Storica National Geographic - novembre 2017

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n. 105 • novembre 2017 • 4,95 e

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gloria e morte al Polo SUd cortigiane greche le donne più libere di atene

imhotep

l’architetto che divenne un dio

la grande disfatta di roma

l’imboscata dei germani a teutoburgo

periodicità mensile

ninive

i terribili processi del sant’uffizio

70105 772035 878008

l’inquisizione

art.

il ritrovamento della fastosa capitale assira

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SCOTT CONTrO AMUNdSEN

più pagine più storia



editoriale

se con il 1492 inizia la storia moderna, il 1478 – anno in cui fu istituita l’Inquisizione spagnola – ne segna una sorta di prologo dai contorni cupi. Difficilmente le finalità e i metodi messi in atto dal Sant’Uffizio si accordano con i valori di libertà di fede e di pensiero che associamo al termine “modernità”. Sin dal Medioevo gli inquisitori interrogavano e torturavano con implacabile crudeltà (ricorrendo spesso al rogo come “soluzione” ultima) chiunque fosse in sospetto di non vivere secondo i precetti della cristianità cattolica. Quello di Giordano Bruno è solo l’esempio più eclatante: colpevole di aver sostenuto l’infinità dell’universo e negato la paternità divina di Gesù, il monaco domenicano fu condannato e arso vivo sulla piazza di Campo de’ Fiori a Roma nell’anno 1600. Più fortunato fu Galileo Galilei, chiamato a difendersi per ben due volte davanti ai giudici che lo condannarono alla reclusione, poi tramutata in confino domiciliare. Se l’Inquisizione spagnola era diretta, soprattutto, a verificare la genuinità delle conversioni al cristianesimo degli ebrei, quella medievale fu l’arma della chiesa per combattere i grandi movimenti eretici (i Catari e i Valdesi) che, a partire dal XII secolo, ne minacciavano l’integrità. Fu, senza dubbio, uno strumento di potere crudele e “antimoderno”. Che, però, sul piano giuridico costituì, rispetto all’ordalia altomedievale, un piccolo passo avanti: di fronte ai giudici inquisitori gli accusati potevano, almeno, levare la voce a propria difesa. AndreAs M. steiner Direttore


08

08 personaGGI sTraorDInarI

16 eVenTo sTorIco

Un filosofo nella bufera Dopo una rapida ascesa alla corte almohade del Xii secolo, negli ultimi anni della sua vita averroè fu accusato di empietà ed espulso dalla moschea della natale córdoba.

nel 1831 uno schiavo nero seminò il terrore nella piantagione dei suoi padroni bianchi dopo aver avuto visioni che interpretò come segni dal cielo.

12 mappa DeL Tempo

I savi di Sion

L’Europa nel 1900

la mappa semiseria di F. W. rose è una caricatura delle nazioni europee d’inizio secolo scorso.

124

La ribellione di Nat Turner

20

20 DaTa sTorIca nel 1903 la polizia segreta zarista diffuse la falsa notizia che un gruppo di ebrei e massoni aveva un piano per conquistare il mondo.

120 GranDI enIGmI

Lo strano caso di Kaspar nel 1828 fece la sua comparsa a norimberga uno strano giovane che sapeva a malapena parlare e portava con sé un messaggio misterioso.

124 GranDI scoperTe La città persa nel deserto negli anni novanta del 1900 venne scoperta gonur Depe, una civiltà millenaria sepolta nel deserto del Karakum, nell’attuale turkmenistan. 4 storica national geographic


36 ninive, la capitale assira ritrovata neL corso di un decennio l’esploratore inglese Austen Henry Layard scavò in questa maestosa città della Mesopotamia. Ne portò via numerose opere d’arte, oggi conservate al British Museum di Londra. Layard riesumò anche più di tre chilometri di bassorilievi, come quelli dell’imponente palazzo di Sennacherib, il re che nell’VIII secolo a.C. fece della città la magnifica capitale del suo impero. di juan pablo vita ninive sorgeva sulle rive del tigri. era talmente grande che, secondo la bibbia, servivano tre giorni per percorrerla.

22 Imhotep, il creatore della prima piramide L’architetto della piramide di Djoser, la prima della storia, venne considerato un dio con poteri curativi e gli egizi lo venerarono come patrono degli scribi. di irene riudavets gonzález

62 La disfatta di Teutoburgo Nel 9 d.C. la sconfitta delle legioni imperiali nei boschi germanici fu un’umiliazione per Roma e frenò la sua espansione oltre il Reno. di juan josé palao vicente

74 Le vittime dell’Inquisizione Durante l’Età Moderna il Tribunale del Sant’Uffizio spagnolo condannò migliaia di persone accusate di giudaismo, eresia o stregoneria. di maría lara martínez

90 Vesalio, il padre dell’anatomia L’autore del primo libro che rappresentava figure anatomiche in tre dimensioni ebbe grande influenza sia nella medicina che nell’arte. di justo hernández

102 La conquista del Polo Sud Il norvegese Amundsen e il britannico Scott si sfidarono alla conquista del Polo Sud, ma si concluse in tragedia. di javier cacho

48 Cortigiane greche Le etère dell’antica Grecia erano molto più che prostitute. Colte, oltre che belle, accompagnavano gli uomini nelle palestre e nei simposi, dove si parlava, si rideva e si beveva vino in abbondanza. Donne come Aspasia o Frine scandalizzarono e al tempo stesso affascinarono, tanto da diventare figure leggendarie. di raquel lópez melero

la venere di arles. i secolo a.c. MUsÉe dU loUvre, parigi.


licenciataria de NatiONal GEOGraPHiC sOCiEty, NatiONal GEOGraPHiC tElEVisiON

n. 105 • novembre 2017 • 4,95 e

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SCOTT CONTrO AMUNdSEN

storia

gloria e morte al Polo SUd

Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 105

le donne più libere di atene

imhotep

l’architetto che divenne un dio

la grande disfatta di roma

l’imboscata dei germani a teutoburgo

ninive

il ritrovamento della fastosa capitale assira

l’inquisizione i terribili processi del sant’uffizio

autodafé presieduto da san domenico di guzmán. pittura Di pEDro bErruGuEtE, 1490. muSEo DEl praDo, maDriD Foto: oronoz / alBUM

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6 storica national geographic

Gary E. kNEll President and CEO BoARD of TRuSTEES

JEaN N. CasE Chairman, traCy r. WOlstENCrOFt Vice Chairman, WaNDa M. aUstiN, brENDaN P. bECHtEl, MiCHaEl r. bONsiGNOrE, alExaNDra GrOsVENOr EllEr, WilliaM r. HarVEy, Gary E. kNEll, JaNE lUbCHENkO, MarC C. MOOrE, GEOrGE MUñOz, NaNCy E. PFUND, PEtEr H. raVEN, EDWarD P. rOski, Jr., FrEDEriCk J. ryaN, tED Waitt, aNtHONy a. WilliaMs RESEARCh AnD ExPloRATIon CommITTEE

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personaGGI sTRAORDINARI

Averroè, un filosofo arabo nella bufera nel Xii secolo il pensatore e medico andaluso averroè visse una rapida ascesa alla corte almohade. Ma le sue idee gli procurarono molti nemici e finirono per farlo cadere in disgrazia

Una vita affrontando gli invasori 1126 Averroè nasce a córdoba, all’interno di una rispettata famiglia di qadi (magistrati) e imam della moschea della città.

1169 Viene nominato qadi a Siviglia e, due anni più tardi, viene inviato con lo stesso incarico alla sua città natale, córdoba.

1182 È incaricato della direzione dei qadi di córdoba e può contare sulla protezione del califfo Yaqub Yusuf, di cui diviene medico.

1194-1197 I nemici di averroè lo denunciano. per placare gli animi, il nuovo califfo lo priva di tutti i suoi onori.

1198 Averroè muore a Marrakech, dov’era stato chiamato dal califfo al-Mansur per riabilitarlo. wha / age fotostock

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N

el dicembre del 1198 si spense a Marrakech uno dei pensatori più singolari di al-Andalus, il filosofo Averroè. Tre mesi più tardi un asino, con il suo corpo da un lato e i suoi libri a bilanciarne il peso dall’altro, lo avrebbe riportato nella natale Córdoba. «Da una parte il maestro, dall’altra le sue opere» avrebbe scritto il mistico e poeta arabo Ibn Arabi, meditando sul triste destino di Averroè. Abu al-Walid Ibn Rushd, conosciuto in Europa come Averroè, proveniva da un’importante famiglia di giuristi. Era nato nel 1126, lo stesso anno in cui era morto suo nonno, famoso qadi (magistrato) e imam della grande moschea di Córdoba. Anche suo padre era stato qadi, per quanto avesse avuto un ruolo meno rilevante. Non si sa molto dei suoi primi anni. I pochi riferimenti esistenti mettono in risalto soprattutto i suoi studi giuridici e medici. Curiosamente, solo lo scrittore e teologo di València Ibn al-Abbar riferisce dell’inclinazione di Averroè per le cosiddette“scienze degli

antichi”, ovvero l’eredità trasmessa al mondo musulmano dalla cultura greco-latina, in particolare la filosofia, la medicina e l’astronomia. In quegli anni Averroè era stato testimone degli sconvolgimenti che avevano accompagnato il declino degli almoravidi e l’arrivo degli almohadi. Entrambe le dinastie, nate nell’odierno Marocco, aspiravano a recuperare i valori originari dell’Islam. Ed entrambe vennero in soccorso dei regni di taifa – ovvero quegli stati nati dalla dissoluzione del califfato di Córdoba e soggetti alla crescente pressione del mondo cristiano – e, dopo essersi insediati in al-Andalus, li sottomisero. Gli almoravidi erano sbarcati nella penisola iberica nel 1086. Gli almohadi li cacciarono nel 1147, quando Averroè aveva vent’anni.

Alla corte del califfo Grazie a Ibn Tufayl – il grande medico e filosofo conosciuto in Europa come Abubacer –, Averroè ebbe l’opportunità di essere ricevuto da Abu Yaqub Yusuf, all’epoca probabilmente ancora governatore di Siviglia e in seguito secondo califfo almohade. Come lo stesso Averroè raccontò a uno dei suoi discepoli, una volta terminate le formalità

«Il cielo è stato creato da Dio o è eterno?», chiese ad Averroè il califfo almohade Abu Yaqub Yusuf colofon deLLa copia di UN’opeRa di aVeRRoÈ.


averroÈ, UN filosofo ‘feMMiNista’? AVERROÈ dimostrò un atteggia-

mento verso le donne molto aperto rispetto alla sua epoca e al suo contesto, anche se probabilmente si esprimeva in tal senso solo di fronte a platee di dimensioni ridotte. «Nella nostra società» dichiarò «si trascurano le capacità delle donne. Esse sono relegate alla procreazione e all’allattamento, e questo stato di servitù ne ha compromesso la facoltà di dedicarsi ad attività più importanti […] Da qui nasce la miseria che divora le nostre città, perché le donne sono il doppio degli uomini, ma gli viene impedito di procurarsi il sostentamento per mezzo del lavoro».

averroè NeL tRioNfo di saN tommaso d’aqUiNo, di aNdRea boNaiUto. 1365. cappeLLoNe degLi spagNoLi, saNta maRia NoVeLLa, fiReNze.

bridgeman / aci

proprie di questo tipo di udienze, Abu Yaqub Yusuf gli fece una domanda: «Qual è l’opinione dei filosofi sul cielo? È stato creato o è eterno?». Averroè si trovò in difficoltà, perché la teoria aristotelica dell’eternità del mondo era in contraddizione con la fede islamica sulla creazione divina. Rispose, pertanto, che lui non si occupava di questioni filosofiche. Intuendo la reticenza di Averroè, Abu Yaqub Yusuf si girò verso Ibn Tufayl e cominciò a disquisire sul tema. Averroè fu molto colpito dalle vaste conoscenze di Abu Yaqub Yusuf in materia: poteva dissertare sul

pensiero di Aristotele, Platone e altri filosofi ed esporre le argomentazioni con cui i saggi musulmani li confutavano. Una volta rotto il ghiaccio, Averroè si sentì libero di mostrare al leader almohade le sue competenze filosofiche. Abu Yaqub Yusuf dovette rimanere molto soddisfatto dell’incontro, perché donò al filosofo di Córdoba una cospicua somma di denaro, una pelliccia di grande valore e una sella. La stretta relazione tra Averroè e Abu Yaqub Yusuf avrebbe presto cominciato a dare frutti. Di fronte alla difficoltà di comprendere l’opera di

Aristotele, il califfo chiese a Ibn Tufayl di commentare i testi del filosofo greco, chiarendone gli aspetti più oscuri. Consapevole della portata di un tale compito, Ibn Tufayl declinò l’offerta giustificandosi con la sua età avanzata, ma offrì il lavoro ad Averroè, che non esitò ad accettarlo. Aristotele era già noto in Oriente dal IX secolo: quasi tutte le sue opere erano state tradotte dal greco al siriaco e da questo all’arabo. Ciò rappresentava un problema, ma ancora più complesso era determinare quali testi fossero realmente del filosofo greco e quali Storica national geographic

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tolo balaguer / age fotostock

personaGGI sTRAORDINARI

LA MOSCHEA DI CÓRDOBA. In questo maestoso

edificio, costruito nell’VIII secolo dal califfo omayyade Abd al-Rahman I, il nonno di Averroè diresse il culto dei fedeli in qualità di imam.

invece fossero stati attribuiti erroneamente a lui. L’eredità di Aristotele andava prima di tutto depurata, e poi resa comprensibile. Nel 1169 Averroè fu nominato qadi a Siviglia. Questo non facilitava i suoi studi, perché tutti i suoi libri si trovavano a Córdoba. Tuttavia, due anni più tardi, fu trasferito con

lo stesso incarico nella sua città natale; in questo modo poté finalmente fare ritorno alla sua biblioteca. I suoi scritti dimostrano che, oltre ad avere conoscenze in ambito giuridico e filosofico, Averroè era un grande esperto di medicina, nella tradizione dei filosofi-medici così comune tra i pensatori musulmani dell’epoca.

PeNsatore UNiversale LE IDEE aristoteliche di Averroè avrebbero trasformato il pensiero occidentale a partire dal XIII secolo, generando ampi dibattiti nelle principali università europee. Nonostante le condanne della Chiesa, nel XIV secolo l’autorità del filosofo andaluso era indiscussa, al punto che Dante nella Divina Commedia lo colloca accanto a Euclide, Tolomeo, Ippocrate e Avicenna.. averroè. paRticoLaRe di UNa miNiatURa deL XiV secoLo. akg / album

Grazie alle sue competenze in questo ambito, nel 1182 succedette a Ibn Tufayl nel ruolo di capo dei medici di Abu Yaqub Yusuf a Marrakech. Quello stesso anno gli sarebbe stata assegnata anche la direzione dei qadi di Córdoba.

Voci malevole Queste grandi onorificenze ponevano Averroè sotto la protezione di un potere almohade i cui princìpi non erano mai stati completamente accettati in al-Andalus. Molti ulema (o giuristi musulmani) contrari alla dottrina almohade vedevano Averroè come uno dei suoi massimi rappresentanti e non avrebbero esitato ad agire contro di lui non appena ne avessero avuto l’opportunità. Nella primavera del 1184 Abu Yaqub Yusuf e le sue truppe, dopo aver lasciato la capitale almohade Marrakech, attraversarono lo stretto di Gibilterra per andare a combattere contro i regni


AVERROÈ abiura le sue idee davanti

white images / scala, firenze

alla porta della moschea di Fez, città dove il filosofo cercò rifugio dopo essere fuggito da Lucena. Incisione, 1866.

cristiani. In quell’occasione la sorte fu avversa al sovrano: dopo una disastrosa sconfitta, morì nel mese di luglio a causa delle ferite riportate in battaglia. Averroè perse in questo modo il suo grande protettore. Il nuovo califfo, Abu Yusuf al-Mansur, non aveva alcun interesse per le speculazioni filosofiche, ma decise pur sempre di mantenere il dotto andaluso come suo medico personale. Ciononostante, i nemici di Averroè continuavano a diffondere dicerie contro di lui, nella speranza di vederlo privato dei favori del nuovo sovrano. Giunsero ad accusare il filosofo di aver chiamato barbaro (bereber) il califfo in uno dei suoi libri, di aver negato la realtà storica di alcuni dei racconti del Corano e di considerare il pianeta Venere una divinità. Le tensioni si inasprirono a tal punto che, come riferisce addolorato lui stesso, Averroè venne espulso dalla

grande moschea di Córdoba insieme al figlio da una folla abilmente manovrata dai suoi rivali. Con tutto ciò, sarebbe più appropriato ricercare le ragioni della sua caduta in disgrazia nelle trame politiche dell’epoca piuttosto che nelle sue idee filosofiche.

si trattava di colpire chi si ostinava a praticarla. Così, Averroè fu privato di tutti i suoi onori e condannato all’esilio a Lucena, una cittadina a sud di Córdoba che aveva ospitato una delle più importanti comunità ebraiche di al-Andalus e dove rimase quasi un anno e mezzo. Successivamente il filosofo e meCondannato all’esilio dico cordovese fu chiamato alla corte Nel 1194 gli avversari di Averroè pre- di Marrakech, un modo per riabilitarlo sentarono una denuncia contro di lui . senza irritare i suoi avversari. Lì morì Tuttavia, dato che il califfo era im- il 10 dicembre del 1198. Averroè non era destinato a essere pegnato nelle sue campagne militari, il processo si svolse solo tre anni dopo. profeta in patria. Ciononostante, le Le relazioni tra gli ulema di al-Andalus sue idee avrebbero finito non solo per e gli almohadi non erano mai state attraversare le frontiere ma anche per buone. In varie occasioni si era giunti portare grande scompiglio. Al punto sull’orlo di una rivolta. Al-Mansur che, a più di settant’anni dalla sua mordoveva fare periodiche concessioni te, il papa portoghese Giovanni XXI agli ulema per evitare ribellioni. emise una bolla contro le «pericolose Già un anno prima il califfo ave- opinioni» del filosofo. va espresso una condanna nei confronti dello studio della filosofia. Ora — Vicente Millán Storica national geographic

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mappe del tempo

Una mappa dei sentimenti europei del 1900 Nella sua mappa caricaturale, Frederick Rose rappresentò le nazioni europee secondo i luoghi comuni dell’epoca

C

i sono immagini dense di significato storico. Come un’illuminazione improvvisa sanno racchiudere in un solo sguardo processi di grande complessità. Istantanee congelate nel tempo, che risultano oggi tanto lontane quanto affascinanti. Questo è il caso della magnifica mappa creata nel 1900 da Frederick William Rose e intitolata John e i suoi amici, una versione attualizzata di altre simili che aveva realizzato a partire dal 1877. Rose (1849-1915) non era né un vignettista né un giornalista professionista: le sue collaborazioni con la stampa andarono sempre di pari passo con il suo lavoro di funzionario britannico. Ma le cartografie di questo discendente di proprietari terrieri scozzesi e figlio

ATTACCO DEI COSACCHI IN PRUSSIA ORIENTALE NEL 1914, DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE. fine art images / album

12 stoRica NatioNal geogRaphic

di un ufficiale dell’esercito godettero di grande popolarità. Rose aveva il dono di coniugare gli ultimi progressi industriali nel trattamento del colore con una ricca tradizione iconografica: era erede dell’acume di innumerevoli vignettisti che avevano combattuto la battaglia della propaganda nell’Europa figlia dalla rivoluzione francese.

Geografia e caricature La chiave del successo delle creazioni di Rose risiede nella fusione della cartografia con la caricatura e nella sua capacità di sedurre attraverso luoghi comuni e stereotipi. Questa combinazione ebbe un forte impatto e si rivelò una poderosa arma di propaganda. Mappe di questo tipo erano una risorsa abituale nell’incipiente stampa di massa del XX secolo, una macchina che alimentava i pregiudizi che avrebbero portato ai due conflitti mondiali. La loro funzione era, come indicava una di esse, pubblicata nel 1914, presentare la «geografia politica alla portata di tutte le capacità mentali». Nell’Europa di quell’epoca l’idea che i possedimenti coloniali accrescessero il prestigio nazionale alimentava la curiosità in merito alle questioni internazionali. Sono questi i temi che trovano spazio nella mappa“semiseria” di Rose. Vi si intravedono, dal punto di vista di un conservatore britannico, le tensioni europee. Il continente viene


bridgeman / aci

presentato come intrappolato nella fragile stabilità della pace armata di inizio XX secolo e impegnato in una preoccupante corsa agli armamenti. Ossessionate dall’idea di incrementare il proprio peso politico, economico e territoriale, le potenze coloniali stavano configurando il futuro scenario della prima guerra mondiale.

La piovra russa Nel bel mezzo di questo teso contesto politico, Rose fuse un elaborato patrimonio culturale iconografico con gli stereotipi nazionali al fine di creare una divertente tragicommedia cartografica.

La prima cosa che richiama l’attenzione è la rappresentazione della Russia come una grande piovra sulla quale viene ritratto lo zar Nicola II. Simbolo del potere assoluto, la piovra rimanda alle sfrenate ambizioni della Russia zarista, che estende i suoi tentacoli verso la Cina, l’Afghanistan, i Balcani e su un impero turco ormai sul punto di sfaldarsi, così come verso l’Europa occidentale (nel 1795 aveva annesso la Polonia e nel 1809 la Finlandia). Tutta la mappa, come indica il titolo, ruota attorno al Regno Unito. Il britannico John Bull 1, vestito con la tipica divisa coloniale, è ancora impegnato nella sua

seconda guerra con i boeri, che tra il 1899 e il 1902 vide l’Inghilterra scontrarsi in Africa meridionale con i coloni di origine olandese. Le roccaforti degli afrikaner, il Transvaal e lo Stato libero dell’Orange, sono rappresentate come dei gatti avvinghiati ai polpacci di John Bull. Nonostante la perdita di prestigio che la resistenza boera aveva causato al suo onnipotente impero, la Gran Bretagna sfoggia la sua superiorità in termini di potenza di fuoco esibendo l’appoggio, a forma di proiettile, delle sue numerose colonie, quali Canada, Australia, Sudafrica e India. L’Irlanda 2, che allora faceva parte del Regno stoRica NatioNal geogRaphic

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mappe del tempo

“Amici” dell’Impero britannico NELLA MAPPA DI ROSE le potenze coloniali europee

sembrano aspettare le mosse del Regno Unito. Francia e Germania (ma anche Irlanda e Spagna) osservano con attenzione la marcia di Bull. Sono tutte acquattate in attesa di un segno di debolezza dell’impero che aveva dominato il mondo nel XIX secolo.

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Unito e non avrebbe visto riconosciuta la sua indipendenza fino al 1922, alza le braccia con espressione imbronciata, quasi volesse approfittare dei problemi di John Bull per dar libero sfogo al suo nazionalismo, anche se alla fine è la lealtà del popolo a trattenerla.

Il kaiser minaccioso Il volto del kaiser Guglielmo II incarna la nuova potenza, la Germania 3, unificata nel 1871 da suo nonno Guglielmo I e che ha rimpiazzato l’Inghilterra come uno dei maggiori produttori di manufatti. Allo stesso tempo si prepara a oscurare il dominio marittimo britannico con la costruzione di una 14 stoRica NatioNal geogRaphic

nuova flotta, che sarà una delle cause della prima guerra mondiale. La Francia 4, personificata dalla sua eterna Marianne – simbolo della libertà rivoluzionaria –, lancia un’occhiata sospettosa al Regno Unito, il suo grande nemico del XIX secolo. Non stupisce l’aria preoccupata, visto che la sua “nuova casa delle bambole”è piena di “giocattoli rotti”: il Marocco, l’Indocina, il Madagascar… Tutte zone dove la Gran Bretagna si è prodigata per frenare gli appetiti coloniali francesi. E poi è appena stata umiliata da John Bull nella crisi di Fascioda, località del Sudan che britannici e francesi si erano contesi nel 1898 e che avrebbe potuto

scatenare una guerra se il governo transalpino, di fronte al superiore potere militare britannico, non avesse deciso di ritirarsi. Era così stato frustrato il desiderio francese di cancellare, grazie a una vittoria coloniale, il vergognoso ricordo dell’affare Dreyfus, che ebbe come protagonista il capitano ebreo ingiustamente condannato per presunte attività di spionaggio a favore della Germania. L’angoscia francese contrasta con la tranquillità di una Svizzera 5 soddisfatta per i buoni servizi prestati dalla Croce Rossa – nata a Ginevra nel 1863 – e intenta a leggere compiaciuta, pur nella sua neutralità, delle nuove vittorie del Regno Unito.


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bridgeman / aci

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A sud, la Spagna 6, persi gli ultimi possedimenti coloniali a Cuba e nelle Filippine nel 1898, è ridotta all’esotico ed eterno cliché di una ballerina di flamenco uscita dal libro di un viaggiatore britannico o dalla Carmen, il famoso romanzo di Mérimée. Al suo fianco, un elegante Carlo I del Portogallo 7 regge con orgoglio la chiave della baia di Goa, enclave sulla costa occidentale dell’India in mano portoghese fin dal XVI secolo. Lusitani e britannici si erano così assicurati un corridoio marittimo fino alla costa del Mozambico e al Transvaal che permetteva di collegare le colonie africane con quelle asiatiche. Tornando all’Europa settentrionale,

in Scandinavia vediamo rappresentati due atteggiamenti differenti. Mentre la Svezia e la Norvegia, ritratte come due segugi, non sembrano in grado di liberarsi dal guinzaglio che le tiene soggiogate all’influenza britannica, la Danimarca 8 spicca per la sua operosa produzione alimentare, instancabile e spensierata fornitrice di burro per John Bull.

La decrepita Turchia Per ultimo, spicca la presenza di una Turchia 9 frammentata, incarnata dall’invecchiato sultano Abdul Hamid II. Questi assiste impotente allo smembramento del suo impero, pro-

vocato dalla Russia, che nel 1878 gli aveva imposto l’indipendenza di Romania, Serbia e Montenegro, rappresentati nella mappa di Rose come neonati e bambini. L’Impero ottomano è vittima della grande piovra zarista nei Balcani, ma anche dell’ambizione del Regno Unito, cui aveva ceduto l’amministrazione di Cipro nel 1878. In definitiva, l’Europa del 1900 presentava uno scenario caratterizzato da rivalità e tensioni. Un panorama che non lasciava presagire nulla di buono per il secolo incipiente. —Roberto Fandiño stoRica NatioNal geogRaphic

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UNA MADRE supplica che siano risparmiati i suoi figli, Turner uccide il suo padrone e un uomo bianco si batte per salvare sé stesso e la moglie, in un’incisione d’epoca intitolata Horrid Massacre in Virginia.

