Storica National Geographic - agosto 2017

Page 1

N. 102 • AGOSTO 2017 • 4,50 E

- esce il 20/07/2017 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1, ne/vr germania 11,00 € - svizzera c. ticino cHF. 9,50- svizzera cHF. 9,90

L’ILIADE E GLI ORRORI DELLA GUERRA VITTORIA D’INGHILTERRA SOVRANA DI UN’EPOCA

LA LEGGENDA DELL’ EL DORADO LA FOLLIA DELL’ORO

LA TUTELA DEL PASSATO

art.

772035 878008 9

INCOGNITE E IPOTESI SUL PANTHEON

70102

UN EDIFICIO ETERNO

periodicità mensile

LA FONDAZIONE DEL MUSEO EGIZIO DEL CAIRO



UN INTERNO LUMINOSO

L’EDIFICIO VIENE INONDATO DALLA LUCE CHE PENETRA ATTRAVERSO L’OCULO.

Grandi storie

Rubriche

20 Il Museo egizio del Cairo Nel XIX secolo l’amore per l’antico Egitto portò l’archeologo francese Auguste Mariette a lottare senza tregua per evitare il saccheggio dell’eredità faraonica. DI MAITE MASCORT

36 L’Iliade, un’opera pacifista? Considerata per molto tempo un canto alla gloria degli eroi, l’Iliade può anche essere vista come una denuncia degli orrori della guerra. DI CAROLINE ALEXANDER

50 Il Pantheon, un edificio eterno Sulle rive del Tevere si conserva uno degli edifici più imponenti che i romani abbiano mai costruito: il Pantheon, eretto nel II secolo d.C. DI LUIS BAENA

68 Alla ricerca dell’El Dorado Nel XVI secolo la sete di metalli preziosi spinse i conquistatori spagnoli alla ricerca di una leggendaria terra dell’oro. DI MARÍA JOSÉ MONTOYA

82 Vittoria I d’Inghilterra Anche se nessuno l’aveva preparata a governare, nei 63 anni in cui occupò il trono riuscì a fare dell’Inghilterra il più grande impero del mondo. DI IGNACIO PEYRÓ SARCOFAGO DI MAATKARE, PROVENIENTE DA DEIR EL-BAHARI.

6 DATA STORICA

I know-nothing

A metà del XIX secolo sorse negli Stati Uniti un movimento xenofobo contrario ai cattolici.

8 OPERA D’ARTE

Il 3 maggio 1808

Il dipinto di Goya racconta gli orrori della guerra con ferocia e umanità.

12 VITA QUOTIDIANA Le quadrighe

Le corse dei carri furono una grande passione dei bizantini.

16 EVENTO STORICO

Le ceneri di Napoleone L’ultimo viaggio dell’imperatore da Sant’Elena a Les Invalides.

100 GRANDI ENIGMI

La legione perduta

È possibile che i romani catturati a Carre dai parti siano arrivati in Cina?

104 ARCHEOLOGIA Mosul

Le distruzioni dell’ISIS svelano novità sul passato assiro di Mosul.

108 GRANDI SCOPERTE

La tavoletta del Diluvio

Nel 1872 George Smith decifrò il racconto del Diluvio Universale.


Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

N. 102 • AGOSTO 2017 • 4,50 E

L’ILIADE E GLI ORRORI DELLA GUERRA

Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 102

SOVRANA DI UN’EPOCA

LA LEGGENDA DELL’ EL DORADO LA FOLLIA DELL’ORO

Editore: RBA ITALIA SRL

LA TUTELA DEL PASSATO

via Gustavo Fara, 35 20124 Milano

UN EDIFICIO ETERNO

Direttore responsabile: ANDREAS M. STEINER

LA FONDAZIONE DEL MUSEO EGIZIO DEL CAIRO

INCOGNITE E IPOTESI SUL PANTHEON

Redazione e amministrazione: INTERNO DEL PANTHEON ROMANO, ERETTO DALL’IMPERATORE ADRIANO NEL II SECOLO D.C. FOTO: MARTIN CHILD / AGE FOTOSTOCK

www.storicang.it E-mail: storica@storicang.it Esce il 20 di ogni mese

Segui Storica su Facebook. News ed eventi quotidiani anche su social network: www.facebook.com/storicang

RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara, 35 20124 Milano tel. 0200696352 e-mail: storica@storicang.it

CONSEJERO DELEGADO

ENRIQUE IGLESIAS DIRECTORAS GENERALES

ANA RODRIGO, MARI CARMEN CORONAS

DIRECTOR GENERAL PLANIFICACIÓN Y CONTROL

IGNACIO LÓPEZ DIRECTORA EDITORIAL INTERNACIONAL

AUREA DÍAZ DIRECTORA MARKETING

BERTA CASTELLET DIRECTORA CREATIVA

JORDINA SALVANY DIRECTOR DE CIRCULACIÓN

Responsabile editoriale: JULIUS PURCELL Coordinatore: ANNA FRANCHINI Grafica: MIREIA TREPAT Collaboratori: ELENA LEDDA (Editor); MARTINA TOMMASI; ADRIANO LUCIANI; LUIGI COJAZZI; VALENTINA MERCURI; ROSA MARIA DELLI QUADRI; ANNALISA PALUMBO; MATTEO DALENA; PAOLO ROSEANO

Consulenti: MÒNICA ARTIGAS (Coordinamento editorale) JOSEP MARIA CASALS (Direttore, rivista Historia) IÑAKI DE LA FUENTE (Direttore artistico, Historia) VICTOR LLORET BLACKBURN (Direttore editoriale, National Geographic Spagna) Stampatore: NIIAG S.P.A - BEPRINTERS via Zanica, 92 24126 Bergamo

Distribuzione: PRESS-DI DISTRIBUZIONE STAMPA & MULTIMEDIA via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI)

Pubblicità extra settore: viale Montenero, 56 20135 Milano tel. 0256567415 - 0236741429 e-mail: info@lapisadv.it

Pubblicità settore: Rita Cusani tel. 3358437534 e-mail: cusanimedia@gmail.com Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 31 del 22/01/2009 ISSN: 2035-8784 ©2009-2017 RBA ITALIA SRL

Servizio abbonamenti: Volete sottoscrivere un abbonamento a Storica? Oppure dovete segnalare un eventuale disservizio? Chiamate il numero 199 111 999 per tutta Italia (costo della chiamata: 0,12 euro +IVA al minuto senza scatto alla risposta; per i cellulari il costo varia in funzione dell’operatore). Il servizio è attivo da lunedì a venerdì, dalle 9.00 alle 19.00. Altrimenti inviate un fax al numero 030 7772387. Oppure inviate una mail a servizio abbonamenti@mondadori.it, o scrivete a Ufficio Abbonamenti c/o CMP Brescia, 25126 Brescia.

Servizio arretrati: Avete perso un numero di Storica o un numero di Speciale di Storica? Ecco come richiederlo. Chiamate il numero 02086896172 Altrimenti inviate una mail a collez@mondadori.it. Oppure un fax al numero 045.8884378. O scrivete a Press-di Servizio Collezionisti casella postale 1879, 20101 Milano

4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PRESIDENTE

RICARDO RODRIGO

VITTORIA D’INGHILTERRA

JOSÉ ORTEGA DIRECTOR DE PRODUCCIÓN

RICARD ARGILÉS Difusión controlada por

NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY “Suscitando interesse per l’esplorazione e la protezione del pianeta” National Geographic Society è un’istituzione scientifica ed educativa senza fini di lucro fondata a Washington nel 1888 e impegnata nell’esplorazione e nella salvaguardia del pianeta.

GARY E. KNELL President and CEO BOARD OF TRUSTEES

JEAN N. CASE Chairman, TRACY R. WOLSTENCROFT Vice Chairman, WANDA M. AUSTIN, BRENDAN P. BECHTEL, MICHAEL R. BONSIGNORE, ALEXANDRA GROSVENOR ELLER, WILLIAM R. HARVEY, GARY E. KNELL, JANE LUBCHENKO, MARC C. MOORE, GEORGE MUÑOZ, NANCY E. PFUND, PETER H. RAVEN, EDWARD P. ROSKI, JR., FREDERICK J. RYAN, TED WAITT, ANTHONY A. WILLIAMS RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE

PETER H. RAVEN Chairman PAUL A. BAKER, KAMALJIT S. BAWA, COLIN A. CHAPMAN, JANET FRANKLIN, CAROL P. HARDEN, KIRK JOHNSON, JONATHAN B. LOSOS, JOHN O’LOUGHLIN, STEVE PALUMBI, NAOMI E. PIERCE, JEREMY A. SABLOFF, MONICA L. SMITH, THOMAS B. SMITH, CHRISTOPHER P. THORNTON, WIRT H. WILLS NATIONAL GEOGRAPHIC PARTNERS DECLAN MOORE CEO SENIOR MANAGEMENT

SUSAN GOLDBERG Editorial Director, CLAUDIA MALLEY Chief Financial Officer, MARCELA MARTIN Chief Marketing and Brand Officer, COURTENEY MONROE Global Networks CEO, LAURA NICHOLS Chief Communications Officer, WARD PLATT Chief Operating Officer, JEFF SCHNEIDER Legal and Business Affairs, JONATHAN YOUNG Chief Technology Officer, BOARD OF DIRECTORS

GARY E. KNELL Chairman JEAN A. CASE, RANDY FREER, KEVIN J. MARONI, JAMES MURDOCH, LACHLAN MURDOCH, PETER RICE, FREDERICK J. RYAN, JR. INTERNATIONAL PUBLISHING

YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President of Strategic Development, ARIEL DEIACO-LOHR, KELLY HOOVER, DIANA JAKSIC, JENNIFER JONES, JENNIFER LIU, LEIGH MITNICK, ROSANNA STELLA


SECOLI DI STORIA

IN 1 ANNO

DI STORICA 4 MESI

DI LETTURA GRATIS

35%

SCONTO

ABBONATI SUBITO A

STORICA Incontra grandi personaggi, scopri secoli di storia, raccontati con passione e con immagini spettacolari e ricostruzioni 3D. Approfitta di questa offerta vantaggiosa: pagherai solo 34,90 euro anziché 54,00 euro*

SCEGLI COME ABBONARTI Chiama il 199 111 999**

Collegati a www.storicang.it

Invia un fax al 030 77 72 387

Scrivi a servizioabbonamenti@mondadori.it

Se hai perso un numero di Storica o uno Speciale di Storica puoi richiederlo al numero di telefono 199 162 171, oppure scrivere a: collez@mondadori.it oppure mandare un fax al N. 02 95240858 *Più 4,90 euro per spese di spedizione. - **Costo massimo della chiamata da tutta Italia per telefoni fissi: Euro 0,12 + iva al minuto senza scatto alla risposta. Per cellulari costo in funzione dell’operatore. - L’informativa sulla privacy è consultabile sul sito www.rbaitalia.it


GRANGER / ALBUM

DATA S TO R I C A

Ascesa e caduta dei Know-Nothing Radicato nelle paure e nei pregiudizi, nel corso della sua breve vita politica il Partito Know-Nothing attaccò gli immigrati e i cattolici negli Stati Uniti di metà ottocento

G

un riflesso della travagliata epoca degli albori degli Stati Uniti. La nazione stava affrontando crescenti tensioni relative alla schiavitù e all’espansione verso ovest, che avevano fatto nascere dissensi all’interno dei due principali partiti politici, i democratici e i whig. Negli anni ’30 e ’40 dell’ottocento, un numero sempre maggiore di immigrati si stabilì negli Stati Uniti. La grande carestia irlandese e l’instabilità economica in Germania provocarono l’afflusso di quasi tre milioni di persone, molte delle quali cattoliche. I protestanti locali si sentivano minacciati dai nuovi arrivati. Per molti di loro la Chiesa cattolica rappresentava una

w

GRANGER / ALBUM

li Stati Uniti si sono sempre considerati un rifugio per le persone migranti: un luogo aperto a tutti, dove poter iniziare una nuova vita da americani. In contrapposizione a questo ideale, una sgradevole tendenza xenofoba attraversa tutta la storia americana, con impennate di movimenti anti immigrati nelle decadi degli anni 1790, 1870 e 1920. Il più noto movimento nativista, che privilegiava i cittadini nativi rispetto ai nuovi arrivati, nacque nei decenni precedenti la guerra civile. Il Partito americano (American Party), meglio conosciuto come Know-Nothing, fu

FILLMORE, TREDICESIMO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI E CANDIDATO DEL PARTITO AMERICANO NEL 1856.

tirannia e l’ingerenza di una potenza straniera. Nel frattempo, si inaspriva la concorrenza per i posti di lavoro. Mentre emergevano questi sentimenti anti immigrati e anticattolici, in varie città statunitensi nacquero movimenti nativisti. Molte di queste organizzazioni sfruttavano il timore che gli stranieri potessero avere un’eccessiva influenza politica grazie agli sforzi di alcuni politici che se li ingraziavano allo scopo di "rubare" le elezioni. I cittadini nativi spesso giocavano sugli stereotipi che descrivevano irlandesi e tedeschi come bevitori immorali, per poi incolparli di problemi sociali quali i crescenti tassi di criminalità e di povertà. Queste tensioni a volte sfociavano in violenza, come avvenne nel caso dei disordini scatenati dai nativisti a New York, Baltimora, Filadelfia, Chicago, Cincinnati e Louisville.

Rapida ascesa, rapido declino

UN IRLANDESE E UN TEDESCO, CON BARILI DI WHISKY E BIRRA, CREANO DISORDINE RUBANDO UN’URNA ELETTORALE. VIGNETTA NATIVISTA, 1850. 6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Nel 1849 nacque a New York una società segreta chiamata Order of the Star Spangled Banner (Ordine della bandiera a stelle e strisce). I membri svolgevano la loro attività politica clandestinamente. Se interrogati in merito alle organizzazioni nativiste, si limitavano a rispondere: «Non ne so nulla» (in inglese, «I know nothing»). Questa risposta si trasformò in un soprannome che identificava il movimento. Mano a mano che l’adesione al Partito


SANGUINOSA ESTATE DI FILADELFIA A MAGGIO E LUGLIO DEL 1844, la

violenza anti immigrati scosse la "città dell’amore fraterno". I disordini, originati dalla questione se i bambini cattolici dovessero cantare inni protestanti a scuola, scoppiarono il 6 maggio, quando i nativisti organizzarono una marcia contro i cattolici in un quartiere irlandese. Il primo scontro durò quattro giorni: vennero bruciate due chiese cattoliche e uccise almeno 14 persone. A luglio, la violenza riesplose nei pressi di una chiesa cattolica protetta dall’esercito. I nativisti lanciarono pietre e bottiglie sulle forze armate, che risposero aprendo il fuoco. Morirono 15-20 persone.um15QUESTA LITOGRAFIA MOSTRA LO SCONTRO TRA NATIVISTI (CON I CILINDRI) E FORZE ARMATE DURANTE I DISORDINI DEL 1844. GRANGER / ALBUM

Know-Nothing cresceva, gli aspetti clandestini venivano progressivamente abbandonati, fino alla costituzione del Partito americano negli anni ’50 del XIX secolo. I membri del partito provenivano generalmente dalle classi lavoratrici e avevano una marcata tendenza antielitaria. Puntavano a limitare l’immigrazione e l’influenza del cattolicesimo. Chiedevano che i requisiti di residenza per acquisire la cittadinanza passassero da cinque a ventun anni, e che chi era nato all’estero non potesse votare né accedere a cariche pubbliche. A livello locale, i Know-Nothing ebbero un grande successo in poco

tempo. Dopo le elezioni del 1854, potevano contare su 43 seggi al Congresso. Buona parte di questo successo era dovuto al crollo del Partito whig, indebolito dal dissenso interno su questioni nazionali come la schiavitù. Alcuni ex whig passarono nelle fila dei Know-Nothing; altri si unirono a un nuovo partito, quello dei repubblicani abolizionisti. Incoraggiati dai primi successi, si costituirono formalmente nel 1855 nel Partito americano. Da quel momento iniziò il loro rapido declino. Le elezioni del 1856 furono un fiasco. Persero oltre 30 seggi al Congresso e il loro candidato alla presidenza, l’ex whig ed ex presidente Millard Fillmore,

fu ampiamente staccato sia dai repubblicani che dai vincitori democratici. Vincere le elezioni generali si era dimostrato più difficile del previsto. Fino al 1856, il Partito Know-Nothing era stato un movimento locale, incentrato su una singola questione. Il passaggio alla complessità della scena nazionale aveva rivelato la fragilità delle sue alleanze politiche, favorendone lo sgretolamento. Dopo il 1856, i repubblicani divennero il nuovo partito di riferimento, pronto ad affrontare le sfide di una nazione divisa sulla questione centrale della schiavitù. —Amy E. Briggs STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

7


O P E R A D ’A R T E I fucilati Le figure con le braccia allungate rispecchiano la posa dell’uomo inginocchiato. I corpi rimasero sulla collina per diversi giorni.

La guerra secondo Goya: Il 3 maggio 1808 Pochi hanno dipinto gli orrori della guerra con tanta ferocia e umanità come Francisco de Goya

I

ART ARCHIVE

l 2 maggio 1808 una Pochi immaginarono folla di cittadini spache il 2 maggio avrebbe gnoli circondò e atportato all’espulsione taccò le truppe frandell’esercito napoleonicesi. Gli assalitori co dalla penisola iberica. erano soprattutto perNon meno sorprendente sone della classe operaia, fu un’altra conseguenza infuriate dalla mancanza imprevista: la creazione di reazioni delle autorità di una delle opere più inspagnole davanti all’influenti dell’arte moderna. vasione francese. In quel Questi eventi ispirarono giorno centinaia di civiinfatti Francisco de Goya a AUTORITRATTO CON GLI OCCHIALI. GOYA, 1800 CIRCA, li rimasero uccisi negli dipingere Il 3 maggio 1808, MUSÉE BONNAT, BAYONNE. scontri, insieme a decine una violenta riflessione di soldati delle truppe napoleoniche. sulla barbarie della guerra. La risposta del luogotenente di Napoleone in Spagna, Gioacchino Murat, fu Napoleone conquista la Spagna rapida e spietata. Tra il 2 e il 3 maggio Nel 1807 Napoleone aveva rivolto le molti dei capibanda furono fucilati dal sue attenzioni all’arcirivale Gran Breplotone d’esecuzione. tagna e soprattutto al suo alleato più Vista l’aggressiva espansione mi- stretto, il Portogallo. Per conquistare litare di Bonaparte in tutta Europa, Lisbona Bonaparte aveva dovuto attraMurat dovette considerare la rivolta versare la vicina Spagna, di cui all’epoca di Madrid come una banale sconfitta e era ancora alleato. Le truppe francesi probabilmente credette di aver stron- iniziarono a occupare importanti città cato i disordini sul nascere. Tuttavia, la della Spagna, il che causò allarme tra la rabbia della gente s’inasprì. Nel corso popolazione locale. Gli scontri tra gli del 1808 le truppe francesi in Spagna spagnoli e i loro ex alleati sembravano dovettero affrontare una rivolta na- a quel punto inevitabili. Nella primavera del 1808 fu chiaro zionale, che dal 1812 fu appoggiata dagli inglesi. che Napoleone voleva controllare tutta 1807

La guerra secondo Goya

Goya, pittore di Carlo IV di Spagna, dipinge la conquista delle città spagnole da parte delle truppe napoleoniche.

8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

1808 Il fratello di Napoleone è incoronato re di Spagna. Goya ammira i valori francesi ma condanna le atrocità del suo esercito.

IL 3 MAGGIO 1808, FRANCISCO DE GOYA, 1814, MUSEO DEL PRADO, MADRID.

la penisola iberica. I suoi tentativi di convincere la famiglia reale spagnola a rinunciare al trono scatenarono la rivolta di Madrid. Un mese dopo Napoleone designò un nuovo re: niente meno che suo fratello maggiore Giu1814

1828

La monarchia spagnola è restaurata sotto Ferdinando VII. Goya dipinge il suo capolavoro Il tre maggio 1808.

Gli ideali liberali di Goya entrano in collisione con l’assolutista Ferdinando. Goya muore in esilio in Francia, all’età di 82 anni.


O P E R A D ’A R T E L’uomo inginocchiato

I condannati

Gli esecutori francesi

Questo tozzo lavoratore di Madrid ha una posa simile a quella di Cristo, in un gesto di sottomissione e sfida.

Si coprono gli occhi dal terrore. La composizione di Goya enfatizza l’esecuzione, come se si trattasse di carne da macello.

Goya usa linee rigide e ripetitive. I fucili e le baionette anticipano la natura impersonale delle guerre moderne.

La lampada La potente luce, in un’epoca in cui l’elettricità non esisteva ancora, è una licenza artistica. Illumina un luogo di ingiustizia e crudeltà. I CAMPI DI STERMINIO DI MADRID BRIDGEMAN / ACI

seppe Bonaparte. L’insurrezione che si scatenò in tutta la Spagna ebbe ripercussioni molto importanti. Un esercito messo insieme alla buona riuscì a sconfiggere uno dei maggiori generali della storia e a creare un nuovo tipo di guerra irregolare, con soldati non addestrati, che da quel momento in poi sarebbero stati chiamati guerriglieri.

Il dilemma di Goya Quando la monarchia spagnola fu ripristinata nel 1814 sotto Ferdinando

VII, non tutti gli spagnoli esultarono. Tra gli scontenti c’era Francisco de Goya, che all’epoca aveva quasi settant’anni. Erano tempi difficili per il grande pittore di corte, che in precedenza si era ritrovato in una situazione politica molto delicata. Goya non amava il re Ferdinando, conservatore e autoritario, ma appoggiava apertamente i valori liberali illuministici di Napoleone; durante il suo regime aveva anche realizzato dei dipinti. Nonostante desiderasse le riforme progres-

Murat, il luogotenente di Napoleone in Spagna, tentò di soffocare la rivolta del 2 maggio fucilandone i leader. I prigionieri furono giustiziati in diverse parti della città, tra cui la collina di Príncipe Pío, dove si pensa sia ambientato il dipinto di Goya. Qui circa ventiquattro persone si trovarono di fronte al plotone d’esecuzione. Murat ordinò di lasciare i corpi sulla collina per più di una settimana, per ricordare a Madrid il prezzo della ribellione.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

9


DA I LY L I F E

Il primo giornalista di guerra

N.3 La stessa cosa Solo le divise distinguono i francesi dagli spagnoli che si contorcono a terra. La violenza è ugualmente bestiale.

OGGI SIAMO ABITUATI a vedere immagini di guerra. Eppure la serie di acqueforti di Goya, I disastri della guerra, ancora sconvolge e disturba profondamente. Fu prodotta tra il 1810 e il 1814, mentre la guerra contro Napoleone stava devastando la Spagna. Goya sapeva che avrebbe causato problemi rifiutandosi di osannare i patrioti spagnoli e raffigurando le atrocità commesse da entrambe le parti. I disastri della guerra, pubblicata nel 1863, 35 anni dopo la sua morte, mostra un artista che trascende le proprie credenze per rappresentare, come lo stesso Goya affermò, «la realtà degli eventi». La composizione delle acqueforti, il crudo realismo e i titoli provocatori creano un effetto che è molto più vicino alla satira moderna di qualsiasi altra opera prodotta all’epoca. L’incisione 44 della serie mostra un ragazzino che guarda con orrore qualcosa fuori dalla cornice. La didascalia potrebbe essere il motto di tutti i corrispondenti di guerra: Yo lo vi (Io l’ho visto).

N.19 Non c’è tempo ora Un soldato aggredisce sessualmente una donna (a sinistra); le altre due forse faranno la stessa fine.

N.32 Perché?

AUTORITRATTO. GOYA, 1815, ACCADEMIA DI SAN FERNANDO, MADRID.

FOTO: ORONOZ / ALBUM

ORONOZ / ALBUM

L’albero è troppo basso per impiccare questo guerrigliero. I soldati francesi lo tirano per strangolarlo.


O P E R A D ’A R T E

IL RITORNO DEL RE PER ALCUNI SPAGNOLI era Ferdi-

nando il Desiderato, per altri Ferdinando il Fellone. Ritornato sul trono nel 1814, Ferdinando VII ruppe la promessa che aveva fatto di rispettare la costituzione liberale spagnola del 1812 e governò con pugno di ferro. Nonostante Francisco de Goya fosse l’artista ufficiale di corte, aveva comunque buoni motivi per sfidare il re quando dipinse questo ritratto tra il 1814 e il 1815. Infatti all’epoca l’artista era stato indagato dall’Inquisizione spagnola, che Giuseppe Bonaparte aveva abolito e che Ferdinando aveva appena restaurato. Nel 1824, allarmato dalle misure repressive del sovrano, Goya decise di fuggire in Francia. L’artista morì a Bordeaux nel 1828. RE FERDINANDO VII CON IL MANTO REALE. GOYA, 1814-1815, MUSEO DEL PRADO, MADRID. SFGP / ALBUM

siste promesse da Napoleone, l’artista condannò la violenza che l’imperatore francese aveva scatenato in Spagna. Durante l’insurrezione Goya dipinse I disastri della guerra, una serie di acqueforti che raffigura gli scontri brutali tra le truppe francesi e i guerriglieri spagnoli, e le terribili conseguenze della guerra sulla popolazione civile. Il pittore spagnolo espresse la sua disapprovazione verso il conflitto e i suoi effetti catastrofici, che per Goya erano al di sopra di qualsiasi nazionalismo, cosa sorprendente per l’epoca. L’artista rappresentò la brutalità indiscriminata da entrambe le parti. Tuttavia, una volta ripristinato l’antico regime, Goya aveva bisogno di un argomento nazionale che gli permettesse di non rinunciare alla sua fede nei valori universali di libertà e giustizia. Lo trovò dipingendo due grandi tele

che raffiguravano i tumulti di Madrid di sei anni prima. Completato nel 1814, Il 2 maggio 1808 racconta il momento in cui era iniziata la rivolta. Il 3 maggio 1808 è il brutale resoconto delle esecuzioni che ne seguirono. La scena è ambientata nella periferia di Madrid. Illuminati da una grande lanterna quadrata, i personaggi in attesa dell’esecuzione si coprono gli occhi per non vedere l’orrore che li aspetta. A differenza del plotone d’esecuzione, senza volto e robotico, l’uomo tozzo che sta per essere fucilato esprime tutta la sua umanità. In ginocchio sulla terra macchiata di sangue, circondato da corpi e con indosso abiti larghi e sgualciti, «è una delle presenze più vive di tutta l’arte» – scrisse il biografo di Goya, Robert Hughes. «In un’epoca di continue guerre… in cui la nostra cultura è satura di immagini di tor-

mento, brutalità e morte, quest’uomo continua a perseguitarci».

