Storica National Geographic - luglio 2017

Page 1

N. 101 • LUGLIO 2017 • 4,50 E

LA CONQUISTA DELL’OVEST - esce il 25/05/2017 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1, ne/vr germania 11,00 € - svizzera c. ticino cHF. 9,50- svizzera cHF. 9,90

LA NASCITA DI UN NUOVO ORIZZONTE

CONFUCIO

IL MAESTRO ETERNO DELLA CINA

LA VERITÀ SULL’EDEN LA RICERCA DEL PARADISO

I CRISTIANI COPTI

art.

772035 878008 9

SCHIZOFRENIA O TERRORE DI STATO?

70101

IMPERATORI FOLLI

periodicità mensile

GLI EREDI DELL’EGITTO FARAONICO



UNA LUNGA CAROVANA DI COLONI ATTRAVERSA CITY OF ROCKS DOPO AVER VARCATO LE MONTAGNE ROCCIOSE. 1870-1880.

Grandi storie

24 I copti, discendenti dei faraoni Le tradizioni faraoniche e il cristianesimo si fusero nella cultura copta, che si è mantenuta fino a noi. DI JOSÉ R. PÉREZ-ACCINO

36 Il Giardino dell’Eden Sia la Genesi che le antiche tradizioni mesopotamiche parlano di un luogo dove non esiste la morte. DI JAVIER ALONSO LÓPEZ

48 La battaglia di Alalia Verso il 540 a.C. i greci di Alalia sconfissero, a un prezzo enorme, etruschi e cartaginesi. DI ADOLFO J. DOMÍNGUEZ MONEDERO

60 Confucio, il saggio del buon governo Alla fine del VI secolo a.C., in piena guerra, Confucio si impegnò a fare della virtù la base del governo. DI DOLORS FOLCH

72 Imperatori folli Molti imperatori romani sono famosi per la loro pazzia. In realtà, difendevano il proprio potere. DI ROSARIO LÓPEZ GREGORIS

Rubriche

8

GRANDI INVENZIONI

Gli occhiali

Alla fine del XIII secolo, un monaco creò i primi occhiali veri e propri.

10 PERSONAGGI STRAORDINARI

Il barone di Münchhausen La sua figura storica fu eclissata dal suo avventuroso alter ego letterario.

14 LA STORIA NELL’ARTE

Las Meninas

Il quadro di Velázquez riflette il ruolo dell’arte nella società.

16 EVENTO STORICO

La fine dei giannizzeri

Nel 1826, il sultano represse questo corpo ottomano.

20 VITA QUOTIDIANA

L’olio di oliva a Roma

Un prodotto per quasi ogni occasione.

106 GRANDI ENIGMI

La Camera d’Ambra

Nel 1944 si perde traccia di questa favolosa sala.

86 La conquista del lontano Ovest Nel 1800 gli Stati Uniti accolsero molti migranti europei, che diedero vita a una società di fronteria. DI MANUEL LUCENA LA DEA ISIDE, CON SUO FIGLIO HORUS IN GREMBO.

110 GRANDI SCOPERTE

I guerrieri di Porcuna

Quarant’anni fa furono ritrovate sculture di guerrieri iberici.


Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

N. 101 • LUGLIO 2017 • 4,50 E

LA CONQUISTA DELL’OVEST LA NASCITA DI UN NUOVO ORIZZONTE

Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 101

IL MAESTRO ETERNO DELLA CINA

LA VERITÀ SULL’EDEN LA RICERCA DEL PARADISO

I CRISTIANI COPTI GLI EREDI DELL’EGITTO FARAONICO

IMPERATORI FOLLI

Editore: RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara 35 20124 Milano

Direttore responsabile: ANDREA STEINER

SCHIZOFRENIA O TERRORE DI STATO?

Redazione e amministrazione: RITRATTO DI NERONE. OLIO DI ABRAHAM JANSSENS VAN NUYSSEN, 1618. FOTO: BRIDGEMAN / ACI

PRESIDENTE

RICARDO RODRIGO

CONFUCIO

RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara 35 20124 Milano tel. 0200696352 e-mail: storica@storicang.it

CONSEJERO DELEGADO

ENRIQUE IGLESIAS DIRECTORAS GENERALES

ANA RODRIGO, MARI CARMEN CORONAS

DIRECTOR GENERAL PLANIFICACIÓN Y CONTROL

IGNACIO LÓPEZ DIRECTORA EDITORIAL INTERNACIONAL

AUREA DÍAZ DIRECTORA MARKETING

BERTA CASTELLET DIRECTORA CREATIVA

JORDINA SALVANY DIRECTOR DE CIRCULACIÓN

www.storicang.it E-mail: storica@storicang.it Esce il 20 di ogni mese

Segui Storica su Facebook. News ed eventi quotidiani anche su social network: www.facebook.com/storicang

Responsabile editoriale: JULIUS PURCELL Coordinatore: ANNA FRANCHINI Grafica: MIREIA TREPAT Collaboratori: ELENA LEDDA (Editor);

DIRECTOR DE PRODUCCIÓN

RICARD ARGILÉS Difusión controlada por

MARTINA TOMMASI; ADRIANO LUCIANI; LUIGI COJAZZI

Consulenti: MÒNICA ARTIGAS (Coordinamento editorale) JOSEP MARIA CASALS (Direttore, rivista Historia) IÑAKI DE LA FUENTE (Direttore artistico, Historia) VICTOR LLORET BLACKBURN (Direttore editoriale National Geographic Spagna) Stampatore: NIIAG S.P.A - BEPRINTERS via Zanica, 92 24126 Bergamo

Distribuzione: PRESS-DI DISTRIBUZIONE STAMPA & MULTIMEDIA via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI)

Pubblicità extra settore: viale Montenero, 56 20135 Milano tel. 0256567415 - 0236741429 e-mail: info@lapisadv.it

Pubblicità settore: Rita Cusani tel. 3358437534 e-mail: cusanimedia@gmail.com Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 31 del 22/01/2009 ISSN: 2035-8784 ©2009-2017 RBA ITALIA SRL

NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY “Suscitando interesse per l’esplorazione e la protezione del pianeta” National Geographic Society è un’istituzione scientifica ed educativa senza fini di lucro fondata a Washington nel 1888 e impegnata nell’esplorazione e nella salvaguardia del pianeta.

GARY E. KNELL President and CEO BOARD OF TRUSTEES

JEAN N. CASE Chairman, TRACY R. WOLSTENCROFT Vice Chairman, WANDA M. AUSTIN, BRENDAN P. BECHTEL, MICHAEL R. BONSIGNORE, ALEXANDRA GROSVENOR ELLER, WILLIAM R. HARVEY, GARY E. KNELL, JANE LUBCHENKO, MARC C. MOORE, GEORGE MUÑOZ, NANCY E. PFUND, PETER H. RAVEN, EDWARD P. ROSKI, JR., FREDERICK J. RYAN, TED WAITT, ANTHONY A. WILLIAMS RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE

PETER H. RAVEN Chairman PAUL A. BAKER, KAMALJIT S. BAWA, COLIN A. CHAPMAN, JANET FRANKLIN, CAROL P. HARDEN, KIRK JOHNSON, JONATHAN B. LOSOS, JOHN O’LOUGHLIN, STEVE PALUMBI, NAOMI E. PIERCE, JEREMY A. SABLOFF, MONICA L. SMITH, THOMAS B. SMITH, CHRISTOPHER P. THORNTON, WIRT H. WILLS NATIONAL GEOGRAPHIC PARTNERS

Servizio abbonamenti:

DECLAN MOORE CEO

Volete sottoscrivere un abbonamento a Storica? Oppure dovete segnalare un eventuale disservizio? Chiamate il numero 199 111 999 per tutta Italia (costo della chiamata: 0,12 euro +IVA al minuto senza scatto alla risposta; per i cellulari il costo varia in funzione dell’operatore). Il servizio è attivo da lunedì a venerdì, dalle 9.00 alle 19.00. Altrimenti inviate un fax al numero 030 7772387. Per chi chiama dall’estero è attivo il numero +39 041 5099049. Oppure inviate una mail a servizioabbonamenti@mondadori.it, o scrivete alla Casella Postale 97, 25126 Brescia

SENIOR MANAGEMENT

Servizio arretrati: Avete perso un numero di Storica o un numero di Speciale di Storica? Ecco come richiederlo. Chiamate il numero 045.8884400 Altrimenti inviate una mail a collez@mondadori.it. Oppure un fax al numero 045.8884378. O scrivete a Press-di Servizio Collezionisti casella postale 1879, 20101 Milano

4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

JOSÉ ORTEGA

SUSAN GOLDBERG Editorial Director, CLAUDIA MALLEY Chief Financial Officer, MARCELA MARTIN Chief Marketing and Brand Officer, COURTENEY MONROE Global Networks CEO, LAURA NICHOLS Chief Communications Officer, WARD PLATT Chief Operating Officer, JEFF SCHNEIDER Legal and Business Affairs, JONATHAN YOUNG Chief Technology Officer, BOARD OF DIRECTORS

GARY E. KNELL Chairman JEAN A. CASE, RANDY FREER, KEVIN J. MARONI, JAMES MURDOCH, LACHLAN MURDOCH, PETER RICE, FREDERICK J. RYAN, JR. INTERNATIONAL PUBLISHING

YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President of Strategic Development, ARIEL DEIACO-LOHR, KELLY HOOVER, DIANA JAKSIC, JENNIFER JONES, JENNIFER LIU, LEIGH MITNICK, ROSANNA STELLA


SECOLI DI STORIA

IN 1 ANNO

DI STORICA 4 MESI

DI LETTURA GRATIS

35%

SCONTO

ABBONATI SUBITO A

STORICA Incontra grandi personaggi, scopri secoli di storia, raccontati con passione e con immagini spettacolari e ricostruzioni 3D. Approfitta di questa offerta vantaggiosa: pagherai solo 34,90 euro anziché 54,00 euro*

SCEGLI COME ABBONARTI Chiama il 199 111 999**

Collegati a www.storicang.it

Invia un fax al 030 77 72 387

Scrivi a servizioabbonamenti@mondadori.it

Se hai perso un numero di Storica o uno Speciale di Storica puoi richiederlo al numero di telefono 199 162 171, oppure scrivere a: collez@mondadori.it oppure mandare un fax al N. 02 95240858 *Più 4,90 euro per spese di spedizione. - **Costo massimo della chiamata da tutta Italia per telefoni fissi: Euro 0,12 + iva al minuto senza scatto alla risposta. Per cellulari costo in funzione dell’operatore. - L’informativa sulla privacy è consultabile sul sito www.rbaitalia.it


GRANDI INVENZIONI

Il Medioevo inventa gli occhiali Il rinnovato interesse per l’ottica e gli sviluppi nella lavorazione de vetro permisero che alla fine del XIII secolo un monaco ideasse i primi occhiali veri e propri

P

rima del XIV secolo i difetti di vista, che fossero congeniti, come la miopia, o collegati all’età, provocavano limitazioni irreparabili. I problemi colpivano soprattutto coloro che svolgevano lavori di precisione o attività intellettuali basate sulla lettura e sulla scrittura. Tra questi ultimi c’erano i monaci, da secoli protettori del sapere occidentale. Pertanto, non c’è da stupirsi se fu proprio in un convento che venne escogitata, intorno al 1300, un’invenzione che da allora avrebbe migliorato la vita di gran parte dell’umanità. Nell’XI secolo Ibn al-Haytham, scienziato arabo conosciuto in Europa come Alhazen, pose

le basi teoriche per l’invenzione degli occhiali con le sue indagini sulla cornea umana e sugli effetti dei raggi di luce su specchi e lenti. Nel XIII secolo i suoi libri furono tradotti in latino e suscitarono grande interesse per l’ottica e per le sue applicazioni pratiche. Fu così che fecero la loro comparsa le “pietre di lettura”, delle lenti piano-convesse (semisferiche) che si usavano a mo’di lenti d’ingrandimento e che possiamo considerare anticipatrici degli occhiali. Nel 1306, durante un sermone a Firenze, un domenicano affermò: «Non sono passati neanche 20 anni da quando si è sviluppata l’arte di fabbricare gli occhiali. Si tratta di una delle arti

OCCHIALI IN VETRO AFFUMICATO, STANGHE PIEGHEVOLI. XVIII SEC. DEA / ALBUM

6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AKG

/ ALBU

M

1286

COPIA DEGLI OCCHIALI DEL CONVENTO DI WIENHAUSEN, I PIÙ ANTICHI (1400 CIRCA) MAI TROVATI IN EUROPA. MUSEO DI WIENHAUSEN.

più importanti e indispensabili che il mondo abbia elaborato, e si è sviluppata solo da poco […] Io ho conosciuto colui che scoprì e creò gli occhiali, e ho parlato con lui». Quindi, l’invenzione è da collocare intorno al 1286. Un’altra notizia dell’epoca riferisce di un monaco di Pisa, Alessandro della Spina, morto nel 1313 «in grado di ricreare tutto ciò che vedeva. Egli fabbricò gli occhiali che un altro prima di lui aveva inventato e il cui segreto, però, non volle mai rivelare. Alessandro, invece, insegnò a tutti come farlo».

Per anziani e giovani Questi primi occhiali erano costituiti da due lenti montate all’interno di cerchi di legno o di corno, fissate da un chiodo, e si appoggiavano sul naso. Le lenti, di tipo biconvesso, risolvevano i problemi della vista da vicino, come la presbiopia. Esistono anche riferimenti ai minerali preziosi che venivano impiegati, come il quarzo trasparente o il vetro del berillo. I primi occhiali sono stati associati anche alla tecnica di lavorazione del vetro a base di sabbia, potassio e carbonato di sodio, sviluppatasi a Bisanzio e adoperata dai veneziani. Gli occhiali si diffusero immediatamente tra le persone anziane. Per esempio, Petrarca commentava che intorno al 1350, compiuti i 60 anni, aveva perso la sua buona vista ed era


TRA ARTIGIANATO E SCIENZA 1040 Muore Ibn al-Haytham, autore di un libro sull’ottica che eserciterà grande influenza sulla scienza europea.

1266 Il monaco inglese Roger Bacon abbozza i principi delle lenti correttrici, anche se non risulta che li abbia poi messi in pratica.

1286

AKG / ALBUM

Secondo quanto riferisce il frate Giordano da Pisa durante un sermone a Firenze, un monaco di Pisa inventa i primi occhiali.

OCCHIALI NEL 1403. Particolare di un quadro di Conrad von Soest a Bad Wildungen.

stato così «costretto a valersi con riluttanza dell’ausilio delle lenti». Nel XV secolo comparve un nuovo tipo di occhiali, «adatti alla vista da lontano, dunque ai giovani», come annunciava il duca di Milano in una lettera del 1462 alludendo alle lenti concave che correggevano la miopia. Quest’ultimo modello non solo era utile per occupazioni puntuali come la lettura e la scrittura, ma lo si poteva anche indossare per tutto il tempo. E forse proprio questo fece sì che si iniziasse a dedicare più attenzione a come sorreggere gli occhiali senza doverli tenere in mano. Si avanzarono varie ipotesi, da un cappello prov-

visto di fili dai quali pendevano gli occhiali fino a una fascia di cuoio che reggeva le lenti intorno alla testa. Curiosamente il metodo delle stanghette (mediante una pressione alle tempie si potevano fissare gli occhiali intorno alle orecchie) non si diffuse fino al XVIII secolo. Fu allora che gli occhiali, comodi da indossare, relativamente economici (grazie alla produzione industriale) e provvisti di lenti sempre più adattate a ogni tipo di necessità divennero per molti un’appendice insostituibile per muoversi nel mondo. —Alfonso López

1352 Un affresco in una basilica di Treviso raffigura per la prima volta una persona con gli occhiali.

1458 Niccolò Cusano fa riferimento a degli occhiali con lenti concave, adatte alle persone miopi. CARDINALE CON OCCHIALI TENUTI INSIEME DA LACCIO. OLIO DI EL GRECO. 1598. ORONOZ / ALBUM

AKG / ALBUM

BOTTEGA DI UN FABBRICANTE DI LENTI TEDESCO. INTORNO AL 1565.


PERSONAGGI STRAORDINARI

Münchhausen: il gran bugiardo del XVIII secolo La figura storica di questo nobile militare tedesco è stata eclissata da quella del suo alter ego fittizio, che è diventato uno dei personaggi più conosciuti della letteratura

Una vita di guerre e banchetti 1720 Carl Friedrich Freiherr von Münchhausen nasce a Bodenwerder, una località vicina a Hamelin, a circa 70 chilometri da Hannover.

1733 A 13 anni comincia la sua carriera militare nel corpo dei corazzieri del principe Anton Ulrich de Braunschweig.

1740 Si arruola nell’esercito russo ed è inviato a Riga, da dove partecipa alla guerra che gli zar mantengono contro i turchi.

1750 Completa la carriera militare e si ritira a Bodenwerder. Si dedica alla sua passione, la caccia, fino alla sua morte, nel 1797.

I

l barone di Münchhausen fu una persona in carne e ossa. Tuttavia non volò su una palla di cannone, né ballò nella pancia di una balena né tantomeno viaggiò sulla Luna e ne conobbe gli abitanti come narrano le sue storie. Il fatto che al giorno d’oggi la sua figura storica si sia praticamente dimenticata si deve al suo alter ego letterario. La pubblicazione nel 1786 del libro Le avventure del barone di Münchhausen, scritto dal poeta Gottfried August Bürger trasformò un noto e nobile militare in uno stravagante personaggio letterario e in un bugiardo compulsivo. Carl Friedrich Freiherr (barone) von Münchhausen nacque nel 1720 a Bodenwerder, un’accogliente località del centro della Germania, nello stato di Hannover. Secondo i costumi della nobiltà, a 13 anni prese a servire nel corpo dei corazzieri del principe Anton Ulrich von Braunschweig. Grazie alla sua buona condotta fu promosso a trombettiere e, poco tempo dopo, a tenente. I legami familiari di Anton Ulrich – sposato con una nipote della zarina Anna – permisero al barone di partecipare alle guerre

1786

Guerre in Oriente Secondo i documenti militari che si sono conservati, il barone si comportò in modo coraggioso al punto che, quando il principe di Braunschweig fu imprigionato nel 1741, lui continuò a far parte del reggimento dell’esercito russo. Ottenne talmente tanto successo che l’imperatrice Elisabetta lo promosse a capitano per il suo coraggio e per le prestazioni rese grazie alle sue competenze in altri campi: infatti sapeva leggere e scrivere, una cosa non molto abituale tra i nobili dell’epoca. Nel 1744, Münchhausen sposò la figlia di un nobile proprietario terriero lettone e nel 1750 rientrò insieme a lei nelle sue terre di Bodenwerder, dove risiedette fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1794, quattro anni dopo la morte di sua moglie, si risposò ma divorziò subito dopo a causa delle infedeltà della sposa. Questo episodio torbido, avvenuto proprio negli ultimi anni della sua vita, gli fece perdere la quasi totalità della sua fortuna a causa dei numerosi

Münchhausen si offese per essere stato trasformato in un affabulatore e un gradasso

Gottfried August Bürger pubblica il libro basato sui racconti che il barone narrava agli ospiti durante i suoi banchetti. AKG / ALBUM

8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

che l’impero russo manteneva a quel tempo con la Turchia. Si arruolò agli ordini del principe e fu trasferito a Riga, da dove prese parte alle campagne del 1740 e 1741.

BASTONE DI COMANDO OTTOMANO. MUSÉE DE L’ARMÉE, PARIGI.


LA PERSONA DIETRO IL PERSONAGGIO CARL F. von Münchhausen fu un

uomo forte, energico e perfino affascinante. Questo ritratto di G. Bruckner del barone che indossa l’uniforme dei corazzieri di Riga rappresenta la più fedele delle poche immagini conservate. Sul conto del barone non ci sono giunte descrizioni precise, poiché la finzione letteraria ha confuso il personaggio reale con quello immaginario. È tuttavia noto, grazie ad alcuni documenti dell’archivio familiare, che fu un uomo di gran talento, nobile, leale, molto colto e con una buona capacità di improvvisazione, oltre a essere un grande appassionato di caccia. CARL FRIEDRICH VON MÜNCHHAUSEN. G. BRUCKNER. 1752. MUSEO MÜNCHHAUSEN, BODENWERDER.

AKG / ALBUM. COLOR: SANTI PEREZ

processi che fu costretto a sostenere. Nel 1797, il barone di Münchhausen moriva nella stessa casa che l’aveva visto nascere quasi ottant’anni prima.

cui interminabili dopocena i presenti ascoltavano stupefatti le avventure straordinarie che lui raccontava d’aver vissuto. Questa pratica rievocava ciò che facevano molti militari dell’epoIl salto verso la fama ca per premiare le proprie prodezze Non si conosce molto altro della sua di fronte a conoscenti e familiari. La biografia. Appassionato della caccia differenza era che nel caso del baroalle anatre e amante dei suoi cavalli, ne, a causa del suo ingegno e delle sue condusse la tipica vita di un nobile intense abilità oratorie, la sua repururale dell’epoca e fu molto apprezzato tazione si estese per tutta la regione per la sua integrità negli affari. Fu senza di Hannover. L’affabilità e la simpatia dubbio la sua passione per la caccia a con cui raccontava i propri aneddoti spingerlo a organizzare nei suoi pos- fecero sì che quelle storie divertenti sedimenti numerosi ricevimenti, nei si diffondessero al di là della sua cer-

chia e diventassero rinomate oltre le frontiere tedesche. Infatti, i suoi racconti divennero un’opera letteraria lontano dalle sue terre e in una lingua che non era la sua. Diciassette delle storie che gli son state attribuite furono pubblicate a Londra, tra il 1781 e il 1783, in forma anonima con il titolo di Baron Münchhausen’s Narrative of his Marvellous Travels and Campaigns in Russia. Più tardi si scoprì che l’autore era un connazionale del barone, Rudolf Erich Raspe, nato a Hannover e che aveva lavorato come responsabile delle colSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

9


PERSONAGGI STRAORDINARI

Le storie più incredibili del barone LA FAMA letteraria del barone di Münchhausen si deve alla trascrizione delle sue avventure realizzata da Rudolf Raspe e da Gottfried Bürger. Questi autori non si limitarono a mettere per iscritto i racconti del barone, ma aggiunsero anche elementi delle narrazioni popolari conosciute sin dai tempi antichi. Le migliori storie, le più satiriche e poetiche, derivano con tutta probabilità dalla penna di Bürger, che ci ha lasciato in eredità la versione più celebre. LE AVVENTURE DEL BARONE DI MÜNCHHAUSEN. LONDRA, XIX SECOLO.

VOLO SU UNA PALLA DI CANNONE

La galoppata a cavallo di una palla di cannone durante una delle tante battaglie in cui si vide coinvolto è l’immagine più emblematica del barone.

UNA MIRA INCREDIBILE

Nel primo racconto delle sue avventure il barone dovette sparare sulle redini del suo cavallo, che era rimasto appeso in cima a un campanile.

DA SINISTRA A DESTRA: LEBRECHT / ALBUM; AKG / ALBUM; ALAMY / ACI; CULTURE / ALBUM; AKG / ALBUM; ALAMY / ACI

lezioni del Museo di Storia Antica del principe Federico II nella vicina città di Kassel. Sommerso dai debiti, Raspe aveva venduto alcune opere del museo; dopo esser stato scoperto fuggì dapprima in Olanda e poi in Inghilterra. E’ probabile che Raspe conoscesse la fama del barone solo per sentito dire, anche se non si può

escludere che avesse partecipato a qualcuna delle sue celebri serate. Il successo di questo fantastico personaggio tedesco in Gran Bretagna fu tale che nel corso dei due anni successivi comparvero quattro edizioni migliorate. Quando venne a conoscenza della pubblicazione, Münchhausen si sentì profondamente offeso, perché in quei

IL POETA BÜRGER GOTTFRIED AUGUST BÜRGER era uno scrittore conosciuto quando, nel 1786, pubblicò la sua versione delle avventure del barone. Nato nel 1747, fu professore di stile e filosofia kantiana all’Università di Göttingen dove, insieme ad altri professori, fece parte di una corrente poetica precorritrice del Romanticismo. GOTTFRIED AUGUST BÜRGER. IL GIOVANE TISCHBEIN. 1771. AKG / ALBUM

10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

racconti veniva descritto come un bugiardo patologico. Quest’elemento ha fatto ipotizzare che Raspe probabilmente fosse un camerata del barone che aveva voluto vendicarsi di lui per qualche motivo screditandolo.

Un personaggio da romanzo Si ipotizza che le storie del barone siano arrivate in Germania nel 1786 grazie a una traduzione attribuita allo stesso Raspe. Quello stesso anno, Gottfried August Bürger pubblicava la sua versione che, grazie alla sua qualità letteraria, diffuse universalmente il nome del barone bugiardo. Bürger affermò che in realtà lui aveva soltanto apportato aggiunte e modifiche al testo della traduzione; questo ha fatto ipotizzare a molti critici che la versione tedesca fosse effettivamente sua e non di Raspe, sebbene in copertina apparisse Londra come luogo di edizione.


CAVALLO A METÀ

Il barone si rese conto che il suo cavallo continuava a bere senza dissetarsi perché gli mancava metà del corpo e perdeva acqua da dietro.

STORIE DI CACCIA

Dopo aver legato a un filo una sfilza di anatre a mò di collana di perle, queste si misero a volare e lo riportarono a casa sua.

Oggigiorno risulta impossibile confermarlo poiché non è stato conservato nessun originale di questa presunta traduzione. Certamente i migliori racconti provengono dalla penna di Bürger: la cavalcata sulla palla di cannone o la storia di come uscì dalla palude in cui era caduto tirandosi su grazie alla propia coda dei capelli, per esempio. Oppure le storie che hanno a che vedere con l’arruolamento del suo singolare esercito: un uomo dotato di un udito straordinario, un forzuto, uno che correva così veloce che, per camminare normalmente, aveva bisogno di catene e un altro che vedeva quasi fino all’infinito sono solo alcuni dei moltissimi individui dotati di straordinarie caratteristiche. Questo testo è frutto di influenze che vanno da Le Mille e Una Notte alle leggende delle diverse regioni d’Europa fino alle raccolte di racconti tedeschi e ad autori come Cervantes.

AVVENTURE SUBACQUEE

Nelle sue avventure, il barone esplorò tutto il mondo e si avventurò in viaggi sotterranei e subacquei, dove vide creature straordinarie.

