UNA GIORNATA ALLA CORTE DEL RE SOLE
IL COLOSSO DI RODI
I VIAGGI DI ZHENG HE
QUANDO LA CINA DOMINAVA I MARI
I PRIMI CRISTIANI
LA PERSECUZIONE DEGLI ERETICI
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LA SESTA MERAVIGLIA DELL’ANTICHITÀ
periodicità mensile
art.
VERSAILLES
70106
L’INGLESE DEL DESERTO
772035 878008
LAWRENCE D’ARABIA
9
GOYA I FANTASMI DI UN GENIO
N. 106 • DICEMBRE 2017 • 4,95 E
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EDITORIALE
alla sua nascita, il 5 settembre del 1636, il popolo gli aveva affibbiato il nomignolo di Dieudonné (Diodato). Un’allusione, forse, allo scarso affiatamento che regnava tra suo padre, Luigi XIII di Francia, e sua madre, Anna d’Austria, e dunque alla necessità di un “intervento divino” perché il futuro Re Sole venisse al mondo. Già a cinque anni Dieudonné dovette succedere al padre (morto nel 1643) con il nome di Luigi XIV. Gli affari del regno furono inizialmente gestiti dalla madre e dall’abruzzese cardinale Mazzarino, cui fu affidata anche l’educazione politica del rampollo. Compiuti ventidue anni il giovane assunse in pieno, e saldamente, le redini dello stato. Il suo regno durerà più di settant’anni, figurando così tra i più longevi della storia. Luigi ama andare a cavallo, è un ottimo ballerino e un gran narratore. L’eleganza e lo stile di vita di cui è paladino diventano, ben presto, icone di riferimento per tutte le corti europee: nasce il mito del “Re Sole”. Chiunque voglia immergersi in quell’atmosfera di magnificenza e di potere assoluto può farlo visitando la straordinaria testimonianza materiale che il re ha lasciato in eredità: la Reggia di Versailles (vedi il servizio alle pagine 72-89). Ma furono proprio i costi della sua mania di grandezza e delle tante campagne militari a sfinire l’economia della Francia. Luigi muore il 1 settembre del 1715. Non trascorrono 80 anni che i rivoluzionari profanano la sua tomba nella basilica di Saint-Denis e disperdono i suoi resti mortali. ANDREAS M. STEINER Direttore
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08 PERSONAGGI STRAORDINARI
22 EVENTO STORICO
Madame Tussaud
Franklin si toglie la parrucca
Visse sulla sua pelle la Rivoluzione francese e usò le teste dei decapitati come calco per creare le figure del suo celebre museo.
14 GRANDI INVENZIONI L’ombrello pieghevole
Nel 1705 il francese Jean Marius ideò un tipo di ombrello che poteva essere ripiegato e messo in borsa, ideale per muoversi senza timore dei temporali.
120
16 MAPPA DEL TEMPO Roma incisa nel marmo
La Forma Urbis Marmorea era un’enorme mappa della città di Roma incisa nel marmo ed esposta nel Tempio della Pace.
Quando Franklin gettò la sua parrucca in mare compì un gesto rivoluzionario.
120 GRANDI ENIGMI Il Golem di Praga
Secondo una leggenda, nel XVI secolo un rabbino diede vita a una creatura di fango che avrebbe dovuto proteggere gli ebrei dalle persecuzioni.
126 GRANDI SCOPERTE Le triadi di Micerino
Nel 1908 lo statunitense George Reisner ritrovò a Giza otto triadi che rappresentavano il faraone, la dea Hathor e varie province d’Egitto.
20 OPERA D’ARTE Il bar delle Folies-Bergère
Nel 1882 Édouard Manet riprodusse su tela un emblematico locale della Parigi della Belle Époque dedicato agli spettacoli e di cui lui stesso era habitué. 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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104 LAWRENCE D’ARABIA, L’INGLESE DEL DESERTO AMANTE e studioso del Vicino
Oriente, T. E. Lawrence fu un personaggio chiave della ribellione araba contro il potere ottomano durante la Prima guerra mondiale. Al termine del conflitto Lawrence tornò in Inghilterra e scrisse I sette pilastri della saggezza, libro nel quale raccontò la sua esperienza di guerra e di come i francesi e i britannici avessero tradito i propri alleati. DI FRANCO CARDINI
WADI RUM. I PAESAGGI DI QUESTO
DESERTO RICORDAVANO A LAWRENCE
I SOGNI DELLA SUA INFANZIA.
24 Osiride, il re egizio dell’aldilà La tradizione narra che Osiride fu assassinato e fatto a pezzi dal suo invidioso fratello Seth. La sua sposa, Iside, ne recuperò i resti, li ricompose, lo risuscitò e concepì con lui Horus. DI ELISA CASTEL
46 I primi eretici Agli albori del cristianesimo le violente dispute interne portarono alla persecuzione di coloro che la Chiesa ufficiale chiamava “eretici”. DI MAR MARCOS
58 Quando la Cina dominava i mari Nel XV secolo l’ammiraglio Zheng He esplorò i «mari occidentali» della Cina spingendosi fino alla penisola Arabica e alle coste africane. DI DOLORS FOLCH
72 Versailles, l’universo del Re Sole Luigi XIV fece di Versailles il centro de potere della Francia. Nelle sue sale si teneva ogni giorno una cerimonia destinata a glorificare la figura del sovrano. DI ALEXANDRE MARAL
90 Goya, i fantasmi di un genio Con il ritorno dell’assolutismo di Fernando VII, per Goya iniziò una fase della vita segnata dal pessimismo, che si riflette nelle sue Pitture Nere. DI JOSÉ ANTONIO VIGARA ZAFRA
36 Il Colosso, orgoglio di Rodi Riconosciuta fin da subito come una delle sette meraviglie del mondo antico, questa enorme statua in onore di Helios fu eretta nel III secolo a.C. per festeggiare la vittoria dei rodiesi sui macedoni. Non si sa molto dell’aspetto che aveva prima di essere distrutta da un terremoto dopo solo una sessantina d’anni dalla sua costruzione. DI ROSA MARÍA MARIÑO
HELIOS INCORONATO. STATUETTA DI BRONZO, II–III SECOLO D.C. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
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Pubblicazione periodica mensile - Anno VII - n. 106
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PARTICOLARE DI UNO DEI CANDELABRI CHE DECORANO LA GALLERIA DEGLI SPECCHI DEL PALAZZO DI VERSAILLES. FOTO: ARNAUD CHICUREL / GTRES
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L’INGLESE DEL DESERTO
Editore: RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara, 35 20124 Milano
Direttore generale: ANDREA FERDEGHINI Direttore responsabile: ANDREAS M. STEINER Responsabile editoriale: JULIUS PURCELL Coordinatore: ANNA FRANCHINI Grafica: MIREIA TREPAT Collaboratori: ELENA LEDDA (Editor); LUIGI COJAZZI; MARTINA TOMMASI; PAOLO ROSEANO; CECILIA PITÌ; ANNALISA PALUMBO; MATTEO DALENA; ALESSANDRA PAGANO; VALENTINA MERCURI;
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6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
VISITA
LA SALA
DELLO SCHIAFFO
PERSONAGGI STRAORDINARI
Madame Tussaud e il suo museo degli orrori Nella Parigi del Terrore rivoluzionario faceva calchi di teste mozzate ma fu in Inghilterra che raggiunse la fama con le mostre itineranti e il celeberrimo Museo delle Cere
I
l 12 luglio 1789, due giorni prima della presa della Bastiglia, una folla si riversò per le strade di Parigi. Sembrava una specie di corteo funebre, in cui la gente sventolava bandiere nere e brandiva i busti dei grandi eroi popolari del momento: Necker, il ministro delle finanze destituito dal governo assolutista di Luigi XVI, e il duca d’Orléans. Le teste, trafugate dal laboratorio di figure di cera del dottor Curtius, erano state realizzate da una sua giovane collaboratrice: Marie Grosholtz, che anni dopo sarebbe diventata famosa col nome di Madame Tussaud, creatrice dell’omonimo Museo delle Cere.
Artista e imprenditrice di successo 1767 Marie Grosholtz arriva a Parigi con sua madre e si stabilisce a casa dello scultore di cera Curtius, da cui apprende la tecnica.
1794 Alla sua morte Curtius lascia la casa e il salone espositivo alla sua pupilla, che l’anno seguente si sposa con F. Tussaud.
Imparare il mestiere Marie Grosholtz era nata a Strasburgo il primo dicembre del 1761 da Anne-Marie Walder e dal militare Joseph Grosholtz, che era morto due mesi prima, durante la Guerra dei sette anni. La maggior parte delle informazioni sulla vita della futura Madame Tussaud provengono dalle memorie che lei stessa dettò a un’amica nel 1838, quando aveva quasi 80 anni, e che furo-
1802 Madame Tussaud si trasferisce a Londra. La sua collezione di figure di cera ha grande successo in Inghilterra e in Irlanda.
1835 Tussaud stabilisce la sua collezione a Londra. La cosiddetta “camera degli orrori” diventerà l’attrazione della mostra.
Marie Tussaud muore a 88 anni. Nel 1884 suo nipote trasferirà il museo nella sede attuale, a Marylebone Road.
8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
JOSSE / SCALA, FIRENZE
1850
no pubblicate nel 1878. Ciononostante, la sua biografia non sempre si attiene strettamente alla realtà. La sua vanità la spinse a inventarsi origini illustri: affermava di essere nata a Berna e di aver vissuto nel palazzo di Versailles con la famiglia reale. Tra le mani di Marie la verità diventava malleabile, proprio come la cera. Philippe Curtius (1737-1794) era un medico anatomista di origine tedesca residente a Berna. Modellava lui stesso i campioni di cera che utilizzava per insegnare anatomia ai futuri medici. Con il tempo aveva deciso di servirsi della stessa tecnica per realizzare ritratti di personaggi famosi. Nel 1765, dopo aver abbandonato la medicina per dedicarsi a scolpire la cera, si era trasferito a Parigi. Qui due anni più tardi erano arrivate anche Marie e sua madre. In assenza del padre, Marie era cresciuta sotto la tutela del medico, che trattava come uno zio e da cui aveva appreso le tecniche scultoree. A Parigi Curtius aveva continuato a realizzare busti dei personaggi più popolari del momento, che risvegliavano un crescente interesse tra il pubblico. La sua prima mostra, nel 1770, aveva avuto un tale successo che nel 1776 era stata trasferita a Palais-Royal.
Madame Tussaud affermava che durante il Terrore aveva rischiato la ghigliottina PARTICOLARE DELLA PRIMA SCENA DELLA RIVOLUZIONE. MUSÉE CARNAVALET, PARIGI.
RITRATTI DELLA RITRATTISTA DI CERA di Madame Tussaud attualmente esposto nel suo museo fu realizzato nel 1842, quando aveva 81 anni. Originariamente si trovava accanto alla Bella addormentata, uno dei suoi capolavori conservati nella collezione londinese. Ma non è l’unica scultura in cera di Madame Tussaud. L’immagine qui accanto mostra un busto che la rappresenta prima di sposarsi, a 24 anni, quando era ancora Marie Grosholtz. È un’opera del dottor Curtius del 1784. Il pronipote di Tussaud, Theodor, ne scolpì un’altra a 42 anni, momento in cui Marie si trasferì dalla Francia in Inghilterra. L’AUTORITRATTO
MADAME TUSSAUD A 24 ANNI, NEL BUSTO SCOLPITO DA PHILIPPE CURTIUS. FOTOGRAFIA DEI PRIMI DEL XX SECOLO.
ELGAR COLLECTION / BRIDGEMAN / ACI
Un anno dopo Grosholtz aveva creato la sua prima figura di cera, quella del filosofo Voltaire, cui fecero seguito altri personaggi famosi come Jean-Jacques Rousseau e Benjamin Franklin. Nel 1782 Curtius aveva inaugurato una seconda mostra di busti di celebrità in boulevard du Temple, cui aveva aggiunto la Caverna dei grandi ladri, una galleria di criminali antesignana della camera degli orrori che Madame Tussaud avrebbe creato nel suo museo. Con lo scoppio della rivoluzione nel 1789 le vite della giovane e del suo mentore erano in pericolo, dato che
entrambi erano monarchici. Ma Curtius, da brav’uomo d’affari, sapeva che il modo migliore per sopravvivere era adeguare la sua collezione ai mutamenti dei tempi. I protagonisti della sua galleria divennero i nuovi governanti e i condannati alla ghigliottina.
dio all’esecuzione, grazie agli sforzi di Curtius e all’intercessione dell’attore e drammaturgo Collot d’Herbois – che avrebbe in seguito presieduto l’Assemblea nazionale – fu rimessa in libertà con l’incarico di realizzare i busti dei condannati alla ghigliottina. Le teste mozzate, ancora sanguinanti, Dalla ghigliottina allo studio venivano portate nell’officina di Marie Nelle sue memorie Marie racconta che perché ne facesse immediatamente i durante il periodo del Terrore, tra l’au- calchi. Non è dato di sapere se gliele contunno del 1793 e la primavera del 1794, segnassero o fosse lei stessa ad andarsele fu arrestata insieme a Giuseppina di a prendere direttamente al patibolo, Beauharnais, futura moglie di Napole- come amava raccontare. In ogni caso i one. Con la testa già rasata come prelu- macabri busti entrarono a far parte della STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
DINASTIA DI SCULTORI
RICOSTRUZIONE in cera
di Marie nel 1793, mentre ricava una maschera funebre da una testa mozzata. Madame Tussauds, Londra.
mostra: Luigi XVI, Maria Antonietta, Marat e Robespierre, per citarne alcuni, andarono a ingrandire la collezione al ritmo marcato dalla ghigliottina. Il 26 settembre del 1794 Curtius morì, lasciando Marie come unica erede della sua casa di Versailles e del salone espositivo di boulevard du Temple. Un anno più tardi Marie si
GRANGER / AURIMAGES
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JOHN T. TUSSAUD, pronipote di Marie, fu il direttore del museo fino agli anni quaranta del novecento. Nel 1920 scrisse una biografia della bisnonna. Nell’immagine John T. viene ritratto all’inizio del XX secolo mentre scolpisce il busto di Christabel Pankhurst, avvocata e suffragista britannica che, dopo essere stata incarcerata ed esiliata per aver difeso il voto delle donne, fu decorata con l’Ordine dell’Impero britannico nel 1936.
sposò con l’ingegnere François Tussaud, con cui ebbe due figli, Joseph e François. Con il matrimonio si lasciò alle spalle il cognome Grosholtz per diventare Madame Tussaud. Le devastazioni della rivoluzione avevano mandato quasi completamente in rovina gli affari. L’avventura scultorea di Madame Tussaud avreb-
SCULTRICE E PUBBLICISTA MARIE TUSSAUD non trascurò mai la promozione e la pubblicità del suo museo. Quando la collezione era itinerante le sue carrozze annunciavano con cartelloni lo spettacolo e il percorso che seguiva. Quando si stabilì a Londra, invece, preparò questo catalogo illustrato, con particolari biografici e disegni descrittivi dei personaggi che facevano parte della mostra e della galleria storica. MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK
10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
be anche potuto terminare qui se una mattina di ottobre del 1802 l’incontro con l’artista itinerante di origine tedesca Paul Philidor non avesse cambiato il corso della sua vita.
