

Olympe viene condannata e giustiziata per le sue opinioni politiche il 3 di novembre. BRIDGEMAN / ACI

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LOREM IPSUM

1793

Intenzionata a iniziare una nuova vita, cambiò nome. Scelse Marie Olympe Gouges e vi aggiunse un “de”, la particella borghese con cui probabilmente volle celare le sue umili origini. Con questa nuova identità si trasferì a Parigi con il suo amico Jacques Biétrix, la cui generosità le permise di vivere nell’agio e di cercare di raggiungere la fama come scrittrice.

Un talento autodidatta Olympe si adattò bene alla Francia delle apparenze di Luigi XVI e usò il suo ingegno e la sua eloquenza per farsi spazio nell’elegante società parigina, soprattutto nei salotti letterari istituiti da donne. Era il primo passo per diventare una letterata. Nonostante la modesta formazione, accumulò più di 4.000 pagine fra pamphlet, lettere e opere di teatro e testi politici, filosofici e utopici. E riuscì a trasformarsi in “autore”: non in “autrice”, un termine ancora inesistente. Solo il quattro per cento dei francesi leggeva correntemente, perciò il teatro godeva di tanto successo, e Parigi ne era la capitale. Dopo aver assistito a Le nozze di Figaro, di Beaumarchais, nel teatro della Comédie-Française, Olympe scrisse Il Matrimonio inatte-

Nonostante la modesta formazione, scrisse più di 4.000 pagine fra pamphlet e opere politiche e teatrali UNA DONNA SANS-CULOTTE, 1789 CIRCA. MUSEO CARNAVALET, PARIGI.


LA BELLEZZA CHE SEDUSSE I PARIGINI OLYMPE ERA ALTA, dal viso ova-

le, con occhi e capelli mori e una bocca piccola. E non «tanto brutta come sapeva e poteva», secondo l’abate Bouyon, che la accusò di prostituzione. La prova che rispettavsse i canoni di bellezza è la sua inclusione in un omaggio verso le donne più belle e virtuose di Parigi, i cui requisiti non ammettevano le cortigiane: «Escludiamo le donne che trafficano dei loro incanti, non ammettiamo più che quelle generalmente riconosciute come belle; con i tratti della bellezza ben definiti». Di centoquarantadue candidate, risultò la quinta. RITRATTO DI OLYMPE DE GOUGES (1748-1791), O MADAME AUVRY CON IL NOME DA SPOSATA. ANONIMO, MUSEO CARNAVALET, PARIGI.

BRIDGEMAN / ACI

so di Cherubino, incentrato su uno dei personaggi dell’opera. Beaumarchais la accusò di plagio e la rappresentazione non raggiunse mai le scene. Scrisse poi Zamore e Mirza, una pièce che puntava l’attenzione sulla sorte dei neri schiavi nelle colonie e la cui messa in scena fu approvata con qualche esitazione dalla Comédie Française, che dipendeva economicamente dalla protezione dei membri della camera del re. L’opera le procurò l’inimicizia delle famiglie che dovevano la loro ricchezza ai traffici con le colonie e le attirò minacce di morte. Nel settembre del 1785, Olym-

pe si lamentò dei commedianti, provocandone la reazione: essi si rivolsero ad alcuni ministri e ottennero che la pièce fosse ritirata e che la sua autrice fosse oggetto di una lettre de cachet, ovvero di una condanna senza processo che veniva comminata direttamente dal sovrano. Solo grazie alla protezione di persone influenti Olympe sfuggì al carcere.

La voragine della Rivoluzione Madame de Gouges fu la prima a sorpendersi quando finalmente, nel dicembre del 1789, Zamore e Mirza fu rappresentata. Quello stesso anno, gli

Stati Generali di Francia si erano riuniti a Versailles. Ma la rappresentanza del Terzo Stato – lo strato più basso della società – non era equa e questo scatenò la tempesta. Il popolo prese la Bastiglia, i codini sostituirono le parrucche e la coccarda tricolore si diffuse ovunque. Olympe fece la sua parte. Chiese che si provvedessero alloggi per anziani, vedove con figli e orfani, che si organizzassero seminari per disoccupati e che si introducesse una tassa sul lusso. Dimostrava il suo spirito umanistico e il suo impegno sociale, anche se le sue petizioni erano sempre collegate STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

L’ESECUZIONE DI LUIGI XVI

BRIDGEMAN / ACI

ebbe luogo il 21 gennaio del 1793 in Place de la Révolution. XVIII secolo, Biblioteca Nazionale, Parigi.

alla sua situazione personale: aveva un figlio e si preoccupava delle madri, era stata una moglie infelice e reclamava il divorzio, era illegittima ed esigeva il riconoscimento dei figli naturali, aveva appena ricevuto un’educazione e la pretendeva per tutti. Per via della sua posizione moderata, Olympe aveva contro di sé tanto le

élite quanto i radicali. Il 5 ottobre del 1789, giorno della marcia su Versailles, alcuni agitatori irruppero nella sua casa accusandola di rivendicazioni popolari e rimostranze alla famiglia reale. Si presentava come una progressista, ma il suo unico atto rivoluzionario fu chiedere la riduzione delle diseguaglianze. Non smetteva di essere una borghese di

IN DIFESA DEL RE l’abolizione della monarchia, l’Assemblea Nazionale accusò formalmente il re incolpandolo di tradimento alla Francia. Nel dicembre del 1792 si svolse il processo contro Luigi XVI, che mise a confronto i girondini moderati con i giacobini radicali. Olympe si offrì di sostenere la difesa del re come suo avvocato. DUE MESI DOPO

DIFENSORE UFFICIALE DI LUIGI XVI, 1792. MUSEO CARNAVALET, PARIGI. ROGER VIOLLET / CORDON PRESS

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buon cuore, non volle mai allontanarsi dall’aristocrazia, ma guadagnarsela. Perciò difendeva una monarchia riformata e si definiva una «patriota realista», due termini difficili da associare. Non vedeva di buon occhio la sperperatrice Maria Antonietta, ma dispensava il re.

Opinioni mutevoli La forza e la spontaneità con cui agiva furono la sua rovina. Non apparteneva ad alcuna formazione politica, quindi si guadagnò molti nemici. «Fluttuava da un partito all’altro a seconda delle onde del suo cuore», scrive Jules Michelet in Storia della Rivoluzione Francese (1847-1853). I suoi argomenti erano mutevoli e finì per diventare «controrivoluzionaria». Molto colpita dalla cattura della famiglia reale durante la fuga, prese le difese di Luigi XVI, per tornare poi al repubblicanesimo. Infine, difese


I DIRITTI DELLA DONNA

MONTAUBAN. In questa città del sudest della Francia bagnata dalle acque del fiume Tarn nacque Olympe de Gouges.

articoli della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina sono più di una semplice risposta all’omonimo testo sull’uomo. Sono un’inedita rivendicazione di uguaglianza. Olympe rimproverava agli uomini rivoluzionari di non aver voluto risolvere il problema della disuguaglianza e affermava che era giunto il momento delle donne di lottare per se stesse.

PATRICK ESCUDERO / GTRES

BRIDGEMAN / ACI

I DICIASSETTE

CLUB PATRIOTTICO DI DONNE. DEI FRATELLI LESUEUR. XVIII SECOLO.

il federalismo plebiscitario e con esso firmò la sua condanna a morte. Fra gli aspetti che la Rivoluzione difese per poi abbandonare vi era la partecipazione alla vita pubblica delle donne, che non avevano «la facoltà di assistere ad alcuna assemblea politica». Delusa, Olympe pubblicò nel settembre del 1791 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Considerato il primo manifesto femminista, iniziava così: «La Donna nasce libera e rimane uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune». In esso reclamava l’uguaglianza giuridica e legale delle donne e sosteneva riforme che sarebbero state introdotte solo dal XX secolo, come il suffragio universale, il divorzio e la regolarizzazione delle coppie di fatto. L’inizio della sua fine lo segnò un manifesto dove proponeva che ogni Paese scegliesse fra tre tipi di governo:

repubblicano, federale o monarchico. Non lo firmò, ma un’accusa la portò davanti al Tribunale, per «pretendere un’altra forma di governo che non fosse la repubblica», e da lì alla Conciergerie, il carcere, dove continuò a scrivere contro il terrore giacobino e Robespierre, il suo leader, che per lei, che si era schierata con i girondini, non era «altro che obbrobrio ed esecrazione».

Verso il patibolo Olympe fu ghigliottinata due settimane dopo Maria Antonietta. «Se la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente quello di salire alla Tribuna», aveva scritto. A lei fu negata la tribuna. Fu schernita, ripudiata e presto dimenticata. Olympe de Gouges non fu «la donna più virtuosa del suo tempo», come si autodefinì, ma «un’ignorante cui dobbiamo grandi scoperte», come osservò Mirabeau (1749-1791), attivista

e teorico della Rivoluzione Francese. Molti dei suoi coetanei la considerarono una ribelle senza causa, ma le sue azioni seguivano una strategia minuziosamente pianificata. Ebbe il coraggio di sollevare temi che gli stessi rivoluzionari trascurarono e mostrò di possedere grande spirito d’intraprendenza: le origini modeste e la mancanza di istruzione non le impedirono di emanciparsi e di dare coraggiosamente voce alle sue convinzioni, sostenendo in modo concreto, a differenza di molti, il motto «liberté, égalité, fraternité». LAURA MANZANERA SCRITTRICE

Per saperne di più

SAGGI

Olympe de Gouges e i diritti della donna Sophie Mousset. Argo, Lecce, 2005. TESTI

Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina Olympe de Gouges. Caravan Edizioni, Roma, 2012.

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DATA S TO R I C A

1675: il re d’Inghilterra proibisce i caffè

CAFFETTIERA D’ARGENTO REALIZZATA VERSO IL 1770-1776.

Nel XVII secolo, le coffee-houses si trasformarono in fori di dibattito politico, e gli sconvolgimenti rivoluzionari del XVIII secolo esportarono questo ruolo nei caffè del continente

L

a prima coffee-house fu aperta a Londra nel 1651 da Pasqua Rosée, il maggiordomo armeno di un commerciante inglese che si era abituato al consumo di caffè mentre viaggiava nel Mediterraneo orientale. Nella puritana epoca di Oliver Cromwell, allora governatore dell’unica Repubblica che conobbe l’Inghilterra, il suo successo fu immediato. Rispetto a vino e birra, il caffè non interferiva su un comportamento caro ai puritani, la sobrietà; inoltre il suo effetto stimolante assicurava la lucidità e la capacità di lavorare a lungo, una qualità gradita a tutti, dagli scrittori ai mercanti.

IL CAFÉ LLOYD’S DI LONDRA, DI GEORGE WOODWARD. 1798. I CAFFÈ LONDINESI NON AMMETTEVANO LE DONNE. UIG / ALBUM

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Quando nel 166o, con Carlo II, la monarchia fu restaurata, a Londra si contavano 63 coffee-houses, in cui si discuteva di ogni tipo di questioni, politica inclusa. Sir William Coventry, uno dei fedelissimi del sovrano, ricordava che sotto Cromwell i sostenitori di Carlo si riunivano nelle coffee-houses, e che «gli amici del re avevano goduto di una maggiore libertà d’espressione in questi luoghi di quella che avrebbero osato esercitare in qualsiasi altro». Se nel 1675 il sovrano cercò di proibire le coffee-houses, fu perché era cosciente del ruolo che questi luoghi ricoprivano come fori di discussione e critica dell’azione di governo.

BRIDGEMAN / ACI

Ma l’intento del re di sopprimere questi locali sollevò una tale ondata di indignazione che il governo dovette tornare sui propri passi, autorizzando a mantenerli aperti altri sei mesi se i proprietari avessero pagato 500 sterline e avessero pronunciato un giuramento di lealtà. Queste imposizioni furono unanimemente ignorate e i caffè rimasero aperti.

Caffè di Londra Se gli inglesi si erano tanto irritati per il divieto era perché i caffè erano divenuti parte della vita quotidiana della nuova Inghilterra liberale e borghese, signora di un prospero impero mercantile. In questi locali si riunivano gli uomini d’affari, e con il tempo questi incontri diedero alla luce importanti istituzioni economiche, come il Lloyd’s, dal quale nacque la compagnia assicurativa. Altri caffè attraevano poeti e letterati, che come gli scienziati della Royal Society proseguivano i loro dibattiti in questi locali. Non era strano che le coffee-houses fossero chiamate «penny universities», perché al prezzo di una tazza di caffè chiunque poteva assistere a quelle discussioni e parteciparvi. I caffè londinesi disponevano di lunghe tavolate di legno dove il padrone lasciava candele, pipe e periodici, rendendo questi locali luoghi adatti alle discussioni di gruppo, una voca-


LE COFFEEHOUSES SONO PERICOLOSE IL 29 DICEMBRE 1675, Carlo II d’Inghilterra emise un Proclama per la soppressione delle coffee-houses. In questo documento si spiegava con chiarezza perché la Corona avversasse questi locali: «Hanno prodotto effetti molto maligni e pericolosi […] poiché in queste istituzioni […] si tramano e si diffondono diverse notizie false, maliziose e scandalose per la diffamazione del governo di Sua Maestà e l’alterazione della pace e della tranquillità del regno», motivo per il quale «Sua Maestà ha considerato giusto e necessario che si chiudano e sopprimano i citati caffè». PROCLAMA PER LASOPPRESSIONE DELLE COFFEE-HOUSES DI CARLO II D’INGHILTERRA. 1675. ARCHIVI NAZIONALI DI LONDRA. BRIDGEMAN / ACI

zione rinforzata dal carattere democratico di tali istituti: come osservò il poeta Samuel Butler, lì «il gentiluomo, il manovale, l’aristocratico e il poco di buono, tutti si mescolano e tutti sono uguali». I partiti politici approfittarono di questo movimento di gente e idee, e molto presto whigs (liberali) e tories (conservatori) divulgarono le loro posizioni dai caffè.

Tavoli per la rivoluzione A metà del XVIII secolo, anche i cafés di Parigi erano luoghi d’incontro per gli intellettuali e si erano trasformati nel rifugio del pensiero illuminista. Diderot compilò l’Enciclopedia nel

Café de la Régence, e fra i clienti del Procope figuravano lo stesso Diderot, d’Alembert e Rousseau. Tuttavia, nei cafés parigini si respirava un’atmosfera meno vivace di quella dei locali di Londra, in particolare perché in Francia stampa e opinione erano sottoposte a una ferrea censura e quanto si diceva nei cafés poteva finire alle orecchie delle autorità: «Jean-Louis Le Clerc fece i seguenti commenti nel Café Procope: che non era mai esistito re peggiore; che la corte e i ministri fanno sì che il re compia atti vergognosi, che disgustano in particolar modo il suo popolo», diceva un’informativa del 1749.

Ma nel luglio del 1789, lo scontro fra i deputati degli Stati Generali e la Corona accrebbe bruscamente la temperatura politica, e davanti agli ingressi e alle vetrine dei cafés la gente si accalcava per ascoltare gli oratori che inveivano contro il governo salendo su sedie e tavoli. La tensione scoppiò il giorno 12, quando l’avvocato e giornalista Camille Desmoulins, deputato per il terzo stato, salì su un tavolo del Café de Foy e arringò la folla: «Alle armi!»; due giorni dopo, il popolo prendeva la Bastiglia. E il café era divenuto parte della cultura politica europea. JOSEP MARIA CASALS STORICO

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

La vita di uno studente nel XVII secolo Fra i 10 e i 18 anni i ragazzi studiavano nei collegi, con maestri malpagati che insegnavano solo latino

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creati collegi, finanziati e controllati dai comuni o ben amministrati da ordini religiosi, come quello dei gesuiti, che arrivarono a essere considerati i più prestigiosi. Gli alunni entravano in collegio intorno ai dieci anni, generalmente in regime di pensione, soprattutto quelli che provenivano dalla campagna o da piccoli villaggi e si trasferivano a studiare in una città più grande. In Francia, la meta preferita era Parigi, che nel XVII secolo contava circa cinquanta collegi, che variavano per dimensioni e reputazione. Durante gli otto anni UN GRUPPO DI STUDENTI della durata del ciclo completo dell’iassiste a una lezione. struzione secondaria, l’alunno viveva Miniatura di Giovanni Pietro Chiusi in collegio praticamente rinchiuso in collegio, Birago. XV secolo. Biblioteca Trivulziana, Milano. L’educazione secondaria veniva im- sottoposto a una disciplina molto partita nei collegi. Originariamente rigida che viene dettagliatamente dequesti erano residenze di studenti scritta negli statuti dei collegi di Parigi universitari che con il tempo andarono promulgati nel 1598 e successivamente assumendo funzioni di insegnamento riconvalidati. Per esempio, era proibito era presidiato da un sorvegliante. Le preuniversitario. Il loro esempio fu uscire dal collegio senza il permesso porte del collegio venivano chiuse alle imitato in molte città, dove vennero del direttore, motivo per cui l’ingresso nove di sera e il custode consegnava le chiavi nelle mani del direttore. I pensionanti dovevano assistere ogni giorno alla messa e mangiavano quotidianamente insieme con il direttore del collegio e i professori. Inoltre, era MENTRE I MASCHIETTI andavano in collegio, proibita la lettura di libri profani ed le bambine di buona famiglia potevano enera anche stabilito che il direttore del trare come pensionanti in convento, dove collegio e i suoi subordinati visitassero venivano loro insegnate le buone maniere. In ogni mese le stanze dei pensionanti Francia, le monache orsoline e visitandine si per sincerarsi che essi non nasconspecializzarono nell’educazione femminile. dessero libri «di dottrina sospetta, GIOVANI CHE RICAMANO. LE SIGNORINE DI SAINT-CYR. XVII SECOLO. o armi o ancora altri oggetti contrari alla disciplina scolastica». ORONOZ / ALBUM

ei secoli XVI e XVII vennero fatti importanti sforzi per estendere l’educazione primaria attraverso una nuova rete di scuole parrocchiali, gratuite o molto economiche, che insegnavano a leggere, scrivere e fare di conto. L’educazione secondaria, invece, rimase limitata alle famiglie economicamente privilegiate, come quelle della nobiltà e della borghesia medio-alta, che in questo modo cercavano di facilitare l’accesso dei loro figli a carriere professionali di prestigio, come la magistratura, l’amministrazione o la Chiesa.

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SCUOLE DI MONACHE

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Permesso copiare in collegio POICHÉ TUTTO L’INSEGNAMENTO

girava intorno all’apprendimento del latino, le lezioni si trasformavano in una routine poco stimolante per gli alunni, che finivano per cadere nella legge del minimo sforzo. Il protagonista del romanzo Francion ricordava come, dovendo produrre composizioni in versi o testi di prosa, lui e i suoi compagni si limitassero a copiare frammenti degli autori antichi o testi dei manuali. Più accattivanti erano le discussioni, in cui gli alunni si ponevano domande fra loro per dimostrare la loro preparazione e competere per il posto di primo della classe o “imperatore”.

Questa vita da reclusi era molto difficile da sopportare per dei giovani. «Ero più rinchiuso di un religioso nel chiostro, ed ero costretto ad assistere al servizio divino e alla lezione a determinate ore, poiché tutto era stabilito», racconta il protagonista di un romanzo pubblicato nel 1623, Storia comica di Francion, di Charles Sorel, ricordando la sua permanenza in un collegio di Parigi. E anche se gli statuti esigevano che le pensioni offrissero un buon trattamento ai ragazzi e che le strutture brillassero, nella letteratura del periodo è assai comune la figura del povero pensionante affamato per-

ché l’amministratore della pensione lesina quanto più possibile sui pasti. Il protagonista di Storia comica di Francion racconta come ogni giorno otto alunni dovessero dividersi una misera coscia di pollo, anelassero l’ostia e non venisse loro data legna per riscaldarsi durante l’inverno.

erano chiamate di grammatica; la 2ª era di umanistica e l’ultima di retorica. Seguivano due anni di filosofia, un ciclo “preuniversitario” che non tutti i collegi offrivano. Al suo termine si otteneva il titolo di baccalaureato, che permetteva di intraprendere la carriera universitaria, studiando diritto, medicina o teologia. Immersione nel latino A quell’epoca non vi erano materie Al suo arrivo in collegio, l’alunno ve- per come le conosciamo oggi. Le leniva esaminato per essere assegna- zioni erano basate sullo studio di testi to alla classe cui la sua preparazione letterari dell’Antichità, a partire dai corrispondeva. In Francia vi erano quali i professori insegnavano le regole sei classi, numerate in senso inverso, della grammatica e facevano eseguire dalla 6ª alla 1ª. Le classi dalla 6ª alla 3ª agli studenti esercizi di traduzione ed STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

PULITI E BEN EDUCATI GLI ALUNNI dei collegi francesi

dovevano curare il loro aspetto: «I maestri veglieranno che i loro alunni siano ben vestiti e lavati e acquisiscano abitudini civili ed eleganti, non mostrino atteggiamenti sconvenienti, non portino i capelli laccati e acconciati con arte e puerile attenzione».

elaborazione. L’unica differenza fra le diverse lezioni era il grado di difficoltà dei testi. L’obiettivo era che gli studenti imparassero a leggere, scrivere e parlare in latino (a volte anche in greco), lingua al tempo indispensabile volendo dedicarsi al diritto o intraprendere la carriera ecclesiastica. Perciò, ogni attività in classe doveva essere condotta in latino: «Quando un professore o un pedagogo interroga un alunno, gli impartisce un ordine o fa un’osservazione, deve farlo in latino». Gli alunni erano obbligati a

SALAMANCA fu sede di una

delle università più prestigiose d’Europa. Nell’immagine, la biblioteca universitaria.

rotondo e un vestito chiuso da una cintura. Gli statuti sollecitavano il professore a non scherzare né ad avere un atteggiamento di familiarità con gli alunni. Le punizioni fisiche erano all’ordine del giorno. Il protagonista del già citato romanzo Storia comica di Francion ricordava di avere un professore «dall’aspetto terribile, che Professori e alunni camminava sempre con un bastone La disciplina nelle classi era rigida. Il in mano, di cui sapeva servirsi al meprofessore aveva una tenuta solen- glio». Quando agli studenti toccava ne: portava una parrucca e indossava in sorte un professore di questo tipo una tunica che gli arrivava ai talloni, dovevano armarsi di pazienza, perché con larghe maniche e una mantellina. avrebbero avuto lo stesso docente per Gli studenti portavano un berretto tutte le ore di insegnamento e per tutto l’anno scolastico, sebbene pare fosse anche comune avere un professore al mattino e uno al pomeriggio. Secondo un regolamento del Come era uso nelle università me1598, la prima lezione in collegio dievali, gli alunni pagavano i loro proiniziava alle 6 di mattina fessori, in teoria volontariamente, anche se di fatto erano stabilite taUN BAMBINO DORME SUI COMPITI. XIX SECOLO. MUSEO DI BELLE ARTI, CADICE. riffe a seconda del livello del corso

OR ON / OZ

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impiegare il latino anche per parlare fra loro. L’uso della lingua volgare era considerato una mancanza tanto grave quanto non assistere alla messa, e il nome di chi lo faceva veniva inserito in un elenco di trasgressori che ogni settimana il vigilante presentava al direttore del collegio.

ORONOZ / ALBUM

AKG / ALBUM

LOREMUSDS

LEZIONE DI GRAMMATICA. FORMELLA. LUCA DELLA ROBBIA. XV SECOLO. MUSEO DEL DUOMO, FIRENZE.


L’autorità del maestro, come quella del re NELL’INCISIONE del 1691 è rappresentato Luigi XIV come un maestro che punisce i suoi alunni discoli, ovvero,

JEAN-GILLES BERIZZI / RMN-GRAND PALAIS

i nemici alleatisi contro di lui. Se come re sostiene lo scettro, come maestro sostiene un tipo di verga che compare in molte illustrazioni come lo strumento di punizione più comune.

PAGINA DI UN ALMANACCO FRANCESE DEL 1691. INCISIONE. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

e dell’uso del pensionato. Il salario che ne risultava era spesso piuttosto modesto, e questo si ripercuoteva, ovviamente, sulla qualità del corpo docente, almeno nei collegi meno prestigiosi. A proposito di un professore, il protagonista di Storia comica di Francion commenta che «era il più grande asino che fosse mai salito su di una cattedra. Non ci spiegava altro che sciocchezze e ci faceva sperperare il tempo in infinite futilità».

Due settimane di vacanze L’orario scolastico era esteso. Secondo gli statuti citati, nei collegi di Parigi venivano impartite sei ore di lezione ogni giorno: dalle sei alle sette del mattino, dalle otto alle dieci, dalle dodici all’una e dalle tre alle cinque del pomeriggio. Un regolamento del 1626 indicava una distribuzione diversa: dalle otto alle undici del mattino e dalle due alle cinque del pomerig-

gio (dalle tre alle sei in primavera ed estate). Era stabilito anche che ogni giorno si dedicasse un’ora di ripasso per «imparare i precetti e le regole e approfondirle con il professore», e altre due ore, una di mattino e una di pomeriggio, destinate a «comporre versi o prosa e a discuterne». Anche nella giornata del sabato erano previste lezioni, ma soltanto di mattina. Secondo lo stesso regolamento, quel giorno veniva effettuata una verifica dei progressi degli alunni, che dovevano «recitare a memoria ciò che avevano imparato durante tutta la settimana ed essere interrogati minuziosamente su ciò che è particolarmente importante conoscere». Era anche stabilito che dovessero presentare al direttore del collegio «le composizioni eseguite, e sarebbero stati castigati coloro che non avessero presentato almeno tre tesi o frammenti di francese tradotti in greco

o in latino e firmati dal professore per evitare qualsiasi inganno». Le vacanze scolastiche erano sorprendentemente brevi rispetto a oggi: gli studenti di grammatica avevano appena quindici giorni, dal 14 settembre al 1° ottobre; quelli di retorica e umanistica, tre settimane, dal 7 di settembre al 1° ottobre, e quelli di filosofia avevano un mese di vacanze. Bisogna tenere conto, tuttavia, che nel calendario religioso dell’epoca abbondavano i giorni festivi, quindi durante l’anno tanto gli alunni quanto i professori godevano di giorni di riposo aggiuntivi. JESÚS VILLANUEVA

STORICO

Per saperne di più

SAGGI

La vita degli studenti nel Medioevo L. Moulin. Jaca Book, Milano, 1992. TESTI

Il pedante gabbato Cyrano de Bergerac.