Le storie che sono giunte fino ai giorni nostri come avventure narrate dallo stesso Münchhausen non sono altro che una parte dell’immenso tesoro di aneddoti popolari, tramandati oralmente da tempo immemorabile e che l’erudito barone seppe adattare alla sua persona per intrattenere i suoi ascoltatori.

a qualsiasi tipo di vizio. Il cambiamento è stato tale che Münchhausen ha smesso i panni del personaggio spiritoso bugiardo per vestire quelli del povero pazzo. Tuttavia la fama del barone imbroglione non si limita all’ambito artistico. La sua personalità ispirò infatti nel 1951 il medico britannico Richard Asher, che soprannominò “sindrome Sindrome clinica di Münchhausen” il disturbo che inLa reputazione del barone bugiardo duce certi individui a immaginare panon ha fatto altro che aumentare con tologie delle quali in realtà non sono il passare del tempo. Dal momento affetti. Questo fatto fu molto criticadella loro pubblicazione le avventure to da alcuni suoi colleghi, che non vidi Münchhausen non hanno smes- dero di buon occhio che si attribuisse so di subire edizioni e rivisitazioni e a una sindrome il nome di un persosono state protagoniste di numerosi naggio come il Münchhausen letteraadattamenti per il cinema e il teatro. rio. In tal modo, sostenevano, non veDato che in molte occasioni è sta- niva fatta nessuna giustizia alla nobilta considerata un libro per bambini, tà e all’eroismo della figura storica che l’opera originale è stata modificata, ispirò storie così divertenti. allungando o riducendo le storie ed eliminando le allusioni alla Chiesa e —Isabel Hernández STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

11


O P E R A D ’A R T E LA CORTE SPAGNOLA

Las meninas contiene molti dettagli che arricchiscono il suo significato, specialmente perché racchiude al tempo stesso il ritratto della principessa e l’autoritratto dell’artista. La sua qualità e la sua complessità l’hanno reso oggetto di interesse da parte di accademici e artisti, tra cui Pablo Picasso.

Las Meninas: l’artista e la famiglia reale

1

L’acclamato dipinto di Velázquez non solo riflette la vita di corte e il ruolo dell’artista al suo interno, ma anche quello dell’arte nella società più in generale

Il quadro e l’arte della pittura Velázquez era diventato pittore di corte del re Filippo di Spagna nel 1623. Questo quadro ci aiuta a conoscere meglio il mondo in cui lavorava. Al centro della tela troviamo l’infanta Margherita, figlia di Filippo, accompagnata da due damigelle d’onore, las meninas del titolo. Al momento del dipinto, nel 1656, Margherita era l’unica figlia del re, e per questo è lei il nucleo del quadro. L’anno dopo sarebbe

nato Filippo Prospero, che divenne immediatamente l’erede al trono. Un avvenimento che avrebbe indubbiamente alterato la composizione del quadro. Delle due damigelle, Isabel de Velasco, in atteggiamento di riverenza, occupa la destra dell’immagine mentre María Agustina Sarmiento, che regge una tazza rossa su un vassoio d’oro, la sinistra. Ci sono anche due nani, la tedesca Mari Barbola e l’italiano Nicola Pertusato, che sta giocando allegramente con un grande cane. Sullo sfondo si trova l’accompagnatrice della principessa che, vestita a lutto, parla con una guardia del corpo. Attraverso la porta parzialmente aperta si vede la figura di José N. Velázquez, ciambellano della regina e probabilmente parente dell’artista. Alle spalle dell’infanta c’è uno specchio in cui scorgiamo il re e la regina. Infine, sull’estrema sinistra, c’è l’artista stesso che lavora su una tela sproporzionatamente grande. Una delle questioni più dibattute è l’identità del soggetto che sta dipingendo. La possibilità che si tratti della coppia reale verrebbe smentita dalle dimensione della tela su cui sta lavorando il pittore. Spesso il quadro è stato interpretato come un’apologia dell’arte della pittura. Velázquez ritrae sé stesso al lavoro e include alcune opere sullo sfondo. E’

DIEGO VELÁZQUEZ IN UN AUTORITRATTO REALIZZATO NEL 1643, QUANDO ERA GIÀ PITTORE DI CORTE. ORONOZ / ALBUM

MENINA

AKG / ALBUM

D

iego Velázquez dipinse la grande tela La Famiglia Reale tra il 1655 e il 1656. Per oltre 150 anni l’opera rimase appesa all’interno di una delle sale del re nel palazzo dell’Alcázar di Siviglia. Dopo essere stata danneggiata durante un incendio, venne trasferita nel palazzo reale di Madrid. Nel 1819 fu inserita nella collezione del nuovo museo nazionale d’arte spagnola e nel 1843 ricevette il nome con cui ancora oggi è conosciuta: Las Meninas o Le damigelle d’onore. Da allora è diventata una delle opere più apprezzate e studiate dell’arte occidentale.

Era il nome dato alle nobildonne che, in giovane età, diventavano damigelle d’onore alla corte reale.

significativo che queste siano copie di dipinti di Peter P. Rubens e Jacob Jordaens che riproducono episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio in cui vengono puniti gli artisti mediocri. Questo sembra alludere al fatto che la


1 L’Ordine di Santiago

2 L’Infanta

3 Lo specchio

Nel 1658 Velázquez diventò cavaliere dell’Ordine di Santiago, un titolo che ricevette grazie al sostegno del re. Pertanto aggiunse l’emblema dell’ordine al suo autoritratto.

Come artista di corte Velázquez realizzò molti ritratti di Margherita. In uno di questi, dipinto lo stesso anno di Las Meninas, la principessa indossa gli stessi vestiti, ma in una posa diversa.

Lo specchio che sembra riflettere la coppia reale è uno dei dettagli più discussi del lavoro. Il re e la regina sono spettatori del capolavoro o sono invece riflessi sulla tela nascosta?

3

2

pittura è un’arte nobile che dovrebbe essere esaltata. La presenza del pittore, con indosso la croce di cavaliere dell’Ordine di Santiago, mette in luce il dibattito sul ruolo della pittura tra le arti liberali e, di conseguenza, quello

dell’artista nella società. Non si sa chi abbia commissionato il dipinto né perché, anche se si può ipotizzare che sia stato un membro della famiglia reale. Tuttavia, il suo significato è sopravvissuto ben oltre i circoli reali del

XVII secolo. Come afferma lo storico dell’arte Daniel Arasse, «Il passare del tempo non impoverisce Las Meninas, bensì l’impreziosisce». —Tania Lévy STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

13


ARCIERI GIANNIZZERI

con i caratteristici turbanti conici bianchi. Miniatura turca del XVI secolo.

La vendetta del sultano: la tragica fine dei giannizzeri Corpo di guerrieri d’élite, i giannizzeri dominarono la vita politica dell’Impero ottomano fino alla violenta purga scatenata da Mahmud II nel 1826, che si concluse con il loro annientamento

C

ome altri corpi militari d’élite nel corso della storia, i giannizzeri pagarono il loro eccesso di fiducia: adagiati sugli allori dei successi ottenuti, finirono ben presto per essere superati dagli eserciti europei. Nel 1330, Orhan, il secondo sultano del neonato Stato ottomano, aveva deciso di creare una milizia professionale permanente con cui sostituire le truppe irregolari che, fino ad allora, avevano costituito il suo esercito. L’élite di questo nuovo corpo

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

era formata dai giannizzeri, in turco yeniçeri, “nuova milizia”. Inizialmente venivano reclutati tra gli schiavi e i prigionieri di guerra, ma a partire dalla fine del XIV secolo fu istituito il devscirme, un sistema di arruolamento forzoso di bambini prelevati dalle famiglie cristiane dei territori conquistati. Considerati figli adottivi del sultano, i giannizzeri si distinguevano per la superiore organizzazione del proprio esercito rispetto a quella dei rivali. Per trecento anni si coprirono di gloria, sangue e vittorie nelle campagne di

conquista ottomane, che raggiunsero l’apice sotto il regno di Solimano il Magnifico (1520-1566). A metà del XVI secolo potevano contare su circa 30.000 unità. A corte esercitavano un’influenza che gli permetteva di deporre i sultani contrari ai propri interessi; nel 1622, per esempio, assassinarono Osman II per innalzare al trono Mustafa I. L’abolizione del devscirme a metà del XVII secolo segnò una svolta nella storia dei giannizzeri. Da quel momento il corpo iniziò ad attingere dai figli degli stessi


AKG / ALBUM

L’EVENTO STORICO

GIANNIZZERI DURANTE L’INSURREZIONE GRECA DEL 1821. OLIO DI EUGÈNE DELACROIX. MUSEO OSKAR REINHART, WINTERTHUR.

I PRETORIANI DEL SULTANO OLTRE A essere un corpo molto temuto dai nemici, i giannizzeri erano

la guardia personale del sultano e arrivarono ad avere molto potere all’interno delle frontiere ottomane. Machiavelli riassume così la situazione nel Principe: «[…] Simile è il Regno del Soldano, quale essendo tutto in mano de’ soldati, conviene che ancora lui, senza respetto de’ popoli, se gli mantenga amici». GRANGER / AGE FOTOSTOCK

giannizzeri, alla maniera di un’aristocrazia ereditaria, e ad arruolare nuove reclute interessate esclusivamente agli stipendi e ai privilegi fiscali. I giannizzeri crebbero enormemente in numero, fino a raggiungere le 135.000 unità all’inizio del XIX secolo. Quando nel XVIII secolo divenne evidente il declino militare dell’Impero ottomano, sempre più minacciato dalle potenze occidentali – in particolare da Austria e Russia –, in molti ne attribuirono la responsabilità ai giannizzeri. Fu per questo che, quando

salì al trono nel 1789, il sultano Selim III intraprese un ampio programma di riforme, il cosiddetto “nuovo ordinamento”, che prevedeva la creazione ex novo di un esercito con istruttori occidentali e uniformi in stile europeo, che sarebbe in gran parte andato a sostituire il vecchio corpo d’élite.

Il nuovo ordinamento I giannizzeri si opponevano ferocemente a qualsiasi innovazione che ne mettesse a repentaglio privilegi e potere. Pertanto, il nuovo esercito dovette svilupparsi praticamente in clandestinità fino a quando non fu pronto a entrare in azione. Tutto ciò

Nel XIX secolo i giannizzeri godevano di vari privilegi, ma erano inefficaci militarmente AGE FOTOSTOCK

ARMATURA DI UN GIANNIZZERO. MUSEO MILITARE, ISTANBUL.

non impedì che nel 1807 i giannizzeri si rendessero protagonisti di una violenta ribellione. Fecero irruzione nel palazzo del sultano insieme ad alcuni studenti di teologia e assassinarono 17 ufficiali del nuovo esercito, le cui teste furono poi esposte su delle lance. Il sultano, messo sotto accusa dal Gran Mufti – la massima autorità religiosa dell’Impero – fu destituito in favore di suo cugino Mustafa IV, che immediatamente abolì le riforme. Venuto a sapere che un governatore dei Balcani, Alemdar Mustafa Pascià, si stava dirigendo verso la capitale in soccorso al sultano deposto, Mustafa IV scagliò i giannizzeri contro il suo predecessore, che venne inseguito fino alle stanze private della madre, teoricamente inviolabili, dove fu assassinato. Quando Alemdar giunse al palazzo, Mustafa IV lo accolse gettandogli la testa di Selim. Malgrado ciò, nel 1808 Alemdar riuscì a ottenere l’appoggio del Gran Mufti per facilitare l’ascesa al trono del fratelSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

15


L’EVENTO STORICO

PIAZZA dell’At Meydanı,

FAI / ALBUM

antico ippodromo di Istanbul al centro della rivolta dei giannizzeri nel 1826.

lo minore di Mustafa IV, Mahmud II. Nominato gran visir, Alemdar decise di organizzare un nuovo esercito: i Sekban ı Jedid. Ma Alemdar trovò la morte in una nuova rivolta dei giannizzeri, che costrinse il sultano a sciogliere anche questo corpo. Rinvigoriti dai successi, negli anni successivi i giannizzeri imposero la propria legge a Costantinopoli [Istanbul]: si dedicarono all’estorsione

ai danni di commercianti, portarono il caos ovunque e si inimicarono così la popolazione. L’incapacità dimostrata nel soffocare l’insurrezione greca del 1821 non fece altro che aumentarne il discredito.

La reazione del sultano Fu così che, nel 1826, Mahmud II decise che era giunto il momento di eliminare

IL PASTO DEL VENERDÌ L’ALIMENTAZIONE per i giannizzieri era simbolo

di status e perciò avevano cariche come “preparatore di minestra”, “mastro cuoco”, “garzone nero”, “capo dei portatori d’acqua”. Ogni venerdì si serviva cibo delle cucine del sultano nel loro calderone, oggetto per loro sacro. IL SULTANO MAHMUD II (1808-1839).

AKG / ALBUM

16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

i giannizzeri, divenuti ormai un ostacolo sulla via della riforma dell’Impero. Tramite un decreto emanato solennemente in presenza di clerici e funzionari di primo piano, Mahmud II gli impose un nuovo e severo regolamento, informandoli inoltre dell’obbligo di sfilare davanti a lui in uniforme di stile europeo. Anche se in un primo momento i giannizzeri promisero di obbedire, ben presto si organizzarono per opporsi a quelle “messinscene da infedeli”. Il 14 giugno, tre giorni prima della parata prevista, espressero il proprio malcontento con il loro tradizionale gesto: rovesciarono i pentoloni con il rancio servito a palazzo e li gettarono in strada. Quindi imperversarono in bande per le vie della città, perseguitando chiunque capitasse a tiro. Provarono inutilmente ad assassinare il gran visir, senza riuscire a trovarlo. Inoltre,


L’inconfondibile uniforme

3 1

2

I GIANNIZZERI indossavano abiti pittoreschi, che li distinguevano dal resto delle truppe ottomane. I copricapi in particolare erano estremamente stravaganti: non per nulla si diceva che i giannizzeri conoscessero sessanta modi di legarsi un turbante.

8 9 5

Copricapo

7

Il börk 1 è adornato sulla fronte da un cucchiaio 2, simbolo di cameratismo, e da una piuma di struzzo 3.

Uniforme

4

Armi Le principali erano lo yatagan 7, arma bianca simbolo del reggimento, l’arco corto 8 e l’ascia 9. Le guardie di palazzo erano inoltre dotate di lance.

minacciarono di ridurre in schiavitù le mogli e i figli degli ulema [dotti musulmani di scienze religiose] e di vendere i bambini al prezzo di dieci piastre. A differenza di quanto avvenuto nel 1807, Mahmud II si era assicurato il sostegno degli ulema, della popolazione e del resto dell’esercito. Al grido di“vittoria o morte”, i pascià e gli ulema distribuirono armi agli studenti di teologia per affrontare i rivoltosi. Anche se i giannizzeri erano più di 20.000, la maggior parte di loro era priva di addestramento e di esperienza militare, e molti non erano neppure armati. Le eterogenee forze del sultano li circondarono nel piazzale dell’ippodromo (At Meydanı), tenendoli sotto tiro con i cannoni dalle alture circostanti. Il 16 giugno, Mahmud II issò la bandiera del profeta per radunare i suoi uomini e marciare contro i ribelli. Ignari del pericolo in cui ormai si trovavano, i giannizzeri inviarono al

BPK / SCALA, FIRENZE

ALAMY / ACI

Gli abiti sfoggiavano i colori del sultano 4 in segno di fedeltà. Caratteristici erano anche il caffetano abbottonato 5 e le calzature in pelle 6.

6

sultano una delegazione per chiedergli non solo l’esecuzione degli ufficiali riformisti ma anche il ritiro delle truppe lealiste. In tutta risposta Mahmud fece bombardare la caserma dove si erano radunati. I pochi che riuscirono a scappare alle fiamme non trovarono dove rifugiarsi. Molti furono uccisi nella piazza del mercato centrale da quella stessa popolazione, armata per l’occasione dal sultano, che avevano vessato per anni. Al termine della ribellione, solo a Costantinopoli erano morti diecimila giannizzeri.

prietà demolite o confiscate. Le rivolte dei giannizzeri nelle province furono schiacciate senza pietà. Quelli che cercavano di scappare erano facilmente individuati grazie al caratteristico abbigliamento. Nel corso di un mese tutte le unità giannizzere erano state sterminate. Il massacro non fu completo, ma i pochi sopravvissuti dovettero sforzarsi di mantenere un basso profilo per non essere riconosciuti. In mezzo a tanta ferocia ci fu però spazio anche per gesti di compassione. Così, alcuni giannizzeri si nascosero nelle cucine dei bagni della città di Costantinopoli, dove gli amici gli porLa celebrazione del massacro tavano da mangiare. Le canzoni degli Quell’avvenimento, che sarebbe passa- “uomini delle cucine” avrebbero rito alla storia come “incidente di buon cordato alle generazioni future i temauspicio”, segnò la fine della celebre pi gloriosi e la tragica fine di coloro che guardia militare ottomana. La folla, senza dubbio sono stati i più leggenaizzata dagli ulema, coprì di letame i dari guerrieri ottomani. calderoni e le insegne dei giannizzeri. Il corpo venne sciolto e le sue pro—Juan José Sánchez Arreseigor STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

17


V I TA Q U OT I D I A N A

L’olio, articolo multiuso per i romani

D

ue sono i liquidi particolarmente graditi al corpo umano: dentro il vino, fuori l’olio. Entrambi sono prodotti eccellenti degli alberi, ma l’olio è una necessità assoluta e l’uomo non ha sbagliato nel dedicare i suoi sforzi per ottenerlo». Non si allontanava dalla realtà Plinio il Vecchio quando scrisse queste parole nella sua Storia Naturale: l’olio d’oliva era un prodotto indispensabile nella vita quotidiana degli antichi romani, che lo adoperavano non solo come ingrediente culinario ma anche come combustibile per l’illuminazione e come unguento nelle terme. Non sorprende che intorno all’olio si sia sviluppata, sin dall’antichità, tutta un’industria di produzione, commercializzazione e trasporto. L’elaborazione dell’olio nell’Antica Roma aveva origini fenicie e greche, benché siano stati i romani a lanciarne una produzione in larga scala e a con-

vertirlo in un alimento consumato abitualmente da tutte le classi sociali. L’olio veniva ricavato nelle cosiddette villae, residenze di campagna dove veniva prodotto ciò che era necessario al sostentamento, per esempio i cereali e il vino.

Produzione e categorie

Dopo la fase della raccolta, le olive si immagazzinavano nel tabulatum, una stanza dal pavimento impermeabilizzato e lievemente inclinato sul quale venivano depositate affinché rilasciassero il cosiddetto morchione. FRANTOIO nel Nord Africa. Quest’ultimo era un liquido scuro e Lo spazio centrale, il maleodorante che, come racconta Plicosiddetto torcularium, nio, veniva impiegato come insetticida, disponeva di presse per la lavorazione. erbicida e fungicida. Il passo successivo era la macinazione. I diversi meccanismi adoperati tritavano le olive senza romperne il nocciolo, poiché si pensava che comune era il trapetum. Si trattava di quest’ultimo desse un cattivo sapore un gran mulino composto da una zona all’olio. Il sistema di macinazione più fissa denominata mortarium e da due pietre semisferiche, chiamate orbis, che due uomini, a turno, facevano girare sul mortarium pressando orizzontalmente. In tal modo si ricavava un impasto che, in seguito, veniva sottoposto alla LE OLIVE erano un alimento molto diffuso pigiatura in una camera nota come nell’Antica Roma. Nel suo De agricultura, torcularium. In questo spazio si trovava Catone il Vecchio suggeriva ai proprietari il torchio (anch’esso battezzato, per terrieri di conservare quelle che cadevano associazione, torcularium), un comspontaneamente dall’albero e di usarle per plesso meccanismo capace di sottonutrire gli schiavi. porre l’impasto a una forte pressione. RACCOLTA DELLE OLIVE. MUSEO ARCHEOLOGICO, CÓRDOBA. L’olio così ricavato veniva filtrato in grandi recipienti globulari di ceramica

DIETA DELLE OLIVE

PRISMA / ALBUM

18 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ACQUERELLO: JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

Nell’Antica Roma, l’olio di oliva si utilizzava per condire i piatti, illuminare le case o prendersi cura della pelle alle terme


chiamati dolia, che di solito venivano parzialmente sotterrati. Infine si procedeva all’immagazzinamento del tutto in anfore situate nella cosiddetta cella olearia. A seconda della qualità, l’olio si divideva in tre tipi. L’oleum omphacium, il più pregiato, veniva ricavato dalle olive ancora verdi e si elaborava a settembre. Era un prodotto destinato principalmente ai sacrifici religiosi e alla fabbricazione di profumi che, secoli prima dell’avvento dell’alcol, adoperavano come base l’olio. Per usare le parole di Plinio, «il migliore [olio] fra tutti lo si ricava dall’oliva

Oli con denominazione di origine LA PROVINCIA BETICA, ovvero l’attuale Andalusia, si trasformò durante l’Alto Impero romano nel più importante centro di produzione di olio. Come ben sottolineò Plinio, soltanto l’olio proveniente dall’Istria e quello originario della Campania

erano in grado di superare qualitativamente l’olio andaluso. Dalle città della Betica l’olio veniva esportato in tutto l’Impero per rifornire l’esercito e la stessa Roma. A partire da Augusto, l’imperatore iniziò a controllare la produzione dell’OLIO BETICO, stabilendone anche il prezzo di

mercato. Questo commercio si sviluppò insieme al traffico del PESCE SALATO, che contava, nella zona andalusa, su di un importante centro di produzione. Durante il Basso Impero, anche l’Africa divenne un centro importante di produzione, in competizione con la provincia Betica.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

19


V I TA Q U OT I D I A N A

ANFORE SPECIALI

DUE SCHIAVI manipolano una pressa per la frantumazione delle olive. Mosaico. III secolo. Museo di Saint-Romain-En-Laye.

e trasportare l’olio venivano usate delle anfore. Nella Betica si adoperava un tipo di anfora olearia chiamata Dressel 20 (come nell’immagine), caratterizzata da una forma globulare a collo corto, meno stilizzata rispetto a quella usata per vino e pesce salato. Nei pressi del Genil e del Guadalquivir ne è stato rinvenuto un centinaio.

PRISMA ARCHIVO

DEA / SCALA, FIRENZE

PER COMMERCIALIZZARE

verde che non ha ancora iniziato la fase della maturazione; questo ha un sapore eccellente. Quanto più l’oliva risulterà stagionata, tanto più denso e meno gradevole sarà il succo». L’oleum viride veniva elaborato a dicembre con olive che potevano variare dal verde al nero ed era un prodotto più leggero e fruttato. Per ultimo, l’oleum acerbum veniva fabbricato utilizzando olive che erano cadute in terra e, perciò, era qualitativamente inferiore. La categoria intermedia,

ovvero l’oleum viride, era il più utilizzato nella gastronomia e veniva catalogato a sua volta in tre varietà a seconda del livello di qualità: l’oleum flos, l’olio vergine ricavato dalla prima pigiatura e che potremmo paragonare al nostro extra-vergine; l’oleum sequens, di qualità inferiore dato che si otteneva dalla seconda e più intensa pigiatura, e l’oleum cibarium, il più comune dei tre, che si ricavava dalle successive pigiature.

Olio in tutti i piatti L’olio era un elemento fondamentale dell’alimentazione romana così come

Le antiche lucerne erano vuote e si riempivano di olio di bassa qualità che impregnava lo stoppino LUCERNA A FORMA DI MASCHERA COMICA. BRONZO. I SECOLO. MUSEO DI RABAT. DEA / ALBUM

oggi lo è per la “dieta mediterranea”. Apicio, nel suo celebre ricettario De re coquinaria, lo cita in più di trecento ricette. La cosa non sorprende, visto che si utilizzava sia per condire che per insaporire, cucinare e friggere. Inoltre, era un ingrediente essenziale nella preparazione delle salse; sebbene queste variassero a seconda del tipo di alimento che avrebbero dovuto accompagnare, tutte avevano in comune l’olio. Per esempio, per la carne bollita Apicio suggerisce una salsa bianca composta da «pepe, garum [salsa preparata con viscere fermentate di pesce], vino, ruta, cipolla, pinoli, vino aromatico, un poco di pane macerato per ispessire e olio». Inoltre, prima di servire un piatto a tavola, che fosse a base di pesce, carne, verdure o legumi, era comune bagnarlo con delle gocce d’olio, che veniva usato anche nell’ambito della pasticceria. Apicio tramanda la ricetta di un piatto che, dice, può essere impiegato come


Alla scoperta di un frantoio romano IL METODO DI ESTRAZIONE dell’olio di oliva era interamente manuale e comportava un enorme sforzo fisico.