Nat Turner: lo schiavo che si ribellò nel nome di Dio nel 1831 uno schiavo della Virginia, dopo aver avuto una visione in cui Dio gli ordinava di lottare per la sua libertà, seminò il terrore nelle piantagioni dei suoi padroni

L

o schiavismo nel sud degli Stati Uniti è stato generalmente considerato un regime brutale e disumano. Ma, allo stesso tempo, un sistema apparentemente stabile, nel quale i proprietari delle piantagioni avevano la situazione sotto controllo. In realtà, gli schiavi neri non si rassegnarono mai completamente al proprio destino e furono protagonisti di azioni di resistenza di ogni tipo, anche violente. Prima della guerra di secessione (1861-1865) si registrarono vari ten-

16 Storica national geographic

tativi di ribellione da parte di schiavi, come quelli di Gabriel Prosser nel 1800 e di Denmark Vesey nel 1822. Ma la rivolta più grande fu senza dubbio quella avvenuta nel 1831 nella contea di Southampton, in Virginia, capeggiata da uno schiavo di 31 anni di nome Nathaniel “Nat” Turner. Su questo episodio esiste una fonte importante: un opuscolo di 24 pagine in cui l’avvocato Thomas R. Gray raccolse le “confessioni”di Nat Turner prima che questi fosse processato e condannato a morte per la sua ribellione. Gray non era un

testimone imparziale, come si può evincere dall’introduzione dell’opuscolo: «Mentre apparentemente in quella società si respirava un’aria di calma e di pace, (…) nelle oscure profondità della mente di un funesto fanatico (Nat Turner) ribollivano piani atroci e sanguinari per uccidere indiscriminatamente i bianchi». Una dichiarazione finale certificava che il detenuto riconosceva la veridicità di quanto esposto. Nat Turner era nato nella piantagione di Benjamin Turner, nella contea di Southampton (Virginia), il 2 ottobre


ACI / ALAMY

evento storico

il commercio Di eSSeri Umani LA VENDITA di schiavi rappresentò una fiorente attività per tutto il XiX

secolo. la decisione del regno Unito, nel 1808, di abolirne il commercio internazionale favorì un mercato interno che si nutriva delle nascite nelle piantagioni stesse. i proprietari vendevano gli schiavi (perché lavorassero in altri latifondi) in edifici come quello della foto, nella cittadina di alexandria, il secondo mercato del paese.

FOTOSEARCH / GETTY IMAGES

del 1800. La madre, Nancy, una schiava giunta dall’Africa, aveva inculcato al figlio, fin dall’infanzia, il desiderio di libertà. Stava quasi per uccidere il neonato subito dopo il parto, per evitargli la triste vita dello schiavo. Fu per bocca della madre che Nat ascoltò per la prima volta quello che ci si attendeva da lui: essere un profeta. Questa convinzione cominciò a prendere forma nel momento in cui, a tre o quattro anni, Nat iniziò a narrare avvenimenti del passato. «Dio mi aveva mostrato cose che erano accadute prima

della mia nascita», avrebbe dichiarato. Turner imparò a leggere e a scrivere con facilità. Con gran stupore della sua famiglia, un giorno afferrò uno dei libri che gli porgevano perché smettesse di piangere e iniziò a sillabare i nomi degli oggetti che apparivano sulle pagine. Il piacere della lettura e i forti sentimenti religiosi dimostrati fin da giovane lo spinsero a diventare predicatore nella piantagione. A 21 anni, mentre leggeva ossessivamente la Bibbia e digiunava per rafforzare lo spirito, Turner cominciò ad avere visioni e a pensare che Dio si rivolgesse a lui con segni e voci, come aveva fatto con i profeti dell’Antico Testamento, annunciandogli la

Turner ebbe visioni che interpretò come un invito divino alla ribellione contro i bianchi SPADA DI NAT TURNER. SOUTHAMPTON HISTORICAL MUSEUM.

prossima liberazione. Durante la sua breve vita, Nat Turner ebbe vari padroni. Alla morte di Benjamin Turner, nel 1810, passò in mano a suo fratello, Samuel. Nel 1822, quando questi morì, Nat divenne proprietà della sua vedova, Elizabeth, e un anno più tardi del nuovo marito di questa, Thomas Moore. Al momento della rivolta Nat era schiavo di Joseph Travis, con cui si era risposata la seconda moglie di Moore dopo essere rimasta a sua volta vedova. C’è un’unica testimonianza sulle relazioni che aveva con i suoi proprietari, secondo la quale in un’occasione Nat venne bastonato «per aver detto che i negri dovevano essere liberi e che prima o poi lo sarebbero stati».

Segni dal cielo Il carattere visionario di Turner continuò ad accentuarsi. Si sentiva guidato dallo Spirito Santo e fu testimone di vari miracoli, che si materializzavano in uno scintillio di luci nel firmamento.

COURTESY OF THE SOUTHAMPTON HISTORICAL SOCIETY Storica national geographic

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evento storico

RAdCLIFFE ROYE / NGS

I BOSCHI palustri della contea di Southampton furono il nascondiglio di Nat Turner per nove settimane, fino a quando non venne catturato.

Dopo ferventi preghiere, mentre lavorava nei campi notò delle «gocce di sangue sul mais, come se fosse brina caduta dal cielo», e riconobbe nelle «foglie degli alberi del bosco dei caratteri geroglifici e dei numeri sotto forma di uomini in atteggiamenti differenti, ritratti con il sangue». Questi ultimi rappresentavano gli spiriti neri e bianchi che aveva visto lottare in una

precedente apparizione. La rivelazione definitiva l’ebbe dopo l’eclissi di sole dell’11 febbraio del 1831, che interpretò come un invito divino, impossibile da ignorare, alla ribellione. Alla mezzanotte del 22 agosto Turner e il suo gruppo scatenarono quella che sarebbe stata la rivolta più cruenta conosciuta dal sud schiavista, per quanto irrimediabilmente condannata

iSPiRATO DA DiO ebbi una visione e vidi spiriti bianchi e spiriti neri in lotta, e il sole si oscurò, nei cieli rombò un tuono e il sangue si sparse, e io udii una voce che diceva: ‘Questa è la tua fortuna, di ciò sei chiamato a essere testimone e, che tu lo voglia o meno, lo scoprirai’».

«E IN QUEL TEMPO

LE CONFESSIONI DI NAT TURNER. COPERTINA DI UN’EDIZIONE DEL 1832. EVERETT COLLECTION / ALAMY / ACI

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al fallimento dalla mancanza di mezzi e di disciplina. Lui e i suoi quattro seguaci iniziarono a uccidere a colpi d’ascia i membri della famiglia Travis, mentre questi ultimi dormivano. Quindi intrapresero una scorribanda per la contea di Southampton che li portò a saccheggiare altre 16 case, uccidendo tutti i bianchi che trovavano sul loro cammino. Contemporaneamente, liberavano gli schiavi che si univano alla rivolta. Quando l’esercito pose fine alla sommossa gli insorti erano quasi cinquanta e le loro vittime una sessantina tra donne, uomini e bambini.

Controffensiva Dopo due giorni di panico le rappresaglie da parte della popolazione bianca non si fecero attendere. Quasi duecento neri furono trucidati per vendetta.


NG MAPS / ROSEMARY wARdLEY

Nat Turner, che era fuggito nei boschi, venne catturato nove settimane più tardi, il 20 ottobre, dall’agricoltore Benjamin Phipps, che lo scoprì nascosto in un fosso. Il fuggitivo venne accusato di incitazione alla ribellione e partecipazione alla rivolta. Dopo essere stato processato, il 5 novembre di quello stesso anno Turner venne condannato all’impiccagione. Prima di essere giustiziato gli fu chiesto se fosse pentito delle atrocità che aveva commesso. Mostrando nuovamente la sua convinzione di essere un messo del Padre Eterno, Turner rispose: «Non è forse stato crocifisso anche Nostro Signore?». L’11 novembre il capo ribelle e altri 16 schiavi furono impiccati. Ma al cadavere del leader fu riservato un destino diverso da quello dei suoi compagni. Fu decapitato e la sua testa venne esposta a mo’ di cimelio. Il corpo fu scuoiato e

la pelle utilizzata per fabbricare borse e portamonete. Le parti del tronco e degli arti non utilizzate per ricavarne grasso vennero fatte a pezzi e conservate come un macabro ricordo. Il poco che restò fu sepolto con la stessa solennità che si sarebbe potuta riservare ai resti di un animale pericoloso. Con questo trattamento, il sud lasciava una testimonianza indelebile del castigo che aveva inflitto al nero ribelle.

La memoria dilaniata La verità su Turner e sulle reali motivazioni della rivolta contro il regime schiavista venne smembrata fin da subito, come il suo corpo. Il racconto di Gray nelle Confessioni di Nat Turner rivela il profondo bagaglio ideologico dell’avvocato della Virginia. Facendo di Turner "il Grande Bandito", a capo di una "banda feroce", che supplica di essere risparmiato dopo essere stato catturato senza aver op-

posto resistenza, Gray stava negando l’esistenza di una relazione tra la rivolta e altri movimenti e personaggi contemporanei impegnati nella lotta contro la schiavitù. Analogamente, la storiografia ufficiale statunitense descrisse la ribellione come l’atto isolato ed eccezionale di un pazzo, una lotta melodrammatica in cui le azioni di un criminale erano private di qualsiasi significato politico. Gli afroamericani, invece, conservarono un ricordo positivo di Nat Turner, che ribattezzarono Ol’Prophet Nat,“il Vecchio Profeta Nat”. Furono proprio gli storici afroamericani a restituire a Turner e agli altri ribelli la loro dignità. Questo nuovo sguardo avrebbe permesso una riscrittura della storia degli Stati Uniti che implicava il recupero dei frammenti sparsi dell’identità di questi emuli neri di Spartaco. —Carme Manuel Storica national geographic

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DATA S TO R I C A

nel bel mezzo di un’ondata antisemita in russia, nel 1903 la polizia segreta zarista diffuse la notizia secondo cui un gruppo di ebrei e massoni aveva un piano per conquistare il mondo

N

el 1903 il giornale di San Pietroburgo Znamya pubblicò una serie di documenti dal titolo misterioso: I protocolli dei savi di Sion. Si trattava dei verbali delle riunioni segrete che i cosiddetti “savi di Sion” (o “anziani di Sioni”, com’erano anche conosciuti), ovvero gli ebrei più potenti del mondo, avevano organizzato nell’agosto del 1897 nella città svizzera di Basilea. Gli incontri avevano coinciso con la celebrazione del primo Congresso Sionista, promosso dall’ebreo austriaco Theodor Herzl, fondatore di un movimento volto a difendere il diritto di tutti gli ebrei di creare un «focolare nazionale

ebraico» in Palestina. I 24 protocolli (uno per ogni riunione) contenevano i presunti piani segreti degli ebrei per governare il mondo. I “savi” proponevano l’infiltrazione di agenti nelle imprese, nei mezzi di comunicazione e nei governi mondiali, incitavano a corrompere, boicottare e addirittura a provocare rivoluzioni e guerre, e allo stesso tempo a fomentare l’immoralità e la distruzione delle istituzioni tradizionali. Il disordine provocato da queste azioni avrebbe indotto il popolo a prediligere come salvatore un governante «discendente dalla casa di David». In questo modo gli ebrei si sarebbero vendicati dell’oppressione

leemage / prisma archivo

Il mito dei Protocolli dei savi di Sion PROTOCOLLI. copertina Di Un’eDiZione ceca.

subita per mano dei cristiani. Inoltre, per far ciò contavano sull’alleanza con i massoni che, grazie alle loro logge, avrebbero esercitato un controllo sulla massa incolta. In realtà queste riunioni non ebbero mai luogo. Oggi sappiamo che i Protocolli furono scritti da Matvey Golovinsky, aristocratico e agente dell’Ochrana, la polizia segreta zarista. Dopo una prima pubblicazione a puntate, nel 1905 apparve anche in Russia la versione completa dei Protocolli in appendice a Il Grande nel Piccolo: la Venuta dell’Anticristo e il Regno di Satana sulla Terra, opera di Sergei Nilus, un personaggio enigmatico, un mix tra uno scrittore, un mistico e un agente segreto.

La calunnia si diffonde

ANTISEMITISMO. NEL CORSO DI UN POGROM NEL 1881, a kIEv, UNa FOLLa PORTa vIa UN EBREO SOTTO LO SGUaRDO INDIFFERENTE DELL’ESERCITO. granger / age fotostock

20 Storica national geographic

L’obiettivo di Golovinsky era quello di rafforzare le false credenze del popolo russo sugli ebrei e di far pensare che coloro che reclamavano la democratizzazione del regime autocratico in realtà facevano parte di una sinistra cospirazione giudaico-massonica. Se da un lato la rivoluzione del 1917 segnò la fine del regime, dall’altro, ironicamente, confermò in un certo qual modo quelle stesse false credenze, dato che molti dei leader della rivolta, come per esempio Trotsky, erano ebrei. Negli anni successivi i Protocolli arrivarono in Europa occidentale e in America grazie agli emigranti anticomunisti, i


ODIATI IN TUTTI I PAESI IL SUCCESSO dei falsi Protocolli dei savi di Sion fu il risultato delle correnti antisemite che si stavano sviluppando sia in Russia – scenario di terribili pogrom e di misure discriminatorie – che in Occidente. In Francia il caso Dreyfus (dal nome del militare di origine ebrea ingiustamente condannato per spionaggio nel 1894) scatenò un’ondata di propaganda antisemita. Come quella che travolse la potente famiglia di banchieri Rothschild, oggetto di caricature – ne è un esempio quella apparsa sulla rivista satirica Le Rire nel 1898 e che si può osservare qui a sinistra– che avevano l’obiettivo di denunciare il loro presunto piano segreto per dominare il mondo intero. BriDgeman / aci

cosiddetti rifugiati bianchi. Tradotti in numerose lingue, costituirono la base per l’intero filone letterario dei libelli antisemiti. Per esempio L’ebreo internazionale, una raccolta di pamphlet finanziata dall’imprenditore Henry Ford e pubblicata tra il 1920 e il 1922, sviluppava la tesi contenuta nei Protocolli, la stessa che in seguito Ford avrebbe rinnegato. Nel 1919 i Protocolli erano stati già tradotti in tedesco; Hitler e Goebbels nutrivano una forte ammirazione per quell’opera, come anche per il pamphlet di Ford. Quando, nel 1933, i nazisti arrivarono al potere, i Protocolli vantavano già trenta edizioni pubblicate. A quel punto era noto che si

trattava di una manipolazione. Nel 1921 il Times di Londra pubblicò un articolo che dimostrava che i Protocolli non erano altro che un plagio di un libro francese di satira politica, il Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu, scritto nel 1864 da Maurice Joly; un testo che, lungi dall’essere un libello antisemita, rappresentava una critica al dispotismo di Napoleone III. Anche altre opere, come il romanzo Biarritz (1868) del tedesco Hermann Goedsche, avevano ispirato i Protocolli. Nonostante le prove fornite dal Times, le teorie del libello russo non cessarono di diffondersi in tutto il mondo, al punto che i Protocolli diventarono il

testo antisemita più letto e influente del XX secolo. Il successo dei Protocolli fino ai giorni nostri probabilmente si deve al fatto che vi si fa riferimento ai motivi classici alla base dell’odio antisemita, per esempio si dice che gli ebrei «cospirano sempre», o che «non conoscono altra patria che non sia la propria razza». Per citare Umberto Eco, autore del romanzo Il cimitero di Praga, che narra la creazione dei Protocolli, il ragionamento condotto dai loro difensori è il seguente: «Sarà un falso, ma dice esattamente ciò che gli ebrei pensano, quindi è vero». —Javier Alonso López Storica national geographic

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IMHOTEP DIVINIZZATO

Questa statuetta votiva in bronzo mostra Imhotep divinizzato come patrono degli scribi e figlio del dio Ptah. La figura del costruttore della piramide del faraone Djoser risale al Periodo Tardo (VI-IV secolo a.C.) ed è conservata al British Museum. STATUA: british museum / scala, firenze SFONDO: bridgeman / aci


Il creatore della prima piramide

imhotep, ARCHITETTO E DIO “Maestro dei costruttori” del faraone Djoser, Imhotep è l’autore della prima piramide della storia, costruita a Saqqara. In seguito divenne oggetto di culto come patrono degli scribi e dio con poteri terapeutici


C

olui che viene in pace: è questo il significato del nome di Imhotep in antico egizio. Oggi è ricordato come il creatore di una delle più imponenti opere architettoniche di ogni tempo: le piramidi. A lui viene attribuita la piramide a gradoni di Saqqara, una costruzione monumentale formata dalla sovrapposizione di sei mastabe o strutture rettangolari sempre più piccole, il cui vertice raggiungeva i 60 metri di altezza e che spianò il terreno per le grandi piramidi a pareti lisce della IV dinastia. Sappiamo poco della sua vita, fatto non particolarmente strano considerando che visse oltre quattromila anni fa. Ci sono arrivati solo due riferimenti alla sua persona, provenienti da documenti della sua stessa epoca: un’iscrizione alla base di una statua del faraone Djoser, situata nel monumento funerario del sovrano, e un’epigrafe sul muro del complesso della piramide del suo successore, Sekhemkhet. Può non sembrare granché, ma bisogna considerare che Imhotep è la prima persona egizia non appartenente a una famiglia reale la cui esistenza sia stata documentata.

Alla corte del faraone Djoser Imhotep nacque nel corso dell’Antico Regno, forse verso la fine della II dinastia. Trascorse la maggior parte della sua vita sotto il governo di Djoser, secondo faraone della III dinastia, che salì al trono verso il 2667 a.C. Alcuni studiosi ritengono che molto probabilmente

fosse di umili origini, mentre altri affermano che nacque in seno a una famiglia nobile. Quest’ultima ipotesi spiegherebbe la sua ascesa nell’amministrazione faraonica. Le fonti tardive specificano i nomi dei suoi genitori. Suo padre era Kanofer, che la tradizione finì per relegare in secondo piano quando Imhotep iniziò a essere considerato figlio del dio Ptah. Sua madre, Khereduankh, era conosciuta: in epoche successive si diceva infatti che il dio Imhotep fosse figlio suo e di Ptah. Ma ancora oggi si discute se Khereduankh sia esistita veramente, anche se si conoscono alcune statue che la rappresentano. Viene menzionata anche sua moglie Ronpenofret (“sposa di un dio”, in lingua egizia) anche se è probabile che questo personaggio sia solo un’invenzione posteriore che serviva a completare la sacra famiglia di Imhotep in quanto divinità. Probabilmente l’architetto ricevette la sua formazione durante il regno del faraone Nebka, predecessore di Djoser, e all’epoca di quest’ultimo ebbe accesso alle alte cariche dell’amministrazione faraonica. L’iscrizione alla base della statua di Djoser specifica quali

c r o n o lo g I a

IL MITO DI UN SAggIO

2667-2648 a.C.

2160-1550 a.C.

Sotto il regno di Djoser, faraone della III dinastia, Imhotep costruisce il complesso funerario con la prima piramide.

Tra il Primo e il Secondo Periodo Intermedio Imhotep inizia a essere considerato un semidio, un saggio che aveva realizzato opere meravigliose.

djoser. RILIEVO PROVENIENTE DAL TEMPIO DEL FARAONE A ELIOPOLI. MUSEO EGIZIO, TORINO. DEA / ALBUM


LA TOMBA DEL FARAONE

Questa veduta aerea mostra l’insieme del complesso funerario di Djoser a Saqqara, dominato dalla monumentale piramide a gradoni progettata da Imhotep. La piramide si eleva di fronte a un grande cortile che accolse le cerimonie funebri in onore del defunto sovrano. philip plisson

1550-1069 a.C.

664-525 a.C.

III seC. a.C.

30 a.C.-395 d.C.

Alla fine del Nuovo Regno vengono divinizzati sia Imhotep che Amenofi, anch’egli architetto e figlio dello scriba Hapu.

In epoca saitica si registra l’uso di un nuovo tipo di figure votive, in bronzo, che raffigurano le divinità, tra le quali appare Imhotep.

Il sacerdote Manetone afferma che il dio Imuthes (nome greco di Imhotep) inventò la costruzione con pietre squadrate.

Nell’epoca del dominio romano sull’Egitto Imhotep viene identificato con il dio romano della medicina, Esculapio.


L’ARCHITETTO DEL FARAONE

DEA / SCALA, FIRENZE

erano i titoli e le funzioni sociali di Imhotep: «Cancelliere reale del Basso Egitto, primo dopo il Re, amministratore del Gran Palazzo, signore ereditario, sommo sacerdote di Eliopoli, maestro dei costruttori, degli scultori e dei creatori di vasi di pietra». Il fatto stesso che quest’iscrizione fosse situata nel complesso funerario di Djoser a Saqqara evidenzia la grande stima che il faraone aveva per il suo ministro, perché grazie a quel testo Imhotep lo avrebbe accompagnato per il resto dell’eternità.

Architetto reale Tra le cariche attribuite a Imhotep nell’iscrizione citata spicca quella di “maestro dei costruttori”, ovvero architetto reale. Secondo la tradizione, in questo ruolo Imhotep realizzò innovazioni che avrebbero caratterizzato il futuro dell’architettura monumentale egizia. Concretamente, il sacerdote Manetone nel III secolo a.C. affermava che Imhotep aveva inventato «la costruzione per mezzo

Il nome di Imhotep, scritto in geroglifico, venne inciso in questo frammento alla base di una statua di Djoser ritrovata a Saqqara.

di pietre squadrate», perché in precedenza si usavano solo mattoni crudi. A Imhotep vengono attribuiti edifici come il tempio dedicato al dio Horus a Edfu. Ma la costruzione che senza dubbio ha fatto passare il suo nome alla storia è il complesso funerario di Djoser, dominato dall’imponente piramide a gradoni. In realtà, non si trattava di un mero progetto architettonico, ma era intimamente legato a una delle altre cariche di Imhotep, quella di grande sacerdote di Ra – il dio Sole – a Eliopoli, principale centro di culto di questa divinità. Si dovrebbe allora interpretare la struttura della piramide come una scala diretta al cielo, che avrebbe assicurato l’ascensione dell’anima del faraone verso l’altro mondo, per ricongiungersi con il padre divino, il dio Ra, con cui avrebbe poi percorso il cielo sull’imbarcazione del sole. Con il tempo, questo concetto di tomba-piramide si sarebbe evoluto fino a diventare il grande simbolo della vita eterna dei faraoni. È possi-

Manetone afferma che Imhotep inventò «la costruzione per mezzo di pietre squadrate» DAGLI ORTI / AURIMAGES

UTeNsILe RITROVATO NELLA TOMBA DELL’ARCHITETTO KHA, A DEIR EL-MEDINA. MUSEO EGIZIO, TORINO.

pAgINA del papiro edWin smith doVe si parla di come curare un trauma facciale. neW YorK academY of medicine, neW YorK. bridgeman / aci


DIO DELLA medicina mago, medico, sapiente, scriba… L’architetto della III dinastia fu venerato dal Nuovo Regno in poi in varie forme. A partire dalla XVIII dinastia fu considerato il patrono degli scribi. Dal Periodo Tardo, e in particolare nell’Egitto tolemaico, divenne il dio della scrittura, dell’architettura, della sapienza e della medicina, e fu identificato con il figlio del dio Ptah. Gli si attribuirono cure mediche di ogni tipo, con rimedi che prevedevano l’uso di oppiacei. Considerato un dio curatore, Imhotep fu oggetto di culto in tutto il Paese. Gli egizi lo adorarono come “il dio augusto che dà vita alle persone”. FoNdo dI UN sArCoFAgo sul quale sono incisi dei testi funerari in cui si menziona imhotep. musée du louVre, parigi. h. leWandoWsKi / rmn-grand palais

Papiro medico Il Papiro Edwin Smith è il papiro medico più antico al mondo. La tradizione attribuisce il testo a Imhotep, considerato il padre della medicina egizia.

Invocazione a Imhotep Nel Periodo Tardo molti nobili si fecero seppellire a Saqqara, vicino alla piramide di Djoser. Sulle loro tombe vennero incise preghiere in onore del dio Imhotep.

Il faraone davanti al dio Anche Petubasti, primo re della XXIII dinastia (818-793 a.C.), di origini libiche, venerava Imhotep, come si può vedere in quest’opera di bronzo.

Imhotep divinizzato Nel Periodo Tardo erano molto comuni statuette in bronzo di questo tipo, che raffigurano Imhotep seduto e con un papiro srotolato sulle ginocchia.

sTATUeTTA del faraone petubasti inginocchiato daVanti a un altare consacrato a imhotep. louVre. g. poncet / rmn-grand palais

oFFerTA VoTIVA che rappresenta imhotep con in testa la calotta di ptah, dio creatore di menfi. louVre. c. decamps / rmn-grand palais



UNA FACCIATA MONUMENTALE

La muraglia che circonda il complesso funerario di Djoser a Saqqara fu concepita da Imhotep come se si trattasse della facciata del palazzo reale di Menfi, con sporgenze e rientranze. Nell’immagine, l’unica porta di accesso al complesso, con la mole della piramide a gradoni che si staglia sullo sfondo. jürgen ritterbach / fototeca 9x12


sArCoFAgo per IBIs. spicca l’uccello con la corona atef sul capo, daVanti alla dea della giustizia maat e con dietro i simboli di iside (due nodi tiet) e osiride (il pilastro djed).

wALTER BRyAN EMERy

POPPERFOTO / GETTY IMAGES

bile che Imhotep sia sopravvissuto a Djoser e abbia concluso i suoi giorni sotto il regno del faraone Sekhemkhet. Infatti, il nome del saggio architetto è stato ritrovato su un muro del complesso funerario di questo sovrano. Dopo la sua morte Imhotep fu probabilmente sepolto a Saqqara, la necropoli che ospitava la sua opera più grande, anche se gli sforzi degli archeologi moderni per localizzare la sua tomba sono risultati infruttuosi.

La creazione del mito

RMN-G

RAND PA

LAIS

Le dimensioni che alla fine raggiunse la piramide a gradoni e la straordinaria mobilitazione di risorse umane che comportò la sua edificazione dovettero impressionare profondamente gli egizi. Questo fatto contribuì a far sì che la memoria di Imhotep non andasse perduta, permettendogli di diventare, durante il Medio Regno (20401786 a.C.), un personag-

Questo egittologo britannico dedicò anni a cercare, senza successo, la tomba di Imhotep nella necropoli di Saqqara. Fotografia scattata nel 1968.

gio mitico: un grande saggio del passato, una specie di semidio cui si attribuivano conoscenze da scriba, medico, mago e astronomo. Così è riportato in alcuni testi conservati. Per esempio, nel primo dei cinque racconti del Papiro Westcar (insieme di testi magici che deve il suo nome all’avventuriero britannico che lo scoprì agli inizi dell’ottocento), Imhotep appare come l’autore di un miracolo, anche se non sappiamo di quale si trattasse perché il testo è incompleto. L’architetto figura anche nel Canto dell’arpista, una composizione poetica incisa sulla parete della tomba del re Antef VII, che risale molto probabilmente al Primo Periodo Intermedio. Nel testo si legge: «Ho sentito le parole di Imhotep e Herjedef citate nei proverbi e sono sopravvissute a tutto». Probabilmente, data la sua fama di erudito, Imhotep fu messo in relazione con Thot, dio della scrittura e della sapienza, e con Ptah, dio dell’artigianato. Così, nel Nuovo Regno troviamo prove dell’esistenza di un culto dedicato a Imhotep come divinità. In questo periodo si produsse

Già nel Medio Regno Imhotep era venerato come un personaggio leggendario e di grande sapienza BABBUINo. QUESTO ANIMALE ERA LEGATO A THOT, DIO DELLA SAPIENZA. LOUVRE, PARIGI.