Impressioni che segnano Uno dei pittori che più risentì dell’influenza di Francisco de Goya fu Pablo Picasso, il quale denunciò lo spietato bombardamento aereo durante la guerra civile spagnola. Nel Guernica, il colossale murales anti-militarista del 1937, Picasso riprodusse, nella parte destra del dipinto, l’uomo inginocchiato di Goya nel ventesimo secolo. Oggi una copia del quadro di Pablo Picasso si trova nella sede delle Nazioni Unite a New York, dove la sua versione della figura di Goya ricorda ai leader mondiali che le guerre possono cambiare ma che il dolore delle vittime rimane lo stesso. —Julius Purcell STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

11


V I TA Q U OT I D I A N A

Le corse dei carri, una passione dei bizantini Costantinopoli possedeva un immenso ippodromo in cui si svolgevano corse di quadrighe che suscitavano scalpore guerra civile che lo portò al potere, fece edificare un grande ippodromo destinato alle corse dei carri. Un secolo dopo, Costantino consacrò come nuova capitale Bisanzio, a cui diede il nome di Costantinopoli, e rimodellò l’ippodromo per trasformarlo in uno dei quattro edifici che incorniciavano la grande piazza centrale della città, accanto al Senato, al palazzo imperiale e alla cattedrale cristiana. Quegli edifici simboleggiavano le quattro istituzioni più importanti dell’Impero romano d’Oriente: il potere legislativo, l’esecutivo, il religioso e il popolare. Perché chi comandava nel circo era il popolo, che nelle fazioni delle differenti squadre trovava la sua rappresentazione istituzionale più solida.

Il potere delle fazioni L’ippodromo di Costantinopoli era un’enorme costruzione con una capacità di 100 mila spettatori. Un complesso di edifici annessi acco-

IL PALCO D’ONORE

FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK

NELL’ANNO 390 Teodosio II eresse nella spina

dell’ippodromo un obelisco egizio costruito da Tutmosis III. Lo si collocò su un piedistallo di quattro lati, decorato con rilievi che raffigurano l’imperatore sul suo palco, circondato da cortigiani, mentre assiste a una corsa. LATO SUD DELLA BASE DELL’OBELISCO DI TEODOSIO.

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

QUESTO DIPINTO pompeiano

DEA / ALBUM

S

e pensiamo alle corse dei carri dell’antichità, ci viene subito in mente l’immagine di Charlton Heston in BenHur. È un film ambientato nel I secolo d.C., all’epoca di Gesù e Tiberio, e si possono osservare migliaia di persone che scalpitano e si entusiasmano durante una corsa di cavalli nell’ippodromo di Gerusalemme. Effettivamente, queste competizioni furono il principale spettacolo di massa in tutto l’impero, e a Roma fu costruito il più grande ippodromo del mondo romano: il circo Massimo, che poteva accogliere fino a 250 mila spettatori. Nemmeno Costantinopoli, la città più importante dell’Impero romano d’Oriente, sfuggì alla passione per uno sport che, come fa oggi il calcio, richiamava decine di migliaia di tifosi, per i quali gli aurighi erano i miti del proprio tempo. Quando Settimio Severo ricostruì Bisanzio, intorno al 203 d.C., dopo la

riproduce un’emozionante corsa di quadrighe nel circo della città. Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

glieva gli animali usati nei differenti spettacoli (cavalli e fiere) e le case dei numerosi lavoratori del circo. Originariamente, infatti, non si organizzavano solo corse di carri o di cavalli, ma anche spettacoli di mimi, acrobati, funamboli e lotte con animali feroci. Dal personale destinato all’ippodromo nacquero addirittura delle imperatrici: Teodora, sposa dell’imperatore Giustiniano, era figlia di uno dei domatori di orsi, Acacio, e lei stessa in gioventù era stata attrice. Le corse dei cavalli


e le lotte degli animali feroci erano il passatempo principale del popolo di Costantinopoli. Nei giorni di festa si interrompevano tutte le attività; la gente occupava le gradinate e ci dormiva per evitare di perdere il posto preso con tanta fatica. I tifosi avevano i loro corridori preferiti e si organizzavano in fazioni. All’inizio esistevano quattro squadre che, in seguito, diventarono due: gli Azzurri e i Verdi. Queste fazioni si articolavano in milizie urbane e, per concessione degli imperatori, arrivarono a rappresentare il popolo di Costantinopoli. Le chiassose dispute tra le "curve" degli Azzurri e quelle dei

La rivolta che iniziò tra le gradinate del circo NEL GENNAIO del 532 le fazioni dell’ippodromo si unirono per

protestare contro due ministri di Giustiniano. Quando l’imperatore e la sua sposa Teodora comparvero nel Kathisma, tutti gridarono: Niká, Niká, «Vinci, vinci!», coro destinato a spronare i campioni. La famiglia imperiale si vide costretta ad abbandonare il suo palco. Per giorni LA FOLLA DISTRUSSE il Senato, le chiese di Santa Irene e Santa Sofia, e assassinò centinaia di persone. Nonostante i ministri fossero stati destituiti, il popolo incoronò

imperatore un parente di Giustiniano, Ipazio. La rivolta poté essere REPRESSA solo grazie all’intervento degli eserciti guidati da Belisario e Narsete, cosa che provocò il massacro di più di 30 mila cittadini nel circo e rappresentò la fine delle fazioni.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

13


V I TA Q U OT I D I A N A

LA PIAZZA DI ATMEYDANI, a Istanbul

MARTIN SIEPMANN / AGE FOTOSTOCK

(il nome turco di Costantinopoli), è tutto ciò che rimane del grande ippodromo della città. Nell’immagine si può apprezzare l’obelisco di Teodosio e, alle sue spalle, quello di Costantino.

SCALA, FIRENZE

Verdi spesso finivano male. All’inizio, gli imperatori tollerarono quella rivalità come una valvola di sfogo necessaria ad attenuare le tensioni sociali esistenti nel neonato Impero d’Oriente. Non solo, ma impiegarono le squadre anche per rinforzare le operazioni di polizia, riparare le mura o difenderle in caso di assedio. Come sostiene una fonte risalente all’epoca di Giustiniano, «l’interesse della fazione prevale sull’interesse della famiglia, la casa,

la patria e la legge». Bisogna dire che neanche i primi imperatori bizantini erano esenti dalla passione per le fazioni e incoraggiavano la "propria" squadra, suscitando il risentimento e l’odio degli avversari. Anastasio I, per esempio, tifava per i Verdi mentre Giustino I per gli Azzurri.

Un affare di stato Gli aurighi del V e VI secolo erano gli idoli del popolo. Conosciamo addirittura i loro nomi, come quello di Porfirio, che visse all’epoca dell’imperatore Anastasio. In loro onore si innalzavano statue o gli si concedevano privilegi speciali; per esempio, non potevano subire punizioni corporali. Non mancavano neppure le manovre per favorire gli uni o gli altri. Alcune di queste colpirono profondaQUESTI CAVALLI DI BRONZO, OGGI A VENEZIA, ABBELLIRONO L’IPPODROMO DI COSTANTINOPOLI.

mente l’impero, come i pettegolezzi sugli scandali sessuali dell’imperatrice Teodora. Oltre che ai complotti, si ricorreva anche a incantesimi e a maledizioni: pochi resistevano al potere degli amuleti e della magia per accaparrarsi la vittoria. A Roma sono conservate numerose tavolette di piombo con maledizioni indirizzate agli aurighi avversari, in cui venivano invocati dèi stranieri come gli egizi Osiride o Seth, e addirittura santi e arcangeli. I giochi nell’ippodromo diventarono un affare di stato. Divennero gratuiti e iniziarono a essere finanziati dal potere imperiale. Per questa ragione l’imperatore e la sua famiglia assistevano regolarmente agli spettacoli dal palco a loro riservato, il Kathisma (in greco "sede" o "sedia"), a cui si accedeva direttamente dal palazzo attraverso un passaggio coperto. Le corse dei cavalli erano regolate da una normativa molto precisa e da leggi che discipli-


L’ippodromo di Costantinopoli

BYZANTIUM 1200 PROJECT

QUESTA RIPRODUZIONE dell’ippodromo consente di farsi un’idea delle dimensioni di questa costruzione, di circa 400 metri di lunghezza per 130 di larghezza, in cui centomila persone si riunivano per incoraggiare le proprie squadre. La spina o spina centrale era adornata da due obelischi e una colonna di bronzo proveniente dal santuario di Delfi.

navano tanto la presenza del sovrano nel Kathisma quanto le stesse corse o la consegna dei premi. Ogni corsa durava pressappoco quindici minuti e consisteva in circa venti giri intorno alla spina centrale dell’ippodromo, per un percorso totale di circa 370 metri. Il momento più pericoloso era il giro intorno alle estremità della spina, che veniva compiuto a una velocità che raggiungeva i 30 chilometri orari. Grazie alla capienza dell’ippodromo e alla sicurezza che il Kathisma forniva all’imperatore, durante i primi secoli della sua esistenza il circo si convertì nell’unico luogo in cui il sovrano poteva relazionarsi direttamente con il popolo o fare annunci pubblici. Era qui che posava il suo stivale color porpora sulla testa dei generali nemici sconfitti, amministrava la giustizia o assisteva alle parate militari in suo onore. Dal canto suo, anche il popolo usava l’ippodromo per radunarsi attorno alle

diverse squadre, per commemorare le feste principali oppure per acclamare ogni nuovo imperatore. Nonostante ciò, forse a causa del pericolo che implicava il fatto di riunire tante persone nello stesso luogo, a partire dal X secolo i sovrani iniziarono a comparire davanti al popolo nella grande piazza situata di fronte al palazzo, di cui un lato continuava a essere adibito ad accesso principale dell’ippodromo. Fu in quella piazza che Costantino VII Porfirogenito venne proclamato imperatore nel 912.

Anni di decadenza A partire dal IX secolo, l’ippodromo perse parte della sua popolarità. Gli aurighi professionisti lasciarono il passo ai dilettanti, come Basilio il Macedone o Filoreo. Quest’ultimo divertì il pubblico nel X secolo grazie a imprese come quella di galoppare stando in piedi su un cavallo mentre con le due mani usava la

propria spada. A partire dal XII secolo in questi spazi si iniziarono a organizzare tornei di cavalieri ispirati alla moda occidentale importata dall’imperatore Manuele Comneno, famoso per i suoi atti di eroismo in battaglia, all’epoca delle crociate. Tuttavia, le distruzioni provocate dalla quarta crociata nel 1204 indussero ad abbandonare l’ippodromo: la crociata, indetta da papa Innocenzo III e originariamente diretta contro i musulmani in Terrasanta, si concluse con la conquista e il saccheggio di Costantinopoli, portando alla spartizione dell’Impero bizantino e alla costituzione dell’Impero latino. Lo stesso fecero le guerre del XIII e XIV secolo. Da quel momento in poi, verrà usato solo l’enorme fossato dell’ippodromo per partite di polo e cavalcate di nobili oziosi. —Juan Luis Posadas STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

15


ENTRATA del carro funebre

con i resti di Napoleone nella piazza della Concordia di Parigi, il 15 dicembre del 1840. Olio su tela di Jacques Guiaud. 1844. Museo del Palazzo di Versailles.

L’ultimo viaggio di Napoleone Nel 1840 il governo del re Luigi Filippo organizzò il “ritorno delle ceneri” dell’imperatore per depositarle in un gran monumento funerario nel palazzo di Les Invalides di Parigi

S

confitto nella battaglia di Waterloo, Napoleone Bonaparte fu catturato dagli inglesi e trasferito immediatamente in un’isola inospitale nel bel mezzo dell’Atlantico, Sant’Elena. Lì morì appena sei anni dopo, il 5 maggio del 1821, forse di tumore allo stomaco. In quegli anni di ozio forzato, circondato da pochi fedeli e sotto la rigida sorveglianza del governatore inglese, Napoleone pensava continuamente al passato, in bilico tra la nostalgia e l’autocritica. Forse per questo, po-

16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

chi giorni prima di morire, aggiunse al suo testamento una clausola nella quale esprimeva il desiderio di essere seppellito «sulle rive della Senna, tra il popolo francese che tanto ho amato». Napoleone fu sepolto a Sant’Elena, all’interno di un terreno recintato. Le trattative per il trasferimento dei suoi resti in Europa furono avviate immediatamente. Per far ciò, il fidato Bertrand, un vecchio soldato dell’Impero napoleonico che era rimasto con il “grand’uomo” anche a Sant’Elena, chiese il permesso alle autorità bri-

tanniche, che respinsero la richiesta. Rivolse addirittura un’istanza al governo francese dell’epoca, sorto dalla restaurazione della dinastia borbonica nel 1815. Tuttavia, era passato poco tempo e il re di Francia, Luigi XVIII, non aveva ancora smesso di considerare Napoleone come una sorta di nemico personale. Secondo l’opinione pubblica monarchica, Napoleone era stato un usurpatore tirannico, colpevole di guerre devastanti che avevano distrutto completamente la Francia. La situazione


MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

EVENTO STORICO

IL CADAVERE DI NAPOLEONE IL DOTTOR GUILLARD descrisse così l’apertura del feretro di Napoleone a Sant’Elena, il 15 ottobre del 1840: «Sollevai la tela da un’estremità e scoprii il corpo di Napoleone, che riconobbi all’istante. Era perfettamente conservato, così autentica sembrava la sua espressione […] La testa, sollevata, riposava su un cuscino. Toccai il braccio sinistro; era duro ed era rimpicciolito».

FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK

cambiò con lo scoppio della rivoluzione del 1830, grazie alla quale salì al trono un rappresentante della dinastia degli Orleans. Luigi Filippo I si presentava come un monarca liberale, erede dei princìpi più moderati della Rivoluzione e, quindi, in sintonia con buona parte di ciò che aveva rappresentato Napoleone. In tal modo si aprì uno spiraglio di speranza per il ritorno dei resti dell’eroe, rimpianto sempre più apertamente dai suoi vecchi sostenitori e, soprattutto, dalla gioventù romantica. Ciononostante, la prima proposta di un deputato dell’opposizione liberale, Lamarque, fu re-

spinta per decisione dell’Assemblea Nazionale: molti politici e il capo di stato temevano di riaccendere la fiamma di un passato inquietante.

Alla riscossa dell’eroe Fu necessario attendere il 1840 affinché il re desse il suo consenso al progetto, condizionato dalle argomentazioni del primo ministro, Thiers, il quale riteneva che associare il destino di Luigi Filippo e degli Orleans alla gigantesca figura di Napoleone avrebbe accresciuto il suo prestigio. Così, il 12 maggio del 1840, Rémusat, ministro degli interni di Luigi Filippo, annunciò all’Assemblea che il governo britan-

Napoleone voleva essere seppellito a Parigi, «tra il popolo francese che tanto ho amato» CORONA USATA PER L’INCORONAZIONE DI NAPOLEONE. LOUVRE, PARIGI. E. LESSING / ALBUM

nico accettava di trasferire in Francia il corpo di Napoleone e che il re aveva affidato l’incarico al suo stesso figlio, il principe di Joinville. Inoltre, chiedeva ai deputati di approvare una voce di bilancio di un milione di franchi per finanziare il trasferimento del corpo e la costruzione a Parigi di un mausoleo che accogliesse i resti dell’imperatore. Secondo Rémusat, occorreva «innalzare e venerare senza paura la statua e la tomba di un eroe popolare, poiché c’è solo una cosa, una sola, che non teme il confronto con la gloria: la libertà!». La proposta suscitò un dibattito acceso tra favorevoli e contrari. Il poeta Lamartine, per esempio, avvertì: «Fate attenzione a questo culto al genio a tutti i costi. Non mi piacciono gli uomini che, come dottrina ufficiale, ostentano la libertà, la legalità e il progresso e, come simbolo, una spada e il despotismo». Il 26 maggio l’Assemblea approvò il finanziamento, anche se venne bocciata l’ipotesi di aumentarne l’importo, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

17


STEPHANE GAUTIER / AGE FOTOSTOCK

EVENTO STORICO

CRIPTA della chiesa della Cupola

del palazzo Les Invalides, a Parigi, con il monumentale sarcofago di porfido rosso che custodisce i resti di Napoleone.

così come alcuni avevano richiesto. Il 7 luglio del 1840 la fregata Belle Poule – che fu dipinta di nero e attrezzata per il trasporto del feretro – e la corvetta La Favorite salparono dal porto di Tolone. Sotto la direzione di Joinville viaggiava un numeroso gruppo di vecchie glorie dell’epoca napoleonica, in aggiunta a comandanti e soldati della Marina. L’8 ottobre approdarono a Sant’Elena, dove

si incontrarono con la goletta L’Oreste, dell’Armata Reale. Accolti dal malaticcio governatore dell’isola, George Middlemore, i membri della delegazione francese visitarono la tomba dell’imperatore e quella che era stata la sua residenza, Longwood House, che si trovava in uno stato deplorevole, malandata e con il pavimento ricoperto di escrementi di bestiame.

MEMORIA FALSATA AL POETA VICTOR HUGO, grande ammiratore di Na-

poleone, gli onori funebri del 1840 parvero una presa in giro: «Il governo sembrava aver paura del fantasma che evocava. Dava l’impressione che al tempo stesso si volesse mostrare e nascondere Napoleone. Hanno racchiuso la parte regale e grandiosa in involucri più o meno splendidi…». VICTOR HUGO. LITOGRAFIA CHE RAFFIGURA IL POETA NEL 1840. UIG / ALBUM

18 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

A mezzanotte del 14 ottobre i soldati britannici esumarono i resti. Joinville rimase all’interno della Belle Poule, infastidito dal fatto che non si permettesse ai francesi di prender parte all’esumazione. Dopo tre ore di lavoro per demolire la muratura, issarono il feretro di mogano e lo trasferirono in un padiglione preparato per l’occasione. Solo quando si conclusero le benedizioni dell’abate Coquereau, aprirono il feretro. All’interno ne trovarono un altro di piombo, che conteneva a sua volta un sarcofago di mogano. Un’ultima bara di latta custodiva il corpo di Bonaparte, che appariva quasi intatto: soltanto le alette del naso erano leggermente deteriorate, indossava superbamente il suo abito da cacciatore mentre il petto era decorato con la Legione d’Onore. Al suo fianco furono rinvenuti vari


Il carro funebre dell’imperatore QUEST’INCISIONE raffigura il passaggio del corteo funebre di Napoleone dall’Arco di Trionfo fino a Les

Invalides. Il feretro è collocato nella parte alta di una maestosa carrozza, ricoperta di arazzi di velluto viola e oro che ostentano l’emblema del compianto imperatore. Sarcofago imperiale con la corona e lo scettro Palazzo Les Invalides

Scudo sostenuto da 14 statue che simboleggiano le vittorie di Napoleone Arco di Trionfo

Trofei di guerra

DEA / ALBUM

Guardia Nazionale

16 cavalli, disposti in quadrighe, con pennacchio e mantelli dorati

contenitori con le sue viscere. Dopo il controllo d’obbligo, portato a termine dal medico della spedizione, il dottor Guillard, chiusero nuovamente la bara e la reintrodussero nei feretri di mogano e piombo. Si depose il tutto all’interno di un elegante sarcofago di ebano portato dalla Francia. Una volta imbarcata sulla Belle Poule, si dispose la salma su un catafalco, vigilato giorno e notte da una guardia d’onore.

fino a Parigi, dove il 14 dicembre venne accolta da una grande folla. La destinazione finale dei resti dell’imperatore sarebbe dovuta essere Les Invalides, un superbo edificio costruito all’epoca di Luigi XIV, adibito a ospedale militare e nel quale Napoleone aveva celebrato numerose cerimonie di guerra durante gli anni del suo governo. La mattina del 15 dicembre era gelida. Aveva nevicato e il cielo era nuvoloso. Ma quando il corteo funebre cominciò a sfilare, uscì il sole, una coinL’imperatore arriva in Francia cidenza che la gente interpretò come Dopo quasi un mese e mezzo di navi- un segno della grandezza del defungazione, il 30 novembre la Belle Poule to. Il corteo sfilò lentamente lungo il e La Favorite approdarono al porto di viale degli Champs-Élysées, tra colpi Cherbourg. Lì furono accolte da una di cannone, applausi e inni cantati da moltitudine infervorata, che si precipi- persone di ogni sorta finché, una voltò sulla nave per porgere l’estremo sa- ta giunti a Les Invalides, si impose il luto all’imperatore. In seguito, un’altra silenzio. In una cerimonia presieduta nave condusse i resti a Le Havre. Lì su- dall’arcivescovo di Parigi, sulle note di bentrò un’altra nave ancora, La Dorade, musica sacra – che incluse il Requiem che partendo da Rouen risalì la Senna di Mozart – si rese omaggio al feretro

nel giardino del palazzo e nella chiesa della Cupola. L’atto terminò quando l’emozionato maresciallo Moncey asperse il feretro con l’acqua santa. Il corpo di Napoleone venne collocato provvisoriamente nella cappella di Saint-Jérôme del palazzo di Les Invalides, in attesa che venissero completati i lavori del suo sepolcro definitivo, nella cripta della chiesa della Cupola. Quest’ultima avrebbe dovuto essere decorata con dodici statue che commemoravano altrettante vittorie militari dell’imperatore. L’imponente sarcofago di porfido rosso disegnato dall’architetto francese di origini italiane Louis Visconti sarebbe stato ultimato solo nel 1861. Nel frattempo, Luigi Filippo sarebbe sparito di scena e, al suo posto, un altro Bonaparte avrebbe preso le redini della Francia: Napoleone III. —Íñigo Bolinaga STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

19


LA VEDETTE DEL MUSEO EGIZIO

Al primo piano del Museo egizio del Cairo, una moltitudine di visitatori si accalca attorno alla splendida maschera aurea che copriva il volto e le spalle di Tutankhamon. Howard Carter scoprì la tomba quasi intatta del faraone bambino nella Valle dei Re nel 1922. KENNETH GARRETT / NGS

Tesori dell’antico Egitto

IL MUSEO DEL CAIRO nel 1858 l’archeologo francese auguste mariette fondò al cairo un museo per ospitare gli eccezionali pezzi d’arte faraonica che venivano scoperti nel paese. la sede divenne presto insufficiente e nel 1902 venne inaugurata quella attuale



UN FRANCESE OSSESSIONATO DALL’EGITTO

P

ER MARIETTE l’egittologia era una

passione irrefrenabile più che una disciplina scientifica. Nel 1850 non esitò a lasciare in Francia la moglie e tre figli piccoli per realizzare il sogno di andare in Egitto. La scoperta del Serapeo gli assicurò la fama, ma non placò il suo desiderio di azione. Come spiegava lui stesso in una lettera a un altro egittologo, Gaston Maspero: «Di ritorno in Francia provai a concentrarmi sull’interpretazione di un testo, cercando di convincermi che quello era l’obiettivo della scienza; ma non mi fu possibile… Mi mettevo a valutare qualche progetto di esplorazione o a scrivere una relazione sull’interesse che aveva per la scienza l’istituzione di un servizio di protezione dei monumenti – servizio di cui, naturalmente, io ero il capo. Se non avessi avuto presto l’opportunità di tornare in Egitto, sarei morto o impazzito».

BENOÎT TOUCHARD / RMN-GRAND PALAIS

AUGUSTE MARIETTE

In questo ritratto realizzato da Florent-Pascal, l’egittologo francese appare con il tipico abbigliamento ottomano dell’epoca. Museo del Castello di Boulogne-sur-Mer.

C

ome tutte le grandi opere, anche l’attuale Museo egizio del Cairo (il più importante al mondo nel campo dell’arte faraonica) ha avuto un creatore, qualcuno che lo ho fatto nascere e diventare un modello di riferimento per gli altri. Quel qualcuno era Auguste Mariette, un egittologo francese che, a metà del XIX secolo, comprese che era necessario che lo straordinario patrimonio archeologico scoperto in Egitto venisse conservato ed esposto nel Paese stesso, in un museo simile a quelli che già esistevano in Europa.

Nel 1850, quando aveva 29 anni ed era assistente al Dipartimento di antichità egizie del Museo del Louvre, Auguste Mariette fu incaricato di recarsi in Egitto per acquisire dei papiri copti. Lo scopo era creare una collezione paragonabile a quella del British Museum. Giunto al Cairo, nonostante il sostegno ufficiale della Francia, Mariette dovette affrontare una serie di problemi: il patriarca della Chiesa copta, per esempio, aveva vietato agli europei l’ingresso alle biblioteche dei conventi, a causa di uno sfortunato incidente con alcuni britannici. Scoraggiato e stanco, un po-

22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

/ GTR RMAN

Auguste Mariette fonda un museo al Cairo, nel quartiere di Bulaq, destinato a ospitare i reperti rinvenuti negli scavi. L’edificio occupa alcuni magazzini della Compagnia di navigazione del Nilo.

ER FO

MUSEI EGIZI DEL CAIRO

WERN

C R O N O LO G I A

1863 ES

1858

Il khedivè d’Egitto, Isma’il Pascià, inaugura ufficialmente il Museo di Bulaq, che apre al pubblico. Tra i suoi pezzi più celebri, la statua della Divina Sposa Amenirdis, rinvenuta nel tempio di Montu, nel complesso di Karnak.