In quest’illustrazione sono raffigurati i diversi sistemi di macinazione dell’oliva per ricavare l’olio. Era un lavoro riservato agli schiavi, che in certi casi venivano fiancheggiati da animali da soma. Mola olearia

ACQUERELLO: INKLINK MUSEI - SOVRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI FIRENZE

Prelum (torchio)

LOREMUSDS

Trapetum

dolce: «Tostare pinoli e noci sbucciate; amalgamare con miele, pepe, garum, latte, uova, un poco di vino puro e olio». Un’indizio dell’importanza dell’olio nella dieta romana è il fatto che Giulio Cesare lo incorporò all’annona, il rifornimento gratuito di grano che veniva consegnato all’esercito per il suo sostentamento. Da quel momento, la domanda crebbe in gran misura. La presenza di questo prodotto tra i soldati acquartierati nella frontiera settentrionale dell’Impero dimostra che anche le popolazioni del centro e del nord Europa l’avevano man mano incluso nella loro dieta.

d’olio di oliva di bassa qualità. Olio che impregnava uno stoppino di fibre vegetali, come il lino filato o il papiro, che in questo modo poteva rimanere acceso per molto tempo. E poi si utilizzava anche come unguento; ecco spiegata la frase di Plinio «il vino dentro e l’olio fuori». Coloro che praticavano esercizio fisico alle terme vi cospargevano il proprio corpo prima di allenarsi. In questo modo, proteggevano la pelle dal sole e, al tempo stesso, la idratavano. Dopo l’allenamento si pulivano il corpo con uno strigillo, strumento curvo di bronzo che eliminava lo strato di olio, polvere e sudore accumulato. Curiosamente, si trattava di una mescolanza Unguenti e profumi ricercata che i direttori delle palestre L’olio aveva anche altre utilità fonda- vendevano per fini curativi. Come spiementali nella vita quotidiana dei ro- ga Plinio, «è noto che i magistrati che mani. Da un lato, veniva impiegato co- ne erano a capo [della palestra] arrivame combustibile per l’illuminazione. rono a vendere le abrasioni dell’olio a I romani usavano lucerne fabbricate a ottantamila sesterzi». L’attrezzatura stampo e vuote che venivano riempite dello sportivo comprendeva, dunque,

uno o vari strigilli e un piccolo flacone, di bronzo o vetro, in cui veniva conservato l’olio. E non lo utilizzavano solo gli sportivi, ma veniva anche usato come idratante per il corpo e unguento per curare le ferite. In campo medico, lo si poteva utilizzare puro o come eccipiente: veniva prescritto per curare le ulcere, calmare le coliche o abbassare la febbre. Gli unguenta, tipo di olio profumato associato alla cosmetica e alla profumeria, si svilupparono nell’Antica Roma a partire dal II secolo a.C. Si trattava di preparati che non avevano come base unicamente l’olio di oliva, ma che potevano servirsi anche di altri tipi, come quello di mandorla, di alloro, di noci o di rose. Anche i defunti venivano cosparsi d’olio: è per questa ragione che i piccoli unguentari di vetro diventarono un oggetto tradizionale dei corredi funerari. —María José Noain STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

21


IL MONASTERO DI SAN BISHOI

La chiesa del monastero Rosso (Deir el-Ahmar) di Sohag ha affreschi eccezionali come questo che adorna l’abside, recentemente restaurato dall’Università di Filadelfia. IV secolo. PEDRO COSTA GOMES

22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


Tra Cristo e Osiride

I COPTI Dopo essere stati conquistati da Roma, gli egizi abbracciarono rapidamente il cristianesimo, senza per questo dimenticare le loro millenarie tradizioni faraoniche. Nacque così una nuova cultura, quella dei copti o cristiani d’Egitto, che si è conservata fino a noi

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

23


IL TEMPIO DI DENDERA

Nel V secolo, i cristiani copti costruirono una chiesa nel complesso dei templi di Dendera, nell’Alto Egitto. Nell’immagine, la sala ipostila del tempio di Hathor. SAN MARCO AD ALESSANDRIA

AKG / ALBUM

L

a sabbia copriva le sfingi e le statue degli antichi dèi. L’islam non era ancora approdato in Egitto e i minareti non si stagliavano ancora all’orizzonte. Tra la fine dell’Egitto faraonico e l’avvento degli arabi, per quasi settecento anni, dal I al VII secolo, la valle del Nilo fu cristiana. Durante questo periodo, l’Egitto fece parte dell’Impero romano e del bizantino, pertanto visse in pieno la diffusione del cristianesimo nel mondo mediterraneo. Ciò che resta di quell’epoca è una comunità, quella dei cristiani copti, che oggigiorno costituiscono una decima parte della popolazione del paese. Quando osser-

Al suo arrivo nella capitale egizia, san Marco guarì il calzolaio Aniano. Olio di G. Mansueti. XVI secolo. Galleria dell’Accademia, Venezia.

viamo le immagini di questo mondo copto, spesso ci dimentichiamo che siamo di fronte alla stessa cultura che inventò le piramidi. Il nostro immaginario collettivo ci induce a pensare che questi due mondi, il faraonico e il cristiano, siano irrimediabilmente discordi tra loro. Come se li separasse una muraglia. Eppure le loro genti parlavano la stessa lingua, nutrivano preoccupazioni simili e condividevano una serie di tradizioni religiose consolidate da una pratica millenaria. I devoti di Ra e quelli di Gesù erano uniti da una comune eredità ancestrale, dotata di un valore considerevole. Dunque, è ragionevole interpretare l’universo copto come un’emanazione logica e naturale del mondo che l’aveva preceduto e non come una rottura rispetto a

BRIDGEMAN / ACI

C R O N O LO G I A

EREDI DELL’EGITTO FARAONICO

50

356

Ai tempi dell’imperatore Nerone viene fondata la prima comunità cristiana d’Egitto nella città di Alessandria.

Poco dopo la morte dell’asceta sant’Antonio viene innalzato nel deserto il primo monastero copto, che porta il suo nome.

NELLE TOMBE COPTE SONO STATI RITROVATI TESSUTI IN PERFETTE CONDIZIONI, COME QUESTA TUNICA INFANTILE. MUSEO NAZIONALE, RAVENNA.


394

451

535-537

640

A questa data risale l’ultima iscrizione geroglifica egizia conosciuta, incisa nel tempio di Iside a File.

Dopo il concilio di Calcedonia si verifica la frattura tra la chiesa copta e il resto delle chiese cristiane.

L’imperatore Giustiniano ordina la chiusura del tempio di Iside a File, ultimo luogo di culto degli dèi egizi.

L’Egitto è conquistato da un esercito arabo al comando di Amr ibn al-As, che si era già impadronito di Gerusalemme.

ANDREY POPOV / GETTY IMAGES

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

25


LA FUGA IN EGITTO. AFFRESCO DIPINTO DA GIOTTO NELLA CAPELLA DEGLI SCROVEGNI, A PADOVA, TRA IL 1304 E IL 1306.

Due miti di dèi-bambini UNO DEI PILASTRI della tradizione cristiana

copta è l’episodio della fuga della Sacra Famiglia in Egitto, narrato nel Vangelo di san Matteo. La storia presenta un parallelismo significativo con la religione faraonica. Così come Gesù si nasconde in Egitto per sfuggire alla furia di Erode, Horus viene nascosto da sua madre nel Delta, tra i papiri, per sottrarlo alla crudeltà di suo zio Set, che ha ucciso suo padre Osiride. LE DUE TRADIZIONI si incontrano a El-Ma-

tareya (toponimo che probabilmente deriva dalla parola latina mater, “madre”). In questo luogo, a circa 15 chilometri a nord del Cairo, si può ancora osservare l’albero sotto il quale, secondo la tradizione copta, la Vergine Maria allattò Gesù durante la fuga. L’albero è un sicomoro, simbolo sacro relazionato con la dea Iside, madre di Horus. A. QUATTRONE / ALBUM

quel passato. Possiamo scorgere una prova di questa continuità nello stesso termine“copto”. Quest’ultimo deriva dal vocabolo arabo qibt, con cui i musulmani che conquistarono l’Egitto a metà del VII secolo si riferivano ai nativi del paese. Tuttavia, il termine arabo non era inedito: proveniva infatti da Aigyptos, nome che i greci davano all’Egitto sin dall’epoca micenea, nel II millennio a.C. A sua volta Aigyptos discendeva da Hwtkaptah, in egiziano antico nome di un importante tempio di Menfi consacrato a Ptah, la divinità che crea il mondo attribuendogli nome.

ERICH LESSING / ALBUM

I primi cristiani La cristianizzazione dell’Egitto fu molto rapida. La tradizione considera san Marco come l’artefice, nel I secolo, delle prime comunità cristiane. Ha senso che queste siano sorte ad Alessandria, dato questa che era la città più cosmopolita della costa mediterranea e lì si concentrava sia una cospicua popolazione di lingua e cultura greche che un’importante comunità ebraica. Da Alessandria, LA DEA ISIDE, INCORONATA, ALLATTA SUO FIGLIO HORUS. XXVI DINASTIA. MUSEO DI STORIA DELL’ ARTE, VIENNA.

la nuova religione si diffuse rapidamente attraverso la valle del Nilo. Circa cinquant’anni dopo l’arrivo dell’evangelista san Marco ad Alessandria, il cristianesimo aveva raggiunto le lontane terre del sud. Lì sono stati ritrovati testi cristiani – come il Vangelo di Giovanni – redatti nella lingua locale, ovvero in copto. Pochi anni dopo, agli inizi del II secolo, sembra che la nuova religione si fosse ormai diffusa nelle zone rurali. Visto che la popolazione contadina generalmente mostra più resistenza alla novità e al cambiamento rispetto a quella urbana, la sua accettazione del cristianesimo dimostra chiaramente che questa religione non veniva percepita come qualcosa di distante o esterno, bensì come un sistema di credenze che si riallacciava direttamente al mondo millenario anteriore. Il cristianesimo coincideva con l’antica religione egizia molto di più di quanto non lo facesse con le credenze dei greci e dei romani. I molteplici dèi dell’antico Egitto altro non erano che aspetti differenti della stessa divinità. Ciò spiegava perché, per esempio, l’idea cristiana della Trinità, secondo cui Dio sarebbe allo stesso tempo una e tre persone (Dio,


SCALA, FIRENZE

TRA L’EGIZIO E IL GRECO. Derivata dall’egizio antico, a partire dal I secolo d.C. la lingua copta adottò un alfabeto composto da lettere greche e da qualche carattere proveniente dal demotico, una semplificazione della scrittura geroglifica. Nell’immagine, codice copto con un’omelia sull’arcangelo Raffaele. X secolo. Museo del Louvre, Parigi.


MONASTERO DI SAN MACARIO. SITUATO NEL WADI NATRUM, QUESTO CENOBIO COPTO È CONSACRATO A UN SANTO EREMITA CHE VISSE NEL IV SECOLO.

PEDRO COSTA GOMES

Gesù Cristo e lo Spirito Santo), si adattasse perfettamente alla concezione religiosa degli egizi. Per questi ultimi, infatti, il numero tre era simbolo del plurale. Viene da lì la forma caratteristica della croce copta, i cui bracci si allargano in tre punte in riferimento alla Santissima Trinità.

SCALA, FIRENZE

Gesù Cristo e Osiride Per il popolo umile che risiedeva in campagna, la corrispondenza più evidente tra l’antica religione egizia e il cristianesimo si manifestava nelle figure sacre e nelle idee di morte e di salvezza. In effetti, la storia di Gesù Cristo, così come viene narrata nei Vangeli, presenta evidenti parallelismi con quella di Horus, Iside e Osiride. Secondo la nuova religione, Gesù era nato fisicamente da una donna, Maria, che l’aveva concepito in circostanze miracolose, proteggendolo e nutrendolo durante la sua infanzia. Maria viene spesso rappresentata con suo figlio in grembo, che sia sosteLA CROCE E L’ANKH. STELE DEL V-VI SECOLO. CROCE ISPIRATA AL SIMBOLO DELL’ANKH. MUSEO COPTO, IL CAIRO.

nendolo o allattandolo. Da grande, Gesù fece riferimenti costanti nei suoi insegnamenti a suo padre, ovvero a Dio padre. Questo figlio di Dio aveva portato una nuova era nel mondo: soffrì una morte violenta (la passione), e la sua resurrezione assicurò ai suoi seguaci la vittoria sulla morte. Quella passione viene celebrata dai fedeli mediante l’ingestione del pane e del vino nei quali si era trasformato il corpo sacrificato di Gesù. Nell’antica religione egizia, Horus era nato dalla dea Iside, che l’aveva concepito in modo miracoloso. In effetti, lo sposo di Iside, Osiride, era stato assassinato e fatto a pezzi. Iside aveva però recuperato e ricomposto i suoi frammenti, gli aveva infuso vita e si era unita al suo corpo resuscitato per concepire Horus. Nel mito egizio, perciò, è il padre e non il figlio a sperimentare la passione, la morte e la resurrezione. Questo però non comporta un cambiamento funzionale della storia. La religione funeraria egizia si basa sul superamento della morte, un regalo che Horus concede ai suoi fedeli per poterli inviare nel regno di suo padre Osiride, il signore dell’aldilà. Per affrontare il loro viaggio finale i fedeli si preparano mediante rituali, sepoltura e corredi funerari, portando con sé tutto il necessario per la vita nell’oltretomba, compresi i testi che gli permetteranno di schivare qualsiasi minaccia. In tal modo, nella religione egizia, proprio come in quella cristiana, alla fine è il figlio che salva il credente dalla morte e rende possibile la resurrezione. Per gli antichi egizi, Osiride si identifica con il pane e con la birra, poiché il suo corpo dopo la morte si trasforma in un alimento. Allo stesso modo in cui il suo corpo è stato fatto a pezzi per poi essere ricomposto e poter così concepire suo figlio Horus, il grano viene macinato (ovvero fatto a pezzi) per tramutarsi in alimenti (pane e birra). Questi ultimi verranno ingeriti dal fedele mediante un rituale che è di gran lunga anteriore alla versione delineata dalla religione di Gesù, ma che sicuramente presenta una somiglianza evidente con l’eucaristia cristiana.

Il mistero della croce Come si è visto, sia nella tradizione egizia che in quella cristiana il superamento della morte conduce alla gioia di un’ulteriore vita. I copti scelsero l’antico segno geroglifico ankh, , che si usava per scrivere la parola


LA TRADIZIONE EGIZIA

BRIDGEMAN / ACI

Varie tele elaborate dai copti dimostrano l’influenza dell’antica religione egizia negli ornamenti, come nel caso di questo sudario in cui una giovane sostiene un simbolo ankh. III-IV secolo. Museo del Louvre, Parigi.


ALCUNI DEI MAUSOLEI CHE SI ERGONO NELLA NECROPOLI COPTA DI AL-BAGAWAT, NELL’OASI DI EL-KHARGA, NEL DESERTO OCCIDENTALE.

Il giuramento di san Scenute SAN SCENUTE (348-466 d.C), uno dei pa-

dri della chiesa copta, istituì il testamento che i nuovi cristiani dovevano pronunciare: «In nessuna maniera commetterò atti impuri, non ruberò, non dirò falsa testimonianza, non mentirò, non compirò segretamente azioni ingannevoli, non violerò i miei giuramenti». In caso contrario, Dio avrebbe distrutto le loro anime e il loro corpo all’inferno. TROVIAMO un corrispondente di que-

sta formula nel Libro dei Morti. La cosiddetta “confessione negativa” stabilisce che il defunto deve dichiarare davanti a Osiride: «Non ho peccato […], non ho rubato […], non ho mentito […], non ho commesso atti impuri». Se mente, il suo corpo e la sua anima verranno divorati da un essere mostruoso, Ammit. RENÉ MATTES / GTRES

“vita” e il verbo “vivere”, per rappresentare quest’idea. L’incorporazione di tratti umani alla struttura del segno rende più evidente l’identificazione del fedele con quest’idea. Nella tradizione copta vennero incise una serie di stele funerarie in cui il segno ankh, utilizzato dalla religione egizia ancestrale, adotta una forma inequivocabilmente umana: il nodo superiore e i bracci della croce diventano infatti la testa e le braccia del defunto. L’idea cristiana secondo cui il defunto vivrà oltre la morte diventa evidente grazie all’antica espressione egizia che significa“vita”. In questo modo, proprio nel destino del defunto dopo la morte si manifesta una corrispondenza di idee tra le due tradizioni religiose. AKG / ALBUM

Una tradizione continua Frequentemente, nelle stele funerarie il defunto viene raffigurato mentre, con un gesto peculiare, leva le braccia su entrambi i lati del corpo. STELE COPTA SCOPERTA IN UNA TOMBA DELL’OASI DI EL FAYUM. 400 D.C. MUSEO COPTO, IL CAIRO. 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Quest’azione sembra avere un chiaro legame con i due bracci sollevati del geroglifico ka, , che nella millenaria lingua egizia si usava per far riferimento al respiro vitale del defunto. Un respiro al quale i vivi rendevano omaggio e dispensavano offerte. Questo gesto così singolare, utilizzato in contesti così simili, rende patente che, su alcuni punti fondamentali – come può essere il tema della morte –, la somiglianza tra le credenze egizia e cristiana fu una delle basi per la rapida diffusione del cristianesimo nella valle del Nilo. Al giorno d’oggi, i resti materiali della cultura copta ci appaiono assolutamente distanti dalla tradizione faraonica. Ciò si deve soprattutto al modo in cui i copti abbandonarono le consuetudini artistiche specifiche dell’antico Egitto. Tuttavia, dobbiamo tener conto che per gli stessi egizi la tradizione copta presenta una linea di continuità col proprio passato. E non c’è da stupirsi, dato che è veramente difficile sradicare delle tradizioni che sono ancorate a millenni di storia. JOSÉ R. PÉREZ-ACCINO UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID


DEA / ALBUM

MONASTERO DI APA APOLLO. Una vergine incoronata con in grembo il bambino

Gesù e circondata dagli apostoli adorna la parte inferiore dell’abside di questo monastero a Bawit, a circa 350 chilometri a sud del Cairo. VI secolo.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

31


Questo rilievo che raffigura il mito della nascita della dea Afrodite da una conchiglia marina, affiancata da due sirene, denota un’ ispirazione ellenistica. V-VI secolo. Museo del Louvre, Parigi.

4 Afrodite emerge dal mare

Appaiono il pesce, che evoca Cristo, un quadrupede (forse una gazzella) e un pavone che picchietta una pianta, simbolo di fertilità e di connotazione eucaristica. Luxor Museum.

3 Stele con animali

La statua, del IV secolo, riproduce un classico motivo cristiano: il tema di Cristo nelle vesti del buon pastore che salva le pecorelle smarrite. Museo Copto. Il Cairo.

2 Il Buon Pastore

Gli artisti copti realizzarono opere di svariato tipo, da sculture e affreschi fino a magnifiche tele. L’ispirazione cristiana di queste creazioni non toglie che in molte di esse sia presente il segno della cultura greca, dominante ad Alessandria e nell’Egitto dei primi cristiani.

LA SINTESI DELL’ARTE COPTA 2

Questa tela è fatta di lana tinta e lino. Al centro è ricamato un motivo pagano: l’Autunno, con l’aggiunta di un cerchio di luce cristiano che cinge la testa. IV secolo. Galleria d’Arte Withworth, Manchester.

1 L’Autunno

1

3


1. BRIDGEMAN / ACI. 2. JOSSE / SCALA, FIRENZE. 3. BRIDGEMAN / ACI. 4. DEA / ALBUM. 5. BRIDGEMAN / ACI.

5

4

I copti eccelsero nella lavorazione dei tessuti ricamati, come questo frammento di lino e lana che riproduce la storia biblica di Giona, inghiottito da una balena. V secolo. Museo del Louvre, Parigi.

5 Giona e la balena


L’ALBERO DELLA VITA

Questo rilievo di alabastro proveniente dalla sala del trono del palazzo reale di Assurnasirpal II a Nimrud raffigura il monarca assiro di fronte a un albero sacro, simbolo di abbondanza e prosperità. IX Secolo a.C. British Museum, Londra. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

l’origine di un mito universale

IL GIARDINO La Genesi e altri miti mesopotamici narrano che l’uomo fu creato in una pacifica


DELL’EDEN oasi in cui non esisteva la morte


C R O N O LO G I A

Avatar del mito della creazione 2500-2000 a.C

Nella versione canonica dell’Epopea di Gilgamesh si parla del Dilmun, giardino divino lungo il quale scorre un fiume d’acqua dolce.

XXII-XXI secolo a.C.

Poema di Enki e Ninhursag, la più antica testimonianza letteraria in cui si parla del Dilmun come un luogo puro, senza malattie né morte.

XIV secolo a.C.

Appare il primo testo mesopotamico contenente il Mito di Adapa, leggenda in cui si menziona il divieto divino di ingerire un alimento.

X-IX secolo a.C.

Nel regno di Giuda, un autore geovista redige, per primo, il racconto del Paradiso, che in seguito verrà inserito nel libro della Genesi.

VI-V secolo a.C.

Deportazione a Babilonia degli ebrei. In quegli anni si conclude la stesura della Genesi, che contiene il mito del Giardino dell’Eden.

130 a.C. circa

Stesura del Libro dei Giubilei (o Piccola Genesi), che sviluppa la questione del Paradiso.

382 d.C.

San Girolamo traduce in latino la bibbia ebraica. Si origina il malinteso sul frutto proibito. SIGILLO CILINDRICO RAFFIGURANTE L’EPOPEA DI GILGAMESH. MUSEI STATALI, BERLINO.

I FIUMI DEL PARADISO

L’Eufrate (nella foto in alto) è considerato uno dei quattro fiumi leggendari che bagnavano il paradiso, insieme all’Hiddequel (il Tigri), al Gihon (il Nilo) e al Pison. Quest’ultimo non è mai stato localizzato.

C

acciati definitivamente dalla sicurezza del Paradiso a causa del loro peccato, gli umani hanno sempre rievocato la storia della loro prima dimora con un miscuglio di nostalgia e di timore reverenziale. Ma è esistito davvero il Giardino dell’Eden? Dove si trovava? Cogliere un frutto da un albero fu davvero così grave da comportare un castigo per tutta l’eternità? La Genesi, primo libro della Bibbia, descrive l’origine del mondo. Nel secondo e nel terzo capitolo narra che Dio, dopo aver creato l’uomo, piantò un giardino nell’Eden. Era un terreno irrigato da quattro fiumi in cui germogliavano piante d’ogni specie che rendevano la vita amena e piacevole. L’essere umano aveva a sua disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno per il suo sostentamento. La Bibbia afferma che Dio piantò il giardino «nell’Eden, BPK / SCALA, FIRENZE


CORNELL UNIVERSITY - PJ MODE COLLECTION OF PERSUASIVE CARTOGRAPHY

MAPPA DEL PARADISO, DI PIERRE MORTIER (1700), BASATO SUL LIBRO DELL’ARCIVESCOVO HUET.

GEOGRAFIA DEL PARADISO

verso Oriente». È probabile che la parola Eden venga dal termine assiro edinu, che indicava il paese che si estendeva dalla Babilonia meridionale fino al golfo Persico. Dal punto di vista dell’autore israelita della Genesi, questa terra, in effetti, sarebbe situata «verso Oriente».

Dov’era il Giardino dell’Eden? Nell’Eden sorgeva un fiume in grado di irrorare l’intero giardino e che si divideva in quattro bracci. L’autore della Genesi riferisce i nomi di questi quattro corsi d’acqua e delle terre attraverso cui fluivano. Il primo si chiamava Pison e circondava la regione di Avila, una zona che, a partire dal I secolo d.C., la maggior parte degli autori identifica con l’attuale India; il secondo, il Gihon, delimitava le terre di Kush (Etiopia) e si può far coincidere con il Nilo; il terzo, l’Hiddequel, ovvero il Tigri, sgorgava lungo la terra di Assur e il quarto, il Ferat, corrisponderebbe all’Eufrate. La descrizione non farebbe altro che riferirsi ai centri fluviali intorno ai quali nacquero le grandi civiltà a partire dal IV millennio a.C.

sua ubicazione coincidesse con l’estremità orientale del mondo. Nel XVII secolo, i dotti cattolici cercarono di essere ancora più precisi. Nel 1694 Pierre-Daniel Huet, arcivescovo e membro dell’Accademia Francese, pubblicò il Trattato della Situazione del Paradiso terrestre, che situava il paradiso in Arabia Saudita.

Tuttavia, c’è anche un’altra possibile interpretazione con un significato geografico più concreto. Seguendo la stessa traccia etimologica assira, L’Eden sarebbe l’area attorno a Babilonia, una regione fertile e bagnata da numerose correnti che nell’antichità era conosciuta con il nome di Kar Duniash, o “Giardino [del dio] Duniash”. L’unico fiume che attraversava questa zona era l’Eufrate, che sarebbe quindi il fiume che secondo la Genesi irrigava il giardino; gli altri fiumi citati sarebbero affluenti. Questa localizzazione più accurata dipenderebbe dal fatto che la Genesi fu scritta nel VI secolo a.C. da ebrei esiliati a Babilonia. Questi si sarebbero appropriati del tema del giardino dalla mitologia del loro paese di accoglienza adattandolo, in seguito, alla loro specifica tradizione. Effettivamente gli ebrei non furono né gli unici né i primi a sviluppare il mito di un giardino primordiale. Per esempio, nella celebre Epopea di Gilgamesh, scritta intorno al 2500 a.C., compare il per-

LA CULTURA DEL GOLFO

La leggendaria Dilmun dei testi mesopotamici era situata nelle isole del Golfo Persico. Lì fiorì una civiltà in grado di fabbricare oggetti elegantissimi, come questa coppa. 2000 a. C.

AKG / ALBUM

ALAMY / ACI

DURANTE IL MEDIOEVO si credeva che l’Eden fosse reale e che la


sonaggio di Utnapishtim, l’unico umano che gli dei salvarono dal diluvio universale e di cui si dice che viveva alla “confluenza dei fiumi”. Questo luogo viene descritto come un giardino colmo di diverse specie di alberi ricchi di frutti e gemme preziose dove, tra le altre cose, non esiste la morte. Allo stesso modo, il leggendario poema sumero Enki e Ninhursag, composto intorno al 2000 a.C., parla di una terra pura, immacolata e luminosa nella quale non si conosce la morte. Una terra chiamata Dilmun, che si trasforma in un giardino divino grazie alla corrente d’acqua dolce che gli dei fanno zampillare dal suo ventre. Perciò, sia la dimora di Utnapishtim che la terra di Dilmun somigliano all’Eden biblico perché simboleggiano l’idea di una regione bagnata dai fiumi, feconda e in cui si può vivere liberi da ogni preoccupazione.

I primi umani Gli studiosi hanno dimostrato che nella Genesi si mescolano due racconti antichissimi che il redattore biblico combinò, e addirittura 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL PRIMO ALBERO DELL’EDEN

Il sigillo cilindrico qui sopra potrebbe essere la prima raffigurazione che si conosce dell’albero della vita. Rappresenta un uomo e una donna seduti a entrambi i lati di un albero e in procinto di cogliere un frutto, mentre dietro di loro si solleva un serpente. XXII secolo a.C. British Museum, Londra.

amalgamò, al fine di armonizzarli in uno solo. Si spiegherebbe in questo modo la doppia immagine con cui viene proposta la creazione dei primi umani. Mentre nel primo capitolo leggiamo che Dio «li creò maschio e femmina», nel successivo si dice che Dio plasmò Adamo dalla polvere, poi creò il Paradiso e solo dopo, partendo da una costola di Adamo, foggiò Eva. Nella storia di Adamo ed Eva, così come viene narrata nella Genesi, è evidente il riferimento a un racconto remoto di origine mesopotamica. A differenza dell’Eden biblico, la terra di Dilmun non è abitata da uomini, bensì da dei; allo stesso tempo presenta caratteristiche che rievocano il resoconto della Genesi con i suoi alberi rigogliosi, le fonti d’acqua che sgorgano nel giardino o la sua localizzazione a Oriente. Il testo sumero racconta anche che il dio Enki mangiò piante proibite e che quando ebbe problemi a una costola venne curato dalla dea Nin-ti, che significa “signora della costola”. Il termine sumero –ti può anche equivalere a “far vivere” e quindi il nome potrebbe anche es-


AKG / ALBUM

CULTO NELLA SINAGOGA DI BARCELLONA. LIBRO DEL HAGGADAH. BRITISH MUSEUM.

SEFARAD, IL PARADISO

ser tradotto come “la signora che fa vivere”. Curiosamente anche il nome di Eva deriva da una radice verbale che significa “vivere”.