FIgUrA dI IBIs in legno e bronzo. periodo tardo. museum of fine arts, houston.


Sarcofago di ibis Alcune mummie di ibis erano conservate in piccoli sarcofagi di legno, come questo, anche se la maggior parte veniva posta in vasi di terracotta.

uig / age fotostocK

Statuetta di ibis L’ibis era l’animale sacro di Thot, dio della scrittura e della sapienza. Sono state rinvenute numerose figure votive di questo animale. Mummia di ibis Accuratamente avvolta in un bendaggio di lino, questa mummia di ibis fu depositata come offerta votiva, come quelle trovate da Emery.

ALLA RICERCA DI imhotep walter bryan emery era convinto che la tomba di Imhotep si trovasse da qualche parte a Saqqara. Nel 1964 l’egittologo britannico scavò a nord della piramide a gradoni, dove scoprì una mastaba sotto la quale si snodavano una serie di tunnel e gallerie. Qui trovò niente meno che un milione e mezzo di mummie di ibis. Emery collegò il ritrovamento a Imhotep, in quanto patrono della medicina, e pensò non mancasse molto alla scoperta della sua tomba. Ma non fu così. La tomba dell’architetto non è ancora stata localizzata. MUMMIA dI IBIs. periodo tardo. musée du louVre, parigi. bridgeman / aci

g. poncet / rmn-grand palais


LA STELE DELLA CARESTIA

In questa epigrafe incisa su una grande roccia dell’isola di Sehel, Djoser chiede a Imhotep una soluzione alla carestia che devastò l’Egitto. MURAGLIA DEL COMPLESSO

un curioso fenomeno di rinascita di antiche credenze e culti, che si accompagnavano a rituali molto più complessi ed elaborati, di cui il caso di Imhotep è un esempio evidente. Nella stessa epoca Imhotep fu ricordato soprattutto come medico curatore, nonostante nulla faccia pensare che in vita si fosse dedicato alla medicina. Con il tempo la regione di Saqqara divenne un importante centro del culto di Imhotep: vi si recavano in pellegrinaggio sia gli scribi per venerare il loro patrono sia un gran numero di malati che speravano di essere guariti dal dio.

Conosciuto anche a Minorca In epoca saitica (a partire dal 664 a.C.) divennero popolari delle figurine in bronzo che rappresentavano diverse divinità, tra cui Imhotep. Sono state ritrovate oltre quattrocento statuette del dio, che viene rappresentato sempre nello stesso modo, come “dio lettore”: un giovane uomo seduto su una sedia, con il petto scoperto, vestito con un gonnellino e con una calotta in testa, come il suo divino padre Ptah. Regge sulle ginocchia un papiro parzialmente srotolato, su cui compare l’iscrizione «Imhotep, figlio di Ptah» e a volte anche «nato da Khereduankh». Imhotep entrò a far parte del pantheon egizio e raggiunse un’importanza tale da spingere lo stesso faraone Nectanebo II a considerarsi 32 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

«amato da Imhotep, figlio di Ptah». In epoca greco-romana Imhotep, conosciuto in greco col nome di Imuthes, venne associato al dio ellenico della medicina, Asclepio. Per questa ragione il tempio di Saqqara è conosciuto anche come Asklepeion. Analogamente, i romani lo identificarono con il loro Esculapio. Nel tempio di Ptah a Karnak un’iscrizione risalente a Tiberio nomina Imhotep e testimonia la durata del suo culto nel tempo. In questo periodo la devozione nei confronti del saggio egizio si diffuse con forza tra la popolazione. Le sue doti curatrici ne fecero un dio di massa, per questo è rappresentato anche in immagini più povere. Una prova sorprendente della popolarità di Imhotep è offerta da un ritrovamento effettuato nel 1974 sull’isola di Minorca, più precisamente nel villaggio preistorico di Torre d’en Galmés. Si tratta di una statuetta del dio, di notevole qualità, prodotta sicuramente in Egitto, che fu ritrovata insieme a due piccole lancette, probabilmente degli utensili medici. Questo sembra indicare che attorno al IVIII secolo a.C. gli abitanti dell’isola dell’arcipelago delle Baleari avessero incluso Imhotep nel proprio pantheon conservando la credenza, esistente nella sua terra d’origine, che si trattasse di un dio con proprietà curative. irene riudaVets gonzález MEMBRO DELLA MISSIONE ARCHEOLOGICA A OSSIRINCO

SUPERSTOCK / AGE FOTOSTOCK

S. VANNINI / AGE FOTOSTOCK

Le mura che circondano il complesso di Djoser a Saqqara sono alte 10 m, hanno 14 porte finte e solo una vera: quella visibile sulla destra.


InTErPrETarE SognI

lA RISpOSTA Al SOgnO Del FARAOne L’identificazione di Imhotep con il dio greco Asclepio e con il romano Esculapio è molto chiara. Ma c’è un altro possibile collegamento tra l’architetto e il personaggio biblico di Giuseppe, che proviene dalla cosiddetta Stele della carestia, un’epigrafe incisa nel granito sull’isola di Sehel, nella regione di Elefantina (Assuan).

Quest’iscrizione di epoca tolemaica racconta che Djoser, dopo sette anni di carestia e dopo aver sognato il dio Khnum, che controlla le piene del Nilo, consulta il saggio Imhotep chiedendogli una soluzione al problema. Nella Genesi si racconta invece la storia di Giuseppe, cui il faraone domandò il significato di un sogno analogo, quello delle sette vacche magre che divorano le sette vacche grasse. La risposta di entrambi i personaggi è molto simile: il re deve mettere da parte delle riserve di grano.

Non sappiamo quale sia l’origine di queste storie, però sono così simili che è molto probabile che il racconto biblico si ispiri a quello egizio – fatto non strano, dato che si verifica anche in altre occasioni.


SAQQARA, LA NECROPOLI In questa necropoli, nei pressi di Menfi, faraoni e alti funzionari eressero le proprie Monumento funebre di Djoser La piramide misura 121 x 109 metri di base. In pietra squadrata, era rivestita di roccia calcarea bianca, proveniente da Tura.

Tempio funerario

Grande cortile

Casa del Nord Muraglia

Monumento funebre di Unis Questo faraone, l’ultimo della V dinastia, eresse una piramide di 43 m di altezza e 57,5 m di lato. Sulle pareti compaiono i Testi delle piramidi.

SAQQARA, LO SCENARIO SCELTO DA IMHOTEP

Nel corso dell’Antico Regno i faraoni utilizzarono un’ampia zona prossima alla capitale, Menfi, per erigere le proprie dimore eterne. Uno dei nuclei principali di sepoltura era Saqqara, dove si trovano alcuni dei monumenti funebri più importanti, come quello costruito da Imhotep per Djoser, suo sovrano, durante la III dinastia. Il complesso, circondato da mura di 10 m di altezza con sporgenze e rientranze, e con un’unica porta di accesso, occupa una superficie totale di 15 ettari. Qui Imhotep progettò una spettacolare scenografia architettonica per facilitare il passaggio del faraone all’aldilà, con cortili e cappelle cerimoniali. Il tutto era dominato dall’imponente piramide in pietra sotto la quale fu sepolto Djoser.

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

Cortile della festa sed entrata e propilei

Casa del sud


DELL’ANTICO REGNO

tombe, tra le quali risalta quella progettata da Imhotep per il suo signore, Djoser

Complesso di Teti Teti fu il primo faraone della VI dinastia. La sua piramide misurava 52 metri di altezza. Nel complesso si trovano anche le piramidi delle sue mogli Iput e Khuit.

Complesso di Userkaf Il primo faraone della V dinastia fece erigere una piramide di 49 metri di altezza e 73 di lato. Accanto al suo monumento funebre si trova quello di sua madre, Neferhotep.

Piramide di Neferikara


TRASPORTO DI UN TORO ALATO

«Fra le macerie disseminate, arrivammo a una porta formata da due giganteschi tori di pietra calcarea gialla». Così descrive Layard il suo stupore quando vide queste colossali sculture a Ninive. L’incisione ricrea il sollevamento e il trasporto di una delle statue al British Museum. 1867. bridgeman / aci


L a scoperta di

NiNive Austen Henry Layard scavò per dieci anni nelle rovine di Ninive, nell’attuale Iraq. Molti dei bassorilievi e delle sculture che scoprì sono conservati al British Museum


3d graphic Kais Jacob

IL GIOIELLO DELL’IMPERO ASSIRO

Nel libro di Giona si narra che Ninive era così grande che erano necessari tre giorni per percorrerla tutta. Il re Sennacherib abbellì la città, che sorgeva sulle sponde del Tigri, e ne fece la magnifica capitale del suo impero.

L

a vita di Austen Henry Layard, l’esploratore britannico che nel 1847 scoprì la maestosa capitale assira di Ninive, fu piena di viaggi, avventure e pericoli. Di famiglia ugonotta, dopo un’infanzia felice a Firenze, dove imparò il francese e l’italiano, visse un’adolescenza difficile in un collegio di Richmond (Inghilterra) che ne temprò il carattere. Non poté frequentare l’università e visse di stenti, cercando di trovare il suo posto nel mondo. Iniziò a lavorare in uno studio legale londinese ma, appena ventenne e dietro insi-

stenza di un suo zio, nel 1839 partì alla volta dello Sri Lanka per cercare fortuna, sempre come avvocato. Fece un viaggio via terra, attraversando l’Anatolia e visitando luoghi come Petra, Baalbek, Babilonia, Ctesifonte, Bisotun o Susa e convivendo con tribù locali. Non arrivò mai nello Sri Lanka, ma dimostrò di appartenere alla stessa stirpe di avventurieri del posteriore e leggendario archeologo britannico che passò alla storia come Lawrence d’Arabia. Layard racconta: «Nell’autunno del 1839 e nell’inverno del 1840 ho viaggiato in Asia

1842

e

Austen Henry Layard svolge incarichi diplomatici per conto dell’ambasciatore britannico a Istanbul, la capitale dell’Impero ottomano. Da lì viaggerà fino a Mosul e scaverà a Nimrud nel 1845.

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Dieci anni neL Deserto

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1846

Volto di una sfinge neoassira. Vii secolo a.c. british museum, londra.

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Layard inizia i suoi scavi nel tell di Kuyunyik, dove si trovano le rovine di Ninive, una delle quattro capitali dell’Impero assiro. L’archeologo britannico lavora contemporaneamente a Nimrud e a Ninive.


Minore e in Siria, cercando di non tralasciare nessun luogo santificato dalla tradizione, né evitando di visitare una rovina consacrata dalla storia. Al mio fianco avevo qualcuno non meno curioso ed entusiasta di me (ovvero il suo amico Edward Ledwich Mitford). A nessuno dei due importava il confort e non ci curavamo dei pericoli […] La nostra unica protezione erano le nostre mani; il nostro armadio era una una valigia dietro le nostre selle […] Spogli di lussi superflui e liberi dall’influenza e dal pregiudizio di altre persone, ci siamo mescolati con le popolazioni locali, adottando quasi senza sforzo le loro abitudini e godendo di quelle

1849-1853 L’archeologo riunisce i risultati del suo lavoro in varie opere, tra cui Ninive e le sue rovine, Inscriptions in the cuneiform character from Assyrian monuments e Illustrazioni dei monumenti di Ninive.

emozioni uniche che provocano, per la varietà di sensazioni che suggeriscono, scenari così nuovi e così ricchi». Nel 1842 Layard iniziò a svolgere incarichi diplomatici per sir Stratford Canning, l’ambasciatore britannico a Istanbul, la capitale dell’Impero ottomano; successivamente sir Stratford Canning avrebbe finanziato parte degli scavi di Layard. Dopo aver visitato in lungo e in largo l’Asia Minore e la Siria, Layard sentì «un irresistibile desiderio di penetrare nelle regioni che si trovano oltre l’Eufrate, ovvero in

1852 Layard abbandona gli scavi archeologici per iniziare una carriera come diplomatico e politico. Fra le sue mete ci sono Istanbul e la Spagna. Dopo essersi ritirato a Venezia, muore a Londra nel 1894. christian Jean / rmn-grand palais

TEMPI DI GLORIA

Con Assurbanipal, nipote di Sennacherib, Ninive conobbe giorni di grande splendore. Questo bassorilievo venne scoperto nel palazzo del monarca. Louvre, Parigi.


IdentIfIcazIone erronea

BOTTA COnfOnde due CApITAlI ASSIRe

I

l primo a scavare a Ninive non fu Austen Henry Layard bensì Paul-Emile Botta, console francese nella Mosul ottomana, nel 1843. Layard racconta che quelli di Botta erano scavi «in scala molto piccola e, quando li visitai, avevano trovato solo frammenti di mattoni e alabastro con incise alcune lettere con segni cuneiformi». Layard non risparmia critiche al metodo archeologico di Botta: «Era soddisfatto anche solo scavando buche e pozzi profondi pochi piedi, che abbandonava subito se non trovava sculture o iscrizioni». Ciononostante, in generale l’atteggiamento di Layard verso Botta fu positivo e cordiale, e difatti arrivò a riconoscere: «Corrisponde a lui l’onore di aver trovato il primo monumento assiro». Deluso dagli scavi di Kuyunyik, Botta scavò successivamente a Khorsabad, dove scoprì Dur Sharrukin

(oggi Khorsabad), una delle quattro capitali dell’Impero assiro, fondata dal sovrano Sargon II alla fine dell’VIII secolo a.C. Credendo di aver scoperto Ninive, Botta riportò alla luce l’immenso palazzo del re assiro con i suoi cortili, le sue sontuose stanze e le sue terrazze con maglifici rilievi. Layard riconobbe che le scoperte di Botta «avevano accresciuto il mio desiderio di esplorare le rovine dell’Assiria».

thierry le mage / rmn-grand palais

PAUL-ÉMILE BOTTA

Durante la sua permanenza a Mosul, Botta si proteggeva dal caldo nella sua tenda. Lì contemplava le strane colline disperse, i tell, e si chiedeva che cosa nascondessero (erano le rovine di antiche città).

quelle terre che la storia e la tradizione identificano come la culla della conoscenza e della saggezza dell’Occidente». Questo lo portò a intraprendere il viaggio che si sarebbe concluso con la scoperta di Ninive.

Fra Nimrud e Ninive Da Istanbul, Layard attraversò il mar Nero fino a Samsun, sulla costa dell’Anatolia. Appena sbarcato, si lanciò all’avventura: «Attraversai i monti del Ponto e le grandi steppe di Usun Yilak tanto rapidamente quanto permettevano i cavalli, discesi le terre alte fino alla valle del Tigri, galoppai per le grandi pianure dell’Assiria e raggiunsi Mosul in dodici

Layard scavò a Ninive l’equivalente di 3,2 chilometri di pareti ricoperte di bassorilievi e iscrizioni

40 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

giorni». Aveva percorso 1.200 chilometri. Arrivato a Mosul (oggi in territorio iracheno) nel 1845, Layard realizzò i suoi primi scavi a Nimrud, dove si trovava l’antica capitale assira di Kalhu e scoprì i resti di due palazzi, uno dei quali appartenente al re Assurnasirpal II, del IX secolo a.C. Fra il 1845 e il 1851, nel corso di varie campagne, riportò alla luce un numero considerevole di opere d’arte, oggi conservate nel British Museum di Londra. Ciononostante, e in parte a causa dell’importante assiriologo inglese Henry C. Rawlinson, Layard credette erroneamente di aver portato alla luce la città di Ninive, come dimostra il titolo della sua opera Ninive e le sue rovine (1849), nella quale pubblicò le sue scoperte a Nimrud. In realtà, come lo stesso Layard riconobbe successivamente, le rovine di Ninive si trovano sulla sponda orientale del fiume Tigri, al lato opposto di Mosul, e nel tell di Kuyunjik, il nuovo obiettivo di Layard. I tell sono piccole colline artificiali formate dai resti di città antiche. Basandosi sulle sue precedenti esperienze archeologiche, Layard


MURA DI NINIvE

Ai tempi di Sennacherib la città occupava una superficie di sette chilometri quadrati ed era circondata da gigantesche mura lungo le quali si aprivano quindici porte monumentali. c. sappa / dea / getty images

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Il paese in ordine e informarmi qualora si avvicinaseffettuò un’attenta ispezione della collina: tra due sero a qualsiasi resto antico in modo che io «La conoscenza della natura e del modo di fIumI costruire gli antichi edifici dell’Assiria sono potessi essere presente durante la pulizia e lo La mappa qui fondamentali per esaminare le colline. Quanspostamento […] La piccola somma di denaro sotto mostra la do gli assiri volevano costruire un palazzo o che avevo a disposizione mi obbligò a seguire posizione di Ninive, un tempio costruivano un palco o una base di un piano che consisteva nello scavare trincee vicino all’attuale città irachena di terra e di mattoni cotti al sole, a una distanlungo le pareti delle stanze per recuperare i Mosul, nell’antica za compresa fra i nove e i dodici metri dal bassorilievi e le sculture, lasciando purtroppo regione della livello del suolo. Su questa base costruivano il centro della stanza pieno di macerie. Di conMesopotamia, il monumento […] Di conseguenza, la prima seguenza potemmo esaminare interamente bagnata dal Tigri e dall’Eufrate. cosa da fare al momento di scavare alla ricerca solo poche sale e molti piccoli oggetti di grande di resti è arrivare alla piattaforma di interesse rimasero sepolti. Dopo aver mattoni di adobe. Una volta trovata la tu rc hia copiato le iscrizioni e spostato le sculbase, bisogna iniziare a scavare fossati ture, le trincee venivano nuovamente Ti g allo stesso livello [...] Poi si deve conriempite con terra e con i resti degli Ninive tinuare a scavare in direzioni opposte, scavi successivi». m osu l Nimrud sempre partendo dalla piattaforma». Fu così che Layard scavò a Ninive uf ra t e Layard continua a raccontare con trincee fra i sei e i nove metri di proiraq dovizia di particolari i procedimenti fondità. Quando era necessario arrivare archeologici utilizzati sia a Kuyunyik più in fondo, scavava tunnel provvisti (Ninive), sia a Nimrud: «I lavoratori di pozzi per permettere il passaggio arabia sau d ita erano divisi in differenti gruppi […] di luce e aria. In questo modo, e con Tutti gli operai erano vigilati da un soenorme stupore dei locali, portò alvrintendente che doveva mantenerli la luce l’equivalente di 3,2 chilometri cartografía: eosgis.com STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

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le incisioni di layard nel suo libro Illustrazioni dei monumenti di Ninive, Austen Henry Layard pubblicò un gran numero di incisioni dei rilievi che scoprì durante i suoi scavi a Ninive. La maggior parte proviene dal palazzo di Sennacherib. Questo edificio, che nella sua epoca ricevette l’appellativo di "senza rivali", aveva porte maestose. La sua decorazione serviva a rafforzare l’idea del recinto come centro di potere. I rilievi, estremamente deteriorati, raffigurano soprattutto temi bellici, anche se spiccano per un eccellente gusto per le rappresentazioni paesaggistiche e per i lavori di trasloco di un grande toro alato al palazzo reale. sopra, ritratto di austen henry layard del 1877. sotto queste righe, disegno di un lamassu, o toro alato con testa umana, incisione di illustrazioni dei monumenti di niniVe. 1849. incisioni: bridgeman / aci

l’esercito assiro assalta una città fortificata, della quale si conserva il nome (Aranzias). I difensori lanciano frecce e lance per difendere la piazza, mentre i soldati assiri usano le scale per salvare le mura. Sotto, i prigionieri vengono condotti all’accampamento assiro.


operai assiri cercano di trasportare, con leve e carrucole, un colossale toro alato fino alla cima di una collina artificiale, dalla quale vigila un gruppo di soldati armati di lance e scudi. Dietro si può scorgere un paesaggio agreste coperto da differenti tipi di alberi.

Il re assiro, sul suo carro, sembra ricevere il bottino della conquista e i prigionieri di guerra. Si protegge sotto un parasole sostenuto da due servi e alza il braccio destro in segno di vittoria. Lo circonda un gruppo di soldati armati di spade.


layard a Venezia. palazzo cappello (a destra nell’immagine), fu proprietà di layard.

Un archeologo brItannIco In ItalIa

unA vITA legATA Al Bel pAeSe

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ayard mantenne un’intensa relazione con l’Italia. Vi trascorse parte della sua prima giovinezza, principalmente a Pisa e Firenze, città nelle quali imparò la lingua italiana e sviluppò la sua sensibilità artistica. Più tardi, durante la sua carriera di ambasciatore e collezionista, tornò spesso in Italia, dove acquistò diverse opere d’arte. A Napoli visitò il Museo Archeologico e conobbe Giuseppe Fiorelli, direttore del museo e Soprintendente agli scavi di Pompei. In una lettera di Fiorelli indirizzata al Ministro della pubblica istruzione si legge che Layard avrebbe donato al museo un bassorilievo in pietra proveniente dagli scavi di Ninive. Fu anche a Roma, dove incontrò il marchese Campana, noto collezionista di antichità classiche, e John Gibson, allievo di Canova. Negli anni settanta Layard e la moglie Enid vissero

a Venezia, dove l’archeologo aveva acquistato Palazzo Cappello, oggi proprietà dell’Università Ca’ Foscari. Nel palazzo Layard aveva trasferito la sua collezione di opere d’arte del Rinascimento italiano, successivamente devoluta alla National Gallery. L’archeologo britannico intrattenne rapporti anche con Emanuele d’Azeglio, già plenipotenziario del Regno d’Italia a Londra e anche lui collezionista d’arte.

wha / alamy / aci

di pareti ricoperte di bassorilievi e iscrizioni di circa tre metri di altezza e due e mezzo di spessore, per un totale di oltre settecento fra lastre e frammenti. Tra gli altri molteplici tesori, l’archeologo rinvenne tori alati con teste umane – chiamati lamassu nell’antica lingua accadica–, alti fra i quattro e i cinque metri; il palazzo e la favolosa biblioteca di Assurbanipal, al cui interno si trovavano più di 22mila tavolette cuneiformi, e il palazzo di Sennacherib, decorato con monumentali rilievi. Layard racconta così la scoperta: «Una mattina, mentre ero a Mosul, due donne arabe si diressero verso di me per annunciarmi che erano state rinvenute alcune sculture […] Cavalcai immediatamente verso le rovine. Saltai il fossato e scoprii che degli operai avevano trovato una parete e i resti di un’entrata […] La parete che dea / getty images

44 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

tavoletta dell’epopea dI GIlGamesh In questa tavoletta, che Layard trovò nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive, si racconta parte della storia di Gilgamesh, leggendario eroe della Mesopotamia. British Museum.

scoprimmo era quella laterale di una stanza. In seguito, trovammo l’entrata, formata da tori alati, che conduceva a una seconda sala. Nell’arco di un mese scoprimmo nove stanze». Molti reperti furono immediatamente trasportati al British Museum, mentre altri (per esempio molti bassorilievi) rimasero in situ o andarono ad arricchire altre collezioni. Questi primi scavi britannici a Ninive si svolsero fra il 1846 e il 1855 e furono diretti da Layard, Hormuzd Rassam e William Kennett Loftus. Layard in persona scavò a Ninive in vari periodi (a maggio del 1846, da maggio a luglio del‘47 e da ottobre del ‘49 ad aprile del ‘51), alternando questo incarico con gli scavi a Nimrud e con qualche viaggio in Inghilterra.

La storia assiria Layard fu l’unico pioniere dell’archeologia del Medio Oriente antico che pubblicò opere sui propri successi in


la paz con corinto en 365 a.c., corinto, aliada de esparta en la liga del peloponeso, firmó la paz con tebas, cambiando de bando. arriba, templo d

british museum / scala, firenze

maniera adeguata. Insieme al già citato Ninive e le sue rovine (1849) pubblicò altre grandi opere, come i due tomi di Illustrazioni dei monumenti di Ninive (1849 e 1853), libri che ancora stupiscono per l’importanza del loro contenuto e per la qualità e la quantità di disegni e incisioni. In alcuni casi riuscì a pubblicarli mentre gli scavi erano ancora in corso; in altri, due o tre anni dopo aver concluso i lavori, compiendo un’autentica prodezza scientifica. Queste opere ebbero un enorme successo tanto tra il grande pubblico – per il quale pubblicò A popular account of discoveries at Nineveh (Un resoconto alla portata di tutti delle scoperte fatte a Ninive, 1851) – quanto fra coloro che si dedicavano agli studi biblici e fra gli assiriologi. Inoltre riuscirono a provocare accese discussioni fra teologi, storici, filologi e critici d’arte. I metodi di scavo di Layard, facilmente contestabili da una prospettiva odierna, devono essere valutati in base al loro contesto storico. In ogni caso, la figura dello scavatore si è notevolmente evoluta con il passare del tempo.

Il riconosciuto archeologo inglese Max Mallowan, che successivamente realizzò anche scavi a Nimrud (e che fu il secondo marito della scrittrice Agatha Christie), considerava Layard un «visionario geniale, che merita di avere il suo posto fra gli immortali». Nel 1852 Layard abbandonò gli scavi. La sua sorprendente traiettoria archeologica era durata meno di un decennio. Iniziò allora una lunga carriera come diplomatico e politico, arrivando a svolgere incarichi nelle alte sfere del governo del suo Paese, pur rimanendo sempre informato riguardo ai progressi compiuti dall’archeologia in Medio Oriente. Come lui stesso riporta vividamente nei suoi scritti, Layard non smise mai di ricordare con affetto e nostalgia i suoi anni da giovane esploratore in Oriente e da scavatore della civiltà assira: «Che Dio voglia che io possa ritornare a stare con i jebour (una popolazione nomade) e possa vivere nelle loro tende, camminare negli antichi pascoli…».