Una nuova vita a Londra Philidor era un illusionista della lanterna magica, l’antenata del cinema, che permetteva di proiettare su pareti e tele delle immagini dipinte su lastre di vetro. Un pubblico avido di nuove sensazioni si lasciava terrorizzare dai fantasmi e dai diabolici spettri che sgusciavano fuori dalla lanterna di Philidor. Questi propose a Madame Tussaud di mettere insieme gli spiriti maligni e le figure di cera per dare vita insieme a uno spettacolo nel Lyceum Theatre
PERSONAGGI STRAORDINARI
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I VISITATORI osservano la collezione Tussaud in Baker Street, sede del museo tra il 1835 e il 1884. Incisione di metà del XIX secolo.
di Londra. Marie visitò la capitale inglese nel 1802, accompagnata dal marito e dal figlio più grande, Joseph, mentre il piccolo François rimase a Parigi con la nonna. Ma ben presto si rese conto che ciò che Philidor le proponeva non le sarebbe convenuto e così decise di mettersi in proprio. Cominciò a girare in carrozza l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda con la sua collezione di busti. Nel frattempo suo marito fece ritorno a Parigi. Non si sarebbero più visti. In ogni città Madame Tussaud esponeva le sue opere in lussuosi saloni presi in affitto, dove attirava la facoltosa classe media. In questo modo stava rompendo con l’immaginario che associava le figure di cera e anatomiche all’intrattenimento popolare. Quei viaggi furono redditizi: Marie poté mandare dei soldi al marito, pensando che si sarebbe occupato dell’educazione del figlio piccolo. Ma 12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Monsieur Tussaud dilapidò tutto il capitale, fino al punto che nel 1812 il figlio François fu costretto a vendere la collezione di boulevard du Temple. Nel 1817, dopo la separazione dei genitori, François, che era diventato falegname, si recò a Londra per vedere sua madre e suo fratello. Una volta lì decise di unirsi all’impresa familiare costruendo braccia e gambe per i busti materni. La mostra prese così il nome di “Madame Tussaud e figli”.
La camera degli orrori Nel 1835 Marie e i figli installarono la collezione familiare in Baker Street. In un’epoca in cui le esecuzioni non erano più pubbliche, la cosiddetta “camera degli orrori”, che metteva insieme la sanguinosa violenza della Rivoluzione francese con le figure di famosi assassini, attirava folle di curiosi. Tuttavia, la popolarità del museo schizzò alle stelle nel 1837, quando la
giovane regina Vittoria permise che modellassero la sua figura e la vestissero con la replica esatta del suo abbigliamento del giorno dell’incoronazione. Marie Tussaud morì durante il sonno, il 16 aprile del 1850, a 88 anni, e fu sepolta nella chiesa cattolica di Cadogan Street, Saint Mary. Nel 1884 suo nipote Joseph trasferì la mostra in un edificio più grande a Marylebone Road, nella zona di Westminster, dove si trova tuttora. Un incendio nel 1925 e i bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale danneggiarono il museo. Ciononostante, si conservano ancora alcune delle sue figure originali. Al giorno d’oggi il museo è uno dei luoghi più visitati di Londra, nonché il Museo delle Cere più importante del mondo, con 24 sedi in Asia, Europa, America e Oceania. —Enric H. March
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GRANDI INVENZIONI
Passeggiando sotto la pioggia: l’ombrello pieghevole 1705
Il francese Jean Marius inventò un modello di ombrello che poteva essere ripiegato e messo in borsa, ideale per spostarsi in città senza timore dei temporali
F
ino all’inizio del XVIII secolo la pioggia costringeva gli uomini a indossare un cappello di cuoio a tesa larga e ampi mantelli per proteggere i vestiti, ma questo non li poneva a riparo dall’acqua. Le signore, dal canto loro, indossavano manti simili a quelli degli uomini, restavano in casa o, se dovevano uscire per forza, si esponevano alle intemperie. Le cose andarono avanti così finché un francese di nome Jean Marius non ebbe un’idea pratica e geniale al tempo stesso: l’ombrello pieghevole. Naturalmente erano già noti oggetti simili, come i parasole, ma come lascia intuire il nome, venivano usati esclusivamen-
te per proteggersi dai raggi solari. Di fatto, gli ombrelli da sole venivano usati fin dall’antichità classica, ma erano considerati un semplice segno di prestigio sociale o di rispetto istituzionale. Erano sempre i servi o gli schiavi a reggerli per i loro padroni. L’antenato più remoto dell’ingegnosa invenzione di Marius fu sicuramente il parapioggia-parasole inventato in Cina nel I secolo d.C., un congegno articolato che poteva venir aperto o chiuso. Un antenato più prossimo era il parasole in tela impermeabilizzata con oli o cere che era apparso in Italia nel XVI secolo. Tuttavia, grazie a Jean Marius, dal 1705 la pioggia non fu più
sinonimo di reclusione. A questo scopo, approfittò della sua esperienza come fabbricante di borsellini (bourses), accessori che all’epoca erano dotati di complesse chiusure metalliche. Il suo ombrello era costituito da una copertura in taffettà verde resa debitamente impermeabile tramite gomma e disposta su una struttura metallica – molto simile a quella degli ombrelli attuali – che permetteva di aprirlo, chiuderlo o ripiegarlo. Pesava tra i 140 e i 170 grammi e, una volta ripiegato, poteva essere messo in borsa o appeso in vita. Per chiuderlo si premeva un bottone mentre per aprirlo bastava estendere il manico, che era di metallo, legno o rame. Inoltre, aveva una corda che impediva al vento di rivoltarlo e un fodero in cui riporlo.
Alla conquista del mercato
LA FOLLA SI RIPARA DALLA PIOGGIA SOTTO GLI OMBRELLI IN QUESTA INCISIONE DEL 1798.. HERITAGE / GETTY IMAGES
14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Marius comprese che la pubblicità era la chiave per promuovere e vendere i suoi ombrelli. Così si recò a Versailles, certo che se avesse ricevuto l’appoggio di Luigi XIV non avrebbe tardato a piazzare la sua invenzione tra gli oggetti di lusso che stavano consacrando Parigi come il paradiso di tutte le fashion victims dell’epoca. Non si sbagliava. Il sovrano restò così impressionato dalla sua creazione che nel 1710 non esitò a promulgare un
CCI / BRIDGEMAN / ACI
CARTELLONE PUBBLICITARIO CHE ANNUNCIA L’OMBRELLO PIEGHEVOLE. 1715.
IL LUSSO DI NON BAGNARSI PER STRADA 1705 Jean Marius inventa l’ombrello con tela di taffettà impermeabilizzata, articolato e pieghevole.
1710 Marius presenta la sua invenzione a corte e avvia una campagna pubblicitaria che ottiene un grande successo.
1750-1760 Grazie alla pubblicità, l’invenzione di Jean Marius conquista il mercato francese degli articoli di lusso.
privilegio reale – l’equivalente degli odierni brevetti – che garantiva a Marius il monopolio sulla produzione degli ombrelli pieghevoli per cinque anni. Chi lo avesse copiato avrebbe rischiato una multa di mille lire, circa 40mila euro attuali. Marius affisse su tutti i muri di Parigi cartelli nei quali due persone sorridenti, al riparo dei loro ombrelli, annunciavano la vendita della nuova invenzione nello stabilimento che Marius possedeva in rue des Fossés-Saint-Germain. Questa via si trovava nelle vicinanze di Saint-Honoré, una zona che nei secoli successivi sarebbe diventata il centro della moda francese. Il di-
1769 ROGER-VIOL
LET / CORDON
PRESS
rettore del giornale Mercure galant, Jean Donneau de Visé, pubblicò un articolo nel quale diceva di avere già in tasca un ombrello di Marius. Persino i dotti membri della Reale accademia delle scienze avallarono l’invenzione, assicurando che era «più resistente di qualsiasi dei suoi predecessori». La pubblicità fu decisiva e in pochi anni l’ombrello divenne d’uso comune. Quando, nel 1767, Benjamin Franklin visitò Parigi, rimase colpito dal fatto che uomini e donne «portano sempre con sé un ombrello pieghevole da aprire in caso di pioggia». —María Pilar Queralt del Hierro
L’uso dell’ombrello diventa così popolare che a Parigi viene creato un sistema per poterli noleggiare a ore.
UNA DONNA GIAPPONESE SI RIPARA DALLA PIOGGIA CON IL SUO OMBRELLINO. INCISIONE DEL XVII SECOLO. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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DEA / ALBUM
OMBRELLO DI MARIUS RIPIEGATO E APERTO. ESEMPLARE SUCCESSIVO AL 1715, CERTAMENTE PER UOMINI DATA L’ASSENZA DI DECORAZIONI. PALAIS GALLIERA, PARIGI.
MAPPA DEL TEMPO
Una mappa di Roma incisa nel marmo Collocata in una delle sale del Tempio della Pace, riproduceva tutti i monumenti di Roma collocata, sotto Settimio Severo, una mappa di Roma di dimensioni impressionanti: 13 metri di altezza per 18 di larghezza. Formata da 150 lastre di marmo disposte su 11 file, è conosciuta come Forma Urbis Marmorea, ovvero la pianta marmorea di Roma. Data la sua collocazione, si è sempre pensato che la mappa venisse utilizzata come registro catastale o fiscale. Lo stato romano possedeva un sofisticato sistema fiscale che registrava le proprietà immobiliari in funzione della superficie, dell’altezza e delle linee di facciata, o anche degli orari di concessione d’uso dell’acqua pubblica. A questo scopo i funzionari disponevano di mappe, generalmente rotoli di pergamena conservati in armadi di legno. Sicuramente ne esistevano anche in bronzo e in marmo, un materiale, quest’ultimo, in grado di offrire più garanzie di sopravvivenza ai frequenti incendi che devastavano la città.
IL PIANO MARMOREO DI ROMA, come era
esposto in una stanza del Tempio della Pace. Illustrazione realizzata da Inklink Musei per il Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano, con la guida scientifica di R. Meneghini. Pubblicato in Atlante di Roma antica di A. Carandini.
Mappa dettagliata di Roma La Forma Urbis del Tempio della Pace fu elaborata senza dubbio a partire dalle informazioni contenute nelle mappe di pergamena usate presso l’amministrazione romana, che si custodivano negli archivi della Prefettura. Per riportare tali dati sulla nuova mappa, venne utilizzato un BUSTO DI SETTIMIO SEVERO (146-211). SOTTO QUESTO IMPERATORE VENNE ELABORATA UNA MAPPA DI ROMA DETTAGLIATA E GRANDIOSA, LA FORMA URBIS. GLYPTOTHEK, MONACO. PRISMA / ALBUM
R. MENEGHINI 2009, ILLUSTRAZIONI INKLINK MUSEI
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ell’antica Roma i templi avevano di solito una funzione al contempo religiosa, associativa e amministrativa. Questo era il caso del Tempio della Pace, eretto tra il 71 e il 75 d.C. dall’imperatore Vespasiano per commemorare la conquista di Gerusalemme. All’interno del recinto, oltre alla cappella per la statua della Pace, si trovavano anche la sede della Prefettura Urbana di Roma e la Biblioteca della Pace, in cui si conservavano i documenti dell’amministrazione della città. Il tempio disponeva inoltre di una sala più piccola, nella quale probabilmente lavoravano i funzionari che dipendevano dal prefetto urbano. E proprio su una parete di questo spazio era stata
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MAPPA DEL TEMPO
ROMA, SOVRINTENDENZA CAPITO
LINA AI BENI CULTURALI
sistema specifico di segni: linee per contrassegnare un limite o un muro, punti per indicare una colonna o un albero, quadrati per simboleggiare pilastri o colonne... Tuttavia, la pianta marmorea del Tempio della Pace non era un catasto. Lo prova il fatto che nella mappa vengono indicati solo gli edifici pubblici; l’unica eccezioFRAMMENTO DELLA FORMA URBIS CORRISPONDENTE ALLA ZONA DELL’AVENTINO. MUSEI CAPITOLINI, ROMA.
RICCARDO AUCI
IL TEMPIO DELLA PACE, come lo si può vedere attualmente nel Foro Romano, con una parte delle colonne restaurate. Sorge sul lato sud-orientale dei Fori Imperiali.
ne è la casa di Lucio Fabio Cilone, il prefetto imperiale di origine ispanica che probabilmente fu incaricato di realizzare la mappa. A differenza di quanto accadeva per le mappe usate dai funzionari, non risultano le misure delle facciate degli edifici; del resto la scala grafica della pianta – 1:240 piedi – non consentiva di includere molti dettagli. Se dunque la Forma Urbis non aveva una funzione pratica, bisogna ipotizzare che ne avesse un’altra, di tipo simbolico. È significativo il fatto che la mappa non riproduca tutta la città di Roma, ma solo la parte più monumentale: il centro storico, il cuore della dignità civica del popolo roma-
no. Per i romani la fondazione di una città e ogni opera pubblica avevano un carattere sacro, dal momento che qualsiasi modifica della natura necessitava del permesso degli dèi: la mappa del Tempio della Pace si potrebbe quindi interpretare come un modo per fissare in maniera duratura la posizione dei monumenti che determinavano il carattere sacro della città.