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MAPPE DEL TEMPO

Il planisfero di Cantino Nel 1502, un cartografo portoghese elaborò un planisfero che riportava le scoperte effettuate dai naviganti lusitani e spagnoli in America, Africa e Asia. La preziosa carta fu acquisita clandestinamente da un emissario del duca di Ferrara

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ei primi decenni del XVI secolo, la cartografia nautica fu oggetto di un’importante evoluzione. Le mappe che fornivano le prime rappresentazioni del Nuovo Mondo si caratterizzavano per una grande ricchezza di contrasti, frutto della commistione tra l’espe-

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rienza diretta dei primi esploratori, la sopravvivenza di immagini della tradizione medievale e l’enciclopedico lavoro di raccolta di fonti orali e scritte. Un interessante esempio di questi lavori è il Planisfero di Cantino, realizzato nel 1502, sul quale il cartografo riportò le informazioni raccolte sulle

nuove rotte portoghesi fino all’India e alle coste brasiliane. Con questo lavoro egli non soltanto rappresentò un vasto insieme di conoscenze politiche ed economiche, ma inaugurò una nuova epoca per le carte di navigazione. Il planisfero è composto da sei fogli di pergamena montati su una tela di


IL PLANISFERO DI CANTINO conserva molte caratteristiche della cartografia e della visione del mondo del Medioevo. Per esempio, Gerusalemme è isolata e raffigurata al centro della carta, perché rappresenta la capitale simbolica della Cristianità, e sono illustrati luoghi mitici come il regno del prete Gianni (sotto la rosa centrale) e i Monti della Luna. ORONOZ / ALBUM

220 per 105 centimetri. Il suo autore non è noto con certezza, ma se ne attribuisce la paternità a un cartografo portoghese; esso fu acquisito clandestinamente da Alberto Cantino, un agente infiltrato del duca di Ferrara a Lisbona, che lo vendette a Ercole I d’Este, alla fine del 1502, in cambio di dodici ducati d’oro. In un periodo in cui le conoscenze su nuovi territori garantivano una consistente superiorità strategica e commerciale alle nazioni in espansione, mappe che certificassero l’esistenza di tali territori si proteggevano come autentici segreti di Stato: non desta dunque meraviglia che il duca d’Este

desiderasse il planisfero. Nel 1592 la mappa fu trasferita presso la Biblioteca Estense di Modena e vi rimase fino alla metà del XIX secolo. Nel 1873, dopo che se ne erano perse le tracce in seguito a un saccheggio, Giuseppe Boni, allora direttore della biblioteca, ritrovò casualmente il planisfero a Modena, appeso a una parete di una salumeria.

Un mappamondo Il planisfero è il primo documento a raccogliere notizie dei viaggi di Vasco da Gama impegnato

VASCO DA GAMA. MINIATURA DAL LIVRO DE LISUARTE DE ABREU. 1524. BIBLIOTECA PIERPONT MORGAN, NEW YORK. AKG / ALBUM


MAPPE DEL TEMPO

Dal portolano medievale al moderno mappamondo NELLO STILE delle carte nautiche o portolani medievali, il planisfero di Cantino presenta una rete di rose dei venti, cerchi provvisti di 32 punte che definiscono i corsi di navigazione. Sulla mappa si contano 32 piccole rose disposte a intervalli regolari all’interno di due circonferenze che si toccano su una grande rosa centrale. Vediamo anche una scala grafica in leghe che permetteva di calcolare le distanze. Il

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planisfero combina questo sistema di corsi nautici con l’indicazione dell’Equatore, dei tropici del Cancro e del Capricorno e del Circolo Polare Artico, che fungono da riferimenti per la navigazione moderna, basata sull’osservazione astronomica e il calcolo delle latitudini. Il planisfero riporta anche il meridiano che, in base al trattato di Tordesillas, separava le zone di dominio portoghese e spagnolo.

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NELPLANISFERO DI CANTINO, SOPRA, COMPAIONO DUE CIRCONFERENZE FORMATE DA UNA SUCCESSIONE DI ROSE DEI VENTI. DISEGNI CONTRASSEGNANO ALCUNI DEI LUOGHI GEOGRAFICI SOTTO I DOMINI SPAGNOLO E PORTOGHESE. ORONOZ / ALBUM

nella ricerca di una rotta marittima verso l’India (1497-1499) e di Pedro Álvares Cabral alla scoperta delle coste brasiliane (1500-1501). I dati forniti dagli ultimi viaggi di Cristoforo Colombo permisero la compilazione della parte sulle Indie Occidentali e sulla costa oggi venezuelana, e si è anche riconosciuta una possibile rappresentazione della penisola della Florida, ufficialmente scoperta undici anni più tardi. Lungo la costa atlantica dell’Africa, dal Capo di Santa Maria fino a quello di Buona Speranza, si possono osservare i padrões, croci di pietra collocate dagli esploratori Diogo Cao e Bartolomeo 20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Diaz durante la prima circumnavigazione del continente. Sopra di essi sono raffigurati indigeni posti di fronte alla fortezza di São Jorge da Mina, fondata nel 1488 da Giovanni II del Portogallo, e il profilo della Sierra Leone, raffigurata come un animale che reca la bandiera portoghese. Lungo la costa del Brasile, su uno sfondo di vegetazione lussureggiante, spiccano variopinti pappagalli. Dopo la mappa di Juan de la Cosa (1500), queste sono le prime raffigurazioni delle coste americane. La rappresentazione delle terre del Nuovo Mondo costituiva una grande sfida per un cartografo: né gli schemi dei portolani medievali, im-

postati sul Mediterraneo, né l’eredità scientifica di Tolomeo offrivano infatti un modello per l’ubicazione del continente americano.

Linea di demarcazione La struttura delle carte nautiche, o portolani, non cambiò in modo sensibile nel corso del XV secolo. Esse presentavano una serie di rose dei venti dalle quali prendevano origine linee rette che si intersecavano, formando un reticolo. Questi documenti permisero la navigazione di cabotaggio fino alla fine dell’epoca medievale: la bussola consentiva infatti di seguire queste direttrici, tenendo costantemente la


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1 Coste del Brasile

Scoperte dal portoghese Pedro Álvares Cabral nel 1500. La carta mostra un dettaglio con pappagalli nella foresta tropicale.

2 Linea divisoria

«Questo è il limite tra Castiglia e Portogallo», dice il testo in portoghese che accompagna la frontiera stabilita nel 1494.

3 Isole caraibiche

Le «isole Antille del re di Castiglia» sono raffigurate dettagliatamente. Su Hispaniola è puntata una bandiera della Castiglia.

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4 Africa

Qui si osservano il simbolo della Sierra Leone e la fortezza di São Jorge da Mina, importante base commerciale portoghese.

5 Monti della Luna

Questi mitici monti erano collocati sotto la linea dell’Equatore. A sinistra si vedono due padrões, croci di pietra.

6 Golfo Persico

È rappresentato in modo molto schematico, come un grande lago di forma rettangolare.

linea della costa come punto di riferimento visivo. Però questo sistema non era utilizzabile quando la costa non era visibile, come accadeva durante la navigazione transatlantica. Apparentemente, il planisfero di Cantino conserva questo sistema, ma è la prima carta a includere la linea dell’Equatore, i tropici e il Circolo Polare Artico: il planisfero testimonia con ciò l’inizio della localizzazione basata sul calcolo della latitudine (la distanza rispetto all’Equatore), che si determinava attraverso l’osservazione della variazione dell’altezza del Sole e delle stelle. La mappa testimonia dunque la transizione dalla navigazio-

ne medievale con la bussola a quella moderna o astronomica. Il planisfero di Cantino è importante anche perché vi compare per la prima volta una linea che divise il globo in due zone: quelle che spagnoli e portoghesi si spartirono con il trattato di Tordesillas, firmato dai Re Cattolici e da Giovanni II del Portogallo nel 1494. Questa linea fu stabilita 370 leghe a ovest di Capo Verde, ma i limiti scientifici dell’epoca davano origine a imprecisioni e a spostamenti per rispettare la suddivisione concordata. Così nacque una cartografia di natura diplomatica, che sfruttava la mancanza di conoscenze per manipolare i dati e

certificare l’inclusione di un territorio concreto all’interno di un impero. Tutto ciò trasforma il planisfero di Cantino in un fondamentale punto di riferimento cartografico: oltre a fornire una sintesi delle conoscenze geografiche e nautiche dell’epoca, è un magnifico esempio di ricerca di modelli grafici in grado di riflettere la profonda trasformazione nella percezione del mondo. JOAN CARLES OLIVER TORELLÓ UNIVERSITÀ DELLE ISOLE BALEARI

Per saperne di più

SAGGI

La storia del mondo in dodici mappe J. Brotton. Fentrinelli, Milano, 2015.

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SGUARDO ATTRAVERSO IL TEMPO

A partire da diversi resti fossili, i paleoartisti Adrie e Alfons Kennis hanno realizzato la ricostruzione di una muscolosa donna neandertaliana alta 1,50 m, di un impressionante realismo. Qui vediamo il dettaglio del volto. JOE MCNALLY / NGS

L’ALTRA SPECIE UMANA

NEANDERTAL La loro stirpe nacque 500.000 anni fa, e furono in grado di resistere all’ultima glaciazione. La loro enigmatica scomparsa coincide con l’arrivo dei primi sapiens (i nostri antenati) provenienti dall’Africa JORDI ROSELL ARDÈVOL UNIVERSITÀ ROVIRA I VIRGILI (TARRAGONA)



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ove sarebbero potute arrivare la cultura e la tecnologia degli uomini di Neandertal se non fossero scomparsi? Questo esercizio di fantapreistoria è uno dei molti interrogativi che si pongono i ricercatori che si dedicano allo studio del mondo neandertaliano. Le recenti scoperte e le nuove tecniche di investigazione ci permettono di confrontare sempre meglio le capacità culturali e cognitive dei Neandertal con quelle dei loro congeneri africani dello stesso periodo: gli antenati più diretti della nostra specie, Homo sapiens.

LA PARETE ROCCIOSA CON LA GROTTA DELLA VALLE DI NEANDER DOVE FURONO TROVATI I RESTI DI NEANDERTAL 1. FOTOGRAFIA DEL 1910.

Possiamo considerare i Neandertal come gli ultimi rappresentanti di una stirpe umana sviluppatasi in Europa tra 500.000 e 40.000 anni fa. Secondo molti studiosi, i rappresentanti più antichi di questa stirpe costituiscono una specie propria: l’Homo heidelbergensis, al quale apparterrebbero i resti rinvenuti in siti come Sima de los Huesos nella Sierra de Atapuerca (Spagna), Mauer (Germania), Petralona (Grecia) o Arago (Francia). Gli studi genetici dei fossili di Sima de los Huesos sembrano confermare la parentela diretta tra queste popolazioni europee, e tra esse e le popolazioni neandertaliane successive. Saremmo, dunque, di fronte a una linea evolutiva propria e indipendente, che si può distinguere chiaramente dalla stirpe sapiens che ebbe origine in Africa in quello stesso periodo. Si sa poco dell’origine e del comportamento degli heidelbergensis, i primi rappresentanti della stirpe neandertaliana. I siti risalenti a 500.000 e 400.000 anni fa sono pochi in Eurasia e non è possibile addentrarsi con certezza in questi contesti. A quanto pare, all’incirca 750.000 anni fa le prime popolazioni che occupavano l’Europa da oltre un milione di anni iniziarono a declinare fin quasi a scomparire. L’assenza di insediamenti posteriori indica un lungo vuoto di popolazione in Europa che ebbe termine circa 550.000 anni fa con l’arrivo degli heidelbergensis, probabilmente da un qualche punto dell’Asia. Essi introdussero nel nostro continente l’acheulano, una

AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY / NGS

I primi Neandertal

La scoperta della valle di Neander NEL 1856, I LAVORATORI di una cava situata nel-

la valle di Neander, nei pressi di Düsseldorf, in Germania, recuperarono uno scheletro umano di insolite caratteristiche tra i sedimenti fossili provenienti dalla caverna di Feldhofer. Ben presto ci si cominciò a domandare se quelle ossa potessero appartenere al gradino evolutivo perduto tra gli esseri umani e le grandi scimmie. Fu il geologo William King a dare ai fossili il nome di Homo neanderthalensis, «Uomo di Neandertal»; per la scienza era nata una nuova specie umana. Resti simili a quelli di Neandertal e rinvenuti anni prima in altri luoghi – come Engi (Belgio) o Forbes Quarry (Gibilterra) –, che inizialmente erano stati attribuiti a individui malformati, furono interpretati come appartenenti all’uomo di Neandertal.

CALOTTA CRANICA RINVENUTA NELLA GROTTA DI FELDHOFER CON ALTRI RESTI BATTEZZATI CON IL NOME DI NEANDERTAL 1. SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

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NEL 1908 FU TROVATO UNO SCHELETRO NEANDERTALIANO A LA-CHAPELLE-AUX-SAINTS (FRANCIA). L’ANNO SEGUENTE, L’ARTISTA CECO FRANTISEK KUPKA REALIZZÒ QUESTA RICOSTRUZIONE.

L’UOMO DI NEANDERTAL IN UNA ILLUSTRAZIONE DEL 1910.

ESSERI BESTIALI

La prima visione dei Neandertal si inserisce nel contesto imperialista europeo del XIX secolo e dell’inizio del XX. Quegli esseri preistorici non potevano somigliare agli umani moderni (all’uomo bianco che dominava il mondo), e per questo venivano rappresentati come esseri rozzi e dall’aspetto scimmiesco, inseriti in un ambiente ostile dominato da belve feroci.

FOTO: PAUL D. STEWART / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

RICOSTRUZIONE DI UN UOMO DI NEANDERTAL REALIZZATA NEL 1916.


Nuova prova genetica

I Neandertal erano privi di mento.

I Neandertal possedevano una versione del gene FOXP2, legato alla capacità di linguaggio.

La parte centrale del volto dei Neandertal era più proiettata in avanti rispetto a quella degli esseri umani moderni.

Le grandi arcate sopraccigliari unite alla fronte inclinata all’indietro davano ai Neandertal un aspetto accigliato.

Una varietà del gene MC1R diede ai suoi portatori capelli rossi e pelle chiara.

TRATTI NEANDERTALIANI

45.000 anni fa, si ritrovarono in un mondo che era già abitato. Dal punto di vista genetico, gli uomini di Neandertal erano per il 99,5 % identici agli uomini moderni, ma nel corso di centinaia di migliaia di anni di evoluzione nel freddo clima eurasiatico avevano sviluppato tratti anatomici differenti.

QUANDO I NOSTRI antenati emigrarono dall’Africa all’Eurasia, più o meno

Faccia a faccia con i Neandertal

La maggior parte degli adulti aveva gli incisivi molto usurati, probabilmente perché li usava come una «terza mano» per tenere le pelli e altri oggetti mentre li lavorava con gli utensili.

Anche nelle femmine, come in questo cranio di Gibilterra, le arcate sopraccigliari erano grandi: abbracciavano tutta la parte superiore dell’orbita e si estendevano fino a metà del volto.

JUAN VELASCO, NG. CRANI FOTOGRAFATI NEL MUSEO DI STORIA NATURALE DI LONDRA

CRANIO DI UOMO MODERNO

CRANIO DI NEANDERTAL

I grandi seni paranasali davano all’arcata mascellare superiore e agli zigomi dei Neandertal un aspetto voluminoso.

Il naso grande, che era considerato un adattamento per riscaldare l’aria fredda nei luoghi a clima rigido, è forse un tratto ereditato dagli antenati.

La volta cranica dei Neandertal non era alta come la nostra; il cranio aveva un profilo più piatto e tondeggiante, che si può apprezzare soprattutto guardandolo da dietro.


J. MCNALLY, B. MORSER, D. LIITTSCHWAGER / NGS

SCHELETRO UMANO MODERNO

* Dati consigliati da Dipartimento dell’Agricoltura degli U.S.A. per una donna di corporatura media (1,63 metri di statura e 62,6 chili di peso) che pratica attività con sforzo da lieve a moderato

2200 Calorie/giorno

FABBISOGNO CALORICO QUOTIDIANO

Le gambe corte riducevano la superficie corporea per trattenere il calore.

I muscoli grandi aumentavano al massimo l’azione delle leve e davano una forza eccezionale.

Le robuste ossa delle estremità, capaci di sostenere grandi muscoli, si svilupparono in risposta a uno stile di vita molto duro.

Il corpo tarchiato conservava il calore nei climi freddi, e la cassa toracica larga e conica custodiva polmoni grandi, necessari per un’elevata attività.

Il cranio dell’uomo di Neandertal era lungo e appiattito, ma conteneva un cervello che in media era più grande di quello dell’uomo moderno.

SCHELETRO DI NEANDERTAL

Corpi robusti adattati al freddo

* Femmina di Neandertal di struttura media (1,57 metri e 66,2 chili)

4034 Calorie/giorno

RICOSTRUITO A PARTIRE DA UOMINI MODERNI

LA CHAPELLE-AUX-SAINTS (FRANCIA)

FELDHOFFER 1 (VALLE DI NEANDER, GERMANIA)

TABUN 1 (ISRAELE) LA PORZIONE DI BACINO DI SINISTRA E STATA CREATA RIPRODUCENDO A SPECCHIO IL FOSSILE ESISTENTE DI DESTRA

KEBARA 2 (ISRAELE)

LA FERRASSIE 1 (FRANCIA)

GIBILTERRA (REGNO UNITO)

SPY 1 (BELGIO)

La femmina di Neandertal illustrata in queste pagine fu creata assemblando modelli di ossa fossili di diversi individui, compresi esemplari maschili riprodotti alla scala corrispondente.

RICOSTRUZIONE ANNI FA

Presente

28.000 anni fa? Ultimi Neandertal

40.000 Primo fossile umano moderno in Europa.

195.000 Fossile umano anatomicamente moderno più antico che si conosca.

370.000 Data stimata di separazione delle specie, secondo i dati genetici.

Gli incroci sono possibili, ma diminuiscono con il tempo.

L’antenato comune dell’uomo moderno e dell’uomo di Neandertal potrebbe essere l’Homo heidelbergensis (sotto), anche se alcuni scienziati lo considerano una specie europea ancestrale da cui discendono unicamente i Neandertal.

700.000 Le popolazioni ancestrali di uomini moderni e Neandertal iniziano a divergere.

Specie divergenti


tecnologia caratterizzata dall’elaborazione in pietra di grandi strumenti, come i bifacciali: utensili a forma di mandorla, lavorati sui due lati e con bordi taglienti. Un altro aspetto noto dell’heidelbergensis è la sua capacità di cacciare ungulati (animali con zoccoli) grandi e medi, come cavalli, bisonti e cervidi. Nel sito inglese di Boxgrove è stata ipotizzata la presenza di una lesione sulla scapola di un cavallo prodotta dall’impatto di una lancia; si può dunque pensare che gli abitanti del Sud dell’Inghilterra di 500.000 anni fa disponessero di efficaci strumenti per la caccia. Non conosciamo, però, le tecniche usate per abbattere gli animali: le lance erano armi che si scagliavano o venivano usate come picche? In ogni caso, la caccia dei grandi ungulati probabilmente richiese la pianificazione dei passi successivi e coinvolse vari membri del gruppo. Quanto al fuoco, era sconosciuto alla maggior parte di questi gruppi. Era stata ipotizzata la presenza di falò in alcuni siti della Germania e dell’Europa orientale, ma revisioni effettuate con tecniche più moderne sembrano escludere che quelle comunità utilizzassero il fuoco in modo regolare.

Apogeo ed estinzione dei Neandertal L’EPOCA DI MASSIMA DIFFUSIONE dei Neandertal si colloca circa 100.000 anni a, quando si espansero nel Medio Oriente e, probabilmente, fino alle coste del Pacifico. Dopo questo periodo iniziò il loro declino, forse per un contatto diretto con i sapiens, con i quali nel Vicino Oriente è possibile abbiano convissuto per migliaia di anni. Anche se vi sono molte ipotesi sulla loro estinzione, i dati attuali non permettono di propendere per una di esse. Processi di concorrenza ecologica e culturale tra le due specie, problemi immunologici causati dai nuovi venuti o impoverimento del patrimonio genetico sono alcune delle spiegazioni, che non si escludono l’una con l’altra. MANUFATTO DI CORNO (IN ALTO) ATTRIBUITO AI NEANDERTAL RINVENUTO A TABUN (ISRAELE).

L’enigma dei defunti

500.000 anni fa, i primi Neandertal disponevano già di lance e di strategie di gruppo per cacciare animali di grandi dimensioni 28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Utensile neandertaliano proveniente da Tabun (Israele) realizzato 100.000 anni fa.

FOTO: SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

Forse l’aspetto più innovativo di quei primi Neandertal è il trattamento che riservavano ai defunti. Emblematico a questo proposito è il sito di Sima de los Huesos, ad Atapuerca. In questo luogo sono stati ritrovati i resti di 28 individui vissuti circa 400.000 anni fa e la cui presenza nella grotta, secondo l’équipe di ricerca, si può spiegare solo perché i cadaveri vi furono deposti intenzionalmente. Ciò sarebbe confermato dal fatto che gli scheletri sono praticamente completi e appartengono a una fascia di età molto specifica: sono adolescenti e adulti (al di fuori di questa fascia d’età sono stati recuperati solo i resti di un bambino e di un anziano di circa 40 anni).

Punta intagliata dai Neandertal proveniente dalla contea del Kent (Regno Unito).

Punta di arma da lancio creata da Neandertal e rinvenuta nella grotta di Gorham (Gibilterra).


250.000-45.000 ANNI FA

I Neandertal prima dell’arrivo degli uomini moderni (sapiens) in Eurasia.

Area di distribuzione dei Neandertal Area di distribuzione di esseri umani moderni Sito neandertaliano Sito di esseri umani moderni Sito di Neandertal e di esseri umani moderni (occupato in modo indipendente)

45.000-33.000 ANNI FA

MAPS: CHARLES W. BERRY / NGS MAPS

All’incirca in quest’epoca, i Neandertal e gli uomini moderni convivono in Europa.


Il trattamento dei defunti di Sima de los Huesos contrasta con le prove di cannibalismo presenti in altri luoghi, come la grotta di Arago, in Francia. I resti umani rinvenuti in questo sito mostrano fratture inflitte intenzionalmente per arrivare al midollo e presentano segni di taglio prodotti quando i corpi furono scarnificati. I ricercatori che lavorano in questo sito parlano di indizi di rituali associati a questo cannibalismo, al fine di distinguerlo dall’ingestione di carne umana per alimentarsi in un momento di crisi (per esempio, durante una carestia). Questa ipotesi si basa sullo studio della struttura dei denti, che durante la loro formazione registrano la storia della vita degli individui, più o meno come gli anelli nel tronco degli alberi. In nessun caso in quelle popolazioni si osservano disturbi di alimentazione, fatto che, unito alla grande varietà e quantità di animali rinvenuti nella grotta, suggerisce che il cannibalismo non fu dovuto a necessità, ma rispondeva a una ragione simbolica e forse rituale.

LA COTTURA DEI VEGETALI

Oggi sappiamo che, a differenza di quello che si è creduto per molto tempo, la dieta neandertaliana non era soltanto carnivora: includeva vegetali, che la padronanza del fuoco permetteva di cucinare.

Il mondo degli heidelbergensis, i primi Neandertal, fu sconvolto dall’avvento di uno dei periodi più freddi che il pianeta abbia vissuto dalla comparsa del genere Homo, oltre 2,5 milioni di anni fa. Anche se non se ne conoscono le cause, tra 400.000 e 350.000 anni fa il clima cambiò bruscamente e il freddo chiuse gli heidelbergensis in un vero e proprio collo di bottiglia. A giudicare dall’assenza di siti risalenti più o meno a queste epoche, tutto sembra indicare che il cambiamento climatico probabilmente spinse i gruppi umani a rifugiarsi in ambienti più temperati del sud, come la costa mediterranea in Europa e il Vicino Oriente. In quei luoghi formarono sacche di popolazione isolate geneticamente tra loro, il che favorì la speciazione, ossia il processo attraverso il quale una specie dà origine a un’altra. In ogni caso, l’assenza di resti risalenti a questo periodo si potrebbe spiegare non solo con un calo demografico, ma anche con i cambiamenti della linea di costa che accompagnano questi cicli climatici. Generalmente, i periodi freddi hanno come conseguenza una concentrazione dell’acqua del pianeta sotto forma di ghiaccio ai poli. Questo implica un abbassamento del livello del mare (e una maggior 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

FOTO: MAURICIO ANTÓN / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

Il grande cambiamento

L’AMBIENTE DEI NEANDERTAL

Fauna esistente nel nord della Penisola Iberica tra 125.000 e 10.000 anni fa: cavalli (Equus caballus), mammut lanosi (Mammuthus primigenius) e rinoceronti lanosi (Coelodonta antiquitatis). Al centro, due leoni delle caverne (Panthera leo) stanno divorando una renna (Rangifer tarandus).


L’alimentazione neandertaliana FINO A POCO TEMPO FA, si riteneva che il menu ne-

andertaliano fosse composto fondamentalmente da animali come cavalli, cervidi e grandi bovidi. In altre parole, si attribuiva agli uomini di Neandertal un’alimentazione sostanzialmente carnivora, come suggeriva l’associazione dei loro strumenti con molte ossa di quegli animali. Le ricerche successive e le nuove tecniche di studio rivelano una dieta molto più diversificata e conforme all’ambiente in cui vivevano. Per esempio, nelle zone più mediterranee, la dieta carnivora era molto più variata e comprendeva anche piccoli animali, come conigli o uccelli. Nelle zone costiere si consumavano abitualmente molluschi marini e animali che potevano arenarsi sulle spiagge, come nel caso dei delfini e dei tonni a Gibilterra. Un altro elemento importante, che costituiva oltre l’80 per cento della loro dieta abituale, erano i vegetali. Da buoni onnivori, la raccolta di diversi frutti e piante occupava probabilmente gran parte del loro tempo. UN CACCIATORE NEANDERTALIANO

Provvisto di una lancia, trasporta sulle spalle la preda che ha ucciso, un cervide: Haploidoceros mediterraneus. La scena si colloca circa 90.000 anni fa.