I GIARDINI DI NINIvE

Questo rilievo, scoperto nel palazzo di Assurbanipal a Ninive, mostra i frondosi giardini della città, ricchi di ogni specie di piante e alberi irrigati grazie a un sofisticato sistema di canali. British Museum, Londra.

juan pablo vita, ricercatore del consiglio superiore della ricerca scientifica (csic, spagna)

STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

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Una città cosmopolita dell’VIII secolo a. C. Il re assiro Sennacherib volle fare di Ninive la capitale del suo impero. Così, intorno all’anno 700 a. C. iniziò un ambizioso programma urbano per abbellire la città, nel cui centro (riprodotto in 3D in questa pagina) si innalzavano edifici emblematici come templi e palazzi. Ninive, che allora aveva una superficie di circa 15 chilometri quadrati, era circondata da grandi mura, nelle quali si aprivano quindici porte. Era attraversata da un affluente del Tigri, il Khosr 1, sulle cui sponde sorgeva il grandioso palazzo che Sennacherib fece costruire a Ninive 2, con circa settanta stanze; il tempio dedicato alla dea Ishtar 3; il tempio del dio Nabu 4 e il palazzo che Assurbanipal, nipote di Sennacherib, fece costruire quando divenne re dell’Assiria, nell’anno 668 a.C. 5. 3d graphic Kais Jacob


FRINE ALLE FESTE DI POSEIDONE A ELEUSI

Quest’olio del 1889, opera di Henryk Siemiradzki, presenta la celebre etèra greca mentre sta per fare il bagno su una spiaggia di fronte al santuario di Eleusi. Alla pagina seguente, fondo di una kylix dipinta da Eufronio attorno al 490 a.C. che rappresenta una suonatrice di lira nell’atto di spogliarsi in un simposio. peter barritt / alamy / aci. abaJO: image asset management / age fOtOstOck

donne nello spazio degli uomini

CORTIGIANE DELLA GRECIA


ÉCOLE NATIONALE DES BEAUX-ARTS, PARÍS

Raffinate, belle e, soprattutto, libere. Per lo meno più delle mogli e delle madri di famiglia. Nell’antica Atene le etère affascinavano e, al tempo stesso, erano fonte di scandalo. Alcune di loro diventarono figure leggendarie


col tempo, svaniva. Per quanto alcune fossero particolarmente colte, era sufficiente che possedessero delle nozioni di base di musica e danza, come le decorose cittadine e le giovani che facevano le animatrici nei simposi – i banchetti esclusivamente maschili dove si discuteva, si rideva e si beveva vino in abbondanza. Anche se offrivano agli uomini relazioni sessuali, non si confondevano mai con le prostitute dei bordelli. Alcune potevano diventare anche concubine e andare a vivere in casa dell’amante, se questi era celibe o vedovo.

Compagne di banchetto

UN’Etèra accareZZa il sUO amante a Un banchettO. si pOssOnO nOtare le taVOle basse sU cUi si DispOneVanO gli alimenti e il cratere in cUi si mesceVanO VinO e acQUa. mUseO archeOlOgicO naZiOnale Di napOli. SCALA, fIRENzE

ASPASIA DI MILETO

ORONOz / ALBUm

La famosa etèra, compagna di Pericle, fu insultata da molti suoi contemporanei, come Cratino, che la definì una «sfacciata meretrice». Musei Capitolini, Roma.

N

ell’Atene classica c’era un’importante comunità di donne tanto caratteristica quanto difficile da incasellare. Non sarebbe appropriato chiamarle semplicemente “prostitute”, perché la loro condizione era ambigua ed estremamente mutevole. Le etère – come venivano chiamate – potevano essere sia libere che schiave. Potevano provenire da altre città oppure essere nate ad Atene, da un padre che poteva essere uno schiavo, un meteco – cioè uno straniero residente – o persino un cittadino. Le etère si distinguevano generalmente per la loro bellezza, ma niente impediva che continuassero a svolgere il loro“mestiere”anche quando questa,

Ciò che caratterizzava le etère è implicito nella parola che le identifica: erano hetairai,“compagne”, cioè la versione femminile dell’hetairos. In epoca arcaica (776-480 a.C.) gli aristocratici ateniesi erano organizzati in gruppi, le cosiddette hetaireiai o eterie, che spesso avevano tra loro forti rapporti di rivalità. I membri di ogni eteria si incontravano nei simposi, dove si formavano le coppie pederastiche, costituite da un adolescente e da un adulto e caratteristiche della società greca, ma c’erano anche coppie eterosessuali. Non sorprende, quindi, che come l’amante maschile era definito hetairos, venissero chiamate“etère”le donne che accompagnavano gli uomini a queste riunioni. L’usanza del simposio continuò anche durante l’epoca classica, in piena democrazia, nel V e IV secolo a.C. Divenne persino popolare, nel senso che si estese a cittadini con un potere d’acquisto medio. Lo testimonia l’esistenza di un andron, la parte della casa destinata ai banchetti, in alcune abitazioni del quartiere ateniese del Pireo che sicuramente non appartenevano all’élite economica. Per questi eventi venivano assunte delle animatrici, di solito schiave, che suonavano strumenti e ballavano, contribuendo a creare un clima di erotismo. In genere nelle ceramiche sono rappresentate

c r o n o lo g I a

COLTE, bELLE E LIbERE

480-430 a.c.

445-429 a.c.

In questi 50 anni (in greco Pentecontaetia) la città di Atene vive una fase di apogeo e attrae popolazione straniera.

L’etèra Aspasia di Mileto è partner di Pericle. A suo figlio, riconosciuto dallo stratega, è negata la cittadinanza ateniese.


LE CARIATIDI DELL’ERETTEO

Le figure femminili sono una presenza abituale nell’arte greca e oggetto di contemplazione. Nell’immagine, il portico delle Cariatidi, nell’Eretteo (acropoli).

375 a.c.

340 a.c.

330 a.c.

120 d.c. 470 A.c.

L’etèra Frine, amante dello scultore Prassitele, arriva ad Atene fuggendo dalla guerra che devasta la sua città, Tespia, in Beozia.

L’etèra Laide di Hykkara, rivale di Frine, viene lapidata nel santuario di Afrodite, in Tessaglia, da un gruppo di donne gelose.

Secondo una tradizione, l’etèra Thais convince l’amante Tolomeo, generale di Alessandro Magno, a incendiare Persepoli.

Muore lo storico greco Bis. Valicer udaciest facio, Plutarco, la qui cui biografia confertium cri strum di Pericle molti tem quodcontiene cavo, Pala nonfes dati su Aspasia, anche egervid co hos fuissil se non tuttioportud. affidabili. tandiurnic bilDarchiV mOnheim / alamy / aci


TRA IL SIMPOSIO E IL POSTRIbOLO

L

UNa DONNa NUDa beVe VinO Da Un recipiente. in Vari testi si accUsanO le etère Di essere granDi beVitrici. VasO DecOratO Da eUfrOniO 515-510 a.c., mUseO statale hermitage, san pietrObUrgO.

a pratIca della prostItuzIone è

attestata in Grecia dal periodo Arcaico. Nella maggior parte delle polis si trattava di una pratica legalizzata e regolamentata, che costituiva una parte importante dell’attività economica. In generale la prostituzione godeva di un’ampia accettazione. Ad Atene esistevano dei bordelli gestiti da protettori. Secondo lo storico Nicandro, nel VI secolo a.C. il legislatore Solone, «preoccupato di placare gli ardori dei giovani (…) prese l’iniziativa di aprire case per collocarvi delle ragazze comprate (le cosiddette pornai)». C’erano anche donne libere che si prostituivano per conto proprio, in strada. In questa categoria rientravano le musiciste e le ballerine che allietavano i simposi o banchetti. Ma non erano solo le donne a prostituirsi: è ben noto che nell’antica Grecia si praticava la pederastia.

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Anche le mogli legittime avevano pettinature elaborate, gioielli e vestiti. Alcune si truccavano molto. V secolo a.C., Louvre.

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giovani flautiste. Ci sono alcune scene di sesso esplicito di queste donne con vari uomini contemporaneamente. L’interpretazione di tali scene non è chiara. Potrebbe anche trattarsi di una fantasia dell’artista che decorava gli oggetti in ceramica usati nei simposi. In ogni caso, le animatrici non erano le etère. Queste ultime accompagnavano gli uomini al simposio e condividevano con loro i letti (klinai) posti lungo le pareti dell’andron, come si faceva con il partner pederastico. Un recipiente decorato con figure rosse, datato attorno al 510 a.C., ritrae due giovani con le rispettive etère su letti di questo tipo. La ceramica attica ci mostra anche immagini dell’etèra che cammina con il suo partner verso casa al termine del simposio. Qui, ormai nell’intimità, si consumava la relazione sessuale. L’etèra è, quindi, la donna che condivide lo spazio degli uomini

(anche nelle palestre dei ginnasi) e con i quali consuma una relazione sessuale, a prescindere dal fatto che l’uomo sia sposato o meno. Anche se non si trattava di una relazione formalizzata giuridicamente, era destinata a prolungarsi nel tempo.

Mogli ed etère La chiave per comprendere il ruolo sociale delle etère è la tendenza della società greca alla omosocialità, cioè al fatto che gli uomini conducessero la propria vita con uomini e le donne con donne. È proprio questo che garantiva l’esclusività della relazione sessuale della moglie, destinata a perpetuare la famiglia. Ancor più quando la trasmissione del lignaggio avveniva per via maschile, come nel caso di Atene, dove la moglie, sposandosi, lasciava la sua famiglia per quella del marito, trasferendosi a casa sua. Niente impediva che le donne sposate svolgessero le attività più disparate fuori di casa, purché uscissero sempre con altre donne. La moglie era la madre dei figli legittimi e la padrona di casa. Non si mischiava con altri uomini e loro non dovevano parlare di lei.

TERRANCE kLASSEN / AgE fOTOSTOCk

SPECCHIO DI BRONZO


TEMPIO DI APOLLO A CORINTO

Situata sull’istmo che unisce il Peloponneso alla Grecia continentale, Corinto divenne una delle città più cosmopolite della Grecia. Da qui proveniva una famosa cortigiana, Laide, amante del filosofo Aristippo e considerata la donna più bella della sua epoca.


aLESSaNDrO MaGNO regalÒ la sUa amante campaspe al pittOre apelle QUanDO seppe che QUesti era appassiOnatamente innamOratO Della ragaZZa. in QUest’OliO Di tiepOlO, apelle Dipinge la bella campaspe. XViii secOlO.

christie’s images / scala, firenze

Le scene di coito non rappresentano necessariamente etère, ma possono riferirsi al desiderio di una donna sposata di restare incinta. Museo archeologico nazionale di Napoli.

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54 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

L’etèra, invece, era la compagna che gli uomini sfoggiavano con gli altri uomini fuori di casa. Nel caso di Atene, si verificò un fatto che contribuì ad accentuare ancor più la differenza tra le ateniesi “rispettabili” e le donne di condizioni inferiori. Nel 451 a.C. l’assemblea della città approvò una legge, proposta da Pericle, il leader politico del momento, che considerava nuovi cittadini i figli di padre e madre ateniesi, e non solamente di padre come avveniva in precedenza. Questa legge ebbe un forte impatto, perché gli ateniesi erano abituati a sposarsi, per piacere o per ragioni economiche, con le donne di altre città e con le figlie dei ricchi meteci. Ovviamente la norma favoriva le figlie dei cittadini, nella misura in cui diventavano indispensabili per avere figli legittimi, gli unici che potevano ottenere la cittadinanza, ovvero i diritti politici e la possibilità di ereditare. Ma questo non impediva che

le ateniesi si sentissero direttamente minacciate dal grande numero di donne che non potevano ottenere la piena cittadinanza, ma che pretendevano di condurre una vita di alto livello grazie ai loro amanti ateniesi.

Mogli risentite Restano varie testimonianze dei grattacapi delle mogli e dei figli legittimi di fronte al denaro che il capofamiglia sperperava con la sua etèra, sia per farle dei regali che per mantenerla. Inoltre, se un uomo restava vedovo, poteva sposarsi con l’etèra e generare nuovi eredi. Un famoso discorso penale attribuito a Demostene, Contro Neera, racconta il caso di una schiava, Neera, che era stata comprata da bambina per essere educata alla prostituzione; in seguito era passata da un cliente all’altro e aveva avuto tre figli. Alla fine era riuscita a mettere da parte il denaro sufficiente per comprarsi la libertà e aveva conosciuto un ateniese, Stephanos, che le aveva offerto «di diventare sua moglie (…) e non avrebbe permesso a nessuno di maltrattarla». Inoltre, «avrebbe introdotto i suoi figli nelle sue stesse fratrie (delle specie di confraternite che fa-

hERvÉ LEwANDOwSkI / RmN-gRAND PALAIS

EROTISMO NELLA CERAMICA


LA VENERE CAPITOLINA

Questa scultura in marmo della dea Afrodite è basata sull’Afrodite cnidia di Prassitele, che secondo la tradizione usò come modello la sua amante Frine. Questa è una copia romana di un originale del III-II secolo a.C. Musei Capitolini, Roma.


PartICOLarE DEL trONO LUDOVISI. sU UnO Dei lati Di QUestO blOccO Di marmO, che ricrea la nascita Di afrODite, appare Una ragaZZa nUDa che sUOna Un flaUtO DOppiO. mUseO naZiOnale rOmanO Di palaZZO altemps, rOma.

consigliera politica, con effetti non sempre positivi. Qualcuno, come Socrate, l’ammirava. Secondo quanto riferisce Platone nel Menesseno, il filosofo riteneva che Aspasia fosse l’autrice del famoso Epitaffio pronunciato da Pericle e assicurava che era capace di scriverne anche di migliori. I poeti comici, invece, si accanirono contro Aspasia, accusandola di dirigere un bordello e attribuendole l’etichetta di etèra in senso dispregiativo. Secondo Plutarco, Aspasia dovette affrontare un’accusa di empietà (mancanza di rispetto verso ciò che è ritenuto sacro) da cui sarebbe stata assolta grazie a un emotivo intervento di Pericle durante il processo. Tuttavia, l’autenticità di questo fatto è stata messa in dubbio.

Libere, ma dipendenti

ERICh LESSINg / ALBUm

LAIDE DI CORINTO

In quest’olio il tedesco Hans Holbein il Giovane ritrae l’etèra Laide di Corinto con le sembianze della sua amica Magdalena Offenburg. 1526. Kunstmuseum basel, basilea.

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cevano riferimento a un antenato comune), come se fossero suoi, facendogli acquisire la cittadinanza». Questo tentativo di far passare per legittimi i figli dell’etèra straniera fu l’origine della causa in cui intervenne Demostene. Tutto ciò comportava una minaccia per l’integrità dell’oikos, ovvero per i beni di famiglia, che dovevano trasmettersi di generazione in generazione. Questo fatto spiega l’avversione che le etère suscitavano in una parte significativa dell’opinione pubblica ateniese. Un chiaro esempio è il caso di Aspasia, la “compagna” di Pericle, la cui condizione di straniera fu usata dai nemici dello stratega per attaccarla. Proveniente da Mileto, una delle città più raffinate e cosmopolite dell’Asia minore, Aspasia divenne la concubina di Pericle quando questi restò vedovo ed ebbe con lui anche un figlio, nato tra il 445 e il 440 a.C. Aspasia era l’etèra di Pericle nel senso che il politico e militare ateniese la frequentava al di fuori della casa. E si dice anche che fosse la sua

A differenza delle prostitute, le etère avevano relazioni libere e consensuali, basate su una reciproca soddisfazione: il partner ricambiava con regali e attenzioni la loro presenza. Così avveniva, per esempio, nel già citato caso di Neera e dell’amante con cui la donna si era trasferita ad Atene, Phrynion, il quale «andava con lei di simposio in simposio, si faceva accompagnare da lei ovunque si bevesse, e si divertiva con lei in pubblico dove e quando voleva, ostentando pubblicamente la sua amante davanti a tutti». Poteva accadere anche che una donna fosse etèra di due uomini distinti, per quanto si recasse ai simposi con uno solo di loro alla volta. Laide di Corinto, considerata la donna più bella dei suoi tempi, era la donna del filosofo Aristippo, che la riempiva di regali. Tuttavia, Laide aveva una relazione anche con Diogene il Cinico, probabilmente disinteressata, dato che questi viveva in un’ostentata povertà. Secondo Demostene, dopo che Neera abbandonò Phrynion per andare a vivere con Stephanon, il primo fece una denuncia esigendo che gli venisse resa la sua amante e che questa gli restituisse i beni che aveva portato via da casa sua. Un tribunale arbitrale stabilì che Neera «avrebbe vissuto con ciascuno dei due a giorni alterni (…) e chi l’ospitava quella notte avrebbe provveduto al suo mantenimento, e successivamente sarebbero stati amici senza conservare rancore». Il giorno stesso in cui venne letta la sentenza, sempre secondo Demostene, le parti


UNA bELLEZZA SENZA PARI dI raro fascIno, l’etèra Frine divenne, al suo arrivo ad Atene, l’amante dello scultore Prassitele, che l’avrebbe utilizzata come modella per la sua Afrodite cnidia. In questa immagine della dea dell’amore l’artista voleva plasmare l’ideale greco della bellezza (kallos), che richiedeva la capacità di colpire lo spettatore tramite la charis, quella “grazia” capace di abbagliare, indipendentemente dalla forma del corpo o dalle vesti. Era l’ideale che volevano raggiungere le etère. Testimoni dell’epoca raccontano del successo che ebbe Prassitele con quella scultura così accuratamente policroma da sembrare viva. Pare che Frine fosse stata accusata di empietà per aver osato compararsi con la dea stessa: ma, mostrandosi nuda dinnanzi ai giudici, li avrebbe convinti del fatto che non si poteva disonorare una tale bellezza e avrebbe finito per essere assolta. L’aneddoto, non del tutto attendibile, servì d’ispirazione per vari quadri.

FRINE DAVANTI AI GIUDICI

Jean-Léon Gérôme ricrea in quest’olio l’episodio in cui Frine si mostra nuda ai giudici che l’accusano di empietà e ottiene l’assoluzione. 1861. Kunsthalle Hamburg, Amburgo.

VENERE DI ARLES

Si ritiene che questa scultura possa essere una copia della Afrodite di Tespie, incaricata allo scultore Prassitele dalla sua bella amante Frine. I secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi.

SOPRA: briDgeman / aci SOTTO: rmn-granD palais


IL TEATRO CONTRO LE ETèRE

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a MaggIor parte deI coMMedIografI

uomini, da Aristofane a Menandro, nelle proprie opere ritraggono le etère come donne capaci di portare alla rovina i loro ignari clienti e, soprattutto le più anziane, come ubriacone. In una commedia viene descritto così il modo in cui le giovani diventano esperte grazie all’aiuto delle etère più anziane: «Le cambiano nell’aspetto e nei modi di fare. Se una è bassa, le mettono delle suole di sughero nelle scarpe […] Se è molto bianca, la cospargono di belletto. Se ha qualche parte del corpo molto bella, la mostra nuda […] E se ride sgraziatamente, passa la giornata in casa con uno stecco tra le mandibole […] Così, con il tempo, sorride che lo voglia o meno. Con questa tecnica, si addestrano veri e propri serpenti». SCENa DI tEatrO sU Un VasO Della magna grecia. mUseO naZiOnale Di san martinO, napOli.

SIMBOLOGIA SESSUALE

Su questo vaso il Pittore di Pan rappresenta una donna che trasporta un fallo di grandi dimensioni, simbolo di fecondità. V secolo a.C. Staatliche Museen, berlino.

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del processo «andarono a cenare a casa di colui al quale spettava Neera quella notte, e lei mangiò e bevve in loro compagnia, e diede piacere a tutti i presenti». Anche se la maggior parte delle etère erano originariamente schiave, la figlia di un cittadino poteva assumere questa condizione. Ciò poteva avvenire, per esempio, nel caso in cui la sua famiglia non fosse stata in grado di provvedere a una dote, o perché la sua particolare bellezza le avrebbe permesso di condurre una vita migliore di quella di “semplice” moglie. In questo modo sarebbe stata indipendente economicamente e avrebbe potuto perfino possedere una casa, in cui vivere sola o con altre etère. Per quanto le etère potessero raggiungere una notevole autonomia se comparate con le cittadine, non per questo smettevano di dipendere dagli uomini. La loro partecipazione alle riunioni maschili come i simposi o le palestre era subordinata alla presenza del loro partner.

Le donne ateniesi non potevano uscire da sole, se non in età molto avanzata, se volevano preservare la propria integrità, ma neppure potevano farlo le etère, che dovevano farsi accompagnare dai rispettivi partner, o in alternativa, muoversi in gruppo con altre etère. Va detto che, anche se le etère non si relazionavano con le donne sposate, vista la radicale differenza di stato tra le une e le altre, doveva essere molto difficile distinguerle dall’aspetto esteriore. In generale le mogli usavano molto trucco e indossavano abiti altrettanto appariscenti di quelli delle etère. Inoltre, sia le une che le altre si coprivano probabilmente il volto con un velo, oppure con un manto, per proteggere dal sole la pelle, già messa a dura prova da una cosmetica aggressiva. Nell’antica Grecia la differenziazione sociale esistente tra uomini e donne e tra il maschile e il femminile era molto più forte e significativa di quella che si poteva osservare tra le etère e le donne sposate. raQUel lópeZ melerO, PROfESSORESSA TITOLARE DI STORIA ANTICA. UNIvERSITÀ NAzIONALE DI EDUCAzIONE A DISTANzA (mADRID)

IvAN BASTIEN / ALAmy / ACI

ORONOz / ALBUm


TEATRO DI EPIDAURO

In questo complesso, come in tutti i teatri della Grecia, venivano rappresentate commedie che menzionavano il ruolo delle etère, che i commediografi consideravano donne esigenti, capaci di mandare in rovina, con le loro continue richieste di regali, chi le manteneva.


UOMINI E DONNE A UN SIMPOSIO Questa KYLIX attIca con figure rosse mostra l’ambiente animato di un simposio dopo abbondanti libagioni di vino. I letti (klinai) 1 sono occupati da donne e uomini nudi. Una coppia si abbraccia affettuosamente 2; accanto a questa, un’altra sembra intenta a giocare a kottabos, un gioco che consisteva nel lanciare il vino rimasto sul fondo del kylix da cui si aveva bevuto 3; su un altro letto un uomo beve vino mischiato con acqua in uno skyphos, mentre osserva una giovane nuda davanti a lui 4. A terra si può vedere un cratere per il vino 5 e una hydria per l’acqua 6 con cui questo si mesceva.

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5 KYLIX cOn scena Di Un simpOsiO attribUitO al ceramOgrafO macrOne. metrOpOlitan mUseUm, neW yOrk. metrOpOlitan mUseUm / scala, firenZe


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1


La più dolorosa sconfitta di Roma

LA BATTAGLIA DI TEUTOBURGO Nell’anno 9 d.C. le truppe germaniche tesero un’imboscata all’esercito di Publio Quintilio Varo, distruggendolo. Dopo questa colossale sconfitta i romani abbandonarono la sponda orientale del Reno: le terre germaniche non avrebbero parlato una lingua romanza


LA CARICA DELLA VITTORIA

Peter Theodor Janssen ricreò, in questo dipinto dai toni eroici, l’attacco di Arminio e delle sue milizie a Teutoburgo. 1870-1873. Lippisches Landesmuseum detmoLd


c r o n o lo g I a

Le aquile perdute di Varo 18-16 a.c.

Nasce Arminio. Figlio di un condottiero cherusco, riceverà formazione militare romana come ufficiale di un’unità di cavalleria.

12-9 a.c.

Campagne di Druso contro le tribù germaniche sulla sponda orientale del Reno; è il primo generale romano a raggiungere il fiume Elba.

9-7 a.c.

Campagne di Tiberio (fratello di Druso e futuro imperatore), che celebrerà a Roma il trionfo per la conquista della Germania.

7 d.c.

Varo arriva in Germania come governatore e comanda un esercito composto da cinque legioni e da truppe ausiliarie il cui numero è sconosciuto.

9 d.c.

Arminio distrugge tre legioni a Kalkriese; Varo si suicida. I germani si impadroniscono delle tre aquile, insegna di quelle truppe.

Q

uintilio Varo, restituiscimi le legioni!». Così gridava disperato Augusto mentre dava testate alle porte e si lasciava crescere la barba e i capelli in segno di lutto... Svetonio ci ha trasmesso questo aneddoto, riflesso della violenta reazione che ebbe l’imperatore quando si rese conto della tremenda sconfitta di Varo e del suo esercito nelle boscose terre germaniche, nel settembre del 9 d.C. Questo episodio, che lasciò una traccia indelebile nella memoria storica di Roma, è considerato la causa della fine della sua espansione sulla sponda orientale del Reno.

LA FORESTA DI TEUTOBURGO

Sopra, faggeto a Teutoburgo. La vegetazione impedì alle legioni di dispiegarsi e al contempo agevolò le imboscate dei nemici.

14-16 d.c.

64 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

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41 d.c.

Campagna germanica dell’imperatore Claudio per recuperare la terza aquila delle legioni di Varo, in possesso della tribù dei cauci.

Una pace fasulla

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Campagne di Germanico, che a Idistaviso sconfigge Arminio. I romani recuperano due delle aquile perdute da Varo.

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MONETA CONIATA DA VARO COME GOVERNATORE D’AFRICA.

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Trent’anni prima, non appena diventato il primo imperatore di Roma, Augusto si era lanciato alla conquista dei territori fino ad allora sfuggiti al dominio romano. Questa espansione aveva come assi principali l’est – la zona balcanica tra il mar Adriatico e il Danubio – e il nord, dove abitavano le tribù


CARTOGRAFIA: EOsGIs.COM

basi delle legioni Forti ausiliari principali insediamenti romani percorso di Varo battaglia legioni

veRSO lA CATASTROFe

be tenuto occupato tutta l’estate e l’avrebbe portato fino alle terre dei cherusci. Si trattava di una missione di routine nella quale, oltre a riscuotere le imposte e ad amministrare la giustizia, avrebbe passato in rassegna e integrato le guarnigioni situate sull’altra sponda del Reno. Inoltre, ove necessario, avrebbe intrapreso azioni punitive nei confronti delle tribù più restie al dominio romano. In teoria si trattava di un compito di carattere prevalentemente amministrativo, e non di una spedizione militare. Così come Varo, anche il resto delle autorità romane credeva che quelle fossero zone pacificate e, pertanto, le vedeva come un territorio amico. Questa idea veniva suffragata non solo dalla prolungata assenza di rivolte significative, ma anche dalle informazioni apportate dal condottiero cherusco Arminio, divenuto consigliere del governatore. Le truppe che partirono dall’accampamento di Vetera (l’attuale Xanten, al nord della Germania) erano composte da tre legioni – la

L’ IMPERATORE AUGUSTO

Fu rappresentato como un eroe vittorioso nell’Augusto di Prima Porta. 20 d.C.circa. Musei Vaticani, Roma.