Migliaia di pezzi Secondo lo studioso Filippo Coarelli, al tempo di Augusto doveva esistere una mappa simile in bronzo, di cui però non si conserva alcun resto. Probabilmente era stata elaborata per
Stadio di Domiziano Terme di Costantino
Tempio della Pace
Arsenale
Teatro di Marcello
Foro Romano
Isola Tiberina
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Terme di Traiano
Colosseo
Circo Massimo
Horrea Lolliana Porta Ostiense
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Terme di Caracalla
Magazzini sulle sponde del Tevere
ROMA, SOVRINTENDENZA CAPITOLINA AI BENI CULTURALI
IL FRAMMENTO della Forma Urbis riprodotto
a destra, conservato nei Musei Capitolini di Roma, corrisponde alla zona dell’Emporium, il porto fluviale di Roma. Evidenzia alcuni enormi magazzini 1 sulle sponde del Tevere, indicati come horrea Lolliana (dal nome del probabile costruttore, Marco Lolio Palicano). Constano di due cortili centrali attorno ai quali si dispongono le celle di immagazzinamento delle mercanzie. Due vie più in alto appare un colonnato aperto su uno spazio diafano 2, probabilmente la sede di una corporazione, o collegium. I muri semicircolari di alcune stanze 3 potrebbero corrispondere a dei bagni, usati per trattare e concludere affari.
rappresentare i quattordici distretti nei quali Augusto aveva diviso Roma, così come le numerose costruzioni e trasformazioni intraprese dal primo imperatore. Questa pianta venne rinnovata perlomeno una volta all’epoca degli imperatori Flavi, alla fine del I secolo d.C., quando fu collocata nel nuovo Tempio della Pace. Tuttavia, fu distrutta dall’incendio che devastò l’edificio nell’anno 192, per essere poi ricostruita da Settimio Severo intorno al 207 nello stesso posto e, in teoria, anche con le stesse dimensioni. In alcuni frammenti sono stati ritrovati resti di pittura rossa, che corrisponderebbero ai limiti dei distretti. Nel IV e
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V secolo la mappa cadde in disuso e la parete sulla quale erano fissati i marmi subì il primo saccheggio. Nel corso dei secoli si conservò comunque una parte importante dell’opera, ovvero il settore centrale della parete. Durante gli scavi nel Foro Romano promossi nel 1562 dalla famiglia Farnese, insieme alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano fu recuperata anche la maggior parte dei marmi tuttora conservati della grandiosa mappa. Questi furono successivamente trasportati a Palazzo Farnese, dove vennero copiati e ammirati dagli architetti e dai topografi romani. Da allora non hanno smesso di apparire nuovi
frammenti; l’ultimo fu scoperto nel 2016 nel Palazzo Maffei Marescotti. In totale si è giunti a individuare 1.200 frammenti, che si stima costituiscano tra il dieci e il quindici per cento del totale dell’opera. La Forma Urbis – chiamata anche Forma Capitolina perché i suoi resti si conservano nei Musei Capitolini di Roma – testimonia ancora oggi la profezia dei suoi dèi fondatori: la città durerà fino a quando il suo perimetro e la sua magnificenza urbana resteranno immutati. E così continua a essere a 2.770 anni dalla fondazione della città. —Antonio Monterroso Checa STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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O P E R A D ’A R T E
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Una notte nella Parigi della Belle Époque
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on un cabaret, ma un enorme locale dedicato a spettacoli che oggi si collocherebbero tra il music hall e il circo. Fondato nel 1869, non lontano dal centro di Parigi e vicino al corso che conduceva al quartiere bohémien di Montmartre, il bar delle Folies Bergère includeva canti, balli, pantomime, acrobazie e persino numeri con animali. Una volta comprato il biglietto (due franchi, secondo quando riporta la guida turistica Baedecker del 1878, la bibbia dei viaggiatori), si poteva guardare la scena dalla platea o godersela dal famoso promenoir, dov’erano ammessi spettatori in piedi. Si poteva anche bere qualcosa in un giardino rinfrescato dalle fontane o ammirare lo spettacolo da un palco. Nel promenoir, nei palchi o al bar si poteva anche entrare in contatto con l’altra faccia delle Folies. I rappresentanti della classe media della Parigi di fine secolo, gli aristocratici festaioli e gli artisti e scrittori habitué del locale – come lo stesso Ma-
net o lo scrittore Guy de Maupassant (che nel 1885 ricostruì l’ambiente nel suo romanzo Bel Ami) – si intrattenevano con le prostitute, dalle costose cocottes d’alto bordo fino alle bellezze “sfiorite” e a buon mercato. Tutto questo è rievocato nella tela Il bar delle Folies-Bergère. Anche se sembra quasi una fotografia, Manet la dipinse nel 1882. Ritrae Suzon e, dietro di lei, uno degli innumerevoli specchi che decoravano il locale, la cui superficie riflette la clientela dei palchi (tra cui una donna che osserva la scena con i suoi occhiali). Ciò è impossibile dato che i bar si trovavano al pianoterra. Sulla destra, lo specchio mostra la cameriera intenta a servire un cliente con un cappello a cilindro che, teoricamente, occupa il posto dello spettatore del quadro – altro fatto impossibile secondo le leggi della prospettiva. Per alcuni questo personaggio starebbe cercando di sedurre la cameriera, mentre per altri sarebbe lo stesso Manet, che con questa opera si congedava dalla Parigi tanto amata. ENRIQUE MESEGUER STORICO
questo cartello del 1875 illustra tutto il fascino delle Folies: clown, ballerine poco vestite per gli standard dell’epoca, un trapezista sulla platea, il bar con incantevoli fanciulle e un bancone con una scena molto simile a quella ritratta da Manet: un uomo con il cilindro che si rivolge alla cameriera. Che il pittore si fosse ispirato a questa immagine? ROGER-VIOLLET / AURIMAGES
LUTZ BRAUN / RMN-GRAND PALAIS
Suzon, cameriera del celebre “bar” Folies Bergère, ci osserva dall’ultimo capolavoro di Édouard Manet, meravigliosa evocazione della Parigi di fine XIX secolo
3 1 La trapezista
Gli stivaletti verdi sul trapezio sono tutto quanto si vede di un’acrobata, forse la statunitense Katarina Johns, che qui si esibì nel 1881 dopo un’altra nordamericana: Leona Dare, i cui spettacoli alle Folies la resero famosa in tutta Europa.
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2 La cocotte
3 Lo champagne
4 L’illuminazione
L’attrice Méry Laurent (pseudonimo di Anne Rose S. Louviot) riceveva nel suo salotto scrittori come Mallarmé e Proust e artisti come Manet, di cui era amica e amante. L’autore di Il bar delle Folies-Bergère la ritrasse in varie occasioni.
In un periodo in cui lo stipendio giornaliero a Parigi oscillava tra i due franchi di un sarto o di un cameriere e i cinque di un operaio industriale, lo champagne alle Folies costava tra i 12 e i 15 a bottiglia, come testimonia un menu del 1875.
Le lampade elettriche – che mescolavano la propria luce con quella dei lampadari a gas – sottolineano la modernità del locale. Nel 1881, quando l’elettricità era quasi sconosciuta, Parigi ne ospitò l’Esposizione internazionale.
ÉDOUARD MANET (1832-1883)
Il pittore morì di sifilide: la malattia colpì il sistema nervoso e l’apparato locomotore e lo costrinse a passare gli ultimi anni recluso nel suo studio. Qui, tra il 1881 e il 1882 dipinse questa tela di 96 x 130cm. Courtauld Institute of Art, Londra.
DATA S TO R I C A
Il giorno in cui Franklin si tolse la parrucca Nel XVIII secolo la parrucca era un segno di status aristocratico. Per questo il gesto di Benjamin Franklin, che gettò la sua in mare, assunse una connotazione rivoluzionaria
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l 26 ottobre del 1776 un anziano Benjamin Franklin salpava dal porto di Filadelfia in direzione della Francia. Era in missione diplomatica, assillato dalla necessità di trovare un alleato politico per la causa dell’indipendenza degli Stati Uniti. A metà del tragitto, sorprendendo i suoi accompagnatori, si tolse la parrucca e la gettò in mare. Questo gesto, apparentemente stravagante, aveva in realtà un’enorme valenza simbolica. Nel XVI secolo la parrucca era molto più che un modo per dissimulare la calvizie o prevenire infestazioni di pidocchi – cosa abbastanza frequente all’epoca a causa delle precarie condi-
BENJAMIN FRANKLIN È RICEVUTO ALLA CORTE DI LUIGI XVI. OLIO DI JEAN LEON G. FERRIS, XIX SECOLO.
UIG / ALBUM
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zioni igieniche. Le parrucche lunghe e ricce divennero di moda tra gli uomini come segno di status sociale, o in alcuni casi come elemento caratteristico di determinate professioni. Si trattava di parrucche molto elaborate, confezionate con capelli umani oppure con pelo di cavallo o di capra. A partire dalla seconda metà del XVII secolo la moda delle chiome posticce si estese a tutto il continente grazie a Luigi XIV. Nel 1680 il monarca francese aveva a sua disposizione, a Versailles, una quarantina di parrucchieri: un dato che ben illustra l’importanza di indossare una parrucca pulita e ben curata. Nello stesso
PARRUCCA CON RICCI E FIOCCO DEL XVIII SECOLO. VICTORIA AND ALBERT MUSEUM, LONDRA. VANDA IMAGES / PHOTOAISA
periodo iniziò l’usanza di incipriare le parrucche per conferirgli il caratteristico colore bianco. Nel XVIII secolo l’uso della capigliatura artificiale si diffuse tra le dame, che facevano a gara a chi aveva quella più alta ed elegante. Ciò diede vita a un’attività economica importante: si resero necessari nuovi professionisti non solo per fabbricare parrucche, ma anche per sistemarle, profumarle e ritoccarle.
La purezza della natura Va notato, in ogni caso, che l’uso della parrucca era limitato alle classi alte, mentre la maggioranza della popolazione aveva acconciature naturali. A partire dalla Rivoluzione francese queste ultime si imposero in tutte le classi sociali. All’inizio del XIX secolo la parrucca scomparve insieme a gran parte del lusso e dell’esuberanza estetica che avevano invece caratterizzato l’Ancien Régime. In precedenza anche i filosofi dell’Illuminismo avevano criticato l’ossessione dell’alta borghesia di imitare il modello estetico dell’aristocrazia. Per questa ragione la nuova società nata dalla rivoluzione sosteneva l’austerità dei modi e delle forme. A tal fine si insisteva sul mito del “buon selvaggio”, cioè sulla tesi, difesa in particolar modo da Locke e Rousseau, secondo la quale l’essere umano è buono per natura ed è la società a corromperlo.
I “BUONI SELVAGGI” D’AMERICA GLI INTELLETTUALI francesi del
XVIII secolo consideravano gli indigeni dell’America del nord l’incarnazione del loro ideale del “buon selvaggio”. Nel 1724 il gesuita e scrittore francese Lafitau raccolse la sua esperienza nella regione in un libro che riscosse notevole successo: Costumi dei selvaggi americani comparati con quelli dei tempi più antichi. Non è un caso che il protagonista di L’ingenuo di Voltaire (1767) sia un urone (tribù irochese del Canada attuale) che al suo arrivo in Francia impressiona – in modo simile a Franklin – per le virtù morali, la forza fisica e l’abbigliamento, inclusa l’assenza di copricapi (nu-tête). BENJAMIN FRANKLIN. RITRATTO DEL POLITICO E SCIENZIATO STATUNITENSE CON COPRICAPO IN PELLICCIA. JOHN TRUMBULL. XVIII SECOLO. DEA / ALBUM
In questo contesto si sviluppò l’idea che l’abbigliamento dovesse essere il più naturale possibile, ovvero privo di qualsiasi artificialità.
Un colpo a effetto Questa riforma del modo di vestire, quindi, andava molto oltre quello che oggi intendiamo con moda. Era il riflesso di un modo di pensare, la manifestazione della lotta tra la tradizione e le nuove tendenze che erano nate sotto l’auspicio della Ragione. Benjamin Franklin condivideva questo criterio e, consapevole dell’importanza del suo aspetto per il buon esito della missione, decise di adeguarsi
ai nuovi presupposti ideologici. Inizialmente aveva messo da parte la sua tradizionale parrucca inglese e ne aveva scelta una di tipo francese, à bourse, che lasciava scoperte le orecchie. Tuttavia, questo non dovette sembrargli sufficiente, così durante la traversata decise di disfarsi di qualunque tipo di parrucca. Per proteggersi dal freddo al suo posto indossò un copricapo in pelliccia, che rievocava in certo qual modo la natura selvaggia dell’America. Franklin si presentò quindi ai suoi interlocutori dell’altra sponda dell’Atlantico con quella specie di colbacco, un sobrio completo marrone e un bastone in legno di melo selvatico. Non
aveva l’aspetto che ci si attendeva da un diplomatico. Era un“buon selvaggio” giunto da terre lontane dove, tra l’altro, si stava lottando per la libertà. L’operazione di immagine di Franklin ebbe un successo clamoroso in una Francia che ammirava le gesta della Rivoluzione americana del 1776. Il politico statunitense divenne in questo modo l’incarnazione vivente di un’idea. Liberandosi della parrucca e gettandola in mare aveva abdicato al passato: quando sbarcò nella terra della Ragione era un uomo nuovo, libero e uguale ai suoi simili. —María Pilar Queralt del Hierro STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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OSIRIDE I L D I O E G I Z I O D E L L’A L D I L À Il dio più importante del pantheon egizio fu ucciso e fatto a pezzi dal suo geloso fratello Seth. La sua amorevole sposa Iside riuscì a recuperare i frammenti del suo corpo, lo riportò in vita ed ebbe con lui un figlio, Horus
INTERNO DI ABU SIMBEL
Il vestibolo del tempio funerario di Ramses II ad Abu Simbel è fiancheggiato da varie statue colossali del faraone, rappresentato come il dio Osiride. ARALDO DE LUCA
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el grande pantheon dell’antico Egitto, Osiride era forse il dio più familiare alla maggioranza della popolazione. Associato alla morte e all’immortalità in quanto divinità deceduta e poi rinata, Osiride dava una risposta all’angoscia della popolazione di fronte alla fine della vita terrena. Allo stesso tempo rappresentava un’entità civilizzatrice, connessa alla vegetazione che, in un modo simile al dio, Tuttavia, la narrazione più completa ci è giunta grazie a due scrittori greci: Plutarco, attraverso la sua opera Su Iside e Osiride e, in misura minore, Diodoro Siculo, nella sua Biblioteca storica. Per quanto influenzate da una prospettiva ellenistica, entrambe le versioni sono ancora utili per poter ricostruire il mito.
La famiglia di Osiride La genealogia di Osiride risale all’origine del mondo così com’era concepito dagli egizi. Secondo la cosmogonia sorta nella città di Eliopoli, centro del culto del dio solare Ra, in principio il cosmo era un luogo oscuro, senza superficie né fine, abitato da un unico dio, Atum-Ra. Questi, tuttavia, si sentiva solo. Per questo decise di plasmare il mondo facendosi aiutare da una serie di divinità che aveva creato come emanazioni di sé stesso. Non si sa se espettorando oppure masturbandosi, Atum-Ra diede vita ai nonni di Osiride: Shu e Tefnut, identificati rispettivamente con l’aria secca e l’aria umida. I due si congiunsero e generarono i genitori di Osiride, Nut, la volta celeste, e Geb, la Terra. A loro volta Nut e Geb concepirono due coppie di gemelli, Osiride-Iside e Seth-Nefti, ognuno dei quali incarnava una forza della natura: Osiride la vegetazione, Iside l’amore familiare, Seth la sterilità e la furia. Nefti, in-
Nel Libro dei morti, Osiride è il «Gran Dio di Abydos, re dell’eternità e signore dell’eterno» SITULA O VASO RITUALE CON SCENA CHE MOSTRA IL DIO OSIRIDE: PERIODO TOLEMAICO. BR
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DANITA DELIMONT / AWL IMAGES
nasceva, cresceva, si riproduceva, moriva e rinasceva eternamente. In un capitolo di un testo funerario intitolato Libro dei morti c’è un buon esempio della venerazione di cui il dio era oggetto. Il testo dice: «Gloria a te, o Osiride […] Gran Dio di Abydos, re dell’eternità e signore dell’eterno, dio che esiste per milioni di anni […] Come principe degli dei e degli uomini hai ricevuto il bastone e il flagello, simboli della regalità […] Grazie a te il mondo cresce verde in trionfo». Osiride è anche il protagonista di una delle leggende più drammatiche della religione egizia. Una storia, la sua, in cui si mescolano amore e odio, intrighi, vendette, lotta per il potere e resurrezione. Non esiste un testo egizio completo con i particolari del mito. I primi frammenti si trovano nei Testi delle piramidi, degli scritti religiosi documentati a partire dalla V dinastia (2494-2345 a.C.), e proseguono in racconti successivi, come l’Inno a Osiride che lo scriba Amenmose incise su una stele durante la XVIII dinastia, ovvero circa settecento anni più tardi.