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aridità dei continenti per l’assenza d’acqua nell’atmosfera); quando, però, il clima torna a scaldarsi, come accadde alla fine dell’ultima glaciazione, si produce un disgelo ai poli e il livello dei mari torna a crescere. Per questo è possibile che il mare abbia ricoperto la maggior parte delle testimonianze archeologiche del periodo in cui nacquero i nuovi Neandertal. Tuttavia, alcune popolazioni riuscirono a superare questa crisi e, con il miglioramento climatico del periodo successivo (fra 350.000 e 300.000 anni fa), ben presto ricolonizzarono i territori che i loro antenati avevano abbandonato a causa del freddo. L’aspetto fisico e culturale di queste popolazioni, però, non era più lo stesso degli heidelbergensis. Il mondo neandertaliano si era trasformato.

Gli individui che superarono quel collo di bottiglia avevano già pienamente sviluppato gran parte dei tratti che gli studiosi utilizzano per caratterizzare i Neandertal. Il cranio era basso e tondeggiante, con una capacità encefalica in aumento e che in alcuni casi probabilmente superava i 1500 cm3. Il loro aspetto era quello di individui con una marcata prominenza ossea sopra gli occhi (nota come toro sopraorbitario), naso largo e assenza di mento. La statura media diminuì dagli 1,80 metri in media degli heidelbergensis fino a 1,65 m, ma la massa corporea rimase la stessa. Si trattava, quindi, di individui bassi e molto robusti, la cui aspettativa di vita, tuttavia, rimaneva molto breve, come quella di tutti gli uomini preistorici e anche di alcune epoche storiche, e in pochi casi dovette superare i 40 anni. Anche la loro tecnologia era cambiata. Mentre gli heidelbergensis erano rimasti fermi all’acheuleano per oltre 100.000 anni, i nuovi complessi archeologici dimostrano chiare innovazioni. Una di quelle nuove tecnologie finì per imporsi sulle altre e fu adottata da buo-

Erano bassi di statura, ma molto robusti, con un’aspettativa di vita che probabilmente non superava i quarant’anni 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

FOTO: E. DAYNES / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

I nuovi Neandertal


2

3

La vita in comune NEL MOMENTO in cui gli uomini di Neandertal impararono a padroneggiare il fuoco, i loro insediamenti cominciarono a mostrare caratteristiche sempre più complesse. I luoghi occupati si suddividevano in zone con funzioni molto specifiche (aree per la vita in comune, zone destinate al sonno), ma sempre attorno al fuoco. Queste caratteristiche hanno permesso di ipotizzare il numero dei componenti dei gruppi. Il caso più comune è quello di gruppi piuttosto ridotti, dai 5 ai 15 individui probabilmente imparentati tra loro e che si spostavano con molta frequenza nel territorio. Tuttavia, questo non esclude che in determinati momenti e in concomitanza con la concentrazione di risorse in un territorio, come durante i periodi di migrazione degli animali, i gruppi potessero unirsi e formare comunità molto più numerose.

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UOMINI, DONNE E BAMBINI. RICOSTRUZIONI REALIZZATE DA ELISABETH DAYNES: 1 DONNA, A PARTIRE DAI FOSSILI DI SAINT-CÉSAIRE (FRANCIA). 2 E 4 BAMBINO, A PARTIRE DAI FOSSILI DI ROC DE MARSAL (FRANCIA). 3 UOMO, A PARTIRE DAI FOSSILI DI LA-CHAPELLE-AUX-SAINTS (FRANCIA).


SEGNI

na parte dei gruppi eurasiatici: il musteriano. Questa tecnica faceva uso di nuovi modi di scheggiatura della pietra, come il metodo Levallois: il nucleo di pietra veniva preparato per estrarne schegge con una forma prestabilita dall’intagliatore. Dopo di che, i fili delle schegge venivano ritoccati per ottenere strumenti specifici per diversi utilizzi. In questo modo, gli utensili neandertaliani si diversificarono e cominciarono a comprendere, tra altri vari strumenti, punte per le lance, raschietti di diversi tipi per pulire le pelli e tagliare la carne, oggetti dentellati per lavorare il legno e altri per perforare. Ciononostante, nei siti continuano a comparire bifacciali e altri pezzi di grande formato, ma con minor frequenza e in contesti solitamente legati ai luoghi in cui si uccidevano e si smembravano grandi animali. L’efficacia dei nuovi metodi di intaglio fece sì che questi perdurassero nel tempo fino alla quasi totale scomparsa della stirpe neandertaliana.

In uno strato di occupazione neandertaliana della grotta di El Castillo (Cantabria) fu trovato questo manufatto di quarzite di circa 50.000 anni fa che mostra cinque segni di impatto, chiaramente intenzionali e con struttura ritmica.

Il pensiero simbolico UNO DEGLI ASPETTI che richiamano maggiormen-

Le innovazioni tecnologiche non si limitarono all’intaglio della pietra. Durante questo periodo, il fuoco divenne un elemento essenziale nella vita quotidiana dei gruppi umani. Si sono avanzate molte teorie sulla comparsa di questo nuovo elemento in insediamenti risalenti a circa un milione di anni fa in Africa e nel Vicino Oriente, vale a dire a prima del mondo neandertaliano. Questi siti, però, non forniscono prove di un uso del fuoco pari a quello dei Neandertal, che furono i primi a mettere questo elemento al centro di gran parte delle loro attività domestiche, dalla cottura degli alimenti allo sfruttamento della luce e del calore per dar forma ai loro strumenti. L’insediamento più antico nel quale si osservano attività di questo tipo è quello di Qesem Cave, in Israele, dove è attestato un uso controllato e continuato del fuoco già da circa 350.000 anni fa. I resti umani recuperati a Qesem – fondamentalmente denti – sembrano essere più vicini alle popolazioni neandertaliane europee di quello stesso periodo che a quelle africane della stirpe sapiens. Più vicino a noi, la Cova del Bolomor, sulla costa di Valencia, presenta focolari ben strutturati, antichi circa 250.000 anni, e chiari indizi di ossa 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DALL’ALTO IN BASSO. PEDRO SAURA. MARIAN VANHAEREN. FOTO: MODEL BY FABIO FOGLIAZZA AND PICTURES BY GIORGIO BARDELLI.

Al calore del fuoco

te l’attenzione è la possibilità che i Neandertal si fossero evoluti nella direzione di un pensiero simbolico. Gli archeologi hanno trovato alcuni elementi che potrebbero indicare un certo pensiero astratto negli ominidi di quella specie. In questo senso, la presenza di pendenti fatti con molluschi marini o con artigli di uccelli, così come l’uso di piume in alcuni siti, possono essere interpretati semplicemente come impiego di ornamenti oppure come un segno identificativo di un gruppo o un simbolo. Nel sito di Maastricht-Belvédère (Paesi Bassi) è stato segnalato l’utilizzo di ocra con finalità cosmetiche oltre 300.000 anni fa. Questi elementi potrebbero aver avuto dapprima un uso concreto, per acquistare successivamente una dimensione simbolica. NELLA GROTTE DU RENNE

In questo sito francese, associato all’industria castelperroniana, furono trovati ornamenti in osso e altri materiali che dapprima furono attribuiti ai sapiens, mentre oggi si considerano opera dei Neandertal.


ORNAMENTI O SIMBOLI?

Il paleoartista Fabio Fogliazza ha realizzato questa ricostruzione di un Neandertal avvolto in una pelle di volpe. Il cranio è modellato su quello noto come La Ferrassie 1 (rinvenuto nell’omonimo sito francese). Sul volto ha applicato pigmento di ocra rosso e nero (diossido di manganese). Le piume e l’artiglio appartengono alle specie identificate nella grotta di Fumane (Italia); diversi indizi fanno pensare che questi elementi siano stati utilizzati come ornamenti dai Neandertal che vissero in questo luogo.


MUTH XAVIER / GET IN SITU, ARCHÉOTRANSFERT, ARCHÉOVISION 3D

bruciate nei livelli inferiori, il che potrebbe indicare un uso ancora più precoce del fuoco in quest’area geografica. A partire da 250.000 anni fa, i segni di una padronanza del fuoco iniziano a moltiplicarsi, e circa 100.000 anni fa praticamente tutti i siti neandertaliani usati come rifugio hanno il fuoco come elemento centrale. Anche l’alimentazione sembra diversificarsi. Tradizionalmente i Neandertal sono stati considerati grandi consumatori di carne. Questa convinzione veniva soprattutto dall’osservazione dei loro insediamenti, dove abbondano i resti di grandi ungulati, e dagli studi sugli isotopi stabili del carbonio e dell’azoto contenuti nelle ossa di alcuni individui, poiché sono elementi che rivelano il consumo di carne. Oggi, tuttavia, possiamo conoscere la composizione e l’im-

STUDIO ARCHEOMAGNETICO DI UNA DELLE STRUTTURE RINVENUTE NELLA GROTTA DI BRUNIQUEL.

ETIENNE FABRE - SSAC

36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Prestiti culturali Anche il trattamento dei defunti divenne più complesso. Senza abbandonare pratiche precedenti, come il cannibalismo, i Neandertal cominciarono a sviluppare un comportamento inusuale: la sepoltura dei morti. La più antica di cui siamo a conoscenza è quella di una donna seppellita nella grotta di Tabun (Israele) circa 100.000 anni fa. In seguito, all’incirca 60.000 anni fa, le sepolture neandertaliane – individuali o multiple – iniziarono a moltiplicarsi in diverse zone dell’Europa e del Vicino e Medio Oriente; tra le più note vi sono quelle di La Ferrasie e La Chapelle-aux-Saints (Francia), la grotta di Kebara (Israele) e Shanidar (Iraq). Il fatto di aver rinvenuto le prime sepolture nel Vicino Oriente, una zona in cui Neandertal e sapiens convissero per un certo periodo e condivisero territori, culture e risorse naturali, ha portato alcuni ricercatori a ipotizzare fenomeni di scambio culturale tra le due specie, e che poté sfociare nell’adozione delle nuove modalità nel trattamento riservato ai

Gli uomini di Neandertal cominciarono a sviluppare un comportamento senza precedenti: la sepoltura dei loro defunti

P. PLAILLY - E. DAYNES / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

BRUNIQUEL, LA PRIMA COSTRUZIONE Nelle profondità della grotta di Bruniquel, nel sud della Francia, è stato identificato un complesso di strutture, di cui sopra vediamo una ricostruzione in 3D, formate da circa 400 stalagmiti spezzate, opera di uomini di Neandertal, che sarebbero la più antica costruzione umana, risalente a 176.500 anni fa.

portanza dei vegetali per quelle comunità grazie allo studio dell’usura dei denti e a quello dei fitoliti (i resti vegetali fossili) contenuti nei calcoli dentali (che conosciamo con il nome di tartaro). I nuovi risultati mostrano una maggior presenza di piante nella dieta regolare di quei gruppi umani, specialmente nel caso dei Neandertal del sud, che sembrano essere stati buoni conoscitori delle comunità vegetali del loro ambiente immediato. Un esempio molto eloquente è il caso della grotta di El Sidrón, nelle Asturie, dove questi studi hanno rivelato l’uso abituale di piante con proprietà antinfiammatorie, antispastiche, cicatrizzanti, calmanti e digestive, come l’achillea e la camomilla.


La presenza della morte GLI UOMINI DI NEANDERTAL hanno lasciato prove di

comportamenti diversi davanti alla morte dei loro simili. Piuttosto comune è il ritrovamento di resti umani in sepolture realizzate intenzionalmente, a volte in fosse scavate a questo scopo e altre volte in cavità naturali. Sono state rinvenute sepolture individuali, come la donna di Tabun (Israele) o il vecchio di La Chapelle-aux-Saints (Francia), e sepolture multiple, come quelle di Kebara (Israele), Shanidar (Iraq) o La Ferrassie (Francia). Molti di questi scheletri sono in posizione fetale. Si è molto dibattuto sulla presenza di corredi funerari e oggetti simbolici deposti accanto agli scheletri, come fiori e altri elementi vegetali, oppure offerte di origine animale. In altri siti, tuttavia, come quello di El Sidrón (Asturie), Abri Moula, Marillac e Combe Grenal (Francia), sono stati rivenuti indizi di cannibalismo, che può essere dovuto a necessità alimentari oppure a rituali. UN UOMO DI NEANDERTAL CONTEMPLA I RESTI DI UN ADULTO DEFUNTO, CHE GIACE AI SUOI PIEDI. RICOSTRUZIONE REALIZZATA DA ELISABETH DAYNES A PARTIRE DAI FOSSILI DI LA CHAPELLE-AUX-SAINTS.


morti. In qualsiasi caso, le relazioni con i sapiens avrebbero segnato, migliaia di anni dopo, la scomparsa definitiva dei Neandertal.

Nell’Europa occidentale, la fascia cronologica che va da 45.000 a 33.000 anni fa corrisponde alla transizione dal Paleolitico Medio a quello Superiore, ed è caratterizzata dalla scomparsa dei Neandertal dal registro archeologico e dalla loro sostituzione con le prime popolazioni di uomini moderni, i sapiens. In quell’epoca, le ultime comunità di Neandertal sembravano attraversare una nuova rivoluzione tecnologica e culturale. I metodi di intaglio tradizionali del Musteriano, che li avevano accompagnati per un lungo lasso di tempo, iniziavano a cedere il passo a sistemi più sofisticati come risposta a nuove necessità nate (tra l’altro) dal progressivo calo di mandrie di ungulati che segnò la fine del Paleolitico Medio e durò per un buon tratto del Paleolitico Superiore. Nella metà meridionale della Francia e nel Nord della Penisola Iberica iniziò a svilupparsi il Castelperroniano, un’industria litica che sembrava destinata a sostituire progressivamente gli strumenti precedenti (generalmente più larghi che lunghi) con una tecnologia basata su lamine (pezzi più lunghi che larghi). Vi furono anche altre acquisizioni culturali, come l’uso di cosmetici e di elementi decorativi. Ne sono un esempio le piume e gli artigli di uccelli rapaci utilizzati con ogni probabilità a fini ornamentali nei siti di Fumane (Italia), Combe Grenal e Les Fieux (Francia) o nelle grotte di Gibilterra; a questi vanno aggiunte le conchiglie di mare perforate e colorate con pigmenti rinvenute nella grotta de Los Aviones e a Cueva Antón (Murcia, in Spagna). Sebbene questi dati siano precedenti la comparsa degli uomini moderni nell’Europa occidentale, la genetica sembra suggerire incroci e ibridazioni tra le due popolazioni. Si calcola che i primi contatti sessuali tra le due specie siano avvenuti nel Vicino Oriente circa 100.000 anni fa, e che siano responsabili del fatto che noi uomini delle popolazioni eurasiatiche attuali abbiamo in comune con l’uomo di Neandertal pressappoco il tre per cento del patrimonio genetico. 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

Gli ultimi dell’Occidente


Il contatto tra Neandertal e sapiens TRA 100.000 E 60.000 ANNI FA, Neandertal e sapiens entrarono in contatto nella zona dell’attuale Vicino Oriente. Le due specie convissero in quest’area per migliaia di anni e usarono una tecnologia molto simile: quella del Musteriano. Di fatto, quando nei siti di questa regione non compaiono resti umani, gli archeologi non sono in grado di stabilire se fossero abitati da Neandertal o da sapiens. Gli insediamenti del Monte Carmelo in Israele (Kebara, Tabun, Skhul e Qaf-

zeh, tra gli altri) mostrano queste similitudini, che possono essere il prodotto di contatti frequenti tra le popolazioni e forse di incroci tra di loro e di prestiti culturali. Tuttavia, all’incirca 55.000 anni fa, le popolazioni di uomini di Neandertal scomparvero dal registro archeologico della zona e lasciarono soli i sapiens, le cui popolazioni diedero avvio a una progressiva espansione verso l’Europa. L’illustrazione ricostruisce un incontro tra Neandertal e sapiens.


In ogni caso, i dati archeologici registrano la scomparsa degli stili di vita tradizionali dei Neandertal, una scomparsa che si sarebbe verificata a ritmo diseguale nelle diverse regioni europee. Le sue cause sono motivo di animati dibattiti scientifici. Alcuni studiosi insistono su un processo di concorrenza per le risorse, nel quale la superiorità tecnologica dei sapiens finì per imporsi e portò alla scomparsa dei Neandertal. È possibile, inoltre, che i nuovi venuti dal Vicino Oriente abbiano portato malattie e parassiti ai quali le popolazioni neandertaliane occidentali non furono in grado di far fronte perché non erano mai entrate in contatto con tali agenti patogeni; gli effetti potrebbero essere stati simili a quelli causati nelle popolazioni indigene dell’America dall’arrivo degli europei.

Una fine controversa

Per saperne di più

SAGGI

L’uomo di Neanderthal. Alla ricerca dei genomi perduti Svante Pääbo. Einaudi, Torino 2014. Il grande racconto dell’evoluzione Giorgio Manzi. Il Mulino, Bologna, 2013.

40 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Gli ultimi di una specie

FOTO: KENNETH GARRETT / NGS. ILUSTRACIONES: JORDI CORBERA

Opposta all’ipotesi della concorrenza c’è la tesi di altri studiosi, secondo cui i Neandertal erano già scomparsi dalla maggior parte dei territori europei quando arrivarono i sapiens. Per suffragarla si basano su criteri geologici, sottolineando che in nessun sito dell’Europa occidentale vi sono strati nei quali le due specie compaiano simultaneamente. Secondo questi studiosi c’è un vuoto di popolazione di circa mille anni tra la scomparsa dei Neandertal e l’irruzione dei sapiens. Su questa linea, alcuni paleoantropologi ipotizzano un ritmo di riproduzione molto più lento dei Neandertal, che li avrebbe portati a crisi demografiche importanti in caso di scarsità o diminuzione di risorse, come apparentemente stava accadendo in quel frangente. I dati archeologici non permettono di propendere per una linea o per l’altra. La cosa più probabile è che fu la somma di vari fattori– alcuni non ancora individuati – a provocare la scomparsa dei Neandertal europei. Forse il ritrovamento di nuovi siti e fossili potrà gettare luce sulle vere cause dell’estinzione della stirpe dei nostri primi fratelli evolutivi.

CIRCA 40.000 ANNI FA, gli esseri umani moderni, i sapiens, avevano già colonizzato praticamente tutto il subcontinente europeo. Ciononostante, restavano ancora alcuni insediamenti neandertaliani in zone marginali, che sarebbero stati progressivamente sostituiti dai nuovi venuti. Il Sud della Penisola Iberica, e nello specifico le grotte di Gorham e Vanguard, a Gibilterra, sembrano essere state l’ultimo rifugio di questa specie umana. Secondo i ricercatori, le popolazioni neandertaliane resistettero in quei luoghi fino a circa 33.000 anni fa, conservando i loro stili di vita tradizionali. Il livello IV di Gorham è stato datato varie volte utilizzando test sempre più precisi basati sull’uso del carbonio 14, che hanno sempre fornito date molto vicine le une alle altre. RESTI FOSSILI DI UNA FEMMINA NEANDERTAL (IN ALTO) IN UNA GROTTA DI GIBILTERRA, APERTA SUL MARE.


UN PAESAGGIO MOLTO DIVERSO DA QUELLO ATTUALE

Il sud-ovest della Penisola Iberica, con un clima più caldo del resto d’Europa, sarebbe diventato l’ultimo rifugio degli uomini di Neandertal; è quello che indicano i segni di occupazione studiati nelle grotte di Gorham e Vanguard, a Gibilterra. A quell’epoca le grotte si trovavano a circa dieci chilometri dal mare, mentre ai giorni nostri sono ai piedi della scogliera. 36.000 ANNI FA CIRCA

OGGI


GUERRA CIVILE IN GRECIA: UN MONDO DEVASTATO

LA GUERRA DEL Per quasi trent’anni, i greci si scontrarono in un conflitto che raggiunse una


SCONTRO DI FORZE

Due guerrieri greci faccia a faccia. Si tratta di opliti, i soldati che costituivano la fanteria pesante. Vaso greco del VI secolo a.C. Collezione delle antichità classiche, Berlino. BPK / SCALA, FIRENZE

ANTONIO PENADÉS STORICO E SCRITTORE

PELOPONNESO violenza inaudita e colpì in particolare la popolazione civile


C R O N O LO G I A

Sparta contro Atene 431 a.C.

Invasione spartana nella regione dell’Attica, la cui popolazione si rifugia ad Atene. Spedizioni ateniesi sulle coste del Peloponneso.

430 a.C.

Inizia l’epidemia di peste tra gli ateniesi, ammassati dietro le mura. Morirà un terzo della popolazione, compreso Pericle.

425 a.C.

Vittorie ateniesi a Pilo e Sfacteria, alle quali nel 424 a.C. seguono i trionfi spartani di Anfipoli e Delio.

421 a.C.

I due schieramenti, esausti, firmano la pace di Nicia, una tregua tra Atene e Sparta che avrebbe retto per cinquant’anni.

415-413 a.C.

Una grande spedizione ateniese in Sicilia sfocia in catastrofe per errori tattici. La sconfitta segna il principio della fine per Atene.

ACROPOLI DI CORINTO

La città era il nucleo di una potente rete commerciale marittima, rivale di quella ateniese; questo conflitto di interessi fu una delle cause della guerra.

412 a.C.

Patto tra il generale spartano Lisandro e il principe persiano Ciro, che risulterà cruciale per l’epilogo della guerra.

404 a.C.

Sconfitta a Egospotami (405 a.C.): assediata e senza risorse, la città di Atene si arrende a Sparta. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PERICLE. BUSTO ROMANO ,II SEC. A.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

T

ra il 431 a.C. e il 404 a.C., Sparta e i suoi alleati combatterono contro Atene e i suoi alleati nella guerra del Peloponneso, un conflitto in cui uomini uniti da lingua, religione e costumi cercarono in tutti i modi di annientarsi. Per ben 27 anni ebbero luogo scontri tra eserciti rivali, assedi prolungati ed epiche battaglie navali; in questa cornice bellica, molte città vissero repressioni e processi rivoluzionari che trasformarono il conflitto in una guerra totale, uno scontro che si combatté anche nelle case e nelle strade, causando migliaia di omicidi e provocando l’espulsione di migliaia di rifugiati. Seppur in proporzioni diverse, in tutte le città vi erano sostenitori dell’oligarchia e della democrazia. Fu così che, approfittando della situazione bellica e con l’intenzione di prendere il potere, gli oligarchici reclamarono l’aiuto di Sparta e gli ateniesi sostennero i democratici. Il risultato fu lo scoppio di conflitti locali nei quali il fanatismo e l’obbedienza cieca alle fazioni politiche raggiunsero il culmi-


ILLIRIA

Egas Metone

Apollonia

TASSO

Potidea Torone Mende Larisa CORCIRA

MAR Ambracia

IONIO

LEUCAS

Perinto

SAMOTRACIA

CHIO SAMO

Delo PARO

Citera

NASSO

Efeso Mileto Alicarnasso COS

Melo

RODI

TERA

MELO

Città principale

PERSIANO Sardi

Focea

MESSENIA

Santuario

Cizico

MAR Mitilene Pergamo IMPERO EGEO LESBO

EUBEA

Pilo Sparta

MAR DI MARMARA

LEMNO

Tebe Eretria Platea Megara Sicione Atene Olimpia Corinto Egina Argo

ZANTE

les

to

Abido

IMBRO

Delfi

CEFALONIA

El

n po

Bisanzio

MAR MEDITERRA NEO

GEOGRAFIA BELLICA FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK

TRA GLI ANNI 431 a.C. e 404 a.C., il mondo ellenico si trovò diviso

ne. Invece di uno scontro nobile (polemos), la guerra del Peloponneso fu un conflitto crudele nel quale prevalsero le lotte civili (staseis) condite con tradimenti, esecuzioni e assassinii.

Guerra civile a Corcira La destabilizzazione politica iniziò nel 433 a.C., dopo che l’oligarchica Corinto e la democratica Corcira (l’attuale Corfù), opposte per interessi territoriali, scatenarono una battaglia navale. L’episodio ebbe un marcato carattere fratricida, giacché Corcira, dall’immensa importanza strategica, era stata fondata dai corinzi. Duecentocinquanta corciresi, molti dei quali membri delle famiglie più importanti, furono catturati e condotti come prigionieri nella loro antica metropoli. Quando Corinto li rese, nel 427 a.C., si scoprì che durante quei sei anni avevano vissuto in buone condizioni e che la maggior parte aveva cambiato ideologia politica. Quasi tutti si unirono alla fazione oligarchica di Corcira, che si rafforzò anche assoldando ottocento mercenari. Armati di pugnali e guidati da un’ira cieca, fecero irru-

tra due schieramenti alla cui guida vi erano Sparta e Atene, che si scontrarono nella Grecia continentale, nel Mar Egeo, sulle coste dell’Asia Minore e persino nella Sicilia greca. Atene e alleati (Lega di Delo)

Sparta e alleati (Lega del Peloponneso)

Territori greci

zione nel Consiglio della città e uccisero sessanta membri e un buon numero di cittadini legati ai democratici. Lo storico Tucidide narra che quella notte il popolo si rifugiò sull’acropoli mentre gli oligarchici occupavano la zona dell’agorà, dove si trovavano le loro case. Il giorno seguente, entrambe le fazioni inviarono emissari a setacciare i campi per ottenere l’aiuto degli schiavi con la promessa della libertà. La maggioranza si allineò con i democratici, che poterono contare anche sull’aiuto militare di Atene e di cinquecento messeni liberati dal giogo spartano e condotti a bordo di navi ateniesi a Corcira (la Messenia era una regione vassalla di Sparta). Ebbe allora inizio un combattimento di strada nel quale i democratici beneficiarono della miglior posizione, della superiorità numerica e della collaborazione delle loro donne, che «scesero in campo ardite, scagliando tegole dai tetti e superando in prodezza la loro stessa

Macedonia

PER TERRA E PER MARE

Secondo Tucidide, Sparta disponeva di 60.000 opliti che le davano un vantaggio su terra; Atene contava su 29.000 opliti e 300 navi che le davano l’egemonia sul mare. Trireme greca del V secolo a.C. ORONOZ / ALBUM

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CARTOGRAFIA: MERCHE HERNÁNDEZ / EDITTEC

TRACIA Abdera


LO SPLENDORE DI ATENE

L’Acropoli simboleggia il potere ateniese: i suoi grandi monumenti furono costruiti con i fondi degli alleati della Lega di Delo, sottomessi, di fatto, ad Atene.