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germaniche. In quest’ultima zona, negli anni fra il 12 e il 7 a.C., Augusto aveva intrapreso una serie di campagne con le quali, in teoria, pensava di aver sottomesso quelle terre e i loro abitanti. Tutto lascia pensare che, terminato questo periodo, la regione fosse rimasta relativamente tranquilla, fatta eccezione per qualche rivolta, come quella del 4/5 d.C, soffocata dal futuro imperatore Tiberio. Per questo motivo, anche se non tutte le tribù avevano piegato la testa davanti all’invasione romana, la Germania poteva già sembrare una provincia a tutti gli effetti, o perlomeno pareva in procinto di diventarlo. Il fatto stesso che l’imperatore inviasse governatori in quelle terre ne era la prova. Nell’anno 7 arrivò il turno di Publio Quintilio Varo. Com’era consuetudine nelle terre di recente incorporazione, il governatore eseguiva delle spedizioni periodiche, con l’obiettivo di affermare il potere romano e di stabilire il nuovo sistema amministrativo. Durante la primavera dell’anno 9 Varo organizzò le sue forze per iniziare una campagna che lo avreb-

Varo si diresse all’accampamento di Vetera, base della XVIII legione, dove si unirono anche la XVII e la XIX, insieme alle truppe ausiliarie. La spedizione proseguì lungo la valle della Lippe per arrivare al territorio dei cherusci. Quando Arminio lo informò di una rivolta nel nord, Varo decise di cambiare il percorso e si diresse verso Teutoburgo.

sCAlA, FIRENzE

NORbERT ROsING / bRIDGEMAN /ACI

Da oppIDum ubIorum (l’attuale Colonia), sede del governatore,


L’ASSALTO AL MURO GERMANICO

L’illustrazione ricrea il finale della battaglia: i romani cercavano inutilmente di far breccia nella recinzione dalla quale i germani li prendevano di mira.

66 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

XVII, la XVIII e la XIX – oltre a sei coorti di truppe ausiliarie di fanteria e forse anche da tre ali ausiliarie di cavalleria. Varo disponeva, in totale, di poco più di 17mila combattenti, una cifra che andò diminuendo a mano a mano che le truppe si distribuivano nelle distinte guarnigioni disposte lungo il percorso. Insieme ai contingenti militari marciavano anche numerosi civili: tra i 3.500 e i 4mila, tra i quali anche le mogli e i figli dei soldati, una miriade di servitori, commercianti e gente di ogni tipo che viveva all’ombra dell’esercito. Il tragitto per penetrare nelle terre germaniche fu quello abituale: una volta attraversato il Reno la colonna sarebbe entrata nella vallata del fiume Lippe per poi dirigersi a est, verso la terra dei cherusci, dove avrebbe stabilito la base per l’estate. Contando di trovarsi in territorio amico, e fidandosi delle informazioni riportate da Arminio, Varo non diede nessuna importanza alle notizie che gli arrivavano sull’annientamento di alcuni piccoli contingenti romani a opera di bande germa-

niche. In realtà, dietro a questi episodi non si celava altro che le truppe comandate dallo stesso Arminio, il quale aveva disegnato un meticoloso piano d’attacco. Il capo dei cherusci aveva convinto altre tribù germaniche a unirsi a lui nel piano di attacco contro i romani, da realizzare nel luogo e nel momento da lui stabilito. A questo scopo, doveva fare in modo che Varo prolungasse la sosta oltre il necessario e che modificasse il suo tragitto. Informato da Arminio di una rivolta al nord, sulla strada del ritorno Varo decise di cambiare percorso per andare a castigare i colpevoli.

Il massacro Quella che viene chiamata battaglia di Teutoburgo fu in realtà un susseguirsi di scontri, durati in tutto quattro giorni, che ebbero come epilogo la distruzione dell’esercito di Varo ai piedi della collina di Kalkriese. Il 7 settembre la colonna lasciò la sua base estiva diretta verso nord, senza incidenti degni di nota, fatta eccezione per la partenza di


Arminio con una parte dei suoi cavalieri: con il pretesto di andare a cercare rinforzi, aveva in realtà intenzione di riunirsi al suo esercito. Si calcola che Arminio fosse riuscito a mettere insieme tra i 20mila e i 25mila uomini provenienti da diverse tribù, tra le quali c’erano gli angrivari e i bructeri. Queste forze erano numericamente superiori a quelle di Varo anche se meno omogenee dal punto di vista militare. Il giorno dopo i romani entrarono nella foresta di Teutoburgo, talmente intricata da rallentare il ritmo di marcia e allungare notevolmente la colonna, facendo crescere la distanza tra l’avanguardia e la retroguardia. Proprio lì, in mezzo alla selva, la spedizione cominciò a subire i primi attacchi coordinati. Come se non bastasse, un enorme acquazzone rese il terreno impraticabile e limitò ulteriormente i movimenti delle truppe romane, che si videro costrette a montare un accampamento temporaneo per ripararsi e trascorrere la notte. Il giorno dopo non ci fu nessun cambiamento significativo. Continuò a diluviare mentre i germani non smettevano di tendere

bpk / sCAlA, FIRENzE

lA gUeRRA nellA FOReSTA a TEuToburgo la fitta vegetazione ostacolava il dispiegamento

della formazione romana, sottraendo efficacia alla fanteria legionaria. I soldati romani si videro obbligati a lottare in gruppi o separatamente, cosa che favoriva la tattica dei germani, che conoscevano molto bene i sentieri della foresta e potevano colpire i romani tenendosi a distanza, prima di lanciarsi su di loro.

imboscate, causando numerose vittime e minando il morale dei romani. Ormai cosciente della situazione, Varo decise di marciare verso ovest nella speranza di raggiungere il Reno, dove la presenza delle guarnigioni romane poteva significare la salvezza. Per avanzare più rapidamente si sbarazzò di una parte degli impedimenta (bagaglio militare). Il 10 settembre le truppe si trovavano ancora nella zona boscosa. Varo ordinò di riprendere la marcia in silenzio per non attirare l’attenzione del nemico. Tuttavia, la densa vegetazione e i numerosi ostacoli collocati dai germani rendevano difficile l’avanzamento, e la colonna si trovò divisa in tre grandi blocchi. La situazione divenne insostenibile: l’unica possibilità di scappare da quell’inferno sfumò quando apparve Arminio con le forze della cavalleria. I danni causati dall’attacco furono talmente devastanti che

IL CENTURIONE MARCO CELIO

Combattente della XIIX (XVIII) legione, morì a Teutoburgo a 53 anni. Suo fratello Publio Celio eresse questo cenotafio a Vetera, accampamento base di quella legione. Museo di Kalkriese.

bpk / sCAlA, FIRENzE

IMAGE FROM TEuTObuRG FOREsT AD 9, by MIChAEl MCNAlly © OspREy publIshING, pART OF blOOMsbuRy publIshING.

IMBOSCATA aLLe LeGioni a teutoBurGo. oLio di hermann KnacKFuss. 1890. neue GaLerie, KasseL.


Supporto della guaina di una spada, fatto d’argento e decorato con un’agata intagliata.

REPERTI DAL CAMPO DI BATTAGLIA

CAMPANACCIO DI bRONzO (sOpRA). FORsE lO pORTAVA uNA MulA, l’ANIMAlE DA CARICO usATO DAllE lEGIONI pER TRAspORTARE I bAGAGlI. 68 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

chiave. Il buco nel manico suggerisce che il suo proprietario la portasse appesa al collo.

FOTO: MusEuM kAlkRIEsE / AkG / AlbuM

glI ScaVI a Kalkriese hanno portato alla luce vari tipi di oggetti utilizzati quotidianamente dai legionari e da chi li accompagnava. Quelli che vediamo in queste pagine si conservano nel Museo di Kalkriese. Fra essi si distinguono, per esempio, il campanaccio di bronzo che vediamo qui sopra, ritrovato vicino al muro germanico ai piedi della collina di Kalkriese: veniva riempito d’erba per evitare che suonasse il batacchio e il nemico si accorgesse dei movimenti dei romani. La famosa maschera della pagina accanto tradizionalmente è stata attribuita a un soldato romano della cavalleria: era lavorata in ferro e ricoperta con una lamina d’argento. Probabilmente si fissava a un elmo, che venne sottratto da qualche guerriero germanico come bottino di guerra e successivamente venne riutilizzato. Come il campanaccio, anche la maschera fu ritrovata ai piedi del terrapieno costruito dagli uomini di Arminio.

Forbici di ferro usate per tosare gli animali.

cucchiaio d’argento di tipo cochlear, il cui manico appuntito si usava per infilzare il cibo.


morsetto di ferro. Questo pezzo univa l’asta di legno del pilum con la punta metallica.

maschera di ferro. I fori della parte superiore servivano per fissarla a un elmo. In altezza misura 16,9 cm.

Dolabra. Realizzata in ferro, con manico di legno, si usava sia come ascia, sia come piccone; serviva per costruire palizzate e trincee.

lama di asta (lancia) in ferro. Il pilum veniva lanciato contro il nemico, mentre la lancia era pensata per il corpo a corpo.

accessorio dell’imbrigliatura di un cavallo, pensato per legarlo a un giogo e impiegarlo come animale da tiro.

punta di un pilum, giavellotto. In ferro, lungo 20 cm, era posto alla sommità di un’asticella metallica inserita nell’asta di legno per mezzo del morsetto. STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

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LA SCONFITTA DEL PIÙ FORTE

A Teutoburgo, narra Velleio Patercolo, l’esercito romano «fu massacrato e annientato da un nemico che aveva sempre trattato come bestiame». Un legionario e un barbaro combattono in questo rilievo di marmo proveniente dal foro di Traiano. Inizi del II secolo d.C. Musée du Louvre, Parigi. erich LessinG / aLBum

70 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC


ARMInIO, lO STRATegA geRMAnICO

S MusEE DE TEssE, lE MANs / bRIDGEMAN / ACI

appiamo molto poco di Arminio, un personaggio che si muove fra la storia e la leggenda. Nacque tra il 18 e il 16 a.C. e il suo nome potrebbe essere la latinizzazione di Irmin o Armin (Hermann). Era figlio di Segimer, condottiero del popolo dei cherusci, che aveva firmato un accordo di pace con Roma anni prima di Teutoburgo. Arminio divenne ufficiale delle truppe ausiliarie della cavalleria che accompagnavano le legioni, fatto che gli permise di conoscere l’esercito romano e di guadagnarsi la fiducia di Varo. Tornò in Germania, probabilmente nel 7 d.C., ma non sappiamo perché si ribellò contro Roma. Una volta sconfitto Varo, condusse il suo popolo contro le truppe di Germanico nel 14-16 d.C. Si racconta che morì nel 21 d.C. avvelenato dai suoi sostenitori o dai suoi familiari.

Varo decise di suicidarsi con la propria spada, esempio seguito dal resto degli ufficiali. Senza comando, le forze sopravvissute cercarono di resistere ancora un giorno. L’11 di settembre, ormai decimate e demoralizzate, le truppe fecero un ultimo disperato tentativo di riprendere la marcia verso ovest, sempre sotto l’attacco incessante dei germani. A un certo punto la via, nel passaggio tra la collina di Kalkriese a nord e un’ampia zona paludosa a sud, si strinse ulteriormente. In quel punto Arminio aveva predisposto un terrapieno sormontato da una palizzata che correva parallela a tutto il sentiero, reso ancora più angusto fino a ottenere un vero e proprio collo di bottiglia. Ben protetti, i germani attaccarono la colonna romana e le impedirono in questo modo di avanzare. Nel frattempo il centro della formazione e la retroguardia venivano attaccati dal grosso delle truppe germaniche, guidate da Arminio. Fu un massacro. Pochi riuscirono a fuggire per raccontare l’accaduto, mentre i germani si davano liberamente alla strage e al saccheggio.

Le tre aquile, emblema delle legioni distrutte, furono la parte più ambita del bottino. La notizia del disastro si sparse velocemente e il panico si impadronì non solo delle province vicine, ma anche di Roma, che temeva l’invasione germanica della vicina Gallia. Augusto mandò Tiberio a controllare la zona, visto che conosceva bene quei territori. In ogni caso, le conseguenze della sconfitta si fecero sentire soprattutto nella politica di Roma. Anche se tra gli anni 14 e 16 d.C. si organizzarono diverse spedizioni condotte da Nerone Claudio Druso, detto il Germanico, per castigare i germani e recuperare la fiducia e l’orgoglio perduti, non fu possibile restaurare il dominio romano in quei territori. Probabilmente fu in base alla sua esperienza in quella zona che l’imperatore di allora, Tiberio, decise di abbandonare ogni pretesa di riportare le aquile di Roma a est del Reno, divenuto ormai la frontiera settentrionale dell’Impero romano.

VENDETTA ROMANA

Sopra, Nerone Claudio Druso, conosciuto come Germanico per la sua attività militare in terre germaniche, trova i resti dei legionari di Varo, che poi seppellì. Olio di Lionel Royer. XIX secolo.

juan josé paLao vicente pROFEssORE TITOlARE DI sTORIA ANTICA uNIVERsITà DI sAlAMANCA

STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

71


TEUTOBURGO, LA TRAPPOLA

Nei giorni 10 e 11 di settembre dell’anno 9 d.C. vennero distrutte le tre legioni

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POMERIGGIO DEL 10 SETTEMBRE MATTINA DELL’ 11 SETTEMBRE UN ESERCITO SENZA CAPI

a ANGRIVARI

Il 10 settembre i romani sono in marcia già da tre giorni. Hanno perso centinaia, o migliaia, cHERUScI di uomini e molti altri sono feriti. Dal suo BRUcTERI accampamento, forse a Felsenfeld L. EGGIO 3 1, Varo manda Numonio Vala collina di 5 con la cavalleria 2 – che non può Kalkriese 4 dispiegarsi nella foresta – a chiedere aiuto alle truppe del Reno. Tuttavia i cavalieri di Vala cHERUScI vengono annientati da Arminio, la cui apparizione a 6 N. VALA sorpresa 3 chiude l’assedio su Varo. Verso l’imbrunire questi, forse ferito, si suicida insieme ad altri ufficiali 2 e il comando ricade su Lucio Eggio e Ceionio, prefetti 1 dell’accampamento della XVII e XIIX (cioè la XVIII) legione. La mattina dell’11 Egio conduce la marcia 4, seguito dal quale dominano l’unico da Ceionio. Mentre i romani avanzano sotto la collina di sentiero su cui possono procedere i Kalkriese, i germanici bructeri lanciano varie incursioni per romani: una posizione privilegiata da dove ostacolare la loro avanzata 5 e i cherusci, comandati da potranno tempestarli di colpi. Il prefetto manda Arminio, s’imboscano nella retroguardia 6. una parte delle sue truppe a espugnare la fortificazione 3 mentre, con il resto dei suoi uomini, attende l’arrivo MATTINA DELL’ 11 SETTEMBRE di Ceionio 4. Intanto i bructeri smettono di attaccare i SITUAZIONE DISPERATA romani 5 per dare rinforzo agli angrivari e difendere la palizzata. Le coorti mandate a espugnare la fortificazione Egio sta proseguendo la marcia alle falde della collina 1 ci mettono tutto il loro impeto, ma non riescono a quando i suoi esploratori lo informano che i germanici espellere i germanici dalle loro posizioni. Pertanto, hanno costruito una palizzata sopra un terrapieno 2, sono costretti a retrocedere.

B

3

2 collina di Kalkriese

ANGRIVARI

4 LUcIO EGGIO

5 BRUcTERI

1 Esercito romano

B IMAGEs FROM TEuTObuRG FOREsT AD 9, by MIChAEl MCNAlly © OspREy publIshING, pART OF blOOMsbuRy publIshING.

Esercito di Arminio cavalleria


GERMANICA condotte da Varo

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POMERIGGIO DELL’ 11 SETTEMBRE L’ULTIMA CARICA

uIG / AlbuM

Nel mentre, ceionio è stato attaccato da Arminio e si è arreso, per poi venire massacrato insieme ai suoi uomini. Gruppi di sopravvissuti raggiungono Egio 1, il quale concentra tutti i suoi soldati per forzare il passaggio 2, comprese le coorti che hanno tentato di conquistare la palizzata. Gli angrivari lanciano un contrattacco dal terrapieno e bloccano il passo ai romani 3, mentre i bructeri ne attaccano la retroguardia 4. Gli uomini di Egio avanzano lentamente, lottando contro angrivari e bructeri 5. Quindi arrivano i cherusci di Arminio 6. In svantaggio numerico, i romani vengono sconfitti. Gruppi di fuggitivi scappano verso il Reno, ma la maggior parte verrà sterminata dai germani 7. ARMINIO, ALLA TESTA DEllE suE TRuppE, sCONFIGGE I ROMANI A TEuTObuRGO. OlIO DI AlbERT OTTO kOCh. lA bATTAGlIA VIENE RAppREsENTATA, ERRONEAMENTE, COME uN GRANDE sCONTRO IN CAMpO ApERTO. 1909. lIppIsChEs NATIONAlMusEuM, DETMOlD.

7 5 TRUPPE DISPERSE (L. EGGIO)

3

2 LUcIO EGGIO

1

ANGRIVARI

collina di Kalkriese

4

TRUPPE DISPERSE (cEIONIO)

6 BRUcTERI

cHERUScI

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Ebrei, eretici, streghe e altre vittime del Sant’Uffizio

NELLE MANI DELL’ Durante l’Età Moderna migliaia di persone furono giudicate e condannate per

autodafé

In questo olio del 1860 il pittore Eugenio Lucas Velázquez offre una visione sinistra dei condannati dall’Inquisizione, con coroza e sambenito, legati alle gogne ed esposti alla vista di un popolo esaltato. Museo del Prado, Madrid. bpk / scala, firenze


INQUISIZIONE diversi delitti contro la purezza della fede cattolica


vista di toledo

Nel 1485 il cardinale Mendoza diede all’Inquisizione il permesso di stabilirsi a Toledo. Nell’immagine, una porta delle mura della città, attraverso la quale si può vedere il ponte di San Martín, del XIII secolo. DOMinGO leiVa / aGe fOTOsTOck

76 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC


D

c r o n o lo g I a

SECOLI DI OPPRESSIONE

inoltre su una rete di collaboratori laici, i familiares del Sant’Uffizio, che ricevevano le denunce ed erano sempre di supporto al lavoro degli inquisitori.

Guardiani della purezza Gli “eretici” che l’Inquisizione voleva punire si raggruppavano in tre categorie: gli ebrei conversi o “marrani”, persone di origine ebraica convertite al cristianesimo, accusate di continuare a praticare l’ebraismo in privato; i protestanti, che si diffusero in Spagna a partire dagli anni venti del 1500; i moriscos, musulmani convertiti che, prima della loro espulsione dalla penisola iberica, nel 1609, venivano accusati di mantenere segretamente la loro antica fede. L’Inquisizione perseguiva anche la blasfemia, la superstizione o la stregoneria, e si occupava inoltre di delitti sessuali, come la bigamia, la sollecitazione (chierici che seducevano le loro fedeli), la zoofilia e l’omosessualità, chiamata “sodomia”. Inoltre svolgeva funzioni di censura e dal 1551 pubblicava l’Indice dei libri proibiti.

WERN

un simbolo magico

Questo disco del matematico e alchimista inglese del XVII secolo John Dee riproduce un pentacolo, talismano usato dai maghi, perseguitati dall’Inquisizione.

María lara MarTínez DOCENTE DI STORIA E ANTROPOLOGIA, UNIVERSITÀ A DISTANZA (MADRID)

1478

1572

1781

1834

I Re Cattolici fondano il Tribunale del Sant’Uffizio per tutelare la fede cattolica.

Fra Luigi di León viene denunciato all’Inquisizione dai suoi colleghi dell’Università di Salamanca.

A Siviglia, la beata Dolores è l’ultima vittima dell’Inquisizione spagnola bruciata sul rogo.

Sotto la reggenza di Maria Cristina di Asburgo viene abolita l’Inquisizione in Spagna.

stendardo DELL’INqUISIZIONE DI SIVIGLIA.

PHOTOAISA

più acuta fu durante il primo mezzo secolo, nel quale si giustiziarono almeno duemila “eretici”. Se si guarda oltre le cifre globali, il Sant’Uffizio ebbe un impatto drammatico su molti individui, membri di minoranze perseguitate, ma anche su avventurieri, ciarlatani e, a volte, semplicemente su persone squilibrate. Fino alla sua soppressione da parte delle Corti di Cádiz nel 1813, questa istituzione fu un ingranaggio essenziale della macchina della monarchia spagnola. Ma anche oltre quella data, visto che il regime assolutista di Fernando VII le ridiede vita qualche anno dopo: la sua abolizione definitiva avvenne nel 1834. Al vertice dell’istituzione si trovava l’inquisitore generale, la cui autorità emanava dal papa, e che presiedeva il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione, fondato nel 1488. Quest’organo si riuniva due volte al giorno, al mattino e al pomeriggio, e aveva competenza su tutti i territori del re di Spagna, compresi quelli americani. Alla sua autorità sottostavano i tribunali territoriali, composti da due inquisitori, un qualificatore, un ufficiale giudiziario e un pubblico ministero. Questi tribunali contavano

E R FO R M A N / G T R E S

ecine di migliaia furono le persone colpite nel corso della storia dall’attività del Sant’Uffizio dell’Inquisizione spagnola. L’istituzione, fondata dai Re Cattolici nel 1478, aveva l’obiettivo di reprimere qualsiasi eresia che minacciasse la purezza della comunità cristiana cattolica. Secondo lo storico Joseph Pérez le sue vittime furono 125mila. La fase


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cinque processi dell’ inquisizione

1687 /

Nelle pagine seguenti si raccontano cinque processi inquisitoriali dell’Età Moderna, di cui furono protagonisti un galiziano giudaizzante, un’indovina di Toledo, un mago castigliano, un gruppo di moriscos di Granada e un frate laico di un convento di Siviglia.

un chierico galiziano

Il cristiano che voleva farsi ebreo

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SFGP / ALbUM

juan everardo niTharD, cOnfessOre Di Mariana D’ausTria. secOlO xVii.

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acinto Vázquez Araújo nacque verso il 1650 a Santa Comba, a circa sette chilometri da Ourense. Era figlio del prete locale e di una ragazza nubile chiamata Dominga Rodríguez. Quando aveva tre anni fu mandato a vivere con i nonni materni, però a quattordici tornò a casa del padre. Dopo gli studi di grammatica a Monforte de Lemos e quelli di musica a Santiago andò in Andalusia. Lì iniziò a guadagnarsi da vivere cantando come contralto nella chiesa principale di Écija (Siviglia) e come insegnante dei figli di un avvocato, che poi seguì quando questi si trasferì a Córdoba. In questa città fu ordinato sacerdo-


SupplIzI Scena di torture inquisitoriali, di A. Magnasco, 1710. Kunsthistorisches Museum, Vienna.

AkG / ALbUM

te e divenne cappellano della chiesa di Santa Cruz. Anni dopo tornò in Galizia, dove fu nominato canonico della cattedrale di Ourense. A causa dell’implacabile persecuzione da parte dell’Inquisizione, la pratica segreta dell’ebraismo era divenuta meno frequente tra i discendenti di ebrei convertiti: tuttavia Jacinto decise inaspettatamente di convertirsi al giudaismo. Quando venne arrestato, nel 1687, dichiarò che, sebbene nella sua famiglia fossero «cristiani vecchi», lui voleva essere un «ebreo nuovo». Come spiegazione disse di aver letto un libro, intitolato Sentinella contro gli ebrei, che gli era stato prestato da un presbitero e cappellano della cattedrale di Ourense. Si trattava di un’opera antisemita scritta intorno al 1674 dal frate Francisco de Torrejoncillo, nella quale si elencavano tutte le accuse classiche contro gli ebrei e si affermava la necessità di mantenere gli statuti di“purezza del

sangue” per impedire che discendenti di ebrei accedessero a cariche della Chiesa o dello stato. Vázquez Araújo se n’era servito per scoprire i riti ebraici e metterli in pratica. Dopo il suo arresto l’Inquisizione ordinò che un altro sacerdote ripetesse gli oltre tremila battesimi impartiti da Vázquez. Inoltre lo accusò di “sollecitazione”.

Giunto il momento, gli misero un sambenito (tunica penitenziale) e gli lessero la sentenza con la quale gli veniva revocata l’ordinazione sacerdotale, gli si confiscavano i beni e lo si condannava al carcere a vita, oltre che a cinque anni di galere. fonte

Gli ebrei nella Spagna moderna e contemporanea Julio Caro Baroja. Istmo, Madrid, 1995.

Indizi di follia I giudici dubitarono dell’equilibrio mentale dell’accusato. Vari testimoni dichiararono di averlo visto «restare a lungo a guardare l’acqua del fiume che scorreva». Un frate lo giudicò «uomo di fantasia soggetta a varie elucubrazioni». In ogni caso, un compagno di cella riferì che Jacinto osservava il riposo del sabato e i digiuni ebraici, e la guardia carceraria testimoniò che in prigione si era messo a gridare che voleva morire secondo la Legge di Mosè: questo decretò la sua condanna.

PRIS

menorá O CANDELAbRO EbRAICO A SETTE bRACCIA. MUSEO SEFARDí, SINAGOGA DEL TRANSITO, TOLEDO.

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1631 / l ’ a s t r o l o g o

jerónimo de liébana

Lo stregone che denunciò una falsa cospirazione contro il potere

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erónimo de Liébana nacque intorno al 1592 a La Ventosa, in provincia di Cuenca. Il padre e il nonno paterno erano notai, mentre il nonno materno era medico. Sin da giovane Jerónimo condusse una vita nomade, viaggiando per tutta la penisola iberica, talvolta sotto lo pseudonimo di Juan Calvo. Iniziato alle arti magiche, nel 1620 subì un primo processo da parte dell’Inquisizione di Saragozza, che lo accusò di aver celebrato messe demoniache e di aver distribuito foglietti per rendere invisibili o per vincere al gioco. Ventinove persone testimoniarono contro

di lui al processo, durante il quale subì il supplizio del cavalletto (una pena corporale simile alla flagellazione). Dovette sottoporsi all’autodafé, ovvero alla proclamazione della sentenza, vestito da penitente e con la coroza (cappello conico di carta): gli diedero cento frustate e lo condannarono a otto anni di galere e all’esilio dalle terre di Aragona. Tre anni dopo fu processato di nuovo, stavolta a Barcellona, per aver continuato a praticare la magia. Davanti al tribunale Liébana raccontò una storia sorprendente. Poiché si era sparsa la voce che fosse capace di trovare tesori, due aristocratici catalani,

il conte di Zabellán e il cavaliere Bertrán Desvalls, avevano pagato una cauzione per riscattarlo dalle galere; poi l’avevano trasferito a casa di Desvalls. Durante la notte lo portavano in carrozza, con gli occhi bendati, fino a una casa del conte di Zabellán, con il pretesto di evocare gli spiriti. Una notte Jerónimo si era trovato davanti a un nascondiglio di libri di magia e a molti congegni a forma di pianeti, collocati intorno a una statuetta di Filippo IV: questo gaspar de guzmán CONTE-DUCA DI OLIVARES E FAVORITO DEL RE FILIPPO IV. RITRATTO REALIZZATO DA DIEGO VELáZqUEZ. 1624. MUSEO DE ARTE DE SAO PAULO (bRASILE).

bRIDGEMAN / ACI


la Sorte

DEA / ALbUM

Questa scena mostra un indovino che legge il futuro a un cliente. Tali pratiche erano condannate dall’Inquisizione. Pietro della Vecchia. XVII secolo. Museo Civico, Palazzo Chiericati, Vicenza.

gli aveva fatto pensare che il gruppo, cui appartenevano altri nobili, stesse tramando qualcosa contro il re. Così lo comunicò all’Inquisizione, che però non lo ascoltò.