TAVOLETTA DI NARMER. EPOCA PREDINASTICA. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.


KHALED DESOUKI / AFP / GETTY IMAGES

meriggio Mariette si sedette nei pressi della Cittadella del Cairo e iniziò a contemplare in lontananza le piramidi di Giza, accarezzate dagli ultimi raggi del sole. Ciò che avvenne in quel momento, nelle parole dello stesso Mariette, fu una specie di rivelazione mistica. Improvvisamente si rese conto che ciò che veramente gli interessava era l’antica civiltà che aveva costruito quei monumenti. Decise così di lasciar perdere i papiri e di dedicare tutti i suoi sforzi al recupero dei resti di quel glorioso passato. Mariette ottenne da subito risultati eccezionali. Nel 1851, dopo aver attraversato la zona di Giza, si diresse verso Saqqara per

esplorarne la necropoli. Lì, un giorno, notò una testa di roccia calcarea che emergeva dalle sabbie roventi. Si ricordò di avere visto volti di sfinge simili nelle botteghe di antiquari del Cairo e in un giardino di Alessandria. E gli venne in mente un passaggio dell’opera storiografica La Geografia di Strabone dove si parlava di un viale di sfingi che conduceva al Serapeo, il leggendario tempio del dio Serapide (chiamato Osiride-Api dai greci). Poco dopo l’egittologo scoprì delle gallerie sotterranee e le tombe dove erano stati inumati i tori sacri Api (fin dall’inizio il dio fu venerato sotto forma di un toro nero con macchie bianche),

IL SERAPEO DI SAQQARA

Gli egizi seppellivano i sacri buoi Api in queste gallerie sotterranee, che Mariette scoprì nel 1851. Sopra, uno dei monumentali sarcofagi in cui giacevano i buoi.

ARALDO DE

1902

2002

Dopo le terribili inondazioni che colpiscono il Cairo nel 1878, danneggiando gravemente il museo e distruggendo molti pezzi, la collezione di Bulaq viene trasferita al palazzo di Giza.

Si inaugura il nuovo museo del Cairo, in piazza Tahrir, sede dell’attuale Museo egizio. L’edificio, con due piani espositivi, si dimostrerà insufficiente a ospitare tutta la collezione.

Viene posta la prima pietra del nuovo museo, che dovrebbe aprire i battenti a Giza nel 2018. Il Gran Museo egizio, ancora in costruzione, si ergerà nella zona delle famose piramidi.

KEFREN. STATUA IN DIORITE. IV DINASTIA. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.

LUCA

1891


MARIETTE A SAQQARA

Tra il 1860 e il 1880, sotto la direzione di Auguste Mariette, venne scoperto nella necropoli di Saqqara un gran numero di mastabe (tombe di nobili e alti funzionari). Tra le piĂš importanti, quelle di Hesyra, Tiy, Ptahhotep e Akhethotep. La foto, scattata nel 1878, mostra un anziano Auguste Mariette, con la barba e il fez, accanto a un gruppo scultoreo in una mastaba della V dinastia. BRIDGEMAN / ACI



IN VISITA AL MUSEO DI BULAQ

N

EL 1871 VENNE PUBBLICATA una guida

del Museo di Bulaq, con fotografie delle sale e spiegazioni di Auguste Mariette. Della sala qui accanto, Mariette scriveva: «Siamo all’interno del museo e abbiamo davanti a noi la navata principale della Sala del Centro. In mezzo al mobile ottagonale si trova la statua del dio Nerfertum. In fondo alla sala si può ammirare l’inestimabile gruppo scultoreo rinvenuto a Saqqara nella tomba di Psammetico». Consapevole del fatto che il museo era troppo piccolo, Mariette spiegava che i sarcofagi delle mummie – come quello visibile tra le teche sulla sinistra – erano esposti in piedi, anche se avrebbero dovuto essere orizzontali. Quella di Bulaq, diceva, è una sede provvisoria, in attesa della «prossima costruzione del museo monumentale in un nuovo quartiere del Cairo».

DEA / GETTY IMAGES

nonché vari sepolcri di alti funzionari e nobili dell’Antico Regno. Mariette inviò al Louvre 41 casse stracolme di oggetti rinvenuti negli scavi, tra cui il celebre Scriba seduto. Altri pezzi vennero conservati nella sua casa di Saqqara, situata vicino all’"emiciclo dei poeti e dei filosofi" da lui stesso scoperto (si trattava di un monumento eretto da Tolomeo I e dedicato ai grandi saggi e poeti greci). Quelle spedizioni furono ben ricompensate. Nel gennaio del 1852 Mariette fu promosso al Dipartimento di conservazione del Louvre e in agosto fu nominato Cavaliere della Legione d’Onore. Tre mesi più tardi, altre 230 casse partirono per Parigi. Il governo francese gli assegnò nuovi fondi per permettergli di proseguire gli scavi in altri siti.

Il Servizio reperti archeologici Sia in Francia che in Egitto, Mariette iniziò a manifestare la sua preoccupazione per garantire la conservazione dei monumenti scoperti e mettere un freno agli scavi illegali e al traffico di antichità. Riteneva che ciò fosse 26 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL PRIMO MUSEO EGIZIO

Qui sopra, foto di una sala del vecchio Museo di Bulaq, scattata da Délié e Béchard. Fa parte delle 40 stampe incluse nell’Album du Musée de Boulaq, di Auguste Mariette, pubblicato al Cairo nel 1872.

possibile solo con la collaborazione di un’autorità appoggiata dal governo egiziano. Era necessario pertanto conquistarsi la fiducia dell’amministrazione locale. L’occasione si presentò nel 1857, quando l’imperatore francese Napoleone III manifestò il desiderio di visitare l’Egitto. L’ingegnere Ferdinand de Lesseps – già coinvolto nel progetto del canale di Suez – chiese al governatore ottomano Sa’id Pascià che fosse proprio Mariette a fare da guida a Napoleone: l’imperatore era un "amante dell’arte particolarmente preparato". Mariette si mise all’opera e sistemò tutti gli scavi in attività, da Giza a Elefantina [l’isola di fronte ad Assuan]. Alla fine il viaggio di Napoleone fu annullato e Mariette fu invitato a riprende il suo posto a Parigi. Mariette riuscì però a ritardare la sua partenza fino a quando, nel giugno del 1858, non raggiunse il suo obiettivo: la nomina a direttore del nuovo Servizio reperti archeologici egiziano, l’istituzione che da allora si occupa di promuovere e monitorare gli scavi effettuati nel Paese. Fin dal principio, Mariette era fermamente con-


SCALA, FIRENZE

vinto che gli scavi e gli oggetti ritrovati costituissero un patrimonio da proteggere con ogni mezzo. Ciò lo portò a scontrarsi non solo con tombaroli e trafficanti, ma anche con le stesse autorità egiziane, che permettevano le esportazioni di antichità come se fossero una merce o le usavano alla stregua di regali diplomatici: proprio ciò che avvenne con la collezione regalata all’arciduca Massimiliano d’Asburgo durante la sua visita in Egitto nel 1855. Mariette si impegnò affinché tutti gli oggetti rinvenuti fossero portati al Cairo, mettendo persino a disposizione un’imbarcazione. Per poterli proteggere ed esporre adeguatamente, promosse la creazione del primo Museo di reperti archeologici egiziano, che aprì i battenti nel 1858 negli ex locali di una compagnia di trasporti del quartiere cairota di Bulaq. Il successo fu tale che nell’ottobre del 1863 il museo dovette essere ampliato.

Missione salvaguardia Nonostante la sua nazionalità francese, l’egittologo divenne un incorruttibile difensore

del patrimonio archeologico egiziano. Lo dimostrò nel 1867 durante l’Esposizione universale celebratasi a Parigi, alla quale si recò in veste di commissario generale su nomina del governatore Isma’il Pascià. Mariette scelse con cura i pezzi del padiglione egiziano e ottenne un successo straordinario. Tra questi si trovava la statua del nobile Ka’aper, nota come Sheikh-el-Beled (della V dinastia), e i gioielli scoperti nella tomba della regina Ahhotep (della XVII dinastia). Alcuni francesi, piuttosto impressionati, chiesero che i gioielli di Ahhotep restassero in Francia. L’imperatrice Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III, chiese al governatore di regalarglieli. Isma’il non rispose e si nascose dietro Mariette, sostenendo che la decisione finale spettava all’archeologo. Questi rifiutò, senza dubitarne un attimo, e dichiarò che nessun altro reperto sarebbe più arrivato in Francia, dato che il Louvre aveva già ricevuto un numero sufficiente di oggetti. Curiosamente, il governatore fu infastidito dall’atteggiamento di Mariette e gli ritirò i permessi per con-

MODELLINI PER L’ETERNITÀ

Al primo piano dell’attuale Museo egizio sono esposti svariati modellini funerari del Medio Regno, come questa imbarcazione ritrovata nella tomba di Meketre.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

27


KHALED DESOUKI / AFP / GETTY IMAGES

LAVORI DI COSTRUZIONE DEL NUOVO MUSEO EGIZIO, NEI PRESSI DELLE PIRAMIDI DI GIZA, VISIBILI SULLO SFONDO.

UN PROGETTO FARAONICO

L

E COLLEZIONI DELL’ATTUALE MUSEO DI ANTICHITÀ egizie,

situato in piazza Tahrir, nel centro del Cairo, avranno prossimamente due nuove destinazioni. Parte dei pezzi sarà esposta nel nuovo museo, la cui costruzione è pressoché ultimata. Si tratta del Museo nazionale della civiltà egizia, ubicato nel vecchio quartiere di al-Fustat, che coprirà un arco di tempo che va dalla preistoria fino all’attuale periodo islamico. Ancor più importante, tanto per le dimensioni quanto per il contenuto (dovrebbe ospitare circa centomila pezzi), sarà il Grande Museo egizio. Questo ambizioso edificio, ancora in fase di costruzione, si troverà tre chilometri a nord-est delle grandi piramidi di Giza. Del progetto, scelto tra cinquecento proposte, è stato incaricato lo studio irlandese Heneghan Peng Architects. La distribuzione ascendente, che segue la pendenza del terreno, a impatto ambientale zero, farà sì che dal punto più alto, dove saranno collocate le collezioni dell’Antico Regno, sarà possibile contemplare le piramidi. Forse la caratteristica più notevole di questo nuovo museo sarà la morbida illuminazione naturale offerta dai giganteschi triangoli di alabastro che ne formeranno la facciata principale.

28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

durre nuovi scavi. Nel 1869, Isma’il celebrò l’inaugurazione del canale di Suez con una serie di atti a cui invitò i monarchi e le personalità europee. Mariette contribuì ai festeggiamenti in modo abbastanza inatteso, incaricandosi del libretto, della scenografia e della messa in scena dell’Aida, la nuova opera di Verdi che debuttò al Cairo per l’occasione. Il viaggio degli invitati reali lungo il Nilo fu così memorabile che Eugenia de Montijo arrivò a perdonare Mariette. A sua volta l’egittologo scrisse al riguardo: «[L’imperatrice] fu gentilissima e piena di attenzioni nei miei confronti». Il fondatore del primo Museo egizio si spense al Cairo il 18 gennaio 1881 e venne seppellito accanto al suo museo, a Bulaq. Una sottoscrizione pubblica consentì che le sue spoglie fossero depositate in un sarcofago di pietra simile a quelli che aveva scoperto.

Musei passati, presenti e futuri Le dimensioni del Museo di Bulaq divennero ben presto insufficienti. Nel 1878 l’edificio subì inoltre gravi danni a causa di forti inon-


MICHAEL VENTURA / AGE FOTOSTOCK

dazioni che evidenziarono l’inadeguatezza della sua posizione. Nel 1891 le collezioni di Bulaq, e la tomba di Mariette con loro, furono trasferite nel palazzo di Giza, sull’altra sponda del fiume. Ciononostante, questa sontuosa residenza si dimostrò inadatta come museo: l’ampiezza dei suoi grandi saloni faceva sembrare piccoli i reperti. E così si decise subito di costruire una nuova sede, nell’attuale piazza Tahrir, oggi invasa dal traffico e dall’inquinamento, ma che allora era una zona tranquilla. Parteciparono al concorso 73 progetti, e a vincere fu quello dall’architetto francese Marcel Dourgnon. La costruzione iniziò nel 1897 e il museo fu inaugurato il 13 luglio del 1902. Il progetto vincitore, in stile neoclassico, ha due piani espositivi, oggi insufficienti a ospitare il crescente numero di pezzi. Tuttavia è pur vero che la robusta struttura del museo ha saputo resistere al peso degli anni. Con i suoi archi interni e le ampie gallerie è diventato uno spazio di grande valore simbolico per l’egittologia. Anche se le autorità egiziane hanno avviato

il progetto di un nuovo Museo egizio, dalle linee più audaci, l’edificio attuale dovrebbe comunque essere destinato allo studio di reperti di grande interesse per i ricercatori. Nel frattempo, i visitatori potranno continuare a godersi l’accattivante cornice architettonica del Museo egizio, dove sono esposti i tesori archeologici delle civiltà faraoniche. Nonostante i tesori siano senz’altro mozzafiato, prima di andar via non dobbiamo dimenticarci di fare una visita rispettosa e ammirata anche alla tomba di Auguste Mariette. Nella parte sinistra del giardino si trova l’imponente statua del famoso egittologo, che sembra fluttuare sopra il suo sarcofago. Le sue spoglie hanno seguito i successivi spostamenti del museo da lui creato. Sul piedistallo della sua effigie, opera del fratello, l’architetto Édouard Mariette, si può leggere un epitaffio di commovente semplicità: «A Mariette Pascià, dal riconoscente Egitto».

L’ATRIO DEL MUSEO

Entrando, il visitatore si trova in un ampio atrio dove sono esposti sarcofagi in pietra e colossali statue, come il gruppo di Amenofi III e la regina Tiy, sul fondo.

MAITE MASCORT EGITTOLOGA E VICEPRESIDENTE DELLA SOCIETÀ CATALANA DI EGITTOLOGIA. CONSULENTE DI NATIONAL GEOGRAPHIC HISTORIA

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

29


PIANOTERRA

1

VIAGGIO NELLA STORIA

Il pianoterra del Museo egizio all’entrata del Museo egizio, in fondo a un ampio atrio costeggiato da monumentali sarcofagi in granito, si trova una gigantesca statua di Amenofi III – il grande faraone della XVIII dinastia, costruttore dei celebri colossi di Memnone – e di sua moglie, l’influente e saggia regina Tiy, consigliera e confidente del faraone. Nelle sale del pianoterra, ai visitatori è offerto un percorso nella storia egizia attraverso alcuni dei suoi pezzi più emblematici: la tavoletta di Narmer, gioiello del periodo predinastico; la vivida scultura di Rahotep e Nofret, della IV dinastia; la statua di Mentuhotep, il faraone guerriero fondatore del 3 Medio Regno; una gigantesca testa della regina Hatshepsut… Nelle sale destinate all’arte amarniana spiccano i due grandi colossi di Akhenaton, il celebre faraone eretico, nonché il busto bello e incompiuto di sua moglie Nefertiti. Il resto delle sale del piano 2 1 conserva pezzi del Periodo tardo e dell’epoca greco-romana. SOPRA E MAPPA: BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE. STATUE: SCALA, FIRENZE

30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

1 Djoser. Statua in pietra calcarea del faraone della III dinastia, ritrovata nel 1924-25 nel complesso funerario di Saqqara.


IL GRANDE MUSEO DI ANTICHITÀ EGIZIE Sezione del Museo egizio del Cairo realizzata dal suo architetto, il francese Marcel Dourgnon. Si possono apprezzare due piani dell’edificio, in stile neoclassico, e la grande cupola. La struttura, in cemento armato, coniuga armoniosamente cupole, archi, colonne e pilastri.

2 Triade di Micerino. Statua del faraone, tra Hator e la personificazione di un nomo o distretto.

3 Akhenaton. Il museo conserva vari colossi del faraone eretico, artefice della rivoluzione di Amarna. XVIII dinastia. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

31


1 Sarcofago interno di Yuya. La tomba di Tuia e Yuya, della XVIII dinastia, venne ritrovata intatta nella Valle dei Re nel 1905.

Tesori Tutankhamon

PRIMO PIANO

2

«ovunque brilla l’oro»

Oro e gioielli al primo piano dal momento della sua scoperta da parte del britannico Carter nel novembre del 1922, il tesoro di Tutankhamon è la stella del Museo egizio. I pezzi che lo formano occupano buona parte del primo piano dell’edificio e sono ammirati ogni giorno da migliaia di persone. Gioielli, ushabti [figurine funerarie destinate a lavorare nell’Aldilà al posto del defunto], bicchieri di alabastro, carri, sarcofagi d’oro e, naturalmente, la magnifica maschera aurea che gli copriva il volto e le spalle. Ma questo piano offre al visitatore molti altri tesori, per quanto la loro importanza sia spesso 3 oscurata dalle ricchezze del 4 2 faraone bambino. Sono qui esposti i pezzi ritrovati da Pierre Montet nel 1940, nelle tombe reali di Tanis, nonché il corredo funerario di Tuia e Yuya, due cortigiani di 1 Amenofi III, e una splendida collezione di oggetti di tutti i periodi della storia egizia. SOPRA: BRIDGEMAN / ACI. MAPPA: BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE.

32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC DA SINISTRA A DESTRA: AKG / ALBUM; UIG / AGE FOTOSTOCK; SANDRO VANNINI / GETTY IMAGES

2 Anubi, il dio protettore dei defunti, giace sul suo tabernacolo. Tomba di Tutankhamon. XVIII dinastia.


4 Cappella che conteneva i vasi canopi di Tutankhamon, custodita dalle divinitĂ Iside, Nefti, Selkis e Neith.

3 Maschera funeraria in oro del faraone Psusennes I, scoperta nella sua tomba a Tanis. XXI dinastia. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

33


3

il regno di osiride

PRIMO PIANO

Dove riposano le mummie reali

5

l’universo funerario degli antichi egizi si incontra al primo piano del museo. Vi si possono trovare migliaia di oggetti del corredo funerario: gli ushabti e le scatole decorate che li contenevano, i vasi canopi per conservare le viscere mummificate, gli amuleti che garantivano la protezione dell’anima, oppure i modellini funerari con gli omini che lavoravano per assicurare il benessere dei ricchi defunti nel regno di Osiride [dio della morte e dell’oltretomba]. Possiamo trovare anche sarcofagi magnificamente decorati, come quello dell’artigiano reale Sennedjem, e poi papiri, oggetti della vita quotidiana e alcuni esempi dei famosi ritratti del Fayyum, di un realismo tale da 2 costituire vere e proprie istantanee 3 del defunto. Ma indubbiamente 4 non si può lasciare il museo senza aver visitato la sala dove sono esposte le mummie dei grandi faraoni della storia d’Egitto come Seti I, Ramses II, Thutmose IV, 1 Merenptah e altri. SOPRA: SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK. MAPPA: BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE.

34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC DA SINISTRA A DESTRA: ARALDO DE LUCA. ARALDO DE LUCA. SCALA, FIRENZE. ARALDO DE LUCA

2 Sarcofago dorato di giovane donna con il proprio ritratto a coprirle il volto. II secolo d.C.


1 Sala delle mummie reali. Sono qui esposte, in teche perfettamente attrezzate, le mummie dei grandi faraoni.

4 Portatrice di offerte ritrovata nella tomba di Meketre, nella necropoli di Assasif, nel 1920. XII dinastia.

3 Contenitore per conservare ushabti (figurine funerarie). Tomba di Sennedjem. Deir el-Medina. XIX dinastia.

5 Sarcofago di Maatkara, la figlia di Pinedjem I, sommo sacerdote di Amon, ritrovato nel sito di Deir el-Bahari. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

35


LA DEA ATENA

Alleata dei greci, la figlia di Zeus appare in questo dipinto di Gustav Klimt con indosso l’egida o corazza che le copre il petto e le spalle, adornata con il volto di Medusa. 1898. Museo Karlsplatz, Vienna. Nella pagina seguente, Elena ritorna a Sparta con Menelao. Vaso del V secolo a.C. Museo delle Belle Arti, Boston.


L’ILIADE Omero e la guerra

BRIDGEMAN / ACI

GE

MA

N/

AC I

Nell’VIII secolo a.C. Omero scrisse l’Iliade, un poema epico in cui narrò la terribile guerra che contrappose greci e troiani. Il poema non esalta però le virtù della guerra, piuttosto evoca l’orrore e la distruzione che questa comporta

BR

ID


L

urgrós, polúdakros, dusêlegês, ainós. Miserabile, lacrimosa, dolorosa, raccapricciante. Così viene descritta la guerra nell’Iliade, il poema epico che Omero compose intorno al 730 a.C. e che narra la lotta tra due eserciti in lizza per la città di Troia. Gli invasori achei – come Omero chiama i greci dell’Età del bronzo – sono venuti a riprendersi Elena, la sposa del re Menelao di Sparta, che è fuggita con Paride, erede della dinastia regnante a Troia

La svolta Gli achei, invece, sono una coalizione formata da reclute provenienti da tutto il mondo greco e guidata dal ricco e potente fratello di Menelao, Agamennone, re di Micene. Sono stanchi di lottare. Le loro navi, sbarcate sulle rive della pianura di Troia e da tempo inutilizzate, si stanno deteriorando. Il loro più grande guerriero, Achille, ha da poco denunciato pubblicamente, con

un discorso estremamente duro, sia la guerra che il suo comandante. La maggioranza degli achei sembra condividere il punto di vista di Achille: non vale più la pena di combattere questa guerra. Da parte loro, i troiani assediati sono sempre più disperati. Inaspettatamente, l’inetto Paride si rivolge al fratello Ettore, il leader da cui i troiani dipendono, e gli fa una proposta: sfiderà Menelao a duello. I due si batteranno a singolar tenzone mentre il resto dei loro eserciti, gli achei e i troiani, «giurando fedelmente patti d’amicizia» rimarranno a Troia «dove il suolo è ricco, o ritorneranno a pascolare i cavalli ad Argo e Acaia, che ha vanto di femmine belle». Ettore fa immediatamente quest’offerta agli achei. Menelao accetta e viene stipulato un trattato per consacrare l’esito del duello. Così disse, e sia gli achei che i troiani si rallegrarono, sperando che ciò ponesse fine a quella guerra sanguinaria. Fermarono i carri lungo le file, essi stessi scesero, si tolsero le armi e le collocarono a terra una vicino all’altra, e nel mezzo restava solo un piccolo spazio… E così tutti i troiani e gli achei ripetevano: «Giove possente e voi, tutti quanti, Celesti immortali, possa chi primo ardisse peccar contro i giuramenti, a qualunque bando appartenga, il cervello sparso cadergli a terra, cadere ai suoi figli, come ora si sparge questo vino, e possano le loro mogli essere violentate da altri

OMERO, AUTORE DELL’ILIADE, IL PIÙ FAMOSO POEMA EPICO DI TUTTI I TEMPI. BUSTO DELLA COLLEZIONE FARNESE. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI. SCALA, FIRENZE

HERCULES MILAS / ALAMY / ACI

(conosciuta anche come Ilio). I due eserciti sono in lotta da dieci lunghi anni e le mura della città di Troia resistono senza dar cenno di cedimento. La guerra è in una situazione di stallo. I troiani combattono non solo per tenersi Elena, ma anche per la sopravvivenza della loro città. Il poema contiene molteplici segnali che fanno presagire il destino che li aspetta come popolo conquistato – uomini massacrati, donne violentate e prese in ostaggio, città in fiamme. Pertanto, per i troiani vincere significa sopravvivere, perdere significa morire.


C R O N O LO G I A

LA GRANDE EPOPEA GRECA 1230-1210 a.C. Gli studiosi situano orientativamente in questo periodo la guerra di Troia, che contrappone greci (achei) e troiani.

1200-1150 a.C. Crollo della civiltà micenea, attribuita a diverse cause: l’invasione dei popoli del mare, dei dori, eccetera.

XI secolo a.C. Dopo la scomparsa del mondo miceneo, i greci eoli si stabiliscono nella Troade e in alcune isole dell’Egeo, come Lesbo.

VIII secolo a.C. Omero compone l’Iliade, il gran poema epico in cui narra gli orrori del conflitto che ebbe luogo a Troia.

III-V secolo d.C.

AKG / ALBUM

Quinto di Smirne scrive le Postomeriche, in cui descrive avvenimenti della guerra di Troia non narrati nell’Iliade.

LA PORTA DEI LEONI

Questa porta monumentale, incoronata da un architrave di pietra con due leoni rampanti su entrambi i lati, era l’antica entrata di Micene, capitale di Agamennone.

IFIGENIA. FIGLIA DI AGAMENNONE, VIENE SACRIFICATA AFFINCHÉ ARTEMIDE PERMETTA LA PARTENZA DELLE NAVI PER TROIA.


P E N I SOLA o DI G A LLI P OLI p o n t s e Percote l El

MA R EGEO

Sestos

POSSIBILI ROTTE DEGLI ACHEI

Sbarco sulla costa Spedizione di saccheggio di Achille

ne

lli

Abidos

Arisbe

Capo da Helles D ar Capo Sigeo

Simunte

Baia di Besik

TROIA

ama Esc

EO

Colonae

Questa mappa raffigura lo scenario in cui ebbe luogo lo scontro tra l’esercito greco e quello troiano, sulle coste dell’Asia Minore [l’attuale Turchia].

ndro

MON T E I D A

DI M TE A R RR AN

E

LA GUERRA DI TROIA

T R OA D E

TÉNEDOS

Lirneso

MENELAO E PARIDE

Tebe sotto il Placo Crisa

Capo Lecto

Pedaso

dre Golfo di E

mit

EOSGIS.COM

uomini». Così parlò; ma il figlio di Crono [Giove] non volle ascoltarli. (Libro III) È una scena straordinaria, degna di una grande epopea di guerra – i soldati di entrambi gli eserciti che innalzano una furiosa preghiera per tornare a casa in pace. La scena è del tutto coerente con la rappresentazione epica della guerra come qualcosa di odiato e temuto da tutti coloro che sono costretti a parteciparvi. Tutti, uomini e donne, guerrieri e civili, vogliono che il conflitto finisca.