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CITTADINI ARMATI

Erano gli stessi cittadini a farsi carico della difesa della polis, la città-Stato. I più abbienti combattevano indossando armature di bronzo: erano gli opliti, nome che deriva dall’hoplon, lo scudo. Elmo di un oplita del V secolo a.C. British Museum, Londra. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

crivellavano di colpi» scrive Tucidide. Alcuni si impiccarono agli alberi e ognuno mise fine alla propria vita come poteva. Gli ultimi oligarchici si rifugiarono con un gruppo di mercenari in una fortezza sul monte Istone, il più alto dell’isola. Due anni dopo, i democratici ricorsero a uno stratagemma per portarli in città con l’inganno e rinchiuderli in un edificio. Subito dopo, salirono sul tetto e «abbattutane la copertura presero a grandinarli di tegole e frecce». I prigionieri si uccisero affondandosi nella gola le frecce lanciate contro di loro e impiccandosi con cinghie e corde. Le donne sopravvissute vennero vendute come schiave.

Atene, nessuna compassione LOREM IPSUM

natura». Gli oligarchici, sconfitti, diedero fuoco alle loro stesse case e a qualcuna appartenente ad altri, e la città scampò alla distruzione solo grazie all’assenza di vento. La repressione dei giorni successivi fu terribile. Venne giustiziato qualsiasi cittadino considerato nemico della democrazia e molti morirono vittime di semplici inimicizie private. Alcuni debitori approfittarono dell’occasione per sbarazzarsi dei creditori. In preda alla disperazione, quattrocento sostenitori dell’oligarchia si rifugiarono nel tempio di Era in qualità di supplici, cioè invocarono la protezione della dea nel suo recinto inviolabile. I democratici, però, convinsero cinquanta di loro a sottoporsi a un processo, che finì con la loro condanna a morte. Quando quelli che erano rimasti nel tempio lo seppero, decisero di uccidersi a vicenda. «Il padre accoltellava il figlio: dagli altari si svellevano i supplici e lì sul posto si

Se le lotte civili portavano a veri e propri massacri, le due potenze che guidavano gli opposti schieramenti non erano da meno. Nel 428 a.C. ebbe luogo una sollevazione a Mitilene, la principale città dell’isola di Lesbo. Gli ateniesi, di fronte al pericolo di perdere una delle loro principali


PRISMA / ALBUM

CLEONE SOSTIENE LO STERMINIO DEGLI UOMINI DI MITILENE. ILLUSTRAZIONE DEL XX SECOLO.

MICHELE FALZONE / AWL IMAGES

LA PUNIZIONE DI MITILENE

fonti di entrate, inviarono una flotta di quaranta triremi e diedero inizio a un assedio per mare e per terra. L’importazione di cereali dal Mar Nero venne interrotta e ben presto la fame colpì la popolazione, e questo moltiplicò le tensioni tra i cittadini. Le classi più umili, quelle che più erano danneggiate dalle restrizioni, accusarono gli oligarchi di averli portati a quella situazione cercando il loro interesse personale, e pretesero che suddividessero le loro riserve di cibo. Davanti alla risposta negativa, i democratici, in preda alla disperazione, arrivarono a uccidere e a saccheggiare le proprietà pur di avere qualcosa da mangiare. Un anno dopo, la fame e la violenza ormai dilaganti portarono alla resa di Mitilene. Tutti i sopravvissuti, senza eccezioni, furono fatti prigionieri. Il bellicoso Cleone propose, nel suo discorso all’Assemblea di Atene, di uccidere tutti gli uomini di Mitilene e vendere come schiavi donne e bambini. L’orrore per le migliaia di morti nelle campagne militari, la devastazione dell’Attica per mano degli spartani e le stragi pro-

NELL’ASSEMBLEA DI ATENE, Cleone espose ai concittadini il motivo per cui era necessario uccidere tutti gli uomini della città ribelle di Mitilene: se li avessero perdonati, qualunque altra città avrebbe potuto sollevarsi contro Atene, «fidando nella conquista della libertà, in caso di trionfo, e in un castigo per nulla insopportabile, se incontra il fallimento». Il massacro, dunque, era un castigo esemplare.

vocate dalla peste tra gli ateniesi spiegano perché la crudele proposta venne approvata. Nella sessione urgente convocata il giorno successivo l’argomento fu riesaminato e la fazione più moderata riuscì a evitare in extremis la carneficina, ma in cambio fu decisa l’esecuzione dei «mille responsabili» della sedizione di Lesbo. Gli ateniesi furono protagonisti di un altro eccidio celebre nel 416 a.C., quando invasero l’isola di Melo. Fondata secoli addietro come colonia di Sparta, aveva cercato in tutti i modi di mantenere la propria neutralità nel conflitto. Gli ateniesi inviarono 38 triremi e tremila opliti per obbligare gli abitanti a

Gli oligarchici corciresi prigionieri si suicidarono: si affondarono frecce nella gola o si impiccarono agli alberi

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Crimini di guerra ANCHE I MILITARI furono vittime della crudeltà di un conflitto civile avvelenato. Per esempio, prima della battaglia di Egospotami (405 a.C.), gli ateniesi decisero di amputare la mano destra di ogni prigioniero, e Filocle, il loro navarco o ammiraglio, ordinò di gettare fuori bordo i membri dell’equipaggio di due navi nemiche catturate; alla fine, però, furono sconfitti, e gli spartani uccisero 3000 prigionieri (compreso Filocle). Ma non si moriva soltanto nel fragore della battaglia: dopo

essere stati sconfitti in Sicilia nel 413 a.C., 7000 prigionieri ateniesi vennero rinchiusi nelle cave di Siracusa, la vittoriosa alleata di Sparta. Lì ricevevano un quarto di litro d’acqua e mezzo chilo di cibo al giorno; esausti, con le ferite infette, malati ed esposti agli elementi, molti morivano e i loro corpi si ammassavano, causando un fetore che, sommato a quello degli escrementi, risultava insopportabile. Nel giro di settanta giorni, i prigionieri furono in gran parte venduti come schiavi.

ORESTE, RAPPRESENTATO COME OPLITA, UCCIDE EGISTO. SCENA MITOLOGICA SU UNA PELIKE ATTICA. 500 A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI. ERICH LESSING / ALBUM

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LA TRAGEDIA DEI RIFUGIATI

A. GAROZZO / AGE FOTOSTOCK

R TEATRO DI ARGO. NELLA CITTÀ, SCHIERATA CON ATENE, VI FU UN COLPO DI STATO CONTRO IL REGIME DEMOCRATICO.

prendere le loro parti. Assediati, gli isolani si lasciarono andare a tradimenti e crimini fomentati dalla profonda frattura che li divideva: la maggioranza insisteva nel resistere, sperando nell’aiuto di Sparta, mentre il resto sosteneva la resa. Molti di questi ultimi furono oggetto di delazioni che portarono alla loro condanna a morte. L’aiuto di Sparta non arrivò mai e l’assedio si concluse con la resa degli abitanti di Melo, stremati per la fame e la sete, e con la decisione dell’Assemblea ateniese di condannare a morte tutti gli uomini e ridurre in schiavitù donne e bambini. Questa volta, a differenza di ciò che accadde a Mitilene, non ci fu pietà. Atene ripopolò l’isola con cinquecento coloni, che furono poi cacciati dagli spartani al termine della guerra.

Assassinii politici Con la guerra, i conflitti civili si estesero a tutte le città greche. Nel 413 a.C., dopo la fallita invasione della Sicilia, la situazione di Atene era desolante: era sopravvissuta meno della metà di soldati e rematori, la flotta si era

ivolte civili e assedi provocarono un grande numero di rifugiati. Se sopravviveva, chi faceva parte delle fazioni sconfitte doveva abbandonare la città con la famiglia. Lo stesso accadeva ai fuggitivi: uomini che fuggivano per motivi politici o per aver commesso crimini, condannati a morte in contumacia e le cui proprietà erano confiscate. Tutti vagavano in cerca di accoglienza: gli oligarchici verso le città della Lega del Peloponneso, e i democratici verso quelle della Lega di Delo. In caso di pericolo estremo riparavano in templi, boschi sacri o santuari avvalendosi della condizione di supplici, ma non sempre i loro nemici rispettavano la protezione divina. Alcuni potevano permettersi un alloggio, ma la maggior parte finiva in accampamenti in condizioni pietose.

ridotta ad appena un centinaio di imbarcazioni e il tesoro era ormai ai minimi termini. Le fazioni oligarchiche dei suoi domini si rafforzarono e si sollevarono in vari luoghi, come le isole di Eubea, Chio, Lesbo e Rodi o le città di Mileto ed Efeso. I ribelli, tuttavia, non potevano avere la meglio senza l’ausilio di Sparta, che, a sua volta, aveva bisogno di una flotta potente per accorrere in loro aiuto. A questo fine, gli spartani reclamarono l’appoggio dei persiani: fu il loro denaro a rendere possibile il successo delle rivolte istigate dagli oligarchici, che finirono tutte con un bagno di sangue nelle strade. La democrazia ateniese era vittima allora di una grave aggressione alimentata dalle circostanze. La mancanza di una leadership incrementò il potere delle hetairíai, associazioni che propugnavano un ritorno all’ideale aristocratico delle epoche passate. Gli oligarchici sostenevano che la città

I NEMICI DI ATENE

Gli spartiati, o cittadini di Sparta, ricevevano un’educazione strettamente militare. Spartiata che indossa il mantello scarlatto. Statuina in bronzo. BRIDGEMAN / ACI


CAPO SUNIO

Il tempio di Poseidone domina il promontorio, che venne fortificato nel 413 a.C. per proteggere la rotta di approvvigionamento verso Atene, situata circa 65 km a nord-ovest.

avesse bisogno del governo dei migliori, di uomini preparati e rispettati che imponessero la loro autorità senza dover sopportare le velleità della massa concentrata nell’Assemblea. Alcuni giovani aristocratici assassinarono un manipolo di democratici radicali, e ciò causò uno stato di terrore propizio al cambiamento di sistema, come riferisce Tucidide: «Bastava che qualcuno dissentisse, ed eccolo soppresso all’istante [...] né la giustizia apriva un’inchiesta sugli esecutori del crimine, o spiegava la sua autorità repressiva nel caso che nascessero indizi, anche fondati. Il popolo stava ritirato: e gravava così sinistro un clima di terrore, che si poteva ben rallegrare [...] chi non pativa qualche infortunio». Alla fine, nel giugno del 411 a.C., un gruppo di oligarchici armati di daghe sospese una sessione dell’Assemblea e proclamò l’instaurazione del Consiglio dei Quattrocento come unico organo di governo ad Atene. Per placare gli animi, fu nominato un corpo di segretari che doveva stilare la lista dei

Cinquemila, composta da coloro che potevano almeno pagarsi un’armatura da oplita. Questi sarebbero intervenuti nella vita politica, dalla quale erano escluse le classi più umili, i cui membri contribuivano alla guerra come rematori della flotta. Durante quell’estate si profilò la minaccia di un ritorno della flotta da Samo per scontrarsi in una guerra civile contro gli oligarchi, ma la fazione moderata seppe imporsi, e in settembre fu instaurato il governo dei Cinquemila, che rimasero al potere per dieci mesi consentendo in modo pacifico la piena restaurazione della democrazia. Secondo Tucidide, che definisce questo sistema come «una temperata fusione di istituti oligarchici e democratici», fu il regime migliore che Atene ebbe in tutta la sua storia. Dopo la promettente vittoria nella battaglia navale di Cizico, nella primavera del 410 a.C., i cittadini compresero che le restrizioni politiche avevano assolto il loro compito ed evitarono qualsiasi tipo di repressione verso gli oligarchici.

PERSIA, POTENZA ORIENTALE

Moneta coniata da Tissaferne, governatore persiano di Lidia e Caria, sulla costa dell’Asia Minore. Con il suo appoggio e quello del principe persiano Ciro, Sparta poté costruire una flotta per affrontare l’armata ateniese.

50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC BRITISH M

U S E UM

/ SCALA

, FIREN

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BRIDGEMAN / ACI

LA PESTE AD ATENE. DIPINTO DI MICHAEL SWEERTS. 1652-1654 CIRCA.

LE PERDITE UMANE

WITR / GETTTY IMAGES

LA MORIA causata dalla guerra fu senza precedenti. Alcune comunità,

Tuttavia, dopo la sconfitta finale a Egospotami, nel 404 a.C. gli ateniesi videro l’esercito spartano entrare in città, distruggere le mura e imporre un governo fantoccio, la cui brutalità valse ai suoi membri il soprannome di «Trenta Tiranni»: confiscarono proprietà e uccisero impunemente chiunque destasse qualche sospetto. L’odio che suscitarono fu tanto profondo che tutti i gruppi degli oppositori si unirono e, otto mesi dopo, li rovesciarono.

Il trionfo del fanatismo La democrazia tornò ad Atene, ma la guerra lunga e terribile aveva lasciato la Grecia gravemente ferita. Questo era il pensiero di Tucidide, che scrisse: «al seguito delle sommosse civili, l’immoralità imperava nel mondo greco, rivestendo le forme più disparate». I leader faziosi, sovente gli spiriti più mediocri, utilizzavano argomentazioni attraenti – «uguaglianza per tutti», nel caso dei democratici; «governo moderato dei migliori», nel caso degli oligarchici – che ben presto si rivelarono parole ingannevoli che celavano abietti interessi pri-

come Melo e Scione, persero tutti gli uomini. Le perdite ateniesi furono più elevate di quelle di qualsiasi altro Stato, perché solo Atene fu colpita, all’inizio del conflitto, da una peste che uccise probabilmente un terzo della sua popolazione: quando la guerra giunse al termine il numero dei maschi ateniesi si era dimezzato rispetto all’inizio.

vati. Tucidide condanna questo tipo di conflitti e accusa personaggi ambiziosi che tradirono per convenienza qualsiasi obbligo civico e si persero nella brama di potere. Afferma anche che «la temerità irriflessiva acquistò valore d’impeto eroico al sacrificio per la propria parte; la cautela accorta di maschera decorosa, per panneggiare uno spirito vile. La prudenza fu ritenuta un ripiego per celare la paura, spregevole in un uomo; l’intelligenza sollecita a scrutare ogni piega di un problema fu spacciata per totale inettitudine all’azione». I partiti politici non agivano per il beneficio pubblico, ma per brama di potere e ambizione, passioni da cui, nelle rivalità tra i partiti, nasceva il fanatismo. Cosa che, aggiunge, accadrà «finché non si converta la natura umana». Per saperne di più

SAGGI

La guerra del Peloponneso Donald Kagan. Mondadori, Milano, 2006. Sparta Ernst Baltrusch. Il Mulino, Bologna, 2002. TESTI

La guerra del Peloponneso Tucidide. Garzanti, Milano, 2007.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UN’ERA DI VIOLENZA ESTREMA Lo storico ateniese Tucidide lasciò un vivido resoconto del conflitto nella sua Guerra del Peloponneso, in cui mostra l’ambizione, la paura, l’invidia e la crudeltà che palpitano nello scontro. «La guerra – scrisse – è una maestra brutale e sa porre a modello, per orientare e accendere le passioni della folla, le circostanze del momento». I quattro episodi di queste pagine riflettono il peggio di tali passioni. TUCIDIDE NACQUE AD ATENE VERSO IL 460 A.C. E VI MORÌ ATTORNO AL 395 A.C. CIRCA. ERMA IN MARMO. MUSEO ARCHEOLOGICO, NAPOLI.

427 a.C. La distruzione di Platea I tebani, alleati di Sparta, avevano cercato di prendere Platea, ma gli abitanti della città li avevano sconfitti e avevano ucciso 180 prigionieri. In seguito, gli spartani riuscirono a prendere la città, uccisero 200 soldati plateesi, resero schiave le donne, demolirono Platea e con le sue pietre e le sue rovine costruirono un recinto per ospitare i pellegrini che si recavano al vicino tempio di Era.

424 a.C. La scomparsa degli iloti In piena guerra, e temendo una sollevazione degli iloti, cioè i servi, gli spartani proclamarono che avrebbero liberato quegli iloti che si fossero dimostrati i migliori nel prestare servizio in difesa di Sparta. In realtà, temevano che gli iloti più abili si ponessero a capo di una rivolta. Ne furono scelti duemila, che furono incoronati e condotti nei santuari come era d’uso per gli schiavi liberati, ma scomparvero. Nessuno seppe come morirono.

416 a.C. La forza, unica ragione Gli ateniesi uccisero e ridussero in schiavitù gli abitanti di Melo, che volevano restare neutrali. Quando questi ultimi dissero agli ateniesi che il diritto era dalla loro parte, gli ambasciatori di Atene risposero: «i concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda; i più potenti agiscono, i deboli si flettono».

413 a.C. I bambini di Micalesso Un giorno, all’alba, i mercenari traci di Atene, guidati da Diitrefo, assalirono a sorpresa una piccola città: Micalesso, vicino Tebe. Uccisero vecchi, giovani e persino – secondo Tucidide – gli animali da soma e «qualunque essere vivente cadesse loro sotto gli occhi». Inoltre, «si gettarono anche su una scuola, la più frequentata tra quelle locali, e coltivi i bambini ch’erano appena entrati, li fecero a brani, fino all’ultimo».

ORONOZ / ALBUM


VIOLENZA NELLA VITA E NELL’ARTE. NELLA SCENA MITOLOGICA, IL RE ADRASTO TENTA DI SEPARARE TIDEO E POLINICE. IV SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE EOLIANO, ISOLA DI LIPARI. ERICH LESSING / ALBUM


OTTAVIANO CONTRO MARCO ANTONIO

Ad Azio (31 a.C.), le barche di Ottaviano, piĂš piccole e maneggevoli, assediavano le grandi navi di Marco Antonio, che si difendevano lanciando proiettili dalla coperta. Raffigurazione moderna. RADO JAVOR


Le grandi navi da guerra di Roma

AQUILE DEI MARI I romani erano abilissimi quando combattevano a terra, ma non furono mai amanti della guerra in mare. Tuttavia, adattarono la flotta e le tattiche al loro carattere e ottennero grandi vittorie contro potenze navali molto più forti ESTEBAN BÉRCHEZ CASTAÑO DOTTORE IN FILOLOGIA LATINA


PRONTI PER LA BATTAGLIA

Legionari schierati in combattimento a bordo di una bireme equipaggiata con una torre. Il coccodrillo ha fatto pensare che si trattasse di una nave di Marco Antonio ad Azio. CESAREA MARITTIMA

SCALA, FIRENZE

M

entre fenici e greci solcavano il mare con lo scopo di fondare colonie e stabilire solide rotte commerciali, i romani preferirono organizzare la terraferma costruendo innumerevoli strade che collegavano tutti i punti del loro vasto territorio. Forse per paura dell’ignoto e dell’imprevisto, i romani avevano una certa repulsione per il mare. Un esempio di tale atteggiamento sono le parole che un soldato rivolse a Marco Antonio prima della battaglia di Azio: «Perché riponi le tue speranze in legni putridi? Che combattano in mare egizi e fenici. A noialtri dai la terra, sulla quale siamo abituati a mantenerci saldi fino alla vittoria o alla morte». Le conquiste misero nelle mani di Roma tutte le

COLONNA DECORATA CON ROSTRI IN ONORE DEL CONSOLE GAIO DUILIO PER LA SUA VITTORIA A MILAZZO. BRIDGEMAN / ACI

Fu un’importante enclave della Giudea e finì per diventare la capitale della provincia. Il suo porto (a destra) era il più grande dell’Impero costruito in acque aperte.

sponde del Mediterraneo, divenuto il Mare Nostrum (“il nostro mare”), e sebbene i romani non avessero mai provato inclinazione per l’acqua, molti dei grandi conflitti della loro storia si decisero in mare. All’inizio, il dominio militare romano si basò su una fanteria formidabile; le poche imbarcazioni che Roma aveva a disposizione venivano usate per far fronte a possibili attacchi esterni e per compiti di vigilanza, quindi non era ritenuto necessario avere una flotta vera e propria. Questo disprezzo per la guerra marittima divenne evidente nel 338 a.C., dopo la vittoria contro il villaggio latino di Anzio, che aveva una piccola flotta. I romani non seppero che fare di quelle navi e decisero di portarne una parte nei loro arsenali e incendiare il resto. Una volta

C R O N O LO G I A

SUCCESSI NAVALI DI ROMA

260 a.C.

241 a.C.

Nella battaglia di Milazzo, Roma sconfigge Cartagine in mare per la prima volta. La vittoria cambierà il corso della guerra marittima.

La battaglia delle isole Egadi pone fine alla prima guerra punica. Con la flotta distrutta, Cartagine è costretta a firmare la pace.


67 a.C.

56-54 a.C.

31 a.C.

324 d.C.

Pompeo libera il Mar Mediterraneo dai pirati, la cui attività aveva fatto rincarare enormemente gli alimenti a Roma.

Nell’ambito della conquista della Gallia, Giulio Cesare sconfigge i veneti nell’Oceano Atlantico e fa due spedizioni in Britannia.

La flotta di Ottaviano sconfigge ad Azio quella di Marco Antonio e Cleopatra. Ottaviano (futuro Augusto) prende il potere a Roma.

L’imperatore Costantino annienta la flotta del suo rivale politico Licinio alle porte di Bisanzio, dove questi si era rifugiato. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC 57 DUBY TAL / ALBATROSS / AGE FOTOSTOCK


1 Rostri rinvenuti nelle acque delle isole Egadi, dove nel 241 a.C. ebbe luogo la battaglia che pose fine alla prima guerra punica. Le tre lamine orizzontali erano pensate per causare il maggior danno possibile allo scafo nemico. L’immagine 1 offre una vista frontale del rostro più grande. Le foto 2 e 3 ritraggono un altro rostro; una vista laterale e una dall’alto permettono di vedere i fori attraverso i quali il rostro veniva fissato allo scafo.

Un’arma letale I ROSTRI avevano un’importanza capitale

2

3

nelle tattiche di guerra navale nell’Antichità. Erano pezzi di bronzo di oltre cento chili montati sulla prua della nave, al di sotto della linea di galleggiamento. Il tipo di attacco più consueto era la carica con il rostro per conficcarlo nello scafo nemico, che imbarcava acqua e affondava rapidamente; l’attacco di solito era condotto sul fianco o sulla poppa del rivale. Questa azione richiedeva una grande perizia da parte del pilota e dei rematori, perché bisognava impattare con un’angolazione che permettesse di sganciare il rostro dalla nave nemica senza affondare con essa. Un altro tipo di attacco con il rostro consisteva nel distruggere i remi dell’imbarcazione nemica, che rimaneva così più esposta e indifesa. Questa manovra, però, era pericolosa e complicata, ed era alla portata solo degli equipaggi più esperti.

RPM NAUTICAL FOUNDATION

ANCORE DI PIETRA E DI FERRO Le prime ancore romane erano pietre legate a una corda. In seguito comparvero i ganci di ferro o di piombo, come quello riprodotto sull’anello. Museo del Louvre, Parigi.

RM

smantellate le imbarcazioni, conservarono i rostri delle prue come trofeo e li conficcarono nella tribuna principale del Foro; da qui deriva il nome di quella zona: Rostra. Dopo la conquista della Penisola Italica ebbe inizio il conflitto con Cartagine per il controllo della Sicilia, e a metà del III secolo a.C. scoppiò la prima guerra punica. Il cartaginesi avevano una lunga tradizione marittima e la loro superiorità in mare era evidente. Tuttavia, la mentalità pratica dei romani e la loro abilità nello sfruttare e migliorare quello in cui gli altri popoli erano superiori trasformarono il loro difetto in una virtù. Nelle sue Storie, Polibio narra «come e quando e per quali cause i romani si spinsero per la prima volta sul mare»: presero come modello una nave da combattimento cartaginese incagliata sulle coste della Sicilia per costruire una flotta di cento quinqueremi e venti triremi. Polibio assicura che se tale incidente non fosse avvenuto, senza dubbio la loro inesperienza avrebbe reso impossibile portare a termine l’impresa. L’ingegno romano, però, produsse anche brillanti idee originali, e per sconfiggere i cartaginesi fu idea-

ta una serie di marchingegni che adattavano le condizioni nautiche al loro carattere poco propenso alle attività marittime.

Un “corvo” per l’abbordaggio I romani erano abilissimi nel combattimento su terra, quindi la soluzione più pratica era trasformare una battaglia navale in uno scontro terrestre. Fu così che nacque il corvus o“corvo”, una passerella che veniva lanciata sull’imbarcazione nemica, alla quale si agganciava con un uncino simile al becco dell’uccello da cui prendeva il nome. La fanteria romana poteva così abbordare la nave e iniziare un combattimento corpo a corpo, nel quale i soldati erano esperti, e catturare il vascello senza affondarlo. Il corvus dimostrò la propria efficacia già nel primo scontro navale di una certa levatura affrontato dai romani. Nel 260 a.C., davanti alle coste di Milazzo (nel nord della Sicilia), il console Gaio Duilio sconfisse contro ogni pronostico la flotta cartaginese, catturando o affondando 50 navi nemiche. Questa vittoria fu tanto eclatante che al console fu concesso il privilegio di celebrare un trionfo a Roma.

NGR AN AL DP AIS


IL CORVUS SI LEGAVA A UN ALBERO CON DELLE FUNI, CHE POI VENIVANO SCIOLTE PER FARLO CADERE SUL PONTE DEL NEMICO, NEL QUALE AFFONDAVA IL GANCIO CHE SI TROVAVA SULLA PUNTA.

IN ALTO: STANLEY MELTZOFF / NGS. IN BASSO: BRIDGEMAN / ACI

TECNICHE DI FANTERIA NELLA GUERRA NAVALE «I CARTAGINESI erano padroni assoluti del mare», affermava Polibio nelle sue Storie. All’inizio della prima guerra punica, gli inesperti marinai romani subivano una sconfitta dopo l’altra. La vittoria di Roma nella battaglia di Milazzo, però, segnò un punto di svolta in questa tendenza. Gran parte del successo si attribuisce al corvus, il “corvo”, la passerella con un uncino che facilitava l’abbordaggio della nave nemica. Lo scritto di Polibio narra di come i cartaginesi «si meravigliarono vedendo i corvi sospesi sopra le prue». Tuttavia, «disprez-

zando gli avversari», si lanciarono all’attacco. Gli africani, stupefatti, videro i loro vascelli «l’un dopo l’altro afferrati dalle macchine, e gli uomini immediatamente passati sui corvi combattevano sulle coperte», in un’azione del tutto simile a un combattimento a terra. Alcuni cartaginesi riuscirono a fuggire, ma le prime trenta navi che erano andate all’assalto furono catturate. Tra queste c’era anche quella comandata da Annibale, il condottiero cartaginese; lui, tuttavia, riuscì a salvarsi quasi per miracolo a bordo di una scialuppa.