C R O N O LO G I A
IL DIO CHE RINASCE 2558-2532 a.C. Nella mastaba della principessa Hemetre, figlia di Chefren (IV dinastia), compare la prima menzione del dio.
2375-2345 a.C. Nella piramide di Unis (V dinastia) furono incisi i Testi delle piramidi, che contengono frammenti della leggenda di Osiride.
1147-1143 a.C. Nel Papiro Chester Beatty I, dell’epoca di Ramses V (XX dinastia) si narra la lotta tra il figlio di Osiride, Horus, e suo zio Seth.
60-65 d.C. Lo storico Plutarco visita l’Egitto e qualche anno più tardi (verso l’85 d.C.) scrive l’opera Su Iside e Osiride. OSIRIDE TRA IL FIGLIO, IL DIO HORUS, CON TESTA DI FALCO, E LA DEA ISIDE. STELE DELLA XIX DINASTIA. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
Seti I, faraone della XIX dinastia, fece costruire un grande tempio funerario ad Abydos, uno dei centri più importanti del culto di Osiride, perché si riteneva che qui fosse sepolta la testa del dio.
DEA / AGE FOTOSTOCK
TEMPIO DI OSIRIDE AD ABYDOS
I GENITORI DI OSIRIDE
Questo disegno del Papiro Greenfield raffigura Nut, la dea celeste, china sopra la Terra, Geb. Shu cerca di separarli. British Museum, Londra. IL SIGNORE DELL’OLTRETOMBA
ERICH LESSING / ALBUM
della madre al momento del parto), fu assegnato il deserto. Da giovane Osiride si dedicò a girare il Paese per educare gli uomini e aiutarli a uscire dal loro stato primitivo. Gli fece conoscere il grano e la vite, gli insegnò a coltivare la terra e ad adorare gli dei e gli diede delle leggi perché si comportassero in modo conveniente senza dover ricorrere alla violenza. Nel frattempo Iside, sua sorella e sposa, lo aspettava mantenendo l’ordine domestico.
Fratricidio divino Invidioso della fortuna del fratello, Seth ordì un complotto per strappargli la corona d’Egitto. Quando Osiride tornò dai suoi viaggi, Seth organizzò un banchetto in suo onore. Tra gli invitati c’erano settantadue complici del dio rancoroso, che in segreto avevano preso le colossali misure di Osiride per costruirgli una splendida e lussuosa bara. Lo stesso Seth, nel bel mezzo dei festeggiamenti, annunciò che ne avrebbe fatto dono a colui al cui corpo si fosse adattata perfettamente. Gli invitati provarono il sarcofago a uno a uno, ma risultava grande a tutti. Quando fu il
Invidioso del fratello, Seth ordì un complotto per strappargli la corona d’Egitto PRISMA / ALBUM
IL DIO SETH. STATUETTA DI BRONZO E ARGENTO. NY CARLSBERG GLYPTOTEK, COPENAGHEN.
ARALDO DE LUCA
vece, era la prefica e la protettrice dei morti. La storia di Osiride è una successione di eventi meravigliosi, a cominciare dalla sua stessa nascita. Geloso della figlia Nut, Ra le aveva proibito di partorire nei 360 giorni abituali dell’anno. La dea chiese allora aiuto a Thot, il dio della sapienza. Questi sconfisse la Luna in una partita a senet, un gioco da tavolo, ottenendo in premio i cinque giorni epagomeni, cioè quelli che venivano aggiunti all’anno civile di 360 giorni per approssimarne la durata all’anno solare. Nut approfittò del primo di questi giorni per partorire Osiride, detto anche Unennefer, ossia il perfetto. In quanto primogenito, Osiride ricevette la valle del Nilo, mentre a suo fratello Seth, nato il terzo giorno epagomeno in modo violento (lacerò il corpo
Il dio Osiride, figlio di Geb e di Nut, compare in questo rilievo della tomba di Nefertari con le caratteristiche che lo identificano come dio dell’aldilà.
L’IMMAGINE DEL DIO
OSIRIDE, UN DIO MUMMIFICATO Osiride viene quasi sempre rappresentato avvolto in uno stretto sudario bianco, simbolo della purezza e della sua condizione di dio mummificato. Il lenzuolo è legato in vita con una fascia di lino rossa. A sporgere sono solamente le mani e la testa, generalmente dipinte in verde o nero, simbolo di putrefazione, ma anche di fertilità e di rinascita. Con le mani Osiride sostiene le insegne del potere (il flagello e il bastone).
Il dio ha in testa una corona a tronco di cono formata dalla corona bianca dell’Alto Egitto con due piume di struzzo sui lati. Durante il Nuovo Regno questo copricapo poteva essere accompagnato da due cobra, uno per ogni lato, dal disco solare e da corna di montone incurvate alla base, che lasciavano spazio alla corona Atef. Accanto a Osiride si osserva la pelle di un animale maculato appesa a un palo, inserito a sua volta in un recipiente. Si tratta dell’imyut, “ciò che sta nelle bende”, un emblema del Periodo Predinastico associato ai riti di rigenerazione e trasformazione; era l’involucro che aveva contenuto il cadavere.
L’OSIREION DI ABYDOS
Questa struttura si trova dodici metri sotto il livello del tempio di Seti I. I suoi canali potevano rappresentare le acque primordiali. TEMPIO DI DEIR EL-BAHARI
MARKA / ALAMY / ACI
del suo palazzo. Isis (il nome greco con cui era conosciuta la dea) andò allora in città e, grazie alle sue doti di maga, entrò in confidenza con le serve della regina e quindi con la regina stessa, diventando nutrice di uno dei figli. Dopo varie peripezie Iside riuscì a far togliere la colonna dal palazzo e a farsela restituire. Poté in questo modo tornare con il corpo del marito in Egitto. Iside nascose le spoglie di Osiride nella città di Buto, sul delta del Nilo. Tuttavia, Seth le scoprì durante una battuta di caccia. Temendo che Iside potesse riportarlo in vita grazie ai suoi poteri magici, Seth rubò il corpo e lo smembrò in quattordici pezzi, che poi gettò nel Nilo. Il numero 14 corrisponde ai giorni che separano la luna nuova dalla luna piena. Anche la Luna, divinità con la quale Osiride veniva identificato, passa attraverso un processo di morte e di rinascita.
La ricerca di Iside Quando Iside scoprì l’accaduto, si mise nuovamente in viaggio per l’Egitto alla ricerca dei resti sparsi da Seth. Una volta terminata la sua missione, Iside ordinò che ovunque fosse sta-
Iside, assistita da Anubi, riportò magicamente in vita il corpo del suo defunto sposo Osiride OSIRIDE VEGETANTE. STAMPO A FORMA DEL DIO OSIRIDE CON SEMI GERMOGLIATI. ERICH LESSING / ALBUM
BERTRAND RIEGER / GTRES
turno di Osiride i congiurati chiusero rapidamente il coperchio del feretro, lo sigillarono con dei chiodi e vi versarono sopra piombo fuso per far sì che affondasse nelle acque del Nilo. Ciononostante, la bara restò a galla e, dopo aver transitato per le foci del fiume, navigò sulle acque del Mediterraneo fino ad arenarsi sulla costa fenicia, vicino a Byblos, nell’odierno Libano. Venuta a sapere dell’accaduto, Iside fu colta dalla disperazione. Lanciando grida di dolore si strappò una ciocca di capelli, si vestì a lutto e viaggiò oltre i confini dell’Egitto alla ricerca del marito. Un giorno un vento divino la informò che un’onda aveva delicatamente fatto approdare la bara a Byblos sotto una pianta di tamerice. Questa, crescendo, aveva avvolto il corpo del marito, nascondendolo al suo interno. Ma il re di Byblos aveva fatto tagliare l’albero per farne una colonna
Hatshepsut, considerata uno dei migliori faraoni della storia, fece costruire il suo tempio funerario ai piedi della montagna tebana.
TRIONFO SULLA MORTE
FESTA DEI MISTERI DI OSIRIDE La morte di Osiride veniva ricordata annualmente tramite la morte e la resurrezione della vegetazione nel contesto delle festività conosciute come “Misteri di Osiride”, che si svolgevano alla fine della stagione delle piene (akhet). Ogni 18 del mese di khoiak (che andava da fine novembre a fine dicembre) si realizzava una figura in fango e semi di orzo. L’“Osiride vegetante” sarebbe germogliato più tardi, rinascendo come faceva il dio.
Queste figure dovevano essere sostituite a ogni festività, perché invecchiavano. In questo modo si facilitava il periodico rinnovarsi e ringiovanire del dio a ogni evento magico. Si trattava di un rito propiziatorio per favorire la crescita delle piante e il raccolto, comparabile con la rinascita del dio Osiride.
Durante la celebrazione dei riti misterici le statuette venivano sepolte, o poste nel corredo funebre, in modo che il defunto potesse vivere la stessa metamorfosi del dio. Identica funzione assumevano i letti di Osiride, che avevano la forma del dio e venivano riempiti di fango e di semi.
IL GIUDIZIO DI OSIRIDE
Osiride assiste alla pesatura dell’anima del defunto. L’atto viene trascritto da Thot e presieduto dai 42 giudici dell’oltretomba. Papiro di Tasnakht. LE COLONNE DEL DIO
to ritrovato un frammento di Osiride venisse eretto un santuario in suo onore, nel quale Iside dispose che fosse conservata una copia della parte del corpo di Osiride, anziché l’orginale, per depistare Seth. È per questa ragione che nell’Alto Egitto venivano venerate sette gambe del dio e nel Basso Egitto altre quattro. Secondo Plutarco, solo la testa originale fu sepolta nel tempio di Abydos, che pertanto è considerato la vera tomba del dio. Per questo gli egizi dovevano effettuare nel corso della vita, o dopo la morte, un pellegrinaggio rituale al santuario di Abydos.
Iside fa resuscitare il marito Dopo aver recuperato i frammenti di Osiride, Iside, assistita da Anubi, il dio dell’imbalsamazione con testa di canide, ricostruì il corpo del dio grazie alle sue arti magiche. Questo episodio rievoca la pratica della mummificazione grazie alla quale gli egizi cercavano di preservare il corpo dei defunti per la vita ultraterrena. Ciononostante, nel caso di Osiride c’era un problema: il suo fallo era stato accidentalmente divorato da un pesce del fiume (secondo alcuni racconti si trattava invece del coccodrillo Sobek). Iside dovette quindi sostituirlo con un membro fatto di argilla, al quale fece un incantesimo. Dopodiché assunse le sembianze di un nibbio e sbatté le ali sopra il corpo inerte del suo
sposo. Improvvisamente si levò una brezza rigeneratrice grazie alla quale Osiride si risvegliò e, con il membro eretto, fecondò la sposa. I Testi delle piramidi raccontano l’episodio in questo modo: «Viene a te tua sorella Iside, rallegrandosi per il tuo amore. Tu l’hai posta sopra il tuo fallo, il tuo seme fluisce dentro di lei» (Frammento 366). Minacciata nuovamente da Seth, Iside si nascose su un’isola del delta del Nilo, dove partorì il dio falco Horus. Inizialmente il bambino era debole e Iside dovette proteggerlo e prendersi cura di lui attraverso i suoi incantesimi. Tuttavia, col passare del tempo Horus recuperò le forze e divenne non solo il vendicatore del padre ma il difensore del proprio diritto al trono d’Egitto. Per quanto fosse risorto, Osiride non tornò a governare sulla Terra ma assunse invece il potere sul regno dei morti. I defunti aspiravano a fondersi con lui per godere di un’eternità che fosse soddisfacente e nella quale non mancasse nulla. Nella loro lotta per il potere, Horus e Seth si resero protagonisti di molte battaglie nelle quali ciascuno assumeva le sembianze di animali ogni volta diversi per riuscire a combattere con maggior efficacia. Alla fine fu Horus a ottenere la vittoria. ELISA CASTEL EGITTOLOGA
ARALDO DE LUCA
DEA / ALBUM
Il pilastro djed, simbolo di Osiride, nella tomba di Nefertari. Ha in mano due ankh, o chiavi della vita, e due scettri uas, simboli del potere.
LA PESATURA DELL’ANIMA
LA GIUSTIZIA DEL RE DEI MORTI In quanto dio dell’aldilà, Osiride regnava sul mondo dei morti, dove presiedeva un tribunale incaricato di giudicare le azioni del defunto per determinare se meritava la vita eterna. Di fronte a questa corte divina, il defunto doveva recitare una “dichiarazione negativa”, ovvero confessare di non aver commesso peccati terribili, indegni dell’immortalità.
La liturgia principale, guidata da Osiride, viene evocata nel capitolo 125 di un testo funerario intitolato Libro dei morti. Il rito consisteva nella pesatura del cuore del defunto (sede delle azioni terrene) su una bilancia, il cui contrappeso era una piuma che rappresentava la dea della giustizia, Maat. Per ottenere la vita eterna ed essere considerato “giusto di voce”, cioè sincero, il defunto doveva avere un cuore leggero come la piuma che rappresentava la dea. In caso contrario, la mostruosa Ammit, la divoratrice dei morti dalla testa di coccodrillo e dal corpo mezzo di leone e mezzo di ippopotamo, gli avrebbe mangiato il cuore, facendo in questo modo scomparire la persona per sempre. Non c’era castigo peggiore.