Il destino di tutti

HERITAGE / AGE FOTOSTOCK

M

Pedaso

Assalto finale a Troia Accampamento greco Città alleate diTroia Città saccheggiate dai greci Possibili localizzazioni

Molte persone che non hanno letto l’Iliade ma la conoscono solo per la sua reputazione hanno l’impressione che questo immenso poema sia una glorificazione della guerra. Eppure fin dalle sue prime scene l’epopea evoca le complessità di ciò che può es-

Afrodite rapisce Paride per evitare che venga ucciso da Menelao (sposo di Elena, il cui rapimento fu la causa della guerra). Vaso. V secolo a.C.

sere definito come la realtà duratura dell’esperienza bellica. Il racconto inizia in modo sfolgorante con lo scontro tra Achille e Agamennone in cui il primo mette in discussione la necessità della guerra e denuncia l’avidità del suo comandante. Il morale dell’esercito acheo – che risulterà vincitore – è così basso che in una delle scene iniziali vari soldati intraprendono una corsa folle verso le imbarcazioni nel tentativo di tornare a casa. Il capriccio degli dèi e il destino fanno sì che ogni duello e ogni battaglia siano tanto questione di fortuna quanto di abilità: gli dèi non sono giusti con gli uomini né in vita né in morte. Sopra ogni cosa, l’Iliade raffigura costantemente la guerra come una forza odiata che rovina ogni vita che tocca. Il poema evoca il destino di tutti: quello dei guerrieri, greci e troiani; quello delle donne catturate e di quelle amate; quello di coloro che sono troppo giovani e di quelli che sono troppo vecchi per combattere; dei vittoriosi e dei vinti, dei feriti, dei morenti e dei morti. E tutto mentre si avvicina sempre di più la distruzione della città di Troia e di tutti i suoi abitanti, vittime di questo conflitto ripugnante. Il destino di Troia e dei troiani costituisce il nucleo emotivo dell’epica, un fatto straor-

ARMATURA DI BRONZO ED ELMO REALIZZATO CON ZANNE DI CHINGHIALE. QUEST’ATTREZZATURA FU RINVENUTA A DENDRA, NEI PRESSI DI MICENE. XVI A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAUPLIA.

BRIDGEMAN / ACI

I M BR O


duello tra paride e menelao. Paride gettò la sua lancia, «che una lunga ombra

proietta», e colpì lo scudo di Menelao. Allora questi «gettò la picca, e colpì» Paride. La lancia strappò la tunica del troiano, «però deviò e schivò la Parca negra», ovvero la morte. Menelao «sguainò la spada, adornata con chiodi d’argento, e brandendola penetrò la cresta dell’elmo» di Paride. Successivamente «Lo agguantò per il casco dalle folte criniere e lo girò e lo spingeva verso gli achei […] e avrebbe raggiunto una gloria indicibile se non l’avesse notato la prontezza di Afrodite», la dea che proteggeva i troiani, che tirò fuori magicamente Paride dal duello. ILIADE, CANTO III


UN DIO INGANNATO

Era distrae il suo sposo Zeus per poter aiutare i suoi protetti, i greci, detti anche achei. Olio su tela di James Berry. XVIII secolo. IL DUELLO TRA AIACE ED ETTORE

dinario dato che l’Iliade è un poema greco incentrato su una leggendaria campagna greca – senza dubbio, fin dai primi tempi, è il poema nazionale ellenico per eccellenza. Eppure, il trattamento equo riservato ai troiani è una delle caratteristiche più distintive e indimenticabili dell’Iliade. Ciò si evince dalle piccole e fugaci biografie che accompagnano la morte di guerrieri minori:

to. Questa rappresentazione drammatica dell’avversario risulta più evidente in alcune grandi scene memorabili, che rientrano senza dubbio tra le più grandi pagine della letteratura. Per esempio il momento in cui il guerriero troiano Ettore si separa da sua moglie Andromaca e dal loro figlio, all’interno delle mura di Troia, e lei lo prega di non tornare in battaglia:

Tolse la vita al Teutraníde Assilo Il marzio Dïomede. Era d’Arisbe Bella contrada Assilo abitatore, Uomo di molta ricchezza, a tutti amico, Chè tutti in sua magion, posta lunghesso. La via frequente, ricevea cortese. (Libro VI)

[...] costei ch’ivi allor corse Ad incontrarlo; e seco iva l’ancella Tra le braccia portando il pargoletto Unico figlio dell’eroe troiano, Bambino leggiadro come stella. […] Sorrise Ettore nel vederlo, e tacque. Ma di gran pianto Andromaca bagnata Accostossi al marito, e per la mano Stringendolo, e per nome in dolce suono Chiamandolo, proruppe: [...] Il tuo valore ti perderà: nessuna Pietà del figlio né di me tu senti, Crudele, di me che vedova infelice Rimarrò tra poco, perché tutti Di conserto gli Achei contro te solo Si scaglieranno a trucidarti intesi; E a me sia meglio allor, se mi sei tolto L’andar sotterra. (Libro VI)

Dal momento che nell’Iliade muoiono molti più troiani che achei, l’epopea è densa di pathos per il nemico umanizzato e sconfit-

ANELLO MICENEO D’ORO IN CUI È RAFFIGURATA UNA SCENA DI CACCIA. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, ATENE.

L U I SA R I CC I A R I N I / P R I S M A

BRIDGEMAN / ACI

MUSEUMS SHEFFIELD / BRIDGEMAN / ACI

Il troiano Ettore, con l’aiuto della dea Artemide, sfida il greco Aiace, che riceve l’ausilio della dea della sapienza, Atena. Kylix del V secolo a.C.


lotta tra ettore e aiace. «Contro Aiace, che voltagli la fronte, scagliò Ettore

la lancia, e lo colpì ove del brando e dello scudo il doppio balteo sul petto si distende». Però in quel momento, «il gran Aiace Telamonide», afferrò un sasso tra i molti che i greci utilizzavano per bloccare le navi arenate sulla spiaggia, lo lanciò contro Ettore e lo colpì «al torace, vicino al collo, sull’orlo dello scudo. Il colpo lo fece stramazzare come una trottola, facendolo girare da tutte le parti», e «i suoi compagni, trascinandolo sulle spalle», lo portarono fuori dalla lotte e lo condussero a Troia «tra profondi sospiri». ILIADE, CANTO XIV



TROIA SU TROIA

In questo sito sono esistite nove “Troia”: ogni nuova versione della città è stata costruita sulle rovine di quella precedente. Dell’ultima, interamente romana, rimangono l’agorà o il mercato centrale. Gli storici credono che lo strato noto come “Troia VII” corrisponda all’Età del bronzo nella quale Omero ambientò l’Iliade. JAMES L. STANFIELD / GETTY IMAGES


TEATRO DI TROIA

Poco resta oggigiorno della Troia che fu scenario della guerra cantata da Omero, situata al livello VII. Questo teatro romano si trova al livello IX. LA MORTE DI PATROCLO

DEA / GETTY IMAGES

La storia oltre l’epica

SCALA, FIRENZE

La straordinaria empatia dell’Iliade si può forse spiegare con la storia di quell’epoca. In linee generali e alquanto imprecise, il mondo dell’Età del bronzo evocato dall’Iliade corrisponde al lasso di tempo che va dal XVII fino alla fine del XIII secolo a.C., periodo storico chiamato "miceneo" da Micene, la principale cittadella greca dell’epoca. Quest’era finì drammaticamente, e improvvisamente, intorno al 1200 a.C., ovvero una generazione dopo la caduta della storica città di Troia. In questo periodo furono molte le potenze del

46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Mediterraneo orientale che crollarono, per varie ragioni: disastri naturali, peste, disordini interni, interruzione degli scambi commerciali, saccheggi o siccità. In seguito al crollo dei regni micenei, i rifugiati provenienti da diverse parti del mondo di lingua greca cominciarono a migrare dai loro paesi alla ricerca di una nuova vita nel Mediterraneo e nell’Egeo. I diversi cammini presi da queste ondate di profughi possono essere ricostruiti partendo dai dialetti greci che parlavano. Coloro che venivano dalla Tessaglia e dalla Beozia (regioni della Grecia centrale) portarono il loro dialetto, l’eolico, a est, fino alla costa dell’Anatolia (l’attuale Turchia) e all’isola di Lesbo (che oggi è diventata una tragica zona calda delle ondate migratorie). Le prove archeologiche dimostrano che gli abitanti originari dell’isola condividevano la stessa cultura degli abitanti della Troade – la regione intorno a Troia. Quindi i greci eolici si erano stabiliti in un’area che, in termini culturali, era troiana. Pur avendo perso le proprie terre, questi immigrati portarono con sé gran parte del loro sapere, i loro dèi, la loro parlata e le loro storie. Qui, nella regione di Lesbo, i ricordi del mondo miceneo perduto sono stati tramandati attraverso leggende e poesie: racconti di grandi citVASO DI VAFIO, O "VASO BUCOLICO", FU RITROVATO VICINO A SPARTA. MOSTRA UN GIOVANE CHE LEGA LA ZAMPA DI UN TORO. 1500 A.C.

ORONOZ / ALBUM

Queste scene fanno sì che sia impossibile odiare i troiani; e se i greci non hanno un nemico acerrimo da sconfiggere, come possiamo lodare la loro vittoria?

Patroclo, l’eroe buono e amico di Achille, è appena morto in battaglia e Menelao protegge il suo cadavere dai troiani. Cratere del V secolo a.C.


la lotta per il corpo di patroclo. Gli achei recuperarono da terra tra le braccia il

cadavere e lo sollevarono con vigore a una grande altezza; alle loro spalle scoppiò a gridare la truppa troiana, poiché i troiani volevano il corpo di Patroclo come bottino, e «avanzarono ritti, di cani a simiglianza che precorrendo i cacciator s’avventano a ferito cinghial, desiderosi di farlo a brandelli». I troiani braccavano i greci «in massa e senza pausa, agitando le loro spade e picche». Ma ogni volta che si giravano gli Aiaci (il figlio di Telamone e il figlio di Oileo) «il viso, di color cangiava l’inseguente caterva, e non ardía niun farsi avanti, e disputar l’estinto». ILIADE, CANTO XVII


FUNERALI DI PATROCLO

Quest’olio di Claude J. Vernet riproduce i giochi funerari organizzati da Achille in onore di Patroclo. 1790. Museo di San Carlos, Messico. IL CADAVERE DI ETTORE

BRIDGEMAN / ACI

Parole di pace La maggior parte dell’azione dell’Iliade si incentra sulla guerra. Eppure il poema è anche costantemente inframmezzato da potenti scene di pace. Le grandi e sublimi metafore paragonano gli eventi umani alla natura lontana dal campo di battaglia di Troia: E qual d’oche o di gru volanti eserciti Ovver di cigni che snodati il tenue Collo van d’Asio ne’ bei verdi a pascere Lungo il Caïstro, e vagolando esultano Su le larghe ale, e nel calar s’incalzano Con tale un rombo che ne suona il prato; Così le genti achee da navi e tende Si diffondono in frotte alla pianura 48 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Del divino Scamandro, e il suol rimbomba Sotto il piè de’ guerrieri e de’ cavalli Terribilmente [...] (Libro II) Allo stesso modo, lo scudo che indossa Achille è decorato con scene proprie dei tempi di pace: Ivi inoltre scolpite avea due belle Popolose città. Vedi nell’una Conviti e nozze. Delle tede al chiaro Per le contrade ne venían condotte Dal talamo le spose, e Imene, Imene Con molti s’intonava inni festivi. (Libro XVIII) Questi scorci di pace non fanno altro che ricordarci costantemente ciò che è in gioco nella guerra. Attraverso un’eccellente arte poetica, il misterioso mastro-poeta che è passato alla storia col nome di Omero è stato in grado di trasformare l’antico racconto di un’oscura operazione bellica in una sublime e trascendente evocazione della devastazione che la guerra, non solo questa ma qualsiasi guerra, e in qualsiasi epoca, porta necessariamente con sé. CAROLINE ALEXANDER SCRITTRICE. COLLABORATRICE DI NATIONAL GEOGRAPHIC E AUTRICE DEL LIBRO LA GUERRA CHE UCCISE ACHILLE: LA VERA STORIA DELL’ILIADE.

BRIDGEMAN / ACI

tà ricche d’oro, memorie confuse di battaglie e di tipi di armature, imprese di guerrieri che hanno lottato come leoni e comunicato con gli dèi, e un supereroe tessalico chiamato Achille. Alla fine la tradizione fu adottata dai poeti che usavano un altro dialetto, lo ionico. Tuttavia, risulta allettante ipotizzare che questo periodo in cui i poeti eolici plasmarono la tradizione epica vivendo nella regione di Troia spieghi la partecipazione emozionale nei confronti della tragedia dei troiani. I poeti eolici avevano forse sentito la versione troiana della guerra?

Dopo aver ucciso Ettore, il campione troiano, Achille lega il corpo al suo carro e lo trascina senza pietà fino al suo accampamento. Vaso. VI secolo a.C.


la fine di ettore. Dopo averlo ucciso, Achille disse: «Giovani achei, intonando

un inno di vittoria, ritorniamo alle vuote navi e trasportiamolo [il cadavere di Ettore]. Abbiamo ucciso il divino Ettore, che i troiani in città invocavano come un dio». Achille immaginò come umiliare il nemico morto. «De’ piè gli fora i nervi dal calcagno al tallone, e nei buchi fatti vi inserì cinghie di bovino, che legò alla cassa del carro». Dopo si mise in marcia: «Un gran polverone si alzò dal cadavere trascinato; i capelli scuri si diffondevano, e la testa intera, un tempo affascinante, giaceva nella polvere». ILIADE, CANTO XXII


Il capolavoro dell’architettura romana

IL PANTHEON tra le varie tracce del suo glorioso passato, roma conserva un edificio unico: il pantheon, che stupisce ancora oggi per l’ottimo stato di conservazione e la spettacolare cupola, la più grande mai realizzata fino al xx secolo


UN INTERNO LUMINOSO

Illuminato internamente dalla luce che penetra attraverso l’oculo – l’apertura sulla sommità della cupola –, il Pantheon di Roma fu costruito su iniziativa dell’imperatore Adriano. Era un tempio dedicato a tutti gli dèi. GIOVANNI SIMEONE / FOTOTECA 9X12


I

ntorno al 27 a.C., Marco Vipsanio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto, intraprese un’ambiziosa trasformazione urbanistica del Campo Marzio, uno spazio situato al di fuori delle mura di Roma, dove sorgevano importanti edifici delle epoche precedenti. Lì, su terreni di sua proprietà e a sue spese, Agrippa fece erigere la basilica di Nettuno, in segno di gratitudine per le vittorie navali concesse dal dio del mare. Costruì anche delle terme pubbliche, le prime della città,

IL SOVRANO COSTRUTTORE

Adriano fece erigere grandi monumenti in tutta Roma, tra cui il suo stesso mausoleo (l’odierno Castel Sant’Angelo), a immagine di quello di Augusto. Busto del II secolo. Uffizi, Firenze. SCALA, FIRENZE

e un grande lago artificiale, entrambi alimentati dal nuovo acquedotto dell’Aqua Virgo. Un lungo canale, l’Euripo, faceva defluire le acque in eccesso verso il Tevere. Ma la perla di tutte le opere era il Pantheon, un tempio monumentale situato in un luogo di grande valenza simbolica. I romani credevano, infatti, che lì fosse scomparso, nel bel mezzo di una tempesta, Romolo, fondatore di Roma e primo re della città, per trasformarsi in un dio.

In accordo con la tradizione greco-romana, l’edificio era a pianta rettangolare. Agrippa voleva collocare una grande statua di Augusto all’interno del tempio e dedicarlo al sovrano. Ma questi rifiutò, per un prudente calcolo politico: non va dimenticato che Augusto era giunto al potere dopo una cruenta guerra civile e Giulio Cesare, suo padre adottivo, era stato assassinato perché si riteneva volesse proclamarsi re. Dentro avrebbero quindi trovato posto i dodici dèi del Pantheon romano, presieduti da una statua di Cesare divinizzato, accompagnato dalle effigi di Venere e Marte. L’imperatore autorizzò soltanto la costruzione di due statue, la sua e quella di Agrippa, che

C R O N O LO G I A

LA CASA DEGLI DÈI

vennero poste nelle due nicchie del portico dell’edificio. Sul frontone della facciata principale, un’iscrizione latina in lettere di bronzo recitava: «Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta». Quando l’imperatore Adriano fece erigere in questo luogo un nuovo tempio, conservò l’epigrafe, che si può leggere ancor oggi, in omaggio al suo costruttore.

La grande opera di Adriano Quel primo Pantheon, che conosciamo solo grazie agli scavi archeologici, fu gravemente danneggiato dall’incendio dell’80 d.C. e fu ricostruito dall’imperatore Domiziano. In seguito, nel 118, durante la ristrutturazione di quest’area promossa dall’imperatore Adriano, l’antico tempio di Agrippa venne demolito per far posto all’edificio che vediamo oggi. Gli architetti incaricati del progetto, probabilmente sotto la direzione di Apollodoro di Damasco, disegnarono una grande piazza circondata di portici su tre lati.

All’epoca, la visione che lo spettatore aveva della facciata era molto diversa da quella

27 a.C.

80 d.C.

118-125

609

Agrippa fa erigere il Pantheon originale in onore di Augusto, primo imperatore.

Un incendio distrugge il Pantheon. L’imperatore Domiziano lo farà ricostruire.

L’imperatore Adriano fa costruire un nuovo Pantheon, che è arrivato fino ai giorni nostri.

Il pontefice abruzzese Bonifacio IV consacra il Pantheon come chiesa cristiana.


A VOLO DI UCCELLO

Questa immagine aerea permette di apprezzare con chiarezza il disegno esterno del Pantheon e la sua posizione in piazza della Rotonda, a Roma. Lo sguardo va verso l’oculo zenitale, attraverso il quale il sole illumina l’interno. GEORG GERSTER / AGE FOTOSTOCK


1.

POSIZIONE  SIMBOLICA agrippa, il genero di augusto, costruì il primo Pantheon nella zona centrale del Campo Marzio. Si ritiene che inizialmente fosse destinato al culto dell’imperatore vivente, alla maniera dei re ellenistici. Il fatto che sorgesse nei pressi del luogo dove Romolo era diventato un dio indica il desiderio di unire simbolicamente il culto di Augusto con quello del fondatore della città di Roma. Nonostante l’imperatore avesse rifiutato di fare del primitivo Pantheon un Augusteum (un tempio dedicato a sé stesso), l’importanza simbolica dell’edificio era chiara: si trovava sullo stesso asse del mausoleo che avrebbe conservato le ceneri di Augusto divinizzato e che lo stesso imperatore aveva iniziato a costruire attorno al 29 a.C., in un’area dove sorgevano altri monumenti con chiara vocazione propagandistica, come l’Ara Pacis (Altare della Pace) e una monumentale meridiana: l’Horologium.

Tempio di Adriano

Altare di Faustina minore Altare di Faustina maggiore

Horologium

Mausoleo di Augusto

NELLA ROMA IMPERIALE. L’ILLUSTRAZIONE SI BASA SUL PLASTICO DI ROMA A INIZIO DEL IV SECOLO ESPOSTO NEL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA. DISEGNATO DALL’ARCHITETTO ITALIANO ITALO GISMONDI, FU REALIZZATO TRA IL 1933 E IL 1971 DAL MODELLISTA PIERINO DI CARLO.


Teatro di Pompeo

Saepta Julia

Pantheon

Tempio di Matidia, nipote di Traiano

Terme di Nerone

Stadio di Domiziano

Roma, una città circondata da mura

2

4

8

3

5 6 7

1 FOTO: DEA / AGE FOTOSTOCK

Il Tevere

In questa mappa si può apprezzare il perimetro di Roma. Le mura serviane 1, erette nel IV secolo a.C., cinsero la città per secoli, fino a quando la crescita dell’urbe non richiese delle nuove mura 2, costruite nell’epoca di Aureliano, nel III secolo d.C. Nell’immagine sono posizionati alcuni monumenti importanti come il Pantheon 3, lo stadio di Domiziano 4, il Colosseo 5, il Circo Massimo 6, le terme di Caracalla 7 e le terme di Diocleziano 8.


Nel corso dei secoli, l’enorme cupola ha affascinato non solo per la magnificenza, ma anche per le incognite legate alla sua costruzione

Abside

S. RAUCH / AGE FOTOSTOCK

Accesso

che ha attualmente. Il pavimento della piazza, infatti, allora era ribassato rispetto a oggi e il portico dell’edificio si trovava su una specie di piattaforma. Per entrare nel complesso bisognava quindi salire le scalinate situate su entrambi i lati dell’entrata. Dal livello della piazza non si vedeva la rotonda – il corpo cilindrico dell’edificio – né la cupola. Insomma, lo spettatore non informato avrebbe visto solo la facciata di un tempio tradizionale, senza sospettare il magnifico spettacolo che si celava al suo interno. Una volta dentro, sarebbe rimasto impressionato dalla grandiosità dello spazio. Oggi, come duemila anni fa, lo sguardo corre istintivamente verso l’alto per contemplare la stupefacente cupola semisferica che, con il suo diametro di 43,3 metri, è la più grande mai costruita fino al XX secolo. La cupola poggia su un formidabile tamburo, una base cilindrica di sei metri di spessore che riposa su un anello in calcestruzzo (opus caementicium) di 4,5 metri di profondità. Il tamburo è diviso in tre sezioni o livelli, separati da cornici e costruiti con materiali sem2 pre più leggeri via via che 4 si procede in altezza: dal calcestruzzo con inserti di travertino e tufo del primo livello, fino al calcestruz3 zo con scaglie di mattoni alla base della cupola, che costituisce il terzo livello. Di qui in poi si susseguono strati di calcestruzzo 1

PIANTA DEL PANTHEON. 1 NICCHIE DELLE STATUE DI AGRIPPA E AUGUSTO. 2 ESEDRE. 3 EDICOLE. 4 PILASTRI.

con scaglie di pietra calcarea porosa, quindi calcestruzzo miscelato a pietra pomice, fino all’oculo o apertura di quasi nove metri di diametro (8,92 m, secondo studi recenti) che sormonta la cupola. Oltre all’uso di materiali sempre più porosi e alla riduzione dello spessore della cupola via via che si sale verso l’alto, il peso della copertura fu alleggerito sfruttando un ulteriore espediente: venne decorata con cinque ordini di cassettoni – degli spazi vuoti rettangolari che permettevano di assottigliarla.

Una cupola immensa Fin dall’epoca romana, l’enorme concavità della cupola ha attirato l’attenzione non solo per la sua magnificenza, ma anche per le incognite legate alla sua realizzazione: non sappiamo ancora esattamente come fecero i costruttori romani per risolvere i vari problemi tecnici senza ombra di dubbio legati all’opera.

I principali architetti rinascimentali hanno cercato di svelare il mistero della realizzazione della cupola. Tuttavia, solo nel XIX secolo gli studiosi sono riusciti ad approfondire lo studio con analisi sempre più dettagliate. Una delle ultime, effettuata nel 2006 dall’esperto di studi classici Rabun Taylor, all’epoca professore dell’università di Harvard, propone nuove ipotesi costruttive. Il principale interrogativo degli studiosi è come fecero i romani a collocare le centine, ovvero le nervature di legno su cui veniva versato il calcestruzzo fino a che non solidificava e la struttura era in grado di sostenersi da sola. Secondo Taylor, oggi professore associato all’università del Texas, le centine furono costruite all’interno del tamburo. Ve n’erano 28, in corrispondenza delle 28 sezioni curvilinee o meridiani in cui era suddivisa la cupola. Le centine furono elevate mediante altrettante gru collocate nella parte superiore del tamburo, la grande base circolare della cupola. Queste macchine erano assicurate con lunghe corde legate a dei pali che venivano posti all’esterno dell’edificio. In questo modo fu possibile


FACCIATA PRINCIPALE

Dalla fontana di piazza della Rotonda si ha una visione frontale della facciata del Pantheon e dell’iscrizione sull’architrave che ne attribuisce la prima costruzione a Marco Agrippa. Attraverso il portale d’ingresso si intravede l’interno illuminato. RAINER MIRAU / FOTOTECA 9X12


2.

UN TEMPIO  CIRCOLARE

Oculo

Attraverso quest’apertura sulla sommità della cupola, non protetta da alcun materiale, entra la luce e, quando piove, l’acqua.

i templi romani si ispiravano a quelli greci ed etruschi, che in generale erano a pianta rettangolare. Per questo, l’uso nel Pantheon di una rotonda, sormontata da un’enorme cupola, rappresentò un’innovazione per l’architettura religiosa romana. Da allora si ricorse con frequenza al tamburo chiuso da una grande cupola per coprire gli spazi interni di edifici termali, come il cosiddetto tempio di Venere nelle terme di Baia (sempre dell’epoca di Adriano) o il tempio di Apollo sulle sponde del lago Averno, del II secolo d.C., entrambi dotati di oculo centrale. Troviamo esempi di cupola senza oculo nei mausolei di Elena e santa Costanza nei dintorni di Roma, o in quello dell’imperatore Costante I, figlio di Costantino, a Centcelles (Tarragona, Spagna), tutti del IV secolo.

Frontone

La decorazione, oggi scomparsa, rappresentava un’aquila con una corona.

Nicchie

Sui lati del propileo si aprono due nicchie. Erano destinate a ospitare le statue di Agrippa e di Augusto.