Cospirazione contro il re Nel 1627 Jerónimo andò a Málaga e poi a Ocaña, dove riuscì a farsi nominare vicerettore del collegio dei gesuiti.In seguito andò a Cuenca,

dove venne accolto dal fratello sacerdote. Arrestato nuovamente nel 1631, denunciò un altro complotto, che sosteneva di aver scoperto a Málaga nel 1627, ai danni di Filippo IV. Questa volta gli diedero retta e lo mandarono a Madrid per riferire tutto ciò che sapeva al conte-duca di Olivares, primo ministro del re. Jerónimo gli raccontò che per 71 giorni il marchese di Valenzuela e

Nella casa del conte di Zabellán Liébana scoprì un nascondiglio di libri di magia e congegni a forma di pianeti disposti intorno a una statuetta di Filippo IV

altri cavalieri avevano realizzato una serie di sortilegi astrologici, culminati in una cerimonia alla quale aveva partecipato un mago francese, un certo Guñibay. Per prima cosa avevano bruciato una serie di statuette per propiziare la caduta del conte-duca e la sua sostituzione con il marchese. Dopo tre ore Guñibay aveva detto ai presenti di non spaventarsi, visto che gli spiriti sarebbero entrati nella stanza sotto forma di tori, uccelli o come semi di una pianta speciale. Fra un fuggifuggi di pipistrelli, alle cinque del mattino Guñibay aveva messo le statuette bruciate in un baule di legno di ulivo, foderato in ferro, e l’aveva buttato in mare con una zavorra. Filippo IV e il suo favorito diedero credito al racconto e inviarono a Málaga una commissione affinché recuperasse il baule dal fondo del mare. Siccome non trovarono nulla, l’Inquisizione condannò Liébana per superstizione manifesta. Il finto astrologo fu sottoposto a un autodafé a Cuenca il 4 luglio del 1632, con una candela in mano, la coroza in testa, una corda al collo e l’insegna di stregone. Fu costretto ad abiurare l’eresia e ricevette 400 frustate. Poi fu portato a Córdoba, dove venne rinchiuso a vita. fonte

Superstizioni del XVI e XVII secolo Duque de Maura. Saturnino Calleja, Madrid..


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1530 /

l a b e ata l e o n o r b a r z a n a

A

ll’inizio del XVI secolo la toledana Leonor Barzana fu discendente di quegli ebrei che l’Inquisizione perseguitò con accanimento. Suo padre, di mestiere cambiavalute, era stato bruciato per aver abbracciato il giudaismo, mentre lo zio paterno era stato condannato a portare il sambenito per lo stesso motivo. Per evitare pro-

blemi, Leonor rinunciò al cognome del padre e adottò quello della madre, Francisca Barzana, che nel processo contro suo marito si era salvata grazie alla protezione di un canonico. Una vicina testimoniò di aver sentito dire più di una volta da Leonor che gli inquisitori avevano ucciso suo padre non per una sua colpa ma perché erano vigliacchi e traditori.

bRIDGEMAN / ACI

rivelazioni pericolose

carta dei tarocchi CHE RAPPRESENTA LA TEMPERANZA (SOPRA qUESTE RIGHE). INCISIONE COLORATA. xVII SECOLO. bIbLIOTECA NAZIONALE, PARIGI. rotolo della torah (IN ALTO A SINISTRA), LIbRO CHE CONTIENE LA LEGGE SACRA DEGLI EbREI, IL PENTATEUCO. bIbLIOTECA NACIONAL, MADRID.

Nel suo quartiere Leonor era conosciuta come “beata” a causa dell’abito francescano che indossava e che contraddistingueva le donne laiche dedite alla preghiera. Il termine si applicava anche alle donne che sostenevano di possedere doti soprannaturali, come dicevano essere il caso di Leonor. Una compaesana una volta le fece visita per chiederle notizie sul marito, assente da molto tempo. Lei le rispose di aver avuto la rivelazione che l’uomo era morto, però la invitò a pregare la Vergine e san Giovanni Battista per nove giorni, allo scadere dei quali il marito riapparve. Altri la chiamavano la estrellera (giumenta che alza troppo la testa) e la definivano una donna «superba, eccezionale, intrepida (...) e indomabile». In un’altra occasione, quando una sua compaesana stava per partorire, la

ORONOZ / ALbUM

L’indovina di Toledo che si vantava della sua ascendenza ebraica

beata uscì sulla soglia con una candela accesa, mormorò alcune parole, contemplò il cielo aperto tra i raggi solari e un uccello le sfiorò il volto all’altezza del naso. Appena il bambino nacque, la beata insistette perché lo chiamassero Gabriel e predisse che sarebbe diventato un saggio religioso. Tutti questi episodi emersero nel corso del processo che venne istruito contro di lei nel 1530. La accusavano di essersi vantata delle sue origini ebraiche e di aver compiuto pratiche magiche. Dopo aver ribadito la sua adesione al cattolicesimo, fu castigata con cento frustate e dovette fare un autodafé. Sei anni più tardi nuovi testimoni dichiararono di averla sentita vantarsi dei suoi poteri, tra i quali anche quello di far crollare una casa o di invocare gli spiriti. Un’altra donna riferì di aver ricevuto da lei una medicina contro la sterilità. Leonor fu nuovamente condannata alla frusta e rinchiusa in prigione, come superstiziosa e spergiura. Ne uscì solo per andare in esilio. fonte

Vite magiche e Inquisizione Julio Caro Baroja. Istmo, Madrid, 1995.


la mano SInIStra Questo schema spiega in dettaglio le informazioni che la mano può fornire su una persona. Copia di uno schema di Jean Belot (1649) usato nel libro Storia della magia, pubblicato alla fine del XIX secolo. bRIDGEMAN / ACI


palazzo reale di barcellona

Questo monumentale complesso di edifici in stile gotico si affaccia sulla plaça del Rei di Barcellona. Il palazzo fu residenza reale fino al XVI secolo, quando le sue dipendenze furono suddivise fra l’amministrazione reale e l’Inquisizione. enDless TraVel / alaMy / aci



d 1606 /

l a moris ca mari pérez

Una campagna dell’Inquisizione contro i moriscos

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a popolazione musulmana che rimase in Spagna a partire dal 1492 – dopo la conquista del regno dei Nasridi di Granada da parte dei Re Cattolici – soffrì una persecuzione incessante. Convertiti a forza al cristianesimo, ai moriscos fu proibito usare l’abito tradizionale e la lingua araba. Nel 1568 furono protagonisti di una ribellione violenta nella zona delle Alpujarras, dopodiché furono deportati dal regno di Granada in diverse zone della Castiglia, dove crearono nuove comunità di moriscos che continuarono ad attrarre i sospetti delle autorità. Una di esse si radicò ad Almagro (Ciudad Real). Gli inquisitori volevano scoprire se i moriscos che vi abitavano continuassero a praticare in segreto la religione islamica, anche se adempivano esteriormente agli obblighi del cristianesimo. Un ufficiale del Sant’Uffizio riuscì a convincere donna morisca. DETTAGLIO DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA CITTÀ DI GRANADA NEL 1563. CIVITATES ORbUS TERRARUM. xVI-xVII SECOLO. PRISMA ARCHIVO

una giovane di 19 anni, Mari Pérez Limpati, a trasferirsi a casa sua «affinché dicesse più liberamente quello che aveva da dire e fosse esaminata in modo più approfondito».

Spirale di denunce Sotto pressione e spaventata, Mari Pérez diede il via a una spirale di denunce che sarebbero culminate in un autodafé tenuto a Toledo nel 1606, nel quale furono bruciate sei persone tra familiari e vicini. Altre 18 furono condannate al carcere a vita e alla confisca dei beni. Mari Pérez – che riconobbe di aver praticato i riti islamici per un anno e

mezzo – denunciò una vedova ottuagenaria, Isabel de Jaén. L’aveva sentita dire: «Perché dovrei credere in Cristo? È un supplizio», e l’aveva vista fare il «digiuno degli arabi e la cerimonia dell’acqua», cioè il digiuno del mese del Ramadan e le abluzioni quotidiane dei musulmani. Aveva inoltre raccontato che un giorno l’anziana era andata a casa sua e aveva cercato di convincerla a praticare il guadoc (un’abluzione facciale) «in osservanza alla setta di Maometto». Il tribunale ordinò di torturare la donna: «Dopo averle passato cinque giri di corda, al successivo sembrò


ORONOZ / ALbUM

copertina DELL’OPERA jUSTA ExPULSIóN DE LOS MORISCOS DE ESPAñA, DI FRANCISCO DE CASTRO. 1612. bIbLIOTECA NACIONAL, MADRID.

in casa dei fogli scritti in caratteri arabi». Fu condannato alla confisca di tutti i beni e a essere bruciato sul rogo. Lo zio della giovane, Miguel Ruiz de Mendoza, di 54 anni, ebbe la stessa sorte; sua sorella, di 14, fu condannata ad abiurare, e sua madre al carcere a vita irrevocabile. Un altro vicino, il calzolaio Hernando de Palma, fu accusato di aver insegnato l’arabo ai suoi vicini mentre gli riparava le scarpe e di celebrare funerali islamici. Ritenuto colpevole, fu condannato alla confisca dei beni e al rogo.

Questo rilievo di legno policromo, opera di Felipe Bigarny, rappresenta la conversione dei moriscos del regno di Granada dopo la conquista dei Re Cattolici nel 1492. Pala d’altare maggiore della Capilla Real, cattedrale di Granada. 1522.

svenire, non rispondeva a quello che le domandavano, non si lamentava, né tornava in sé». Fu condannata a fare un autodafé. Un’altra anziana, Isabel de Cañete, di 78 anni, fu accusata di aver praticato diverse cerimonie islamiche e la divinazione con le fave. Dopo essere stata torturata fu condannata alla confisca dei beni e al carcere perpetuo.

PRISMA / ALbUM

battesimo dei moriscos

Anche il padre di Mari Pérez, Diego Pérez Limpati, di professione negoziante, fu accusato da sette testimoni, fra i quali sua figlia. Tutti l’avevano visto compiere cerimonie e il digiuno arabo, le abluzioni del guadoc, e la çalá (invocazione a Dio dopo le abluzioni). Un testimone assicurò che «si riuniva con altri moriscos per cena, al termine dei digiuni del Ramadan» e che «aveva

«Dopo averle passato ben cinque giri di corda, col sesto sembrava svenire e non tornava in sé», si disse della tortura a una morisca di 80 anni

Sacrificio del faqih Tuttavia, il principale obiettivo delle indagini inquisitoriali era Juan Martín de Jaén, un uomo di 40 anni che faceva da faqih, ovvero da capo religioso della comunità. In suo possesso furono trovati un gran numero di scritti religiosi ed esemplari del Corano. Martín de Jaén non denunciò nessuno e confessò subito la sua condizione, pertanto non venne torturato. Fu condannato invece alla confisca dei beni e consegnato alla giustizia secolare, che lo bruciò sul rogo insieme ad altri cinque suoi compagni. fonte

Processi dell’Inquisizione di Toledo Julio Sierra. editorial Trotta, Madrid, 2005.


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1730 / l ’ e l e m o s i n i e r e

j ua n e l í a s

Gli stratagemmi del sant’uomo di Siviglia che predicava l’amore universale

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ella prima metà del XVIII secolo un certo Juan Elías viveva nel convento sivigliano di San Pedro de Alcántara come “donato”, ovvero come laico che portava l’abito religioso e svolgeva compiti di servizio alla comunità. Elías, che aveva una cinquantina d’anni, si dedicava a raccogliere l’elemosina percorrendo i quartieri della città, dove si era guadagnato la fama di uomo santo e virtuoso grazie al modo di parlare tranquillo, con voce dolce e aria serena. Il servitore di San Pedro de Alcántara approfittava delle sue visite per dialogare con la gente in maniera compassionevole. Soleva spiegare il Padre nostro e concludeva dicendo che tut-

ORONOZ / ALbUM

ti gli uomini sono fratelli davanti a Dio e che hanno il dovere di amarsi gli uni gli altri. Con questo pretesto, fratello Juan cominciò a recarsi nel quartiere di Triana a casa di una donna sposata, Francisca Moreno, di 35 anni. Dopo essersi guadagnato la sua fiducia con discorsi pii e devoti, approfittava per accarezzarla e abbracciarla, dicendo di non avere cattive intenzioni, poiché il suo pensiero era rivolto a Dio.

Donne di triana In un’occasione riuscì a farsi ricevere nella sua stanza da letto, dove l’abbracciò per «mezzo quarto d’ora», però lei lo interruppe, gli diede l’elemosina che chiedeva e lo mandò via. Tornò dopo qualche settimana per dichiararle che non faceva altro che pensare a lei, però la donna, avendo capito la sua tattica, gli domandò «se il fatto di averla sempre in mente fosse per raccomandarla a Dio». Fratello Juan si vide costretto a rinunciare alla sua impresa. Quindi tentò la sorte con un’altra abitante di Triana,

frate mercedario DEL xVII SECOLO. OLIO DI FRANCISCO ZURbARáN.

vISta DI SIvIGlIa L’Inquisizione cominciò a funzionare a Siviglia nel 1481. Aveva la sua sede nel convento dominicano di San Pablo, però dovette presto trasferirsi nel castello di Triana per mancanza di spazio. Vista della Torre dell’Oro e della cattedrale di Santa Maria della Sede.

Teresa del Barco, nubile di 25 anni. Con lei andò direttamente al dunque. Le assicurò che potevano giacere insieme senza peccare, poiché «sebbene io o chiunque altro nel farlo le prenda le mani e l’abbracci, essendo in Dio come siamo, questo non è peccato né cosa cattiva (...) e se entrasse qualcuno in quel momento e chiedesse cosa stiamo facendo, sarebbe lui a scandalizzarsi, ma noi saremmo tranquilli perché siamo nell’amore di Dio e sappiamo che in esso non pecchiamo». Inoltre cercò di persuaderla di avere doti di veggente, giacché, a quanto assicurava, aveva previsto la morte della figlia


SEbASTIANO SCATTOLIN / AGE FOTOSTOCk

di una concittadina. Nel frattempo Francisca si era fatta degli scrupoli per l’accaduto e aveva consultato il suo confessore, che l’aveva esortata a denunciare il caso all’Inquisizione di Siviglia. Nella sua dichiarazione Francisca rivelò che anche la sua vicina Teresa aveva rapporti con l’elemosiniere, perciò il tribunale convocò anche lei. Basandosi sulla testimonianza di entrambe, i qua-

lificatori – membri del tribunale inquisitoriale che accertavano il tipo di delitto che era stato commesso – elaborarono un rapporto sull’imputato.

eretico e bugiardo Secondo gli inquisitori, Elías era un seguace della dottrina eretica di Miguel de Molinos (1628-1696), il quale sosteneva che si poteva

Gli inquisitori accusarono Juan Elías di seguire la cosiddetta dottrina di Molinos, secondo la quale le relazioni fuori dal matrimonio non erano peccato

raggiungere la grazia mediante la contemplazione ed era stato condannato per aver commesso atti immorali. Un fatto che non aveva impedito la nascita, in diversi Paesi cattolici, di una corrente di seguaci, i cosiddetti molinosisti. Inoltre il tribunale definì Elías imbroglione e ignorante di ciò che predicava. Per questo fu incarcerato e condannato. Fu uno fra i tanti casi di trasgressioni minori della morale sessuale di cui si occupò l’Inquisizione nel corso della sua storia. fonte

Milagreros, libertini e insensati. Galleria dei rei dell’Inquisizione di Siviglia J. A. Alejandre. Universidad de Sevilla, 1997.


RITRATTO DI ANDREA VESALIO

Ritratto dell’anatomista, realizzato quando aveva 28 anni. Il cadavere accanto a lui è di una donna. Incisione contenuta nel De humani corporis fabrica. 1543. bridgeman / aci

L’ANATOMIA, UN’OPERA D’ARTE

Nella pagina accanto, un uomo scuoiato con la muscolatura in evidenza. La figura è in movimento e su uno sfondo classico: le rovine delle terme di Abano, vicino a Padova. granger / album

90 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC


La nascita dell’anatomia

vesalio Nel 1543 il fiammingo Andrea Vesalio pubblicò il primo libro della storia che conteneva figure anatomiche in tre dimensioni, così come faceva la pittura rinascimentale. La sua opera conquistò l’Europa

STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

91


aldo pavan / fototeca 9x12

ANFITEATRO ANATOMICO

Completato nel 1595 nell’Università di Padova. Prima, ai tempi di Vesalio, chi assisteva a una dissezione la osservava da tribune mobili.

granger / album

LEZIONE MEDIEVALE DI ANATOMIA

L’incisore seziona un cadavere e l’ostensore indica quello che il professore spiega dalla cattedra. Illustrazione del Fasciculus medicinae, di J. de Ketham. 1491.

I

l 22 gennaio del 1564 il principe Carlo, primogenito di Filippo II di Spagna, stava assistendo alla dissezione di un cadavere nella facoltà di Medicina dell’Università di Alcalá. Forse, com’era consuetudine, il principe Carlo confrontava quello che vedeva con le sbalorditive illustrazioni del famoso libro di anatomia di Andrea Vesalio: è noto, infatti, che ne possedeva un esemplare. Non deve sorprendere che l’erede del maggiore impero del mondo assistesse a una dimostrazione anatomica – né che sfogliasse un’opera di Vesalio –, perché allora, in pieno Rinascimento, l’anatomia

andava di moda. Infatti, era diventata la branca più famosa della medicina e, come se questo non bastasse, era anche una delle discipline più importanti per la formazione degli artisti. Tutto ciò era frutto della nuova mentalità rinascimentale.

Il corpo, un libro divino Cos’era l’uomo? Che posto occupava nel cosmo? Le risposte che gli umanisti del Rinascimento diedero a questi interrogativi erano più ottimistiche rispetto a quelle che avevano dato i pensatori medioevali. Nel

1533-1536

c r o n o lo g I a

PROFESSORE, CHIRURGO E MEDICO

Andrea Vesalio nasce a Bruxelles. Suo nonno era stato medico dell’imperatore Massimiliano I. Il padre lo incoraggia a diventare medico.

un cervello in mostra. tavola della fabrica di vesalio.

corbis / getty images

1514

Studia medicina all’università di Parigi, dove nasce il suo interesse per l’anatomia. Qui realizza la sua prima dissezione pubblica, davanti a maestri e studenti.


la noVITÀ DI VESalIo

SPORCARSI LE MANI

n

elle lezioni medievali di anatomia il professore stava al centro, seduto in cattedra. Da lì, durante la dissezione, nominava le parti del corpo mentre il chirurgo, un incisore, le preparava con il bisturi e un altro aiutante, l’ostensore (monstrator o ostensor), le indicava. Questo rifletteva l’idea della medicina come scienza speculativa, in cui il medico curava le malattie (generalmente indossando guanti, ossia senza sporcarsi mai le mani) mentre il chirurgo curava le ferite (e quindi si sporcava le mani). Quello del chirurgo era un lavoro servile, e perciò per secoli non fu ben visto. Vesalio era allo stesso tempo professore, incisore e ostensore: apriva il cadavere, lo preparava e lo mostrava agli alunni. Per la prima volta, con lui, il medico si sporcava le mani. Vesalio, inoltre, lavorava circondato dai suoi studenti, e gli permetteva di toccare il cadavere. Il maestro inaugurava, quindi, un nuovo tipo di “pedagogia anatomica”.

corso del Rinascimento l’attenzione si era infatti spostata da Dio all’uomo, visto come immagine del Creatore. Da un lato, ciò aveva dato maggiore importanza al lavoro degli artisti, perché la bellezza nell’arte era riflesso della bellezza divina. Dall’altro, aveva promosso lo studio dell’uomo attraverso la medicina e l’anatomia: sezionare il corpo, infatti, sarebbe stato come sfogliare le pagine del libro che conduce a Dio. Fu per questa ragione che anche pittori e scultori iniziarono a studiare l’anatomia umana, per poter mostrare più fedelmente possibile com’era fatto l’uomo. Non a caso maestri

del calibro di Leonardo da Vinci o di Michelangelo Buonarroti assistevano alle dissezioni. Questo non significa che durante il Medioevo non si sezionassero cadaveri umani. E non significa nemmeno che la Chiesa cattolica, o più concretamente l’Inquisizione, proibisse questa pratica. Al contrario, nelle facoltà di medicina era pratica comune analizzare i corpi dei criminali che erano stati giustiziati. Tuttavia, il nuovo, approfondito interesse per il corpo umano fece sì che quella delle dissezioni, pubbliche e private, diventasse una pratica ben più diffusa, nonché relativamente frequente. Vesalio fu capace di incarnare tutte

Viene pubblicata l’opera De humani corporis fabrica libri septem. A partire da quest’anno diventa medico di Carlo V. Quando il sovrano abdica, nel 1555, lascia la corte per esercitare come medico privato.

Vesalio va al servizio di Filippo II come medico di camera. Morirà di malattia sull’isola ionica di Zante il 2 ottobre del 1564, di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, fatto per motivi non chiari.

k toc tos e fo

Completa il dottorato all’università di Padova. Per il suo percorso brillante e il prestigio raggiunto, il giorno successivo viene nominato explicator chirurgiae, ovvero professore di chirurgia e anatomia. Ha 23 anni.

1559

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1543

Questo diagramma di Johannes de Ketham illustra le malattie che colpivano il corpo umano.

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1537

MAPPA DELLE MALATTIE


bridgeman / aci

CATTEDRATICO A PADOVA

Ispirandosi al frontespizio della Fabrica, Édouard Hamman rappresentò così Vesalio nel 1859. Musée des Beaux-Arts, Marsiglia.

oronoZ / album

Carlo V ebbe per medico Vesalio, che nobilitò nominandolo conte palatino. Il sovrano è al centro di questa sontuosa rotella attribuita a Giulio Romano. Armería real, Madrid.

le trasformazioni vissute dall’anatomia: da una parte la nuova vocazione pubblica di questa scienza; dall’altra, la sua fusione con l’arte.

All’ombra della forca Andrea Vesalio era nato a Bruxelles l’ultimo giorno del 1514 da una famiglia proveniente dalla località renana di Wesel e il cui cognome originale era Wytinex. Probabilmente dal paese natale, com’era in uso all’epoca, prese il nome di Andreas de Wesel, che poi divenne Vesalius in latino e Vesalio nella traduzione italiana. Il nonno, il bisnonno e il trisavolo erano stati medici presso la casa di Borgogna e così erano diventati nobili. Ciononostante, al padre, forse per l’origine bastarda, era stata preclusa la Questo era lo scHeletro di un criminale giustiZiato, cHe vesalio seZionÒ nel 1543. È la preparaZione anatomica piÙ antica conosciuta. anatomiscHes museum, basilea.

94 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

anatomiscHes museum basel

IL PROTETTORE DI VESALIO

professione e si era dovuto accontentare di fare il farmacista al servizio di Carlo V (duca di Borgogna, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero). Questo fatto dovette influire sul carattere di Vesalio, che probabilmente non voleva dimostrarsi da meno dei suoi antenati. Forse venivano da lì il suo desiderio di superamento e quell’individualismo che lo portò a essere, in un certo senso, un autodidatta dell’anatomia. Fin da bambino Vesalio si divertiva a sezionare piccoli animali e a creare collezioni di storia naturale. Su una collina dietro casa sua c’era un patibolo per i criminali. I cadaveri venivano lasciati appesi alla forca finché l’azione del tempo e gli uccelli rapaci non li trasformavano in scheletri. Questo probabilmente gli consentì di familiarizzare con le ossa umane. A 16 anni, nel 1530, intraprese a Lovanio gli studi universitari, che gli consentirono di padroneggiare il greco e il latino:


corPI SEnZa PEllE

LA TRADIZIONE DELL’ÉCORCHÉ

san Bartolomeo scorticato. SculTura in marmO di marcO d’agraTe. duOmO di milanO, 1562.

I

mauro ranZani / scala, firenZe

n arte si chiama écorché ( “scuoiato”) quel dipinto o scultura di un essere vivente privo della pelle. Nel XVI secolo la confluenza della nuova anatomia promossa da Vesalio e l’interesse degli artisti rinascimentali per la perfetta rappresentazione anatomica dell’uomo favorì lo sviluppo dell’écorché, che ha il suo emblema in san Bartolomeo. Secondo la tradizione, questo apostolo fu martirizzato tramite scorticatura. Verrà rappresentato scuoiato, con un coltello in una mano e nell’altra la sua stessa pelle, come fece Michelangelo nella Cappella Sistina (1541), o con la pelle arrotolata e avvolta attorno al corpo, come lo raffigurò invece Marco d’Agrate in una scultura conservata nel duomo di Milano (1562).

STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

95


tavola dell’epitome, VerSiOne ridOTTa della Fabrica di VeSaliO. Si può Vedere unO ScheleTrO praTicamenTe priVO di muScOlaTura e, a Terra, un OcchiO e il cerVelleTTO. 1543. uniVerSiTà di cambridge.


cambridge university library


granger / album

Zante, capiTale dell’OmOnima iSOla greca , Sulle cui cOSTe VeSaliO mOrÌ nel 1564, a cinQuanT’anni.

matteo colombo / awl images

galeno, il primo anatomista Il medico greco, che visse nel II secolo d.C., è considerato il maggior anatomista dell’antichità. Ritratto del XVII secolo. Biblioteca della facoltà di medicina, Parigi. bridgeman / aci

in quest’ultima lingua avrebbe scritto le sue opere di anatomia. Nel 1533 Vesalio si trasferì all’università di Parigi, la Sorbona, nella cui facoltà di medicina si studiava un’anatomia per lo più teorica, ma veniva incoraggiata anche la pratica delle dissezioni. Vesalio ne eseguì molte, sia di pubbliche che di private. Per questo motivo era un ospite assiduo del cimitero degli Innocenti e del patibolo di Montfaucon, dove si procurava i cadaveri. Nel 1536, attratto dalla fama dell’anatomia che si studiava a Padova, si trasferì nella locale facoltà di medicina, dove il 5 dicembre del 1537 divenne dottore. Il giorno seguente, dopo aver condotto una brillante dissezione, fu nominato professore di chirurgia.