IL RITORNO ALLA VITA DI OSIRIDE, Questi disegni raffigurano la storia della morte e della resurrezione di Osiride così
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a dea Iside 1 trova il corpo di Osiride all’interno del tronco di un albero e lo conduce con sé in Egitto per riportarlo in vita 2. Da quel momento la tamerice crescerà sulla tomba del dio 3. Iside 4 e sua sorella Nefti 5 vegliano il cadavere di Osiride 6. Le dee hanno un braccio alzato in segno di lutto e
dolore. Anubi 7, dio dell’imbalsamazione, mummifica il corpo di Osiride. Una volta mummificato e dotato di un fallo artificiale, Osiride riprende coscienza 8. La dea Iside, con le sembianze di gheppio 9, riesce a risvegliare Osiride con la brezza rigeneratrice prodotta dal suo battito d’ali. Quindi la dea si congiunge con
IL DIO DELL’OLTRETOMBA
come appaiono sulle mura di una delle cappelle del tempio di Dendera
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il fallo eretto del marito e resta incinta di Horus. La dea Nefti , inginocchiata, contempla la scena. La resurrezione annuale di Osiride viene ricordata tramite i cosiddetti “letti di Osiride” , delle figure o strutture fatte con una miscela di fango e semi che, debitamente innaffiati , germogliavano. La crescita
del grano e della vegetazione propizia la rinascita di Osiride , anche se il dio non tornerà a regnare sulla Terra, ma diventerà appunto il signore dell’aldilà. Il suo ruolo di protettore della regalità viene messo in evidenza dalle corone disposte sotto il letto dal quale si leva il dio .
THE NEW YORK PUBLIC LIBRARY
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L A S E S TA M E R AV I G L I A D E L L’A N T I C H I TÀ
IL COLOSSO Nel III secolo a.C. i rodiesi costruirono un’enorme statua di bronzo del dio Helios
UN COLOSSO DA FAVOLA
DI RODI che fu distrutta da un terremoto
DEA / ALBUM
Nel XVII secolo Louis de Caullery dipinse il Colosso di Rodi con le gambe divaricate all’ingresso del porto, seguendo la moda diffusa da Van Heemskerck. Musée du Louvre, Parigi.
C R O N O LO G I A
Rodi e le sue statue leggendarie 408 a.C.
Le città-stato di Lindo, Camiro e Ialiso, unitesi per ragioni commerciali nel 411 a.C., fondano Rodi come capitale federale.
307 a.C.
Antigono I, re di Macedonia, non ottiene l’appoggio di Rodi contro Tolomeo I d’Egitto e invia suo figlio Demetrio alla conquista della città.
306 a.C.
Demetrio fallisce l’obiettivo, ma giunge a un accordo con i rodiesi e abbandona sull’isola una delle gigantesche torri d’assedio.
304–292 a.C.
Carete di Lindo costruisce il Colosso in ringraziamento al dio Helios (il Sole) per la protezione durante l’assedio macedone.
226 a.C.
Un terremoto fa crollare il Colosso, insieme a una parte della città. La statua si rompe all’altezza delle ginocchia e nessuno oserà ricostruirla.
654
Il califfo Mu’awiya conquista Rodi, termina la demolizione del Colosso e ne invia il bronzo in Siria, dove lo compra un ebreo di Edessa.
Il pittore Marten van Heemskerck fissa l’immagine più celebre del Colosso: con le gambe divaricate all’entrata del porto di Rodi.
38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
EOSGIS.COM
1572
N
el 408 a.C tre città dell’isola di Rodi – Lindo, Camiro e Ialiso – Rodi era situata decisero di costruire una nuova strategicamente capitale federale. La città di Rodi all’incrocio di due sarebbe prosperata rapidamente importanti vie marittime: quella nei decenni successivi, ma si sarebbe anche che univa Mileto con ritrovata coinvolta in tutti i grandi conflitti l’Egitto e la Cirenaica, della politica greca. Così avvenne alla fine del e quella che andava IV secolo a.C., quando scoppiò una guerra dalla Grecia fino a aperta tra due dei successori di Alessandro Cipro e in Siria. Magno: Tolomeo I, re d’Egitto, e Antigono I Monoftalmo, re di Macedonia. I rodiesi, grandi navigatori e otBisanzio timi diplomatici, avevano deciso di Anfipoli schierarsi con Tolomeo per ragioni commerciali. Tuttavia, nel 307 a.C Ma r Pergamo Egeo Antigono gli intimò di passare dalla sua parte. Di fronte al loro rifiuto, Tebe Efeso inviò suo figlio Demetrio Poliorcete Atene (soprannome che significa“assediaSparta tore”) a sottomettere la città. A queMa r e d i RODI Cr eta sto scopo, Demetrio fece costruire CRETA l’Elepoli (dal greco helepolis, catturatrice di città). Si trattava di una teUNA POSIZIONE STRATEGICA
BRIDGEMAN / ACI
IL COLOSSO IN UN DIPINTO DI GIACOMO TORELLI DEL XVII SECOLO. PINACOTECA DI FANO.
UN’IMMAGINE FITTIZIA
mibile torre d’assedio che misurava tra i 30 e i 40 metri di altezza e si muoveva in perfetto equilibrio su delle ruote. Tuttavia, i rodiesi riuscirono a frenarne l’avanzata versando sul suo tragitto acqua, fango e sterco. Dopo un anno di infruttuoso assedio, Rodi e la Macedonia arrivarono a un accordo: i rodiesi si sarebbero alleati con Antigono contro tutti i suoi nemici, eccetto Tolomeo, e in cambio avrebbero conservato l’autonomia e il controllo delle loro entrate.
Ringraziamento a Helios In segno di gratitudine per l’esito dello scontro, gli abitanti di Rodi decisero di erigere una statua straordinaria in onore di Helios, nume tutelare dell’isola e personificazione del Sole. Le spese furono pagate vendendo i resti di una delle torri da assedio che Demetrio aveva abbandonato quando si era ritirato dall’isola. Come testimonia un anonimo epigramma dedicatorio conservato nell’Antologia palatina: «Sole, per te gli abitanti di Rodi la dorica, al cielo il colosso levarono di bronzo, quando,
L’IMMAGINE irreale del Colosso con le gambe divaricate si diffuse nel Medioevo. Nel XV secolo si riteneva che uno dei piedi si trovasse dove è oggi il forte di san Nicola, alla fine del lungo molo che protegge il porto a est. Se l’altro piede avesse poggiato sull’estremità occidentale si sarebbe trovato a oltre 200 metri dal primo, cosa impossibile per l’altezza della statua.
sopiti i marosi di guerra, di spoglie nemiche fecero per la patria una corona». La costruzione fu affidata a Carete di Lindo, discepolo dello scultore prediletto di Alessandro, Lisippo. Carete lavorò al Colosso probabilmente tra il 304 e il 292 a.C. anche se, secondo il filosofo Sesto Empirico, si suicidò poco dopo l’inizio dell’opera dopo essersi reso conto di aver sbagliato i calcoli sul suo costo. Un’informazione, quest’ultima, che potrebbe non essere del tutto affidabile. In ogni caso la nuova statua era un’offerta alla divinità più importante di Rodi e doveva essere all’altezza di quanto rappresentava: la vittoria dei rodiesi e il dio che l’aveva resa possibile, analogamente alla grande Atena Promachos scolpita da Fidia nell’acropoli di Atene dopo la battaglia di Maratona. Ciò si riflette innanzitutto nelle imponenti
“CATTURATRICE DI CITTÀ”
L’Elepoli, (sotto), era un’enorme torre d’assedio militare di legno rinforzata e suddivisa al suo interno in nove piani, con aperture per lanciare proiettili.
AKG / ALBUM
Il molo, con il forte di san Nicola sullo sfondo, protegge l’entrata all’isola. Le due colonne con cervi occupano la presunta posizione che a partire dal Medioevo si attribuisce ai piedi del Colosso.
LUCA DA ROS / FOTOTECA 9X12
PORTO DI MANDRAKI
DIFFERENTI FASI DELLA LAVORAZIONE IN UN LABORATORIO DI SCULTURE DI METALLO DELL’ANTICA GRECIA.
PETER CONNOLLY / AKG / ALBUM
MAESTRI DEL BRONZO
PETER CONNOLLY / AKG / ALBUM
La lavorazione del bronzo diede a Rodi una grande fama. Secondo Strabone, qui anticamente vivevano i Telchini, esseri mitologici ritenuti i primi a lavorare il ferro e il bronzo.
dimensioni. Le fonti antiche attribuiscono al Colosso un’altezza tra i 70 e gli 80 cubiti, ovvero tra i 30 e i 33 metri, a seconda della lunghezza attribuita al cubito greco, che non era esattamente la stessa ovunque. La differenza di dimensioni potrebbe dipendere anche dall’aver tenuto conto o meno del basamento di marmo bianco su cui si ergeva. In ogni caso, la scultura era così grande che, secondo Plinio, «pochi uomini ne possono abbracciare il pollice e le sue dita sono più grandi di altre statue intere». La fonte principale sul processo di costruzione è un libello intitolato De septem miraculis mundi, attribuito a Filo-
ne di Bisanzio ma in realtà risalente al IV-VI secolo. Secondo quest’opera, il Colosso era costituito da un’intelaiatura in ferro di circa 7.800 chili di peso, con blocchi di pietra squadrati che fungevano da zavorra. Questa struttura era avvolta da una specie di rivestimento esterno di 12-13 tonnellate di bronzo. Diversamente da quanto si usava in genere con le sculture in bronzo di grandi dimensioni – delle quali prima si costruivano le singole parti e poi le si assemblava – il Colosso sarebbe stato eretto come un edificio, a strati. Così, una volta saldati i piedi della statua in un basamento di marmo, si forgiarono le caviglie, poi su queste la parte successiva, e così via fino ad arrivare alla testa. Per fondere il bronzo sul posto, a ogni livello veniva costruito tutt’intorno un terrapieno, che ricopriva le parti terminate della statua e permetteva di continuare a lavorare su una superficie solida e non combustibile. Ma attualmente gli studiosi non concordano sul fatto che per il Colosso si fosse usata la fusione in situ, come sostenuto invece da Fi-
COME FU COSTRUITO IL COLOSSO?
N
on sappiamo con certezza che procedimento sia stato utilizzato per erigere il Colosso. Nell’opera De septem miraculis mundi, attribuita a Filone di Bisanzio, si racconta che fu necessaria una tale quantità di bronzo da lasciare praticamente vuote le miniere. Per far fronte alle enormi dimensioni della statua, innanzitutto si fissarono i piedi del Colosso su un basamento di marmo, procedendo uno strato alla volta. Per garantire la stabilità del monumento si collocarono all’interno dei blocchi di pietra e si unirono le parti con dei perni in ferro. Tutt’intorno all’opera venne elevato un terrapieno, per permettere la fusione in situ. Alcuni studiosi ritengono che Filone si riferisse a un procedimento proprio di epoche successive e ipotizzano l’uso di lastre di bronzo martellato.
di Samosata, nel II secolo d.C., affermasse iperbolicamente che il Colosso di Rodi e il Faro di Alessandria erano visibili dalla luna. Nel 654, quando conquistò Rodi, il califfo Mu’awiya terminò di demolirlo e ne spedì il bronzo in Siria, dove venne comprato da un ebreo di Edessa (attuale S,anlıurfa). Secondo fonti bizantine, al nuovo acquirente servirono almeno 900 Una meraviglia di breve durata cammelli per portarselo via. Ma il Colosso, quell’audace “secondo Sole” La forza della leggenda avrebbe finidi Carete, non era destinato a durare a lungo: to per caratterizzare la rappresenun terremoto lo distrusse nel 226 a.C., prima tazione più conosciuta del giganancora della fine del secolo che lo aveva visto te scomparso. Nel 1572 l’artista nascere. E anche se il re d’Egitto Tolomeo III olandese Marten van HeEvergete offrì un’ingente quantità di denaro emskerck dipinse il Colossus e manodopera perché venisse eretto di nuo- Solis che si staglia all’entrata del vo, i rodiesi non osarono farlo a causa di un porto di Rodi: il Colosso regge un oracolo che lo sconsigliava. recipiente con una fiamma con la I resti del gigante, rotto all’altezza delle mano destra, mentre una nave con ginocchia, giacquero al suolo per 900 anni, le vele spiegate gli passa tra le gamlasciando intravedere la complessa struttura DEL PIREO. PARTICOLARE DELLA STATUA DELLA DEA, interna e suscitando l’ammirazione di tutti. ATENA DEL IV SECOLO A.C., OTTIMO ESEMPIO DI STATUA IN BRONZO DI Non stupisce che lo scrittore greco Luciano GRANDI DIMENSIONI. MUSEO ARCHEOLOGICO DEL PIREO, ATENE.
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ALA
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lone. Alcuni sostengono che furono utilizzate delle lastre di bronzo martellate e collocate su un’intelaiatura, un processo che richiede una minore quantità di metallo. Secondo altri ancora le singole parti del monumento vennero fuse separatamente in pozzi di dimensioni adeguate alla grandezza dell’opera. Ma di tali pozzi non è stata trovata alcuna traccia.
IL COLOSSO DI RODI
L’artista Antonio Muñoz Degrain ricreò la gigantesca statua in questo olio, che dipinse nel 1914, dopo un viaggio all’isola di Rodi. Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid. ORONOZ / ALBUM
42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
RICOSTRUZIONE DEL COLOSSO DI NERONE DOPO LA SUA RICONVERSIONE IN STATUA DEL SOLE.
IL COLOSSO DI NERONE A ROMA
S JAMIE JONES / NGS
econdo Svetonio, Nerone commissionò allo scultore greco Zenodoro una statua colossale – che doveva sicuramente ispirarsi al Colosso di Rodi – di 120 piedi di altezza (tra i 35 e i 40 metri) che lo rappresentava ed era destinata al vestibolo della Domus Aurea. Dopo la sua destituzione e la successiva morte, il senato ordinò di distruggere tutti i simboli del suo regno. Il colosso fu riconvertito in statua del Sole e situato, in epoca adrianea, vicino al Colosseo. Oggi se ne conservano solamente alcuni resti della base. A partire da alcune monete in cui compaiono i due monumenti uno accanto all’altro, si può dedurre che nella statua Nerone indossava una corona con sette raggi, aveva il braccio sinistro piegato, quello destro leggermente separato dal corpo e i piedi affiancati.
be divaricate. Quest’idea non era nuova. Un pellegrino italiano, Nicola de Martoni, che visitò Rodi tra il 1394 e il 1395, annotò ciò che si raccontava del Colosso: «Anticamente si trovava qui una grande meraviglia, un grande idolo, così mirabilmente costruito che si dice poggiasse un piede sull’estremità del molo, dove ora sorge la chiesa di san Nicola, e l’altro sull’estremità del molo opposto, dove si trovano i mulini».