Mangiare l’alimento proibito Secondo la Bibbia, Dio consegnò il Giardino dell’Eden ad Adamo ed Eva affinché ne godessero e si nutrissero con quello che l’oasi offriva e gli vietò unicamente una cosa: di mangiare i frutti dell’albero situato al centro del giardino. Fino a quel momento il bene e il male mantenevano esistenze separate e indipendenti; il male, infatti, era solo una possibilità e non una realtà nell’ambito della natura umana. L’albero permetteva agli esseri umani il corretto esercizio del libero arbitrio. Tuttavia, il testo della Genesi rivela un tono pessimista dato che conoscere tutte le cose (che è ciò che comporta l’espressione ebraica del bene e del male) presuppone una vita di sofferenze che si conclude inesorabilmente con la morte. Molti elementi di questa narrazione si possono trovare anche in un racconto me-

questo fosse il miglior luogo del mondo in cui vivere, un autentico paradiso in terra. Utilizzando la popolare tecnica cabalistica della temurah, modificarono il termine Sefarad (come avevano battezzato la Spagna) per ricavare la parola pardés (paradiso). In tal modo, equipararono la loro patria col Paradiso biblico.

sopotamico ancora più antico. La Leggenda di Adapa narra la storia del primo uomo, figlio del dio Ea e descritto come mortale, eppure saggio. Un giorno, mentre sta pescando, Adapa spezza le ali del vento del sud impedendo così alla corrente di soffiare per sette giorni. Quando viene chiamato a dare spiegazioni davanti all’assemblea degli dei, suo padre gli suggerisce di non accettare nulla di ciò che gli possano offrire, visto che potrebbe trattarsi di cibo o bevanda mortale. In realtà, gli offrono il pane e l’acqua della vita che gli possono concedere l’immortalità. Tuttavia, seguendo i consigli di suo padre, Adapa rifiuta e ritorna sulla

Il nome di Eva, in ebraico, deriva da una radice verbale che significa vivere LA DEA ISHTAR. STATUINA DI ALABASTRO. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

GLI EBREI che vivevano nella Spagna medievale ritenevano che



IL GIARDINO DELL’EDEN

In quest’olio su tela di Lucas Cranach il Vecchio il Paradiso è raffigurato come un rigoglioso giardino pieno di animali, insieme ai quali sono riprodotte alcune scene della storia di Adamo ed Eva. Da destra a sinistra: la creazione di Eva dalla costola di Adamo, la coppia prova a nascondere la propria nudità dietro un arbusto, Dio gli proibisce di utilizzare l’albero della conoscenza per nutrirsi, Eva offre una mela ad Adamo e l’arcangelo Michele caccia il primo uomo e la prima donna dal Paradiso. 1536. Pinacoteca dei Maestri Antichi, Dresda. ERICH LESSING / ALBUM


GILGAMESH TROVA LA PIANTA DELL’ETERNA GIOVINEZZA MA UN SERPENTE, IN AGGUATO, TENTA DI RUBARLA. INCISO DI ZABELLE C. BOYAJIAN. GILGAMESH 1924.

MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

L’EPOPEA DI GILGAMESH contiene un epi-

sodio in cui appaiono vicende simili a quelle narrate nella Genesi: la pianta che dona l’immortalità a chi la assaggia, il serpente, il diluvio… Dopo la morte del suo amico Enkidu, GILGAMESH, re di Uruk, sprofonda nella disperazione. Decide allora d’intraprendere un viaggio alla ricerca di Utnapishtim, suo antenato che era stato salvato dagli dei dal diluvio e aveva ricevuto il dono dell’immortalità. Dopo aver superato pericoli d’ogni sorta, Gilgamesh giunge alla dimora di Utnapishtim, sulle rive di un grande lago. Sollecitato a rivelargli il segreto dell’immortalità e dopo essersi rifiutato una prima volta,

42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Utnapishtim, seguendo i consigli di sua moglie, decide di aiutare Gilgamesh. Riferisce quindi all’eroe che il talismano dell’immortalità altro non è se non una pianta che cresce nel fondo del lago e che è dotata di spine che lacerano chiunque provi ad afferrarla. LUNGI DALL’INTIMORIRSI e dopo aver legato delle pietre ai suoi piedi, Gilgamesh si immerge nel lago, dal quale riemerge con la pianta magica. «La porterò a Uruk e la darò da mangiare ai vecchi, che torneranno giovani e forti. Io stesso ne mangerò e riavrò tutta la perduta gioventù». TUT-

PESO DI STEATITE CON RILIEVO CHE MOSTRA GILGAMESH IN LOTTA COI SERPENTI.

DEA / ALBUM

Gilgamesh e la pianta dell’immortalità

TAVIA, GILGAMESH si addormenta sulla

riva del lago e un serpente gli si avvicina e divora la pianta. Ormai persa la possibilità di diventare immortale, il re ritorna in patria arrendendosi al suo inesorabile epilogo.


QUAL’ERA IL FRUTTO PROIBITO?

N BPK / SCALA, FIRENZE

ella traduzione latina della Bibbia realizzata da san Girolamo, “l’albero della conoscenza del bene e del male” fu interpretato come lignum scientiae boni et mali. In latino, tuttavia, mali può significare sia “male” che “mela” o “melo”: questo rafforzò l’idea che l’albero della conoscenza fosse un melo. E’ probabile che in questo abbia contribuito anche il mito greco della dea Eris che, lanciando il “pomo della discordia” al matrimonio di Teti e Peleo, provocò la guerra di Troia. I traduttori ebrei, basandosi su assonanze fonetiche o concettuali, hanno suggerito che il frutto in questione fosse il grano, il cedro o l’uva. Il fico rimane però il principale candidato: il suo albero, infatti, è l’unico citato nella Genesi, quando Adamo ed Eva nascondono la propria nudità con le sue foglie.

terra destinato a conservare la sua condizione mortale. E’ evidente che tanto la Genesi quanto la Leggenda di Adapa comparano il divieto di ingerire alimenti e individuano la morte come castigo. Nondimeno, mentre la Genesi pone la conoscenza e la morte sullo stesso piatto della bilancia, per la Leggenda di Adapa la saggezza è una grazia, mentre la morte una punizione.

Il serpente tentatore Il serpente che tenta Eva affinché assaggi il frutto dell’albero proibito è uno dei personaggi che nel corso del tempo ha avuto più fortuna nell’immaginario collettivo. La Genesi lo descrive come «il più astuto tra gli animali», e il suo carattere silenzioso e il suo morso mortale l’hanno trasformato da tempo immemore in nemico della specie umana. Pochi animali riescono a rappresentare meglio il pericolo, la minaccia dissimulata e le paure che quotidianamente affrontiamo nella nostra vita. Tuttavia, nelle culture dell’antico Vicino Oriente, il serpente rappresentava anche l’immortalità,

data la sua capacità di cambiar pelle. Inoltre, il fatto di strisciare lo metteva in contatto diretto con la terra, intesa come divinità-madre. Infine, il fatto di non avere palpebre gli dava uno sguardo ambiguo, oscuro e penetrante, cosa che si tendeva a relazionare con la saggezza. La sua identificazione con Satana o Lucifero è successiva, dato che il principio supremo del male era qualcosa di sconosciuto per gli autori della Genesi. In ogni caso, la trappola del serpente sortisce l’effetto desiderato e origina il castigo divino nei confronti di Adamo e di Eva. A partire da quel momento, il Paradiso si trasforma per l’umanità in un luogo mitico al quale aspirare a tornare per poter recuperare lo stato originario di comunione con Dio. Impresa ardua perché, stando alla visione proposta dalla Genesi e dagli antichi testi mesopotamici, a volte è proprio il naturale impulso umano verso la scoperta e la conoscenza ad allontanarci sempre più dal Paradiso.

EVA E LA MELA

In quest’olio su tela Lucas Cranach il Vecchio raffigura Eva come una donna perfida in procinto di offrire la mela ad Adamo sotto lo sguardo vigile del serpente. Olio su tela di Lucas Cranach il Vecchio. XVI secolo. Collezioni d’Arte Statali di Dresda.

JAVIER ALONSO LÓPEZ BIBLISTA. PROFESSORE DELLA IE UNIVERSITY

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

43


ADAMO ED EVA NEL PARADISO La narrazione biblica sulla caduta di Adamo ed Eva e sulla successiva cacciata dal Paradiso fu utilizzata dalle due religioni monoteiste derivate dall’ebraismo: la cristiana e la islamica. Nel Corano, tuttavia, la storia assume sfumature peculiari. Il nome Il Corano chiama il Paradiso yanna (giardino), adn (eden) o firdaus (paradiso). I fiumi dell’Eden sono il Kafur, l’al-Kaúzar, il Salsabil e il Tasnim. L’albero Dato che il Corano non specifica il tipo di albero, si è pensato a una vite (che spiegherebbe il divieto islamico di bere vino), a cereali, alla canfora, a un albero di fico… La nudità Dio dice ad Adamo: «Nel Paradiso non avrai fame e non sarai nudo» (azora 20). È dopo aver mangiato il frutto proibito che «le loro vergogne gli apparvero e iniziarono a coprirle con foglie degli alberi del Paradiso». Il diavolo Nel Corano è Iblis, l’equivalente di Satana. Un angelo di fuoco (non si dice che abbia forma di serpente) che si rifiuta di inchinarsi ad Adamo, nonostante l’ingiunzione divina. La donna non è colpevole Il Corano non sostiene che la donna (alla quale non viene dato nome) scaturisca dalla costola di Adamo e narra che Iblis tentò sia Adamo che la sua sposa. SINISTRA: ORONOZ / ALBUM. DESTRA: DEA / ALBUM

ADAMO ED EVA TENTATI DA SATANA VICINO ALL’ALBERO DEL PARADISO. CODICE ALBELDENSE. X SECOLO. BIBLIOTECA DEL MONASTERO DI S.LORENZO DEL ESCORIAL.


ADAMO ED EVA NEL PARADISO, VICINO ALL’ALBERO PROIBITO. MINIATURA, FAVOLE DI LUQMAN. 1583. TURKISH AND ISLAMIC ARTS MUSEUM, ISTANBUL.


Greci contro etruschi

LA BATTAGLIA  DI ALALIA  La presenza dei greci di Focea in Sardegna accelerò lo scontro con gli etruschi, alleati dei cartaginesi. Si imposero i greci, ma le perdite nella battaglia navale di Alalia furono tali da costringerli ad abbandonare l’isola


LE NAVI DA GUERRA

Sul cosiddetto Vaso Franรงois, realizzato attorno al 560 a.C., compare questa immagine di una nave da guerra greca, probabilmente una triacontera (nave da trenta rematori), da cui scendono i giovani prigionieri del Minotauro liberati da Teseo. Museo Archeologico Nazionale, Firenze. BRIDGEMAN / ACI


G

li abitanti di Focea, una città greca sulle coste dell’Anatolia, avevano iniziato i viaggi marittimi di lunga distanza già alla fine del VII secolo a.C. A bordo delle loro agili navi, raggiunsero Tartesso, nel sud-ovest della penisola iberica. Lì furono accolti dal re Argantonio, che sarebbe presto divenuto un esempio di sovrano buono, amico dei greci e disposto a renderli partecipi delle sue immense ricchezze.

DE

AG

OS

TIN

I

si trovavano lungo la costa italica. Era praticamente di fronte a Pyrgi, il porto principale della grande Agylla (o Caere, l’attuale Cerveteri). Ma la causa che condusse alla famosa battaglia va rintracciata molto lontano da qui: nella stessa Focea, patria d’origine di questa popolazione greca.

La grande migrazione Attorno al 545 a.C, il re persiano Ciro II il Grande, dopo aver sconfitto il potente Creso, sovrano della Lidia, si preparava a conquistare le città greche dell’Anatolia. I focei, nonostante la loro patria fosse protetta da una solida muraglia, costruita decenni prima con l’aiuto del re Argantonio, scelsero di abbandonare la città in massa – uomini, donne, bambini e anziani – imbarcandosi sulle navi e portandosi via i propri averi e le statue degli dei. Il loro piano originale era quello di trasferirsi alle isole Enusse, vicino a Chio. Ma giunti lì, scoprirono che i Chioti non erano intenzionati a cedergliele e così fecero ritorno alla loro città d’origine. L’unica via d’uscita pareva stabilirsi in una delle colonie da loro stessi fondate. Al momento della partenza, però, quasi la metà della popolazione preferì restare in patria. Coloro che scelsero la fuga s’imbarcarono sulle pentecontere e su altri navi ausiliarie e

In Corsica, i focei divennero i rivali commerciali degli etruschi CRATERE DI ARISTONOTHOS CON BATTAGLIA NAVALE. MUSEI CAPITOLINI, ROMA. VII SECOLO A.C.

L. VALLECILLOS / ALAMY / ACI

I focei utilizzavano delle imbarcazioni veloci, le pentecontere, che ospitavano a bordo una cinquantina di rematori più qualche altro marinaio. Queste navi dovevano attraccare quasi ogni giorno alla costa per rifornirsi e permettere all’equipaggio di riposare. Ciò permise ai focei di visitare e frequentare centinaia di località situate tra la loro città d’origine e la costa atlantica della penisola iberica. In alcune di esse si stabilirono in modo permanente, fondando vere e proprie città. È questo il caso di Massalia (l’attuale Marsiglia). Altre rimasero soltanto enclave commerciali, ubicate in luoghi strategici a contatto con le popolazioni locali. Tra queste vanno ricordate Emporion (l’odierna Empúries, nel Nord della Catalogna), e Alalia (oggi Aleria), sulla costa orientale della Corsica. Alalia godeva di una posizione privilegiata: si trovava infatti in un punto chiave per le comunicazioni con la Sardegna, con il golfo del Leone [l’insenatura tra i Pirenei e l’attuale Tolone], la strategica isola d’Elba e le coste siciliane e nordafricane. Inoltre, da Alalia si potevano raggiungere senza troppe difficoltà i porti delle grandi città etrusche che


C R O N O LO G I A

MARINAI NONCHÉ PIRATI VII secolo a.C. Sul finire di questo secolo iniziano i viaggi marittimi dei focei a partire dalla metropoli, sulla costa anatolica.

630-550 a.C. Epoca approssimativa del regno di Argantonio a Tartesso, che Erodoto mette in relazione con i commercianti focei.

600 a.C. I focei fondano l’importante enclave commerciale di Massalia (Marsiglia), nei pressi delle foci del Rodano.

575 a.C. Primo insediamento dei focei a Emporion (Empúries), esattamente a Palaiapolis (attuale Sant Martí d’Empúries).

565 a.C. I focei si stabiliscono ad Alalia, enclave sulle coste orientali còrse, in acque battute anche dagli etruschi.

545 a.C. Ciro il Grande, fondatore dell’Impero persiano achemenide, conquista Focea. Molti focei emigrano ad Alalia.

540 a.C. EMPÚRIES, COLONIA GRECA

L’espansione focea raggiunse la penisola iberica, dove nel 575 a.C. i coloni focei provenienti da Marsiglia fondarono Empúries, nell’odierna provincia di Girona. Nell’immagine, resti del molo ellenistico di Empúries, II secolo a.C.

Dopo la battaglia di Alalia, contro cartaginesi ed etruschi, i focei fondano Elea (Velia per i romani) nella penisola italica.


Territorio etrusco Aree di espansione etrusca Confederazione etrusca Città Ambito di influenza Altri nuclei urbani Porti principali Pisae Pisae Nome romano (Pisa) (Pisa) Nome attuale Ferro

Risorse minerali

umbri Principali popolazioni

della penisola italica

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

BPK / SCALA , FIRENZE

fecero rotta verso la Corsica. È difficile sapere con certezza quali furono le dimensioni di questo esodo. Nella battaglia di Alalia, i focei avevano sessanta pentecontere, il che significa almeno 3.000 rematori. A partire da tale cifra, si può stimare che i migranti fossero tra i 9.000 e i 12.000, se consideriamo un rapporto di tre o quattro civili per ogni guerriero. Le risorse della zona di Alalia non erano sufficienti per accogliere un tale afflusso di profughi. Per questo motivo, e dato che disponevano di una flotta numerosa, i focei iniziarono a dedicarsi a un’attività che conoscevano piuttosto bene: la pirateria. Questa era a quel tempo un fenomeno endemico nel Mediterraneo, a cui si poteva cercare di porre un freno solo con un insieme di misure diplomatiche e d’azioni di forza. Ma l’improvviso arrivo di un gran numero di individui provenienti da lontano, che non rispettavano quell’equilibrio che si era quasi raggiunto nel Mediterraneo centrale,

A sinistra, particolare di un affresco che ricostruisce l’arrivo dei focei a Marsiglia verso il 600 a.C. Museo di storia di Marsiglia.

provocò enormi tensioni. Le flotte focee attaccavano infatti le località costiere, saccheggiando le popolazioni indifese. Oppure, attendevano i mercanti nei punti di passaggio obbligato, rubavano i carichi e sequestravano gli equipaggi delle imbarcazioni, per poi arricchirsi con la successiva vendita.

Stanchi dei pirati La reazione delle principali vittime della pirateria focea si fece attendere cinque anni. Dopo questo lasso di tempo nacque un’alleanza guidata da Cartagine – antica colonia fenicia sulle coste africane – e dall’etrusca Caere, le città più colpite dai continui saccheggi dei focei, nonché le più potenti. Lo scontro tra le due fazioni, che ebbe luogo nei pressi delle coste còrse, fu scatenato dall’attacco cartaginese ed etrusco contro la città greca. Quanto alle forze in campo, i focei potevano contare, come già ricordato, su sessanta pentecontere. I loro avversari, invece, disponevano di centoventi navi: sessanta erano di Cartagine e altrettante di Caere. Di queste flotte facevano parte imbarcazioni di

Dopo l’insediamento ad Alalia, i focei si dedicarono alla pirateria ELMO ETRUSCO DA PARATA DECORATO CON OCCHI. VI-V SEC. A.C.

Linee di espansione etrusca (VIII-VI sec. a.C.) Battaglie Invasioni celtiche (VI-IV sec. a.C.) CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

C O R S I C A

COLONI DEL MEDITERRANEO


Luni

Arno

Firenze

Volaterrae Volterra

Casale Marittimo Vada

Murlo Piombo Argento Rame Antimonio Fluoro

Vetulonia Vetulonia Salebro

o

b Om

Rusellae Roselle

Perusia Perugia

Clusium Chiusi Volsinii Orvieto

Mercurio

Todi

Bolsena Volsinii Novi (Bolsena)

Bisenzio Antimonio

Tuscania

I

Sutri San Giuliano Lago di Bracciano

N

Pinicum Pyrgi

Civita Castellana

B

Alalia Verso il 540 a.C. (Aleria)

Ferro Piombo Argento Rame

Castel d’Asso

A

Gravisca

Acquarossa

S

Tarquinia

Veii, Veies Veyes

Caere

E Q U I Li

re

Praeneste (Palestrina)

L

A

T

Satricum

GUERRA PER   IL COMMERCIO gli etruschi si espansero nel nord della penisola italica (sottomettendo anche Roma) e assicurandosi l’egemonia sul mar Tirreno. Nel frattempo, Cartagine si sviluppava nella penisola iberica e nel Mediterraneo centrale, a partire dalla sua base africana. Fu proprio in questa zona, tra Sicilia, Sardegna e Corsica, che gli interessi dei due entrarono in conflitto con quelli dei greci, anche loro presenti nella regione. Questa situazione spiega la temporanea alleanza tra cartaginesi ed etruschi contro i focei, espulsi dalla Corsica dopo la battaglia di Alalia.

Massalia

IBERI

NEL VI SEC. A.C.

Emporion

RU

SC

Alalia

I N

I

SCITI

CELTI ET

i

r

e Tev

Ostia

TIRRE NO

I

Roma

Cerveteri

MA R

M

Sovana Lago di

Montalto di Castro Norchia Blera Tarquinii

Piombo Argento Rame

I

S I

Vulci

Orbetello Cosa Vulci

Ancona

R

Marsiliana

Talamone

Lago Trasimeno

Sentinum (Sassoferrato)

A

Ferro Rame

Ferro Stagno Piombo Argento Rame

Rame Ferro

Cortona Crotona

Saena (Siena)

ne

Portoferraio

Rame Mercurio

ro

E L BA

Arretium Arezzo

Monteriggioni

R

M RI AR AT E IC

I

Campiglia Marittima Populonium (Populonia)

Verucchio

O

Pisae (Pisa)

E UR

Faesulae (Fiesole)

AD

N C E P I

L

IG

U

B U M

R

G

Ariminum (Rimini)

I

M

A

LI

R

Rame Piombo Argento Ferro Mercurio Magnesio

MA R N ERO

H

I Caere (Cerveteri)

Roma

CARTOGRAFIA: MERCHE HERNÁNDEZ / EDITEC

Tartesso Chio Cartago

La colonizzazione greca (VIII-VI sec a.C.)

Colonia greca Colonia fenicia Altri insediamenti FOCEA Città madre [metropoli]

NUMIDI

FOCEA

Atene

MA

R

MEDIT

E R RA N E O Gerusalemme

LIBICI

Su sponde opposte Quasi tutte le colonie greche si trovavano sulla costa settentrionale del Mediterraneo, mentre quelle fenicie – capeggiate da Cartagine – erano sulla sponda meridionale.

Menfi


L’ANTICA ALALIA

HERVÉ TARDY / GTRES

altre città fenicie ed etrusche che avevano risposto all’appello delle due sorelle maggiori. Tuttavia, grazie alle loro straordinarie abilità marinare, i focei avevano sviluppato nuove tecniche di combattimento navale che li rendevano molto superiori a qualsiasi possibile rivale.

Rompere la linea del nemico

BRIDGEMAN / ACI

Fino ad allora, i combattimenti navali erano per lo più degli scontri statici: si cercava di abbordare l’imbarcazione avversaria con una o più navi per poi far intervenire la fanteria, come se la battaglia avvenisse in terra ferma. Per quanto si potesse rallentare l’avanzata del nemico con lance, frecce e fionde, generalmente l’esito del combattimento era determinato dalla superiorità numerica di uno dei contendenti. È abbastanza chiaro che le forze etrusco-cartaginesi puntavano su questa stra-

Alalia passò dai greci agli etruschi e quindi ai cartaginesi. Infine, nel III sec. a.C, ai romani, che la ribattezzarono Aleria (a sinistra).

tegia, dato che disponevano del doppio dei vascelli rispetto ai focei. Tuttavia i focei riuscirono a sorprendere gli avversari ricorrendo a una nuova tattica, in seguito nota come diekplous. Questa strategia consisteva nel lanciare la nave a gran velocità tra le imbarcazioni nemiche, approfittando dell’occasione per attaccarle con proiettili di ogni tipo. Una volta superate le file dei rivali, la pentecontera eseguiva una virata di centottanta gradi, si dirigeva contro la poppa o le fiancate dei vascelli avversari, e li urtava con il rostro metallico [specie di sperone] del quale era provvista. L’esecuzione di questa manovra esigeva grande disciplina e una perfetta coordinazione tra i rematori, frutto di prove ripetute. Al capitano di ogni pentecontera era richiesta anche una gran capacità di previsione, perché doveva scegliere quale imbarcazione nemica attaccare per prima, per mettere fuori gioco le più pericolose. Una volta neutralizzata una nave avversaria, l’obiettivo del vincitore era quello di dirigersi immediatamente verso un’altra. In

I focei supplirono all’inferiorità numerica navale con una nuova tattica di combattimento GUERRIERO ETRUSCO. STATUETTA IN BRONZO DEL VII SEC. A.C.

GIUSEPPE RAVA / OSPREY PUBLISHING


I GRECI  ALL’ABBORDAGGIO con un solo ordine di remi) e una greca di tipo dikrotos (ovvero con due ordini di remi). Entrambe le navi hanno lo stesso numero di rematori, ma quella greca è di minore lunghezza perché i rematori sono disposti su due livelli (mentre quelli etruschi su uno). Questo ne accresce la capacità di manovra, anche se l’imbarcazione etrusca è più lunga e può quindi contenere più soldati in coperta. / AL

B UM

ELMO CORINZIO, VI SEC. A.C. AMPIAMENTE DIFFUSO, ERA IN BRONZO E SI INDOSSAVA SOPRA UN COPRICAPO DI FELTRO PER RIDURRE L’ATTRITO CON IL METALLO.

UIG

LO SCONTRO DI ALALIA fu segnato dalla superiore capacità delle navi e dei marinai greci. L’illustrazione qui sopra mostra una pentecontera greca che sperona una nave etrusca con la tattica del diekplous, che diede la vittoria ai focei. La manovra consisteva nell’attraversare la linea nemica per poi virare e affondare il rostro nella fiancata o nella poppa delle imbarcazioni nemiche. L’immagine raffigura una pentecontera etrusca di tipo monokrotos (ovvero


IL DESTINO DEI PRIGIONIERI

Gli etruschi di Caere lapidarono i prigionieri di Alalia. Sacrificio di troiani, affresco della tomba di François di Vulci, proprietà di un nobile etrusco. ALLA RICERCA DI UNA NUOVA PATRIA

questo modo era possibile riequilibrare a poco a poco l’inferiorità numerica iniziale. Lo scontro navale si concluse col successo foceo. Erodoto, però, precisa che si trattò di una “vittoria cadmea”, espressione che equivale alla nostra “vittoria di Pirro”, perché fu ottenuta a un prezzo così elevato da sembrare una sconfitta. Non si conoscono i dettagli delle perdite etrusco-cartaginesi, ma i focei ne uscirono in condizioni tali da non potersi permettere immediatamente un nuovo scontro. Quaranta delle loro navi erano state distrutte e le venti restanti avevano i rostri fuori uso. Questo è il principale indizio che ci permette di ricostruire che la battaglia si svolse nel modo descritto.

Il secondo esodo I focei non potevano assolutamente correre il rischio di subire un nuovo attacco. Per questo, decisero di abbandonare la Corsica a bordo delle proprie navi. Forse alcuni di loro raggiunsero località come Marsiglia o la Sicilia. Altri, invece, si diressero verso lo stretto di Messina. Qui vennero a sapere che potevano stabilirsi in un punto della costa italica dove avrebbero fondato Elea, poi denominata Velia in epoca romana. Tuttavia, non tutti ebbero questa fortuna. I focei caduti prigionieri vennero spartiti tra gli avversari. Di quelli che finirono a Cartagine 54 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

non sappiamo nulla, ma conosciamo invece il destino della maggior parte dei focei, che fu condotta a Caere. Nel corso di una cerimonia pubblica di riparazione, furono radunati al di fuori [delle mura] della città, dove vennero lapidati a morte. In seguito a questo episodio [sacrilego, secondo quanto riferisce Erodoto] chiunque passasse accanto al luogo dove erano stati uccisi i focei, che fosse uomo o animale, veniva colpito da una malattia che lo lasciava disabile. Gli abitanti di Caere, dopo aver consultato l’oracolo di Delfi, accettarono di onorare la memoria dei morti con delle gare di atletica, per mettere fine alla pestilenza. In ogni caso, la conseguenza principale di questo scontro fu l’esclusione, almeno temporanea, dei greci dal controllo delle rotte commerciali del Mediterraneo centrale. A ciò si aggiunse il consolidamento dell’alleanza tra Cartagine e Caere e l’insediamento degli etruschi ad Alalia. La battaglia accentuò inoltre la tendenza degli stati verso un controllo sempre maggiore delle attività commerciali. Lungi dal garantire la pace, questo provocò nei decenni successivi nuove guerre tra greci, etruschi e cartaginesi finché, verso il 474 a.C., i greci di Siracusa non spezzarono il potere navale etrusco nella battaglia di Cuma. ADOLFO J. DOMÍNGUEZ MONEDERO CATTEDRATICO DI STORIA ANTICA. UNIVERSITÀ AUTONOMA DI MADRID

WALTER ZERLA / GETTY IMAGES

LUISA RICCIARINI / PRISMA

Dopo la sconfitta, i focei di Alalia si insediarono a Elea, nella penisola italica, a sud di Posidonia (la Paestum romana, a destra).