Toccate voi stessi A Padova Vesalio visse i suoi anni di gloria. Divenne uno dei migliori sezionatori del mondo e diede una straordinaria svolta all’insegnamento dell’anatomia. In primo luogo, era lui stesso a praticare le dissezioni, mentre

incoraggiava gli alunni stretti attorno a lui a fidarsi meno dei testi degli autori antichi, come Galeno, e più dei propri sensi: «Toccate voi stessi, con le vostre mani, e abbiate fiducia in loro» raccomandava. In secondo luogo, Vesalio lanciò un nuovo e spettacolare procedimento per insegnare anatomia: il disegno. Eseguì sei tavole anatomiche, accompagnate da didascalie sulle vene, l’aorta e lo scheletro, che furono pubblicate nel 1538. Queste tavole rappresentavano il germe del suo capolavoro: il De humani corporis fabrica (“Sulla struttura del corpo umano”), uscito nel 1543. I disegni di Vesalio coprono tutta l’anatomia umana: ossa e cartilagini, muscoli e legamenti, apparato circolatorio, nervi, organi addominali e genitali, torace, cervello e organi di senso. Il libro ebbe un enorme successo perché non esisteva niente di simile: grazie all’uso della prospettiva, Vesalio riuscì a dotare le sue illustrazioni di movimento. Per la prima volta era possibile osservare i disegni anatomici in tre dimensioni, il che risultò particolarmente utile a medici e artisti. Vesalio era un grande


la lEggEnDa nEra DI VESalIo

IL CUORE RIVELATORE

l

e ragioni che indussero Vesalio ad abbandonare la corte spagnola sono poco note. Il famoso chirurgo militare francese Ambroise Paré, suo contemporaneo, narra che una nobildonna (secondo altri si trattava invece di un gentiluomo) morì di una malattia le cui cause Vesalio non aveva potuto chiarire. Questi richiese l’autorizzazione per eseguire l’autopsia sul cadavere ma, quando aprì il corpo, i testimoni presenti credettero di veder battere il cuore della donna e corsero ad avvertire la famiglia. Vesalio dovette presentarsi davanti all’Inquisizione, che lo accusò di omicidio e lo condannò a morte. Ciononostante, Filippo II fece commutare la pena in un pellegrinaggio in Terra Santa. Questa leggenda è priva di fondamento e tutto sembra indicare che fu inventata da Paré, il miglior chirurgo francese, per invidia nei confronti della fama di Vesalio, cui si sommava l’odio verso un suddito di Filippo II, re di un paese nemico della Francia.

anatomista, ma passò alla storia per aver fatto dell’anatomia la regina delle scienze e una delle belle arti. Il libro fu molto apprezzato per le sue incomparabili immagini – opera di pittori della scuola di Tiziano, come Johannes Stephan van Calcar –, ma non per i suoi testi, scritti in un latino farraginoso. In ogni caso, va ricordato che, a differenza di ciò che si è più volte sostenuto, Vesalio non ruppe con l’anatomia di Galeno. Questo medico greco, che visse nel II secolo d.C. e fu al servizio di vari imperatori romani, era il maggior anatomista dell’antichità. In realtà i suoi contributi si basavano sulla dissezione di animali (soprattutto scimmie, per la loro somiglianza con l’uomo) e sulla vivisezione, da cui trasse osservazioni che poi applicò al corpo umano. Quando Vesalio studiò Galeno, nonostante fosse consapevole del fatto che il medico greco non aveva mai effettuato una dissezione di un corpo umano, ne apprezzò comunque la grande esperienza e la straordinaria conoscenza acquisita grazie allo studio dell’anatomia

animale. Vesalio stesso, inoltre, si dedicava anche allo studio di altre specie. In varie illustrazioni della Fabrica dedicate alla muscolatura umana, per esempio, appaiono muscoli di cane. E, come aveva fatto Galeno 1200 anni prima, anche Vesalio vivisezionò una scrofa per poterne studiare le funzioni vitali. A partire dal 1543 è come se Vesalio avesse perso la sua ispirazione anatomica. Divenne medico di Carlo V e nel 1559 entrò al servizio di Filippo II, ma il suo lavoro si limitò al personale fiammingo della corte. Probabilmente non si trovava bene presso i reali spagnoli, perché nel 1564 lasciò l’incarico per recarsi in Terra Santa, per motivi non del tutto chiari. Si è parlato di una specie di depressione. In ogni caso, Vesalio arrivò a Gerusalemme, ma si ammalò durante il viaggio di ritorno. Morì il 2 ottobre dello stesso anno, al suo arrivo sull’isola greca di Zante. Qui fu sepolto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, che in seguito fu distrutta da un terremoto.

VISITA DAVANTI AL LETTO DEL RE

Enrico II di Francia morì nel 1559 a causa della ferita ricevuta in un torneo: una lancia gli perforò un occhio. Furono chiamati a curarlo Ambroise Paré e Vesalio, i migliori chirurghi dell’epoca, che compaiono in piedi dietro al tavolo.

juSTO hernández, università di la laguna

STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

99


UNo sGUaRDo al CoRPo Il frontespizio della Fabrica di Vesalio celebra la nuova anatomia, che deve basarsi sulla dissezione del corpo umano. Ma Vesalio non procede sempre così: molte figure della sua opera, come quella qui sotto, rappresentano elementi di anatomia animale. tavola vi dei muScOli. SullO SFOndO Si Vede una ciTTà. de humani cOrpOre Fabrica. baSilea, 1543.

Nei cani questi muscoli arrivano fino alla clavicola, ma negli esseri umani arrivano solo alle costole inferiori..

1 L’A NFIT EA T RO A NA T O MIC O In alto si può vedere lo stemma di Vesalio: tre donnole (in tedesco Wiesel significa “donnola”). È una struttura grandiosa, quasi onirica. Ci sono persone di ogni classe e condizione, non solo studenti: l’anatomia è pubblica, per tutti.

2 U NO S C H ELET RO Domina la lezione di anatomia. Può rappresentare la fugacità della vita o il fatto che il fondamento dell’anatomia è il corpo umano. L’anfiteatro indica che l’anatomia è la regina delle scienze e che non c’è separazione tra la scienza e l’arte.

3 IL C A D A V ERE FEMMINILE Al centro della scena, rappresenta l’arroganza di Vesalio: i corpi femminili erano infatti difficili da ottenere, perché non era abituale impiccare donne. Vesalio ne indica l’addome: le dissezioni iniziavano in questa zona, perché era la prima a decomporsi.

4 IND IC E IN A LT O Mentre introduce un separatore nel ventre con la mano destra, Vesalio alza l’indice della mano sinistra: un gesto con cui richiede che gli si presti attenzione. O forse indica piuttosto Dio, di cui l’uomo è fatto a immagine e somiglianza.

5 D U E C H IRU RG H I

I muscoli addominali anteriori che si inseriscono nella pelvi sono qui disposti come nei cani.

Sotto il tavolo di dissezione ci sono due chirurghi intenti a litigare, forse perché hanno perso il lavoro: Vesalio non ha bisogno di aiutanti. Accanto a loro, alcuni grandi saggi dell’antichità (Galeno, Aristotele) in tunica.

6 LA S C IMMIA Una scimmia incatenata distrae uno studente. È un riferimento a Galeno, le cui dissezioni sulle scimmie lo portarono a sbagliare in merito all’anatomia umana. Lo studente cerca di liberarsi dell’animale: la nuova anatomia si basa sui cadaveri umani.

7 IL C A NE

edinburgH university library / bridgeman / aci

Un personaggio – forse Realdo Colombo, discepolo di Vesalio – allontana un cane, perché l’anatomia deve fondarsi sulla dissezione umana. Ma è anche un’allusione a Vesalio, che ha inserito muscoli canini nelle immagini del corpo umano.

8 NU D O E V ES T IT O L’opposizione tra due epoche viene evocata tramite un personaggio nudo, che rappresenta il vecchio sapere, e un altro elegantemente vestito, simbolo della nuova scienza. Entrambi osservano Vesalio da sopra la folla.


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5 7 vesalio praTica una diSSeziOne. FrOnTeSpiziO della Fabrica. granger / album


la corsa di aMUNdsEN E scott

LA CONQUISTA Nel 1911 un norvegese e un britannico si addentrarono nell’immensità del continente


solE di MEZZaNottE

Un giorno di novembre in Antartide. La marcia di Amundsen e Scott era resa ancor più difficile dalla luce solare quasi perpetua, che provoca la cecità da neve. nature picture library / alamy / aci

DEL POLO SUD antartico nella sfida per la conquista dell’estremo sud del pianeta


la ForZa di UN soGNo

Roald Amundsen sognava fin da piccolo di arrivare al Polo Nord. «Ed eccomi qui, al Polo Sud», scrisse quando raggiunse il punto più meridionale del pianeta. ALBum

I

l 15 giugno del 1910 tutta l’Inghilterra salutava infervorata la partenza della Terra Nova, la nave che salpava alla volta dell’Antartide per conquistare il Polo Sud. Mai nella storia dell’esplorazione si era percepito un clima così fiducioso nel raggiungimento dell’obiettivo di una spedizione: il capitano Robert Falcon Scott disponeva dei materiali più moderni, gran parte dell’equipaggio aveva già esperienza ai poli e quattro quinti dell’itinerario erano già stati esplorati, due anni prima, dal suo compatriota Ernest Shackleton. Tutto sembrava pronto perché Scott diventasse il primo a raggiungere una meta tanto attesa, l’unico punto geografico significativo della Terra su cui l’uomo non aveva

L’uLtima frontiera

104 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

ancora messo piede. Ma il 12 ottobre il capitano ricevette un telegramma dal contenuto enigmatico: «Parto per l’Antartide». Queste poche parole scatenarono una sequenza di eventi che avrebbero finito per fargli perdere non solo la corsa al polo, ma la vita stessa.

Entra in scena un concorrente Il misterioso telegramma proveniva da Roald Amundsen, un norvegese che era diventato famoso per essere riuscito ad attraversare in nave il mitico Passaggio a Nord-Ovest che unisce l’oceano Atlantico con il Pacifico attraverso il nord del continente americano. Una rotta tra i ghiacci che nel corso di tre secoli i più esperti navigatori avevano cer-

4/14–1–1911

19/24–10-1911

17–1–1912

LE DUE spedizioni raggiungono

I DUE GRUPPI partono con cin-

scott RAGGIUNGE il Polo Sud

la stessa zona dell’Antartide, la barriera di Ross, dove installano le rispettive basi, la Scott’s Hut e la Framheim, a 800 chilometri di distanza l’una dall’altra.

que giorni di differenza (i norvegesi per primi) in direzione del polo. Dovranno percorrere approssimativamente 1.500 chilometri di marcia estenuante.

e trova la bandiera e la tenda dei norvegesi, che erano arrivati il 14 dicembre. Amundsen attraversa la piattaforma di ghiaccio di ritorno verso la Framheim.


UNa barriEra iNsorMoNtabilE

L’Antartide è un continente quasi inaccessibile. Grandi blocchi di ghiaccio, come quelli dell’immagine, ostacolano la navigazione nel mare di Ross. jonathan & angela scott / awl images

29–3–1912 scott e due membri del suo

equipaggio, intrappolati da una tormenta, muoiono di fame e di freddo a 18 chilometri da un deposito di viveri. In precedenza erano morti altri due compagni.


prEparati pEr il FrEddo

BridgemAn / ACi

Nella spedizione di Scott del 1910 furono usati questo termometro (con una scala da -62 a 6 °C), barometro e bussola.

cato, invano, di localizzare. Amundsen era nato in una prospera famiglia di armatori e fin da piccolo aveva subito il fascino delle regioni polari e aveva sognato di essere il primo a raggiungere il Polo Nord. Così, già da adolescente aveva iniziato a prepararsi per portare a termine quest’impresa. Era uno sportivo provetto e un esperto sciatore. I quasi tre anni che impiegò per concludere la traversata del Passaggio a Nord-Ovest gli permisero di entrare in contatto con gli eschimesi. Da loro apprese le tecniche millenarie per sopravvivere in quel mondo di ghiaccio e di neve al quale agli occidentali costava tanto adattarsi. In un primo tempo Amundsen pensò di applicare tutte queste conoscenze nell’ambito di una spedizione di ricerca nell’Artico, con cui sperava di realizzare il tanto agognato sogno di raggiungere il Polo Nord. Ma nel 1909 scoprì di essere stato preceduto. Due esploratori statunitensi, Robert Peary e Frederick Cook, rivendicavano di essere stati i primi a compiere l’impresa, accusandosi reciprocamente di mentire. In quel

contesto confuso Amundsen comprese che la sua spedizione doveva cambiare obiettivo. Fu allora che, come disse più tardi, iniziò a «guardare verso il Polo Sud». Nel segreto più assoluto, senza informare né i suoi uomini, né i suoi finanziatori, né il suo governo, Amundsen fece rotta verso l’Antartide. Voleva anticipare i britannici, che stavano mettendo a punto una spedizione per conquistare il Polo Sud. Fu suo fratello a spedire quel laconico telegramma quando Amundsen salpò da Madeira verso l’Antartide. Seguì una rotta senza scali per isolarsi dal mondo (la nave non aveva radio) ed evitare così che i suoi finanziatori o il governo provassero a fermarlo.

Un uomo e il suo destino: Scott Scott era un promettente ufficiale della Marina britannica che nel 1901, a soli 31 anni, era stato scelto per dirigere la spedizione in Antartide organizzata dalla Royal Geographic Society. Come avrebbe riconosciuto lui stesso, non aveva mai nutrito una particolare predilezione per le regioni polari – a differenza di Amundsen – e quel viaggio gli cambiò la vita. La particolare bellezza di quel mondo di ghiacci, le esperienze di esplorazione e le

The STApLeTon CoLLeCTion / BridgemAn / ACi

Il capItano scott lavora nella base britannica durante l’inverno precedente alla partenza per il polo. la base era in una zona giÀ utilizzata da altre spedizioni britanniche.


la tErra Nova iN aNtartidE

Il fotografo della spedizione britannica, Herbert Ponting, scattò questa foto della Terra Nova dalla grotta di un iceberg nel 1911, prima che la nave lasciasse Scott in Antartide per poi andare a svernare in Nuova Zelanda. the stapleton collection / bridgeman / aci


Isole Sandwich Australi

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all’inizio del xx secolo l’Antartide era un luogo praticamente irraggiungibile per la sua posizione – è a mille chilometri dal punto continentale più vicino – e per le masse di ghiaccio che lo circondano. Il continente occupa 14 milioni di km2, anche se in inverno il ghiaccio può raggiungere un’estensione di 20 milioni di km2. Questa barriera gelata si apre solamente nel corso dei due mesi di estate australe, tra gennaio e marzo. In questo intervallo di tempo le navi di Amundsen e Scott dovevano arrivare, sbarcare e ripartire; da quel momento le spedizioni rimanevano isolate.

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The STApLeTon CoLLeCTion / BridgemAn / ACi

I brItannIcI festeggiano il solstizio d’inverno il 22 giugno 1911 con regali, un albero e una cena a base di zuppa di foca, arrosto e champagne.

UN FocolarE pEr il polo

BridgemAn / ACi

Fornelletto Primus Nº. 5, a tre gambe, fabbricato in Svezia e utilizzato dai britannici. Scott Polar Research Institute, Cambridge.

110 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

possibilità di ascesa sociale esercitarono un fascino irresistibile sul suo animo, inducendolo a rivolgersi verso il territorio gelato. Poco dopo il fallimento del suo compatriota Ernest Shackleton, il cui tentativo di raggiungere il Polo Sud si era fermato a 180 chilometri dall’obiettivo (dopo una spedizione che si era protratta per ben due anni, dal 1907 al 1909), Robert F. Scott decise di organizzare la propria traversata. Non gli fu difficile convincere la società britannica del suo progetto. I rovesci militari della seconda guerra boera (1899-1902) avevano lasciato un retrogusto amaro nella popolazione, la quale temeva che lo spirito che aveva reso grande l’impero fosse ormai in declino. L’esplorazione polare e le imprese del loro compatriota in questo campo erano vissute come una rinascita dei valori britannici: determinazione, coraggio, solidarietà, sacrificio… Per questo non sorprende che oltre ottomila volontari si fossero offerti di accompagnare Scott e si fossero organizzate collette per raccogliere fondi. Si racconta che persino molti bambini avrebbero rotto i loro sal-

vadanai per contribuire alla grande avventura. In questo contesto di esaltazione nazionale in pochi videro una minaccia nel telegramma che annunciava a Scott la presenza di un concorrente. Ma quel messaggio diede avvio a una gara tra due squadre destinata a diventare un tragico duello, uno degli episodi più drammatici della storia delle esplorazioni.

Sfida ai confini della Terra La spedizione norvegese e quella britannica si svolsero praticamente in parallelo. Se gli inglesi erano salpati con la Terra Nova nel giugno del 1910, i norvegesi partirono il 9 agosto a bordo della Fram (‘avanti’ in norvegese). La Terra Nova fece scalo in Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda, mentre la Fram fece una rotta diretta da Madeira. Dopo sei mesi di navigazione, il 4 gennaio del 1911, Scott stabilì la sua base sulla barriera di Ross, la più grande piattaforma glaciale dell’Antartide. Amundsen, invece, arrivò dieci giorni più tardi e – quasi volesse aggiungere ulteriori emozioni alla sfida – decise di installarsi in una zona relativamente vicina a quella dei britannici, ovvero la cosiddetta baia delle Balene. Con una scommessa arrischiata, il norvegese decise di insediarsi su una piattaforma di


il vUlcaNo più MEridioNalE

Il monte Erebus (sul fondo) è il vulcano attivo più a sud di tutto il pianeta. Un uomo della spedizione di Scott e la sua slitta appaiono minuscoli tra i blocchi di ghiaccio. granger / bridgeman / aci


Un cavallo deLLA Spedizione di SCoTT Si roToLA neLLA neVe durAnTe L’eSTATe AuSTrALe deL 1911. queSTi AnimALi Si riVeLArono inAdATTi ALLA TrAVerSATA deL poLo.

di provviste da una tonnellata a 79º 30’ di latitudine sud, i norvegesi montavano tre depositi, per un totale di quasi il triplo di provviste. L’ultimo di questi era situato sul parallelo 82 sud, quasi 300 chilometri più vicino al polo rispetto a quello degli avversari. Quando tutto fu pronto e si concluse l’estate antartica, verso la fine di marzo, le due squadre si chiusero nei rispettivi rifugi in attesa delle condizioni meteorologiche propizie, che si sarebbero ripresentate solo sei mesi più tardi. La lunga notte invernale, con temperature medie di 20 gradi sotto zero e minime inferiori ai 40, trascorse con snervante lentezza per entrambi i gruppi. Tutti attendevano il ritorno del sole per iniziare la marcia che li avrebbe lanciati nella storia o condannati all’oblio della sconfitta. La vittoria avrebbe portato fama e gloria al leader del gruppo vincitore, ma anche riconoscimento sociale e un vitalizio al resto dei membri.

cUrarE lE FEritE

Sotto, un kit di primo soccorso della spedizione di Amundsen da usare in caso di incidenti.

ChriSTie’S imAgeS / BridgemAn / ACi

112 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

ghiaccio che, secondo i suoi avversari, poteva staccarsi da un momento all’altro. Ma questo gli diede un vantaggio di 100 chilometri – una distanza da non sottovalutare se si considera che il percorso totale fino al polo era di circa 1.400 chilometri. Una volta in Antartide, in piena estate australe, inglesi e norvegesi montarono le proprie basi (rispettivamente, la Scott’s Hut e la Framheim) e si addentrarono in quel deserto di ghiaccio per costruire depositi di viveri e combustibile. Questi avrebbero garantito l’approvvigionamento durante la grande marcia della primavera successiva, che nell’emisfero sud va da settembre a dicembre. Quel primo battesimo della neve mise in evidenza i vantaggi del sistema di trasporto norvegese, le cui slitte erano trainate da cani, ben più adatti all’ambiente polare rispetto ai cavalli siberiani scelti da Scott. Questo ebbe ripercussioni sulla quantità di provviste che gli uni e gli altri poterono trasportare. Così, mentre i britannici installavano un grande deposito

Il 19 ottobre Amundsen, non potendo sopportare oltre la tensione dell’attesa, decise di mettersi in marcia con cinque uomini e quattro slitte, ognuna trainata da 13 cani. Come se avesse sentito lo stesso segnale di avvio, solamente cinque giorni più tardi Scott fece partire l’avanguardia della sua squadra: quattro uomini e due slitte a motore che trasportavano tre tonnellate di materiali e di alimenti. Altri 12 uomini e 10 cavalli del gruppo principale, con Scott in testa, iniziarono a muoversi il primo novembre. Nei giorni seguenti le due comitive avanzarono su una superficie bianca e desolata, priva di qualsiasi elemento che potesse favorire l’orientamento: in tutte le direzioni si estendeva la stessa pianura innevata. I norvegesi, grazie agli sci, seguivano l’andatura dei cani, che procedevano rapidamente in quello che era il loro elemento naturale. Amundsen, prudente, sapendo che aveva davanti una gara di resistenza, non faceva più di 27 chilometri al giorno – distanza che considerava sufficiente per raggiungere il suo obiettivo prima dei suoi avversari. Alla fine di ogni giornata, uomini e cani non sembravano accusare la minima stanchezza. Dal lato britannico, invece, la situazione non era così rosea. I motori delle slitte si erano rotti già prima della partenza di Scott, e i

VirginiA W. mASon / ngS

Comincia la corsa mArY eVAnS / SCALA, Firenze


SPEDIZIONE DI AMUNDSEN

SPEDIZIONE DI SCOTT

Prima partenza: 8 settembre 1911 Partenza definitiva: 20 ottobre 1911 Circa 1.300 chilometri al Polo Sud

Partenza: 1 novembre 1911 Circa 1.400 chilometri al Polo Sud

180°

160°E

McMurdo Sound Capo Evans

M A R E DI RO S S Isola di Ross CAMPO BASE DI SCOTT

Deposito 1 tonnellata

Limite della ca p

Scott morì qui a fine marzo 1912 durante il viaggio di ritorno.

15 nov., 1911

pa di ghia

160°0

ccio

Baia delle Balene CAMPO BASE DI AMUNDSEN

80°S

Deposito 80°

Durante i viaggi si misero da parte viveri nei depositi.

26 nov.

Monte Hope

23 ott, 1911

30 ott.

82° BA R R I E R A D I RO S S

1 dic.

Framheim

5 nov.

4-8 dic.

9 nov.

84°

9 dic.

13 nov.

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4.070 m

21 nov.

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31 dic.

A L T O P I A N 4 dic. O

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AN TA RT IC O Amundsen registra il punto più elevato del viaggio.

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I

AREA AMPLIATA

7 dic.

Polo Sud ANTARTIDE

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A LT O P I

A

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Punto più a sud a cui era arrivato Shackleton. 9 gennaio 1909.

17 nov.

LL

27 nov. Monte

Gh 29 nov. iac cia io d el Dia volo

3.376 m

Deposito principale

DE

Ghiacciaio Axel Heiberg

86°

16 nov.

E

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GN

Ghiacciaio Beardmore

M Monte Fridtjof Nansen

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21 dic.

8 dic.

ANO ANTARTICO

E D WA R D V I I 13 gen.

11 dic.

A LT O P I A N O A N T A R T I C O

HAAKON VII

ARRIVO DI SCOTT 17 gennaio 1912

ARRIVO DI AMUNDSEN 14 dicembre 1911

Polo Sud 2.835 m

La GranDe CorSa il percorso fino al polo sud era costituito da tre tratti distinti. Il primo consisteva in circa 600 chilometri sulla barriera di Ross, una superficie di ghiaccio e neve perfettamente piatta. Per accedere al continente propriamente detto bisognava quindi attraversare i monti Transantartici, un tratto di circa 200 chilometri in salita. Fu in questa fase che i percorsi inglesi e norvegesi si differenziarono di più: Scott attraversò il ghiacciaio Beardmore, un percorso aperto da Shackleton, mentre Amundsen decise di avventurarsi in una zona fino ad allora inesplorata, senza sapere se oltre le montagne avrebbe trovato un’uscita. L’ultimo tratto proseguiva per 500 chilometri sull’altopiano polare, fino alla meta.


i vivEri pEr la MissioNE

Entrambe le spedizioni dovevano portarsi dietro i viveri per vari mesi. Il pemmican (una preparazione a base di carne essiccata) era un alimento altamente calorico.

Brid

gem

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AC i

114 STORICA nATIOnAl geOgRAphIC

loro resti metallici erano stati abbandonati sul continente come scheletri di esseri sconosciuti. I cavalli, poco adatti a procedere su quel tipo di superficie, continuavano ad affondare nella neve, rallentando ulteriormente una marcia già non veloce. Come se non bastasse, le tempeste di vento e neve, che i cani erano in grado di sopportare, stremavano i cavalli e costringevano il gruppo a interrompere la marcia. La distanza tra le due spedizioni non faceva altro che aumentare. Dopo un mese dall’inizio della corsa i norvegesi avevano già 500 chilometri di vantaggio sugli inglesi. Dopo aver percorso 600 chilometri su una superficie di ghiaccio perfettamente piana, le due spedizioni raggiunsero i monti Transantartici, una catena di ghiacciai che svettava fino a raggiungere l’altopiano polare, a tremila metri sul livello del mare. I norvegesi effettuarono l’ascesa attraverso un

BridgemAn / ACi

lE provvIstE della spedizione norvegese in un magazzino improvvisato, costruito nella framheim approfittando della neve che ricopriva la base in inverno.

passaggio inesplorato. Per una settimana continuarono a salire e a scendere ghiacciai, sottoponendo a un terribile supplizio i loro cani, metà dei quali morirono. Le cose non si rivelarono facili neppure per i britannici, nonostante procedessero sulla rotta aperta da Shackleton anni prima. Dato che tutti i cavalli erano morti, i membri della spedizione furono costretti a trainare loro stessi le pesanti slitte lungo i 400 chilometri di un interminabile pendio. Un compito estenuante, che richiese alla squadra il doppio del tempo rispetto ai rivali.

La Norvegia conquista il polo Una volta raggiunto l’altopiano, Amundsen mantenne un ritmo costante di 27 chilometri giornalieri, il che gli permise di completare il percorso in altre tre settimane. Il 14 dicembre, alle tre del pomeriggio, i cinque norvegesi piantarono contemporaneamente la bandiera del loro Paese nel punto più meridionale del pianeta. Avevano vinto. In quel momento i britannici stavano ancora risalendo i ghiacciai, 600 chilometri più indietro. Per alcuni giorni i norvegesi si riposarono al polo. Amundsen montò una tenda che dimostrava il loro arrivo. All’interno


iL Diario Di SCott

popperFoTo / geTTY imAgeS

scEnE DElla spEDIzIonE DI scott. A deSTrA, iL diSegno Tre uomini in unA TendA, operA di e.A. WiLSon, primi deL xx SeCoLo. SCoTT poLAr reSeArCh inSTiTuTe, CAmBridge.