Colossi che non erano giganti In realtà esistono argomenti di ordine tecnico e linguistico contro l’ipotesi del Colosso con le gambe divaricate. In quanto ai primi, era tecnicamente impossibile che una statua di almeno 30 metri di altezza poggiasse su piedi separati 200 metri uno dall’altro. Questo non solo per il peso stesso della scultura, ma anche per la spinta dei venti, che si sarebbe fatta sentire soprattutto sul petto. Inoltre, va ricordato che il Colosso si ruppe all’altezza delle ginocchia e non delle caviglie. D’altro canto, i linguisti fanno notare che i greci pre-
sero in prestito il termine con cui fu designato,“colosso”, dalle popolazioni autoctone dell’Asia minore. Indicava un tipo particolare di scultura, a forma di pilastro o con le gambe unite: per esempio, nel V secolo a.C., quando lo storico Erodoto visitò l’Egitto, il termine definiva un certo tipo di statue dei templi (quelle che avevano le gambe giunte). In origine la parola non aveva quindi a che vedere con l’altezza e acquisì il senso che le diamo oggi (“statua di grandi dimensioni”) a partire dallo stesso Colosso di Rodi. Nessuno degli altri colossi dell’antichità aveva le gambe divaricate. Per esempio, l’antico simulacro di culto del dio Apollo nel tempio “del Colosso” dell’isola di Delo – il cui aspetto ci è noto grazie a delle monete – si ergeva in piedi, di fronte, nudo, con i capelli fino alle spalle, le gambe unite e le braccia, piegate ad angolo retto, unite al corpo fino ai gomiti. Nel caso del Colosso di Rodi, potreb-
L’A NFITEATRO E IL COLOSSO
L’anfiteatro Flavio divenne noto come Colosseo perché si trovava vicino al Colosso di Nerone. Sotto, Colosseo e Colosso (sinistra) insieme. Bibliothèque Nationale de France, Parigi.
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IL SOLE INCORONATO. QUESTA STATUETTA ROMANA DEL II O III SECOLO D.C. MOSTRA HELIOS NUDO, CON UN MANTELLO SULLE SPALLE, INTENTO A SALUTARE. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI. 44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS
be sorprendere la mancanza di movimento nell’opera di un discepolo di Lisippo. Probabilmente può essere spiegata in base alle limitazioni tecniche al momento di scegliere la posizione di una figura così grande. Ciononostante, non si può escludere che Carete avesse ricevuto una commissione molto specifica: riprodurre, con le stesse dimensioni della colossale Elepoli, un’antica e venerata immagine di Helios che aveva le gambe giunte proprio come l’Artemide di Efeso e l’Afrodite di Afrodisia, sempre di epoca ellenistica. In realtà, sull’aspetto esteriore del Colosso non è possibile sapere molto, a parte che differiva dalle immagini poco plausibili che ne hanno tramandato gli artisti moderni. Le fonti antiche tacciono, e non fu coniata alcuna moneta con la raffigurazione del suo corpo intero, nonostante fosse il simbolo di una Rodi
che era orgogliosamente riuscita a mantenere la sua indipendenza. Riguardo al suo aspetto, il De septem miraculis mundi si limitò ad affermare che vi si riconosceva l’immagine di Helios «per le sue proprie caratteristiche», ma senza specificare quali fossero. Così, nel corso del tempo si sono succedute varie ipotesi, ma nessuna risolutiva. In ogni caso, si suppone che si trattasse della figura di un giovane nudo e con i capelli ricci, così come appare il dio Helios sulle monete rodiesi. Altri autori pensano che avesse anche una corona di raggi in testa, un attributo frequente del Sole. L’idea che potesse reggere una torcia o un oggetto destinato a contenere fuoco, invece, proviene da un’interpretazione erronea dell’epigramma dedicatorio, in cui i termini “mare” e “lume” indussero a ritenere che il Colosso fosse un faro: ma Helios è già di per sé “il lume”. Probabilmente aveva le gambe leggermente divaricate, rinforzate con dei sostegni. Risulta invece impossibile conoscere la posizione delle braccia: stese entrambe verso
BRIDGEMAN / ACI
FOTOGRAMMA DEL FILM IL COLOSSO DI RODI, DI SERGIO LEONE. 1961
IL COLOSSO AL CINEMA
UN PUNTO DI RIFERIMENTO ALL’ORIZZONTE
il basso, oppure con il braccio destro alzato, come veniva rappresentato il Sole nelle statuette romane di epoche successive. In quanto alla sua collocazione esatta, è molto improbabile che fosse vicino al mare o nella zona del porto, per limiti di spazio e perché i resti sarebbero caduti in parte in acqua, dove oggi potrebbero essere facilmente rinvenuti. Invece il Colosso, rappresentazione di Helios, probabilmente si innalzava vicino al tempio di questa divinità, la principale dell’isola, ma per ora non sono stati ritrovati resti né del tempio né di un eventuale santuario all’aria aperta.
Sulla riva o nell’entroterra? L’archeologa Ursula Vedder suggerisce che il Colosso potesse trovarsi nel tempio sull’acropoli di Rodi, tradizionalmente attribuito ad Apollo Pitico ma che in realtà potrebbe essere dedicato proprio a Helios. Si spiegherebbe così che in una terrazza contigua a quella del tempio sorgesse lo stadio, in cui atleti provenienti da tutta la Grecia si sfidavano durante
SERGIO LEONE diresse nel 1961 Il colosso di Rodi, mitologico pe-
MARCO COVI / ELECTA / ALBUM
Che fosse nel porto, nell’acropoli o nella città bassa, il Colosso di Rodi doveva essere visibile da molto lontano, come immagina Gualtiero Padovano in questo affresco del XVI secolo. Villa Godi Malinverni, Lugo di Vicenza.
plum nel quale il gigante di bronzo è incaricato di sorvegliare il porto dell’isola gettando olio bollente sulle navi che passano tra le sue gambe, fino a che non viene distrutto da un triplice terremoto. Il molo di Rodi e la parte inferiore del Colosso sono stati ricostruiti nel porto di Laredo (Cantabria).
le Aliee, le feste in onore di Halios (Helios nel dialetto locale). Anche a Olimpia, Corinto, Nemea e Delfi gli stadi erano situati all’interno di recinti sacri. Altri ritengono invece che il Colosso sorgesse in un luogo dove il suo crollo avrebbe coinvolto altri edifici, come la zona del Palazzo del Gran Maestro o del bazar: secondo un commentatore antico, infatti, i rodiesi non sarebbero tornati a erigere la statua per timore dei danni provocati da un nuovo crollo. Poche sono le certezze e molti i dubbi relativi a un monumento che per le dimensioni, il costo e la complessità dell’esecuzione meritò di essere considerato una delle meraviglie dell’antichità. Il Colosso non resistette a lungo in piedi, ma continua a esistere tra noi. Attualmente il gigante può essere riconosciuto dietro i 46 metri della Statua della Libertà, che dal 1886 sorge a New York. Il Colosso gode inoltre di una nuova vita grazie alla serie Il trono di spade, nella figura del Titano che vigila sul porto di Braavos. ROSA MARÍA MARIÑO SÁNCHEZ-ELVIRA DOCENTE DI GRECO
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL ROGO DEI LIBRI DI ARIO
Questo olio di Carlo Magnone ricrea l’adempimento di una delle risoluzioni del primo Concilio di Nicea, celebrato nell’anno 325 e presieduto da Costantino: il rogo dei libri che contenevano le dottrine dell’arianesimo. XVII secolo. FINE ART IMAGES / ALBUM
ERETICI I primi dissidenti del cristianesimo
Sin dai suoi albori il cristianesimo dovette confrontarsi con questioni dottrinali o liturgiche. Gruppi come gli gnostici, gli ariani o i monofisiti finirono con l’essere condannati per eresia
L
a tradizione cristiana ricorda i primi secoli della storia del cristianesimo come un tempo di persecuzione e di martirio. A partire dall’anno 64, quando Nerone – in seguito all’incendio di Roma – diede inizio alla prima persecuzione, fino alla Grande persecuzione di Diocleziano (303-313), i cristiani soffrirono ripetuti attacchi da parte delle autorità romane: venivano uccisi a centinaia, forse anche a migliaia, per decisione di giudici che inventavano per loro torture apposite, oppure venivano gettati in pasto alle belve con l’obiettivo di intrattenere il popolo. Oggi sappiamo che, sebbene sia vero che alcuni furono uccisi per il semplice fatto di essere cristiani – sospettati di minare la stabilità dello stato poiché non rendevano culto agli dei – , in realtà le persecuzioni furono sporadiche e causarono un numero di morti inferiore a quello che ci ha trasmesso la tradizione. In molti casi, come ha evidenziato Geoffrey de Sainte Croix, uno dei maggiori studiosi di questo fenomeno, le vittime erano martiri volontari che non si lasciavano dissuadere dai giudici. Tuttavia, come lo stesso Sainte Croix fa notare, i numeri non sono tutto, e la minaccia di persecuzione rappresentava già di per sé una persecuzione. Questo fatto avrebbe anche lasciato una “cicatrice psicologica”, all’origine dello spirito persecutorio sviluppato ben presto dai cristiani, che si manifestò con tutta la sua crudeltà nella repressione della dissidenza interna: la lotta contro l’eresia. E questo accadeva nonostante
l’apologia della tolleranza fatta dai cristiani al tempo delle persecuzioni. Questi si erano infatti presentati come una comunità nuova, diversa da quelle dei pagani e degli ebrei, dalle quali diceva di distinguersi proprio per la pietà, l’amore per il prossimo e il pacifismo.
Apostoli della tolleranza Fu proprio un cristiano, Tertulliano di Cartagine, a formulare nel II secolo il concetto di libertà religiosa, rivendicandola in termini molto moderni: «Scegliere liberamente la pratica del culto divino è un diritto umano e un privilegio naturale per tutti; la religione di una persona non danneggia né beneficia un’altra. L’imposizione della religione non è un atto religioso: al contrario, solo il libero desiderio ci avvicina a essa, non la costrizione». Tertulliano si appellava inoltre alla libertà di coscienza: «Quando ci invitano a compiere un sacrificio, ci opponiamo per rimanere leali alla nostra coscienza, che ci fa capire a chi si dirigono quegli omaggi offerti a false immagini e a entità divinizzate». Un secolo dopo, Lattanzio, testimone della persecuzione di Diocleziano, chiedeva la ces-
C R O N O LO G I A
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Il vescovo Ireneo di Lione dichiara che lo gnosticismo, con la sua grande varietà di dottrine e di scuole, è un’eresia.
Diocleziano intraprende la cosiddetta Grande persecuzione contro i cristiani, che si rifiutavano di eseguire le pratiche religiose dell’impero.
XXXXX
SCALA, FIRENZE
CONTRO GLI ERETICI
CRISMON O MONOGRAMMA DI CRISTO. IV SECOLO. MUSEO PIO CRISTIANO, VATICANO.
TOMBE IN MEZZO ALLA STRADA
La via Latina, a Roma, è costellata da una serie di mausolei eretti fra il I e il II secolo, come quello nell’immagine. Alcuni di essi contenevano pitture di soggetto cristiano. SCALA, FIRENZE
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L’imperatore Costantino promulga l’Editto di Milano, che riconosce il cristianesimo come religione lecita.
Si tiene il primo Concilio di Nicea, presieduto da Costantino. Vengono condannate le idee di Ario, che è mandato in esilio.
Teodosio e Graziano emanano l’Editto di Tessalonica, che fa del cristianesimo la religione ufficiale e unica dell’impero.
Il vescovo ispanico Priscilliano è accusato di pratiche magiche davanti a un tribunale civile e viene condannato a morte.
simo, mentre le altre fedi venivano considerate idolatriche e superstiziose e, pertanto, da combattere. L’azione repressiva dei cristiani era diretta principalmente contro il paganesimo, che veniva accusato di essere un culto idolatrico: la persecuzione aumentò dopo l’Editto di Milano dell’anno 313, con il quale l’imperatore Costantino aveva dichiarato il cristianesimo religione lecita. Ciononostante, fu proprio nelle dispute interne che l’intolleranza cristiana si manifestò in modo più radicale. Il cristianesimo non fu mai una religione coesa. Al contrario, fin dalla prima generazione risultò evidente che svariati gruppi e orientamenti stavano iniziando a competere tra loro, lanciandosi accuse reciproche di eterodossia.
ORONOZ / ALBUM
Paolo contro gli eretici
BRIDG
EMAN
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SESSIONE DEL PRIMO CONCILIO DI NICEA, NEL QUALE SI STABILIRONO I DOGMI CENTRALI DELLA CHIESA. AFFRESCO DEL XVI SECOLO NELLA BASILICA DI SAN MARTINO AI MONTI, ROMA.
sazione della violenza e si appellava al dialogo. Il culto alla divinità, argomentava Lattanzio, non si può imporre, né si può impedire a qualcuno di praticare la religione che ha scelto; attraverso le torture non si raggiunge nulla, anzi, la persecuzione rende i cristiani più forti e attrae altri seguaci; la persuasione è l’unico strumento che può porre fine al conflitto. Tuttavia, questo discorso sulla libertà si sarebbe presto rivelato solo un prodotto delle circostanze e i cristiani non arrivarono mai a interiorizzarlo. Gli stessi autori che reclamavano libertà e dialogo manifestavano una radicale intolleranza verso i pagani, considerati empi e figli del diavolo. Per i cristiani l’unica religione degna di questo nome era il cristianeSAN PAOLO. DETTAGLIO DELL’ABSIDE DELLA CHIESA DEL CASTELLO DI ORCAU. XI SECOLO. MNAC, BARCELLONA.
Nelle lettere di Paolo di Tarso la figura dell’eretico si delinea come quella di un maestro che divide la comunità diffondendo dottrine non autorizzate: in concreto Paolo si riferiva alle dottrine contrarie ai suoi insegnamenti. Nella prima lettera ai Galati il teologo cristiano prescriveva che predicare un vangelo diverso da quello che egli annunciava comportava un anatema, una formula di condanna che poteva portare all’espulsione dalla comunità. Alla fine del I secolo le Lettere pastorali – attribuite all’apostolo Paolo e dirette ai suoi collaboratori Timoteo e Tito – esprimevano un’intolleranza totale rispetto ai dissidenti: i predicatori di false dottrine sarebbero stati consegnati a Satana. In un passaggio della lettera di Paolo a Tito (3, 10-11) si utilizzava il termine “eretico” (hairetikos) nel senso di persona che provoca dissenso attraverso credenze erronee. Era funzione e dovere del vescovo garantire l’unità della Chiesa rimproverando gli eretici, i quali, se non si ravvedevano, dovevano essere espulsi dalla comunità: «Colui che incoraggia la divisione (hairetikos anthropos) ammoniscilo una prima e una seconda volta. Tuttavia, se non ti dà ascolto, allontanati da lui poiché è pervertito, e perseverando nel peccato si condanna da sé». Diversamente da quanto accadde nell’ebraismo e nell’islam, l’importanza dell’eresia nel cristianesimo si può spiegare in gran parte con il forte senso di comunità. L’ingresso nella società cristiana comportava la perdita della
BASILICA DI SAN SIMEONE STILITA
Vicino ad Aleppo, in Siria, si trova questa chiesa del V secolo che conserva nella sua architettura influenze dell’arte greco-romana. È dedicata a san Simeone, un eremita che passò 37 anni della sua vita in cima a una colonna. E. LAFFORGUE / ALAMY / ACI
contro gli eretici costituiva una strategia di sopravvivenza. Allo stesso tempo si costituiva una gerarchia ecclesiastica che si arrogava il monopolio della definizione di ortodossia, facendo appello alla tradizione. Questo nuovo corpo ecclesiastico sostituì altre forme di autorità più partecipative e carismatiche presenti nelle prime comunità cristiane. Nel II e III secolo i principali rivali dell’ortodossia cristiana erano gli gnostici. Questo movimento filosofico e religioso era costituito da molteplici gruppi e si estendeva al mondo pagano ed ebraico. Gli gnostici cristiani erano convinti di possedere una conoscenza superiore (gnosis), acquisita attraverso la rivelazione segreta fatta da Gesù ad alcuni discepoli e discepole da lui scelti. Spesso si trattava di vangeli rifiutati dalla Chiesa ufficiale come falsi, come il Vangelo di Maria Maddalena o il Vangelo di Giuda.