VIAGGIO DI DUEMILA CHILOMETRI

ALLA RICERCA DI UNA NUOVA PATRIA L’arrivo dei persiani sulle coste dell’Anatolia costrinse gli abitanti di molte città greche di questa regione, la Ionia, a scegliere la fuga. Fu il caso della città di Focea, sulle coste dell’Anatolia, metà della cui popolazione si trasferì verso il Mediterraneo centrale. Ma anche quello di altre città, come Teo. A questi vanno aggiunti migliaia di abitanti che lasciarono la Ionia in gruppi più ridotti e in forme meno organizzate per andare a stabilirsi in città già esistenti. Qui portarono la propria cultura, che era la più avanzata di tutta Grecia. La Ionia fu la culla della filosofia e del pensiero razionale. Molti rappresentanti di questi e e di altri ambiti del sapere emigrarono, facilitando in questo modo la diffusione delle loro conoscenze. Sembra che anche il poeta e filosofo Senofane fosse tra coloro che seguirono i focei. Parmenide, il creatore della scuola di Elea (città fondata dai focei dopo la battaglia di Alalia), era probabilmente molto piccolo quando i suoi genitori lasciarono la città di fronte all’avanzata persiana, o forse nacque a Elea pochi mesi dopo lo storico scontro navale della battaglia di Alalia.


PENTECONTERA, LA NAVE  Nella battaglia di Alalia si mise in evidenza la pentecontera, un’imbarcazione veloce e

BULLOZ / RMN-GRAND PALAIS

PENTECONTERA IN UN DINOS DECORATO DAL CIRCOLO DEL PITTORE DI ANTIMENE E RITROVATO IN ETRURIA. VI SEC. A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

La nave più rapida del Mediterraneo LA PENTECONTERA fu la prima nave adatta a rotte marittime di lunga distanza; il nome deriva dai 50 rematori distribuiti sulle due fiancate dell’imbarcazione. Una combinazione di forza e leggerezza, la pentecontera era costruita con diversi tipi di legno: la chiglia era di solito in rovere o in quercia, materiali resistenti all’umidità e all’usura provocata dalla manovra di tirare la nave in secco. Per le costole e il fasciame si usavano diverse specie di conifere (pino, cedro), più leggere, con cui si facevano anche i remi e l’albero. Tra VIII e VI sec. a.C., l’adozione del rostro portò a modificare la posizione dei vogatori, distribuiti non più su un unico livello (monokrotos) ma su due (dikrotos).

1

2

1

POPPA

La forma alta e curva facilitava poter tirare in secco l’imbarcazione con la prua rivolta verso il mare. In mare aperto proteggeva dalle onde provenienti da poppa.

2

TIMONI

Erano costituiti da due pale, fissate ciascuna a un lato della poppa e legate in modo da poter ruotare sul proprio asse. Ciò aumentava la manovrabilità della nave.

3

ALBERO ABBATTIBILE

La vela era usata per la navigazione. Prima di combattere, l’albero veniva smontato e si procedeva a remi. Questo permetteva di controllare direzione e velocità.


DA GUERRA PIÙ AGILE maneggevole, già citata da Omero nell’Iliade 3

4

5

6

4

REMATORI

L’adozione di due ordini di rematori consentì di ridurre la lunghezza della nave senza perdere potenza, aumentando così la capacità di manovra e la forza d’impatto.

5

SCAFO

Uno dei punti di forza della pentecontera era la velocità, cui contribuiva lo stretto scafo. Le dimensioni ridotte impedivano però di caricare molti guerrieri.

6

ROSTRO

In bronzo, era progettato per perforare lo scafo nemico ed estrarlo vogando all’indietro, per non correre il rischio di affondare con esso.

ILLUSTRAZIONE: NAVISTORY


CONFUCIO IL SAGGIO CHE RIFORMÒ LA CINA

FOTOS: ALBUM

Kongzi, il “Maestro Kong”, nacque 2500 anni fa in una Cina frammentata, dove numerosi regni guerreggiavano tra di loro. Lui si propose di restaurare l’ordine prendendo come modelli antichi sovrani ed educando gli uomini a praticare la virtù


UN MAESTRO COI PIEDI PER TERRA

BRIDGEMAN / ACI

Confucio (in questo dipinto) non parlò dell’esistenza degli spiriti. Il suo pensiero si centrò sull’uomo e sulla società. Nella pagina precedente, taotie o maschera di un essere fantastico, in bronzo. Dinastia Shang. XV-XI secolo a.C.


GLI ZHOU, GOVERNANTI IDEALI

N

EL 1045 A.C., LA SECONDA DINASTIA

storica della Cina, quella degli Shang, fu sconfitta a Muye dai ribelli Zhou. Nacque così la più longeva delle dinastie cinesi, che durò fino al 221 a.C. In realtà gli Zhou detennero il potere effettivo solo per cinquecento anni circa, la cosiddetta epoca degli Zhou Occidentali, che deve questo nome al fatto che la sua capitale si trovava a ovest della Cina. Per Confucio – e durante secoli e secoli per i cinesi – quell’epoca fu un modello di buon governo e i suoi primi tre governanti sono stati onorati per millenni come i santi fondatori della madrepatria: Wen Wang, il Re Civilizzatore, a cui viene attribuita la paternità del Yijing (o I Ching, il gran testo divinatorio cinese); Wu Wang, il Re Guerriero, che risultò vittorioso a Muye, e suo fratello Zhou Gong, il duca che pacificò e organizzò il regno.

BNF / RMN-GRAND PALAIS

IL DUCA DI ZHOU

Il duca di Zhou era fratello del re Wu Wang (che aveva sconfitto gli Shang) e, quando questi morì, governò il regno in nome di suo nipote Cheng.

A

volte le storie delle diverse parti dell’Eurasia convergono in un punto prima di separarsi nuovamente per seguire ognuna il proprio cammino. Il passaggio dal VI al V secolo a.C. fu uno di quei momenti. Culture molto diverse tra di loro raggiunsero la maturità e plasmarono le loro tradizioni in opere decisive: la Torah ebraica si stabiliva nel Vicino Oriente mentre il zoroastrismo lo faceva in Persia; I filosofi presocratici scuotevano la Grecia

mentre in India Mahavira fondava il giainismo e Budda elaborava un sistema per eliminare la sofferenza. E ancora oltre, in Cina, Confucio e Laozi riflettevano sulla relazione delle persone con la società. Confucio nacque in un’epoca convulsa. I re della dinastia Zhou, al potere dagli inizi del primo millennio a.C., mantenevano un potere puramente formale mentre molteplici staterelli si ripartivano il territorio e combattevano ferocemente per aumentare i propri domini. I principi di turno assegnavano

551 a.C.

LA VITA DEL MAESTRO 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Confucio nasce in una famiglia della nobiltà minore nella città di Qufu, del regno di Lu. Suo padre, lontano discendente dei re della dinastia Shang (sconfitta dagli Zhou nel 1045 a.C.), muore nel 448 a.C.

IMPUGNATURA DI DAGA IN ORO. ZHOU ORIENTALI. 770-221 A.C.

SCALA, FIRENZE

C R O N O LO G I A

532 a.C. Confucio si sposa con una dama proveniente dal regno dei Song. L’anno dopo ha un figlio, Li, che morirà prima di lui. Confucio ha anche due figlie, una delle quali muore piccola. Nel 528 a.C. muore sua madre.


TEMPIO DI CONFUCIO A QUFU

Confucio nacque a Qufu, dove venne eretto in suo onore un grande tempio custodito dai suoi discendenti diretti, che vissero qui fino agli anni ’30 del 1900; oggi risiedono a Taiwan. IMAGEMORE / GETTY IMAGES

Un’origine poco celebre Confucio nacque nel 551 a.C. nel piccolo stato di Lu della provincia dello Shandong. La sua famiglia, di scarse risorse economiche, era emigrata dal vicino stato di Song, e apparteneva a quella nobiltà minore che poteva aspi-

rare unicamente a incarichi di livello medio o basso. Con la morte del padre, quando lui era piccolo, la famiglia sprofondò nella povertà. A 15 anni, secondo quanto lui stesso raccontò, iniziò a studiare intensamente e ottenne qualche incarico minore come custode di fienili e responsabile di pascoli pubblici; doveva essere bravo a far i conti visto che entrambe le imprese prosperano. Nonostante la tradizione gli attribuisca anche i ruoli di ministro dei Lavori Pubblici e di ministro della Giustizia, nessuno conferma quest’informazione. Dato che nel suo stato, quello di Lu, non aveva grande successo, si recò negli stati vicini

531 a.C.

484 a.C.

Inizia a occupare incarichi minori nel regno di Lu. Nel 518 a.C. si reca nella capitale degli Zhou Occidentali, Luoyang, per studiare riti e musica. Nel 517 a.C. va nel regno dei Qi, dove inizia a insegnare.

Per una dozzina d’anni viaggia da un regno all’altro proponendo i suoi servizi ai diversi sovrani; nessuno di loro, però, li accetta. Torna quindi a Lu per dedicarsi allo studio dei classici e all’insegnamento.

I SAGGI DEL VI SECOLO A.C.

Budda, Confucio e Laozi appaiono in questo inro, o scatolina giapponese, in oro laccato, realizzata nel XIX secolo.

479 a.C. Confucio muore all’età di 73 anni. Si dice che avesse oltre tremila discepoli, dei quali circa 70 da lui considerati eminenti. Il suo elogio funebre viene pronunciato dal duca Ai, del regno di Lu.

BRIDGEMAN / ACI

i loro governi all’incapace aristocrazia locale. In un tentativo di reclutare nuovi talenti, iniziarono a contare sempre più sul gruppo di funzionari minori procedenti dalla piccola nobiltà e cercarono di attrarre alla loro corte consiglieri efficienti che gli permettessero di imporsi ai rivali.


LA CINA AI TEMPI DI CONFUCIO

NEL 770 A.C. le invasioni di popoli bar-

bari obbligarono gli Zhou Occidentali a spostare la loro capitale verso est, da Hao a Luoyang. Iniziò così il periodo degli Zhou Orientali, che durò fino alla fondazione del primo impero cinese nel 221 a.C. Questi cinque secoli, segnati da scontri bellici costanti, si dividono in due periodi: quello delle Primavere e degli Autunni (770-463 a.C. circa), nel quale visse Confucio, e quello degli Stati Combattenti (463-221 a.C. circa). Quello delle Primavere e degli Autunni fu un periodo molto ricco per lo sviluppo della filosofia cinese.

Il Mandato del Cielo

FOGLIA DI ALABARDA IN BRONZO. PERIODO DEGLI STATI COMBATTENTI. 463-221 A.C. MUSEO NAZIONALE D’ARTE ORIENTALE, ROMA. 62 HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

Gli Zhou Occidentali instaurarono il culto di Tian, il Cielo, e promossero una nuova teoria di legittimazione del potere: il Mandato del Cielo, che formulò il duca di Zhou, tanto ammirato da Confucio. Secondo questo principio chi governa lo fa per mandato del Cielo, e perciò diventa Tianzi, Figlio del Cielo, nonché l’unico che può offrirgli sacrifici. Questo fatto conferisce una base religiosa all’autorità del sovrano e lo dota di grande prestigio. Però legittima anche la ribellione: se il sovrano perde la sua virtù morale e non adempie ai suoi doveri, il suo rovesciamento diventa giustificato (è ciò che avvenne con gli Shang, sconfitti dagli Zhou). E se chi lo piega riceve il Mandato del Cielo, diventa a sua volta governante legittimo. Questa sarà la base ideologica dei cambi di potere in Cina per i successivi tremila anni.


Frontiere (770-481 a.C.) Domini formali degli Zhou Orientali (770-481 a.C.) Domini reali degli Zhou Orientali (770-481 a.C.) Altri stati CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

Estensione dell’influenza culturale cinese

Mixu

Popoli barbari

Capitale di stato

Attacchi barbari tra fine XIX secolo a.C. e inizi VIII secolo a.C.

Città

Attacchi barbari dal VII secolo a.C. a inizi del VI a.C.

WU Stato con popolazione

diversa dalla cinese

Linea di costa e corsi fluviali nell’attualità


CONFUCIO INSIEME AI SUOI DISCEPOLI SUONA IL GUQIN, UNO STRUMENTO DELLA STESSA FAMIGLIA DELLA CETRA. IMMAGINE DEL XVIII-XIX SECOLO.

AKG / ALBUM

IL TEMPIO DEL CIELO

COM’ERA IL MAESTRO?

I

L COGNOME DI CONFUCIO era Kong; il suo nome proprio, Qiu, e il suo nome pubblico, Zhongni. Quest’ultimo dà indicazioni sulla sua posizione nell’albero genealogico: zhong significa “secondo tra i fratelli”. In cinese Confucio è conosciuto soprattutto come Kongzi, “Maestro Kong”, termine dal quale viene la forma latinizzata “Confucio”. Dai Dialoghi (Lunyu), messi insieme dai suoi discepoli, risulta evidente che il maestro aveva una personalità magnetica, per niente schiacciante e che attraeva fortemente grazie alla combinazione di un’intelligenza colta e di una dignità inalterabile. Era una persona tranquilla e affabile cui piaceva cantare, pescare con la canna (non con la rete) e cacciare – senza però sparare agli uccelli poggiati sui rami. Maestro energico, era un conversatore tanto brillante quanto esigente,mai pedante e sempre attento, nonché educatissimo e accogliente. La sua conoscenza della civiltà cinese era profonda e la sua idea rispetto a come questa doveva funzionare, chiara. Passava le sue giornate a leggere e a parlare, e non scrisse mai nulla. Sopra ogni cosa diede importanza all’amicizia, e sembra che dedicò buona parte dei suoi sforzi a scegliersi gli amici: «Non abbiate amici che non siano alla vostra altezza», si legge ripetutamente nei Dialoghi.

64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Costruito a Beijing (Pechino) nel XV secolo è dedicato al Cielo, Tian, al quale si rese culto da quando presero potere gli Zhou.

per offrisi come consigliere. Le sue opinioni, però, irritavano o sconcertavano le persone che gliele chiedevano. Al principe che si vantava del fatto che nel suo regno tutti lo amavano, per esempio, lui disse che questa non era una cosa positiva, perché la cosa buona è che ti amino i buoni e ti odino i cattivi. Quando un altro principe gli chiese cosa doveva fare, lui gli rispose che la prima cosa era rettificare i nomi. Quando l’altro domandò a cosa si riferisse, Confucio chiarì: che il governante faccia il governante, il ministro il ministro, il padre il padre e il figlio il figlio. Ovvero, che tutti rispettino i propri doveri e le proprie responsabilità. Però i principi che Confucio ammoniva non lo capivano né lo ascoltavano: loro parlavano di politica e lui, invece, di etica. Quindi, lo mandavano praticamente sempre via. Indubbiamente Confucio andava in giro con una comitiva particolare: lui sulla carrozza suonava la cetra e cantava mentre un numero crescente di discepoli lo seguivano sui propri calessi. Confucio non smise mai di riflettere sulle questioni d’interesse pubblico, convinto


VIEWSTOCK / AGE FOTOSTOCK

com’era del fatto che solo vivendo in società le persone potessero diventare esseri umani completi. Alla fine, quand’era già avanti negli anni tornò allo stato di Lu e si dedicò all’insegnamento, occupazione che fece di lui il primo maestro della Cina, cosa in quell’epoca non solo insolita ma anche stravagante.

Meglio l’etica che le leggi

avvolge ed è praticamente impossibile separare l’uomo dal mito. Quasi tutte le culture delineano un’utopia verso la quale incamminarsi. Quella di Confucio, però, era un’utopia retrospettiva, centrata nell’antica dinastia Zhou: una società ideale governata da uomini dalla condotta esemplare che servivano da modello a tutti gli altri. Lui sentiva un’ammirazione sconfinata per le glorie passate della Cina e aveva una passione inestinguibile per la sua figura centrale, il duca di Zhou, che ricordava sempre nei suoi discorsi. «Come sono caduto in basso! – disse una volta. È da tanto che non sogno il duca di Zhou!». La sua meta era una società retta dall’etica e che non avesse bisogno di leggi per raggiungere l’armonia sociale. E lo strumento decisivo per arrivare all’utopia era lo studio. Così iniziano i Dialoghi: «Studiare e, giunto il momento opportuno, mettere in pratica quanto studiato, non è anch’essa una forma di felicità?». Tuttavia, studiare non era una cosa facile. Esistevano testi canonici impor-

CALICE DA RITUALE Recipiente di tipo hu da vino, per uso rituale. Realizzati in bronzo, questi calici risalgono alla dinastia Shang, anteriore alla dinastia Zhou.

Se lui personalmente non ottenne nessuna ricompensa per il suo lavoro, molti dei suoi numerosi discepoli – tremila, dei quali 72 considerati eminenti dal Maestro – occuparono gli incarichi più alti in vari stati cinesi dell’epoca. Confucio morì a 73 anni, nel 479 a.C., e i suoi seguaci misero insieme i suoi pensieri nei Dialoghi o Analecta (Lunyu, in cinese), anche se vari testi lì riuniti corrispondono a un periodo posteriore [e sono quindi da attribuire ai suoi discepoli]. Di lui rimane questo libro e alcuni dati che raccolse, oltre tre secoli dopo, Sima Qian, il primo storico cinese. La figura reale del Maestro riesce a malapena a dissipare la nebbia che la N GRA

GER

/A

LBU

M

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

65


LA CITTÀ PROIBITA

Palazzo imperiale delle dinastie Ming e Qing, la Città Proibita fu costruita tra il 1406 e il 1420 nel centro della capitale cinese, Beijing. È costituita da 980 edifici e quasi 9.000 stanze.



LA MISSIONE DELL’UOMO NOBILE

I

ESAME IMPERIALE PER ACCEDERE ALLA BUROCRAZIA. PITTURA SU SETA. XVII SECOLO. BIBLIOTECA NAZIONALE, PARIGI.

N ORIGINE la parola junzi significava “ari-

stocratico”. Tuttavia Confucio le diede una nuova accezione: la utilizzò per designare le persone moralmente nobili, indipendentemente da quali fossero le loro origini sociali. L’educazione confuciana è totalmente orientata a formare il junzi: questi dev’essere qualcuno che ami il bene comune al di sopra del suo beneficio personale, che coltivi idee proprie e che abbia un comportamento esemplare (tratti che corrispondono a quello che è stato il prototipo di burocrate ideale in Cina per duemila anni). La definizione di queste qualità personali è tema centrale dei Dialoghi. Per Confucio l’educazione ha una giustificazione ultima: riformare lo Stato recuperando le virtù che in teoria avevano stimolato il governo agli inizi della dinastia Zhou (verso il 1045 a.C.), epoca che lui considerava esemplare.

BRIDGEMAN / ACI

CI

tanti, come il Classico della storia , il Classico della poesia e il Classico dei riti: c’era chi li sapeva recitare a memoria, ma conoscerli non era requisito necessario per occupare nessun incarico. L’accesso al potere era aristocratico, e pochissimi dei principi erano esperti di poemi e storie antiche. Confucio invece ottenne dai classici un impulso etico rinnovatore e si dedicò a selezionarli e a editarli, consacrandogli uno studio appassionato, di cui era orgoglioso. Educare sembrava un’occupazione tanto innovativa quanto inoffensiva. Il modo in cui insegnava il Maestro, però, cambiò ogni cosa. Profondamente convinto che gli uomini fossero per loro stessa natura tutti molto simili tra di loro – anche se ciò che uno impara lo allontana poi molto dagli altri – Confucio accettò di insegnare a chiunque glielo chiedesse, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. Cosa insegnava Confucio? Parlava spesso del Classico della poesia e del Classico della storia, ma questo non vuol dire che si trattasse di un’educazione libresca. Era piutto-

BR

IDG

EM

AN

/A

68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

UN SAGGIO COME GOVERNANTE Confucio indossa la corona di perle che indica il rango di Mandarino. Epoca Qing. XVIIXX secolo. Museo Guimet, Parigi.

sto un’educazione globale, che insegnava alle persone giovani a rispettare i genitori in casa e gli anziani fuori da casa; a parlare poco e a essere affidabili e a riservare la propria amicizia solo a chi fosse dotato di un’umanità autentica. C’erano temi che Confucio non voleva trattare: l’esercito, le gesta militari, gli atti di violenza e la religione rimasero fuori dal suo insegnamento. Egli credeva che la saggezza consistesse nel dedicarsi intensamente agli obblighi rispetto all’umanità.

La preparazione dei dirigenti Ciò che emoziona dei Dialoghi è la sensibilità educativa di Confucio. Egli sapeva bene quant’è difficile studiare, ovvero correre dietro a qualcosa che ci scappa con la paura di perdere ciò che si è già raggiunto. Era molto severo coi suoi studenti: detestava che fossero d’accordo con tutto quello che lui diceva; ripeteva sempre che imparare senza pensare è inutile, mentre pensare senza imparare è pericoloso e li incitava a prendere decisioni con prontezza.


BEST VIEW STOCK / AGE FOTOSTOCK

Quest’impazienza del Maestro è evidente nei Dialoghi quando afferma che lui non svela verità a chi non ha voglia di scoprirle, o quando dice che lui mostra un angolo del problema ma, se lo studente non sa trovare gli altri angoli a partire da quello, allora lui non glielo fa vedere nuovamente. Il nucleo dei suoi insegnamenti serviva per occupare un posto nell’amministrazione o nella diplomazia, cosa che riconobbero i governanti dell’epoca, che si disputarono fin da subito i suoi discepoli come consiglieri. Da ciò deriva la chiave dell’influenza di Confucio nel tempo: con lui si instaurò in Cina, millenni prima che in qualunque altro posto, l’idea che lo studio è parte essenziale della promozione sociale. L’ educazione da lui proposta, laica e indipendente da intermediari religiosi, orientò la storia della Cina verso un cammino unico. Molti secoli dopo la sua morte, i confuciani perfezioneranno quell’elaboratissimo sistema di esami per accedere al ceto burocratico del mandarinato che lascerà a bocca aperta

i primi viaggiatori europei del XVI secolo e che verrà poi istituito nel resto del mondo nel corso del XIX secolo. Tuttavia, il sogno di Confucio non era quello di creare burocrati, bensì quello di promuovere l’uomo nobile, il junzi, una persona capace di amare gli altri e di non infliggergli ciò che non vuole per sé stesso. Per Confucio imparare era un atto morale che fa dell’uomo un essere infinitamente perfettibile e lo conduce verso la santità in terra. Imparare è cambiare e, secondo lui, la mente umana è l’unico strumento capace di compiere cambiamenti. Dato che era un maestro, però, sapeva bene quante difficoltà questo potesse implicare. Lo dimostra il fatto che una volta arrivò ad affermare che non conosceva nessuno che preferisse la virtù al sesso. E constatò anche che per lui esistevano due tipi di persone che non cambiano mai: quelle che sono straordinariamente intelligenti e quelle che sono straordinariamente stupide.

LETTURE IMPERIALI

A fianco al tempio di Confucio, a Beijing, si trova il Collegio Imperiale, dove studiavano i burocrati. Sul trono qui sopra gli imperatori leggevano agli alunni i pensieri del Maestro.

DOLORS FOLCH SINOLOGA, PROFESSORESSA EMERITA DELL’UNIVERSITÀ POMPEU FABRA

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

69


Xiao (amore filiale) Si tratta di un amore ancorato nelle pratiche più antiche del culto degli antenati e corrisponde specialmente all’obbligo dei figli di prendersi cura dei genitori. La sua importanza consiste nel fatto che l’amore filiale, che si basa nel rispetto alla gerarchia all’interno della famiglia (dei figli verso i genitori, del fratello minore verso il maggiore, della sposa verso il marito), educa l’individuo a comportarsi in società, dove regnano altre gerarchie.

IL DAO,

IL SENTIERO DI CONFUCIO IL PRINCIPALE SFORZO di Confucio fu quello di descrivere il dao ideale, ovvero il Sentiero perfetto. Non si tratta di un concetto mistico ma del cammino attraverso il quale tutte le persone potranno raggiungere la felicità; include sia il codice etico dell’individuo che le norme di governo. Per Confucio il Sentiero (o la Via) si era realizzato cinquecento anni prima, all’epoca della dinastia degli Zhou Occidentali, esempio di governanti. In questo senso, il Sentiero è un’utopia retrospettiva dato che non guarda a un paradiso futuro bensì a un’antica età dell’oro. La realizzazione della Via è il risultato della pratica di determinate virtù essenziali che definiscono il junzi, l’uomo nobile: xiao, l’amore filiale; ren, l’umanità e li, la condotta rituale adeguata. MUSÉE GUIMET, PARIS / RMN-GRAND PALAIS


DUE UOMINI COLTI (BUROCRATI) IN UNO DEI PAESAGGI CARATTERISTICI DEL PITTORE FANG CONG. INCHIOSTRO CINESE SU CARTA. XVIII SECOLO. MUSEO GUIMET, PARIGI.

Ren (umanità)

Li (rituale)

E’ la virtù più importante: il comportamento ideale che una persona dovrebbe avere nei confronti degli altri. Confucio dice che l’umanità «consiste nell’amare gli uomini» e per far questo è necessario darsi degli obiettivi nobili nella vita: «Se desideri rango e onori, allora aiuta gli altri a ottenere rango e onori; se vuoi trionfare, aiuta gli altri a trionfare. Essere umano», spiega Confucio, «significa fare dei propri sentimenti la guida da seguire».

In teoria questa parola si riferisce alle cerimonie religiose, per esempio ai sacrifici del culto degli antenati. Tuttavia, in un senso più ampio, vengono chiamate li tutte le cerimonie e forme convenzionali di relazione tra gli uomini. Pertanto questa parola significa in realtà insieme di regole di comportamento esterno, o semplicemente “ciò che è corretto”. Secondo il contesto si può perciò tradurre come “cortesia” o “etichetta”.


imperatori

FOLLI Schizofrenia o terrore di stato?