LA TRIREME ROMANA UTILIZZAVA QUASI 200 REMATORI PER SPOSTARSI A UNA VELOCITÀ SUPERIORE AI SETTE NODI. RILIEVO DEL I SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.


6

LAGO DI LUCRINO 4

5 Lago Averno

Napoli

Vesuvio

Pozzuoli Pompei

CAPO MISENO

Golfo di Napoli Penisola di Sorrento

Ischia

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I T M A E R R R A

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M E D I T E R R A N E O

MISENO, LA BASE DELLA FLOTTA IMPERIALE capo miseno, a ovest di Napoli, fu la base della flotta imperiale incaricata della protezione del Mediterraneo occidentale e il principale porto militare di Roma. Augusto volle che fosse costruito sopra le rovine di un primo porto edificato nel 37 a.C. per ospitare una nuova flotta durante lo scontro con Sesto Pompeo. Tra le strutture vi erano bacini di carenaggio, un accampamento per le truppe e spazi per l’esercizio fisico e l’addestramento. A Miseno erano ancorate soprattutto biremi, triremi e quadriremi, e solo alcune quinqueremi ed esaremi. La missione di queste navi era quella di

IL PORTO DI

proteggere i porti commerciali della costa tirrenica, come quello della vicina Pozzuoli, principale punto d’arrivo del grano proveniente da Alessandria, la capitale dell’Egitto, e Ostia, il principale porto dell’Impero, che riforniva Roma di tutto ciò di cui aveva bisogno. Fino a quarantamila uomini furono assegnati a Miseno e alla base militare di Ravenna, da dove dovevano vigilare sulla sicurezza del Mediterraneo orientale. I componenti della flotta di Miseno avevano il rango di pretoriani ed erano agli ordini di un prefetto che rispondeva esclusivamente all’imperatore, senza sottomettersi al mandato del Senato.

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Capri

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ACQUERELLI DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © ÉDITIONS ERRANCE

Cuma


1 CAPO MISENO

Il promontorio, a ovest di Napoli, deve il nome al fatto che, secondo la mitologia, era la tomba di Miseno, trombettiere di Enea.

7

2 ENTRATA DEL PORTO

Un imbarcadero proteggeva il piccolo ingresso alle strutture del porto; era l’unico punto di uscita verso il golfo di Napoli.

3

3 ACCAMPAMENTO MILITARE Le truppe destinate alla flotta erano alloggiate vicino alla spiaggia e a metà delle strutture portuali.

PORTO DI MISENO 8 2

4 MARE MORTO

Il lago di Lucrino fungeva da luogo di addestramento per le truppe e aveva bacini di carenaggio dove riparare e costruire le imbarcazioni.

5 SPIAGGIA DI MILISCOLA

6 VIA PER CUMA

A Cuma sorgevano numerose ville di svago. La strada che la univa a Miseno era fiancheggiata dalla necropoli dei marinai.

7 PISCINA MIRABILIS

Questa grande cisterna riforniva le truppe del porto. Era alimentata dalle acque trasportate dall’acquedotto del Serino.

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G

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N A P O L I

Questa stretta lingua di sabbia separava il lago Lucrino e il porto militare del Mar Tirreno e collegava il capo alla terraferma.

8 MISENO

Enclave di commercianti e veterani della flotta, crebbe al riparo del porto fino a diventare municipio e, successivamente, colonia.


L’orrore della guerra in mare NEL IV SECOLO A.C., un autore romano di nome Flavio Vegezio scrisse un trattato su questioni militari nel quale descrive uno scontro in mare (IV 44). Secondo il testo, «nulla è crudele quanto una battaglia navale». Dopo la pioggia di pietre, frecce e dardi avviene l’abbordaggio. «I più audaci lanciano ponti per congiungere le navi e allora inizia il combattimento con le spade, corpo a corpo. Sulle navi più grandi si innalzano torri per attaccare il nemico come dall’alto di una muraglia. Le balestre scagliano contro le navi nemiche frecce avvolte di stoppa imbevuta di olio incendiario, zolfo e bitume, che incendiano rapidamente le assi di legno trattate con cera, pece e resina. In questi combattimenti alcuni periscono per il ferro; altri per le pietre; altri ancora, consumati dalle fiamme, in mezzo alle onde», e «i corpi, senza sepoltura, servono da pasto ai pesci». DEA / SCALA, FIRENZE

UNA BATTAGLIA NAVALE

Rilievo del II secolo d.C. che rappresenta uno scontro navale, con i corpi di alcuni dei combattenti che galleggiano in acqua. Museo Archeologico, Venezia.

Quattro anni dopo, nel sud della Sicilia, l’efficacia militare romana fu di nuovo decisiva. Nella battaglia di Capo Ecnomo, nonostante le flotte fossero abbastanza equilibrate, Roma dimostrò ancora una volta la sua maggior capacità operativa. Le cifre dello scontro non lasciano spazio a dubbi: 198 imbarcazioni affondate o catturate nello schieramento cartaginese contro soltanto 24 della flotta romana. La guerra si concluse nel 241 a.C. con un’altra schiacciante vittoria navale romana a est della Sicilia, nelle isole Egadi. Cartagine perse la metà della sua flotta e fu costretta a firmare la pace. Dopo le guerre puniche, Roma usò la sua armata contro i pirati e soprattutto come supporto logistico nelle campagne militari terrestri. Giu-

Le navi, progettate per il Mediterraneo, soffrivano nell’Oceano Atlantico NAVE DA GUERRA SU UN DENARIO D’ARGENTO. BRITISH MUSEUM, LONDRA. ERICH LESSING / ALBUM

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lio Cesare, per esempio, impiegò la flotta nella sua conquista della Gallia quando nell’anno 56 a.C. affrontò i veneti, nell’attuale Bretagna. Le navi romane erano costruite per il tranquillo Mediterraneo e non per sopportare la forza delle grandi onde dell’Oceano Atlantico. Le navi venete erano più resistenti, con chiglie più piatte e prue più alte. Le imbarcazioni romane erano più veloci, però non potevano investire le navi nemiche né scagliare frecce con la certezza di andare a segno, quindi Cesare – proprio come aveva fatto Duilio due secoli prima contro i cartaginesi, a Milazzo – scelse di ricorrere a tecniche terrestri sul mare. Armò le sue navi con pertiche dotate di uncini sulla punta, e con queste armi i romani strapparono gli alberi delle navi dei galli, facilitando l’abbordaggio. Un anno più tardi, Cesare ricorse di nuovo alla flotta nella sua prima spedizione in Britannia (l’isola della Gran Bretagna). La scena descritta evoca un altro episodio avvenuto duemila anni dopo sull’altra sponda del Canale: lo sbarco in Normandia. I legionari sbarcarono dalle navi a vari metri dalla costa e si videro costretti ad avanzare affrontando le onde, con il peso delle


ARCHI DI TRIONFO

A Leptis Magna, un’importante enclave commerciale del Nord Africa che passò dalle mani cartaginesi a quelle romane dopo le guerre puniche, si innalzano due archi trionfali, eretti da Settimio Severo e Antonino Pio. SUSANNA WYATT / GETTY IMAGES


LE TRUPPE CHE ACCOMPAGNANO TRAIANO SI IMBARCANO VERSO I BALCANI. RIPRODUZIONE ESEGUITA SECONDO I RILIEVI DELLA COLONNA TRAIANA, DOVE SI NARRANO LE CAMPAGNE DELL’IMPERATORE CONTRO I DACI.

ACQUARELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © ÉDITIONS ERRANCE

RESTI DELLA BATTAGLIA Prua in bronzo di una nave affondata nella battaglia di Azio, del 31 a.C. Rappresenta la dea Atena con uno scudo, come protettrice dell’imbarcazione. British Museum, Londra.

armi in spalla, sotto una pioggia di frecce e incalzati dalla cavalleria britannica. Lo stesso generale riconosceva nelle sue cronache che i suoi soldati, «sgomenti, trovandosi di fronte a una tecnica di combattimento del tutto nuova, non si battevano con il solito zelo e ardore dimostrato in campo aperto», fino a quando l’aquilifero, cioè colui che portava l’aquila delle legioni, non si lanciò in mare gridando: «Saltate giù, commilitoni, se non volete consegnare l’aquila al nemico». Queste parole diedero coraggio ai legionari, che si impegnarono a raggiungere la riva e riuscirono a mettere in fuga i britanni.

La battaglia per il potere

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

L’ultimo grande scenario in cui la marina ebbe un ruolo decisivo fu la battaglia di Azio, che nel 31 a.C. decise la guerra civile tra Marco Antonio e Ottaviano, il futuro imperatore Augusto. La flotta di Antonio contava su circa cinquecento navi e oltre centomila uomini ed era superiore a quella di Ottaviano per numero di soldati, ma non in navi, che erano grandi ottaremi e decaremi, molto difficili da manovrare. Ciò permise alle navi

di Ottaviano, più piccole e leggere, di circondare a catturare gli enormi vascelli dell’avversario. Risultati dello scontro furono la fuga di Marco Antonio e Cleopatra ad Alessandria e la cattura da parte di Ottaviano di circa trecento navi. Una vittoria schiacciante che decise il corso della guerra. Salito al potere e senza grandi nemici in mare, Augusto adattò la flotta alla nuova situazione di egemonia assoluta di Roma e la distribuì in piccole basi sui fiumi che segnavano i confini naturali dell’Impero. Stabilì una flotta permanente a Miseno e un’altra a Ravenna, con imbarcazioni leggere: biremi e liburne costruite sul modello delle veloci navi di pirati che dovevano combattere. Secoli dopo, l’Impero romano d’Oriente assunse l’egemonia dei mari e costruì navi più piccole con due vele per sfruttare il vento, che anticiparono il tipo di nave che sarebbe stato usato durante il Medioevo. Per saperne di più

SAGGI

I Romani e il Mediterraneo M. Reddé, J.-C. Golvin. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 2008. Storia completa dell’esercito romano Adrian Goldsworthy. Logos, Modena, 2007.


SULLA COLONNA TRAIANA sono illustrate le campagne di Traiano contro i daci negli anni tra il 101 e il 106 d.C. Nella parte inferiore dell’immagine compare lo stesso imperatore alla guida di un’imbarcazione diretta verso la Dacia. BRIDGEMAN / ACI

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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VASCELLI MOLTO DIVERSI PER

La flotta romana era composta da differenti tipi di navi. Alcune erano enormi, come le

Le navi che solcavano il Mare Nostrum MOLTE NAVI da guerra romane prendevano il nome dal numero delle file di remi, che si sovrapponevano le une alle altre su diversi livelli: erano le biremi (due file di remi) e le triremi (tre file). Altre navi importanti erano le quinqueremi, chiamate così perché ciascuna sezione verticale di remi (da due o tre file) era mossa in totale da cinque rematori, con una capacità di 300 marinai e 120 legionari. La flotta da guerra era completata dalle navi dell’intendenza militare, come le navi da carico per il trasporto delle truppe e per le comunicazioni. In epoca imperiale si diede la priorità alla costruzione di navi più piccole e leggere, come la liburna, che diede prova del proprio valore nella battaglia di Azio sconfiggendo le grandi navi di Marco Antonio.

QUESTA LIBURNA DEL II SECOLO D.C. SI BASA SULLE DESCRIZIONI DELLO STORICO J. S MORRISON. È DOTATA DI UNA PICCOLA PROTEZIONE IN LEGNO PER I REMATORI SIMILE A QUELLE DELLA COLONNA TRAIANA.

1

LIBURNA 1

Usata per combattere la pirateria, fu la nave principale durante l’Impero. Nacque come monoreme, ma poi furono aggiunte un’altra fila di remi e una protezione per i marinai.

TRIREME 2

Misurava 36 metri in lunghezza e soltanto 4,5 in larghezza. A bordo viaggiavano 120 legionari e 170 rematori. I remi della fila superiore erano lunghi più di tre metri e mezzo.

QUINQUEREME 3

Evoluzione della trireme, era lunga 45 metri e larga 5; era spinta da 300 rematori e a bordo c’erano 120 legionari. Aveva un armamento poderoso e un aspetto imponente.


COMPITI MOLTO DIVERSI quinqueremi, mentre altre erano molto più piccole

DISEGNO DI UNA TRIREME DEL II SECOLO A.C., SECONDO I MODELLI DELLE MONETE ROMANE DELL’EPOCA, CHE MOSTRANO UNO SPAZIO APERTO AL DI SOPRA DEI REMATORI CHE SERVIVA DA CONDOTTO DI VENTILAZIONE.

2 Corvus

RICOSTRUZIONE DI UNA QUINQUEREME DEL 69 A.C. BASATA SUL MONUMENTO DELL’ISOLA TIBERINA DI ROMA; I COLORI SONO QUELLI DI POMPEO. SI CALCOLA CHE A MUOVERLA CI FOSSERO 282 REMATORI.

3

Torre smontabile per lanciare proiettili

ILUSTRACIONES: GIUSEPPE RAVA / OSPREY PUBLISHING


PELLEGRINAGGI NEL MEDIOEVO

Le tre grandi rotte dei pellegrini nel Medioevo portavano al Santo Sepolcro di Gerusalemme, alle tombe di Pietro e Paolo a Roma e a quella di Giacomo a Compostela. Pellegrini attorno alla Basilica di Santa Croce, Hans Burgkmair. 1504. BPK / SCALA, FIRENZE


I pericoli del pellegrinaggio

IL CAMMINO DI SANTIAGO migliaia di fedeli provenienti da tutto il mondo cristiano si incamminavano ogni anno verso compostela per visitare la tomba dell’apostolo. la mancanza di indicazioni, i banditi e i locandieri senza scrupoli rendevano il percorso un’odissea JAVIER LERALTA STORICO E SCRITTORE


In questa località, i pellegrini potevano visitare la cappella di San Giacomo (in alto). Diverse leggende la legavano a Rolando, anche se fu probabilmente costruita nel XII secolo.

I

ntraprendere il Cammino di Santiago nel Medioevo era una grossa sfida. Sebbene fosse un itinerario profondamente religioso, era irto di difficoltà che i pellegrini dovevano superare, come se fosse un percorso a ostacoli. Il viandante non doveva solo raggiungere il sepolcro dell’Apostolo, ma doveva essere in grado di fare ritorno al luogo d’origine per raccontare le sue imprese e ricevere gli elogi dei compaesani. Elogi sinceri e riconoscenti, giacché in alcuni luoghi, come in Slovacchia, il pellegrino era esentato per sempre dal pagamento delle imposte se dimostrava di aver fatto il Cammino tre volte. Questa avventura per il pellegrino significava abbandonare i propri familiari per mesi, addirittura per anni. Allo stesso tempo, doveva affrontare malattie, raggiri, furti e abusi di ogni tipo, oltre a dover sopportare

BRIDGEMAN / ACI

JOSÉ MANUEL SALGADO / AGE FOTOSTOCK

CHIESA DI RONCISVALLE

pidocchi e cimici, cani pieni di pulci, temperature estreme, sentieri difficili percorsi con calzature inadatte e numerosissime calamità, il tutto attraversando regioni e luoghi di cui spesso non conosceva la lingua. Il monaco francese Aymeric Picaud lasciò una testimonianza scritta dei pericoli che correvano i pellegrini nel suo Codex Calixtinus, il celebre manoscritto del XII secolo. In esso avvertiva dei fiumi dalle acque pericolose, dei tafani molesti, dei barcaioli che imbrogliavano e delle persone violente e cattive.

C R O N O LO G I A

UNA VIA LUNGA E RISCHIOSA 70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Papa Nicola II si rivolge ai vescovi di Galizia, Aquitania e Guascogna affinché sanzionino con la scomunica chi commette furti o altre azioni dannose contro i pellegrini.

X11 SECOLO

JOSSE / SCALA, FIRENZE

X1 SECOLO

Il Concilio Lateranense (1123) impone la scomunica per chi deruba i pellegrini. Nella presentazione del Codex Calixtinus, Callisto II racconta che dei ladri gli rubarono tutto tranne il codice.

SANTIAGO. SCULTURA PROVENIENTE DA SEMUR EN AUXOIS. 1475-1500. LOUVRE, PARIGI.


PENITENZA, CASTIGO ED ESPIAZIONE

PELLEGRINAGGIO FORZATO

N

elle Partidas di Alfonso X si distinguono tre tipi di pellegrinaggio: per volontà propria, per voto o promessa e per penitenza. Quest’ultima, regolata inizialmente dal diritto canonico, fu usata dalla Chiesa come castigo per diversi crimini commessi da preti, ma fu inflitta anche a laici che avevano rubato beni della Chiesa o commesso delitti gravi contro i loro familiari. La durata e la distanza del pellegrinaggio differivano a seconda della gravità del crimine. Nella variante più grave, per esempio, il pellegrino doveva trascinare catene o camminare nudo. Il potere secolare adottò questo modello di pellegrinaggio, soprattutto nell’Europa centrale, imponendolo talvolta a famiglie o popolazioni ribelli. Siamo a conoscenza di casi in cui il pellegrinaggio forzato veniva compiuto attraverso un rappresentante, oppure poteva essere sostituito da un lascito testamentario o da un altro tipo di donazione in denaro o opere pie.

La cattiva segnaletica lungo il Cammino era uno dei problemi più preoccupanti, specialmente sui valichi di montagna, dove la neve cancellava sentieri e tracce. La prassi era quella di indicare l’itinerario con pali e paletti conficcati vicino al sentiero, ma bisognava anche fare manutenzione, e il personale era presente solo nei pressi di ostelli e rifugi.

Campane per orientarsi

MAPPA DEL PELLEGRINAGGIO

La cartina illustra il percorso del tratto francese del Cammino di Santiago di Compostela, con tutti i santuari che i pellegrini incontrano lungo la via. Incisione di D. Serveaux. 1648.

Talvolta, quando le tormente erano violente o la nebbia molto fitta, il pellegrino smarrito si orientava con il suono delle campane di Somport,

X111 SECOLO

X1V SECOLO

Si pubblicano il Libro de los Fueros de Castilla, il Fuero Real e le Siete Partidas, che raccolgono i diritti dei pellegrini e stabiliscono la protezione che dev’essere loro accordata dalle autorità per evitare abusi.

Con la creazione della Compostela, un documento che certifica il compimento del Cammino, compaiono falsari e venditori di falsi. Vengono concesse indulgenze a coloro che aiutano i pellegrini.

XV SECOLO Giovanni II di Castiglia concede un salvacondotto speciale ai pellegrini europei e Ferdinando il Cattolico punisce i nobili che si approfittano di loro. CODEX CALIXTINUS. MANOSCRITTO MINIATO DEL XII SECOLO. LIBRO I.

ORONOZ / ALBUM

A partire dal XII secolo, quando i regni cristiani riuscirono a spingere i musulmani verso le valli del Tago e il fiume Guadiana, il tratto francese del Cammino – da Saint-Jean-Piedde-Port e Roncisvalle fino a Santiago de Compostela – divenne l’itinerario più utilizzato dai pellegrini. Nella località francese di Ostabat confluivano pellegrini bretoni, fiamminghi, guasconi, anseatici o franchi che avevano abbandonato le loro terre mesi e mesi prima. A Saint-Jean-Pied-de-Port si fermavano a riprendere le forze per salire verso il porto di Ibañeta, già nel territorio del regno di Navarra, e fare una sosta a Roncisvalle.


ORONOZ / ALBUM

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Roncisvalle, Foncebadón o del monastero di San Salvador, nell’Alto di Ibañeta, dove un monaco suonava in continuazione la campana. I re incentivarono l’insediamento di ostelli e coloni con alcune esenzioni e libertà in cambio dell’obbligo di segnalare il Cammino. Alla fine del XV secolo, i Re Cattolici concessero questo privilegio ai vicini di El Acebo, a El Bierzo, a condizione che conficcassero nel terreno 400 pali tra il villaggio e il porto di Foncebadón. Il pellegrino misurava le distanze in giornate, si orientava con il sole e le stelle e talvolta aveva la fortuna di incontrare un’antica pietra miliare romana o un crocevia che gli indicavano la strada se non addirittura la distanza. Rollos – colonne sormontate da una croce –, gogne – strutture alle quali venivano esposti alla berlina i condannati – e crocevia aiutarono i viandanti sin dal XIV secolo, quando si diffuse il culto della croce professato dai seguaci di san Francesco d’Assisi – che, secondo la tradizione, si recò in pellegrinaggio a Santiago nel 1214. Queste modeste costruzioni consolidavano il carattere religioso del Cammino, oltre a servire da segnali di confine o a indicare il luogo di un episodio luttuoso. I campanili svolsero la funzione di fari terrestri per aiutare a orien-

SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12

ALFONSO X, PROTETTORE DEI PELLEGRINI Nel libro delle Siete Partidas, il re Alfonso X il Saggio dedica due capitoli all’esposizione dello status dei pellegrini, distinguendo inoltre tra vari tipi di pellegrinaggio. Raffigurazione del monarca castigliano nel Libro de los Juegos.

SCALA, FIRENZE

PELLEGRINI INGINOCCHIATI. DETTAGLIO DI UN AFFRESCO DI ANDREA DI BONAIUTO NELLA CHIESA DI SANTA MARIA NOVELLA, FIRENZE. XIV SECOLO.

tarsi i pellegrini che altrimenti rischiavano di smarrirsi. Per esempio, il piccolo villaggio di Berdún, sul Cammino per Somport, divenne un punto di riferimento visivo per i viandanti, perché le sue case si trovavano su un colle nel mezzo di una grande piana di cereali. E lo stesso si può dire del campanile della chiesa di Santiago di Puente la Reina, delle torri delle cattedrali di Logroño e Burgos, del castello di Castrojeriz o della grande costruzione della chiesa di Villalcázar de Sirga, visibili da grande distanza.

Truffatori, ladri e mascalzoni Ciononostante, la preoccupazione maggiore dei pellegrini era la mancanza di sicurezza, poiché era molto difficile assicurare la vigilanza degli ottocento chilometri di percorso tra i Pirenei e la città dell’Apostolo. Le aggressioni erano frequenti, soprattutto nelle zone di maggior transito di pellegrini e dalle condizioni inospitali, come i pericolosi boschi attorno a Villafranca Montes de Oca (Burgos), che portava a una delle tappe più attese del


SANTA MARIA DE IRACHE

Situato lungo il tratto navarro del Cammino di Santiago, vicino a Estella, il monastero fu il primo a diventare un ostello per i pellegrini, fondato nell’XI secolo dal re García Sánchez III.

CONVENTO DI SANT’ANTONIO

SANATORIO MIRACOLOSO

UOMO AFFETTO DA ERGOTISMO. DETTAGLIO DELL’ALTARE DI ISENHEIM, DI MATTHIAS GRUNEWALD. 1510-1515. MUSEO DI UNTERLINDEN, COLMAR.

A

BRIDGEMAN / ACI

lcuni pellegrini giungevano nei regni spagnoli afflitti da una dolorosa malattia chiamata ignis sacer, “fuoco sacro”, chiamata anche fuoco di Sant’Antonio. L’ergotismo, come viene chiamato oggi, era provocato dall’ingestione di pane fatto con segale infettata da un fungo che creava dei “cornetti” sui chicchi del cereale. Vicino a Castrojeriz esisteva un convento dove gli ammalati venivano curati con una dieta a base di pane di grano grazie alla quale alcuni guarivano, dopo di che inviavano ex voto con la forma delle parti trattate (gambe, braccia). Questi ex voto venivano esposti nel convento e da ciò nacque la leggenda secondo la quale i frati amputavano le estremità ai malati.

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CALICE DELLA CATTEDRALE DI SANTIAGO Calice in oro e diamanti, donato alla cattedrale di Santiago di Compostela dall’arcivescovo Múzquiz nel 1819. Il tesoro della cattedrale custodisce numerosi oggetti di grande valore, donati dai fedeli nel corso dei secoli.