Iscrizione

L’architrave è quello del Pantheon originale di Agrippa, del 27 a.C. L’iscrizione latina in bronzo recita: M. AGRIPPA L. F. COS. TERTIUM FECIT, «Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta».

L’ORDINE DEL PANTHEON

I capitelli delle colonne del Pantheon hanno la decorazione a foglie di acanto caratteristica dell’ordine corinzio.

Portico Trabeazione

Fusto

Base

SOL 90 / ALBUM

Capitello

Il pronao, o portico colonnato, è ottastilo, ovvero a otto colonne. Misura 34,20 x 15,62 m ed era situato a 1,32 m sul livello della piazza. Pertanto vi si accedeva per mezzo di cinque gradini.

Colonne del portico

Nel portico ci sono 16 colonne monolitiche (costituite da un unico pezzo), le otto anteriori di granito grigio e le restanti di granito rosa proveniente dall’Egitto. Sono alte 14,15 m e pesano 84 tonnellate circa ciascuna. Le basi, i capitelli e la trabeazione sono in marmo bianco di Carrara e in marmo pentelico greco.


Meridiano

È ognuna delle 28 sezioni ricurve in cui è suddivisa la cupola. Secondo l’ipotesi del professor Rabun Taylor, per costruire la cupola sarebbero state usate 28 gru, ognuna delle quali avrebbe sollevato e posto in sede la centina o nervatura di legno di un meridiano.

Cupola

Con i suoi 43,30 m di diametro, era la più grande del mondo. Realizzata in calcestruzzo, poggia su un muro cilindrico o tamburo. Anticamente era ricoperta di tegole di marmo e bronzo.

Cassettoni

Oltre ad avere una funzione estetica, alleggeriscono il peso complessivo della cupola.

Abside

È preceduta da due colonne in pavonazzetto (marmo synnadicum), di colore violaceo con venature bianche, proveniente da Docimio (Turchia).

Pilastri

Le edicole sono fiancheggiate da otto massicci pilastri, che costituiscono la struttura che sostiene la spinta del peso della cupola.

Esedre Propileo

Nel propileo, in mattoni, si apre l’accesso a due scalinate che permettevano di raggiungere la parte superiore dell’edificio.

Pavimento

È leggermente convesso verso i lati e concavo al centro. Ciò permette alla pioggia che entra attraverso l’oculo di defluire verso un canale di scolo che percorre tutto il contorno dell’edificio.

Edicole

Ci sono otto edicole (tempietti) che, insieme all’esedra, anticamente ospitavano le statue degli dèi del Pantheon romano. Le edicole hanno colonne lisce in porfido o granito e colonne scanalate in marmo numidico, che sostengono frontoncini alternativamente triangolari e curvilinei.

Nel muro si aprono sei esedre o spazi aperti: due semicircolari, con colonne di pavonazzetto, di color violaceo con venature bianche, proveniente da Docimio (Turchia). Le altre quattro sono rettangolari, con colonne in marmo numidico giallo provenienti da Chemtou (Tunisia). Tutti i capitelli sono di marmo pentelico, originario della Grecia.


L’interno del Pantheon potrebbe rappresentare la totalità del cosmo: la parte superiore sarebbe il mondo celeste e quella inferiore quello terreno creare una specie di cupola di legno sulla quale fu versato il calcestruzzo in fasi successive.

Cosa vediamo all’interno Nel livello inferiore del tamburo si aprono diversi spazi che in passato contenevano le statue degli dèi del Pantheon romano. Al di sopra di questo primo ordine – e da esso separato da una cornice di marmo – ce n’è un secondo, le cui decorazioni sono state distrutte nel XVIII secolo e sostituite con vari elementi, tra cui degli stucchi che simulano le finestre. Un intervento di restauro nel XX secolo ha recuperato parte del disegno originale, con nicchie quadrangolari e frontoni triangolari. Infine, un’altra cornice di marmo bianco separa questo secondo livello dal terzo, dove cominciano i cassettoni. Il pavimento, formato da grandi lastre di marmo in cui sono inscritti alternativamente cerchi o quadrati più piccoli, è stato restaurato nel XIX secolo rispettando il progetto e i marmi originali.

Simbolismo cosmico? Oltre all’ammirazione generata dall’armonia degli spazi interni e dagli enigmi che avvolgono la sua costruzione, un altro aspetto del Pantheon che ha fatto versare fiumi di inchiostro è il suo significato. Tutto ciò che è stato detto al riguardo deriva da un passaggio dello storico e senatore romano di lingua greca Cassio Dione. Nella sua Storia romana, Dione scrisse che la pianta circolare e la cupola dell’edificio gli ricordavano la volta celeste. Così, il mondo terreno corrisponderebbe alla metà inferiore dell’edificio, mentre la sfera celeste alla metà superiore, con l’oculo a simboleggiare il sole. Non tutti i ricercatori sono però d’accordo con questa tesi. Alcuni, infatti, ritengono che la perfezione dell’opera sia semplicemente il risultato di minuziosi calcoli matematici. È invece molto probabile 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

che sia vero quanto dice Cassio Dione in un altro passaggio della sua opera, dove afferma che l’imperatore «con l’aiuto del Senato sbrigava tutti i temi più urgenti e rilevanti, e impartiva giustizia, assistito dagli uomini più importanti, o nel palazzo, o nel Foro, o nel Pantheon, o in altri luoghi, sempre seduto in una tribuna, perché ciò che faceva fosse pubblico». Questo brano assume rilevanza specialmente se si considera che, secondo altri ricercatori, la sfera potrebbe effettivamente rappresentare il cosmo. A ciò va aggiunto il ruolo dell’oculo zenitale, da cui penetrano i raggi del sole che – a seconda delle ore del giorno e delle stagioni – illuminano le nicchie della rotonda e vanno a colpire il punto dove probabilmente era situata la tribuna imperiale. In questo modo, la figura di Adriano si caricherebbe di un grande valore simbolico in quanto centro dell’impero e dell’universo. Il Pantheon non è stato il primo edificio ad adottare la cupola: già in precedenza si erano costruite opere simili, anche se di dimensioni minori, che appaiono oggi come delle prove generali degli architetti romani. Un esempio è il tempio di Esculapio a Pergamo [antica città dell’Asia Minore], la cui costruzione fu probabilmente caldeggiata dallo stesso imperatore Adriano. Anche se il Pantheon non è il primo, è pur vero che da quel momento in poi nel mondo romano si moltiplicarono gli edifici con coperture di questo tipo. In epoca rinascimentale e barocca, la sua cupola divenne il modello di riferimento per monumenti di grande rilevanza, come Les Invalides a Parigi o la Cattedrale di Saint Paul a Londra. L’ammirazione che questo tempio ha suscitato nel corso della storia è immensa. Michelangelo, per esempio, lo definì «disegno non umano ma angelico». Nel XVII secolo, invece, il papa fiorentino Urbano VIII fece apporre, su un lato della porta del Pantheon, un’iscrizione che diceva: «Aedificium toto terrarum orbe celeberrimum» (L’edificio più celebre del mondo intero). LUIS BAENA DEL ALCÁZAR DOCENTE DI ARCHEOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DI MÁLAGA


PORTALI IN BRONZO

L’entrata del Pantheon era protetta da due monumentali portali in bronzo, di sei metri di altezza. Quelli che si possono vedere oggi sono di epoca rinascimentale. Sembra che le porte originali fossero ricoperte d’oro. LUIGI VACCARELLA / FOTOTECA 9X12


3.

UNA SFERA  PERFETTA la cella circolare del Pantheon, detta Rotonda, ha la particolarità di avere l’altezza uguale al diametro: 43,30 metri. Il suo interno potrebbe quindi essere occupato da una sfera perfetta, che qui abbiamo evidenziato in blu. Della cupola non impressionano solo le dimensioni, che sono state superate, ma la logica stessa del progetto e il simbolismo del disegno: una rappresentazione della concezione cosmogonica aristotelica, cui fecero riferimento i costruttori romani nella realizzazione dell’edificio. Grazie a questa cella perfettamente circolare, Adriano e i suoi architetti crearono un capolavoro universale.

BEAUX-ARTS DE PARIS / RMN-GRAND PALAIS


L’INTERNO DEL PANTHEON. SEZIONE LONGITUDINALE DI GEORGES CHEDANNE. ACQUERELLO, MATITA E INCHIOSTRO SU CARTA. XIX SECOLO. ÉCOLE NATIONALE SUPÉRIEURE DES BEAUX-ARTS, PARIGI.



LA LUCE DIVINA SI SPANDE ALL’INTERNO

La luce solare, che penetra dal grande oculo sulla cupola del Pantheon, colpisce il portale d’accesso a mezzogiorno di ogni 21 aprile, data della fondazione di Roma (753 a.C.). Alcuni studiosi credono che l’imperatore sfruttasse questo gioco di luci nelle sue apparizioni per darsi un’aura di divinità. MATS SILVAN / AGE FOTOSTOCK


DA PAGANO   A CRISTIANO una piccola iscrizione sulla facciata ricorda che il Pantheon fu restaurato da Settimio Severo e suo figlio Caracalla nell’anno 202. Quattrocento anni più tardi, nel 609, l’imperatore bizantino Foca fece dono dell’edificio a papa Bonifacio IV, che lo consacrò con il nome di Santa Maria ad Martyres. Questo lo salvò dall’abbandono, dai saccheggi e dalla distruzione che soffrirono nel Medioevo altri monumenti dell’antica Roma, anche se alcuni elementi, come i capitelli e le colonne, furono riutilizzati nelle epoche successive per la realizzazione di altri edifici. Nel XVII secolo, papa Urbano VIII fece rimuovere la copertura di bronzo del portico e costruì due campanili, poi eliminati nel XIX secolo. A partire dal Rinascimento, nel Pantheon riposano le spoglie di personaggi illustri, come il pittore Raffaello Sanzio, e anche due re d’Italia: Vittorio Emanuele II (primo sovrano dopo l’unificazione) e Umberto I.

BASILICA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA, NAPOLI.

MICHELE FALZONE / GETTY IMAGES

4.

Le maggiori cupole prima del XX secolo

65 d.C. Sala Ottagona, Domus Aurea, Roma: 13 m di diametro. 118-125 Pantheon di Roma: 43,3 m. II secolo Tempio di Venere, terme di Baia: 26,3 m. II secolo Tempio di Apollo, lago Averno: 35,5 m. 326-330 Mausoleo di Elena, Torpignattara: 20,2 m. 532-537 Basilica di Santa Sofia, Costantinopoli: 32,6 m. 1420-1434 Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze: 41,47 m. 1564 Basilica di San Pietro in Vaticano: 42,54 m. 1680-1691 Hôtel des Invalides, Parigi: 27,6 m. 1675-1710 Saint Paul, Londra: 30,8 m. 1755-1792 Pantheon, Parigi: 21 m. 1817-1826 Basilica di San Francesco

di Paola, Napoli: 34 m.

“Orecchie d’asino” In quest’olio realizzato nel 1835 dal pittore tedesco Rudolf von Alt vediamo il Pantheon e la piazza antistante. Sorprendono i due campanili sulla facciata del famoso tempio, costruiti dal Bernini nel XVII secolo su ordine di papa Urbano VIII. La gente li ribattezzò “le orecchie d’asino del Bernini”. Furono rimossi nel 1893. AKG / ALBUM


La visione di Pannini Nel corso della sua vita, il pittore Giovanni Paolo Pannini ritrasse in varie occasioni l’interno del Pantheon, quasi sempre secondo la stessa prospettiva: dall’abside verso l’entrata principale. Questo, del 1732, è il dipinto più antico e permette di apprezzare le due colonne che fiancheggiano l’abside. Sul fondo si vede il portale del tempio, aperto, mentre vari personaggi si stupiscono di fronte alla bellezza dell’edificio. Una figura affacciata sull’oculo scruta l’interno. CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE


La chimera dei conquistatori

LA STRADA PER Intorno al 1540 si diffuse in America la leggenda di una cittĂ perduta


Questa mappa del 1635, pubblicata dai tipografi di Bleau, rappresenta l’immaginario lago Parime sulla riva del quale si trovava Manoa, la città di El Dorado.

L’EL DORADO nella foresta che custodiva immense quantità di oro

VENERANDA BIBLIOTECA AMBROSIANA / DEA / ALBUM

LAGO DELL’EL DORADO


P

er secoli, l’Europa fu una penisola dell’Asia ed ereditò le sue tradizioni, delle quali si alimentò l’immaginazione medievale. Miti eurasiatici, racconti biblici e resoconti dei viaggiatori in Oriente, come Marco Polo, servirono per interpretare le notizie che arrivavano da mondi lontani o da terre appena scoperte. L’oro fu il protagonista di quelle storie. Fonte di potere e materiale incorruttibile, congiungeva le cose terrene con quelle divine, e si pensava che fosse il custode dei raggi solari e del "fiore della vita", l’essenza vitale. La scoperta dell’America diede origine a nuove versioni dei vecchi miti aurei. La leggenda dell’El Dorado è una delle incarnazioni del loro antico magnetismo: quelle tradizioni approdarono nel Nuovo Continente e incitarono alla conquista.

Una leggenda meticcia Tra le varie leggende sull’oro che circolavano nel Vecchio Mondo ce n’era una che affermava che questo metallo prezioso fosse più abbondante e qualitativamente migliore alle latitudini più calde. Jaime Ferrer, lapidario della regina Isabella di Castilla, scriveva nel 1495: «La rotazione dell’equinozio produce le cose più grandi e di maggior valore, come pietre sottili e oro e spezie». La sua esperienza era che «la maggior parte delle cose pregiate provengono da regioni molto calde». Nel 1590 si pensava, come sostenne Acosta nella sua Storia Naturale, che l’oro fiorisse «grazie alla volontà e al potere del sole» e si

immaginava fosse situato nei luoghi più temperati della Terra, nei pressi dell’equatore. Pertanto, dopo lo sbarco di Colombo sulle isole dei Caraibi nel 1492, le spedizioni di scoperta si diressero a sud, verso le regioni equinoziali in cui gli europei erano certi di trovare inesauribili risorse aurifere. La scoperta del Pacifico da parte di Núñez de Balboa nel 1513 aprì un nuovo orizzonte alla curiosità e all’ambizione. Nel 1522 Pascual de Andagoya partì dalla nuova città di Panama e nel golfo di San Miguel entrò in contatto con alcune popolazioni indigene che gli parlarono di un impero estremamente ricco d’oro, il Birù (da cui proviene il nome Perù). Quest’informazione diede origine alle prime iniziative di esplorazione da parte di Francisco Pizarro, nel 1524 e nel 1526-1528. I suoi resoconti su animali strani, tessuti meravigliosi e – soprattutto – oro e argento in quantità infiammarono l’immaginazione dei conquistatori e giunsero fino alla corte spagnola, a cui Pizarro fece recapitare alcuni stendardi e asce d’argento ritrovati a Tumbes. Solo quattro anni più tardi, Pizarro e i suoi uomini completarono la conquista

C R O N O LO G I A

DEA

SULLE TRACCE DI UN MITO

/A

1531-1532

1535-1538

Mentre Pizarro conquista il Perù, Diego de Ordás esplora l’Orinoco e si diffonde la voce di un mitico «paese del Meta».

Gonzalo Jiménez de Quesada perlustra il Magdalena, conquista la regione di Cundinamarca, nell’attuale Colombia, e fonda Bogotá.

GE

TO FO

ST OC

K

GONZALO JIMÉNEZ DE QUESADA. RITRATTO DEL 1886. MUSEO NAZIONALE DELLA COLOMBIA, BOGOTÁ.


LA CITTÀ PERDUTA DEI TAIRONA

Nelle rigogliose foreste della Sierra Nevada, nei Caraibi colombiani, si nasconde la città di Teyuna, capitale dei tairona. Si ritiene che dopo l’arrivo degli spagnoli i tairona si fossero rifugiati in questo luogo remoto, che in seguito abbandonarono. BENEDEK / GETTY IMAGES

1539

1539-1541

1560

1584-1590

Seguendo rotte distinte, Nikolaus Federmann e Sebastián de Belalcázar raggiunsero Jiménez de Quesada a Bogotá.

Pizarro parte da Quito alla ricerca del Paese della Cannella e dell’El Dorado. Orellana esplora invece il Rio delle Amazzoni.

Pedro de Ursúa parte alla ricerca dell’El Dorado. Morirà assassinato in una cospirazione ordita da Lope de Aguirre.

Antonio de Berrío intraprende tre spedizioni alla ricerca dell’El Dorado. L’inglese Walter Raleigh seguirà le sue orme nel 1594.


L

A SPEDIZIONE di Jiménez de Quesada nel 1536 fu sul punto di fallire. I 600 uomini che ne facevano parte avanzarono via terra seguendo il corso del Magdalena, convinti che tre golette e una frusta fossero sufficienti per trasportare i rifornimenti controcorrente. Tuttavia, le imbarcazioni furono colpite da un temporale nella baia di Cartagena e dovettero proseguire la spedizione senza cibo. La fame, le zanzare e le difficoltà del terreno decimarono le file degli spagnoli, di cui solo 300 approdarono a La Tora. Ma in seguito la loro fortuna cambiò. Quando si addentrarono nell’altopiano dei chibcha trovarono una terra molto popolata, da cui ricavarono un ingente bottino di metalli preziosi. Dedotta la tassa del cosiddetto quinto real, si divisero 150.000 pesos di oro puro, 17.000 di oro di bassa lega e 1.450 smeraldi.

WILLIAM BELLO / AGE FOTOSTOCK

FIGURA MASCHILE DELLA CULTURA MUISCA CON COPRICAPO E ANELLO AL NASO. MUSEO NAZIONALE DELLA COLOMBIA, BOGOTÁ.

dell’Impero inca, accumulando uno straordinario bottino di metalli preziosi. Il suo successo stimolò la "fame dell’oro" degli spagnoli. Nel 1531, Diego de Ordás risalì il fiume Orinoco dalla foce, nell’attuale Venezuela, fino alla confluenza con il Meta, uno dei suoi affluenti, nelle Pianure che si estendono a est della cordigliera delle Ande. Laggiù, gli indiani della zona gli indicarono che dietro la cordigliera viveva un grande signore proprietario di enormi ricchezze. Ordás fu costretto a ritirarsi e morì avvelenato poco dopo. Tuttavia l’obiettivo era stato segnalato: nei pressi dell’altopiano della cordigliera orientale delle Ande, attraversato da sud a nord dal fiume Magdalena, si OR

ON

OZ /

AL

BU

M

72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DIEGO DE ORDÁS (1480-1532). RITRATTO INCLUSO NELLA STORIA GENERALE DI ANTONIO DE HERRERA. 1601.

trovava un territorio pieno d’oro, il cosiddetto "paese del Meta". Verso quei luoghi si diresse nel 1536 un altro conquistatore spagnolo, Gonzalo Jiménez de Quesada. Avvocato educato a Salamanca, discendeva dagli ebrei "riconciliati" di Cordova. "Gentiluomo di buona costituzione", era considerato vanitoso e giocatore d’azzardo e si è parlato spesso della sua avversione per le donne. Non si sposò mai, cosa di cui incolpò l’asma, «malattia notoriamente contraria all’accoppiamento», come aveva affermato egli stesso nel 1566.

Oltre il paese del Meta Nell’aprile del 1536 Jiménez partì per la "giornata del fiume grande", ovvero il Magdalena. Si mise in cammino via terra con circa 600 uomini e l’anno dopo si addentrò nell’altopiano colombiano occupato dal popolo dei muisca o chibcha, un insieme di territori sottomessi allo zipa, ossia il signore di Bogotá. Jiménez decise di puntare ai centri di potere locale; per questo, rispetto alle altre, la sua fu un’impresa meno sanguinaria. Tuttavia sfinì i suoi uomini e venne contestato il trattamento che riservò agli indigeni. Mentre continuava a cercare il paese del Meta, l’esercito di Jiménez esplorò il territorio in due direzioni: verso la valle del Neiva (nella regione di Pasca) e verso le pianure orientali. Nel corso di queste incursioni gli spagnoli raccolsero un considerevole bottino di oro puro, limatura d’oro e smeraldi. Dopo aver detratto la quinta parte del bottino, che veniva consegnato al re, con il rimanente si coprirono le spese della spedizione e vennero pagati i partecipanti. Gli spagnoli però erano convinti che ci fosse ancora oro. Quindi, quando lo zipa di Bogotá fu catturato, gli uomini di Jiménez lo torturarono invano, fino alla morte, perché svelasse dove si trovava il tesoro. Nel 1538, Quesada fondò una nuova città, Santa Fe di Bogotá. Lì ricevette l’anno successivo la visita di altri due conquistatori che, come lui, cercavano il paese del Meta. Uno di loro era tedesco, Nikolaus Federmann: con 200 uomini e 500 bestie da soma era partito da Coro, nell’attuale Venezuela, ed era giunto a Pasca, nella cordigliera, convinto che «all’interno quella terra fosse piena d’oro». L’altro era Sebastián de Belalcázar, un conquistatore

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

Chili d’oro per Jiménez de Quesada


Le pianure «Ricevette notizie da una provincia che si trova alle pendici delle Pianure, che si chiama Menza, in cui gli indiani dicono che c’è gente molto ricca che possiede una casa dedicata al Sole e che in essa si trova un’infinità d’oro e gemme».

Neiva «Dissero che esisteva una terra nei pressi di Quito, la cosiddetta Neiva, in cui c’era una gran quantità di oro, e c’era una casa piena d’oro in grano e ogni angolo di essa era d’oro».

Quito Jiménez de Quesada (1536-1539) Belalcázar (1538-1539) Nikolaus Federmann (1539)

Crocevia di conquistatori Nel 1539 si incrociarono nella regione di Bogotá tre spedizioni che erano partite da tre punti distinti: quella di Jiménez de Quesada da Santa Marta, in Colombia, quella di Nikolaus Federmann da Coro, in Venezuela, e quella di Belalcázar da Quito, in Ecuador. I documenti dicono che tutte e tre furono ispirate dallo stesso proposito: la localizzazione di un misterioso principato indigeno dalle innumerevoli ricchezze, il cosiddetto "paese del Meta". Secondo studiosi come Enrique de Gandía o Demetrio Ramos, furono i membri di queste spedizioni, una volta tornati a casa, a fomentare il mito dell’El Dorado.

«Un indiano gli disse che c’è tanto oro e argento a Quito che tutti i suoi cavalli non potrebbero trasportarne neanche la ventesima parte; in tal modo si rallegrarono tanto i soldati che gli sembrava già che era tempo di diventare più ricchi di quelli di Cajamarca». Da cronache e lettere sulle spedizioni di Quesada e Belalcázar.


La cerimonia dell’uomo dorato Nella sua Conquista e scoperta del Nuovo Regno di Granada (1636), Juan Rodríguez Freyle racconta la cerimonia che praticavano i muisca nel lago di Guatavita: «In quella laguna veniva costruita una grande zattera di canne, poi guarnita e adornata nella maniera più vistosa possibile […] In quel momento denudavano l’erede e lo ungevano con una terra appiccicosa e lo cospargevano di oro in polvere e macinato, in modo che fosse interamente ricoperto da questo metallo. Lo collocavano sulla zattera, in cui rimaneva fermo, e ai piedi gli posavano un grande ammasso d’oro e smeraldi come offerta al loro dio. Salivano con lui sulla zattera quattro capi, ricoperti di piume, corone d’oro, bracciali e paraorecchie d’oro […] L’indiano dorato effettuava la propria offerta tirando tutto l’oro che aveva ai piedi al centro della laguna e gli altri facevano la stessa cosa […] Da questa cerimonia derivò quel nome così famoso di El Dorado, che tante vite è costato». AKG / ALBUM


IL FUTURO CAPO MUISCA VIENE RICOPERTO DI POLVERE D’ORO PRIMA DELLA CERIMONIA DI CONSACRAZIONE. INCISO DI THEODOR DE BRY PER DESCRIZIONE DI GUAYANA. FRANCOFORTE, 1599.


zioni del 1539. Già nel 1541 il cronista Fernández de Oviedo parlava di un territorio «di un grande principe, che chiamano El Dorado, della cui ricchezza si parla molto in quelle zone», e aggiungeva che gli spagnoli erano certi di aver sentito dire dagli indiani della zona che «quel gran signore o principe va in giro costantemente ricoperto di oro macinato [… ] lo toglie e lo lava durante la notte e si sdraia e lo perde per terra, ed è ciò che fa tutti i giorni». La leggenda andò perfezionandosi e presto si arrivò a parlare di una laguna in cui il "signore dorato" si lavava di notte o in cui gettava oggetti d’oro di ogni tipo durante un rituale religioso. Il mitico paese governato da quel principe venne denominato El Dorado.