FLORENCE DARBRE / NGS
Gnostici e ariani
E. LESSING / ALBUM
IL VANGELO DI GIUDA. FRAMMENTO DI PAPIRO (CODEX TCHACOS) CHE CONTIENE PARTE DI QUESTO TESTO GNOSTICO, MAI ACCETTATO DALLA CHIESA CATTOLICA.
soggettività individuale: le identità etniche, sociali e familiari si diluivano in un nuovo soggetto collettivo, in cui il dissenso era impossibile e inaccettabile. Nel cristianesimo la Chiesa veniva concepita come un corpo unico, depositario della verità e incaricato di custodirla. Una verità dalla quale l’eretico si allontanava con “perversità”, minacciando in tal modo la sopravvivenza del gruppo. Secondo una metafora dei testi cristiani, l’eresia poteva far “affondare l’arca”, mettendo a rischio la salvezza di tutti. Era una malattia contagiosa (pestilentia), una pazzia (insania, dementia), che minacciava di corrompere il corpo organico della Chiesa. In base a questa convinzione, per la Chiesa la lotta MARIA MADDALENA. FIGURA POLICROMA IN LEGNO. XVI SECOLO. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
Gli gnostici rappresentavano la maggiore minaccia per la Chiesa dei primi secoli, ma non l’unica. Anche altri gruppi avevano posizioni dottrinali, pratiche liturgiche o strutture organizzative alternative che attraevano molti cristiani. Fra esse si distinguevano il marcionismo, che non riconosceva né il Vecchio testamento né la figura di Gesù come Messia; il sabellianismo, che negava la natura divina di Gesù, o il montanismo, una setta guidata da Montano e dalle profetesse Massimilla e Priscilla (o Prisca), che dicevano di essere ispirate direttamente dallo Spirito Santo e non riconoscevano la gerarchia della Chiesa. I montanisti sopravvissero fino alla fine dell’antichità. Lo stesso fecero i novaziani, ossia i seguaci di Novaziano di Roma, il quale verso la metà del III secolo era stato espulso dalla Chiesa per essersi rifiutato di riammettere i cristiani che avevano fatto apostasia durante le persecuzioni. Fra tutte le eresie, quella che indubbiamente ebbe maggiore impatto sull’antico cristianesimo, sia per il suo spessore teologico sia per la sua estensione geografica e temporale, fu l’arianesimo. L’origine della controversia fu la predicazione di Ario, un presbitero di Alessandria, il quale sosteneva che Gesù avesse una natura simile, ma non uguale, a quella di Dio Padre. Il dibattito, che all’inizio
SCALA, FIRENZE
DITTICO DI MURANO
Questa copertina in avorio di un vangelo del V secolo, proveniente da Alessandria, mostra diverse scene raffiguranti alcuni dei miracoli compiuti da GesĂš Cristo, che appare sul trono nel pannello centrale. Museo Nazionale, Ravenna.
L’eresia è spesso femmina
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ELL’ANNO 414 san Girolamo stese una lista dei principali
fondatori di eresie dell’antichità. Tutti loro avevano in comune il fatto di essere stati allievi di donne: «Simon Mago fondò un’eresia con l’aiuto della prostituta Elena […] Marcione mandò innanzi una donna, a Roma, per preparare gli animi delle illuse. Apelle ebbe come compagna delle sue dottrine Filomena. Montano, predicatore dello spirito immondo, con l’aiuto di Prisca e Massimilla, donne nobili e ricche, corruppe prima con l’oro e successivamente macchiò molte chiese con l’eresia […] Ario invece, per impadronirsi dell’orbe, ingannò per prima cosa la sorella dell’imperatore […] In Spagna Agape, una donna, guidò Elpidio, un uomo, e una cieca portò un cieco nella fossa. Il suo successore fu Priscilliano, grande studioso del mago Zoroastro, che venne nominato vescovo e al quale si unì Gala […]». SAN GIROLAMO. RITRATTO SU TAVOLA, XIV SECOLO. NÁRODNÍ GALERIE, PRAGA.
ERICH LESSING / ALBUM
BATTISTERO DEGLI ARIANI
Eretto dagli ostrogoti a Ravenna, è l’unico edificio creato apposta per il battesimo degli ariani. Sotto, mosaico della cupola.
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aveva coinvolto solo l’Egitto, fu trattato in un concilio plenario a Nicea, convocato nel 325 e presieduto da Costantino e al quale assistettero circa 300 vescovi. Il concilio condannò le idee di Ario, che fu mandato in esilio con alcuni dei suoi seguaci. I suoi libri, invece, furono bruciati pubblicamente. Secondo una leggenda, Ario sarebbe morto in modo ignominioso in una latrina della città di Costantinopoli a causa della sua eresia. L’arianesimo divise l’Impero cristiano in due parti: l’Oriente, a maggioranza ariana, e l’Occidente, a maggioranza cattolica. Teodosio cercò di sopprimerlo, eppure l’arianesimo sopravvisse alla caduta dell’impero e arrivò fino in Occidente; di fatto vi aderì la
maggior parte dei germani e dei visigoti. A partire dall’imperatore Costantino l’eresia divenne una categoria giuridica. Numerosi gruppi catalogati come eretici o scismatici (manichei, donatisti, macedoniani, priscillianisti, pelagiani, nestoriani...), dichiarati fuorilegge, potevano essere perseguitati dalle autorità civili. Il Codice di Teodosio dedicava un’intera sezione agli eretici e prevedeva per loro multe e condanne all’esilio. In ogni caso bisogna sottolineare che nell’antichità non veniva applicata la pena di morte contro gli eretici; i roghi per i delitti di fede fecero infatti la loro comparsa in epoca medievale e moderna.
Il caso di Priscilliano A volte viene citato come eccezione il caso di Priscilliano, che fu condannato a morte nell’anno 385. Priscilliano era un leader carismatico proveniente da una famiglia agiata del nord-ovest della Spagna. Possedeva una formazione teologica di notevole livello e predicava un ascetismo rigoroso che attraeva molti seguaci di diversa estrazione sociale, sia uomini sia donne. Fu accusato da alcuni vescovi di diffondere insegnamenti di natura gnostica, prossimi al manicheismo, e di usare testi apocrifi. Per questo fu condannato dal Concilio di Saragozza dell’anno 380. Ciononostante, a riprova della sua grande popolarità, l’anno seguente fu nominato vescovo di Ávila. Dopo esser stato condannato una seconda volta durante un concilio a Bordeaux, alla fine il suo caso fu portato dinanzi all’imperatore Massimo e si concluse con un giudizio civile presso il tribunale imperiale di Treviri (nell’attuale Germania) nell’anno 385. Lì Priscilliano venne accusato di maleficium, ovvero di pratiche magiche, un delitto che comportava la pena massima, e per il quale venne giustiziato insieme ad altri sei seguaci. Non si può dire che l’avessero condannato propriamente come eretico, condizione che poteva essere accertata solo da un giudizio ecclesiastico. Ma di sicuro la sua esecuzione, causata da rivalità interne, provocò un grande clamore e le proteste di alcune tra le voci più influenti della Chiesa di quel tempo. MAR MARCOS DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE, UNIVERSITÀ DELLA CANTABRIA
SANT’APOLLINARE IN CLASSE
DAGLI ORTI / AGE FOTOSTOCK
Questa basilica, eretta nel porto di Ravenna nel VI secolo, ha una pianta divisa in tre navate e un’abside decorata con bellissimi mosaici. Fu dedicata a Sant’Apollinare, il primo vescovo della città.
ERETICI DALLA A ALLA Z Nei primi secoli di vita il cristianesimo diede origine a numerose eresie; Agostino di Ippona ne contò 88 e Filastrio 156. Qui vengono menzionate alcune delle più rilevanti, incentrate sulla natura di Gesù Cristo e su alcuni aspetti della liturgia. CROCE NESTORIANA PROVENIENTE DALLA CINA, CHE SEGNALAVA LA TOMBA DI UNA DONNA DI ALTO RANGO. DINASTIA YUAN, XIV SECOLO. MUSÉE GUIMET, PARIGI.
1 adozionismo
Questa dottrina considerava Cristo come un semplice mortale che fu adottato da Dio e ottenne attraverso il battesimo una parvenza di divinità che gli permise di compiere la sua missione. Si diffuse a Roma verso la fine del II secolo grazie a Teodoto, scomunicato da papa Vittore, e poco dopo anche da Artemas, anch’egli scomunicato. 2 arianesimo
Ario sviluppò la dottrina che avrebbe preso il suo nome mentre era presbitero di Alessandria. Negava la Trinità e ammetteva l’esistenza di un solo Padre, l’origine di Cristo da Dio e la loro natura diversa. Ario fu condannato come eretico dal Concilio di Nicea del 325, mentre i suoi seguaci dal Concilio di Costantinopoli del 381. 3 apollinarismo
Nel IV secolo il vescovo Apollinare di Laodicea sostenne che Cristo non era né solo Dio né solo uomo, bensì un essere intermedio. Fu condannato dal Concilio di Costantinopoli del 381 e mandato in esilio nel 388.
LA FEDE E ARIO L’ERETICO. PAGINA DEL PANEGIRICO DI BRUZIO VISCONTI SCRITTO DA BARTOLOMEO DI BARTOLI DA BOLOGNA. XIV SECOLO. MUSÉE CONDÉ, CHANTILLY.
4 ebionismo
Il nome deriva dal termine ebraico ebionim, “i poveri”. Gli ebioniti provenivano probabilmente da uno dei rami degli ebrei convertiti al cristianesimo alla fine del I secolo e negavano sia la divinità di Cristo, sia la sua nascita da una vergine. 5 donatismo
Questo scisma fu il risultato di un conflitto verificatosi a Cartagine nel 311 e capeggiato da Donato, un cristiano rigorista che negava la riconciliazione a coloro che avevano fatto atto di apostasia durante le persecuzioni. Nel 347 Donato fu esiliato e nel 412 il movimento venne proscritto. 7
6 marcionismo
9 16
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5 8 2
MAPPA CHE MOSTRA I CENTRI DELLE ERESIE CRISTIANE DAL II AL V SECOLO.
FOTO DA SINISTRA A DESTRA, DALL’ALTO IN BASSO: THIERRY OLLIVIER / RMN-GRAND PALAIS; BRIDGEMAN / ACI; GRANGER / AURIMAGES; BRIDGEMAN / ACI. CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
Marcione difese una forma di gnosticismo cristiano che distingueva tra il Dio cattivo dell’Antico testamento, che aveva represso l’umanità con la legge di Mosè, e il Dio buono del Nuovo testamento, che inviò Gesù, del quale negava l’essenza corporea e la nascita da Maria. Marcione venne espulso dalla Chiesa nel 144.
7 macedonismo
Macedonio fu un vescovo di Costantinopoli adepto di una forma moderata di arianesimo. Dopo la sua morte nel 362 si sviluppò sotto il suo nome una corrente secondo la quale lo Spirito Santo fu creato dal Figlio e che pertanto era subordinato sia a lui, sia al Padre. Questa dottrina venne condannata nel 381 a Costantinopoli. 8 monofisismo
Sosteneva che la natura di Cristo era pienamente divina, contro la dottrina ufficiale sulla sua doppia natura di Dio e uomo. Per questa idea nel 448 vennero condannati il monaco Eutiche e il patriarca di Alessandria, Dioscuro. 9 montanismo
Nacque intorno al 156 in Frigia, dove un cristiano da poco convertito, Montano, ebbe visioni mistiche che lo portarono a sostenere che il Paraclito, lo Spirito della verità promesso da Gesù Cristo, parlava per mezzo di lui e dei suoi seguaci. Tertulliano, uno dei padri della Chiesa, aderì al montanismo nell’anno 212.
MINIATURA DEL CODICE EMILIANENSE SUL CONCILIO DI TOLEDO, CHE CONDANNÒ L’ERESIA DI PRISCILLIANO. ANNO 1000.
nestorianesimo
Arcivescovo di Costantinopoli, Nestorio sottolineava la natura umana di Cristo e la separava radicalmente da quella divina. La sua dottrina fu condannata come eretica dai concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451). novazianismo
Nel III secolo, a Roma, il sacerdote romano Novaziano rifiutò di riammettere in seno alla Chiesa i cristiani che avevano abiurato la propria religione durante le persecuzioni. Novaziano e i suoi seguaci furono scomunicati da papa Cornelio nel 251. LA SANTISSIMA TRINITÀ. ICONA DI ANDREI RUBLEV. 1420. GALLERIA TRETYAKOV, MOSCA.
pelagianesimo
Questa dottrina era opera di Pelagio, un monaco che viveva in Palestina e negava il peccato originale. Sosteneva che l’uomo avrebbe dovuto cercare la salvezza con i propri mezzi. Venne condannata dal Concilio di Cartagine nel 416. sabellianismo
Sabellio, un presbitero romano vissuto intorno al 220, sviluppò una dottrina prossima all’adozionismo, secondo cui c’era un solo Dio che si era manifestato come Padre nell’Antico testamento, come Figlio nell’Incarnazione e come Spirito Santo nella Pentecoste. Condannati dal papa Callisto, i sabelliani ricomparvero in Libia intorno al 250.
ZHENG HE QUANDO LA CINA DOMINAVA I MARI
IL GRANDE AMMIRAGLIO DELLA CINA
In questo quadro Hongnian Zhang ritrasse Zheng He al comando di una delle sue spedizioni. Davanti a lui, un esperto consulta una bussola. Sullo sfondo compaiono le grandi “navi del tesoro”. HONGNIAN ZHANG / NGS
RICCHEZZE IMPERIALI
I due principali beni commerciati dai cinesi, e trasportati dalle navi di Zheng He, erano la seta e la porcellana. Sotto, porcellana Ming decorata con dragoni. BRIDGEMAN / ACI
Zheng He diresse le sette grandi spedizioni cinesi verso l’oceano Indiano tra il 1405 e il 1433. Le sue navi, che raggiunsero l’Africa e forse ne doppiarono il capo meridionale, fecero della Cina la maggior potenza navale dell’epoca
LA PODEROSA FLOTTA DI KUBLAI
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OPO AVER ULTIMATO la conquista della Cina nel 1279, Kublai Khan decise di invadere il Giappone con la maggiore flotta cinese che mai avesse solcato i mari prima di quella di Zheng He. Se si dà credito alle fonti, fu la più grande di tutti i tempi: alle 900 navi provenienti dalla Corea (molte delle quali da guerra) se ne aggiunsero 3.500 costruite a Quanzhou (Fujian), per un totale di 140mila uomini. Ma le imbarcazioni, in particolare quelle cinesi, erano state fatte in gran fretta, riutilizzando battelli fluviali a chiglia piatta. La battaglia era in una fase di stallo quando la flotta di Kublai fu distrutta da un tifone: il kamikaze (“vento divino”), per il quale i giapponesi conservano un sacro rispetto. In realtà la belligeranza nipponica e l’incompetenza mongola ebbero un ruolo decisivo nell’esito dello scontro.