ORONOZ / ALBUM

percorso: il sepolcro di San Juan de Ortega, costruttore di ponti. I pellegrini cercavano sempre di spostarsi in gruppo, com’era consuetudine anche lungo altre rotte di pellegrinaggio europee, come quelle di Aquisgrana, Parigi o San Martino di Tours. Le bande di ladri erano frequenti a Roncisvalle, a León e nelle Bárdenas della Navarra. I Montes de Oca divennero il covo dei malfattori, senza che le milizie delle confraternite municipali potessero fare qualcosa per cacciarli. Lo diceva chiaro un detto popolare: «Se vuoi rubare, vai ai Montes de Oca». Il pericolo era in agguato persino nei luoghi in cui ci si abbeverava, come avvertiva il monaco Picaud nella sua Guida del pellegrino a proposito di un villaggio nei monti della Navarra: «In un luogo chiamato Lorca, nella zona orientale, scorre il fiume che chiamano Salado: non fermarti a bere, né tu né il tuo cavallo, giacché è un fiume letale! In direzione di Santiago, seduti sulla riva, sono in agguato due navarri che affilano i coltelli con i quali erano soliti sgozzare le cavalcature dei pellegrini che bevevano in quelle acque e morivano». La piaga dei banditi portò a iniziative come quella di Teobaldo II di Navarra, che nel 1269 fondò il villaggio di El Espinal per evitare un lungo tratto di cammino senza luoghi abitati, al fine di complicare la vita alle bande di malviventi. I pellegrini erano anche vittime abituali di ogni

IMAGEN MAS

PRISMA / ALBUM

L’ULTIMA CENA. DETTAGLIO DI UN GRUPPO DI APOSTOLI. GIACOMO, VESTITO DA PELLEGRINO, È SULLA DESTRA. JAUME FERRER. XV SECOLO.

sorta di inganni, da parte di venditori che alteravano il peso degli articoli o di cambiavalute che imbrogliavano (bisogna tener presente che i viandanti dovevano cambiare il denaro sei o sette volte, attraversando i vari regni). Bisognava diffidare anche dei locandieri, che a volte servivano ai pellegrini bevande con sonniferi per poterli derubare più facilmente. In altre occasioni i signori del luogo li costringevano a pagare pedaggi per attraversare ponti o fiumi con la barca, nonostante essi fossero esenti per legge dal pagamento. I raggiri erano all’ordine del giorno. A volte, due truffatori simulavano un litigio per una moneta di piombo dorato trovata per strada. Il pellegrino, pieno di buone intenzioni, interveniva a placare la lite offrendo una moneta a ciascuno dei due in cambio della falsa moneta d’oro. Nei pressi di San Millán de la Cogolla si trova una piccola valle che porta l’appellativo di Umbría de la Fuente de los Ladrones in memoria di quei furfanti. Poiché quello di San Giacomo era un cammino di santi e miracoli, divennero frequenti


RELIQUIE FAMOSE

I MIRACOLI DEL CAMMINO

I

pellegrini approfittavano del passaggio attraverso le città del Cammino di Santiago per visitare le chiese famose per le reliquie che custodivano e i miracoli che queste operavano. A León, per esempio, non mancavano di fare tappa al monastero di San Isidoro, che dall’XI secolo custodiva i resti del cosiddetto Santo Dottore. Nel testo Sui miracoli di Sant’Isidoro, scritto all’incirca nel 1230, il vescovo Lucas de Tuy, detto “el Tudense”, narra diverse storie di guarigioni miracolose di paralitici, ciechi e sordomuti. Una di esse riguarda un prete malvagio che, dopo la morte, resuscitò per tre giorni per riconciliarsi con Dio. Per scegliere la tomba definitiva del prete chiesero a «un ragazzo dei molti stranieri che passavano in pellegrinaggio diretti a Santiago» di tirare una pietra nel chiostro. Apparvero così i segni che indicavano l’ubicazione del sepolcro, esattamente come aveva ordinato sant’Isidoro. El Tudense assicura nel suo scritto di essere stato testimone oculare di questo miracolo.

i farabutti che facevano affari con bolle contraffatte e reliquie false. C’erano anche falsi pellegrini, attori consumati che indossavano gli indumenti da viandante – bastone, mantellina, scarsella e cappello – e carpivano la fiducia dei veri pellegrini per poi derubarli approfittando di una distrazione. Altri simulavano ferite per attirare la carità di altri viandanti. Questi furfanti, molti dei quali stranieri, soprattutto inglesi, sapevano che sovente i pellegrini portavano elemosine per conto di altri, custodite nelle fodere degli abiti, e che era facile derubarli. Furono numerose le denunce di questo tipo nelle zone di Estella e Sangüesa, in Navarra.

Castighi per i delinquenti La grande quantità di crimini e abusi che si perpetravano lungo il Cammino obbligarono le autorità a regolare giuridicamente il fenomeno del pellegrinaggio giacobino. Fu così che il Fuero Real di Alfonso X il Saggio stabilì che «tutti i viandanti e i pellegrini che attraversano i nostri regni, soprattutto quelli che

vanno e vengono da Santiago, debbono essere sicuri; concediamo loro il nostro privilegio di sicurezza affinché vadano e vengano e soggiornino nei nostri regni». Vi furono norme che garantivano ai pellegrini il possesso dei beni che portavano con loro durante il viaggio. Alla fine del regno di Giovanni I, verso il 1390, i pellegrini furono autorizzati a introdurre e portare via liberamente palafreni, cavalli da trotto e vacche «se si dimostra che non nacquero in Castiglia». Suo nipote Giovanni II diede ordine che si concedessero salvacondotti ai pellegrini del Vecchio Continente e che non fossero confiscati i loro beni o altre proprietà perché erano considerati sudditi del re. Nel Fuero Real, inoltre, si esortavano i giudici a dare ascolto alle istanze dei pellegrini: «Se gli alcalde dei vari luoghi non hanno fatto risarcire i pellegrini dei mali e dei danni ricevuti per colpa di osti e locandieri così come da qualsiasi altra persona, dopo che da parte dei pellegrini sia stata presentata istanza cui non è stata resa giustizia, senza ritardo alcuno paghino al pellegrino il doppio del danno

LA CATTEDRALE DI LEÓN

La città di León, con la sua cattedrale gotica la cui costruzione iniziò nel XIII secolo, fu una delle tappe principali del Cammino di Santiago. Interno della cattedrale, con le magnifiche vetrate istoriate variopinte.

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CONCHIGLIE PER I PELLEGRINI La capasanta, o conchiglia di San Giacomo, è uno dei simboli caratteristici del Cammino di Santiago. I pellegrini la portavano sul cappello o appesa al mantello, ed era la prova di aver compiuto il Cammino, perché la si otteneva soltanto a Santiago.

ORONOZ / ALBUM

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subìto e le spese che per questo egli avesse dovuto sostenere». Il testo alfonsino distingueva il ladro del Cammino da quello che rubava al di fuori di esso. Nel primo caso, le pene erano molto più dure, poiché il furto ai danni dei pellegrini era solitamente punito con la morte. Siamo a conoscenza di diversi casi in cui fu comminata la pena capitale per aggressioni lungo il Cammino. Nel 1332, per esempio, dei due ladri arrestati per aver derubato dei pellegrini, uno fu impiccato e l’altro fu frustato e gli vennero mozzate le orecchie. Per lo stesso motivo fu portato alla forca il castigliano Martín de Castro, che rubava nelle chiese del Cammino. Altre volte i condannati erano criminali che si facevano passare per pellegrini. Nel 1337 fu processato e impiccato un certo Thomas di Londra, falso pellegrino inglese, per aver rubato a un viandante sei fiorini d’oro che nascondeva nella manica. La stessa sorte toccò a un pellegrino genovese che aveva trafugato oggetti dal santuario asturiano di Salas. Il Libro de los Fueros di Castiglia, dell’epoca di Alfonso X, narra la storia di un certo Andrés, che rubò i bagagli e il denaro di un pellegrino e che quando fu arrestato accusò suo fratello, abate di un monastero, di essere la mente del furto. L’abate cercò rifugio in una chiesa, facendosi scudo dell’immunità di cui

JUERGEN RICHTER / AGE FOTOSTOCK

ORONOZ / ALBUM

PORTICO DELLA GLORIA, NELLA CATTEDRALE DI SANTIAGO. JENARO PÉREZ VILLAAMIL. XIX SECOLO. PALACIO DE LA MONCLOA, MADRID.

godevano gli edifici ecclesiastici, ma dovette restituire il denaro rubato e fare due pellegrinaggi a Santiago per ottenere il perdono, e fu privato della carica e dei benefici. Il fratello, invece, fu impiccato.

Pidocchi, cimici e sporcizia Uno degli attributi essenziali del pellegrino era la zucca, la borraccia medievale divenuta un vero e proprio simbolo iconografico, che i viaggiatori riempivano d’acqua alle fonti e agli abbeveratoi costruiti lungo il percorso. Queste fonti servivano anche come luogo di sosta in cui i pellegrini potevano provvedere all’igiene personale, poiché in genere erano infestati da pulci, pidocchi e cimici. Ancora oggi esistono fonti risalenti a quell’epoca, i cui nomi evocano l’uso che ne facevano i pellegrini. Nei dintorni di Burgos, per esempio, troviamo la Fuente de los Piojos (fonte dei pidocchi), a Itero del Castillo, e quella di Mojapán, lungo la salita verso il porto della Pedraja, nei Montes de Oca, dove si diceva che i viandanti bagnassero i tozzi di pane secco per ammor-


I RISCHI DELL’AFFOLLAMENTO

OMICIDIO NELLA CATTEDRALE

A

lla fine del XV secolo, il viaggiatore tedesco Hieronymus Münzer descriveva così l’interno della cattedrale di Santiago: «È incredibile il fermento che vi è di continuo in quella chiesa, prodotto dalle voci della gente, che in questo modo dimostra ben poca devozione al benedetto Apostolo, al quale sarebbe d’uopo mostrare una maggiore reverenza». Non sorprende quindi che in una tale ressa avessero luogo alterchi e addirittura fatti di sangue. Nel 1207, per esempio, l’arcivescovo di Compostela informò con una lettera il papa Innocenzo III di un omicidio avvenuto nel bel mezzo della cattedrale e gli chiedeva un modo per purificare il tempio più immediato di una nuova consacrazione, che era quello che stabilivano i canoni in caso di spargimento di sangue. Il papa lo autorizzò a purificarla con acqua benedetta mescolata con vino e cenere, senza bisogno di consacrarla di nuovo.

bidirli. Quando si trovavano ormai solo a una decina di chilometri da Santiago, la tradizione obbligava i pellegrini a lavarsi il corpo nelle acque del fiume Lavacolla. Ciononostante, la cattedrale di Compostela si riempiva dell’olezzo dei pellegrini, che dormivano all’interno approfittando del fatto che restava aperta tutto il giorno. Al problema dei cattivi odori si cercava di porre rimedio con il gigantesco incensiere che esiste almeno dal XIV secolo, e che oggi è divenuto un altro dei simboli caratteristici del pellegrinaggio. Il pericolo dei malviventi accompagnava il pellegrino fino all’ultimo momento. Nelle vie di Santiago doveva evitare i venditori di falso giaietto – una pietra molto usata dai gioiellieri della città – e finte conchiglie del Cammino, ricordo e prova del compimento del pellegrinaggio. In questo commercio redditizio dovette intervenire la Chiesa, che nel XIII secolo ne controllò la vendita in determinate botteghe di concheiros. Infine, quando si giungeva alla tomba dell’Apostolo era consuetudine disfarsi degli indumenti vecchi e bruciarli

davanti alla Cruz dos Farrapos (la croce degli stracci), sul tetto della chiesa. Gli abiti, però, erano un bene prezioso nel Medioevo, e alcuni di quelli destinati al fuoco venivano immessi di nuovo sul Cammino per essere venduti ad altri pellegrini più poveri. Finalmente, il pellegrino giungeva sulla Plaza de la Azabachería, dove poteva gridare Ultreia!, l’esclamazione medievale di gioia per essere arrivato sano e salvo nella città dell’apostolo. La sua avventura veniva ricompensata con il documento (la futura Compostela) che attestava il compimento del pellegrinaggio, e con i benefici personali e spirituali che il pellegrino acquistava per l’eternità.

Per saperne di più

CATTEDRALE DI SANTIAGO

Il sepolcro dell’apostolo Giacomo a Compostela era la meta dei pellegrini di tutta Europa. Nel 1211 venne consacrata la cattedrale attuale, in stile romanico e con la facciata principale barocca.

SAGGI

Compostela e il culto di san Giacomo nel Medioevo Denise Péricard-Méa. Il Mulino, Bologna, 2004. Il cammino delle stelle. Sui passi dei pellegrini medievali a Santiago di Compostella Andrea Conti. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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MIRACOLI E MERAVIGLIE Le Cantigas de Santa María, composte dal re di Castiglia Alfonso X il Saggio, raccolgono

IL DIAVOLO RIVENDICA L’ANIMA DI UN PELLEGRINO

L

a Cantiga 26 contiene uno dei racconti più popolari del Cammino di Santiago. Nel XIII secolo, la storia era nota come il Grande Miracolo e nella cattedrale di Santiago si teneva una cerimonia per commemorarla. Secondo la tradizione, un pellegrino diretto a Santiago pecca contro la castità. Gli appare dunque il diavolo con le sembianze di san Giacomo apostolo e gli dice che, se vuole salvarsi, deve tagliarsi il membro con il quale ha peccato. Il pellegrino obbedisce e muore per le conseguenze della mutilazione. Il vero san Giacomo, allora, contende al diavolo l’anima del pellegrino, e la Vergine, come avvocata del tribunale del Paradiso, decide per la resurrezione del pover’uomo, che comunque non potrà recuperare il membro perduto.

La vergine, signora del cielo, assisa in trono in paradiso

Il diavolo convince il pellegrino peccatore a mutilarsi

Il pellegrino si mutila e muore. il diavolo reclama l’anima

Giacomo e il diavolo si contendono l’anima del pellegrino

La Vergine decreta che il pellegrino deve resuscitare

Il pellegrino resuscita, ma non recupera il membro perduto

ORONOZ / ALBUM


DEL CAMMINO DI SANTIAGO nelle loro pagine miracoli e prodigi avvenuti durante il pellegrinaggio verso Compostela

PADRE E FIGLIO PELLEGRINI SONO ACCUSATI DI FURTO

Q Un padre e suo figlio viaggiano verso Compostela

Il locandiere cela una coppa d’argento nel sacco del figlio

Padre e figlio proseguono, mentre si denuncia il furto

I pellegrini vengono fermati per essere perquisiti

Si trova la coppa d’argento nella borsa del giovane

La vergine salva il ragazzo dalla morte sulla forca

ORONOZ / ALBUM

uesto miracolo, narrato nella Cantiga 175, è il più divulgato tra quelli avvenuti lungo il Cammino. A Tolosa, nel 1090, un pellegrino tedesco devoto alla Vergine viaggia con il figlio verso Santiago. Lì, un locandiere malvagio infila nella sacca del figlio una coppa d’argento. I pellegrini proseguono il viaggio, ma vengono raggiunti e il giovane viene accusato di furto e impiccato. Dopo l’esecuzione il padre disperato prosegue da solo. Trascorsi tre mesi, l’uomo rivede il cadavere del figlio ancora appeso alla forca, ma, con sua grande sorpresa, il giovane è vivo perché la Vergine lo ha sostenuto con le sue mani per tutto quel tempo. In seguito al miracolo, il popolo, indignato, va in cerca del locandiere, che dopo aver confessato la sua colpa viene arso sul rogo.


Apoteosi del Rinascimento

IL DAVID

DI MICHELANGELO nel 1504, il giovane michelangelo buonarroti suscitò lo stupore dei fiorentini presentando una statua di marmo alta più di cinque metri, un’impresa che non si vedeva dall’antichità INÉS MONTEIRA

ALINARI ARCHIVIO / CORDON PRESS

DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’ARTE. UNED (MADRID)


PRONTO AL COMBATTIMENTO

La fronte aggrottata e lo sguardo inquieto riflettono la famosa “terribilità” delle statue di Michelangelo. L’eroe prepara la fionda con la mano sinistra, pronto ad attaccare il gigante Golia. Galleria dell’Accademia, Firenze. Nella pagina a fianco, studio per la statua del David. Museo del Louvre, Parigi. ART ARCHIVE


situ al fine di alleggerirlo prima del trasporto a Firenze. Tre anni dopo, però, rinunciò all’impresa, considerandola superiore alle sue forze, e abbandonò nel laboratorio della cattedrale il blocco di marmo lavorato a metà. Rimase lì per quasi quarant’anni, senza che nessuno degli scultori, circa una dozzina, a cui fu offerta la pietra – che era conosciuta in città come “Il Gigante”– si ritenesse capace di scolpirvi una qualsiasi figura, grande o piccola.

Eroe adolescente

SCALA, FIRENZE

LA PIETÀ VATICANA

Quando nel 1498, ancora molto giovane, Michelangelo terminò la Pietà, alcuni misero in dubbio che fosse opera sua; allora sulla fascia che attraversa il petto della Vergine incise: «Michael Angelus Bonarotus Florent Faciebat».

L

a storia del David di Michelangelo ebbe inizio quarant’anni prima che l’artista si mettesse al lavoro. Nel 1463, le autorità dell’Opera della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze incaricarono lo scultore Agostino di Duccio di scolpire una grande statua che doveva essere posta all’esterno della cattedrale, sui contrafforti. Lì sarebbe stata accanto a quelle di altri due profeti realizzate mezzo secolo prima da Donatello e Nanni di Banco, con la differenza che, mentre queste erano in terracotta, quella di Di Duccio sarebbe stata di marmo. L’artista si recò alle cave di Carrara per scegliere un blocco di marmo adeguato, e addirittura lo sbozzò parzialmente in

Nel 1501, i responsabili della cattedrale fiorentina decisero di riprendere in mano il progetto e a questo scopo consultarono vari artisti, tra i quali Leonardo da Vinci, sulla possibilità di creare un’opera d’arte a partire da quel blocco di marmo sfregiato alto quasi sei metri. Michelangelo Buonarroti, un giovane scultore di 26 anni, fu l’unico ad assicurare di essere in grado di farlo senza bisogno di aggiungere altra pietra al blocco esistente. Il maestro aveva la capacità speciale di “vedere” la forma racchiusa nel blocco, poiché diceva che una scultura si realizzava semplicemente togliendo il marmo di troppo e che il compito dello scultore era quello di “liberare” la figura dalla sua prigione di pietra. Nell’agosto del 1501 firmò il contratto per la realizzazione del David e il mese seguente iniziò il lavoro. L’artista costruì un recinto di tavole di vari metri d’altezza che nascondesse il blocco, così da poter lavorare in solitudine ed evitare che l’opera venisse vista prima che fosse completata. Il tema della lotta tra David, il giovane pastore di 16 anni e futuro re d’Israele, e il gigante Golia fu uno dei più popolari dell’arte medievale. L’Antico Testamento racconta di come il guerriero filisteo irrida l’aspetto infantile e il povero equipaggiamento di armi di David, ma il giovinetto riesce a sconfiggerlo con una pietra scagliata con la sua fionda per poi decapitare il gigante con la sua stessa spada.

C R O N O LO G I A

L’ARTISTA E LA SUA OPERA SCALA, FIRENZE

1463

16-VIII-1501

Agostino di Duccio estrae un blocco di marmo di Carrara per realizzare una grande statua. Tre anni dopo rinuncia al compito.

Michelangelo firma un contratto per scolpire una statua di David a partire dal blocco di marmo di Agostino di Duccio.

MICHELANGELO BUONARROTI. RITRATTO DI ANDREA COMMODI. XVI SECOLO. CASA BUONARROTI, FIRENZE.


PALAZZO VECCHIO

Situato in piazza della Signoria, l’edificio era la sede del governo della Repubblica di Firenze. Nel 1504, una commissione di artisti decise di collocare il David di Michelangelo davanti al palazzo, al posto di un’opera di Donatello. ANNA SERRANO / FOTOTECA 9X12

23-VI-1503

25-I-1504

30-IV-1504

31-VII-1873 470 A.C.

Per la festa di San Giovanni Battista, patrono di Firenze, con la rimozione di un recinto di tavole che la celavano, la statua viene scoperta.

Si accetta questa data per la conclusione del David, anche se vi sono documenti secondo i quali era stata finita l’estate precedente.

Mentre una commissione di artisti delibera sul luogo in cui collocare il David, la statua viene trasferita in piazza della Signoria.

SiBis. decide di spostare Valicer udaciestlafacio, statua del David da strum piazza confertium qui cri della a una nuova tem Signoria quod cavo, Pala nonfes collocazione: la Galleria egervid co hos fuissil dell’ Accademia. tandiurnic oportud.


NELL’AFFRESCO DI ANDREA DI BONAIUTO, A SANTA MARIA NOVELLA, SI MOSTRA IL DUOMO CON LE STATUE CHE DOVEVANO DECORARE I CONTRAFFORTI, COME IL DAVID.

GALLERIA DI PROFETI SULLA CATTEDRALE

A

GLI INIZI del XV secolo si progettò

di collocare dodici statue gigantesche di profeti sui contrafforti della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore. I primi incarichi furono affidati nel 1410 a Donatello e a Nanni di Banco, che scolpirono due grandi figure rispettivamente di Giosuè e Isaia. In quel momento si stimò che le statue dovessero essere alte all’incirca cinque metri per poter essere ammirate dalla strada. Come materiale fu scelta la terracotta, più leggera del bronzo o del marmo e quindi più facile da sollevare e posizionare sui contrafforti. Il fatto che nel 1463 si sia chiesto ad Agostino di Duccio, per quella stessa serie, una statua in marmo, suggerisce che si fosse trovata una soluzione tecnica per la collocazione e la stabilizzazione in posizione elevata. Il progetto, tuttavia, non fu completato.

SCALA, FIRENZE

LO SCUDO DEI MEDICI

Lorenzo de’ Medici fu un grande mecenate. Sicuro del talento del giovane Michelangelo, lo prese sotto la sua protezione. Scudo della famiglia Medici sulla facciata della villa medicea di Artimino.

SCALA, FIRENZE

Durante il Rinascimento il tema mantenne una certa popolarità, pur adottando tratti innovativi, così come si percepisce nella scultura fiorentina del XV scolo. Donatello fu il primo a rappresentare David come una figura nuda e isolata, completamente indipendente dall’architettura, in una statua di bronzo realizzata verso il 1440 che ruppe con l’immagine medievale di David come un re barbuto, scrittore e musico. Il maestro fiorentino presentò l’eroe con il corpo giovane e un portamento orgoglioso, il piede sinistro sulla testa mozzata del suo gigantesco nemico. La statua fu un punto di riferimento per i successivi David rinascimentali, che ripresero la sua sensualità e adottarono anche la sua caratteristica posa del contrapposto, o chiastica, in cui l’inclinazione delle anche viene equilibrata dallo spostamento delle spalle verso il lato contrario, evitando così la frontalità e garantendo il movimento e l’armonia della figura. Trent’anni dopo, verso il 1473, Andrea del Verrocchio realizzò un altro David di bronzo. L’eminente scultore, maestro di Leonardo e Botticelli, seguì l’idea di Donatello ritraen-

do il giovane pastore trionfante sulla testa di Golia, ma il suo atteggiamento è ancora più altero e la sua anatomia più fragile e androgina. David appare di età quasi infantile, anche se ha un aspetto idealizzato con la sua corazza decorata in cuoio. La statua del Verrocchio fu considerata dai contemporanei una metafora delle virtù civiche che si attribuivano alla città-Stato di Firenze, più piccola di altre, come Roma e Milano, però forte ed eroica nella sua resistenza contro i nemici.

Un David differente Michelangelo proseguì questa tradizione artistica fiorentina, ma allo stesso tempo fece qualcosa di completamente diverso. La novità più evidente rispetto ai suoi predecessori è la dimensione: a fronte degli 1,58 metri di altezza del bronzo di Donatello e degli 1,25 di quello del Verrocchio, la scultura di Buonarroti superava i cinque metri, per la precisione 5,17. Il marmo di Buonarroti trasformava l’adolescente della Bibbia in un gigante. Il David di Michelangelo è un uomo atletico nella pienezza della vita, non l’adolescente rappresentato da Verrocchio e Donatello. La principale in-


SCALA, FIRENZE SCALA, FIRENZE

Gli altri “David” di Firenze SECONDO GIORGIO VASARI, il David di Donatello è una «figura tanto naturale nella vivacità e nella morbidezza che impossibile pare agli artefici che ella non sia formata sopra il vivo». La scultura in bronzo di Donatello rappresenta un David adolescente, totalmente nudo tranne che per un cappello toscano, con i piedi sopra la testa di Golia e con il peso del corpo che poggia su una gamba. Si crede che possa rappresentare la vittoria di Firenze su Milano. La statua del Verrocchio, anch’essa in bronzo, ritrae un David adolescente e androgino, vestito con una tunica corta e una corazza. Anche in questo caso il peso poggia su una gamba, ma la scultura non ricorda i modelli classici, bensì quelli della scultura del tardo gotico. DAVID DI DONATELLO, A DESTRA, E DAVID DEL VERROCCHIO, A SINISTRA. LE DUE STATUE SONO ESPOSTE AL MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO, A FIRENZE.


LE CAVE DI CARRARA, IN TOSCANA. DA QUI PROVIENE IL BLOCCO DI MARMO NEL QUALE MICHELANGELO SCOLPÌ IL SUO DAVID.

FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK

novazione della sua statua risiede, ciononostante, nella concezione del tema, poiché Michelangelo decise di rappresentare il momento precedente allo scontro, quando il giovane si prepara per il duello impari, invece della vittoria finale. Per la prima volta, Golia scompare dalla scena della propria morte. Questa idea poté essere realizzata soltanto grazie alla prodigiosa abilità dello scultore, che riuscì a dare alla figura un aspetto contenuto e di attesa, con un corpo in tensione sul punto di lanciarsi nella lotta. A prima vista, David mostra un atteggiamento sereno e riflessivo, ma questa apparente calma è smentita dalla tensione dei muscoli e dall’inquietudine dello sguardo, che rivelano che l’eroe è sul punto di far scivolare il braccio destro dietro la schiena per sistemare la pietra nella fionda e scagliare così il proiettile con la sinistra. L’elegante contrapposto della figura fa sì che il peso si scarichi completamente sulla caviglia destra, che con il tempo ha cominciato a mostrare crepe e attualmente sembra a rischio di rottura. IL DAVID DI MICHELANGELO CON I GENITALI COPERTI CON UNA FOGLIA DI FICO, ESPOSTO IN PRESTITO A LONDRA DURANTE IL PERIODO VITTORIANO. ALINARI ARCHIVO / CORDON PRESS

L’opera spicca per la definizione perfetta di ogni muscolo, osso e tendine e per la sicurezza nella modellatura, probabilmente frutto della dissezione di cadaveri che Michelangelo praticava. La difficoltà aggiuntiva costituita dall’uso di un blocco già sbozzato e le grandi dimensioni rendono ancor più stupefacente la comprensione dell’anatomia umana dimostrata da un artista tanto giovane. Tuttavia, il tratto più straordinario di questa figura è la capacità di esprimere l’energia repressa. Alla tensione dei muscoli si aggiungono il rictus del naso, che suggerisce una respirazione contenuta, e le vene in rilievo attraverso le quali pare di veder scorrere il sangue. L’espressione intensa degli occhi, penetrante e piena d’ira, portò i contemporanei a coniare il concetto di «terribilità michelangiolesca». Michelangelo trascorse ventuno mesi sul ponteggio scalpellando il blocco, senza l’aiuto di assistenti. Il giovane scultore dedicava gran parte della giornata al suo lavoro con dedizione completa, un tratto che fu una costante nella sua vita e che anni dopo gli fece affermare: «Se sapessero quanto lavoro c’è dentro non lo chiamerebbero genio». Il 23 giugno del 1503, quando la statua era quasi finita, la struttura che la nascondeva con tanta cura venne smontata e l’opera fu mostrata ai fiorentini, che rimasero immediatamente stupiti.