BridgemAn / ACi

«se fossimo sopravvissuti, avrei potuto raccontare una storia sull’audacia, la forza d’animo e il coraggio dei miei compagni. Una storia che avrebbe commosso il cuore degli inglesi. Saranno invece questi appunti improvvisati e i nostri corpi a raccontarla». Il diario del capitano Scott costituisce la drammatica testimonianza degli ultimi momenti dell’esploratore e dei suoi uomini di fronte a una morte certa. Nonostante le tragiche circostanze in cui fu scritto, il diario del capitano britannico è di una bellezza letteraria commovente: «È spaventoso. Ormai non riesco più a scrivere», si può leggere nelle ultime righe, del 29 marzo. In un’epoca in cui ancora non esisteva l’assistenza sociale dei nostri giorni, le sue ultime parole sono una straziante richiesta di aiuto per i suoi familiari: «Per amor di Dio, prendetevi cura dei nostri cari».

alcUnI UomInI monTAno unA TendA SuLLA BArrierA di roSS, ALL’inizio deL perCorSo, in unA FoTo SCATTATA dA BoWerS.


InsIEmE al DIarIo DI scott furono rinvenute delle lettere dirette a varie persone. nell’immagine, testi datati marzo 1912, quando scott ormai sapeva che stava per morire.

peTer mACdiArmid / geTTY imAgeS

tenda norvegese, si fecero una foto e iniziarono il ritorno, questa volta con l’amarezza della sconfitta. Nel bagaglio di Scott, la lettera che gli aveva lasciato Amundsen – testimonianza del suo fallimento – pesava più di tutto il resto dell’attrezzatura. Il rientro dei norvegesi si svolse a una velocità spettacolare e senza alcun contrattempo arrivarono alla base il 25 gennaio. Ai britannici, invece, andò tutto per il verso sbagliato. Il tempo peggiorò, furono costretti a rallentare e finirono per trovarsi senza alimenti. Uno dei membri della spedizione fu colpito da un edema cerebrale e i compagni non poterono far altro che guardarlo agonizzare. Alcuni giorni dopo un altro membro, vedendo che i suoi piedi congelati rallentavano ulteriormente la marcia del gruppo, si alzò al mattino e uscì dalla tenda nel mezzo di una bufera dicendo: «Potrei metterci un po’a tornare». Tutti compresero che non l’avrebbe fatto. Fu un sacrificio coraggioso che mise i compagni nelle condizioni di salvarsi.

«La morte non può essere lontana» UN aiUto alla NaviGaZioNE

Roald Amundsen usò questo orologio da taschino a bordo del Maud (1918-24), mentre cercava di completare la circumnavigazione del Polo Nord.

BridgemAn / ACi

lasciò un resoconto del viaggio, insieme a una lettera diretta a Scott, in cui gli chiedeva di consegnare il rapporto al re di Norvegia nel caso gli fosse successo qualcosa lungo il cammino di ritorno. Nel frattempo, i britannici continuavano a spingere le slitte su e giù per i ghiacciai, sempre a 600 chilometri di distanza. Nel cammino di ritorno i norvegesi si incrociarono con i britannici sull’87° sud, ma senza riuscire a vedersi, perché in quel punto le loro rotte erano separate da più di 100 chilometri. Lungo una di esse, cinque norvegesi tornavano vittoriosi; lungo l’altra, cinque britannici – al momento di giungere sull’altopiano polare la squadra si era ridotta a quelle dimensioni – erano ancora convinti di arrivare per primi. Qualche giorno dopo, quando mancavano 15 chilometri scarsi all’agognato obiettivo, le speranze di Scott e dei suoi uomini svanirono bruscamente. Trovarono infatti una delle bandierine usate dai norvegesi per segnare il cammino. «È accaduto il peggio (…). Ci hanno superato (…). Mi spiace per i miei fedeli compagni», appuntò Scott sul suo diario. Il giorno dopo trovarono la

I sopravvissuti continuarono ad avanzare e, nonostante le difficoltà, riuscirono ad arrivare a 18 chilometri dal deposito dove avevano lasciato una tonnellata di rifornimenti. Avevano ancora viveri per tre giorni e sembrava che ce la potessero fare. Ma, sfortunatamente, una tempesta di vento e neve li costrinse a fermarsi nella tenda per nove giorni. Senza cibo, né acqua, né combustibile, i loro organismi erano ormai allo stremo. Consapevole del fatto che ormai tutto era perduto, Scott affidò al suo diario la testimonianza del coraggio di quegli uomini che stavano per affrontare la fine. «La morte non può essere lontana» scrisse nelle ultime righe. Intanto Amundsen, ignaro del dramma, stava salpando per l’Australia, dove avrebbe informato il mondo della sua vittoria e avrebbe ricevuto congratulazioni da ogni angolo del pianeta. Solamente il novembre successivo gli altri britannici avrebbero trovato i corpi dei loro tre compagni insieme al diario di Scott, che avrebbe commosso il mondo e contribuito alla loro leggenda. Anche se il vincitore della corsa era stato uno, la gloria l’avrebbero raggiunta entrambi. javier cacho. SCienziATo e SCriTTore. AuTore di AmundSen–SCoTT: dueLLo in AnTArTide


MissioNE coMpiUta

Uno degli uomini della spedizione di Roald Amundsen posa con la bandiera norvegese accanto a una slitta carica di provviste e ad alcuni dei cani groenlandesi usati durante il viaggio. ken welsh / bridgeman / aci


Le raGioni Di SuCCeSSo e faLLimento La sfida tra Amundsen e Scott per arrivare primi al Polo Sud fu un duello tra due uomini e due nazioni. Ma si trattò anche di una competizione tra due metodi di esplorazione diversi, in cui paradossalmente l’approccio tradizionale del norvegese Amundsen si impose sulla moderna tecnologia usata dal brittanico Scott. FIschIEtto IntaglIato In osso uSATo dA AmundSen neLLe Sue Spedizioni ArTiChe.

L’attrezzatura motorizzata britannica fu la grande novità tecnologica, ma i cingoli non resistettero alla durezza dell’ambiente antartico.

La squadra e il materiale scelti da ciascuno degli esploratori illustrano le differenti caratteristiche delle rispettive spedizioni. SQUADRA DI AMUNDSEN

Sopravvissuti

Morti

SQUADRA DI SCOTT

Com’era previsto, questi uomini rientrarono prima di arrivare al Polo Sud.

FOTO: BridgemAn / ACi. ILLUSTRAZIONE: ngS

118 hISTORIA nATIOnAl geOgRAphIC

Non si conosce il numero totale di slitte. Due furono riportate indietro dagli uomini che tornarono.


1

L a scOMMEssa DI aMunDsEn

Amundsen aveva imparato dagli eschimesi a vestirsi con pelli di animali. Queste, anche se più pesanti, mantenevano costante il calore del corpo. La ridotta squadra norvegese era formata da esperti sciatori e abili conduttori di slitte. La scelta dei cani come animali da traino fu azzeccata, perché sopportavano il freddo senza problemi (la neve che li ricopriva fungeva da isolante) e non era necessario portare cibo per loro, perché mangiavano carne di pinguino o di foca. In alcuni casi fu necessario sacrificare il più debole per nutrire gli altri.

Recipiente per accendere fiammiferi, resistente all’umidità, usato dai membri della spedizione norvegese.

2

GLI ERRORI DI scOt t

I britannici usavano indumenti di lana e un nuovo tessuto impermeabile e traspirante, commercializzato con il nome di Burberry. Le pelli erano utilizzate solamente per i guanti e gli stivali. Gli uomini di Scott, a malapena capaci di sciare, usavano i cavalli siberiani per il traino delle slitte. Ma questi animali avanzavano lentamente, soffrivano il freddo e dovevano essere nutriti con tonnellate di foraggio. Le slitte meccaniche britanniche rappresentarono una novità assoluta – anni più tardi se ne sarebbe dimostrata l’utilità – ma si ruppero praticamente subito.

es pot moure la flecha? Furono l’esperienza dei norvegesi con gli sci e la rapidità dei cani a decidere la sfida.

Tutti i cani sopravvissuti furono riportati indietro dai membri della squadra.

hISTORIA nATIOnAl geOgRAphIC

119


grandi ENIGMI

Principe o mendicante: il caso di Kaspar Hauser

I

l lunedì di Pentecoste del 1828, verso le cinque di pomeriggio, apparve a Norimberga un giovane dall’aspetto trasandato, che camminava con difficoltà. Continuava a balbettare la stessa frase: «Voglio diventare un cavaliere come mio padre». Aveva con sé una lettera in cui si diceva che il ragazzo voleva servire il re, e un messaggio scritto a mano da sua madre quando aveva abbandonato il bambino, appena nato. Il giovane veniva identificato come Kaspar, figlio di una domestica e di un soldato di cavalleria e veniva chiesto di prendersi cura di lui fino al compimento dei

17 anni, quando avrebbe dovuto essere mandato nella cavalleria.

Messaggio misterioso All’inizio il ragazzo riusciva a malapena a esprimersi. Quando cominciò a parlare confermò di chiamarsi Kaspar Hauser e raccontò di aver passato tutta la vita rinchiuso in una cella in cui c’erano solo un pagliericcio e un cavalluccio di legno. Era stato alimentato esclusivamente a pane e acqua. L’unico essere umano con cui aveva avuto contatto era un uomo con il volto coperto, che gli aveva insegnato a camminare, a scrivere il suo nome e a ripetere la frase del cavaliere. Anche se non ri-

scontrarono segni di follia né di ritardo mentale, i medici confermarono che Kaspar non era adeguatamente sviluppato per la sua età. Osservarono anche delle anomalie fisiche nel bacino e nelle gambe, da cui dedussero che doveva aver passato molti anni seduto. Individuarono anche un segno del vaccino contro il vaiolo, che veniva somministrato solo ai bambini delle classi privilegiate. Lo strano caso attirò nella città bavarese un viavai di persone interessate a quell’essere innocente cresciuto ai margini della civiltà. Le autorità lo posero sotto la tutela di Georg Friedrich Daumer, un poeta e

BAMBINO ABBANDONATO LA LETTERA che aveva con sé Kaspar Hauser (qui

accanto) al suo arrivo a Norimberga era scritta in una grafia incerta e in un tedesco pieno di errori. Recitava: «Il bambino è già stato battezzato. Si chiama Kaspar […] Vi supplico di prendervi cura di lui fino ai 17 anni. È nato il 30 aprile del 1812, sono una ragazza povera, non riesco a sfamarlo. Il padre è morto». akg / album

alinari archives / getty images

I sospetti circa l’identità di un giovane che comparve nel 1828 senza quasi saper parlare puntavano verso la famiglia reale di Baden

IL FIUME PEGNITZ, che attraversa Norimberga, la città in cui comparve Hauser. Fotografia di metà del XIX secolo.

occultista che sognava una nuova religione e vedeva in Hauser un emissario di Dio «puro come la luce». Daumer insegnò a Kaspar a leggere, scrivere, dipingere e giocare a scacchi, e lo spinse a scrivere tutto ciò che ricordava del suo passato. Lo sottopose anche a una lunga serie di esperimenti di omeopatia e magnetismo, allora molto popolari. Ma gli avvenimenti inspiegabili non erano ancora terminati. Il 17 ottobre 1829 Hauser


L’INCONTRO

Affidato a un lord In quegli anni l’inglese Philip Henry, quarto conte di Stanhope, in visita alla città, si interessò vivamente allo stato di Kaspar. Donò 500

ducati per il bene del giovane e lo ricoprì di attenzione e di regali, perché era estremamente interessato a chiarire il mistero della sua origine. Henry ottenne l’affidamento del ragazzo e si trasferì con lui nella vicina Ansbach. Ma lì il britannico sentì che non si facevano progressi e cominciò a dubitare della credibilità del suo protetto. Alla fine se ne andò, affidando il giovane alle cure di un professore, Johann Georg Meyer. Poco

karger-decker / age fotostock

venne ritrovato nel seminterrato della casa di Daumer con una ferita alla testa: raccontò che un uomo vestito di nero lo aveva attaccato con un pugnale e che gli era parso di riconoscere la voce dell’individuo che lo aveva portato a Norimberga.

QUANDO KASPAR arrivò a Unschlittplatz vestito «alla contadina, con una redingote senza falde, una sciarpa rossa e degli stivali alti», il calzolaio Weikmann lo portò dal capitano del quarto squadrone del sesto reggimento dei Dragoni di Norimberga, come richiesto dalla lettera che il giovane recava con sé.

sTOrIcA NATIONAl geOgrAPHIc

121


grandi ENIGMI

dea / album

KASPAR HAUSER ebbe vari tutori tra il 1829 e il 1833. Questo disegno

d’epoca lo ritrae in casa del primo di loro, Georg Daumer.

dopo si verificò un altro fatto strano. Il 14 dicembre del 1833, alcuni giorni dopo una forte discussione con Meyer, Kaspar fu visto uscire di corsa dal palazzo di Ansbach, dove lavorava, per dirigersi verso casa. Qui mostrò a Meyer una ferita sanguinante sul petto. Secondo Hauser, un uo-

mo – anche in questo caso vestito di nero – gli si era avvicinato con la scusa di dargli una borsa e lo aveva accoltellato. La ferita risultò fatale e Kaspar morì il 17 dicembre. La polizia trovò sul luogo dei fatti una borsa con un messaggio scritto specularmente, in cui l’aggressore si firmava M.L.Ö. Le incongruenze della versione di Hauser e il fatto che

il messaggio contenesse un errore grammaticale e uno ortografico che il ragazzo commetteva di frequente spinsero a ritenere che fosse stato lui stesso a ferirsi. Tre dei medici che eseguirono l’autopsia affermarono che si trattava di lesioni autoinflitte, mentre un altro sostenne che erano state provocate da una mano estranea. Ancora oggi nessuno

Si vociferava che Kaspar fosse vittima di un intrigo contro il ramo legittimo del trono di Baden CARLO II. granduca di baden (1786-1818). bridgeman / aci

sa chi fosse Kaspar, dove nacque né chi lo uccise. La teoria più diffusa fin dall’inizio voleva che si trattasse del figlio ed erede di Carlo II di Baden e di Stefania di Beauharnais, granduchi di Baden: era quanto si sosteneva in una lettera anonima recapitata a Norimberga poco dopo l’arrivo di Hauser.

Scambio alla nascita Nel 1812 Carlo e Stefania di Baden avevano avuto un figlio maschio che era deceduto dopo qualche settimana. Questo aveva permesso che alla morte di Carlo II ascendesse al trono il suo fratellastro, Leopoldo I, nonostante


hans georg roth / getty images

MARTIN-LUTHER-PLATZ, ad Ansbach, con la chiesa di san Gumberto sullo sfondo. In questa città Hauser visse per due anni, sino alla sua morte alla fine del 1833.

fosse originariamente privo di diritti dinastici, in quanto sua madre era una nobile di rango inferiore. Sarebbe stata proprio la madre di Leopoldo I che al momento della nascita dell’unico figlio maschio dei sovrani di Baden lo avrebbe scambiato nella culla con il figlio morto di una domestica, per spianare al suo rampollo la strada verso il trono. Il bambino in questione sarebbe proprio il presunto Kaspar Hauser. Questo spiegherebbe perché avrebbe trascorso l’infanzia rinchiuso in una cella, senza poter comunicare con nessuno. E consentirebbe anche di

spiegare le aggressioni subite dal ragazzo a Norimberga e Ansbach come il tentativo di liquidare il legittimo erede del granducato di Baden, usurpato da Leopoldo nel marzo del 1830.

La chiave del DNA Questa fantasiosa ipotesi fu resa popolare dalla letteratura, in particolare dal romanzo dello scrittore tedesco Jakob Wassermann, Caspar Hauser o l’ignavia del cuore (1908). Nel 1996 fu analizzato il sangue sui vestiti di Hauser e si concluse che il DNA non corrispondeva con quello dei discendenti di Stefania di Beau-

harnais, anche se successive analisi (del 2002), eseguite questa volta su una ciocca di capelli, affermarono che l’ipotesi non poteva essere scartata. Attualmente l’interpretazione più interessante si concentra sul Tirolo, dove il nome di Kaspar Hauser compare su un monolito in ricordo dei caduti del 1809 nella lotta contro le truppe bavaresi che avevano occupato la regione a inizio secolo. È nota in questa regione la presenza di una malattia endemica che provoca le anomalie muscolari e cerebrali riscontrate in Kaspar. Il segno sul braccio sarebbe

dovuto all’introduzione in quell’epoca, da parte delle autorità bavaresi, dell’obbligatorietà della vaccinazione contro il vaiolo, che imperversava nella zona. Si può immaginare che Kaspar fosse il frutto della relazione tra un soldato bavarese e una contadina locale. I tirolesi avrebbero restituito al genitore un bambino malato, di nessuna utilità. In quanto al nome, vollero forse ricordare un certo Kaspar Hauser morto lottando contro Napoleone nel 1809 e in onore del quale era stato eretto il monolito nella zona. —Isabel Hernández sTOrIcA NATIONAl geOgrAPHIc

123


grandi scoperte

Gonur Depe, una civiltà dimenticata in Turkmenistan Nel 1972 Viktor Sarianidi riportò alla luce in Turkmenistan le vestigia di una cultura che fiorì nella zona tremila anni fa

lorem ipsjdas

turkme nistAn mar caspio

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Gonur Depe Afg hAn istA n irAn

quando l’Accademia delle Scienze dell’allora Unione Sovietica e le istituzioni scientifiche turkmene svolsero, sotto la direzione di Viktor Sarianidi, una serie di studi nella regione del Murghab. Il Murghab è un fiume il cui corso si estende dal nord dell’Afghanistan fino al deserto del Karakum in Turkmenistan, e che in epoca persiana achemenide (VIIV secolo a.C.) diede il nome alla regione della Margiana. Secondo Sarianidi, il delta del Murghab fu il centro di

1972

L’archeologo Viktor Sarianidi scopre il sito di Gonur Depe nella regione del Murghab, in Turkmenistan.

un’importante civiltà dell’Asia Centrale, paragonabile a quelle che sorsero nella Mezzaluna Fertile del Medio Oriente e con le quali era indubbiamente connessa.

Centro amministrativo Gonur Depe formava parte di una rete più ampia di insediamenti distribuiti lungo il delta del Murghab durante l’Età del Bronzo. Il luogo si sarebbe presto distinto dagli altri non solo per la sua ricchezza, ma anche per la sua complessità: per questo motivo divenne il centro amministrativo della regione. A partire dalla scoperta di Gonur Depe, l’attività degli archeologi nel sito, e in particolare quella del suo direttore Viktor Sarianidi, fu incessante. Il loro lavoro aiutò a chiarire la dinamica dello sviluppo delle città

1991-2001

Si effettuano varie campagne di scavi a Gonur Depe, che riportano alla luce un grande palazzo.

2002

Depe, in Turkmenistan. Formato da corridoi, templi e palazzi, il sito ricorda lo splendore di una civiltà che fiorì più di tremila anni fa.

dell’Asia Centrale durante il III milennio a.C. Il giacimento archeologico di Gonur Depe comprende due colline principali e un’area che le circonda. Sulla collina a nord del sito venne

Si scopre una delle necropoli meglio conservate dell’Asia Centrale, con le tombe dei governanti.

sigillo che rappresenta un elefante. ricorda timbri trovati nella civiltà dell’indo. gonur depe. kenneth garrett

VISTA AEREA di Gonur

kenneth garrett

P

er millenni le sabbie nere del deserto del Karakum, nell’attuale Turkmenistan, avevano custodito in silenzio la testimonianza di una civiltà millenaria, più antica della Margiana persiana e delle impronte lasciate da Alessandro in Asia Centrale. Lì venne alla luce, fra il 1991 e il 2001, il sito più spettacolare finora dissotterrato in quelle terre. La scoperta fu opera di due missioni archeologiche che lavoravano in Turkmenistan, una turkmeno-russa, diretta dall’archeologo sovietico Viktor Ivanovich Sarianidi, e l’altra italo-turkmena, condotta dall’archeologo italiano Gabriele Rossi-Osmida. La storia della scoperta di Gonur Depe risale agli anni settanta del secolo scorso,

2013

Viktor Sarianidi muore dopo aver dedicato gran parte della sua carriera agli scavi di Gonur Depe.


IL LAVORO DI UNA VITA VIKTOR SARIANIDI realizzò scavi a Gonur De-

prirono anche alcune necropoli. Il loro contenuto rivela la ricchezza degli abitanti di Gonur e la complessità sociale del loro insediamento a partire dal III milennio a.C.

Palazzo reale Il palazzo di Gonur testimonia l’esistenza, già cinquemila anni fa, di un’autentica città-stato nel bel mezzo del cuore dell’Asia Centrale. Gonur era il centro politico della zona e intratteneva contatti frequenti con altre

kenneth garrett

riportato alla luce un vasto complesso di palazzi. A sud venne scoperto invece un temenos, recinto murato con torri circolari, poi riutilizzato per la costruzione degli interni di edifici. Viktor Sarianidi pensava che in quel recinto si trovasse un tempio con vari altari dedicati a un primitivo culto del fuoco, che l’archeologo ipotizzava fosse collegato al zoroastrismo. Oltre a questi complessi archeologici di spicco, si sco-

pe dal 1972 fino alla sua morte, nel 2013. Il suo lavoro procedette in parallelo con quello dell’antropologa Nadezhda Dubova (nell’immagine qui sotto), che studiava le ossa trovate nel sito e sorvegliava il lavoro degli operai, sotto lo sguardo attento di Sarianidi.

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grandi scoperte

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RELIQUIE DI UNA CIVILTÀ PERDUTA A GONUR DEPE e dintorni ci sono più di quattromile tombe. Nella città, gli archeo-

logi ne hanno riportate alla luce alcune che contenevano ancora oggetti preziosi di corredo funerario, come quelli in questa pagina. La maggior parte di questi pezzi si trova attualmente nel Museo Nazionale del Turkmenistan, ad As,gabad.

culture di zone remote, come dimostra la grande quantità di sigilli che sono stati ritrovati e che confermano la presenza di un’amministrazione avanzata. Molti dei sigilli rinvenuti provengono originariamente da luoghi tanto lontani come la valle dell’Indo e la

Mesopotamia. A quest’ultima zona appartiene un sigillo dell’Impero accadico (XXIVXXII secolo a.C.). Il recinto del palazzo era protetto da spesse mura con torri quadrate, che ospitavano al loro interno edifici notevoli, svariate residenze e cortili che conducevano ad aree separate come il “salone del trono”, e agli spazi adiacenti, probabilmente

destinati alle famiglie dei governanti di Gonur Depe. L’architettura del palazzo, la sua struttura e gli oggetti trovati all’interno fanno pensare all’esistenza di un sistema amministrativo molto sviluppato. Il palazzo e la zona residenziale situata fuori dalle mura, insieme al temenos, sono una prova della rilevanza politica ed economica che Gonur Depe

Nelle tombe di Gonur Depe si trovarono scettri in pietra, figure intagliate, ornamenti d’oro e avorio... oggetto D’oro scoperto in una tomba di gonur depe. kenneth garrett

1. Figure femminili in terracotta. Forse rappresentano qualche tipo di divinità collegata alla fertilità. Sono state reperite, oltre che nelle tombe, anche in contesti domestici.

raggiunse in Asia Centrale durante l’Età del Bronzo. Ciononostante, ai fini della conoscenza della ricca cultura materiale e artistica di questa misteriosa civiltà, fu decisivo il ritrovamento di varie necropoli.

Ricchezza nelle tombe Finora a Gonur Depe sono state individuate due necropoli. La prima, scoperta intorno al 2002, è una delle meglio conservate dell’Asia Centrale. Fra gli altri, vi sono sepolti anche i governanti della città. Viktor Sarianidi la definì «necropoli reale», poiché vi si trovarono autentici mausolei con vari


4.

2. Collana d’oro con pendente in pietre semipreziose incastonate. Questo bellissimo pezzo è rifinito con delle piccole teste di serpente, anch’esse d’oro.

5.

3. Spilli d’argento con forme animali e umane. Una di esse rappresenta una donna vestita con il caratteristico kaunakes, un tipo di indumento d’origine sumera.

4. Figura femminile con corpo di steatite e braccia e testa di pietra. Queste figure sono abituali nella civiltà dell’Oxus (antico nome del fiume che bagna i siti dell’area).

5. Miniature. Un ariete d’oro e un leone di pietra intagliata sono testimonianza della fauna locale. Nell’immagine se ne apprezza la dimensione ridotta rispetto al dito. Foto: kenneth garrett

oggetti, simboli di prestigio e di potere, come lunghi scettri in pietra, figure intagliate, vasi di ceramica di grande qualità, ornamenti in oro e in avorio... Accanto a una delle tombe di questa necropoli venne trovato un carro con quattro ruote di bronzo, che si trovava in uno stato di conservazione eccellente. È uno dei pochi esempi di questo tipo non solo in Asia Centrale, ma anche in tutto il Medio Oriente. Questo veicolo è una testimonianza ulteriore dell’alto livello organizzativo degli abitanti di Gonur, che si facevano seppellire con animali sacrificati, come

i cammelli, e persino con i loro cani.Un secondo complesso di tombe, in questo caso meno monumentali, è stato trovato più recentemente a nord di Gonur. Il loro contenuto dimostra che le élite governanti non erano le uniche a possedere ricchi corredi,visto che dalle tombe sono emersi oggetti di grande valore, che non avevano nulla da invidiare a quelli della cosiddetta “necropoli reale”.

Bevanda allucinogena Particolarmente interessante risulta la ricostruzione fatta da Viktor Sarianidi della celebrazione di alcuni

rituali di carattere religioso. Il più conosciuto tra gli antichi rituali si chiamava soma haoma e, a quanto pare, consisteva nell’ingestione di sostanze allucinogene da parte dei sacerdoti. Studi realizzati sul contenuto di alcuni vasi di ceramica hanno rivelato che la bevanda ingerita nel corso del rituale era una miscela di efedrina (alcaloide più blando ma più duraturo dell’adrenalina) e cannabis, insieme ad altri vegetali. Sin dalla sua scoperta Gonur Depe è stato ritenuto un centro politico di grande rilevanza, e ciò nonostante fosse privo di una scrittura propria. Se,

tuttavia, consideriamo tutte le sue caratteristiche, possiamo definirlo il maggior centro urbano non solo del Turkmenistan del III milennio a.C., ma forse anche di tutta l’Asia Centrale. Fino al momento della sua morte nel 2013, all’età di 84 anni, Sarianidi rimase a Gonur Depe. L’archeologo visse sino alla fine dei suoi giorni in un’umile abitazione di mattoni di terra cruda, sotto il sole spietato che brucia il deserto di Karakum e avendo sempre davanti agli occhi il sito al quale aveva dedicato tutta la sua vita. —Alejandro Gallego SToriCA NATioNAl GeoGrAPhiC

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