Capricciosi, vendicativi, sadici‌ Gli imperatori romani del I secolo d.C. sono passati alla storia come squilibrati mentali, anche se in realtà agivano per difendere il proprio potere


NERONE E AGRIPPINA

In quest’olio su tela di Antonio Zanchi, Nerone contempla il corpo di sua madre Agrippina dopo averla uccisa. In seguito, l’imperatore, afflitto dal rimorso, vedeva lo spirito di sua madre e le Furie che lo rincorrevano per il suo crimine. Museo Statale, Darmstadt. BPK / SCALA, FIRENZE


C R O N O LO G I A

Folli, crudeli e malati 14-37 d.C. Durante il suo esilio a Capri, Tiberio, il successore di Augusto, si dedica al voyeurismo sessuale e soffre di paranoia e di disturbi ossessivi.

37-41 d.C. Caligola succede a Tiberio. Il suo comportamento è tipico di uno schizofrenico, come quando conversa da pari a pari con il dio Giove.

41-54 d.C. Il regno di Claudio, che probabilmente soffre di paralisi cerebrale, è uno dei più tranquilli e prosperi della dinastia giulio-claudia.

54-68 d.C. Nerone fa assassinare sua madre, in un impeto di malumore uccide sua moglie Poppea e ordina al suo mentore Seneca di suicidarsi.

81-96 d.C. Dopo la morte di Domiziano, terzo rappresentante della dinastia flavia, il Senato promulga una damnatio memoriae a causa della sua crudeltà.

LA FAMIGLIA IMPERIALE

Nel Gran Cammeo di Francia appaiono vari membri della dinastia giulio-claudia intorno a Tiberio incoronato. Biblioteca Nazionale, Parigi.

177-180 d.C. Commodo, figlio di Marco Aurelio, ripudia le politiche del padre e inizia una serie di esecuzioni sistematiche per seminare il terrore nel popolo.

218-222 d.C. Eliogabalo sostituisce il dio statale Giove con il Sol Invictus, di cui si dichiara Sommo Sacerdote, e costringe i senatori ad assistere ai relativi rituali.

74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

A L B UM

H

a destato sempre attenzione il fatto che nella dinastia giulio-claudia, la più conosciuta dell’antica Roma, ci fosse un numero così significativo di imperatori squilibrati, al punto che nessuno ricorda i loro successi mentre sono più che noti i loro comportamenti depravati. Raramente viene riconosciuto il grande trionfo di Ottaviano Augusto nell’instaurare la pax romana dopo anni di sanguinose guerre civili. Tuttavia, chi più chi meno ha sentito parlare delle stravaganze sessuali a cui Tiberio si dedicava nell’isola di Capri. O delle fissazioni del giovane Caligola, inclusa quella di nominare console il suo cavallo, l’unica creatura di cui si fidasse. Oppure della megalomania di Nerone, che non si fece scrupoli al momento di incendiare Roma per costruirsi un palazzo più adeguatamente arieggiato. O, addirittura, delle debolezze mentali del povero


IL FORO ROMANO

Durante il regno di Caligola il tempio di Castore e Polluce nel Foro (le tre colonne al fondo dell’immagine) venne unito al palazzo imperiale e consacrato all’imperatore, che in quel periodo cominciò a mostrarsi al popolo come un dio.

FRANCESCO CAROVILLANO / FOTOTECA 9X12

Claudio, balbuziente e pauroso abitante del palazzo imperiale che il caso volle trasformare in un imperatore. Di sicuro, una simile immagine degli imperatori romani deve molta della sua fortuna alla letteratura, al cinema e alla televisione. Gli autori moderni hanno spostato il centro dell’attenzione su alcuni comportamenti poco raccomandabili per un governante e che, tuttavia, si ripetono nel corso della storia dell’occidente: bere troppo, frequentare bordelli, avere eccessi verbali… Le superproduzioni nordamericane, con l’aiuto di alcune britanniche, hanno voluto mostrare sul grande schermo cosa succede quando il potere assoluto finisce nelle mani della follia assoluta, inducendo il pubblico a mettere in relazione le figure dell’antichità romana con personaggi contemporanei come i grandi dittatori del XX secolo.

TIBERIO, IL SOLITARIO Secondo Svetonio, Tiberio aveva un carattere scontroso e taciturno, che peggiorò quando Augusto lo obbligò a lasciare Vipsania per sposarsi con Giulia. Oro con effigie di Tiberio. MAN, Madrid.

Storici parziali L’interesse di Hollywood verso questi tiranni si basa anche sulle fonti della storioAS F / A L B U M

grafia dell’antichità. In particolare, sulle opere di autori appartenenti all’aristocrazia romana tradizionale che, pertanto, erano contrari al potere personale degli imperatori. Tra questi spicca Tacito, militare e statista che dedicò gli ultimi anni della sua vita alla stesura di due opere memorabili, le Historiae e gli Annales, nelle quali racconta la storia dell’Impero romano da Augusto fino alla sua epoca, sotto Domiziano (fine del I secolo d.C.). Entrambi i capolavori, sfortunatamente, ci sono giunti incompleti. Le descrizioni di Tacito, di uno straordinario realismo e di grande profondità psicologica, tramandano ritratti tenebrosi di imperatori come Tiberio e Claudio. Il biografo Svetonio, che scrisse sotto Adriano (117-138 d.C.), aggiungeva anche pettegolezzi scottanti su quegli imperatori che acquisirono fama di maledetti da una parte della storiografia, che è proprio quella che si è conservata. L’accusa più grave che questi storici antichi facevano agli imperatori era di essere folli. Infatti, queSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

75


LESSICO PSICHIATRICO

FOLLI E DEMENTI

I

romani svilupparono un cospicuo vocabolario intorno alla follia, intesa sempre come una rottura delle convenzioni che reggevano la società. Solo un problema di salute mentale poteva giustificare che un patrizio infrangesse certi suoi obblighi, dal momento che era considerato inammissibile anteporre ragioni personali o familiari all’interesse della patria. Il romano

dell’alta società che contravveniva a ciò che ci si aspettava da lui era folle (insanus), impazzito (insanire) o soffriva di qualche tipo di pazzia (insania). Questi erano i termini generici che si utilizzavano per indicare la mancanza di sanitas o ragione, perché la follia corrispondeva all’assenza di buona salute mentale. C’erano anche altri tipi di disturbi psichici: la pazzia dovuta alla stupidità (stultus, stolidus) era infatti diversa rispetto alla dementia, o amentia, ovvero

76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

la pazzia scaturita da una difficoltà a comprendere ciò che esige la realtà politica in un dato momento storico e a sapercisi adeguare. Se si adoperava correttamente la testa (mens), non si rischiava di impazzire; in caso contrario, ci si allontanava dalla scelta giusta e ci si poteva trasformare in un pericolo sia per i propri cari (demens) che per lo stato (amens). Un altro termine che si usava per designare la follia era furor, con una evidente accezione poetica.

sto diventò un argomento ricorrente, quasi un topico stilistico che, in realtà, nascondeva una critica politica. Per comprendere la frequenza di quest’accusa bisogna considerare che tra i romani la pazzia aveva un significato morale molto particolare. In questo, la cultura romana era molto diversa dalla greca. In effetti, i romani ritenevano che l’interesse personale fosse sempre subordinato al bene pubblico e che le virtù dei cittadini avessero valore solo se sottomesse al servizio dello Stato. L’educazione romana si fondava su un codice di obblighi, o officia, che guidava tutta la società e che aveva tre pilastri: la virtus, o ciò che si deve fare; la pietas, ovvero il rispetto verso i padri e gli dei della patria, e la fides, la fedeltà agli impegni presi. Chiunque doveva rispettare questo codice, e ancor più coloro che esercitavano una carica pubblica. Perciò, infrangere quel regolamento non era considerato solo un reato, ma anche un’aberrazione che si poteva spiegare solamente come l’effetto di uno squilibrio mentale, la follia, ovvero la insania. Possiamo trovare un esempio di que-


LA «SEÑORA DE LOS LIBROS». SESHAT, COMPAÑERA DE THOT, INSCRIBE EN UNA RAMA DE INDICABAN LOS AÑOS DE

sta riflessione in Cicerone, che fu anche un politico impegnato della sua epoca. Cicerone non esitava a definire pazzi tutti coloro che provavano a intralciare la sua carriera politica. Egli si basava sull’associazione tra la tirannia e la follia di cui aveva parlato il filosofo ateniese Platone. Secondo quest’ultimo la brama di potere assoluto è frutto di tre stati di alienazione: l’eccesso di alcol, l’innamoramento e la pazzia furiosa (La Repubblica, 573 c). Si tratta di tre stati transitori che provocano comportamenti squilibrati o socialmente patologici che, in generale, sono passeggeri, anche se, nel caso del pazzo furioso, possono diventare permanenti. Con ciò si stabiliva una connessione tra la follia e la tirannia che la maggior parte della storiografia romana dell’epoca imperiale usò per sminuire gli imperatori poco propensi a condividere il potere con il Senato. Un’altra cosa è se ci sia stato o no un imperatore che si potrebbe considerare clinicamente pazzo. Per follia, i romani intendevano dei disturbi che andavano dalla

MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

Di Tiberio, lo storico Svetonio risalta le presunte orge e perversioni a cui si dedicò nella sua villa di Capri, così come raffigura quest’olio su tela di Henryk Siemiradzki. 1881. Galleria Tretyakov, Mosca.

CULTURE-IMAGES / ALBUM

LUSSO E DEPRAVAZIONE

CALIGOLA A CENA CON IL SUO CAVALLO INCITATUS, CHE AVEVA NOMINATO CONSOLE. INCISIONE. 1806.

RESIDENZA IMPERIALE Tiberio si fece costruire anche una magnifica villa – nella quale si trovava questa scultura di Ulisse – sulla costa dell’attuale Sperlonga.

schizofrenia all’oligofrenia [grave forma di deficienza mentale congenita o ereditaria], senza che fossero in grado di determinare con precisione la gravità di ogni patologia. Tuttavia, per quanto riguarda gli imperatori, sono pochi coloro che sottolineano patologie o comportamenti anomali da un punto di vista psichiatrico. I loro gesti di crudeltà, piuttosto che l’effetto di un sadismo patologico, sono la conseguenza del feroce clima di lotta per il potere che assoggettò la corte imperiale di Roma. È anche vero, però, che troviamo negli imperatori non solo stranezze di carattere, ma anche alcuni atteggiamenti che potrebbero derivare da problemi psichici reali.

I sintomi della follia Attraverso i testi storici, vediamo quali sintomi presentavano i presunti imperatori pazzi. Tiberio (42 a.C. - 37 d.C.) soffrì in vecchiaia di un cambiamento radicale di carattere e si acutizzò il suo desiderio sessuale verso bambini e BRIDGEMAN / ACI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

77


LE TORCE VIVENTI DI NERONE

Secondo Tacito, per silenziare le dicerie che lo ritenevano responsabile dell’incendio di Roma nell’anno 64, Nerone sparse la voce che i colpevoli erano i cristiani. Quest’olio su tela di Henryk Siemiradzki riproduce il momento nel quale vari cristiani, per punizione, vengono legati a dei pali e accesi come fossero torce viventi. 1877. Museo Nazionale, Cracovia. ERICH LESSING / ALBUM



DEBOLE DI CARATTERE?

Secondo Svetonio, Claudio fu sottomesso dalle sue mogli, che abusarono della sua fragilità fisica allo scopo di controllarlo. Nell’immagine, Claudio compare da dietro una tenda e viene proclamato imperatore. Olio su tela di Alma-Tadema. 1871. Galleria d’Arte Walters, Baltimora.

ESEMPI DELLA MITOLOGIA

FOLLIE EROICHE

I

l furor, com’era anche nota in latino la follia, è la manifestazione di un disturbo del comportamento. Nella letteratura classica ci sono molteplici esempi di questo disordine. I grandi personaggi furiosi della mitologia hanno lasciato un’impronta indelebile nel pensiero occidentale: Ercole, Medea, Aiace… Protagonisti di opere drammatiche, vengono tutti raffigurati con un accesso

di follia passeggera, provocato nella maggior parte dei casi da una divinità che sconvolge il personaggio e lo porta a commettere azioni terribili. Come se il furore implicasse automaticamente la violenza. Medea uccide suo figlio in un attacco di follia provocato dal dolore di essere stata abbandonata dal suo sposo. Ercole assassina moglie e figli accecato dall’ira della dea Era. Aiace, impazzito di rabbia, si scaglia contro un gregge di pecore che ha confuso con le truppe nemi-

80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

che. Potremmo citare anche la regina Amata, sposa del re Latino, che ammattisce quando si rompe la relazione di sua figlia, Lavinia, con il candidato al trono, Turno, e dà fuoco al suo palazzo. La cosa curiosa di queste storie è che, dopo il momento di follia temporanea, i personaggi recuperano la lucidità e si rendono conto, inorriditi, di ciò che hanno fatto. Generalmente dopo questa presa di coscienza decidono di togliersi la vita, esiliarsi o consegnarsi alla giustizia.

bambine che l’imperatore, per eccitarsi, obbligava ad avere rapporti davanti a lui, come racconta Svetonio. Quel vizio – che adesso riteniamo tipico di un “vecchio sporcaccione”– non è altro che un sintomo di demenza senile da associare a disturbi ossessivi, a disinibizione e persino a paranoia. Con tutto ciò, l’assassinio di alcuni amici o familiari, come quello di suo nipote Bruto, barbaramente narrato da Tacito, è da attribuirsi a interessi politici. Il dottor Gregorio Marañón, nel libro che dedicò ad analizzare il carattere di Tiberio, respinse del tutto l’ipotesi della follia, sebbene riconoscesse che era un timido patologico consumato da manie che la vecchiaia aveva inasprito e trasformato in disturbi. Molto più folle, sotto tutti i punti di vista, fu il suo successore, il famoso Caligola (12-41 d.C.). Se la storiografia lo raffigurò come un mostro impazzito, la psichiatria attuale non esita ad affermare che alcuni dei suoi comportamenti corrispondano a quelli di un classico schizofrenico: paranoia, disturbi della personalità ed esperienza di una realtà parallela


E FO TOS TOC K

Gli sbalzi d’umore di Caligola erano proverbiali e spesso motivo di panico tra la sua gente, perché provocavano torture e castighi esagerati. Come narra ancora Svetonio: «Una notte convocò a palazzo tre ex consoli e quando essi giunsero pieni delle più terribili apprensioni, li fece salire su un palco; improvvisamente, saltò fuori vestito da donna, con un mantello e una tunica lunga, eseguì una danza accompagnato dal suono dei flauti e delle nacchere, e poi scomparve». La sua vita sarebbe stata meno pericolosa se

A Caligola si attribuisce la frase «Che mi odino. Basta che mi temano» riferita al popolo romano, che disprezzava. Museo Archeologico. Venezia.

avesse potuto dar libero sfogo alle sue passioni artistiche. Però come imperatore, le sue paranoie finirono col provocare il suo stesso assassinio, come una profezia che si auto-avvera: lo uccisero vari senatori, aiutati dalla guardia pretoriana – la scorta personale degli imperatori – stanchi dei suoi modi tirannici che, in questo caso, sì erano sintomo di follia. A Caligola successe Claudio (10 a.C.- 54 d.C.), un uomo che, fino alla fine dei suoi giorni, patì le conseguenze di aver vissuto un’infanzia complicata e repressa: balbettava, zoppicava, aveva molti tic nervosi, soffriva di epilessia e si ammalava continuamente. A causa di ciò, da piccolo subì disprezzo e burle da parte della famiglia imperiale. A furia di restare solo per risparmiarsi brutti momenti, Claudio visse come spettatore passivo di quanto succedeva nella corte imperiale fino al giorno in cui la guardia pretoriana, dopo aver assassinato Caligola, lo piazzò sul trono. La storiografia antica ha accentuato il potere che presumibilmente esercitarono su di

/ AG

Caligola, il travestito

DA AMATO A ODIATO

DEA

mediante allucinazioni. Questi sintomi, gravissimi se giudicati adeguatamente, furono motivo di censura nella storiografia successiva, che si concentrò solo sulle stravaganze e le esagerazioni di una persona disturbata. Così riferisce Svetonio: «Durante il giorno si consultava segretamente con Giove Capitolino, ora parlando a bassa voce e tendendo l’orecchio, ora gridando e non senza aggiungere offese».

AKG / ALBUM

AKG / ALBUM

NERONE SI RITENEVA UN BUON ATTORE E CANTANTE, ATTIVITÀ SOCIALMENTE CRITICATE. RILIEVO DI UNA SCENA TEATRALE. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

81


ORGOGLIO SCATENATO

Commodo, il megalomane

N

on solo furono definiti folli gli imperatori della prima dinastia dell’Impero romano, la più denigrata, logicamente, dai sostenitori del potere senatoriale, dato che era la prima e la più vicina alla loro epoca. Col passare del tempo, si consolidò il sistema del potere unipersonale. Tuttavia, l’opposizione senatoriale non smise per questo di svolgere la sua azione propagandistica allo scopo di diffamare l’imperatore di turno che si mostrasse particolarmente ostile al Senato. Così si spiega il caso di Commodo (161-192) figlio di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo. La sua massima follia fu, in effetti, quella di perseguire ed eliminare coloro che si opponevano alla sua politica.

PER SCREDITARLO, lo si trattava da buffone: «Ar-

BRIDGEMAN / ACI

rivò alla follia di pretendere che la città di Roma fosse chiamata Colonia Commodiana […] Il Senato non solo approvò con piacere la proposta per prenderlo in giro, ma si diede anche il nome di Commodiano, e iniziò a chiamare Commodo Ercole e Dio» (Historia augusta, Commodo Antonino 8, 6-9). In realtà, se ci rifacciamo alle fonti, questa megalomania di cui soffriva – un problema di disturbo della personalità – si spiegherebbe con la tendenza tipica degli imperatori a voler essere trattati come dèi in terra. Si tratta di esser fuori dalla realtà, come oggi succede a molti personaggi famosi, di carattere debole e insicuro, che si fanno suggestionare dalla fama e dai soldi. COMMODO AMAVA IDENTIFICARSI CON ERCOLE. A SINISTRA, ERCOLE UCCIDE LICA. ANTONIO CANOVA. XVIII SECOLO. GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA, ROMA.

L’IMPERATORE COMMODO, DAGLI SPALTI, SCAGLIA UNA FRECCIA CONTRO UN LEOPARDO CHE È SCAPPATO DALLA SUA GABBIA NELL’ARENA. INCISIONE OPERA DI JAN COLLAERT DESTINATO ALL’OPERA VENATIONES FERARUM, AVIUM, PISCIUM (LAMINA 14). PUBBLICATA AD AMSTERDAM NEL XVII SECOLO.


BRIDGEMAN / ACI


FESTIVAL E COMPETIZIONI

Spinto dal suo amore per le arti sceniche e atletiche, Nerone fondò dei giochi, i cosiddetti Neronia, che si festeggiavano ogni cinque anni in concomitanza col suo compleanno. Nell’immagine, il Festival della vendemmia di Alma-Tadema. 1871.

DEPRESSIONE O ANSIA

L’OPINIONE MEDICA

L

a follia a Roma non era solamente una questione medica o giuridica, come potrebbe sembrare a priori, bensì, e soprattutto, una questione politica. Dal punto di vista della conoscenza scientifica, il medico e compilatore Cornelio Celso, autore di Artes, ha lasciato considerazioni interessanti sulle manifestazioni fisiche e psichiche degli individui giudicati squilibrati. Specialmente, sui sintomi che gli autori medici erano in grado di identificare a quell’epoca, molti dei quali andavano uniti a comportamenti che oggigiorno consideriamo tratti del carattere o, in molti casi, sintomi di disturbi psicologici. È il caso della depressione, la tristezza o la frustrazione. Nel suo trattato De arte medica, Celso definisce insania, termine generico in latino per indicare la follia, il comportamento di un individuo che parla velocemente e con disinibizione, che

respira con difficoltà e che ha le vene dilatate. Tutti sintomi che attualmente, invece, farebbero pensare a un attacco di panico. Non solo la medicina ma anche la giurisprudenza mostrò interesse per i disturbi mentali. Ad esempio Ulpiano (170-228 d.C.) stabilì le norme che si sarebbero dovute adottare nella sua epoca nelle situazioni in cui era presente una persona folle.

NERONE. BUSTO DELL’IMPERATORE NELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE. SCALA, FIRENZE

lui sua madre, Antonia Minore, che non lo sopportava per i suoi difetti fisici, e le sue mogli, Messalina e Agrippina Minore, passate alla storia rispettivamente per gli eccessi sessuali e per la tendenza alla manipolazione. La psichiatria attuale ritiene che i sintomi di Claudio avessero origine in una possibile paralisi cerebrale, che comunque non influì sulla sua capacità cognitiva né sulla sua aspettativa di vita. Il suo impero fu tra i più tranquilli e prosperi del Principato romano. La serie televisiva inglese Io, Claudio, basata sul romanzo di Robert Graves, lo ha trasformato in un imperatore perspicace e intelligente che fu in grado di vincere la sua malattia e la sua stessa epoca. Era malato, non pazzo.

Crudele e tormentato A Claudio successe Nerone (3768 d.C.) un imperatore ricor-


DEA / GETTY IMAGES

AKG / ALBUM

dato dai posteri per la sua crudeltà e per la sua presunta follia. La psichiatria attuale ritiene che il suo non fu un caso di schizofrenia dato che lo schizofrenico non si pente delle sue azioni e non prova empatia per il dolore altrui, persuaso com’è della realtà dei suoi deliri. Nerone, al contrario, non riusciva ad addormentarsi e nutriva grandi rimorsi per i suoi crimini, indizio che dimostra che era consapevole dei danni che arrecava ai suoi sudditi. La sua crudeltà e i suoi turbamenti sono il risultato di una madre manipolatrice e desiderosa di potere, Agrippina, che lo utilizzò per diventare imperatrice di Roma. Questo provocò in lui una nevrosi ossessiva che lo condusse a ordinare la morte della madre allo scopo di liberarsi dal suo controllo. Tacito racconta: «Ma alla fine, considerando che la madre, ovunque fosse, era per lui un peso gravoso, decise di ucciderla; l’unico problema era se col veleno, col ferro o con altra forma di violenza». Per il resto, Nerone era un giovane viziato e pieno di capricci che il suo precettore e tutore,

Seneca, sopportò; non soddisfarli provocava, per impotenza, attacchi di rabbia, seguiti da episodi di crudeltà che avevano l’obiettivo di eliminare gli ostacoli. Il rendersi conto che il panico che seminava gli dava libertà rappresentò il detonante del suo regime del terrore, e non fu invece la decisione allarmante di un folle. Come recentemente ha dimostrato l’esperta inglese in studi classici Mary Beard, Nerone e Caligola non saranno stati certo amabili, eppure il fatto che siano passati alla storia come pazzi è il risultato di un lavoro di manipolazione portato avanti non solo dai loro successori, ma anche da coloro che hanno narrato i fatti dalla fazione opposta. Tranne il caso della schizofrenia di Caligola, i dati non confermano la follia degli altri imperatori celebri per questa caratteristica. Certo, è vero che erano affetti da patologie che non favorivano il corretto funzionamento del governo. Ma un imperatore non ambisce al buon governo. Ambisce a ottenere più potere.

IL COLOSSEO DI ROMA

Nerone arrivò a suscitare un tale odio tra i membri dell’aristocrazia romana che, poco dopo la sua morte, il suo successore, Vespasiano, fece radere al suolo il suo palazzo, la Domus Aurea, per costruirci sopra il famoso Colosseo.

ROSARIO LÓPEZ GREGORIS UNIVERSITÀ AUTONOMA DI MADRID

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

85


I migranti che forgiarono una nazione

LA CONQUISTA L’espansione della frontiera verso l’Oceano Pacifico creò un mito che è presente


TERRA DI VORAGINI

Cannyonland, nello Utah meridionale, faceva parte del cosiddetto Cammino Spagnolo. Una rotta che congiungeva Santa Fe con Los Angeles lungo il corso dei fiumi Verde e Colorado, dai quali i coloni ottenevano l’acqua per affrontare il faticoso viaggio. SUPERSTOCK / GETTY IMAGES

DELL’OVEST ancora oggi nel temperamento degli Stati Uniti


ITINERARI INCONTAMINATI

Un cacciatore di bufali scruta l’orizzonte in questo quadro di Alfred J. Miller, che nel 1837 scortò una carovana di pelli alle Montagne Rocciose. IL CAMMINO PER LA CALIFORNIA

Dalla metà del XIX secolo migliaia di persone usarono questa rotta verso il Pacifico. A destra, una carovana attraversa City of Rocks .

N

el 1835, Alexis de Tocqueville, un giovane scrittore francese di origine nobile e provinciale, pubblicò il primo volume di La democrazia in America. In questo libro raccontava, in bilico tra sbalordimento e preoccupazione, le impressioni e le riflessioni che era riuscito a mettere insieme durante un viaggio di nove mesi negli Stati Uniti. Tocqueville scoprì che la democrazia e la massiccia emigrazione europea stavano provocando in America un mutamento della civilizzazione: «Ci troviamo qui in un altro mondo», sottolineò in un’epistola. Era rimasto affascinato da quello che lui chiamava «l’organismo sociale», ovvero l’azione combinata di migliaia di indi-

CREAZIONE DI UN NUOVO PAESE

88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

vidui, di qualunque origine, che erano arrivati in America alla ricerca del trionfo, ovvero per uscire dalla miseria. Insieme al suo amico e compagno di viaggio Gustave de Beaumont, lo scrittore si dedicò a osservare quella realtà, a loro ignota: dalle feste dell’alta società newyorkese ai freddi porti dove venivano scaricati quotidianamente migliaia di emigranti. La curiosità che provavano era tale che i due amici decisero di addentrarsi nel paese appena nato, e ciò che vi scoprirono fu «una condizione generale di uguaglianza tra la gente». Diversamente da quanto avveniva in Europa, il temperamento e le passioni degli individui riuscivano a proiettarsi verso il futuro senza rivoluzioni sanguinarie né lotte sociali. La ra-

CHARLES PHELPS CUSHING / CLASSIC STOCK / GETTY IMAGES

BUFFALO BILL CENTER OF THE WEST, WYOMING / ART ARCHIVE

1803

1830

1846

GLI STATI UNITI comprano dalla

IL PRESIDENTE Andrew Jackson

GLI STATI UNITI e la Gran Bre-

Francia la Louisiana e spostano la frontiera occidentale dal Mississippi fino alle Montagne Rocciose e ai fiumi Arkansas e Red, raddoppiando la loro estensione.

approva l’Indian Removal Act, una legge grazie alla quale il governo può negoziare l’espulsione e il trasferimento dei nativi dal sudest ad altri territori federali.

tagna cessano i conflitti e firmano il trattato dell’Oregon, che riconosce la sovranità britannica su Vancouver e quella nordamericana sull’Oregon e fino al Pacifico.