Simbolo della nuova Repubblica Nonostante l’incarico gli fosse stato assegnato dai responsabili dell’Opera del Duomo, Michelangelo concepì sin dall’inizio la sua statua come un’allegoria politica, un emblema della Repubblica fiorentina nata dopo l’espulsione, nel 1494, dei Medici, la famiglia che l’aveva governata per i sessant’anni precedenti. Michelangelo si identificava molto con il nuovo regime fiorentino e mantenne uno stretto rapporto con Pier Soderini, gonfaloniere a vita di Firenze dal 1502, che nei suoi confronti agì come un protettore. Il suo David, raffigurato nell’istante precedente al combattimento, incarnava il coraggio di un popolo che iniziava un nuovo cammino, che era riuscito a cacciare i corrotti Medici e si proponeva di recuperare Pisa, ceduta a Carlo VIII di Francia da Piero de’ Medici. Questo significato politico della statua spiega la sua collocazione finale. Come abbiamo accennato, inizialmente si prevedeva di


IL SECONDO TRASLOCO DEL DAVID

Quasi 370 anni dopo la sua collocazione in piazza della Signoria, il David fu spostato nel 1873 alla Galleria dell’Accademia per proteggerlo dalle intemperie e dal vandalismo. Per il trasporto della statua fu utilizzata una struttura in legno. ALINARI / CORDON PRESS


L’ENTRATA DI RE CARLO VIII DI FRANCIA A FIRENZE, NEL 1494. DIPINTO DI FRANCESCO GRANACCI. XVI SECOLO. GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE.

L’ENIGMA DELLA TESTA E DELLA MANO

N

ONOSTANTE LA SUA BELLEZZA, il Da-

vid presenta notevoli sproporzioni: la testa e la mano destra sono troppo grandi. Sono state fatte molte ipotesi su questo tratto, indubbiamente voluto. Alcuni suggeriscono una volontà di correggere le deformazioni ottiche che avrebbero condizionato la visione della statua dalla strada, nel caso fosse stata collocata su un contrafforte della cattedrale, ma ciò non spiegherebbe le dimensioni della mano. Altri vedono la causa nelle condizioni del blocco di marmo precedentemente lavorato; questo giustificherebbe l’eccessiva apertura delle gambe, ma non la grandezza della testa e della mano. La dimensione maggiore di queste parti potrebbe rappresentare i valori associati alla Repubblica: la testa è il simbolo dei suoi ideali e la mano il simbolo dell’azione necessaria per metterli in pratica.

SCALA, FIRENZE

posizionarla sui contrafforti della cattedrale, un luogo secondario in cui, inoltre, la scultura non poteva essere vista da tutte le angolazioni. Per questo, all’inizio del 1504 si creò un comitato formato da una trentina di esperti – tra i quali vi erano Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli e Filippino Lippi – che doveva decidere sull’ubicazione più adeguata. Alcuni membri proposero di metterla davanti alla cattedrale, ma la maggioranza si pronunciò a favore di piazza della Signoria, accanto a Palazzo Vecchio. Molti ritenevano che la collocazione più indicata fosse la loggia o galleria aperta situata nella piazza, dove si amministrava la giustizia e dove c’erano diverse statue, ma alla fine fu sistemata all’aperto davanti al palazzo, nel luogo più illustre, a sostituire il gruppo scultoreo Giuditta e Oloferne di Donatello.

Il trionfo di un simbolo Il trasferimento della statua fino alla piazza fu un’operazione estremamente complessa. Oltre trenta uomini trasportarono le cinque tonnellate e mezzo del David mediante una NEL 1531, MICHELANGELO SCOLPÌ QUESTA STATUA; PROBABILMENTE È UN DAVID, MENTRE SECONDO ALCUNI SAREBBE UN APOLLO. BARGELLO, FIRENZE. SCALA, FIRENZE

specie di castello di legno che scivolava su pali unti di grasso. Nonostante la distanza fosse di appena 600 metri, impiegarono quattro giorni. Durante il trasporto l’opera subì un assalto notturno da parte di alcuni sostenitori dei Medici, che la bersagliarono di pietre, un chiaro segnale che era già considerata un importante simbolo del nuovo governo. Anche se la Repubblica di Firenze ebbe vita breve – fu soppressa nel 1512 per poi rinascere solamente per un breve periodo, tra il 1527 e il 1530 – la statua rimase in piazza della Signoria fino a quando, nel 1873, non fu deciso di proteggerla dalle intemperie, trasferendola alla Galleria dell’Accademia, dove si trova ancora ai giorni nostri. La copia a grandezza naturale che fu collocata nella sua sede originale nel 1910 ricorda ai fiorentini quale fu e quale continua a essere il simbolo più emblematico della loro città. Per saperne di più

SAGGI

Michelangelo scultore Umberto Baldini. Rizzoli, Milano, 1973. Michelangelo. Una vita inquieta Antonio Forcellino. Laterza, Bari, 2005.


LA STELLA DELL’ACCADEMIA

Un visitatore contempla il capolavoro di Michelangelo, che troneggia al centro della sala che lo ospita nella Galleria dell’Accademia di Firenze. La statua è visitata ogni giorno da migliaia di persone. ATLANTIDE PHOTOTRAVEL / GETTY IMAGES


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Le misure del gigante di marmo scolpito da Michelangelo, considerato uno dei capolavori dell’arte mondiale, sono impressionanti: 5,17 metri di altezza e 5572 chili di peso. Nonostante le sue dimensioni, è necessario guardare con attenzione la statua per scorgere certi dettagli che possono sfuggire alla vista dell’osservatore poco attento. In queste pagine ne mostriamo qualcuno.

IL DAVID DI MICHELANGELO IN DETTAGLIO

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Sulla spalla regge il fagotto con la pietra. Il braccio sinistro, che venne amputato nel 1527 durante una ribellione popolare, fu ricostruito nel 1543 e fissato con perni di metallo.

2  MANO E BRACCIO SINISTRI

Tesa a metà tra il fianco e il ginocchio, regge l’estremità della fionda che David utilizzerà per lanciare la pietra. Si vedono chiaramente le vene in rilievo per la tensione.

1  MANO DESTRA


La fascia di cuoio della fionda attraversa la schiena di David. I muscoli sono perfettamente definiti tranne che sulla scapola destra, dove uno spazio cavo rivela la mancanza di marmo in quel punto. 6  BASSO VENTRE

Gli organi genitali sono incorniciati da una peluria volutamente eccessiva. Michelangelo credeva che gli organi destinati alla riproduzione fossero degni di essere mostrati e visti. 8  PIEDI ED EQUILIBRIO

Alcune crepe sulla caviglia destra e sul tronco d’albero minacciano la stabilità della statua. Nel 1991, uno squilibrato colpì con un martello il piede sinistro.

David è concentrato, pronto per iniziare il duello. Visti di fronte, gli occhi sembrano strabici, perché l’artista li scolpì tenendo conto che la scultura sarebbe stata contemplata dal basso.

5  COLLO E TORSO

Il collo gira bruscamente verso sinistra, mettendo in risalto la tensione dei tendini. Il torace, con la muscolatura non eccessivamente marcata, rivela un corpo ancora adolescente.

7  GAMBE E SUPPORTO

La gamba sinistra del David è tesa per riprodurre lo sforzo supremo sul quale si concentra il personaggio; un tronco d’albero funge da supporto per compensare l’inclinazione della figura.

1. AKG / ALBUM 2. ART ARCHIVE 3., 4., 5. SCALA, FIRENZE

4  SCHIENA

3  VOLTO E SGUARDO

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La costruzione di un colosso

LA TORRE EIFFEL grazie alla sua esperienza nella progettazione di grandi opere in ferro, nel 1889 gustave eiffel eresse una torre alta più di 300 metri per l’esposizione universale di parigi ISAAC LÓPEZ CÉSAR DOCENTE DI ARCHITETTURA. UNIVERSITÀ DE LA CORUÑA


L’EMBLEMA DI PARIGI

La torre Eiffel si innalza sullo Champ de Mars, nel pieno centro di Parigi, non lontano dalla Senna. Nella pagina accanto, scorcio della torre con il ritratto di Gustave Eiffel. SINISTRA: KEVIN CLOGSTOUN / GETTY. DESTRA: A. BARTUCCIO / FOTOTECA 9X12


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a seconda metà del XIX secolo fu l’epoca d’oro delle esposizioni universali. Erano gli anni di massimo sviluppo della moderna civiltà industriale, e i Paesi più avanzati sentivano la necessità di esporre i loro ultimi successi in campo tecnologico e scientifico attraverso eventi che attiravano migliaia di visitatori. Per i Paesi organizzatori, le esposizioni erano anche un’opportunità per dimostrare il loro potere economico e politico, e per ottenere questo scopo nulla era meglio di un nuovo grande edificio costruito con le più moderne tecniche, come il Crystal Palace dell’Esposizione Universale di Londra del 1851. Fu perciò che, nel 1886, quando le autorità francesi, per celebrare il primo centenario della Rivoluzione Francese del 1789, decisero di organizzare una nuova esposizione universale a Parigi – la quarta dopo quelle del 1855, 1867 e 1878 –, indissero un concorso affinché architetti e ingegneri presentassero progetti di ogni tipo destinati all’Esposizione. Fu però un punto del bando ad attirare la massima attenzione, quello relativo allo «studio della possibilità di erigere nello Champ de Mars una torre a base quadrata di 125 metri di lato alla base e 300 metri di altezza», con l’obiettivo di realizzare l’edificio più alto al mondo. Era esattamente il progetto che aveva appena elaborato l’ingegnere e imprenditore Gustave Eiffel. L’ansia dell’uomo di costruire un edificio che superi in altezza tutti gli altri è sempre stata una costante della storia, dal mito biblico della torre di Babele alle piramidi, dagli obelischi alle colonne e alle basiliche che hanno costellato la storia delle grandi civiltà. Tuttavia, la Rivoluzione Industriale dei secoli

TORRE DEL CENTENARIO, ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI PHILADELPHIA DEL 1876, A CONFRONTO CON MONUMENTI ANTICHI. PROGETTO DI CLARKE REEVES & CO. SCIENTIFIC AMERICAN. 24 GENNAIO 1874.

1884 Due ingegneri di Eiffel elaborano il primo progetto della torre di 300 metri.

1887 Il 26 gennaio iniziano i lavori di costruzione della torre Eiffel.

1889 Il 15 maggio la torre Eiffel viene ufficialmente aperta al pubblico.

1923 Muore Gustave Eiffel. Nel 1930 la torre è superata in altezza da un grattacielo.

XVIII e XIX aprì possibilità di costruzione in altezza che erano inimmaginabili nelle epoche precedenti, e questo grazie alla diffusione del ferro come nuovo materiale strutturale. Anche se in passato il ferro si usava già per funzioni secondarie, come la connessione tra conci di pietra, nel XIX secolo divenne lo scheletro visibile dei nuovi edifici tipici della modernità: stazioni ferroviarie, fabbriche, mercati, strade coperte, gallerie, giardini d’inverno. Grazie alla sua leggerezza e alla sua resistenza,il ferro permetteva di costruire, in un tempo assai ridotto rispetto al passato, edifici più grandi senza il sistema di muri, pilastri e colonne necessario per gli edifici in pietra, e anche più alti. Fu quest’ultima possibilità ad alimentare la fantasia di creare l’edificio più alto del mondo, più dei 146 metri della Grande Piramide di Cheope o i 136 della cupola della basilica di San Pietro a Roma. Un edificio, per dare una cifra tonda, alto 300 metri.

La gara dei 300 metri Dal 1830, si erano susseguiti vari progetti per costruire una torre di 300 metri o, secondo le unità di misura abituali del mondo anglosassone, di mille piedi (304,8 metri). Il primo fu quello di un ingegnere inglese, Richard Trevithick, il costruttore della prima locomotiva, che nel 1832 progettò la“Colonna della Riforma”, una torre di ghisa alta mille piedi con un diametro di trenta metri alla base e formata da millecinquecento lastre traforate di ghisa. Trevithick immaginò addirittura un ascensore spinto da un sistema ad aria compressa attraverso un tubo interno, però morì senza che nulla di tutto ciò fosse messo in pratica. Nel 1852, Charles Burton propose una torre di ferro con la quale pretendeva di riciclare gli elementi strutturali del Crystal Palace dell’Esposizione di Londra del 1851, ma poiché impiegava gli stessi componenti e gli stessi criteri di quella costruzione,


tutto lascia supporre che la sua torre sarebbe stata ugualmente instabile di fronte al vento. Un altro progetto mai realizzato di torre metallica alta mille piedi fu quello proposto dalla statunitense Clarke Reeves & Company per l’Esposizione Universale di Filadelfia del 1876, rifiutato per questioni economiche e l’incertezza del risultato. Negli anni successivi, parallelamente a Eiffel, gli ingegneri francesi Sébillot e Bourdais proposero una torre di granito alta mille piedi per l’esposizione parigina del 1889, che si rivelò del tutto inattuabile per la scarsa capacità della muratura di resistere alle flessioni provocate dal vento. Accanto a questi progetti mai realizzati, vale la pena ricordare altre costruzioni che, al di fuori della gara per i 300 metri, raggiunsero altezze sempre più elevate. Una prima prova, ancora precaria tecnologicamente, furono le torri di ghisa dell’americano James Bogardus, come la torre d’avvistamento e di allarme incendio nella 33a strada di New York (1851). Il precedente più significativo della Torre Eiffel, però, fu indubbiamente il Washington Monument, progettato dall’architetto nordamericano Robert Mills. Composto da vari strati esterni di pietra e con un nucleo centrale di scale in ferro collegate alla pietra, l’obelisco doveva essere alto 183 metri, ma sin dall’inizio della costruzione nel 1848 incontrò numerose difficoltà, compreso un importante crollo al raggiungimento dei 46 metri, che costrinse a rinforzare le fondamenta. Alla fine venne completato nel 1884, quando si arrivò all’altezza di 169 metri.

BRIDGEMAN / ACI

GUSTAVE EIFFEL IN UNA FOTOGRAFIA SCATTATA VERSO IL 1880, QUALCHE ANNO PRIMA CHE INIZIASSE IL PROGETTO CHE GLI AVREBBE DATO FAMA MONDIALE.

GUSTAVE EIFFEL, IMPRENDITORE GENIALE

Ponti e viadotti

NONOSTANTE FOSSE UN ECCELLENTE ingegnere, fu soprat-

La sfida rappresentata dalla costruzione di una torre alta 300 metri poteva essere raccolta soltanto da un ingegnere con una solida esperienza nella costruzione di opere in metallo dalla grande complessità tecnica. Negli anni Ottanta dell’Ottocento, nessuno possedeva più competenza in questo campo di Gustave Eiffel e dei suoi collaboratori. Nei trent’anni precedenti, Eiffel aveva realizzato una serie di grandi ponti e viadotti in ferro che ebbero una vasta eco e nei quali mise in pratica gli stessi

tutto grazie alle sue doti di imprenditore che Gustave Eiffel ebbe successo, come dimostrò con la torre che porta il suo nome. Nel 1887 firmò un contratto secondo il quale lo Stato francese e la città di Parigi avrebbero fornito un finanziamento di 1,5 milioni di franchi, solo un 25 per cento del costo totale della costruzione. Per ottenere il resto dei fondi, Eiffel creò una società anonima con un capitale di cinque milioni di franchi, fornito per metà da tre banche e per l’altra metà dallo stesso Eiffel. Le spese aumentarono di altri 2,5 milioni, ma Eiffel riuscì a recuperare tutto l’investimento nel giro di pochi mesi grazie ai profitti della vendita dei biglietti d’ingresso, che riceveva in virtù di una licenza di sfruttamento della durata di vent’anni.


LA TORRE EIFFEL SI ERGE ALL’ESTREMITÀ DEGLI CHAMP-DE-MARS, UNA VASTA DISTESA DI QUASI 800 M DI LUNGHEZZA E OLTRE 200 DI LARGHEZZA.

vamente –, furono montate con travi a sbalzo, il che richiedeva un’enorme precisione affinché le due metà dell’arco coincidessero e fosse dunque possibile unirle, tecnica che si sarebbe usata anche nella torre del 1889. Per collegare tutte le parti del viadotto di Garabit furono utilizzati 500.000 rivetti, una specie di ribattini che gli operai dovevano introdurre arroventati. D’altro canto, Eiffel poteva contare sin dal 1865 su una propria impresa, la “Maison G. Eiffel - Ateliers de constructions métalliques” di Levallois-Perret, dove disegnava e costruiva le sue strutture di ferro, il che gli dava autonomia e controllo totali sul processo di prefabbricazione.

Storia di un progetto

YOKO AZIZ / AGE FOTOSTOCK

IL PONTE DI PORTO

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Medaglia commemorativa della costruzione del ponte Maria Pia, a Porto, di Gustave Eiffel. 1875. Musée d’Orsay, Parigi.

metodi che avrebbe applicato alla torre del 1889. Per il ponte di Bordeaux (1858) costruì le fondamenta nell’alveo del fiume, utilizzando un sistema ad aria compressa che permetteva di scavare a secco sotto il livello freatico, proprio come avrebbe fatto successivamente per le fondamenta della sua torre sulle rive della Senna. Nel 1869 costruì due viadotti, a Rouzat e a Neuvial, con pilastri il cui aspetto è sorprendentemente simile al tracciato della futura torre di 300 metri. Poco tempo dopo, Eiffel realizzò due opere straordinarie: il ponte Maria Pia, a Porto (1875), e il viadotto di Garabit (1878). Le strutture, di dimensioni spettacolari – 160 e 166 metri di luce rispetti-

Il primo progetto della torre di 300 metri non fu di Eiffel, ma di due ingegneri del suo studio, Émile Nouguier e Maurice Koechlin. Nel 1884, essi immaginarono un grande pilone metallico formato da quattro pilastri che si curvavano alla base e si univano nella cuspide. Inizialmente Eiffel non mostrò grande interesse, forse per la scarsa attrattiva estetica di questo primo abbozzo. Quando però l’architetto Sauvestre vi aggiunse una ricca ornamentazione, Eiffel comprese la genialità del progetto e il 18 settembre firmò, assieme a Koechlin e Nouguier, un brevetto per la «Nuova configurazione che permette la costruzione di supporti metallici e piloni in grado di superare i 300 metri d’altezza». In seguito, Eiffel comprò dai suoi ingegneri il diritto di brevetto in cambio di una percentuale sulle entrate prodotte dall’opera. Il progetto finale ridusse la decorazione di Sauvestre, e la struttura divenne l’elemento preponderante della torre. Fu questo progetto a vincere il concorso del 1886. La torre fu costruita a tempo di record: i lavori iniziarono il 26 gennaio 1887 e terminarono il 31 marzo 1889, in tempo per l’inaugurazione dell’Esposizione Universale, avvenuta due mesi dopo. Non sorprende solo la velocità di esecuzione, ma anche il fatto che in tutto il processo non abbiano lavorato alla torre più di duecento operai per volta, grazie al sistema dei componenti prefabbricati da


GUSTAVE EIFFEL SULLA SCALA A CHIOCCIOLA CHE ALL’INIZIO UNIVA LA SECONDA PIATTAFORMA CON LA CIMA DELLA TORRE.

assemblare progressivamente. La costruzione delle fondamenta fu la fase più ardua, soprattutto per i due pilastri più vicini alla Senna, poiché si dovette scavare al di sotto del letto del fiume utilizzando un complesso sistema di cassoni pneumatici. La costruzione dei pilastri e il loro collegamento mediante quattro grandi travi fu portata avanti attraverso una serie di ponteggi di legno e grandi torri di carico. Le sezioni successive della torre vennero costruite utilizzando un sistema di gru azionate dal vapore fino a raggiungere la cuspide.

L’inaugurazione ufficiale della torre Eiffel avvenne il 15 maggio 1889. Mentre Gustave Eiffel e un gruppo di personalità issavano una bandiera della Francia sul punto più alto della torre, questa venne illuminata da fuochi artificiali e dal primo livello vennero sparati ventun colpi di cannone. In un comprensibile eccesso di sciovinismo, Eiffel disse: «La bandiera francese è l’unica a possedere un’asta di 300 metri». Durante la costruzione si erano levate alcune voci, soprattutto di artisti e letterati, che denunciavano le dimensioni “mostruose” della torre e ne sottolineavano la bruttezza. Il romanziere Guy de Maupassant, per esempio, la considerava uno «scheletro sgraziato e gigantesco», e un altro scrittore, JorisKarl Huysmans, parlava di un «orrido pilastro tralicciato». L’avanzamento dell’opera, però, aveva creato grande aspettativa, e quando fu completata il pubblico reagì in modo entusiasta. Durante l’Esposizione Universale vi fu un vero fiume di visitatori – circa due milioni –, che potevano salire ai tre livelli della torre mediante un moderno sistema di ascensori. Famoso, carico di onorificenze e multimilionario, Gustave Eiffel morì nel 1923. Pochi anni dopo, la sua torre perse il titolo di edificio più alto del pianeta, che andò a due grattacieli nordamericani completati rispettivamente nel 1930 e nel 1931: il Chrysler Building dell’architetto William van Allen, di 319 metri, e l’Empire State Building, di 381 metri, progettato da William F. Band.

BNF / RMN-GRAND PALAIS

L’asta da bandiera più alta del mondo


I DISEGNI ORIGINALI DELLA TORRE

I

l progetto della torre Eiffel fu il frutto di dettagliate analisi condotte da circa 40 ingegneri e disegnatori che realizzarono 700 disegni di complessivo e 3600 disegni di fabbricazione. La prima preoccupazione degli ingegneri era impedire che la torre si rovesciasse, scopo raggiunto mediante il tracciato campaniforme (cioè di forma svasata) dei suoi quattro pilastri, che le fornisce la stabilità sufficiente. Le 7341 tonnellate di peso della torre avevano così una solida base. La seconda preoccupazione era evitare che la torre si deformasse (od oscillasse) eccessivamente per l’azione del vento, quindi doveva essere una struttura di rigidità elevata. Il problema fu risolto con due espedienti: la connessione dei quattro grandi pilastri della torre mediante grandi traverse al livello del primo piano e il sistema della triangolazione.

FOTO: TASCHEN.COM

l’unità strutturale di base della torre Eiffel è il quadrilatero triangolato. Ciascuno dei quattro pilastri della torre è formato da 28 di questi quadrilateri o pannelli, il cui lato va dai 6 agli 11 metri; nel tratto da terra al primo livello, a 57,63 metri di altezza, se ne contano quattro. Grazie a questo sistema è stato possibile garantire la quasi completa controventatura della torre. L’oscillazione orizzontale massima sulla cima è di 7 centimetri, il che implica un rapporto di 1/4285 rispetto all’altezza, molto inferiore a quello solito negli edifici alti, che generalmente è superiore a 1/1000. i

Arco L’arco situato sotto la prima piattaforma ha una funzione puramente decorativa e non figurava nel primo progetto degli ingegneri Koechlin e Nouguier.

THE EIFFEL TOWER Gustave Eiffel Taschen, Colonia, 2008, 160 pp.

Nel 1900, Gustave Eiffel pubblicò un libro sulla storia della costruzione della sua celebre torre. Un’ampia selezione dei disegni del progetto figurava in un volume complementare che la casa editrice Taschen ha recentemente ripubblicato.


Quadrilatero La rigidità di questa struttura è data dal fatto che molto difficilmente i montanti e le travi si accorciano o si allungano per effetto dell’azione laterale del vento.

In rilievo

La cuspide

Questa assonometria mostra la parte inferiore di uno dei pilastri della torre, formato da quattro montanti tubolari cavi e da traverse tubolari reticolate a croce e a zigzag.

Il terzo piano si trova a 276 m di altezza. In cima è collocato un “campanile” provvisto di un faro e coronato da una bandiera che sventolava esattamente a 312,27 m.


LE FONDAMENTA E LE FASI DELLA COSTRUZIONE

OPERE DI FONDAZIONE DELLA TORRE EIFFEL. SI POSSONO VEDERE ALCUNI DEI CASSONI METALLICI USATI PER SCAVARE SOTTO IL LIVELLO FREATICO.

D

urante i primi cinque mesi dei lavori si costruirono le fondamenta. Erano formate da un letto di ghiaia compatta a vari metri di profondità sopra il quale furono disposti pesanti blocchi di cemento. Su questi blocchi furono realizzati grandi zoccoli in pietra ai quali vennero ancorati i quattro pilastri della torre. La costruzione delle fondamenta dei pilastri nord e ovest, i più vicini alla Senna, fu particolarmente complessa perché avveniva su una zona pantanosa e instabile, ragione per cui fu necessario scavare per cinque metri al di sotto del livello freatico fino a raggiungere il terreno saldo. Per realizzare gli scavi, Eiffel impiegò un sistema di cassoni pneumatici che era stato introdotto in Inghilterra nel 1830, ma che non era mai stato applicato a un’opera delle dimensioni della torre Eiffel.

FOTO DELLO SVILUPPO: RENÉ-GABRIEL OJÉDA / RMN-GRAND PALAIS (MUSÉE D’ORSAY)

per il montaggio del primo piano si usarono ponteggi in legno di forma piramidale al fine di puntellare i pilastri. Successivamente, si costruirono quattro grandi torri di carico sulle quali furono montate le quattro grandi travi del primo piano. Collegando queste quattro travi ai pilastri inclinati, questi ultimi vennero

Febbraio 1888 Il momento più delicato del processo di costruzione fu l’unione dei quattro pilastri per formare il primo piano della torre, poiché le strutture dovevano incastrarsi con una precisione millimetrica. Eiffel sapeva che inevitabilmente ci sarebbe stato qualche disassamento, quindi venne creata in ciascun pilastro una cavità a mo’ di pistone nella quale fu iniettata acqua a pressione fino a raggiungere il livellamento desiderato. Superato questo stadio, il processo di costruzione divenne più semplice.

stabilizzati. A partire dal primo piano si montarono sopra ciascun pilastro delle casseforme rampanti a vapore che scivolavano lungo i pilastri issando le sezioni della torre. l’avanzamento dei lavori fu regolare: circa dieci metri al mese. Nel settembre del 1888 si raggiunse il secondo

14 agosto 1888 10 maggio 1888

10 novembre 1887 8 ottobre 1887

piano, a 115 metri d’altezza. Da qui, la torre prende la forma di un pilone vero e proprio e il processo di costruzione divenne più semplice. L’ultima fase fu l’installazione degli ascensori, un altro successo tecnico senza precedenti; le imprese Edoux, Otis e Combaluzier installarono tre tipi di ascensore, superando la sfida di salire a 276 metri. i

10 aprile 1888

14 settembre 1888


a

PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS (MUSÉE D’ORSAY)

PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS (MUSÉE D’ORSAY)

L’INCISIONE MOSTRA LA SEZIONE DI UNO DEI POZZI SCAVATI PER COSTRUIRE LE FONDAMENTA DELLA TORRE EIFFEL.