L’ispirazione indigena del mito

FETZE WEERSTRA / AGE FOTOSTOCK

CHORRO DE QUEVEDO

Fu in questa piazza che Jiménez de Quesada si stabilì nel 1538 prima di fondare Bogotá; lì si erge l’eremo di San Miguel del Príncipe.

veterano figlio di contadini cordovesi, che era stato collega di Almagro e Pizarro durante la conquista del Perù e dal 1534 si era stabilito a Quito. Nel 1538 si diresse a nord fino ad arrivare a Neiva. «La terra che attraversò – racconta una testimonianza – gli parve tutta molto ricca e trovò indiani che possedevano oro delle miniere da fondere e argento molto sottile». Riuniti a Bogotá, Quesada, Federmann e Belalcázar decisero di tornare a Cartagena e da lì salpare alla volta della Spagna per ricevere istruzioni sull’amministrazione del nuovo territorio. Gli storici hanno osservato che fu in quel momento che iniziò a diffondersi il mito dell’El Dorado, indubbiamente ispirato ai resoconti delle spediMASCHERA D’ORO MUISCA. SI USAVA NELLE CERIMONIE E NEI FESTIVAL. MUSEO DELL’ORO, BOGOTÁ . ORONOZ / ALBUM

76 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Gli storici hanno cercato di stabilire una relazione tra questa storia e la cultura delle popolazioni muisca o chibcha. Anche tra queste etnie, che avevano sviluppato un’elaborata arte orafa, circolavano miti sull’oro: c’erano "epoche d’oro" e "uomini d’oro", cosa che potrebbe perfettamente relazionarsi con il signore ricoperto d’oro macinato e con la cerimonia di offrire tributi in un lago in cui sommergevano tesori. Il nome El Dorado evoca la figura dell’oro, "come un raggio di sole splendente". I cronisti indicarono che le offerte venivano effettuate nella laguna di Guatavita. Nel 1969 si scoprì in quelle vicinanze un’opera di oreficeria che potrebbe raffigurare un signore e la sua scorta su una zattera, una scena che corrisponderebbe al suddetto rituale. Tuttavia, la storia di quell’indiano dorato nacque in una zona ignota e fu frutto della difficile traduzione di lingue locali. Ci sono quindi poche certezze al riguardo, poiché quello era un mondo in cui «ognuno interpretava secondo il proprio desiderio», come disse l’esploratore e cronista Juan de Castellanos. La geografia dell’El Dorado fu imprecisa e mutevole, e la ricerca della mitica città d’oro e della sua laguna si è proiettata spesso al di là dell’area andina, in punti non meglio definiti dell’Amazzonia, dove le mappe coloniali situavano l’antica città di Manoa e il lago Parime. La leggenda perdurò per due secoli, aprì un capitolo meticcio nella storia dell’Occidente e ne cambiò la fisionomia. In ogni caso, negli anni che seguirono la triplice spedizione


LAGUNA DI GUATAVITA

Questa laguna circolare, di 40 metri di profondità, si trova 75 km a nord-est di Bogotá, a 3.100 metri. Secondo la tradizione, qui si realizzava l’investitura del nuovo capo muisca, durante una cerimonia in cui si lanciavano offerte d’oro in acqua. ALAMY / ACI


78 HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

I muisca fabbricavano sculture votive di legno, monili di pietra, strumenti di conchiglia, tessuti e ceramiche, anche se spiccano le loro opere elaborate in oro, di cui il Museo dell’Oro di Bogotá conserva preziosi esempi.

L’ORO DEI MUISCA

1


HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

79

2. age fotostock 3 . age fotostock ZATTERA . bridgeman / aci.

tutte le opere si trovano nel museo dell’oro di bogotá. 1 . dagli orti / aurimages

Quest’opera eccezionale, la più famosa della cultura muisca, rappresenta una zattera di giunchi sulla quale è collocato in piedi un capo circondato da personaggi minori. L’opera, di 19,5 cm di lunghezza per 10 cm di larghezza, risale agli anni tra il 1200 e il 1500. Alcuni contadini la rinvennero nel 1969 a sud di Bogotá, a Pasca, dentro un vaso di ceramica che si trovava all’interno di una caverna. È stata associata alla cerimonia di consacrazione dell’"uomo dorato" descritta dai cronisti spagnoli.

La zattera muisca

2

Anche questo è un tunjo, usato come ornamento personale o in un tempio.

3 Guerriero

Questo tunjo o offerta è fatto di tumbaga, una lega di oro e rame.

2 Felino

Composta da piccole figure antropomorfe.

1 Collana d’oro

3


Spagnoli e inglesi alla ricerca della città dell’oro

E

REDE DEI TERRITORI di Jiménez de Quesada, Antonio

Berrío diresse tra il 1584 e il 1590 tre spedizioni lungo l’Orinoco, spinto dai racconti di precedenti esploratori perduti nelle foreste. Uno fu Martín de Albújar, che descrisse una città mitica, Manoa, come un luogo scintillante di tetti d’oro. Le lettere che Antonio de Berrío indirizzò al re di Spagna furono rubate e finirono nelle mani di Walter Raleigh, che organizzò una spedizione in Guayana alla ricerca dell’El Dorado. Raleigh, il principale iniziatore dell’espansione coloniale britannica, catturò Berrío e si impossessò della città di Santo Tomé. Nel 1596 pubblicò La scoperta dell’Impero di Guayana, con una relazione della città dorata di Manoa, che gli spagnoli chiamano El Dorado, che rivestì una grande importanza ai fini della diffusione del mito "doradista", mito che fa quindi coincidere El Dorado con la città di Manoa e il lago Parime.

B

GRANGER / ALBUM

G RID

EM

AN

/ AC

I

LA CITTÀ MITICA DI "MANOA DEL DORADO", SULLE RIVE DEL "LAGO PARIME", IN UNA RAPPRESENTAZIONE DEL 1599.

di Quesada, Belalcázar e Federmann si succedettero le esplorazioni alla ricerca dell’El Dorado. Nel 1540, il tedesco Filippo di Hutten partì dal Venezuela per una spedizione che sarebbe durata cinque anni. Quello stesso anno, Hernán Pérez de Quesada, fratello di Gonzalo, partì da Bogotà con l’obiettivo di perlustrare il sud dell’attuale Colombia. Nel 1541 fu Gonzalo Pizarro a partire da Quito alla ricerca del Paese della Cannella (un’altra terra mitica apparentemente piena di spezie) e dell’El Dorado. Francisco de Orellana si staccò da questa spedizione e riuscì a ottenere notizie in merito al misterioso regno delle amazzoni, nascosto nella foreWALTER RALEIGH, ESPLORATORE BRITANNICO. RITRATTO DI WILLIAM SEGAR. 1598.

sta e ricco di vasellame, icone e corone d’oro. Alcuni anni dopo il passaggio di Orellana su quel fiume, si verificò una massiccia migrazione di indiani dal Brasile al Perù. Questi, al loro arrivo, riferirono delle ricchezze del popolo amazzonico degli omagua. In tal modo, la leggenda dell’El Dorado fu riportata in vita, e nel 1560 il vicerè peruviano affidò a Pedro de Ursúa una nuova spedizione, forse la più tragica e celebre di quelle che si lanciarono alla ricerca del paese dell’oro a causa del ruolo rivestito da Lope de Aguirre, che uccise Ursúa e si ribellò al re Filippo II. Jiménez de Quesada trascorse dodici anni in Spagna difendendosi dalle accuse di furto e della morte dello zipa. Riuscì infine a farsi assolvere da tutte le accuse e tornò nel 1550 nel Nuovo Regno di Granada come governatore e maresciallo. Tuttavia i suoi beni non saldavano i debiti e pertanto organizzò una nuova spedizione alla ricerca della terra dell’oro, arrivando a indebitarsi ancora di più.

La fine di un vecchio esploratore Nel 1569 Quesada riunì 300 soldati e più di mille indiani, «con altrettante donne spagnole e meticce», e partì alla volta dell’El Dorado. Trascorsi due anni senza neanche l’ombra dell’oro, fece ritorno con appena 64 sopravvissuti. Nonostante ciò, riuscì a pacificare il popolo del Gualì e a nominare Alonso de Olalla comandante di una nuova spedizione, a cui sapeva che non avrebbe preso parte. Morì a 73 anni, senza figli e senza l’El Dorado. Alla sua morte, nel 1579, tali avventure sembravano ormai una chimera. Quando dichiararono il suo decesso, gli esperti avvertirono il re che quelle spedizioni non servivano a niente. Consideravano infatti che Jiménez fosse una di quelle persone «spinte dalla sola ambizione» o talmente tormentate dai debiti «che detestano così tanto la vita che preferiscono mandarla in frantumi». E forse era stato lui stesso a dargli ragione quando, nel 1578 scrisse che non potendo pagare i suoi creditori, non sapeva che altro fare se non lasciarsi morire. Dopo aver conquistato il territorio della confederazione muisca e aver scoperto la maggior parte del corso del Magdalena, Jiménez non era nulla più che un sogno esotico. MARÍA JOSÉ MONTOYA DURANA UNIVERSITÀ DELLE ANDE (COLOMBIA)


IL PORTO DELLE RICCHEZZE

Fondata nel 1533 da Pedro de Heredia, Cartagena delle Indie, in Colombia, divenne il porto commerciale più importante del continente americano. Nell’immagine, il baluardo di Santo Domingo, costruito nel 1614. ALFREDO MAIQUEZ / GETTY IMAGES


VITTORIA D’INGHILTERRA La sovrana del più grande impero del pianeta Non sembrava destinata alla corona, ma occupò il trono del Regno Unito per 63 anni durante i quali il suo Paese divenne la prima potenza mondiale

MUSEUM OF LONDON / BRIDGEMAN / ACI


IL TRAMONTO DI UN REGNO

La regina verso il 1890. Ereditò il trono nel 1837 e fu incoronata nel 1838. Nella pagina accanto, la corona imperiale di stato; le pietre preziose furono rimosse dopo la sua incoronazione. VINTAGE / BRIDGEMAN / ACI


C R O N O LO G I A

Una vita intera sul trono 1819

Il 24 maggio nasce Alexandrina Vittoria, figlia di Edoardo, duca di Kent (fratello di re Guglielmo IV), e di Vittoria di SassoniaCoburgo-Saalfeld.

1837

Il 20 giugno, a 18 anni, Vittoria eredita il trono del Regno Unito, alla morte senza eredi di Guglielmo IV. Viene incoronata l’anno successivo.

1840

Vittoria sposa il cugino Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha il 10 febbraio, nel palazzo di Saint James. Avranno 9 figli (4 maschi e 5 femmine).

1861

Il 14 dicembre muore l’amato Alberto. La regina vestirà il lutto per il resto della vita e deciderà di isolarsi dal pubblico per molti anni.

BUCKINGHAM PALACE

Con Vittoria, questo famoso palazzo londinese divenne la residenza ufficiale dei sovrani del Regno Unito.

1868-1894

Il conservatore Benjamin Disraeli e il liberale William E. Gladstone si alternano al potere. La regina, legata a Disraeli, detesta Gladstone.

1876

LOREM IPSUM

Su iniziativa di Disraeli, Vittoria è proclamata imperatrice delle Indie durante la cerimonia del Durbar di Delhi.

Vittoria muore il 22 gennaio. Il suo regno fu il più lungo della storia inglese fino a quello della sua trisnipote Elisabetta II, l’attuale regina.

84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

1901

MONETA D’ORO DA CINQUE STERLINE CON L’EFFIGIE DI VITTORIA. 1839.

G

iunta ai sessant’anni di regno, durante le parate per il Giubileo di diamante, la regina Vittoria potrebbe aver pensato, senza sbagliare, che nessun altro essere umano aveva mai raggiunto un potere e una gloria pari ai suoi. Non è un’esagerazione. Nel 1897 la sovrana inglese non era solo la monarca del Paese più avanzato del pianeta, ma il suo impero si estendeva anche su un quarto della sfera terrestre. Dal suo centro di Londra, la città più prospera del mondo, poteva far arrivare la sua influenza fino agli angoli più remoti della terra, grazie alla più formidabile macchina bellica dell’epoca: la marina britannica. Ma lo splendore del suo impero non finiva lì. Vittoria regnò in un’epoca senza pari in termini di civiltà, che si trattasse di scienze (Darwin), di esplorazioni (Stanley e Livingstone, solo per citarne alcuni) o di letteratura (Charles Dickens). Anche in politica, la regina poteva vantarsi di essere vissuta tra


LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI

GIORGIO IV, GUGLIELMO IV E VITTORIA, SIGILLI REALI E MONETE CON RISPETTIVE EFFIGI.

L’EREDITÀ INATTESA

suo destino reale, aveva sorpreso tutti dicendo: «Lo farò bene». Questa “determinazione e chiarezza di propositi” fin dall’infanzia avrebbe fatto di lei, negli anni, un modello di regina. Non solo per la Gran Bretagna, ma per ogni luogo e ogni epoca.

Il principe tedesco

UN REGALO PER ALBERTO

Nel 1843 Franz X. Winterhalter dipinse questo ritratto di Vittoria, che lo regalò al marito per il compleanno.

RID

GE

MA

N/

AC I

Rudyard Kipling, il grande cantore dell’impero, avrebbe elogiato Vittoria per essere stata «la regina che aveva incoronato re il suo popolo». Per questo è opportuno ricordare che non ricevette mai un’educazione per regnare. E non solo perché alla nascita aveva poche speranze di ereditare il trono (essendo quinta in ordine di successione). Trascorse l’infanzia, che lei stessa avrebbe ricordato come «piuttosto malinconica», confinata nell’asfissiante ambiente cortigiano del londinese Kensington Palace. Oltre a essere orfana di padre (il duca di

/B

figure di giganti, come i primi ministri Disraeli e Gladstone. E se questa fu la sua opera in vita, la sua eredità non sarebbe stata da meno: il suo modello di monarchia costituzionale sarebbe sopravvissuto fino ai nostri giorni, mentre i suoi discendenti avrebbero regnato in così tanti Paesi (dalla Spagna alla Danimarca) da meritarle il titolo postumo di “nonna d’Europa”. Certo, fin dalla morte della sovrana, nel 1901, l’età vittoriana divenne sinonimo di società pudica, rigida e moralista. Ma, come fece notare lo scrittore Ronald Knox, si era trattato anche di un momento di forza senza pari: «Solo noi che siamo nati sotto la regina Vittoria» scrisse «sappiamo cosa significa la consapevolezza, del tutto naturale, che l’Inghilterra è in modo permanente la prima tra le nazioni, che gli stranieri non contano e che, in caso di problemi, il primo ministro invierà le navi» (da guerra, ovviamente). Buona parte di questa grandezza fu dovuta proprio alla regina. A quella stessa donna che, da bambina, appena venuta a conoscenza del

re Giorgio III. Padre e nonno morirono nel 1820. Vittoria crebbe sotto il ferreo controllo della madre, la principessa tedesca Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld. Ereditò il trono inglese a diciott’anni, dopo che tre zii paterni – il duca di Albany e i re Giorgio IV e Guglielmo IV – erano morti senza discendenti legittimi.

R TO

IA

TRAVEL PIX COLLECTION / AWL IMAGES

VITTORIA ERA FIGLIA di Edoardo, duca di Kent, quarto figlio di

HER

MAJ

E ST

U YQ

EEN

VIC


Kent era morto prima che sua figlia compisse otto mesi), sembrava destinata a essere poco più di un giocattolo nelle mani di sua madre, Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld, e del suo presunto amante, sir John Conroy. Per sua fortuna, la giovane Vittoria inaugurò fin da subito quella che sarebbe diventata una feconda abitudine della sua vita: trovarsi un complice, un sostegno umano di assoluta fedeltà, sia nella politica che negli affari di cuore. Il primo grande aiuto lo ricevette da adolescente dalla sua governante, Louise Lehzen. A lei avrebbe dedicato – diversamente da quanto fece con sua madre – le parole più delicate del suo diario. Il secondo aiuto, appena salita al trono, a diciotto anni, fu una vera e propria formazione in socialità e vita mondana: con il primo ministro, lord Melbourne, del Partito whig (liberale), Vittoria completò la sua educazione e si impratichì nelle arti di governo. A differenza della sua trisnipote, l’attuale regina Elisabetta II, che aveva già marito il giorno dell’incoronazione, Vittoria dovette attendere due anni prima di sposarsi. Lo fece 86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL MATRIMONIO DELLA REGINA

L’unione tra Vittoria e Alberto si celebrò nella cappella reale del St James’s Palace di Londra, il 10 gennaio 1840. Lo strascico dell’abito della sposa era lungo 5,5 m. L’olio, di G. Hayter, risale a quell’anno.

con Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, e quella decisione non fu solo la più importante della sua vita, ma anche la più felice. Fin dal loro primo incontro, quando Vittoria cedette all’ “affascinante” bellezza del suo principe tedesco, vissero una delle storie d’amore più appassionanti dell’aristocrazia di ogni epoca. A prima vista il successo del loro matrimonio si può spiegare solo grazie all’armonia degli opposti: lei era drammatica; lui, poetico; lei era una donna autoritaria; lui, un uomo ossessivo e puritano. Ma insieme resero possibile ciò che il maggior teorico vittoriano della monarchia, Walter Bagehot, ha espresso in questi termini: il loro modello di vita familiare divenne un esempio morale per il popolo, portando così «l’orgoglio per la corona nella vita di tutti i giorni». Si è detto, a ragione, che la celebre rigidità vittoriana si deve più ad Alberto che a Vittoria. E il consorte è stato criticato anche per il suo atteggiamento da “ficcanaso” negli affari di governo, con il suo stillicidio di appunti e lettere all’esecutivo britannico. Ma, in quei vent’anni accanto a


HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

VITTORIA REGINA. H. T. WELLS RICOSTRUÌ COSÌ IL MOMENTO IN CUI VITTORIA SEPPE CHE ERA REGINA. 1887.

Vittoria, il principe esercitò un ruolo rilevante e positivo. Fu il primo a mettere ordine nell’amministrazione della casa reale, che ancor oggi segue le sue esemplari linee guida. E, soprattutto, la regina Vittoria lo incaricò di rafforzare il ruolo filantropico e assistenziale della Corona britannica che perdura attualmente. In definitiva, Alberto non si limitò, come tutto lasciava supporre all’inizio, a dare una discendenza al trono inglese. Il suo grande risultato fu forgiare la moderna concezione di regalità, intuendo, per usare le sue parole, che «l’esaltazione della monarchia è possibile solo grazie al carattere personale del sovrano».

La vedova di Windsor Non era tutto rose e fiori tra Vittoria e Alberto. La regina, durante le discussioni, poteva arrivare al punto di scagliargli addosso quanto aveva a portata di mano. Il consorte si ritirava nelle sue stanze dopo le liti, per poi presentare alla moglie una lista dettagliata di rimproveri. Eppure, alla precoce morte di Alberto nel 1861, la regina, nel suo dolore, parve reagire come

REGINA ALL’ALBA QUANDO GUGLIELMO IV si spense a Windsor, all’alba del 20 giugno

1837, l’arcivescovo di Canterbury (a capo della Chiesa anglicana) e il Lord Ciambellano, il marchese di Conyngham, si recarono immediatamente a Kensington Palace. Qui, alle sei di mattina, annunciarono a Vittoria, appena svegliata dalla madre e avvolta in una vestaglia, che era diventata regina d’Inghilterra.

Giovanna di Castiglia“la Pazza”: rinchiusa nei ricordi, fece realizzare una scultura del“piccolo orecchio” di Alberto per poter continuare ad accarezzarlo; e, per decenni, ordinò di conservare le stanze nel castello di Windsor nelle condizioni in cui si trovavano al momento della sua morte. La regina arrivò al punto di ordinare che ogni mattina si continuassero a portare acqua calda e vestiti puliti nella camera del defunto. Visse il lutto e cercò l’oblio nel modo migliore che conosceva: lavorando. Il ritiro di Vittoria non fu ben accolto dall’opinione pubblica britannica, che avrebbe finito per riferirsi alla regina come alla“vedova di Windsor” , e avrebbe creato (durante i suoi primi dieci anni di vedovanza) un clima di simpatie repubblicane. Il governo stesso la considerava a volte un peso: la regina, come le aveva insegnato Alberto, si considerava “una specie di primo ministro permanenDISTINTIVO DELL’ORDINE DI VITTORIA E ALBERTO, ISTITUITO DALLA REGINA NEL 1862, ALLA MORTE DEL MARITO. IN SARDONICA, ORO, ARGENTO, SMALTO E PIETRE PREZIOSE, RAPPRESENTA IL PROFILO DI ENTRAMBI. 1863 CIRCA.

BRID

GEM

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AN

/A

87

CI


HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

alberto Il re nell’ombra

RITRATTO DEL PRINCIPE ALBERTO, OPERA DI VITTORIA. LA REGINA ERA UNA BUONA DISEGNATRICE. NEI SUOI DIARI PERSONALI LASCIÒ VARI ESEMPI DELLE SUE ABILITÀ. MATITA, PENNELLO, CERA E INCHIOSTRO SU CARTA. 1840 CIRCA.

BIGLIETTO Nº 1 DELL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI LONDRA DEL 1851, FIRMATO DAL PRINCIPE ALBERTO, PRINCIPALE PROMOTORE DELL’EVENTO.

VITTORIA E ALBERTO. FOTO DI ROGER FENTON, 1854. FU UNA DELLE PRIME OCCASIONI IN CUI LA REGINA ACCETTÒ DI FARSI FOTOGRAFARE. 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

BR

IDG

EM

AN

/A

CI

U

na delle attività più fiorenti dei vari principati tedeschi del XIX secolo era la fornitura di sangue blu alle altre dinastie europee. Fu il caso di Alberto, figlio del duca di Sassonia-Coburgo-Gotha. Il suo matrimonio con Vittoria nel 1840, all’inizio del regno della sovrana, avrebbe mescolato politica e sentimenti, diventando una delle più celebri storie d’amore tra reali. Si dice che Vittoria tra i due fosse la più innamorata: Alberto non era un uomo di grandi passioni. Era molto puritano, timido e malinconico. Ma sapeva anche essere giusto, dolce e compassionevole. Per un certo periodo, Alberto fu lo zimbello della vita pubblica britannica: il suo unico ruolo – o almeno l’unico che gli veniva riconosciuto – era quello di consorte della regina. Ma, grazie al suo consigliere, il barone Christian Friedrich von Stockmar (anch’egli originario del principato di Coburgo), Alberto esercitò una profonda influenza sulla politica inglese. Certo, non godette di buona fama tra i leader politici britannici, a causa dell’eccessiva pignoleria e caparbietà negli affari di governo. Ma fu lui a formare a poco a poco Vittoria ai doveri delle monarchie costituzionali, dove il sovrano non deve rappresentare un partito specifico ma l’unità del popolo. Prima della sua prematura morte, avvenuta nel 1861, a poco più di quarant’anni, Alberto ebbe il suo momento di gloria con l’Esposizione universale di Londra del 1851 [la prima nel suo genere], di cui fu il principale promotore. La vedova Vittoria lo avrebbe compianto a lungo.


HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

IL PRINCIPE ALBERTO. ACQUERELLO SU CARTA DI ROBERT THORNBURN, 1852. IL PRINCIPE INDOSSA UN KILT SCOZZESE, INDUMENTO CHE CONTRIBUÌ A DIFFONDERE IN VIRTÙ DEI SUOI SOGGIORNI A BALMORAL E DEL SUO INTERESSE PER LA SCOZIA.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

89


JOHN BROWN TIENE IL CAVALLO DELLA REGINA VITTORIA. SULLO SFONDO, OSBORNE HOUSE, LA RESIDENZA REALE SULL’ISOLA DI WIGHT. OLIO DI EDWIN LANDSEER. 1867.

HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

John Brown, al servizio di Sua Maestà LA REGINA GLI FECE UN RITRATTO, lo incluse nel testamento e pensò anche

di scrivere un libro su di lui. Non parliamo del marito Alberto, ma del cameriere scozzese John Brown, che prestò i suoi servigi al principe consorte e a Vittoria a Balmoral e che, alla morte di Alberto, alleviò le pene della vedova (nei limiti di una relazione platonica). L’affinità caratteriale era tale che gli inglesi cominciarono a chiamare Vittoria “la signora Brown”, mentre le sue figlie vociferavano che fosse “l’amante di mamma”. Alla morte di Brown, nel 1883, la regina, che lo considerava “un regalo di Dio”, fece erigere un monumento in suo onore.

HERITAGE / AGE FOTOSTOCK

GRANGER / ALBUM

RITRATTO DI BROWN. LA REGINA GLI DEDICÒ DUE MEDAGLIE: QUELLA DEL “FEDELE SERVITORE” E QUELLA DEL “DEVOTO SERVIZIO”. QUANDO MORÌ, COMMISSIONÒ UNA SUA STATUA, CHE FU COLLOCATA A BALMORAL.

MEDAGLIONE D’ORO CHE SI DICE VITTORIA REGALÒ A JOHN BROWN, CON I RITRATTI DELLA REGINA E DEL MARITO ALBERTO E UNA CIOCCA DI CAPELLI DI ENTRAMBI. MUSEO DI LONDRA.


BERTIE, IL PRINCIPE DISSOLUTO

A KEN WELSH / BRIDGEMAN / ACI

lcuni lo consideravano “il gentleman d’Europa”, ma secondo il romanziere Henry James era «grasso, volgare e orribile». Sicuramente il giudizio di Vittoria e Alberto sul loro erede assomigliava più a quello di James: Alberto Edoardo, detto Bertie, per regnare dovette aspettare sessant’anni, durante i quali si limitò a condurre una vita elegante e dissoluta. Le sue amanti e i suoi vizi scandalizzavano i genitori, che avevano la loro parte di colpa: non si erano preoccupati di dargli la formazione degna di un principe. Ma, con gran sorpresa di tutti, quando ereditò il trono nel 1901, questo bon vivant inaugurò un’epoca di stupefacente (e breve) splendore: l’età edoardiana. Gli dobbiamo diverse mode, dal tessuto Principe di Galles fino alla moda dei cappelli Panama.

te”. In poche parole, Vittoria sembrava fare il contrario di quanto il popolo si attendeva da lei: trascurava le funzioni cerimoniali per dedicarsi eccessivamente al lavoro politico. Come se non bastasse, la regina soffrì ulteriori dispiaceri familiari, tutti provenienti dall’erede Alberto Edoardo, affettuosamente detto Bertie. Per quanto fosse madre di nove figli, Vittoria sentiva una peculiare avversione per la maternità e il“gracidio”dei bambini. Ma lo scontro con Bertie si protrasse ben oltre l’infanzia di questi: la sovrana gli rimproverava le amanti e la vita oziosa e frivola. Non riusciva a“guardarlo senza rabbrividire”, convinta che fosse la causa della morte del suo amato marito (Alberto era morto per i postumi di un raffreddore, di ritorno da Cambridge, dov’era andato a rimproverare il figlio per la sua vita dissoluta). Ironia della sorte, Alberto Edoardo (persino meno preparato al regno di sua madre) sarebbe stato un sovrano molto brillante, “il primo gentleman d’Europa”. E dato che l’amore non vuole altro che un oggetto cui rivolgersi, la regina allevierà le sue

pene familiari tramite la relazione, puramente platonica, con il suo cameriere preferito, John Brown e, successivamente, con un assistente personale giunto “in regalo” dall’India. I due sarebbero stati i nuovi punti di riferimento emotivo della regina. Ma alla morte della madre, Bertie si sarebbe impegnato a rimuovere ogni traccia di entrambi. Fu forse una specie di vendetta tardiva verso colei che lo aveva relegato in disparte.