1869 L’UNIONE DELLE linee Central

e Union Pacific rende possibile la connessione ferroviaria tra la costa ovest e quella est con la prima ferrovia transcontinentale, che accelera la colonizzazione.


H IDATSA

Co l u m b i a

Rojo

MISSISSIPI

s-O n ís (1819)

C H E R O K E E GEORGIA ALABAMA

FLORIDA

zos

LUISIANA

g h o rn Bi

Ver d

do

Co

l

nt (S e

e

New Orleans

San Antonio Nuec

es

G O L F O

115°

110°

D E L

O S I C M E S

105°

100°

95°

90°

NATGEO MAPS

GLI STATI UNITI: UN PAESE CONTINENTALE

D

opo aver raggiunto l’indipendenza dalla Corona britannica nel 1783, le antiche colonie iniziarono un’espansione territoriale che le condurrà a occupare l’intero territorio situato tra Messico e Canada. Questa espansione fu possibile mediante compravendite (Florida, Louisiana), guerre (contro Messico e Gran Bretagna), e accordi per delimitare le proprie zone di influenza e quelle degli altri (con Gran Bretagna e Spagna). Migliaia di pionieri si lanciarono all’avventura e aprirono rotte verso occidente, una terra ostile però ricolma di ricchezze. Il risultato di tutto ciò fu che nel 1861 gli Stati Uniti avevano praticamente guadagnato quelli che sono i confini attuali.

ón

ARKANSAS

Chattanooga

200 Miglia

120°

ur

H

H

Memphis

Austin

nd

0

Little Rock

TENNESSEE

Bra

o

a

Trattati di frontiera 25°

e

KENTUCKY

Fort Mims

Chihuahua

Tribù indiane

St. Louis

e s see

Trat tato A dam

E

Territori degli USA nel 1846

Tahlequah

INDIANO

Ri

OAD E R O YA L R

Stati degli USA nel 1846

Franklin

SENTIERO DELLE LACRIME

TEXAS

Gr

ri

INDIANA

Camp Dubois

MISSOURI

TERRITORIO

an

S

TH

L’ESPANSIONE A OVEST (1803-1846)

SA O DI TI ER

FE NTA

E

OHIO

Territorio reclamato dal Messico

M E S S I C O

L.

n Ten

n Cimarró ón) arr Cim ero

C a n adi

N

Independence

E

O

OCE ANO PAC IFIC O

Council Grove

R

(S

I

M OJAVE

MESSICO

enti

a

Fort Meigs

ILLINOIS

U

C

DEL

San Juan N U O V O Pueblo Santa Fe

I

N

ier

C

Passo di Ratón

SE

i mo n t a g n a ) od

L

H

N

A

a

Arkansas

O

or

CALIFORNIA

MA NDA N

ON

e

souri

O

DESERTO

30°

Mis

N

EG

or

IOWA

te Pla t

I

I

e

L L’OR

R

B

ark

P

C

Cl

I

A

e

N

N

i pi

w

DE

siss

Le

A

is

A

PISTA

E

R

Mis

di

Fort Laramie

N

dt

A AD EV A N S I E RR n qu i oa Sa n J

G

R

Pass

G

bol um

TERRITORIO DEL WISCONSIN

South D E L L A L U I S I A N A

A

ake

eri

A

G

T

Sn

( 1 81 9 )

Sutter’s Fort

35°

N

REGON

AdamsOnís

S a c r a m en t o

40°

Fort Hall

Bla c k H ills

Sup

G

O

L’O

Trattat o

A R IK A R A

TERRITORIO

o

M I C

ero

EL

DELL’OREGON

l Ye

one

ag

go

M

D

st low

MA NDA N Senti

P I S TA

L

io

M i sso u r i

Oh

TERRITORIO

Lago Michigan

urton (184 2)

ipi

45°

N I C O B R I T A N

T E R R I T O R I O

siss

Fort Clatsop Astoria

Webste r-Ashb

Mis

49°

Tratta to

1803-1846 thomas jefferson acquistò la Louisiana per 15 milioni di dollari nel 1803 e commissionò a Meriwether Lewis e a William Clark una spedizione che avrebbe dovuto aprire un cammino verso l’Oceano Pacifico. Il viaggio cominciò a Saint Louis, punto di accesso del West e, risalendo il Missouri, si concluse alla foce del Columbia. A questo sentiero precursore si incorporarono altre rotte percorribili con i carri: quella dell’Oregon e quella di Santa Fe. Gli accordi tra Gran Bretagna e Spagna fissarono i limiti settentrionali e meridionali. Nel 1845, l’annessione del Texas scatenò un conflitto con il Messico. Una disputa che si sarebbe risolta negli anni successivi. BR

IDG

EM

AN

/A

CI

LEWIS E CLARK CONVERSANO. PARTICOLARE DI UN’ILLUSTRAZIONE SULL’ARRIVO DELLA LORO SPEDIZIONE NELL’OCEANO PACIFICO.


49°

Seattle

45°

M i ssou r i

M ICH

MINNESOTA

M

TERRITORIO DEL DAKOTA

(1858)

Mi

O

OREGON

ssi

N

WISCONSIN (1848)

ss

ip i

N

(1859)

IGA

Michigan

TERRITORIO DI WASHINGTON

Colu m b i a

Lago

G

T

TERRITORIO DEL NEBRASKA D

do

U

O

R E

MISSISSIPI

la

ACQUISTO GADSEN (1853)

ALABAMA

LUISIANA Br

TEXAS

azo

s

Sentiero mormone

Sentiero di Santa Fe Città

New Orleans Ri

Chihuahua

Campo di battaglia

MESSICO

200 Miglia

115°

o

e

Pony Express

an d

Sentiero dell’Oregon

Sentiero del Gila

Gr

Sentiero della California

120°

Mis

E

Gi

ipi

S

110°

105°

Battaglia di Resaca della Palma 100°

G O L F O

D E L

S I C O M E S

95°

90°

Battaglia di Palo Alto

NATGEO MAPS

1846-1861 la guerra contro il Messico, tra il 1846 e il

1848, si concluse con l’annessione agli Stati Uniti di California, New Mexico, Utah e Nevada. In questo modo, alle rotte originarie verso occidente se ne aggiunsero altre che ogni giorno percorrevano migliaia di persone che, dopo aver collocato tutti i propri beni su un carro e spinte dalla speranza di migliorare le proprie condizioni di vita, sopportavano lunghe e faticose ore di viaggio. L’imprevedibile scoperta dell’oro a Sutter’s Mill moltiplicò il numero di coloro che, convinti di potersi arricchire con facilità, si lanciarono in direzione del Pacifico. San Francisco, per esempio, passò da neanche mille abitanti nel 1848 a 20.000 due anni più tardi. Nel 1852 superava addirittura i 34.000 residenti e nel 1860 divenne la quindicesima città degli Stati Uniti, vantando 56.000 abitanti. La febbre dell’oro californiana non fu l’unica: a essa seguirono, per esempio, quelle del Colorado o del Nevada, le cui popolazioni aumentarono esponenzialmente.

IL PAESE DI TAOS SI TROVA NEL TERRITORIO CHE NEL 1912 SI TRASFORMÒ NELL’ATTUALE STATO DEL NEW MEXICO.

J. T. VINTAGE / BRIDGEMAN / ACI

25°

ARKANSAS

siss

ra

lo

Co

N

I

TERRITORIO DEL NUOVO MESSICO

LA GUERRA CONTRO IL MESSICO E LA FEBBRE DELL’ORO 1846-1861

0

TENNESSEE

TERRITORIO INDIANO

30°

Anno in cui viene accettato come Stato

MISSOURI

A

C

Bent’s Fort

Santa Fe Los Angeles

(1859)

(1861)

I

C

Arkansas

Localizzazione del paese di Taos

San Diego

St. Joseph Fort Leavenworth

KANSAS

P

O

Pikes Peak

ILLINOIS

Nauvoo

R

TERRITORIO DEL COLORADO

(1850)

OCE ANO PAC IFI CO

Omaha

Winter Quarters

I

TERRITORIO DELLO UTAH

CALIFORNIA

35°

IOWA

N

Salt Lake City

E

San Francisco

N

S

Rich Bar Gold Hill Virginia City Carson City ac Sutter’s Mill ram TERR. e n to NEVADA

A

Fort Laramie

G

Sa c r a m ento

Grande Lago Salato

Lago Piramide

M i s s ouri

A

40°

R

Snake


I CORAGGIOSI UOMINI DELLE MONTAGNE ADDESTRATORI DI ORSI

I COSIDDETTI MOUNTAIN MEN, o

Esploratori e pionieri Generalmente si tende a stabilire la svolta fondamentale per la conquista del West da parte degli Stati Uniti nella spedizione di Meriwether Lewis e William Clark, che tra il KEN LUCAS AGE FOTOSTOCK

92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ARRICCHIRSI

Tre cercatori setacciano l’oro (a destra) nel Dakota, nel 1889. Tipico di questi tempi era unire sforzi e spese e lavorare con un’attrezzatura minima.

1804 e il 1806 percorsero l’area del Mississippi e del Missouri su ordine del presidente Jefferson. Un totale di 27 militari e due civili (la guida Drouillard e lo schiavo di Clark, di nome York) partirono dall’Indiana dopo un rigido inverno. Provvisti di canoe, fucili, apparecchiatura scientifica, regali per gli indigeni (specchi, forbici, coltelli e tabacco), marciarono alla volta dell’obiettivo assegnatogli da Jefferson: individuare «la rotta commerciale più diretta e fattibile che attraversi il continente». La cosa più importante, come in qualunque spedizione, fu che arrivarono fino al Pacifico e rientrarono per raccontarlo. Quell’impresa di “diplomazia di frontiera” – che alcuni storici del XX secolo sono arrivati a paragonare allo sbarco dell’uomo sulla Luna– servì da inventario di risorse, popolazioni e itinerari di accesso ai nuovi territori. Grazie a questa prima spedizione, si ufficializzarono le prime mappe delle straordinarie terre situate a Occidente. Nonostante ciò, risulta complesso determinare se la conquista del West sia da considerare il risultato di un piano politico delle autorità nazionali o, al contrario, un naturale adattamento alla vitalità di quella

PEPITA D’ORO TROVATA A SONORA, CALIFORNIA, NEI PRESSI DI SUTTER’S MILL.

BRIDGEMAN / ACI

gione di tutto ciò altra non era che la disponibilità di immensi spazi inconquistati. Nel 1803, la repubblica appena nata aveva sottratto alla Francia il territorio della Louisiana, che allora era una vasta estensione che copriva la zona che va dal Mississippi alle Montagne Rocciose. In tal modo, la nuova nazione si trovava tra le mani un terreno sconosciuto e in via d’esplorazione che comprendeva i 13 stati originari e i suoi possedimenti, stando al trattato di indipendenza stipulato con la Gran Bretagna nel 1783. Nel 1819, gli Stati Uniti comprarono dalla Spagna anche la Florida, e tra il 1846 e il 1848 intrapresero una guerra di annessione in seguito alla quale incorporarono anche gli sconfinati territori del Texas, della California e del Messico settentrionale.

Dopo esser caduto in rovina durante la febbre dell’oro, John Grizzly Adams (a sinistra) partì per le montagne per diventare cacciatore di orsi.

NEWBERRY LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI ORONOZ / ALBUM

“uomini delle montagne”, per primi cercarono di sfruttare il nuovo territorio aprendo rotte inedite verso Occidente. Si trattava di personaggi solitari che si avventuravano in territori inospitali alla ricerca di pelli da commercializzare, in concorrenza diretta con i cacciatori britannici. Il ruolo di questi uomini, che agivano in modo indipendente, fu essenziale per pianificare l’espansione verso la Lousiana e l’Oregon. La loro perseveranza li condusse ad aprire la rotta dell’Oregon, un cammino alternativo e più efficace di quello di Lewis e Clark verso il Pacifico.


LE FEBBRI DELL’ORO

LA FEBBRE DELL’ORO DELL’IDAHO. MANIFESTO CHE ANNUNCIA LA PARTENZA DI UNA NAVE A VAPORE VERSO LE MINIERE D’ORO DELL’IDAHO NEL 1863 E SOTTOLINEA IL RISPARMIO DI TEMPO IN CONFRONTO A ROTTE PIÙ LUNGHE.

BRIDGEMAN / ACI

N

ella seconda metà del XIX secolo, il desiderio di arricchirsi velocemente produsse diverse febbri dell’oro. La più famosa fu la prima, nel 1848, che innescò una delle migrazioni più massicce della storia del Nord America, in questo caso verso la California. La scoperta di minerali preziosi ai piedi della Sierra Nevada richiamò in pochi mesi centinaia di migliaia di cercatori di oro di tutto il mondo: conosciuti come forty-niners, «gli uomini del 49», dall’anno di arrivo, generarono una gran quantità di attività commerciali destinate a soddisfare le necessità di una popolazione in costante aumento.


I COLONI DELLE GRANDI PIANURE

Nel 1862, il Congresso ratificò l’Homestead Act, che consentiva a qualsiasi cittadino maggiorenne di reclamare 7.500 metri quadrati di terra nelle Grandi Pianure, la sconfinata superficie pianeggiante che si trova tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose. Dopo aver vissuto lì per cinque anni, l’homesteader diventava automaticamente proprietario di quell’appezzamento di terra. Nell’immagine, Sylvester Rawding posa nel 1886 insieme alla sua famiglia e ai suoi possedimenti nel suo podere situato nella Contea di Custer (Nebraska), davanti alla sua precaria fattoria d’argilla e zolle di terra costruita di fronte a una collina per potersi proteggere dal vento. PETER NEWARK AMERICAN PICTURES / BRIDGEMAN / ACI



COLLEGARE IL TERRITORIO

Dal 1869 la ferrovia unì la costa orientale e quell’occidentale. A sinistra, la costruzione del binario di Central Pacific, che univa Utah e California. L’ULTIMA TAPPA DEL VIAGGIO

Dopo aver varcato le Montagne Rocciose, si giungeva al fiume Snake (a destra) per affrontare l’ultima parte del tragitto.

repubblica da poco emancipata. La gran parte di questa esplorazione fu portata a termine da individui come Jedediah Smith, che si addentravano nelle terre ignote da soli e senza aiuto da parte del governo. Smith fu contrattato a 23 anni dalla Compagnia di pellicce del Missouri. Provvisto di una Bibbia e di un fucile, riuscì ad oltrepassare il Nevada, attraversare lo Utah, entrare in California via terra e diventare il primo uomo bianco a scalare la Sierra Nevada, prima di morire, nel 1831, aggredito dai guerrieri Comanche. Aveva 32 anni. La Compagnia di pellicce del Missouri assicurava di poter contare su «cento uomini –come Jedediah Smith– che scalano le Montagne Rocciose», individui votati all’attività lucrativa delle pellicce nelle terre del nord-ovest. I ce-

lebri romanzi scritti da James Fenimore Cooper (L’ultimo dei mohicani, La prateria) o da Karl May (Winnetou) decantavano il coraggio degli avventurieri solitari che abbandonavano la civiltà per addentrarsi nei territori di frontiera. Avventurieri che, una volta sopraggiunti su suolo ignoto, diventavano automaticamente dei pionieri. Per sopravvivere negli sconfinati spazi interni del continente americano era fondamentale avere un cuore onesto, forza fisica e mentale e destrezza con la meccanica. Questa sete di conquista venne messa in rilievo nel 1845 dal giornalista John L. O’Sullivan, che enunciò la teoria che forgiò il medesimo espansionismo statunitense: il “destino manifesto”. Secondo questa dottrina, Dio aveva conferito alla nuova nazione americana il diritto di estendersi per tutto il continente al fine di diffondere dappertutto la libertà, una convinzione che motivò milioni di coloni a dirigersi alla volta dell’Occidente.

L’epoca delle carrozze Per comprendere la conquista del West non è possibile prescindere dall’espansione dei nuovi sistemi di trasporto, come le barche e i

LA LINEA NORTHERN PACIFIC UNIVA LA REGIONE DEI GRANDI LAGHI ALLA COSTA DEL PACIFICO.

DREW RUSH / AGE FOTOSTOCK

CHICAGO HISTORY MUSEUM / BRIDGEMAN / ACI

PVDE / BRIDGEMAN / ACI



LO STERMINIO DEL BUFALO AMERICANO I SESSANTA MILIONI di bisonti che pascolavano nell’America del

Nord prima dell’arrivo degli europei diventarono un problema per l’espansione delle città e delle fattorie, delle tenute e della ferrovia: i coloni portarono a termine una caccia sistematica che quasi condusse alla loro estinzione. Le necessità dell’industria del cuoio fecero sì che a partire dal 1870 si iniziassero a catturare un milione di bisonti all’anno. Un militare del Kansas descriveva come «la pianura che due mesi prima pullulava di vita», si era trasformata in «un deserto esanime». Già nel 1890 sopravviveva solo un centinaio di esemplari.

IL NUTRIMENTO DEGLI INDIANI

La principale risorsa nelle Grandi Pianure era il bisonte, che veniva cacciato a cavallo (a sinistra). Litografia di un olio di G. Catlin. BANDITI RIABILITATI

Shorty in sella al suo cavallo e con la sua famiglia nel 1901 (a destra). Dopo una vita da fuorilegge, si stabilì come agricoltore in Nebraska.

traghetti messi in movimento dall’energia a vapore. Il vero limite allo sviluppo della nazione si trovava in quelle zone nelle quali non arrivava la rete ferroviaria. A partire da questo punto, le protagoniste assolute diventavano le carrozze, con cui si arrivava al Pacifico, la meta tanto agognata. La scoperta dell’oro in California nel 1848 stimolò considerevolmente gli sforzi di tutti quei pionieri. Dopo aver oltrepassato il Mississippi, dapprima in direzione dell’Oregon e in seguito della California, le carovane che conducevano contadini e allevatori, con o senza famiglia, arrivavano a destinazione. I colonizzatori mennoniti tedeschi resero famosa la carrozza conestoga, costruita con ampie ruote di legno e rinforzi di ferro, con barre curve sulle quali poggiava una tela impermeabilizzata con olio di semi di lino. Procedendo a tre o quattro chilometri orari, ci

metteva cinque mesi per andare dal Missouri alla California. Durante la notte, queste vetture si schieravano a cerchio per proteggersi. Gli anziani e i bambini erano i più esposti alle privazioni e alle malattie del viaggio, specialmente a colera e dissenteria. Questo grande progresso dovette scontrarsi anche con le confederazioni degli indigeni nomadi. Le relazioni tra coloni e nativi passarono da un iniziale cameratismo bonario al tentativo di conversione religiosa a opera degli svariati predicatori che viaggiavano nelle carovane, sfociando, infine, nella violenza saccheggiatrice tipica di qualsiasi guerra di frontiera. Fino al decennio del 1850 furono sporadiche le offensive degli indigeni, i quali, più che altro, si avvicinavano per barattare pelli o liquori e per curiosare. Tuttavia, negli anni successivi si intensificò il clima di violenza (che preannunciava l’avvento di una guerra civile) e incrementò il pericolo dei viaggi.

Guerra e violenza Nel 1859, due anni prima dell’inizio della guerra di Secessione, il risoluto editore ed espansionista Thomas B. Stevenson redasse

SELLA DA COWBOY. FINE DEL XIX SECOLO.

GRANGER / ALBUM

BILL MANNS / ART ARCHIVE

BRIDGEMAN / ACI



ORSO SEDUTO

Kunuhtiwit (a sinistra) era capo degli arikara, tribù relegata nella riserva di Fort Berthold, Dakota. Nel 1910 vendette gran parte del suo territorio. IL TEMPO DELLA DILIGENZA

Wells Fargo trasportò posta a Ovest dal 1852, passando per 5.000 chilometri di rotta. A destra il suo ufficio, situato a Virginia City, nel 1866.

LOREUFSDF

un articolo nel quale affermava che esistevano questioni molto più importanti rispetto alla schiavitù –il principale fattore che scatenò la guerra– da considerare per il futuro dell’Unione. Dal suo punto di vista, la demagogia impediva di rendersi conto che il bene pubblico risiedeva in ciò che realmente importava, ovvero l’occupazione del West. Alla fine della guerra civile, nel 1865, la conquista dell’Ovest giunse al suo apogeo. L’incontrollato cameratismo maschile, il banditismo e l’assenza di leggi si tramutarono in un invito per soldati e veterani congedati a impossessarsi di tutte le terre apparentemente prive di un proprietario. Stando a quanto scrisse Mark Twain, che si era rifugiato nel Montana dopo aver disertato dall’esercito in piena guerra, qualunque nuovo arrivato nel West non sarebbe stato rispettato se prima non avesse «ucciso qualcuno». Lo stesso Twain si vide obbligato a scappare

a San Francisco a causa dello sdegno suscitato dai suoi articoli satirici pubblicati dalla stampa di Virginia City. Dopo la guerra, la ricostruzione della nazione impose l’attivazione, in tutta l’Unione, di meccanismi di centralizzazione del potere e nazionalizzazione obbligatoria fino a quel momento sconosciuti. Il telegrafo, il filo spinato, gli sheriffs e le ferrovie cominciarono a occupare il paesaggio insieme ai migliaia di coloni che, incoraggiati dal governo federale, si insediarono nella zona delle Grandi Pianure.

Espressi da costa a costa La ferrovia fu uno dei principali motori della massiccia emigrazione verso Occidente avvenuta dopo la guerra. Tra il 1830 e il 1850 erano stati costruiti 5.000 chilometri di binari nell’Est, e personaggi come il commerciante di tè Asa Whitney o l’audace ingegnere Theodore D. Judah dimostrarono che era possibile arrivare fino al Pacifico. Nel 1861, Judah fondò la compagnia Central Pacific (rotta da Sacramento al Nevada) insieme ad altri tre imprenditori dediti ai settori della ferramenta, dell’alimentare e dei tessuti. Poco dopo, il ge-

TH EB

TAMBURO DI GUERRA INDIANO DEL XIX SECOLO. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

RIT ISH

MU

SE

UM

, LO

ND

ON

/ RM

N-GR

AND PA

LAIS

BRIDGEMAN / ACI

LIBRARY OF CONGRESS / BRIDGEMAN / ACI




MUSICA, DRINK, GIOCO D’AZZARDO E RISSE

Nelle città proliferarono bar, casinò e bordelli per soddisfare uomini che desideravano scommettere, bere e godere della compagnia femminile in seguito alle dure giornate lavorative. A Leadville, in Colorado, vennero aperti 120 bar, 118 sale da gioco e 35 case chiuse. La combinazione di virilità, alcol, scommesse e armi da fuoco suscitò svariate risse e morti. In quest’immagine, scattata agli inizi del XX secolo nel bar Cosmopolitan, a Telluride, in Colorado, il marshall o ufficiale giudiziario (equivalente allo sheriff) posa vicino al bancone mentre gli altri uomini giocano e bevono. DENVER PUBLIC LIBRARY / BRIDGEMAN / ACI


LA VISIONE FEMMINILE DI UNA TERRA DI UOMINI POETA E ATTIVISTA

FINO AL 1950 i personaggi dei film del West erano esclusivamente

Da repubblica a impero La concezione degli Stati Uniti come terra di accoglienza, più aperta allo sviluppo dei meriti individuali che all’estrazione sociale e abitata 104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA NAZIONE DEI NAVAJO

Monument Valley, a destra, alla frontiera tra i territori di Utah e Arizona, faceva parte delle vaste terre in cui risiedevano gli indiani navajo.

da individui intrepidi e irrequieti venne forgiata nel 1893 dallo storico Frederick J. Turner ne Il significato della frontiera nella storia americana. Secondo Turner, gli statunitensi avrebbero plasmato il proprio carattere democratico proprio durante l’esperienza del West. Per usare le sue parole, «la frontiera è la linea dell’americanizzazione più rapida ed effettiva; la crescita del nazionalismo e l’evoluzione delle istituzioni politiche dipendono dal suo progresso». Nel 1891, l’ufficio nazionale del censimento aveva dato per conclusa la frontiera e pertanto la linea da cui sarebbe dovuta dipendere l’evoluzione della nazione smise di esistere. La frontiera successiva, quella dei Caraibi e del Pacifico, fece la sua comparsa nel 1898, dopo una guerra breve e facile contro il crepuscolare potere imperiale spagnolo. La conquista del West era stata un primo passo del cammino dell’allora giovane repubblica per trasformarsi in un impero influente e rispettato in tutto il mondo. Tuttavia, le conseguenze che un simile passo avrebbe comportato nel secolo successivo erano ancora ignote. MANUEL LUCENA GIRALDO CSIC /IE UNIVERSITY

BRIAN JANNSEN / AGE FOTOSTOCK

nerale e congressista Greenville Dodge lanciò un progetto alternativo, chiamato Union Pacific, nel cammino dal Nebraska al Nevada. Il governo gli consegnò denaro e 16 chilometri di terreni a entrambi i lati del binario affinché costruissero dove c’erano montagne, pianure e deserti. Le due compagnie gareggiarono per cercare di completare l’incarico prima dell’altra. Cinesi, irlandesi, veterani di guerra e antichi schiavi formavano squadre che aprivano tunnel per svuotare le montagne. Nel 1868, Union Pacific costruì 648 chilometri di binari; Central, invece, 580. Dopo una spietata concorrenza, l’anno successivo i responsabili di entrambe le compagnie decisero di fare la pace e misero i chiodi dell’ultima rotaia permettendo che 150.000 viaggiatori sfruttassero la nuova rotta transcontinentale. Da Omaha fino a Sacramento (in California) ci volevano dieci giorni anche se c’era chi preferiva viaggiare per mare, dai porti della lontana costa dell’Est. Verso la fine del XIX secolo, cinque grandi linee trasversali valicavano le antiche praterie.

Helen Hunt Jackson, a sinistra, lottò per i diritti delle tribù indiane. Sposata con un militare, pubblicò il romanzo Ramona nel 1884.

BETTMANN / GETTY IMAGES

uomini bianchi dotati di temperamento forte. Le donne, in generale, impersonavano ruoli di sottomissione, benché in realtà le cose stessero diversamente. Ricerche recenti portate a termine da Nina Baym hanno dimostrato che esisteva una produzione letteraria e di feuilleton scritta e usufruita dalle donne. L’autrice ha documentato 343 scrittrici “del West” tra il 1833 e il 1927, la cui visione dista da quella cinematografica. Appaiono come eroine quotidiane, proprietarie di attività commerciali e fattorie, più energiche e allegre rispetto alle donne delle confortevoli città dell’Est, benestanti e infantilizzate dall’asfissiante modello vittoriano. La maggioranza di queste scrittrici era inglese o irlandese, ma ce n’erano anche alcune cinesi e ispaniche.