B

I cassoni pneumatici Attraverso il condotto A si inietta aria compressa che fa abbassare il livello d’acqua dello strato freatico B. Gli operai possono lavorare in questo spazio. In seguito si inietta cemento per formare la zona inferiore della fondazione di ciascuno dei pilastri della torre.

14 ottobre 1888

12 febbraio 1889 20 gennaio 1889 26 dicembre 1888

14 novembre 1888

12 marzo 1889


ECO INTERNAZIONALE

All’inizio dei lavori della torre, il direttore delle opere pubbliche della capitale francese affermava: «Quest’opera farà parlare di Parigi sino i n Oriente [...] il mondo intero rimarrà senza fiato quando vedrà questa torre gigantesca». BERTRAND GARDEL / GTRES



GLI UOMINI CHE COSTRUIRONO LA TORRE

A

gli operai furono selezionati tra i carpentieri di Parigi abituati a lavorare a una certa altezza e che dimostrarono di non soffrire di vertigini. In effetti, si verificò un solo incidente mortale, oltretutto fuori dell’orario di lavoro. Più dell’altezza, il problema

POSIZIONAMENTO DI UN RIVETTO. INCISIONE. 1889. TALLANDIER / BRIDGEMAN / ACI

OPERAI AL LAVORO SU UNO DEI PILASTRI DELLA TORRE.

principale per gli operai fu il freddo, soprattutto durante il gelido inverno del 1888-1889. La giornata lavorativa era di nove ore, che diventavano dodici in estate. Alle richieste degli operai, che alla fine del 1888 scioperarono per due volte ritenendo la paga insufficiente, Eiffel rispose offrendo premi di produzione e miglioramenti delle condizioni di lavoro, come tute impermeabili e una mensa al primo piano della torre, dove potevano riscaldare il cibo che si portavano da casa. i

GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS (MUSÉE D’ORSAY)

per posizionare i rivetti si formarono squadre di quattro uomini: il primo azionava la fucina, arroventando il rivetto; il secondo lo introduceva nell’orifizio del pezzo, arrivato pronto dall’officina, e lo teneva fermo per la testa; il terzo colpiva lo stelo per formare la testa opposta e infine il quarto operaio la fissava con una mazza. Nella prima fase erano al lavoro 40 squadre che posizionavano circa 4200 rivetti al giorno. In totale, la torre Eiffel contiene 2,5 milioni di rivetti.

BNF / RMN-GRAND PALAIS

lla torre lavorarono contemporaneamente dai 150 ai 300 operai. Il loro compito consisteva nell’assemblare i pezzi che altri cento operai fabbricavano e premontavano negli stabilimenti di Levallois-Perret, poco fuori Parigi, da dove arrivavano tramite ferrovia. All’assemblaggio si procedeva unendo i diversi pezzi mediante rivetti, simili ai ribattini.


DIVERSI OPERAI LAVORANO ALLA COSTRUZIONE DELLA TORRE IN PIEDI SULLE TRAVI DI METALLO CHE COMPONGONO L’EDIFICIO. FOTO SCATTATA DA LOUISEMILE DURANDELLE. MUSÉE D’ ORSAY, PARIGI.


A. BRANDT / RMN-GRAND PALAIS

LE REAZIONI: TRA L’ORRORE E L’AMMIRAZIONE

RM N-

G

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PA LA

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Prospettiva dal basso Questa fotografia anonima fu scattata da terra, poco dopo la costruzione della torre. Il dettaglio mostra la piattaforma del secondo piano.

BRIDGEMAN / ACI

M

entre era in costruzione, la torre Eiffel suscitò diverse reazioni di rifiuto; tra queste una celebre Protesta degli artisti contro la torre del signor Eiffel nella quale, «a nome del buon gusto» francese, si rifiutava la costruzione di una torre «superflua e mostruosa», di una «odiosa colonna di metallo imbullonato». Tuttavia, allora l’estetica dell’architettura in ferro non era più totalmente nuova e la torre stessa incorporava elementi puramente decorativi, come gli archi alla base, che cercavano di armonizzarla ai gusti dell’epoca. Quello che davvero impressionò fu la grandezza dell’edificio, le sue dimensioni colossali, sia guardandola dal basso sia per la prospettiva che si aveva dalla vetta. I detrattori erano ormai una minoranza, e sulla stampa apparvero opinioni entusiaste ed estasiate: «La torre Eiffel si impone all’immaginazione, ha un che di inaspettato, di fantastico, che delizia la nostra piccolezza». «Solida, enorme, mostruosa, brutale, si direbbe che, disprezzando fischi e applausi, tenti di cercare e sfidare il cielo». i

Il grande richiamo dell’Esposizione Un cartellone annuncia le tariffe ridotte proposte dalla compagnia ferroviaria Chemins de Fer Paris-LyonMéditerranée per recarsi all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1889.


PATRICE SCHMIDT / MUSÉE D’ORSAY / RMN-GRAN PALAIS CULVER PICTURES / AURIMAGES

Parigi vista dall’alto Un gruppo di visitatori, muniti di binocoli e cannocchiali, osserva Parigi dalla piattaforma del secondo piano della torre Eiffel, a 115 metri d’altezza.

I colori della torre Per la sua inaugurazione nel 1889, la torre Eiffel fu dipinta di rosso scuro, come dimostra questa foto dell’epoca colorata a mano, che permette di vedere il palazzo del Trocadéro sullo sfondo. Dal 1968 è dipinta di color bronzo.


AL CENTRO DI TUTTI GLI SGUARDI La torre Eiffel fu concepita al di fuori di qualsiasi utilità pratica, con l’unico scopo di battere un record e diventare un simbolo della civiltà industriale, come un moderno menhir. Si pensava che dopo l’Esposizione Universale del 1889, e trascorsi i vent’anni di permanenza pattuiti, sarebbe stata smantellata; per questo Eiffel cercò di darle nuove funzioni di tipo scientifico. Nuovo “ look” In previsione dell’Esposizione Universale che doveva tenersi a Parigi nel 1900, furono realizzati diversi progetti per cambiare l’aspetto della torre Eiffel, con l’obiettivo di richiamare di nuovo l’attenzione su di essa ed evitarne lo smantellamento.

108 HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

Ascensori

A causa della curvatura della torre furono creati tre sistemi di ascensori, uno per ogni livello. Nella foto, visitatori nella cabina del terzo ascensore, che sale in verticale sino alla cima.

Souvenir La torre Eiffel creò sin dal principio un’industria dei souvenir (come il coltellinoportachiavi qui sopra) e fu usata per pubblicizzare diversi prodotti, come le caramelle della foto a destra.

Il faro

Eiffel collocò sulla cuspide una serie di fari che illuminavano i monumenti della città.

SOUVENIR: STÉPHANE MARÉCHALLE / RMN-GRAND PALAIS. ASCENSORI: PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS. EDISON: PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS. RADIO: CNAM / BRIDGEMAN / ACI. NUOVO LOOK: RMN-GRAND PALAIS. FARO: RENÉ-GABRIEL OJÉDA / RMN-GRAND PALAIS. TEATRO: PATRICE SCHMIDT / RMN-GRAND PALAIS. 1940: BPK / SCALA, FIRENZE.


Emittente radio

Edison

Quando il numero di visitatori della torre cominciò a diminuire, Gustave Eiffel volle assicurare la sopravvivenza della sua creatura dandole un’utilità scientifica. Prima vennero condotti alcuni esperimenti aerodinamici, nel 1898 si effettuò la prima ritrasmissione telegrafica e nel 1906 fu installata una stazione radio emittente come quella della fotografia.

In visita a Parigi, il celebre inventore salì più volte sulla torre nel 1889. Qui è ritratto con Adolphe Salles, genero di Eiffel.

Il teatro Per attirare il pubblico, al primo piano della torre Eiffel furono aperti negozi di articoli da regalo, ristoranti e persino un teatro. Gran parte di queste strutture venne eliminata qualche decennio dopo.

1940 All’inizio dell’occupazione tedesca della Francia, Hitler visitò Parigi e volle salire sulla torre Eiffel, ma i lavoratori sabotarono gli ascensori e poté solo farsi fotografare sulla spianata dello Champ de Mars.


GRANDI INVENZIONI

Nasce il primo francobollo 1810

L’introduzione dei francobolli ridusse enormemente il costo della corrispondenza e favorì l’esplosione degli scambi postali nel XIX secolo

A

l principio del XIX secolo, diversi Paesi europei avevano sviluppato sistemi postali che permettevano di inviare lettere praticamente in qualsiasi città di una certa importanza. La corrispondenza circolava su strade sempre migliori, gli uffici postali distribuivano le lettere nei punti principali della rete e i postini le consegnavano a domicilio. Ma questo sistema, sempre più burocratizzato, doveva affrontare un problema: l’affrancatura. In un Paese come la Gran Bretagna, le tariffe

non solo erano elevate, ma variavano molto a seconda della distanza e addirittura del numero di fogli della missiva. Inoltre, i costi ricadevano sul destinatario, se accettava la lettera. Tutto questo favoriva la frode e provocava un costante danno. Nel 1837 Rowland Hill, un insegnante e riformatore sociale che aveva studiato a fondo il problema, avanzò un progetto di riforma del sistema postale britannico. La sua proposta principale era creare una tariffa unica di importo contenuto, un penny per un invio standard fra

AG E

FOTO

GARY OMBLER / GETTY IMAGES

Una proposta «folle»

110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

K

ROTATIVA UTILIZZATA PER LA STAMPA DEI PRIMI FRANCOBOLLI PENNY BLACK NEL 1840. BRITISH LIBRARY, LONDRA.

città (prima poteva arrivare a dieci). Inoltre, l’importo sarebbe stato pagato non dal destinatario, ma dal mittente all’ufficio delle poste.

LETTERA INVIATA DALLE ISOLE MAURITIUS (1859).

STOC

Hill presentò il progetto al governo e, nonostante esso fosse considerato un’idea «folle, visionaria e stravagante» dal capo del servizio postale, nel 1839 fu approvato dal Parlamento e Hill ebbe l’incarico di metterlo in pra-

tica. Per semplificare il pagamento di ogni invio, Hill propose quelle che chiamò“etichette” (labels), «un frammento di carta abbastanza grande da portare il sigillo e coperto nel suo verso da una soluzione adesiva. L’utente avrebbe potuto attaccarlo nella parte posteriore della lettera applicando un po’ d’acqua». Ovvero, un francobollo. Il governo indisse un concorso affinché «artisti, uomini di scienza e pubblico


PILLAR BOX, CASSETTA POSTALE DELLA METÀ DEL XIX SECOLO. BRIDGEMAN / ACI

FRANCOBOLLI, LETTERE E CARTOLINE 1660 Carlo II crea il General Post Office, embrione del servizio postale britannico.

1840 Seguendo il progetto di Rowland Hill, è introdotta in Gran Bretagna l’affrancatura con francobollo.

1850 Il Regno Lombardo-Veneto inaugura l’uso di francobolli nella Penisola Italiana.

MIKE DABELL / GETTY IMAGES

1869

FRANCOBOLLO DA UN PENNY (PENNY BLACK) STAMPIGLIATO CON UNA CROCE DI MALTA ROSSA.

in generale» portassero le loro proposte sul suo disegno. Nonostante l’arrivo di 2.600 proposte, l’elaborazione fu infine affidata a un gruppo di esperti dell’amministrazione del Tesoro, con esperienza di stampa di banconote e documenti ufficiali e, quindi, in grado di contrastare le falsificazioni. Il primo francobollo riportava l’effigie di profilo della giovane regina Vittoria ed era di colore nero: per questo fu popolarmente bat-

tezzato penny black. Presto comparvero il two penny blue e il penny red. I francobolli venivano stampati in grandi fogli, da cui poi venivano tagliati (le tipiche forature sui bordi comparvero solo nel 1854). Dal primo giorno in cui furono introdotti, il 1° maggio 1840, l’accoglienza fu entusiastica. Tre settimane più tardi Hill diceva: «La domanda è enorme: le stampanti ne producono più di mezzo milione al giorno e

non è sufficiente». Il francobollo adesivo favorì uno spettacolare incremento dell’invio di lettere: se nel 1839 ne erano circolate in Gran Bretagna 75 milioni, nel 1840 divennero 168 e nel 1850 347. Negli Stati Uniti si passò da 27 milioni di lettere nel 1840 a 160 nel 1860. Una rivoluzione delle comunicazioni generata da un piccolo pezzo di carta. ALFONSO LÓPEZ STORICO

L’Impero austro-ungarico lancia le prime cartoline postali, grandi la metà delle lettere normali.

1874 Ventidue Paesi fondano l’Unione Postale Universale, che regola gli invii internazionali.

ROWLAND HILL (1795-1879), INVENTORE DEI FRANCOBOLLI. AKG / ALBUM


L I B R I E A P P U N TA M E N T I

STATI CROCIATI

Il tramonto del regno di Gerusalemme

N Antonio Musarra

ACRI 1291

Il Mulino, 2017, 340 pp., 24 ¤

ella sua cronaca, Templare di Tiro così descrive la caduta di San Giovanni d’Acri del 1291: «tutti i cristiani piangevano quel giorno, vedendo ciò». Piangevano sì per il massacro a cui venne condannata la città, ma anche per quanto la perdita di Acri, divenuta capitale del Regno di Gerusalemme, rappresentava per la Cristianità intera. Sul convulso sfondo delle Crociate, sarebbe forse naturale aspettarsi un volume che analizzi l’opposizione culturale, reli-

giosa e politica tra gli schieramenti cristiani e quelli musulmani, ma non è questo – o quanto meno non solo questo – che Antonio Musarra, dottore di ricerca in storia medievale e Fellow di Harvard, indaga e presenta. Allontanandosi dalle tradizionali fonti eurocentriche, l’autore presenta infatti l’Outremer non come un regno dilaniato da due sole realtà, bensì come una Babilonia, come una sorta di mosaico fatto di tessere dai confini in continuo movimento. Ad Acri, infatti, si

intrecciavano e si scontravano ben più numerose forze e soprattutto interessi: vi erano quelli della Chiesa e dell’Impero, dei veneziani, dei pisani e dei genovesi, dei cavalieri templari e degli ospedalieri e vi erano, ovviamente, anche quelli dei mamelucchi. A differenza di chi ha preferito analizzare i nuovi equilibri di potere che la caduta di Acri definì nella regione e le ripercussioni che questa ebbe sull’Occidente, Musarra concentra la propria analisi sugli antefatti, come in una sorta di flashback, per indagare come le rivalità, le conquiste e le alterne alleanze abbiano portato all’assedio del 1291 che ha visto il sultano Al-Ashraf Khalil mettere fine, dopo 200 anni, al Regno di Gerusalemme. (A.G.)

SAGGI

LA DUE SIGNORE DEL RINASCIMENTO AUTOREVOLI, RICCHE E INTELLIGENTI, ma non solo: Isabella d’Este e Lucrezia Borgia – divenute cognate grazie al terzo matrimonio di quest’ultima con Alfonso I d’Este fratello di Isabella – furono grandi protagoniste della storia della penisola tra il XV e il XVI secolo. Lungi dal limitarsi a vestire i soli abiti di consorti di nobili signori, Isabella e Lucrezia si dimostrano anche abili amministratrici, capaci diplomatiche, esperte strateghe e grandi protettrici delle arti. Nelle corti di Mantova e Ferrara radunarono i grandi nomi della scena culturale e politica del loro tempo divenendo vere e proprie “dame di potere”. Una doppia biografia che consente un ampio affresco del Rinascimento italiano. Alessandra Necci

ISABELLA E LUCREZIA, LE DUE COGNATE

Marsilio, 2017, 668 pp., 19,50 ¤

112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL TRADITORE DI VENEZIA Giorgio Ravegnani Editori Laterza, 2017, 168 pp., 18 ¤

L’ULTIMO ROMANO Jeroen W.P. Wijnendaele 21 Editore, 2017, 282 pp., 20 ¤

ASCESA E DECLINO di Marino

SULLO SFONDO di un Impero

Faliero, il doge di Venezia che, dopo una vita dedicata al governo della Serenissima, a metà Trecento venne giustiziato per alto tradimento. Un volume per ripercorrere e scoprire le vicende di un uomo che, per usare le parole dello stesso autore, passò «Dall’altare alla polvere».

romano d’Occidente ormai morente, compare la figura del comes Africae Bonifacio, il generale che, con Costanzo Felice e Flavio Ezio, suo grande avversario, divenne uno dei protagonisti della scena politica che accompagnò l’ascesa al trono imperiale di Valentiniano III.


PITTURA

Édouard Manet e la modernità parigina

MUSÉE D’ORSAY, PARIGI

E

LA CAMERIERA DELLA BIRRERIA, ÉDOUARD MANET, 1878-1879, OLIO SU TELA, 77 X 64,5 CM.

rano anni di grandi mutamenti quelli che Édouard Manet visse, nella pittura e nella sua Parigi. Nella seconda metà dell’Ottocento, la città cambiava e lo faceva sotto la spinta di un processo di modernizzazione voluto da Napoleone III e realizzato dal prefetto Haussmann: la Parigi medievale, fatta di vicoli e stradine, lasciava il posto a quella dei grandi boulevards e delle piazze monumentali che donarono alla capitale un nuovo, moderno volto. E

come Haussmann aveva portato Parigi nella modernità, Manet vi portava la pittura, con opere, colori e soggetti che Degas descrisse con queste parole: «Traeva elementi da tutti, ma che meraviglia la maestria pittorica con la quale riusciva a fare qualcosa di nuovo!». È in questo stesso solco che al piano nobile di Palazzo Reale a Milano è stata allestita la mostra dedicata a Manet e alla Parigi del suo tempo; promossa da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Mon-

doMostre Skira, l’esposizione riunisce circa cento opere - raccolte grazie alla collaborazione con il Musée d’Orsay di Parigi - tra cui si celano anche quelle di altri maestri quali Cézanne, Degas Monet e Renoir. Oli, acquarelli e disegni sembrano raccontare la Parigi vecchia e nuova, quella sì dell’Opéra, ma anche dei bistrot, dei teatri di prosa e di quei luoghi in cui pullulava il demi-monde e che Manet ama e sa cogliere nella loro transitoria bellezza, nella loro fugace e storica modernità. (A.G.) Manet e la Parigi moderna LUOGO Palazzo Reale, piazza del Duomo, Milano TELEFONO 02 92800375 WEB www.manetmilano.it DATE Fino al 2 luglio

OTTO E NOVECENTO

Il ruolo femminile in due secoli d’arte

S

i è da poco aperta al Museo del Paesaggio di Verbania – piano nobile di Palazzo Viani Dugnani – una mostra dedicata alla figura della donna nella pittura e nella scultura tra Otto e Novecento. Lungo un percorso che si articola in undici sezioni, la mostra espone circa ottanta opere che indagano il ruolo femminile nella storia e nella società, dalla vita familiare a quella lavorativa, dalla dimensione sociale a quella spirituale: l’esposizione si apre con i ritratti femminili di un maestro della Scapigliatura, Daniele Ranzoni, per proseguire con una

MATERNITÀ, GIULIO BRANCA, GESSO, H 80 CM, MUSEO DEL PAESAGGIO, VERBANIA.

serie di pitture e sculture tra cui spicca la splendida Maternità di Giulio Branca. Non poteva mancare poi una sezione dedicata a due donne-artiste: la simbolista Sophie Browne e la futurista Adriana Bisi Fabbri. La mostra prosegue con i lavori di Martini, Tozzi e Sironi la cui monumentale Vittoria Alata del 1935 chiude l’esposizione. (A.G.) I volti e il cuore. La figura femminile da Ranzoni a Sironi e Martini LUOGO Palazzo Viani Dugnani, Verbania Pallanza (VB) WEB www.museodelpaesaggio.it DATE Fino al 1° ottobre

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero RASPUTIN, IL ‘MONACO PAZZO’ DELL’ULTIM0 ZAR

BRIDGEMAN / ACI

DA QUANDO ENTRÒ nella corte russa nel 1905 per guarire lo zarevic, malato di emofilia, Rasputin divenne un importante consigliere della famiglia imperiale. Questo gli procurò grandi inimicizie che sfociarono nel suo assassinio nel dicembre del 1916. Un complotto di alcuni nobili, che avevano visto diminuire il proprio potere, pose fine alla sua vita poco prima che scoppiasse la rivoluzione.

Il viaggio di Sinuhe

I PICARI NELLA SPAGNA DEL SIGLO DE ORO

Una delle opere più popolari della letteratura dell’antico Egitto racconta la storia di un nobile egizio che fuggì dalla corte di Amenemhat I e trovò rifugio in Siria.

SOTTO IL FULGORE della dinastia degli

Asburgo si muovevano i picari, «gente di malaffare» che agiva ai limiti della legge e non sempre dalla parte giusta. Mendicanti, ladri, avventurieri, anche assassini al soldo, popolavano i bassifondi delle principali città spagnole, come Madrid o Siviglia, dove interi quartieri erano dominati dalla malavita. Le peripezie di questi ruffiani ispirarono alcune grandi opere della letteratura spagnola, come Lazzarino da Tormes e Guzmán de Alfarache. ORONOZ / ALBUM

114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

L’inferno dei greci Secondo la mitologia, dopo la morte le anime erano destinate a un mondo sotterraneo, governato dal terribile dio Ade e dalla sua sposa Persefone.

Le donne di Cesare La madre e la figlia, le mogli e le amanti: l’universo femminile ebbe un peso decisivo sull’esistenza e sulla carriera politica di Giulio Cesare.

La via della seta Dodici secoli prima di Marco Polo l’Impero romano e la Cina erano collegati da una via commerciale lungo la quale, oltre che la seta, viaggiavano profumi e spezie.

La setta degli assassini Per chi agivano? Quali erano i loro obiettivi? Erano davvero fumatori di hashish? La storia dei guerrieri nizariti è ancora disseminata di interrogativi.


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LA VERA BELLEZZA COF4131 - 154’

€ 19,99

L’arte ha da sempre tentato di comprendere e toccare il divino, generando capolavori straordinari e immortali. Due sono le figure che più di tutte hanno ispirato la creatività e l’abilità espressiva dei grandi maestri della pittura e della scultura: quelle di Cristo e della Madonna. Ad esse sono dedicati i 2 DVD, che presentano un viaggio nel mondo nell’arte, attraverso duemila anni di storia e da un continente all’altro, svelando l’immenso patrimonio artistico legato alla rappresentazione della figura di Gesù e della Vergine. Da Giotto a Michelangelo, da Leonardo a Caravaggio, da Tiziano a Rembrandt, da Mantegna fino a Chagall: le meravigliose immagini delle opere testimoniano l’ispirazione che ha animato i grandi maestri, dando modo di esplorarne i significati religiosi e filosofici, oltre che contemplarne l’assoluta bellezza.

MICHELANGELO D&B6651 - 40’

La potenza drammatica di Michelangelo domina la scena dell’arte mondiale nel primo Cinquecento. Novant’anni di “tormenti ed estasi”, cavando fuori dal marmo, martellata dopo martellata, l’anima segreta di figure tormentate. Scultore, prima di tutto, ma anche pittore, architetto, poeta: un interprete insuperabile della parabola dell’uomo rinascimentale, dall’esaltazione al disinganno.

€ 14,99

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€ 9,99

€ 9,99

RAFFAELLO

CARAVAGGIO

D&B6010 - 60’

D&B6646 - 50’

La pittura di Raffaello nasce dal prezioso accordo tra le ricerche figurative del Rinascimento e il toccante sentimento di una poesia profondamente umana. La breve vita e l’arte meravigliosa di Raffaello toccano tutti gli snodi fondamentali della cultura artistica nel passaggio tra Quattro e Cinquecento. Prima Urbino, con i ricordi limpidi di Piero della Francesca, poi la quiete distesa dell’Umbria e di Perugino, per entrare poi nel dibattito fiorentino tra Leonardo e Michelangelo e culminare infine nella grande fucina della Roma di Giulio II.

ARCIMBOLDO CDV3700 - 30’

Le originali opere di Giuseppe Arcimboldo (15261593) hanno divertito le corti di tutta Europa. Le sue fantasiose combinazioni di frutta, verdura e fiori hanno dato vita a ritratti allegorici di imperatori e spiritose caricature dei loro cortigiani. Grazie a queste opere, Arcimboldo ha ricevuto i più grandi onori da parte degli imperatori del Sacro Romano Impero. Le sue opere rivelano una mente profondamente influenzata dalle nuove scoperte e dai nuovi mondi venuti alla luce nel secolo delle grandi esplorazioni. Questo DVD ripercorre i luoghi in cui ha vissuto Arcimboldo, svelando, attraverso le sue opere, l’attività di artista, regista di feste e interprete del mondo naturale.

BOTTICELLI

D&B7377 - 85’

ll DVD contiene due sezioni: la prima offre un quadro della vita e delle opere immortali del pittore della grazia e della bellezza, la cui evoluzione artistica, così legata alla situazione politica e religiosa fiorentina, segnò il passaggio drammatico dal periodo aureo dell’Umanesimo alle inquietudini del nuovo secolo. La seconda sezione presenta per la prima volta l’eccezionale serie dei € 14,99 meravigliosi disegni realizzati dal maestro tra il € 9,99 1480 e il 1495 per illustrare la Divina Commedia, scritta 200 anni prima da Dante Alighieri. Gli splendidi disegni di Botticelli raccontano il fantastico viaggio di Dante nell’aldilà con estrema * campi obbligatori maestria, come sequenze di un film scritto oltre Desidero ordinare i seguenti cofanetti ___________________________________ cinquecento anni fa. € 9,99

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Un’odissea umana sulle acque del Mediterraneo, una vita disperata passata tra i fasti dei palazzi dell’aristocrazia romana e le bettole di malaffare: un uomo violento e infiammato, un genio della pittura diviso tra due mondi e due epoche. Nel breve arco di una vita e di una carriera bruciata in fretta, il pittore lombardo sconvolge profondamente il corso dell’arte, con una sequenza di capolavori memorabili. La novità più radicale è l’appassionata, diretta e poetica realtà messa in scena da Caravaggio senza finzione o abbellimenti, presa, così com’è, dalla strada, dalla vita quotidiana. Il DVD consente di conoscere più a fondo alcuni dei capolavori più significativi ed inquietanti del suo genio violento ed infiammato.

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