IL PECHINESE DELLA REGINA

Fu il capitano John H. Dunne a regalare Looty a Vittoria. Era parte del bottino conquistato nell’assalto al Palazzo d’Estate di Pechino, durante la seconda guerra dell’oppio.

Adulazione e superbia La testardaggine di Vittoria – al contempo virtù e difetto – aveva i suoi freni: come segnalato dal romanziere e saggista statunitense Louis Auchincloss, la regina era consapevole di aver bisogno di qualcuno capace di tenerle testa. Chi si dimostrò all’altezza del compito fu il suo segretario privato, sir Henry Ponsonby, tutto diplomazia e persuasione. La sua missione principale consisteva nell’eviBRIDGEMAN / ACI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

91


balmoral In terre scozzesi T

utto respira libertà e pace» a Balmoral, scrisse la regina nel suo diario. Se il castello scozzese è stato fino ai giorni nostri il rifugio preferito dei reali britannici, la sua relazione con Vittoria fu particolarmente intima. Non fu lei a sceglierlo, ma il marito Alberto, innamorato delle Highland scozzesi, che gli ricordavano la natia Germania e dove (per gli standard scozzesi) pioveva poco. Proprietà personale dei sovrani, Balmoral fu il nido d’amore di Vittoria e Alberto, ma la sua importanza non finisce qui. Il castello fu fondamentale per promuovere la moda scozzese che si andò imponendo in Gran Bretagna nel XIX secolo: il treno facilitava l’arrivo dei turisti in Scozia, Walter Scott la rendeva popolare nei suoi romanzi e lo stesso principe Alberto avrebbe disegnato una propria versione del tartan, il famoso tessuto scozzese a quadri. E la regina, ogni volta che partiva per un viaggio, non esitava a portare con sé una bottiglia della specialità locale: il whisky. Pare che alla principessa Diana Balmoral non piacesse, lo trovava “noioso”. Ma l’attuale famiglia reale ne è entusiasta: è ideale per le battute di caccia, i barbecue e le passeggiate a cavallo.

HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

VISTA DI BALMORAL. ALBERTO E VITTORIA AFFITTARONO QUESTA PROPRIETÀ NEL 1848, LA COMPRARONO NEL 1852 E QUINDI COSTRUIRONO LA RESIDENZA ATTUALE. OLIO DI JAMES GILES. 1848.


MATTINATA NELLE HIGHLAND. LA FAMIGLIA REALE RISALE IL LOCHNAGAR, NEI MONTI GRAMPIANI, VICINO A BALMORAL. SI PUÒ VEDERE LA COPPIA REALE, I FIGLI E VARI CAMERIERI SCOZZESI. PER IL NATALE DEL 1853, ALBERTO REGALÒ A VITTORIA QUEST’OLIO, DIPINTO DA CARL HAAG. HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II / BRIDGEMAN / ACI

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

93



LO SCENARIO DELLA FELICITÀ

L’isola di Wight è stata lo scenario degli idilli di Vittoria e Alberto, nella pace di Osborne House. Fu il consorte che, verso metà secolo, fece costruire questo palazzo in stile italianeggiante, che con il tempo si riempì di risonanze indiane. Qui Vittoria trascorreva i mesi estivi. La vita a Osborne era un perfetto ritratto di famiglia: mentre il principe Alberto si dava alle innovazioni domestiche – fu un visionario precursore delle porte scorrevoli –, Bertie, l’erede ribelle, si godeva le feste dell’aristocrazia locale nella vicina cittadina di Cowes. WOJTEK BUSS / AGE FOTOSTOCK


1 Egitto e Sudan

MUSICISTI DEL BLACK WATCH, BATTAGLIONE DI FANTERIA SCOZZESE, DURANTE LA SECONDA GUERRA BOERA.

Nel 1875, Disraeli acquistò per la Gran Bretagna la parte egiziana delle azioni del canale di Suez, assicurandosi in tal modo la rotta per l’India. Nel 1882 l’Egitto divenne colonia degli inglesi, che tra il 1881 e il 1884 repressero in Sudan la grande rivolta islamista guidata dal Mahdi.

2 Sudafrica Dopo aver sconfitto il Regno zulu nel 1879, la Gran Bretagna combatté due guerre con i boeri (1880-1881 e 1899-1902), che posero fine agli stati indipendenti fondati da questi coloni di origine olandese: le repubbliche di Transvaal e Orange.

UIG / ALBUM

LOREM IPSUM

3 Medio Oriente Il timore dell’espansione dell’influenza russa in Asia condusse il Regno Unito alle due guerre afgane (1839-1842 e 1878-1880). Al termine di queste, l’Afghanistan mantenne l’indipendenza formale, ma la sua politica estera passò sotto controllo britannico.

4 India

IN EPOCA VITTORIANA Londra divenne il cuore dell’impero più esteso del pianeta, la cui forza si basava sull’indiscussa supremazia della marina britannica. In Africa gli inglesi crearono un dominio che attraversava il continente da nord a sud. In Asia frenarono la Russia (sconfiggendola nella guerra di Crimea, tra 1853 e 1856), si impossessarono del subcontinente indiano e assunsero il controllo del decadente Impero cinese.

tare scontri tra i desideri della regina e quelli dei primi ministri del Paese. Oltre al già citato Melbourne, Vittoria avrebbe avuto a che fare con Robert Peel, lord Russell, lord Palmerston… Tutte personalità di grande statura. Ma i suoi due interlocutori principali – nonché tra i politici più in vista del secolo – furono il conservatore Benjamin Disraeli e il liberale William Gladstone. Nemici intimi tra loro, svilupparono entrambi una profonda relazione con la regina, anche se fu Disraeli a guadagnarsi il favore di Vittoria. Il rapporto con Gladstone era invece gelido, per non dir di peggio: la sovrana prese in considerazione l’abdicazione pur di impedirgli di arrivare al potere. Non stupisce che a Disraeli (Dizzy, per Vittoria) fosse concesso sedersi di fronte a lei, mentre Gladstone, quell’“agitatore mezzo matto” fosse costretto a restare in piedi. Dandy e scrittore in gioventù, primo e unico governante ebreo del Regno Unito, uomo pub96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SOVRANA D’ORIENTE

«Corone nuove in cambio delle vecchie!». L’adulatore Disraeli offre a Vittoria la corona di imperatrice delle Indie. Caricatura di Punch. 1876.

5 Cina Dopo la prima guerra dell’oppio (1839-1842), il Regno Unito assunse il controllo di Hong Kong e obbligò la Cina ad aprire i suoi mercati. La sottomissione della Cina fu siglata dalle sconfitte nella seconda guerra dell’oppio (1856-1860) e nella rivolta dei boxer (1899-1901).

blico di notevole astuzia, Disraeli fu un’altra delle colonne portanti che, insieme all’abilità di Vittoria, avrebbero fatto di quel regno un’epoca memorabile. L’adulazione era probabilmente la strategia principale che Disraeli usava con la regina: a volte il primo ministro si permetteva di dire che, per quanto fosse regina, Vittoria era anche una donna, e come tale la trattava. E se nessuno dei due lesinò complimenti e cortesie, il grande politico britannico ebbe la perspicacia di offrire alla regina il regalo più gradito: il titolo di imperatrice delle Indie. Correva l’anno 1876 e Vittoria, che amava tutto ciò che era legato al subcontinente indiano – dalla cucina al servizio domestico –, si lanciò con entusiasmo nello studio delle lingue hindi e urdu. Alla morte di Disraeli, la regina non esitò a far erigere in suo onore un monumento BRIDGEMAN / ACI

GUERRE IN TUTTO IL MONDO

Dopo aver soffocato la rivolta dei sepoy (soldati indiani al servizio degli inglesi) nel 1857, il Regno Unito tolse alla Compagnia britannica delle Indie orientali il governo dell’India, di cui la Birmania, annessa dopo tre guerre (1824-1885), costituiva una provincia.


LOREM IPSUM

3 5 1

4

2

AKG / ALBUM

«da parte della sua riconoscente sovrana e amica». Per capire fino a che punto arrivava l’antipatia (che qualcuno arrivò a definire “psicopatica”) della regina per Gladstone, basta vedere come si comportò quando il primo ministro lasciò il potere: se con Disraeli era stato un susseguirsi di effusioni, Gladstone non ricevette neppure due righe di ringraziamento. Questo trattamento immeritato a un personaggio di tale levatura è stato forse l’atto più ingiusto di Vittoria. Gladstone fu il politico britannico più popolare e acclamato dei suoi tempi, cosa che probabilmente irritava la sensibilità della regina.

Un crepuscolo dorato Perfino con il suo primo ministro più odiato, la regina dimostrò comunque di aver imparato il mestiere: non arrivò mai ai ferri corti con lui, per non rischiare di compromettere la pace delle istituzioni. Vittoria regnava, ma non governava più. E in quella graduale transizione verso una monarchia costituzionale, sottoposta al potere politico, avevano avuto

un ruolo centrale tanto le lezioni del vecchio Melbourne quanto le smancerie con Disraeli e gli scontri con Gladstone. Al tramonto della sua epoca, il carattere della regina cambiò: si fece più mite e pacifico, rivelando agli occhi di tutti una serenità e una maestosità tanto naturali quanto imponenti. Il silenzio delle gallerie e dei corridoi rivestiti di tappeti di Windsor rappresenta un indizio della“reverenza”che ispirava la sovrana. Una regina che, nonostante la perdita di molti figli, seppe dare il meglio durante la vecchiaia. La sua morte avvenne in un anno particolarmente importante, il 1901: come se sapesse che un’epoca si era definitivamente conclusa. Il crepuscolo vittoriano avrebbe lasciato il passo a quel mezzogiorno di splendore che fu l’età di Edoardo, prima della Grande Guerra che avrebbe insanguinato l’Europa. Vittoria, per sua fortuna, non arrivò a essere testimone di un conflitto che avrebbe visto i suoi discendenti uno contro l’altro.

L’EREDITÀ IMPERIALE

In rosso i possedimenti britannici nel 1907, a sei anni dalla morte della regina. Dopo la Grande Guerra, l’impero si ingrandì ulteriormente grazie alle colonie tedesche e agli ex territori ottomani.

IGNACIO PEYRÓ GIORNALISTA E SCRITTORE

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

97


vittoria La nonna d’Europa

1  Giorgio V

2  Maud del Galles

Nel 1910 successe al padre Edoardo VII sul trono del Regno Unito. Sposatosi nel 1893 con la principessa tedesca Mary di Teck, è il nonno dell’attuale regina.

Sorella di Giorgio V, nel 1896 si sposò con il principe Carlo di Danimarca, che nel 1906 divenne re di Norvegia con il nome di Haakon VII. Maud divenne regina consorte.

3  Maria di SassoniaCoburgo-Gotha

4  Vittoria Eugenia di Battenberg

Nipote di Vittoria e dello zar Alessandro II, divenne regina consorte di Romania sposando il re Ferdinando I nel 1892.

Fu regina consorte di Spagna grazie al matrimonio del 1906 con re Alfonso XIII. È bisnonna dell’attuale monarca spagnolo.

5  Margherita di Connaught

6  Principessa Alice

L

Sposò nel 1905 il futuro re Gustavo VI Adolfo di Svezia e morì nel 1920. Il marito si risposò con Luisa Mountbatten, pronipote di Vittoria.

7  Guglielmo II di Germania ALBERO GENEALOGICO CON I DISCENDENTI DI VITTORIA E ALBERTO. FU REDATTO NEL 1887, IN OCCASIONE DEL GIUBILEO (LA CELEBRAZIONE DEI 60 ANNI AL TRONO DELLA REGINA), PERTANTO NON COMPAIONO ALCUNI DEI NIPOTI NATI DOPO QUESTA DATA. 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Re di Prussia e imperatore tedesco (1888-1918). Il suo espansionismo è stato determinante nello scoppio della Grande Guerra (1914).

Nata a Hesse, divenne imperatrice consorte di Russia in seguito all’unione con lo zar Nicola II nel 1894. Fu uccisa insieme ai figli nel 1918.

8  Sofia di Prussia Sorella di Guglielmo II, divenne regina consorte di Grecia nel 1889, grazie al matrimonio con Costantino I. I due ebbero sei figli (tre maschi e tre femmine).

FOTO: BRIDGEMAN / ACI

a regina Vittoria odiava le gravidanze quasi quanto i bambini. Nonostante questo ebbe nove figli e quaranta nipoti. La sua discendenza fu gravata, in qualche caso, da una tara familiare: l’emofilia, la misteriosa malattia che colpì tra gli altri la regina Vittoria Eugenia, consorte di Alfonso XIII di Spagna. Ma quella stessa stirpe avrebbe conosciuto la grandezza: grazie a un’accorta politica di alleanze matrimoniali, Vittoria riuscì a garantire ai suoi eredi l’ascesa ai troni di vari paesi europei. Ancora oggi, infatti, la maggior parte delle monarchie europee ha la sua quota di sangue vittoriano. Per sua fortuna Vittoria non arrivò a vedere il lato peggiore della sua eredità: quella Grande Guerra che mise uno contro l’altro i suoi nipoti Giorgio V del Regno Unito e Guglielmo II di Germania. i


1

8 2

7

3

6

5

4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

99


GRANDI ENIGMI

Il mistero della legione perduta di Marco Crasso In seguito alla disfatta di Carre nel 53 a.C., i parti catturarono un gruppo di legionari. Anni dopo, le loro tracce riappariranno in Cina delle famiglie più potenti dell’Impero parto, aveva il suo punto di forza nella cavalleria ed era costituito da un corpo di mille cavalieri catafratti (cavalleria pesante) e novemila arcieri a cavallo. L’attacco congiunto della cavalleria pesante e degli arcieri a cavallo dei parti decise lo scontro. Nella battaglia persero la vita circa 20mila soldati romani, tra cui lo stesso Marco Licinio Crasso.

Prigionieri deportati Una parte dei legionari sopravvissuti riuscì a fuggire e a rientrare in territorio romano. Tutti gli altri, invece, ovvero circa 10mila uomini secondo quanto raccontano

le fonti, vennero catturati. Plutarco riporta che i prigionieri furono condotti a Seleucia al Tigri, situata sulla destra del fiume omonimo e vicino alla capitale parta, Ctesifonte, a sua volta non lontana dall’attuale Bagdad. Qui furono obbligati a partecipare a una parodia di parata trionfale. Le ultime notizie sui prigionieri le abbiamo grazie a Plinio il Vecchio, il quale racconta che i sopravvissuti furono trasferiti ad Alessandria in Margiana (l’attuale Merv, in Turkmenistan), dopo essere stati costretti a percorrere a piedi 2.500 chilometri. La deportazione di prigionieri in zone lontane era

LA MALEDIZIONE DI ATEIO SECONDO PLUTARCO il tribuno della plebe Gaio Ateio Capitone, non

potendo impedire la partenza dell’esercito di Crasso per una guerra che considerava ingiusta, «pronunciò contro di lui imprecazioni spaventose, invocando dèi terribili e strani». I suoi concittadini, spaventati, ritennero che ciò avrebbe attirato su Roma una maledizione.

BRIDG

E M A N / AC I

MARCO LICINIO CRASSO. BUSTO IN MARMO. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

SARCOFAGO GRANDE LUDOVISI. Questo sarcofago,

DEA / SCALA, FIRENZE

I

l 9 giugno del 53 a.C. Roma subì uno dei più gravi rovesci militari della sua storia. Nel sud-est della Turchia, nei pressi di Carre (l’odierna Harran) si scontrarono due eserciti a prima vista molto diseguali. Le truppe romane, condotte dal triumviro Marco Licinio Crasso, puntavano sulla fanteria pesante ed erano composte da un numero di uomini compreso tra i 36mila e i 42mila. Secondo Plutarco questa cifra includeva sette legioni (circa 28mila legionari), quattromila soldati di fanteria leggera e quattromila cavalieri. Dal canto suo l’esercito parto, al comando del nobile Surena, appartenente a una

del terzo secolo, rappresenta una cruenta scena di battaglia tra romani e barbari. Museo nazionale romano, Palazzo Altemps, Roma.

una pratica abituale presso gli imperi dell’antica Persia, l’attuale Iran. Questa prassi serviva non solo a scoraggiarne i possibili tentativi di fuga, ma permetteva anche di approfittare delle capacità tecniche e militari degli ostaggi per la difesa delle frontiere. A partire da questo momento, il destino dei sopravvissuti di Carre è avvolto nel mistero. Certamente, la cosa più logica sarebbe che queste migliaia di uomini si fossero sposati


DA ROMA ALLA CINA QUESTA MAPPA mostra i territori che avreb-

che cinesi indizi del fatto che almeno una parte di questi romani non si fermò lì ma dovette, invece, affrontare ulteriori peripezie.

Costantinopoli RO PERO MA NO CARRAS IM PA PERO RTIC O

Ch’ang-an

Merv

IM PER

O K USAN A

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

Ctesifonte

LIQIAN

P LL E R O AD INA C I N E S STI A HA E N

Secondo le cronache della dinastia Han, nel 36 a.C un esercito cinese, guidato dal generale Gan Yenshou, intraprese una campagna militare contro gli xiongnu, le cui aggressioni minacciavano la sicurezza commerciale della Via del-

Roma

IM

IM

Mercenari romani?

DE

con donne locali e integrati completamente nella società parta. Proprio quanto il poeta Orazio evocava e criticava in una delle sue odi, scritta trent’anni più tardi: «Pensare che i soldati di Crasso vissero vergognosamente legati a mogli barbare e invecchiarono in armi al servizio dei suoceri – ahimè, senato, ahimè costumi stravolti!». Tuttavia, negli anni cinquanta del 1900 un sinologo statunitense, Homer H. Dubs, trovò nelle fonti stori-

bero dovuto percorrere gli uomini della legione perduta da Carre (Carras nella mappa), in Turchia, fino al presunto insediamento finale in Cina, nella località di Liqian. Una distanza di circa seimila chilometri.

Mar Arabico

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

101


GRANDI ENIGMI

Insediamenti romani in Cina? NEL 1993 GLI SCAVI archeologici nell’odierna Zhelaizhai, nella provincia cinese del Gansu, portarono alla

luce i resti di un’antica guarnigione. Gli archeologi, scavando attorno a un muro, rinvennero frammenti di ceramica e metallo della dinastia Han. Ma la cosa più curiosa fu senza dubbio la scoperta di una grande pietra di granito, incisa con motivi di foggia occidentale, e di quasi cento scheletri umani risalenti all’anno 180 d.C., molti dei quali di oltre un metro e ottanta di statura. Che si trattasse di un gruppo di legionari di Crasso stabilitosi nella zona? Sarà l’archeologia ad avere l’ultima parola.

ACI

FRAMMENTO DI METALLO CON ISCRIZIONI IN CINESE E PUNTA DI FRECCIA RITROVATI A ZHELAIZHAI ED ESPOSTI NEL MUSEO LOCALE.

la Seta. Questo popolo nomade si era stabilito nella regione del fiume Talas, in Asia centrale, non lontano dalla frontiera con l’Impero parto. Durante l’attacco alla capitale xiongnu, le forze cinesi notarono la presenza di uno strano contingente di oltre cento soldati di fanteria che difendeva una delle porte della città disposto in una formazione a “squame

di pesce”. La cronaca indica inoltre che all’esterno della città era stata eretta una doppia palizzata difensiva in legno. Secondo Homer H. Dubs, i soldati al centro di questa descrizione erano legionari romani. Le “squame di pesce” si riferirebbero infatti alla famosa testuggine tipica delle

legioni romane, mentre le palizzate doppie erano una tattica difensiva caratteristica di Roma. Se si accetta questa interpretazione, i soldati stranieri presenti nella capitale xiongnu non sarebbero che i prigionieri di Carre deportati nella Margiana, situata a “solo” 800 chilometri

CAVALIERE CINESE IN BRONZO. DINASTIA HAN. 24-220 D.C. 102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

JOSSE / SCALA, FIRENZE

Le cronache cinesi parlano di soldati stranieri utilizzati nella difesa delle frontiere

dal territorio xiongnu. Le testimonianze pervenute sembrano indicare che almeno alcuni dei prigionieri sarebbero riusciti a sfuggire ai parti e furono reclutati come mercenari dal capo degli xiongnu. Le cronache cinesi riportano anche che i membri di questo peculiare distaccamento sopravvissero alla conquista della città. Per il coraggio dimostrato in combattimento, i cinesi decisero di utilizzarli nella difesa delle proprie frontiere. I prigionieri vennero quindi trasferiti a Liqian, nei pressi dell’odierna Zhelaizhai, nella provincia del Gansu, nel nord-ovest del


Paese. A riprova di questo spostamento viene citato lo stesso nome della località, che potrebbe riferirsi a Roma (i cinesi chiamavano l’Impero romano Li Qian) o essere una storpiatura della parola “legione”. Tra le prove sono state anche citate le caratteristiche fisiche di tipo occidentale rinvenibili tra la popolazione della zona, come il naso aquilino, i capelli ricci, di colore castano o rosso, e l’esistenza di persone con occhi azzurri o verdi, anche se Liqian è stata distrutta nell’VIII secolo da un attacco dei tibetani.

Il mistero continua L’ipotesi proposta dal sinologo statunitense Homer H. Dubs e sviluppata poi da

alcuni studiosi non è però stata accettata da tutti gli specialisti. Alcuni hanno fatto notare che la teoria si basa su prove indirette e circostanziali. In particolare è stato evidenziato che non esiste nessun nesso diretto che metta in relazione i prigionieri di Carre con lo strano distaccamento di legionari che difesero la capitale xiongnu né con la successiva fondazione di Liqian. Il riferimento delle fonti cinesi a un’unità di soldati che combatteva in formazione “a squame di pesce” indicherebbe semplicemente la presenza, a difesa della capitale xiongnu, di truppe che sarebbero state sconosciute all’esercito cinese. Analogamente, l’uso di

Alcuni esperti sostengono che l’ipotesi di Dubs si basa su prove indirette e circostanziali doppie palizzate difensive non sarebbe stato esclusivo delle legioni romane. E neppure il significato del termine Liqian o Li-chien è particolarmente chiaro nelle fonti cinesi antiche: potrebbe infatti riferirsi a diverse località del Vicino Oriente o dell’Asia. Per esempio, potrebbe trattarsi della città di Petra in Giordania, o delle regioni della Media (Iran) e dell’Ircania (sud del mar Caspio), o perfino di alcune delle varie Alessandrie fondate da Alessandro Magno nel IV secolo a.C. Tuttavia, la cosa

Vogliamo accompagnarvi in un salto nel passato per rivivere l'incontro-scontro fra due grandi civiltà che ha segnato per sempre la storia del lago di Como. Siamo nel II secolo a.C. e le legioni manipolari di Roma, comandate dal console Marco Claudio Marcello, entrano in contatto per la prima volta, con la popolazione autoctona del Lago di Como, i Celti Comenses. La battaglia decisiva sarà nel 196 a.C., nei pressi di Como, e determinerà la sconfitta dei Celti Comenses. Da allora il lago di Como, "Larius" per i romani, è divenuto un asse importante per gli spostamenti militari e commerciali nonché luogo di origine, e di svago, con le sue splendide Ville, di importanti famiglie quali i "Plinii" e gli "Oufentini". Proprio da quest'ultima gens, nel I secolo d.C., è nato il personaggio autorevole a cui è dedicato il Tributo Storico: Lucius Minicius Exoratus. Ed è seguendo le sue orme, e quelle degli altri illustri abitanti del Larius, che è stato ideato questo tributo storico con l’obbiettivo non solo di far rivivere un pezzo importante della storia locale ma soprattutto di farla rivivere in prima persona, grazie alla ricostruzione in loco degli accampamenti dei Celti Comenses e dei legionari romani.

più probabile è che il termine Liqian designasse per i cinesi l’estremo e sconosciuto Occidente. Per quanto riguarda invece l’ascendenza romana rivendicata dagli abitanti della regione di Zhelaizhai, i recenti studi genetici condotti nella zona sembrano smentire quest’ipotesi. E così, il destino della legione perduta di Crasso resta, a oggi, avvolto nel mistero. Un enigma che potrà risolversi in futuro solo grazie alla scoperta di nuove prove storiche e archeologiche. —Jorge Pisa Sánchez

I visitatori in questi due giorni, potranno camminare fra i soldati dei due schieramenti, testare il peso di uno scudo e di una spada, prepararsi con loro alla battaglia, assistere al conio della moneta, alla preparazione dei pasti, ai riti apotropaici e fare da spettatori a un vero e proprio processo civile, con tanto di arringhe in latino, di veri avvocati in toga. Al termine di ognuna delle due giornate, a partire dalle ore 19.00, si terrà un momento di studio e approfondimento in compagnia di esperti classicisti: Sabato 23 il Prof. Livio Zerbini ci parlerà di "Plinio il Giovane e l'Imperatore Traiano" e domenica 24 il Dr. Alessandro Cerioli tratterà de "Il Lario Romano". TRIBUTO STORICO A LUCIUS MINICIUS EXORATUS Luogo Area Verde, Scuola Materna Menaggio (Co) Telefono +39 3392181456 Web www.studiotablinum.com Date Sabato 23 settembre 2017 Domenica 24 settembre 2017 Orari 09.30- 21.30


ARIS MESSINIS / GETTY IMAGES

ARCHEOLOGIA

ARCHEOLOGIA IN ZONE DI GUERRA

ARIS MESSINIS / GETTY IMAGES

Dalle rovine di Mosul sorge un palazzo Gli archeologi che documentano la distruzione dell’ISIS hanno fatto nuove scoperte sul passato assiro di Mosul LAYLA SALIH era

curatrice presso il Museo di Mosul prima che l’ISIS invadesse la città nel 2014. Dopo che i militanti sono stati allontanati da Mosul est nel 2017, ha diretto la squadra che ha stimato i danni al santuario di Nabi Yunus. Ha ispezionato anche il sito di Nimrud.