GRANDI ENIGMI

La sala d’ambra che svanì dopo un bombardamento Rubata dai nazisti da San Pietroburgo, la Camera d’Ambra fu portata a Kaliningrad, dove se ne persero le tracce nel 1944 se pareti e mobili rivestiti di ambra, materiale che allora valeva il doppio dell’oro. Durante la sua costruzione, che durò otto anni, vennero adoperati centomila pezzi di ambra per rivestire una superficie di 36 metri quadrati.

Un regalo per lo zar Questo enorme gioiello attirò l’attenzione dello zar Pietro I il Grande, che ne rimase affascinato durante una visita a Berlino fatta per sancire l’alleanza militare con la Prussia contro la Svezia. Nel 1717, Federico Guglielmo I di Prussia suggellò quest’accordo regalando al suo nuovo alleato la sontuosa camera. La sala fu smontata e impacchettata

per poter essere trasferita – dapprima per mare e poi via terra, grazie a 18 slitte trainate dai cavalli – a San Pietroburgo, la capitale-vetrina che Pietro aveva appena fondato sulle rive del Baltico. Una volta lì, si decise di sistemarla nel palazzo di Caterina, nella vicina Carskoe Selo, la residenza estiva degli zar. Vennero aggiunti 48 metri quadrati di pannelli d’ambra e la sua decorazione si arricchì di nuovi mosaici. Al termine della sua ultima ristrutturazione, nel 1770, sei tonnellate di pannelli d’ambra, una grande lamina d’oro, innumerevoli pietre preziose, 24 specchi e un pavimento di legni pregiati avvolgevano una camera di

PIETRO I E LA SUA CAPITALE LO ZAR PORTÒ la Camera d’Ambra nella nuova capitale, costruita per sostituire Mosca. Pietro I fu il primo monarca russo a essere stato educato all’estero e si ripromise di europeizzare il suo regno. Nel 1703 fondò San Pietroburgo, la “finestra sull’Occidente” dell’impero, progettata per mostrare il potere della nazione russa. PIETRO I IL GRANDE (1672-1725). MUSEO DI YOUNG, SAN FRANCISCO. FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK

LA CAMERA D’AMBRA CULTURE-IMAGES / ALBUM

S

ettant’anni dopo la sua sparizione, non smettono di sorgere teorie sulla fine della Camera d’Ambra del Palazzo di Caterina a San Pietroburgo. Le sue tracce si persero dopo i bombardamenti alleati alla fine della seconda guerra mondiale e le ultime ipotesi la situano in un treno sepolto, in un bunker in Polonia o in un castello ceco. Non sorprendono gli sforzi per ritrovarla: il suo valore potrebbe arrivare ai 450 milioni di euro. La sua origine risale al 1701, quando Federico I di Prussia commissionò la costruzione di una lussuosa sala nel palazzo reale di Berlino , che aves-

nel 1932. Questa è l’unica foto a colori conservata della lussuosa sala del palazzo di Caterina prima del saccheggio nazista.

96 metri quadrati che conteneva settanta oggetti, anch’essi d’ambra. Nel corso dei due secoli successivi, la Camera d’Ambra divenne uno dei tesori della corona degli zar. Uscì indenne non solo da sette restauri, ma perfino dalla Rivoluzione del 1917.

Bottino di guerra Durante la seconda guerra mondiale San Pietroburgo – ribattezzata dapprima Pietrogrado e in seguito Lenin-


ULTIMA FERMATA I NAZISTI installarono nel castello di Königsberg

lazzo i mobili e altri 20.000 oggetti. In un vano tentativo di salvarla dal saccheggio nazista, le autorità sovietiche foderarono le pareti con carta verniciata, sulla quale venne collocato uno strato di cotone e delle tavole in legno, oltre a tappeti e coperte. Nonostante ciò, i tedeschi ci misero poco a scoprirla e appena 36 ore per smontarla e impacchettarla in un’operazione che venne monitorata dall’esperto d’arte – e d’ambra – Alfred

DPA / ALBUM

grado – venne sottoposta dai nazisti a uno degli assedi più crudeli della storia: durò 900 giorni e vi morirono più di un milione di persone. La città non capitolò, ma sì lo fece nel 1941 Carskoe Selo, situata a una trentina di chilometri dall’antica capitale imperiale. I sovietici non poterono evacuare la Camera d’Ambra e metterla in salvo a causa delle sue dimensioni e della sua fragilità. Tuttavia, riuscirono a portare via dal pa-

(l’attuale Kaliningrad) un’ingente collezione d’arte sequestrata, però alla fine della guerra la fortezza fu bombardata dagli alleati e ridotta in macerie. Nel 1968 si decise di demolirla. Oggi un grande piazzale occupa l’area un tempo corrispondente al castello.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

107


GRANDI ENIGMI

RINASCE UN’OPERA MITICA GLI ESPERTI RUSSI ricostruirono la sala basandosi su alcune fotografie in bianco e nero, che vennero portate a grandezza naturale. Dopo 24 anni di lavoro e un investimento di 10 milioni di euro – in parte donati da società tedesche –, nel 2003 fu inaugurata la copia della sala. Per realizzarla sono state usate otto tonnellate di 32 tipi diversi d’ambra.

AKG / ALBUM (SINISTRA). P. AVENTURIER / GAMMA-RAPHO / GETTY IMAGES.

LAVORI DI RICOSTRUZIONE DELLA CAMERA D’AMBRA NEL PALAZZO DI CATERINA.

Rohde. Per ordine diretto di Adolf Hitler, la sala doveva tornare alla sua “vera casa”, il Reich tedesco. Pochi giorni dopo, i soffitti approdarono al museo del simbolico castello di Königsberg (corrispondente all’attuale enclave russo di

Kaliningrad), in cui era stato incoronato il primo re di Prussia, Federico I. Lì, Rohde aveva messo insieme un’immensa collezione d’arte. La camera, ricostruita di nuovo, rimase esposta finché, nel 1944, gli attacchi aerei alleati non cominciarono a devastare la città. Fu vista per l’ultima volta durante l’estate di quello stesso anno e nessuno sa – o ha voluto

rivelare – cosa sia successo dopo che era stata imballata nella cantina di un ristorante del castello mentre Königsberg cadeva a pezzi sotto le bombe. Quando i soldati dell’Esercito Rosso espugnarono la città, nell’aprile del 1945, non trovarono traccia della camera tra le macerie del castello. Neppure Rohde, che si rifiutò di essere evacuato e rimase con la moglie

Le truppe sovietiche non trovarono traccia della Camera d’Ambra tra le rovine del castello di Königsberg ENTRATA DELLE TRUPPE SOVIETICHE A BERLINO. MANIFESTO. BIBLIOTECA STATALE, MOSCA. FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK

vicino alla sua collezione fino all’entrata dei sovietici, rivelò mai niente. Alla fine di quell’anno, la coppia morì in circostanze sospette senza aver rivelato dove si trovava la camera, sempre che lo sapessero.

Ricerca senza premio Anche se alcuni ricercatori hanno dato per scontato che la Camera d’Ambra sia stata distrutta o durante i bombardamenti o dopo l’assalto finale alla città da parte delle truppe sovietiche, sono molti coloro che scommettono che i nazisti riuscirono a evacuarla in tempo in un posto sicuro. Nel corso


LA COPIA DELLA CAMERA

degli ultimi settant’anni, centinaia di persone provenienti da diversi paesi hanno cercato la camera e sollevato numerose ipotesi circa il suo destino. Secondo una teoria, le diverse parti della camera furono impacchettate in casse e imbarcate su una nave che sarebbe stata affondata dagli alleati subito dopo aver salpato da Königsberg. In questo caso sarebbe andata perduta per sempre. Tra coloro che credono che scampò alla guerra, alcuni ritengono che potrebbe trovarsi ancora sotto le rovine della fortezza, nell’attuale Kaliningrad. Altre ipotesi e testimonianze

più o meno solide sostengono che si trovi in diversi nascondigli del bottino accumulato dai nazisti: reti di tunnel segreti, bunker sotterranei o vecchie miniere e grotte in Germania, Polonia, Austria, Repubblica Ceca o Danimarca.

Un’opera d’arte fragile Qualunque sia l’ipotesi corretta, l’avanzare del tempo minaccia la buona conservazione della Camera d’Ambra che, in assenza di condizioni adeguate, potrebbe essersi ridotta in macerie. Secondo l’esperto di ambra Alexander Shedrinsky: «Se è nascosta da qualche par-

te, è molto probabile che si trovi in un luogo sotterraneo e umido. Quindi è quasi sicuro che versi in uno stato rovinoso». Altre ipotesi suggeriscono che fu trasferita nelle mani di collezionisti privati, che fu portata in Sudamerica dai nazisti, che fu saccheggiata dagli Stati Uniti o segretamente consegnata agli stessi da parte dell’URSS come indennizzo per gli aiuti di guerra. Nel 1979, le autorità sovietiche decisero di costruire una copia esatta della sala, che venne inaugurata nel 2003, in concomitanza con il tricentenario della fondazione di

AKG / ALBUM

d’Ambra così come la si vede oggi nel palazzo di Caterina a Carskoe Selo, nei pressi di San Pietroburgo.

San Pietroburgo. Tre anni prima, la Germania aveva restituito alla Russia gli unici resti conservati della Camera d’Ambra originaria: un mosaico di diaspro e agata lucidati e una cassettiera rivestita d’ambra che vennero recuperati prima che il figlio di uno degli ufficiali che la trafugarono in Russia li mettesse all’asta. Purtroppo, questi esemplari non possono aiutarci a fare chiarezza sulla collocazione della Camera d’Ambra poiché furono sottratti a San Pietroburgo anni prima della sparizione della sala. —Joaquim M. Pujals STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

109


GRANDI SCOPERTE

Le sculture di Porcuna, apice dell’arte ibera Nel 1970 in un oliveto nei pressi di Jaén venne a galla un complesso di straordinarie sculture che raffigurano aristocratici iberi

A

opere, ma anche altre otto che i due gitani custodivano a Bujalance.

S PAGNA

Archeologi alla riscossa Porcuna JA É N MAR MEDITERRANEO

il valore delle opere, le comprarono agli agricoltori. Juan González Navarrete, all’epoca direttore del Museo di Jaén, restò probabilmente a bocca aperta quel 20 giugno del 1975 quando si trovò davanti le sei sculture che i due uomini gli stavano vendendo. Tra queste si trovavano le celebri Grifomachia e il Masturbatore, statue di inedita qualità nell’ambito dell’arte preromana della penisola iberica. Il ricercatore concluse immediatamente l’affare acquistando non solo quelle

1970 circa

Degli agricoltori rinvengono per caso nella loro proprietà frammenti di sculture ibere.

1975

González Navarrete provò a farsi rivelare, inizialmente senza successo, il luogo di provenienza di quelle incredibili sculture, ma, a quanto affermarono gli uomini di Bujalance, i proprietari dei terreni non volevano avere niente a che fare con scavi archeologici o accordi con le autorità. Dopo ore di difficili trattative e la promessa di una giusta ricompensa, riuscì però a farsi riferire il luogo del ritrovamento. Il giorno dopo, il direttore del museo di Jaén ottenne dai proprietari un’autorizzazione scritta per cominciare i lavori nell’oliveto in cambio di 30.000 pesetas (circa 180 euro dell’epoca) e, dalle autorità culturali, il permes-

Il direttore del Museo di Jaén raggiunge un accordo coi proprietari del terreno per effettuare scavi.

1998

N UM I S M A TIQUE PARIS

Questo complesso scultoreo del Cerrillo Blanco raffigura un guerriero che scende da cavallo per infilzare il suo nemico, che si trova a terra e sconfitto ai suoi piedi.

so per realizzare uno scavo d’urgenza. Giunti al Cerrillo Blanco, González Navarrete e i suoi collaboratori effettuarono una prima raccolta dei frammenti visibili, con cui riempirono un camion.

S’inaugura una grande esposizione per mostrare le sculture: Gli iberi, principi dell’Occidente.

FRONTE DI UNA MONETA CON TESTA FEMMINILE CONIATA A OBULCO (PORCUNA) II SECOLO A.C. CG B

GUERRIERO A CAVALLO.

BENJAMÍN COLLADO

gli inizi degli anni ’70 i proprietari di un oliveto ubicato nel Cerrillo Blanco, una collina situata a un chilometro e mezzo dal municipio di Porcuna (Jaén), trovarono nel loro terreno una bellissima testa di cavallo scolpita nella pietra. Allora non potevano immaginare che al di sotto del suolo che coltivavano giacesse il più importante complesso scultoreo dell’epoca ibera mai scoperto. Misero la testa sul tronco di un ulivo, come facevano con tutte le pietre che dissotterravano con gli aratri, e non fecero parola del ritrovamento. Quando, nel 1975, vennero a galla più sculture, due zingari di Bujalance (Córdoba) ne vennero a conoscenza – non sappiamo come – e, intuendo

2001

Si conclude la restaurazione del complesso scultoreo del Cerrillo Blanco.


SPLENDORE RITROVATO NEL 2001 si concluse il restauro delle sculture

Centinaia di frammenti Durante la prima operazione si scavò nel terreno che era stato smosso dai bracconieri. A una profondità tra i 50 e i 90 centimetri fu-

rono ritrovate delle grandi lastre che coprivano un fossato, dal quale fu possibile recuperare sette sculture grandi e centinaia di frammenti. Vicino al confine occidentale della proprietà venne individuata una delle opere più famose del complesso, il Guerriero insieme al suo cavallo, e anche un toro. In totale l’operazione si concluse con il rinvenimento di 1.274 sculture e cocci. Nell’operazione archeologica del 1976 si re-

JOSÉ PEDROSA / EFE

Gli scavi cominciarono il giorno dopo, domenica 22 giugno. Per evitare eventuali problemi futuri circa la proprietà delle opere, il direttore Navarrete comprò i terreni di tasca propria; solo nel 1998 vendette le sculture al comune di Porcuna.

del Cerrillo Blanco (in basso, foto dei lavori), che da allora si mostrano in tutto il loro splendore in una sala del Museo di Jaén. Le ultime quattro opere restaurate sono state Guerriero aggrappato al polso, Statua seduta, Leontomachia e Donatore di mufloni.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

111


GRANDI SCOPERTE

L’UNIVERSO MITICO DEGLI IBERI SEBBENE DI DIFFICILE interpretazione, il complesso scultoreo del Cerrillo Blanco può essere raggruppato in varie tematiche. Alcune scene, come quelle rappresentate negli altorilievi, che raffigurano da una parte cacciatori accompagnati da cani e, dall’altra, due pugili, probabilmente fanno riferimento all’educazione dei giovani nobili. Le opere che riproducono combattimenti indicano presumibilmente scontri reali con i popoli vicini, combattimenti rituali o battaglie mitiche. I personaggi maschili e femminili, in piedi o seduti, con lunghe tuniche attaccate al corpo, possono simboleggiare gli antenati del gruppo aristocratico che costruisce il monumento, oppure sacerdoti e sacerdotesse in atteggiamento rituale.

Combattimento contro il grifone. Un uomo lotta disarmato contro un grifone, un animale fantastico. Lo afferra per le fauci e per un orecchio mentre l’animale si difende piantando i suoi artigli nella coscia del guerriero.

cuperarono la testa del Guerriero dalla doppia armatura e una necropoli ibera adibita alla cremazione. L’anno successivo si scoprì che la necropoli anteriore era stata collocata su un cimitero tartessico del VII secolo a.C. che includeva una tomba

di famiglia. Sembrava evidente una relazione diretta tra il complesso scultoreo e quell’ambito funerario.

Unire il puzzle Dal momento stesso del ritrovamento si intraprese il lungo lavoro di ricostruzione delle figure, operazione complicata data la loro enorme frammentazione. Dapprima, coloro che ave-

Il complesso di Porcuna comprende cinque coppie di guerrieri che lottano fra loro FALCATA IBERICA DI BRONZO PROVENIENTE DA ALMENDILLA (CÓRDOBA). ORONOZ / ALBUM

vano il compito di ristabilire i frammenti furono lo stesso direttore del museo di Jaén e lo scultore Constantino Unghetti, a cui si aggiunse in seguito l’archeologo e storico Iván Negueruela. Quest’ultimo racconta che si lavorava su tavoli foderati sui quali venivano sistemati ammassi indipendenti di piedi, braccia, gambe… Successivamente si cercava il modo di incastrare i vari pezzi: i piedi si confrontavano con i polpacci, i polpacci con le gambe, e così di seguito fino a che non si trovava l’incastro. Le sculture sono state datate tra il 470 e il 420 a.C.,

ed è probabile che siano state fabbricate in una bottega che dedicò loro molti anni di lavoro. L’influenza greca risulta evidente sia nello stile che nelle scene illustrate. Tuttavia, l’abbigliamento e le armi raffigurate sono interamente locali. Non è chiaro se gli scultori fossero d’origine greca oppure indigeni. Certamente si nota un’evoluzione che dimostrerebbe una continuità a livello scultoreo anche dopo la scomparsa di un maestro originario. Sebbene non esistano studi che lo attestino, tutto lascia pensare che la pietra calcarea impiegata proven-


Guerriero. Il personaggio conserva la testa e il volto completi e ha un’espressione serena. Indossa un casco di cuoio e ornamenti metallici, così come dischi-corazza di bronzo e bracciali, simbolo della gerarchia.

Cacciatore. Questa figura priva di testa rappresenta un uomo che trattiene una lepre per le zampe posteriori. Accompagna il cacciatore un grande mastino che scruta lo spettatore con la bocca aperta. FOTO: BENJAMÍN COLLADO

ga dalle cave di Santiago di Calatrava, situate a circa 180 chilometri da Porcuna.

Grifoni e serpenti La qualità delle sculture è eccezionale: sono state ritratte perfino le trasparenze sotto i vestiti. Non sappiamo esattamente quante figure facessero parte del complesso. Forse erano più di 50, alcune isolate, altre che danno vita a scene e tutte collocate su una base. La maggior parte delle sculture è indipendente da muri e pareti, anche se ci sono vari altorilievi. Su alcuni frammenti sono stati trovati resti di pittura rossa. A parte

le scene di guerra, nelle quali si è riuscito a identificare cinque coppie di guerrieri in lotta, troviamo altri personaggi. Ci sono uomini che combattono con animali mitologici, come nella Grifomachia; animali in libertà, come tori o aquile; carnivori che attaccano il bestiame; figure di antenati; possibili divinità come la Donna con il serpente o il Donatore di mufloni; animali mitologici, come il Grifone con il serpente o l’Arpia, e scene quotidiane, come Giovani che duellano o i cacciatori di lepri e quaglie. Tutto lascia pensare che il complesso rimase esposto

solo per poco tempo e che venne distrutto al massimo mezzo secolo dopo la sua realizzazione. Ci sono perfino opere che sembrano incomplete al momento della distruzione. Con particolare accanimento furono distrutti volti e simboli aristocratici. Probabilmente quest’ultimo elemento si deve a un tentativo di eliminare la memoria delle persone che quelle opere rappresentavano.

Incognite da risolvere Sono ancora molti i dubbi che rimangono circa il significato del complesso. Si trattava per caso di un mo-

numento in onore degli antenati eroicizzati? Oppure di un santuario? Fu distrutto da altri gruppi rivali, forse invasori? E, soprattutto: chi si prese la briga di seppellire le statue in un modo così scrupoloso? Purtroppo siamo ancora ben lontani dal decifrare tutti gli enigmi di un ritrovamento tanto straordinario quanto misterioso. Nel frattempo, i guerrieri di Porcuna non smettono di emozionare coloro che li contemplano ancora oggi nella sala che li accoglie nel Museo di Jaén. —Benjamín Collado Hinarejos STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

113


Prossimo numero IL PANTHEON, LA GRANDE OPERA DI ADRIANO IMPRESSIONATI ed estasiati.

GIOVANNI SIMEONE / FOTOTECA 9X12

È così che ci sentiamo quando entriamo in questo grandioso tempio, dedicato a tutti gli dèi dell’antica Roma. In questo luogo prodigioso tutto ci parla della divinità: dal suo carattere sferico fino alla luce che si spande dall’apertura superiore. Molte sono le incognite legate alla sua realizzazione e al suo significato. Ma una cosa è certa: l’ammirazione che questo tempio ha suscitato nel corso della storia è immensa.

LA REGINA VITTORIA E IL SUO GRANDE IMPERO SOVRANA DEL REGNO UNITO dai 18 agli 81

anni, con la sua personalità difficile, le sue passioni e il suo senso del dovere, Vittoria marchiò l’Inghilterra del XIX secolo. Nessuno l’aveva preparata per diventare regina, eppure, nel momento in cui si trovò a esserlo, seppe da subito circondarsi di persone che la potessero aiutare. Riuscì nell’arduo compito che le era toccato fino al punto di divenire la monarca del Paese più avanzato, e più esteso, del pianeta. MUSEUM OF LONDON / BRIDGEMAN / ACI

Nasce il Museo Egizio del Cairo A metà del XIX secolo, l’archeologo francese Auguste Mariette lottò con tutte le sue forze perché il patrimonio archeologico scoperto in Egitto restasse nel Paese stesso. Per proteggerlo, promosse la creazione del Museo.

L’Iliade, un’opera pacifista? L’Iliade di Omero fu la base della cultura greca. Anche se la maggior parte dell’azione del poema si concentra sulla guerra, il suo obiettivo non era glorificare le gesta belliche, bensì denunciarne gli orrori.

Alla ricerca dell’El Dorado Nel corso del XVI secolo, molti avventurieri si addentrarono nelle selve del Sud America alla ricerca della leggendaria terra dell’El Dorado che, si credeva, custodisse immense quantità d’oro.


Speciale Cofanetti € 39,99

€ 29,99

COFANETTO 4 DVD

COFANETTO 4 DVD

COFANETTO 4 DVD

LO SPIRITO DI UN POPOLO, LA STORIA DI UNA NAZIONE

COF4038 - 9 ore Mankind fa della verità storica lo spettacolo più impressionante. Episodio dopo episodio siamo dentro la storia, coinvolti nei fatti. Il racconto delle origini ci porta nelle savane dell’Africa, tra i cacciatori primordiali. Siamo in mezzo a strade e piazze delle città dell’antichità. Entriamo in miniere e laboratori, in mercati e fabbriche, dove si gioca la carta del progresso, motore dell’umanità. Punto di forza è l’estrema chiarezza dei passaggi storici, nell’alta definizione dei grandi mutamenti, delle tappe decisive: rivoluzioni, scoperte, crolli e riprese. Mankind è il diario di chi eravamo, per capire chi siamo: la storia di tutti noi.

MANKIND

€ 24,99

COFANETTO 3 DVD

COF4023 - 230 minuti 5 episodi raccolti in 3 DVD ricostruiscono 2500 anni di civiltà dell’uomo, attraverso le grandi conquiste della matematica. Dalle piramidi dell’Antico Egitto alle piene del Nilo che favorirono le applicazioni delle prime nozioni di geometria, alla Grecia classica dalle cui menti nacquero i primi elementi di logica matematica, all’India patria dello “zero”, simbolo del nulla e dell’infinito, alla matematica contemporanea alla ricerca delle soluzioni ad alcuni dei più intriganti quesiti del nostro tempo… Un’eccezionale produzione ricca di ricostruzioni storiche e computer grafica capace di svelare come i numeri hanno plasmato il nostro passato e determineranno il nostro futuro.

SPEDIZIONE GRATIS!

Per ordini di almeno 39 euro Inviate i vostri ordini a CINEHOLLYWOOD Srl Per Posta: Via P. R. Giuliani, 8 - 20125 MILANO Telefono: 02.64.41.53.80 - Fax: 02.66.10.38.99 E-mail: ordini@cinehollywood.com

COF7016 - 9 ore Una produzione di History Channel ripercorre la storia delle grandi civiltà del mondo antico attraverso la ricostruzione in computer grafica dei principali monumenti che ne hanno decretato la grandezza, svelandone segreti e misteri. DVD 1. L’Antico Egitto DVD 2. L’Antica Grecia - L’Impero Macedone - L’Impero Persiano DVD 3. Roma Imperiale - Cartagine L’Impero Bizantino DVD 4. L’Impero Cinese - I Maya - Gli Aztechi

ROMA

COF4077 - 585’ Una collana di quasi 10 ore di History Channel ripercorre in 13 episodi la storia dell’impero romano dalla sua espansione al suo collasso, esaminando le vite, le ambizioni e le imprese dei personaggi che lo hanno reso grande con grandi ricostruzioni in costume e interventi di storici italiani.

COFANETTO 5 DVD

PELLEGRINAGGIO DELLA FEDE

STORIA DELLA MATEMATICA

COF4094 - 366’ Una spettacolare raccolta di film che offre a tutti i credenti l’opportunità di visitare i luoghi della fede e riflettere sul messaggio che ancora oggi trasmettono al mondo. Il cofanetto contiene 5 DVD

1. Pellegrinaggio in Terra Santa 2. Lourdes - Un miracolo quotidiano 3. Pellegrinaggio a Fatima 4. Pellegrinaggio a Medjugorje

€ 29,99

* campi obbligatori

Desidero ordinare i seguenti cofanetti ___________________________________ ____________________________________________________________________

COUPON D’ORDINE

€ 29,99

I GRANDI IMPERI DELLA STORIA

COFANETTO 4 DVD

Storica - codice ST072017 - 07/2017 Offerta valida per l’Italia e solo per i privati

COF4009 - 9 ore La più grande collana storica mai realizzata sugli Stati Uniti. Ricca di ricostruzioni in costume, effetti speciali cinematografici e un’innovativa computer-grafica, la collana è un grande affresco della storia americana dalle origini ai giorni nostri attraverso i grandi fatti che ne hanno segnato il corso per oltre due secoli: 12 episodi nei quali scorre tutta l’epopea di un popolo.

€ 29,99

€ 29,99

€ 29,99

AMERICA

€ 39,99

€ 39,99

€ 39,99

Nome e Cognome*: ____________________________________________________ Via*: ______________________________________________ CAP*: ___________ Città*: ____________________________________________ Prov.*: ___________

Tel.* _____________________ E-mail: ____________________________________ Codice fiscale: _______________________________________________________  Pago anticipatamente l’importo di € _________ + 4,90 per spese di spedizione  Allego copia versamento su c/c postale n. 11397205 intestato a Cinehollywood  Autorizzo l’addebito sulla mia carta di credito:  Cartasì  VISA  MasterCard  Eurocard n. Scadenza  Pagherò al corriere l’importo di € _________ + 7,90 per le spese di spedizione  Avendo ordinato almeno 39 euro ho diritto alle spese di spedizione GRATIS



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.