104 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

I

l luogo in cui sorgeva l’antica città assira di Ninive non è estraneo alle devastazioni della guerra: fu saccheggiato già nel 612 a.C. Di recente le forze dello Stato islamico (ISIS) e l’esercito iracheno si sono scontrati per il controllo di questo luogo nel nord dell’Iraq, che ora si chiama Mosul. Il conflitto ha portato alla distruzione di siti storici unici, ma

ha anche rivelato reperti fino allora nascosti. L’ISIS entrò per la prima volta a Mosul nel 2014. L’architettura della città, ricca di antichi santuari sacri a molte culture, è stata colpita duramente nei quasi tre anni di occupazione dell’ISIS, il quale ha chiuso il museo cittadino e ha costretto storici e archeologi a fuggire o a nascondersi. Mosul, collegata a Ninive, ha avuto sempre

un posto speciale nelle tradizioni ebraica, cristiana e islamica. Dio ordinò al profeta Giona (nell’Antico Testamento) o Yunus (nel Corano) di predicare in quella zona. Costruita su uno dei monti che coprono l’antica Ninive, la moschea di Nabi Yunus era stata cristiana. Entrambe le fedi sostengono che lì è sepolto Giona. Per l’ISIS la venerazione di tom-


ARIS MESSINIS / GETTY IMAGES

GIONA E LA BALENA SECONDO LA BIBBIA

be e santuari è peccato: nel luglio 2014 dichiarò che l’edificio era infestato da“apostasia”e distrusse la moschea. Altre perle architettoniche di Mosul hanno avuto un destino simile. La moschea di Nabi Jerjis, dedicata alla fi-

gura conosciuta dai cristiani come san Giorgio, fu distrutta nel 2014. Nel 2017, quando Mosul est è tornata sotto il controllo iracheno, gli archeologi hanno iniziato le stime dei danni causati ai luoghi sacri.

DEA / GETTY IMAGES

NGS MAPS

I TUNNEL scavati dall’ISIS sotto il santuario di Nabi Yunus per rubare i manufatti hanno permesso agli archeologi iracheni di recuperare nuovi reperti del tempio assiro risalenti al VII secolo a.C., tra cui il bassorilievo di una dea che sparge l’acqua della vita (a sinistra).

IL TEMPIO DI NABI YUNUS (il profeta Giona della Bibbia ebraica) si trova a Mosul ed è legato a uno dei racconti biblici più conosciuti: Giona e la balena. Secondo la Bibbia ebraica, Dio ordina a Giona di andare a Ninive per predicare ai popoli la sua parola. Giona cerca di sfuggire al suo destino via nave ma Dio scatena una tempesta che colpisce l’imbarcazione. Sapendo di essere colpevole, Giona chiede ai suoi compagni di gettarlo in mare ed è inghiottito da un “grande pesce” (comunemente interpretato come una balena, anche se il testo non lo specifica) al cui interno trascorre tre giorni e tre notti chiedendo perdono. Dio ordina al pesce di sputare Giona che, una volta a terra, si affretta a compiere la sua missione. Nella tradizione ebraica Ninive era un luogo associato alla corruzione morale. Il Libro di Nahum, scritto poco dopo la distruzione di Ninive nel 612 a.C., narra la scomparsa della città voluta da Dio: «Il Signore ha dato quest’ordine: che non ci sia più discendenza con il tuo nome; io eliminerò le immagini e gli idoli nel tempio dei tuoi dèi».

IL PESCE SPUTA IL PROFETA GIONA. TRATTO DA MANOSCRITTO TURCO DEL XVI SECOLO, INDICA L’IMPORTANZA DELLA STORIA NELLE TRADIZIONI EBRAICA, CRISTIANA E MUSULMANA.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

105


NURPHOTO / GETTY IMAGES

ARCHEOLOGIA

LA DIFESA DEI monumenti nella zona orientale di Mosul

NURPHOTO / GETTY IMAGES

ARIS MESSINIS / GETTY IMAGES

da parte dell’esercito iracheno è arrivata troppo tardi, quando il tempio di Nabi Yunus, del XII secolo, (in alto e a destra) era già stato saccheggiato dall’ISIS nel 2014. Il santuario è uno dei circa 66 siti che sono stati distrutti o colpiti dall’ISIS nell’area di Mosul.

E hanno scoperto che l’ISIS aveva scavato dei tunnel sotto i resti della moschea di Nabi Yunus, facendo emergere le rovine di un antico palazzo assiro inesplorato. Nonostante i danni che gli sono stati arrecati, le iscrizioni e il bassorilievo rinvenuti hanno suscitato un enorme interesse archeologico.

Splendore assiro Si pensa che il palazzo risalga al periodo che va dall’VIII 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

al VII secolo a.C. Sebbene fossero stati eseguiti scavi nel 1852, negli anni ‘50 e nel 2004, si era arrivati solo all’ingresso del palazzo. Studiando l’interno, gli archeologi hanno stabilito che la struttura fu costruita per il re Sennacherib, che governò all’incirca tra il 704 e il 681 a.C. e stabilì a Ninive la capitale. Nella Bibbia Sennacherib è menzionato nel Libro dei Re per essere stato l’artefice dell’assalto a Gerusalemme.

Layla Salih, capo della squadra che ha catalogato il sito, ha espresso la sua frustrazione per i saccheggi compiuti dall’ISIS nel palazzo. Sebbene alcuni degli oggetti siano stati recuperati, si teme che molti tesori siano stati venduti sul mercato nero per poter finanziare l’organizzazione. Nonostante i saccheggi, molti reperti importanti, rimasti intatti, stanno permettendo agli archeologi di fare

nuove scoperte sull’Impero assiro. In uno dei tunnel il team di Salih ha trovato una lastra di marmo con un’iscrizione attribuita al figlio di Sennacherib, il re Esarhaddon, che si pensa abbia ampliato il palazzo. È famoso per aver ricostruito Babilonia nel VII secolo a.C. ed esteso il potere assiro in Egitto. Le iscrizioni di quest’epoca sono rare e si spera che il loro contenuto porti nuove informazioni. Sempre all’interno del


tunnel, che si snoda per più di un chilometro e mezzo, la squadra di Salih ha scoperto un bassorilievo raffigurante una dea assira che asperge con l’acqua della vita i mor-

tali da lei protetti. Eleanor Robson dell’Istituto Britannico per lo Studio dell’Iraq crede che il bassorilievo adornasse l’ala del palazzo che ospitava le donne.

INCISIONE DEL 1890 DEL TEMPIO DI NABI YUNUS, MOSUL.

Corsa contro il tempo

PRINT COLLECTOR / GETTY IMAGES

I tunnel scavati in fretta dall’ISIS sotto il santuario sono

strutturalmente instabili e a rischio di crollo. Per il team di Salih è difficile catalogare e proteggere i reperti nei tunnel puntellati, oltre al disagio di dover lavorare in una zona di guerra segnata dalla violenza. Con la liberazione del principale museo di Mosul nel marzo 2017, il futuro dei beni culturali e dei luoghi storici della città sembra un po’ più luminoso. Sebbene sia straziante catalogare ciò che

è stato saccheggiato, deturpato o distrutto, la scoperta del palazzo ha riportato gli archeologi sulla strada di una ricerca costruttiva. I ricercatori dell’Istituto Britannico per lo Studio dell’Iraq stanno aiutando gli archeologi locali a documentare i ritrovamenti fatti nel nuovo palazzo. Inoltre, l’UNESCO sta cercando il modo di aiutare a preservare questo prezioso sito per le generazioni future. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

107


GRANDI SCOPERTE

George Smith trova la tavoletta del Diluvio Universale TURCHIA M OSU L

IT

M A ER R RA N

EO

Ninive

ED

IRAQ

M

N

ell’Inghilterra vittoriana della metà del XIX secolo le famiglie umili potevano fare ben poco affinché i figli ascendessero socialmente. Nel caso di George Smith, però, fu possibile. Nato nel marzo del 1840 a Londra, fin da bambino George aveva lavorato nella casa editrice della città che collaborava con la zecca britannica, dove aveva imparato a fare incisioni sulle banconote che venivano emesse. Tuttavia, Smith era diverso dagli altri ragazzini che pullulavano nelle strade umide e mal illuminate della capitale inglese. Fin da subito, infatti, era rimasto affascinato dalle scoperte archeologiche che lo

ARAB IA SAUDITA

storico dell’arte Henry Layard e altri britannici stavano facendo nell’attuale Iraq. Il giovane George passava quindi molte ore a contemplare le tavolette cuneiformi esposte nelle teche del British Museum, nelle nuove sale che erano state aperte proprio per mostrare al pubblico tali ritrovamenti. Henry Rawlinson, responsabile della collezione orientale del museo, notò con stupore quel ragazzo che rimaneva a lungo col naso incollato alle vetrine che contenevano le tavolette ma che

1861

L’archeologo Henry Rawlinson ingaggia George Smith per organizzare le tavolette cuneiformi.

1872

non mostrava, invece, troppo interesse per altri reperti più impressionanti, come le sculture e le rappresentazioni di re, dèi e animali fantastici assiri. Dopo aver verificato il talento naturale del giovane Smith, nel 1861 Rawlinson convinse i responsabili del museo ad assumerlo per restaurare e organizzare le tavolette, molte delle quali provenivano dagli scavi di Nimrud e Ninive. George imparò velocemente la grafia e la lingua sumera e accadica dei testi, tanto da diventare, in solo pochi anni, un esperto.

QUESTA È UNA delle tavolette studiate da George Smith che parla del Diluvio. In Iraq Smith scoprì le righe che mancavano. British Museum, Londra.

La scoperta Era da molto tempo ormai che Smith osservava le migliaia di tavolette che si accumulavano nelle casse polverose del museo quando, alla fine, un giorno una di queste attirò la sua atten-

Smith studia le tavolette di Ninive che parlano della leggenda di Gilgamesh e trova riferimenti al Diluvio.

BRID

GEM AN /A

GEORGE SMITH. INCISIONE DEL XIX SECOLO.

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

Nel 1872 un archivista del British Museum decifrò parte del racconto del Diluvio su una tavoletta di Ninive. In Iraq trovò il pezzo mancante

1873

Il Daily Telegraph finanzia il viaggio di Smith in Iraq, dove trova i frammenti mancanti.

zione. Era rettangolare, di dimensioni medie e spezzata in diagonale. Nonostante apparentemente fosse identica a tantissime altre tavolette che erano ammassate in scatole

1876

Di ritorno dal suo terzo viaggio in Iraq, Smith si ammala di dissenteria e muore ad Aleppo a trentasei anni.

CI


BIBLIOTECA REALE NEL 1845 Austen Henry Layard trovò i

BRIDGEMAN / ACI

resti di Ninive, la grande capitale assira di Senaquerib. Nel 1849 Layard vi fece un’importante scoperta: la grande biblioteca messa insieme da Assurbanipal, il più erudito dei re assiri, nel VII secolo a.C. (in basso, una ricostruzione). In totale furono recuperate circa 24mila tavolette cuneiformi.

di legno, questa conteneva delle linee di testo che facevano riferimento al racconto biblico del Diluvio Universale. George aveva già trovato un’altra tavoletta proveniente da Ninive che faceva cenno allo stesso racconto e stava appunto cercando dei testi simili. Come lui stesso ricorderà più tardi: «Lavorando con i frammenti trovai quasi subito la metà di una tavoletta interessante che aveva conte-

nuto, originariamente, sei colonne di testo. A una lettura rapida della terza colonna, lo sguardo mi cadde sulla notizia che la nave s’era arenata sul monte Nisir, e sulla seguente informazione dell’invio di una colomba che non riusciva a trovare un posto dove posarsi e tornava indietro. Riconobbi subito di avere scoperto, almeno in parte, il racconto caldeo del Diluvio. Trovai il frammento di un altro esemplare del raccon-

to del Diluvio che conteneva anch’esso l’invio degli uccelli. Così raccolsi altri frammenti della stessa tavoletta fino a ricostruire la maggior parte della seconda colonna. Poi furono scoperti dei frammenti di un terzo esemplare: mettendoli insieme formavano una parte considerevole della prima e della sesta colonna. Fu così che ottenni il racconto del Diluvio». Si narra che quando ebbe questa prima intuizione l’e-

mozione di Smith fu tale che iniziò a correre per la stanza e a togliersi i vestiti, sotto lo sguardo attonito dei colleghi.

L’esclusiva George Smith aveva ritrovato il racconto del Diluvio Universale così com’è narrato nell’Epopea di Gilgamesh, una delle opere letterarie più antiche dell’umanità [si tratta di un ciclo epico sumero scritto intorno al 2500 a.C.]. Così l’archivista Smith riuscì a dimostrare, per STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

109


GRANDI SCOPERTE

LA MURAGLIA DI NINIVE

RANDY OLSON / GETTY IMAGES

George Smith scoprì in una biblioteca del palazzo di Assurbanipal, a Ninive, le tavolette che completavano il racconto del Diluvio Universale.

la prima volta nella storia, che i racconti della Genesi erano riportati da documenti che erano estranei e precedenti alla redazione del testo biblico. Dunque è facile intuire che nell’Europa del XIX secolo l’impatto di queste scoperte fu straordinario e non solo tra studiosi, universitari e accademici, ma anche nell’opinione pubblica.

Visto il subbuglio che stava provocando la questione, i responsabili di un importante quotidiano di Londra, il Daily Telegraph, fecero a Smith una proposta che gli dovette sembrare incredibile: gli avrebbero finanziato per intero le spese del viaggio e degli scavi se fosse andato in Iraq a cercare altri testi che contenessero quelle meravigliose leggende. In cambio

DAGLI ORTI / AURIMAGES

In Iraq Smith, poco abituato a viaggiare, contrasse varie malattie per colpa del clima e del cibo GILGAMESH. STATUA RITROVATA A KHORSABAD. VIII SECOLO A.C. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI. 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

il filologo si impegnava a concedere tutte le esclusive al rotocalco londinese. Nel 1873 Smith partì quindi per il Medio Oriente circondato dalla fama che aveva riscosso grazie al Telegraph. Il viaggio in Mesopotamia però non fu per niente facile: il giovane archivista non era abituato a viaggiare e si ammalava di continuo a causa del cibo e del clima.

Un ago in un pagliaio A Mosul Smith si perse nel labirinto burocratico dell’Impero ottomano, di cui allora faceva parte l’attuale Iraq. Gli scavi partirono con vari mesi di ritardo. Nonostante ciò,


La tavoletta di George Smith teca di Assurbanipal a Ninive, questo frammento di tavoletta rimase per molti anni nei magazzini del British Museum, fino a che non fu riscoperto da George Smith. Con i frammenti che recuperò in Iraq Smith fu finalmente in grado di ricomporre il testo sul Diluvio: «Presi con me tutto quanto avevo […] e lo portai nella barca […] gli animali dei campi, le bestie del pascolo e le genti da lavoro. […] Durante sei giorni e sei notti si gonfiarono la tempesta e il diluvio […] Quando il settimo giorno spuntò, si placò la tempesta […] tutti gli uomini erano diventati fango! […] L’imbarcazione arrivò al monte Nisser e rimase ancorata…».

dopo pochi giorni dall’inizio dei lavori Smith scoprì nuovi frammenti di un racconto che chiamò “l’inondazione primigenia”, appartenenti a un’opera sconosciuta, il Poema di Atrahasis. Il Telegraph pubblicò l’esclusiva del ritrovamento ma, vedendo che le sue aspettative erano state soddisfatte, decise di interrompere gli aiuti al giovane filologo. Quindi Smith tornò a Londra con 384 frammenti di tavolette di argilla, tra cui quelle che completavano il racconto del Diluvio. Non fu però il suo ultimo viaggio in Iraq, dove l’archivista riuscì a tornare in altre due occasioni.

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

SCOPERTO da Layard nella biblio-

TAVOLETTA 11 DELL’EPOPEA DI GILGAMESH CHE PARLA DEL DILUVIO. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

Durante la seguente visita, nel 1874, scoprì nuovi frammenti relativi al mito della creazione dell’uomo, alla Torre di Babele e ad altre leggende che avevano a che fare con la Bibbia.

La malattia Nell’agosto del 1876, di ritorno dal suo terzo viaggio nel nord dell’Iraq, Smith si ammalò di dissenteria in Siria. Il caldo estivo aggravò la malattia, tanto che nel giro di qualche giorno non era più in grado neanche di montare a cavallo. Il suo assistente lo sistemò nel modo più comodo possibile in un villaggio chiamato Ikisji, a circa 70 chilometri a

nord-est di Aleppo. Immediatamente si diresse verso la città per cercare un medico che parlasse inglese. Purtroppo trovò solo il dentista John Parsons, che non poté fare molto per alleviare il dolore del malato. In quelle circostanze l’unica soluzione era portarlo ad Aleppo, per cui prepararono un tatravan, un seggiolino coperto sul dorso di una mula, affinché Smith potesse viaggiare con una certa comodità e allo stesso tempo proteggersi dal sole, cocente in quel periodo dell’anno e a quelle latitudini. Tuttavia era già troppo tardi: durante il tragitto il

giovane assirologo britannico che aveva scoperto l’Epopea di Gilgamesh entrò in agonia e morì. Aveva solo trentasei anni; lasciava una moglie e sei figli.

Una tomba in Siria All’inizio il cadavere di George Smith fu sepolto ad Aleppo, vicino all’ospedale protestante che sorgeva in un antico terreno abbandonato alla periferia della città. Qualche anno dopo, però, tutti i resti che erano stati sepolti in quel piccolo cimitero furono spostati in un nuovo camposanto. La tomba definitiva fu indicata con una modesta lapide che colSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

111


GRANDI SCOPERTE

PROVE DEL CATACLISMA NEL 1998 i

geologi marini della Columbia University Walter C. Pitman e William B.F. Ryan, autori del saggio Il Diluvio, suggerirono che l’origine degli antichi racconti sul Diluvio potesse essere stata una violenta inondazione che circa 7600 anni fa espulse gli abitanti delle coste del Ponto Eusino. In quell’occasione il Mediterraneo aprì lo stretto del Bosforo e inondò la zona del mar Nero [anteriormente un lago d’acqua dolce, chiamato appunto Ponto Eusino] con una forza pari a 400 volte quella delle cascate del Niagara. Nel 1999 una spedizione diretta da Robert Ballard, oceanografo ed “Explorer-in-Residence” della National Geographic Society, confermò che quella catastrofe era realmente accaduta.

locò un altro archeologo, nonché scrittore londinese, Max Mallowan, marito di Agatha Christie, su incarico del British Museum. Il passare del tempo cancellò la memoria della tomba di Smith, che fu riscoperta dall’autore di queste righe qualche anno fa e che si trova nel cimitero di al-Shaykh al-Maqsudi. Lì è possibile vedere la piccola lapide di marmo rossastro, a forma di libro aperto, con un’iscrizione che ricorda i meriti di Smith e il suo servizio a favore della diffusione della conoscenza. —Francisco del Río Sánchez 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

FINE ART / ALBUM

L’ARCA DI NOÈ SUL MONTE ARARAT. SIMON DE MYLE, 1570. COLLEZIONE PRIVATA.


STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

113


Prossimo numero SEMIRAMIDE, LA REGINA DELL’ASSIRIA INTORNO ALLA FIGURA

BRIDGEMAN / ACI

dell’unica donna della storia della Mesopotamia a regnare fiorì un vero e proprio mito: grazie alle imprese eccezionali che le attribuirono innanzitutto gli autori greci e latini, l’antica sovrana divenne motivo ricorrente nella pittura, nella poesia e nel teatro. Eppure Semiramide non è un personaggio fittizio: è esistita realmente e si chiamava Sammu-ramat. Tuttavia le informazioni disponibili sul suo conto sono piuttosto scarse.

AVVENTURA NELLO YUCATÁN: ALLA RICERCA DEI MAYA NEL CORSO DEL XVI e XVII secolo chierici

e conquistatori spagnoli scrissero racconti sulla vita e i costumi dei maya, ma le loro opere e le straordinarie città delle quali parlavano caddero nel dimenticatoio. Nel XIX secolo, grazie alla determinazione di John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood e ai loro epici viaggi nello Yucatán, le meravigliose città affiorararono e si iniziò a studiare una cultura affascinante che, da allora, non ha smesso di sorprendere. DAGLI ORTI / AURIMAGES

L’invenzione di Gutenberg Verso il 1450 un tedesco ideò la base della stampa: lettere metalliche con cui riprodurre migliaia di testi identici.

Cherokee Un popolo che lottò per la propia indipendenza adottando al tempo stesso costumi occidentali.

La schiavitù in Grecia Gli schiavi greci erano sfruttati per qualsiasi mansione: dalle miniere all’educazione dei bambini.

Annibale in Italia Il generale cartaginese invase l’Italia e lottò contro Roma fino a quando dovette ritirarsi per proteggere Cartagine.

Naucrati Una colonia greca che conquistò il monopolio del commercio marittimo dell’Egitto faraonico.

Amenofi La storia di uno dei maggiori architetti egizi, che successivamente venne divinizzato.


Speciale I grandi reportage storici in DVD COFANETTO 4 DVD

COFANETTO 2 DVD

gli INDIMENTICABILI

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

GEOGRAPHIC di NATIONAL COF4016 - 200’ circa

Il cofanetto contiene 4 filmati storici del National Geograhic IN CERCA DELLA RAGAZZA AFGHANA L’eccezionale reportage di Steve McCurry che riuscì a ritrovare, dopo 17 anni, la ragazza ritratta nella sua celeberrima foto. I GORILLA DI MONTAGNA I film originali di Dian Fossey e dei suoi studi sulla vita dei gorilla per la cui difesa venne uccisa. NATIONAL GEOGRAPHIC SULL’EVEREST € 39,99 Il film del 1963 della prima spedizione ameri€ 29,99 cana sull’Everest attraverso l’inviolata parete nord. UNA VITA CON GLI SCIMPANZÉ La storia di Jane Goodall, la coraggiosa etologa che dedicò la vita allo studio e alla tutela degli scimpanzé della Tanzania.

UN COFANETTO DA COLLEZIONE € 14,99

€ 9,99

GLI ULTIMI GIORNI DI ANNA FRANK

narrata COF4048 dai protagonisti - 141’

“Il dovere di un soldato non è farsi domande, il dovere di un soldato è combattere o morire”, National Geographic ha dedicato alla Seconda Guerra Mondiale un’opera in tre parti in cui gli eventi tragici e gli orrori di quegli anni vengono rievocati affiancando a filmati originali spesso inediti, le testimonianze di uomini e donne che hanno vissuto sulla propria pelle la guerra. € 19,99 Dall’ascesa al potere di Hitler all’invasione € 16,99 della Polonia, da Pearl Harbor allo sbarco in Normandia, da Iwo Jima alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, le grandi battaglie che hanno segnato la storia sono narrate dalla prospettiva di chi le ha combattute o subite e ha visto cadere i propri compagni

ECCEZIONALI IMMAGINI DI REPERTORIO € 14,99

€ 14,99

€ 9,99

FIRENZE SEGRETA

D&B7417 - 90 minuti National Geographic entra nel cuore di Firenze per svelare angoli e gioielli poco conosciuti della culla del Rinascimento. Il DVD contiene un inserto speciale sulla ricerca del celeberrimo dipinto di Leonardo sulla Battaglia di Anghiari, un’indagine densa di mistero, leggenda, arte e genio.

CDV8339 - 90 minuti 1 agosto 1944. Chi ha letto il diario di Anna Frank giunge con angoscia a questa data, l’ultima in cui la ragazza ebbe modo di affidare alla penna i suoi pensieri. Il DVD parte da questa data per ricostruire l’altra storia, quella non scritta: arresto, deportazione, orrore, morte... Un toccante docu-film di National Geographic.

€ 9,99

JFK

QUEL GIORNO A DALLAS

D&B7486 - 100 minuti Oltre 100 ore di filmati e registrazioni audio, sepolte negli archivi, sono state recuperate, selezionate e montate per la prima volta per ripercorrere, attimo dopo attimo, la tensione, l’ansia e la commozione del 22 novembre 1963. il giorno dell’uccisione di John Kennedy.

SPEDIZIONE GRATIS!

Per ordini di almeno 39 euro Inviate i vostri ordini a CINEHOLLYWOOD Srl Per Posta: Via P. R. Giuliani, 8 - 20125 MILANO Telefono: 02.64.41.53.80 - Fax: 02.66.10.38.99 E-mail: ordini@cinehollywood.com

COUPON D’ORDINE

Desidero ordinare i seguenti DVD _______________________________________ ____________________________________________________________________

Storica - codice ST082017 - 08/2017 Offerta valida per l’Italia e solo per i privati

* campi obbligatori

Nome e Cognome*: ____________________________________________________ Via*: ______________________________________________ CAP*: ___________ Città*: ____________________________________________ Prov.*: ___________

Tel.* _____________________ E-mail: ____________________________________ Codice fiscale: _______________________________________________________  Pago anticipatamente l’importo di € _________ + 4,90 per spese di spedizione  Allego copia versamento su c/c postale n. 11397205 intestato a Cinehollywood  Autorizzo l’addebito sulla mia carta di credito:  Cartasì  VISA  MasterCard  Eurocard n. Scadenza  Pagherò al corriere l’importo di € _________ + 7,90 per le spese di spedizione  Avendo ordinato almeno 39 euro ho diritto alle spese di spedizione GRATIS



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.