GRANGER / ALBUM
LA PRIMA GRANDE FLOTTA CINESE
I samurai assaltano una nave della flotta inviata da Kublai Khan contro il Giappone. Illustrazione dal Moko shurai ekotoba (“Libro illustrato sulle invasioni mongole”). 1275-93.
C R O N O LO G I A
I GRANDI VIAGGI
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metà del XIX secolo, nel corso delle Guerre dell’oppio, la flotta cinese si dimostrò completamente incapace di difendere le sue coste dall’arrivo delle navi europee. Gli attaccanti, sicuri della propria superiorità, ne dedussero che i cinesi erano un popolo di contadini che non era mai andato per mare. L’indifferenza dei cinesi nei confronti della navigazione divenne così un luogo comune, perdurato fino alla fine del XX secolo. Ma non era sempre stato così. Da quella che oggi è la costa vicino a Shangai, per esempio, salparono per secoli
le navi che, attraverso il mar Cinese Orientale, portavano in Giappone gli elementi caratteristici del mondo cinese: la scrittura, il riso, il bronzo, il confucianesimo, il buddismo e la progettazione urbanistica. Nell’XI secolo le grandi imbarcazioni cinesi– già dotate di compartimenti stagni, timone fisso, bussola e svariate vele, che ne facevano dei mezzi sicuri o con una grande capacità di carico – imposero l’egemonia dell’impero nel mar Cinese Meridionale. Da qui, attraverso lo stretto di Malacca, andarono a contendere le preziosissime rotte dell’oceano Indiano
1371
1405
Ma He nasce in una famiglia di mercanti musulmani dello Yunnan. Nel 1381 i Ming conquistano la provincia, lo catturano e lo castrano. Diventa eunuco di corte.
L’imperatore Yongle affida il comando della prima grande spedizione navale cinese in Asia a Ma He, che ha preso il nome di Zheng He e si è distinto come alto funzionario civile e militare.
60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC BRIDGEM
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NAVE MERCANTILE ARABA, SECONDO UN MANOSCRITTO DEL XIII SECOLO.
LA CITTÀ PROIBITA
La grande residenza imperiale fatta costruire dalla dinastia Ming a Pechino, tra il 1406 e il 1420, vista da nord, con la Porta della Divina Potenza in primo piano.
BBEST VIEW STOCK / AGE FOTOSTOCK
alle navi arabe. I cinesi si affacciarono su questo oceano per la prima volta con la flotta meglio equipaggiata dell’epoca, ovvero quella creata dalla dinastia Song. Tuttavia, nel XII secolo i Song persero la Cina settentrionale e ripiegarono verso sud, abbandonando così il controllo della via della seta, grazie alla quale arrivavano le ricchezze provenienti dalla Persia e dal mondo islamico. Trasferirono dunque la capitale a Hangzhou, un magnifico porto sulle foci dello Yangzi (o fiume azzurro). Fu allora che i cinesi divennero per la prima volta una potenza navale. I Song applicarono la loro esperienza nella naviga-
Diventato ormai imperatore cinese, Kublai, proveniente da un popolo nomade della steppa che attraversava i fiumi su canoe improvvisate, intraprese la costruzione di un’imponente for-
1431
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Zheng He intraprende la sua settima e ultima spedizione, patrocinata dall’imperatore Xuande. Muore durante il viaggio di ritorno, o più probabilmente all’arrivo in terraferma, tra il 1433 e il 1435.
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Hongxi, successore di Yongle, sospende le spedizioni navali su pressione dei suoi ministri, invidiosi del crescente potere degli eunuchi a corte. Zheng He dirige i lavori della Torre di Porcellana a Nanchino.
Le navi del Gran Khan
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1424
zione fluviale, testimoniata da secoli di formidabili scontri navali nelle acque interne, a una moderna flotta da guerra che si dimostrò capace di offrire una feroce resistenza all’invasione dell’imperatore mongolo Kublai Khan.
L’IMPERATORE YONGLE
Il sovrano che promosse i viaggi di Zheng He fu Yongle. Questi trasferì la capitale a Pechino e vi fece costruire la Città Proibita, sede del potere imperiale.
ZHENG HE IN PIEDI SU UNA DELLE SUE NAVI. ILLUSTRAZIONE DEL ROMANZO DI LUO MAODENG (1597) CHE RIEVOCA I VIAGGI DELL’AMMIRAGLIO CINESE.
1
2 1. BRITISH LIBRARY / SCALA, FIRENZE. 2. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE. 3. BRIDGEMAN / ACI.
LA STORIA DI UN EUNUCO
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A HE NACQUE NEL 1371 in una facoltosa famiglia musulmana
dello Yunnan. Qui, sulle sponde del lago Dian, crebbe con un fratello maggiore e quattro sorelle. La famiglia compiva di frequente lunghi viaggi (di cui Ma He dovette ascoltare lunghi resoconti nel corso della sua infanzia) e godeva di buone relazioni con l’establishment mongolo. Ma nel 1381, quando i Ming invasero lo Yunnan, il padre di Ma He morì e il ragazzo fu fatto prigioniero. A soli 11 anni fu castrato e destinato alla corte del futuro imperatore Yongle a Pechino. Prese parte a due campagne contro i mongoli, ottenendo buoni risultati come comandante militare e ricevendo il nome di Zheng He. Una volta salito al trono, l’imperatore Yongle lo mise a capo dei lavori di realizzazione della Città Proibita. Questa posizione gli permise di familiarizzare con la fornitura e la gestione dei materiali da costruzione – cosa che, insieme al suo profilo militare, lo rese il candidato perfetto per costruire e dirigere una grande flotta. Un anno dopo, nel 1405, Zheng He ricevette da Yongle l’ordine di lanciare la prima delle sette spedizioni cui dedicò la sua vita. Zheng He adottò come figlio ed erede un nipote, da cui ebbe origine la sua discendenza, che perdura tutt’oggi.
62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
za navale: furono piantati milioni di alberi e si crearono cantieri dalla Cina meridionale alla Corea. Kublai poté così disporre di migliaia di navi, con le quali attaccò il Giappone, il Vietnam e Giava. Anche se queste spedizioni si conclusero con dei netti fallimenti, la Cina arrivò a controllare tutti i mari dalle coste nipponiche al sud-est asiatico. Inoltre, i mongoli diedero un’importanza straordinaria ai mercanti, consentendo in questo modo al commercio marittimo di fiorire. La dinastia mongola fu espulsa dalla nuova dinastia Ming, il cui primo imperatore, Hongwu, era altrettanto deciso a sostenere la potenza navale cinese. Ciononostante, limitò i contatti esterni alle delegazioni inviate dai regni tributari della Cina. Il suo scopo era controllare il commercio marittimo affinché i benefici che generava non finissero in mani private. Per questo decretò che le navi oceaniche non potevano avere più di tre alberi (pena l’esilio o la morte): la misura, che colpì anche le imbarcazioni da pesca, ebbe un effetto devastante sulla popolazione costiera.
1 Zheng He. I suoi giornali di bordo andarono distrutti, ma le carte astronomiche e la mappa che utilizzò si sono conservate nello Wubei zhi, un trattato militare del XVII secolo. 2 La mappa del Wubei zhi è un portolano (una mappa con i porti): sono indicate solamente le isole, le montagne e gli edifici visibili dalle navi, a scopo orientativo. 3 Carta del Wubei zhi (Bubishi in giapponese) con la posizione delle stelle da mantenere sui quattro lati della nave per andare da Hormuz, nel golfo Persico, a Calicut, in India.
3
Il secondo imperatore Ming, Yongle, portò questa politica al suo apice consolidando il divieto del commercio privato e promuovendo intensamente il controllo cinese sui mari del sud e sull’oceano Indiano. L’inizio del regno di Yongle fu segnato dalla conquista del Vietnam e dalla fondazione di Malacca (nell’odierna Malesia), un nuovo sultanato che controllava l’ingresso all’oceano Indiano e che la Cina pose sotto la sua protezione.
Dalla Cina all’Africa
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Per controllare le rotte commerciali che univano Cina, sud-est asiatico e oceano Indiano, Yongle – che mantenne la proibizione del commercio privato – ordinò il varo di un’imponente flotta agli ordini di Zheng He. Di origini musulmane, Zheng He era un eunuco, come gli altri comandanti della flotta. Le scoperte non rientravano tra i suoi obiettivi: già in epoca Song, infatti, i cinesi erano approdati sulle coste dell’India, del golfo Persico e dell’Africa. Le spedizioni erano un’esibizione di
LA PROTETTRICE DEI NAVIGANTI
Statua in legno della dea dei mari: Mazu, Tianfei o Tianhou. Era venerata a bordo delle navi di Zheng He. Museo marittimo, Quanzhou.
forza da parte dei cinesi per rilanciare o promuovere il commercio tributario e garantire l’arrivo di forniture di base come medicine, pepe, zolfo, stagno o cavalli. Le sette grandi spedizioni di Zheng He, che ebbero luogo tra il 1405 e il 1433, furono in effetti una dimostrazione del potere navale cinese. Si trattava di flotte molto grandi: quella del primo viaggio era costituita da 255 navi, 62 delle quali erano“navi del tesoro”, baochuan, di grandi dimensioni. Il resto si divideva tra imbarcazioni di media grandezza per il trasporto dei cavalli, machuan, e numerosi battelli che trasportavano soldati, marinai e personale vario in appoggio alle imponenti“navi del tesoro”. Oltre 600 funzionari, tra medici, astrologi, cartografi e burocrati, controllavano i 27mila naviganti, una forza composta da esperti marinai della costa di Fujian, da musulmani e da migliaia di detenuti. Le navi seguivano un itinerario iniziale prefissato. Uscendo dai cantieri dello Yangzi viravano verso sud, approdavano a Fujian, dove assoldavano marinai STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
63
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5 1417-1419
1431-1433
ARABIA
SUDAN
al-Mukalla
SO KENYA Nairobi 5 Malindi
7
Mombasa
avvista Terranova 1000 d.C.
INTORNO AL 1050 Uso della bussola da parte dei naviganti cinesi
1000-1100 Le giunche cinesi approdano nei porti del golfo Persico e del mar Rosso 1100 VERSO IL 1070 I cinesi sviluppano i bacini di carenaggio
Isola di Pate Lamu
Costa swahili
TANZANIA
La scala varia in questa prospettiva.
INTORNO AL 1000 Leif Eriksson
Mogadiscio Brava
6
AFRICA
Sono indicate le frontiere attuali.
UN MONDO SEMPRE PIÙ PICCOLO
Gedda SAUDITA La Mecca Penisola arabica YEMEN Sana'a Aden Mar Ro sso
Nell’ultimo viaggio Zheng He rimase a Calicut mentre parte della flotta si dirigeva verso la costa swahili e una piccola spedizione, di cui faceva parte Ma Huan, sbarcava alla Mecca. Zheng He morì probabilmente poco dopo essere tornato in Cina, tra il 1433 e il 1435.
M AL IA
i piloti di zheng he si orientavano con la bussola e misuravano le distanze in tempo di navigazione. Per esempio, per andare dall’isola di Pulau Rondo, nei pressi di Sumatra, allo Sri Lanka, si doveva governare «esattamente a 285° per 40 turni, quindi a 285°-270° per 50 turni». A quel punto si vedeva lo Sri Lanka. Un “turno”, o geng, è un periodo di 2,4 ore che veniva calcolato bruciando bastoncini di incenso. In teoria, il percorso citato sarebbe dovuto durare 216 ore, o nove giorni, ma sappiamo che nel 1431 durò 26 giorni all’andata e 16 al ritorno.
7
La flotta di Zheng He proseguì con la versione imperiale della diplomazia dell’“andata e ritorno”, rimandando alcuni ambasciatori ai rispettivi Paesi di origine dopo una permanenza di vari anni in Cina e accogliendo nuovi dignitari stranieri.
ICO
1 4 0 5 -1 4 3 3
6 1421-1422
MO ZA MB
I VIAGGI DI ZHENG HE
Le “navi del tesoro” di Zheng He esplorarono la penisola arabica e, per la prima volta, il continente africano. Ad Aden la spedizione ricevette esotici omaggi del sultano quali zebre, leoni e struzzi.
La distanza in linea retta tra Nanchino e Mombasa è di circa 9.221 chilometri. 1215 I mongoli di Gengis Khan conquistano Pechino 1200
1300 1275 Marco Polo visita la Cina di Kublai Khan
1409-1411
4
2
Ebbe luogo l’importante battaglia dello Sri Lanka, finalizzata a mettere sul trono un alleato dei cinesi. Nel corso del viaggio Zheng He fece erigere una stele trilingue: in cinese dedicata a Buddha, in tamil a Vishnu e in persiano ad Allah. È un esempio del suo ecumenismo.
1413-1415
In seguito a questo viaggio, il primo a oltrepassare l’India e ad attraversare il mar Arabico, circa 18 stati mandarono tributi e delegazioni in Cina, evidenziando l’influenza dell’imperatore Ming al di là delle frontiere del Paese.
1407-1409
La flotta riportò a casa gli ambasciatori stranieri di Sumatra, India e altre zone, arrivati in Cina con il viaggio precedente. Le spedizioni rinsaldarono i legami commerciali della dinastia Ming con l’oceano Indiano.
1 1405-1407
Vi presero parte 255 navi e oltre 27mila uomini. In luglio la flotta di Zheng He salpò da Nanchino con seta, porcellane e spezie. Quella specie di città galleggiante ben equipaggiata pattugliò i mari del sud e distrusse un covo di pirati a Sumatra, prima di approdare in Malacca e dirigersi verso lo Sri Lanka e l’India.
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4 Hormuz
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IMPERO DEI MING Dhofar
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1 2 3
Costa di Malabar
JIANGSU
Chittagong Golfo di Bengala
(Nanchino)
Kunyang
FUJIAN
Changle
Kozhikode
Quanzhou
(Calicut)
Xiamen
TAILANDIA
Isole Andamane
CEYLON
(India)
Galle Capo Dondra
Isole Nicobare
Rotte Rotta principale
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MAR CINESE MERIDIONALE
Kelantan
MALESIA
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Rotta secondaria
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Banda Aceh Semudera
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(India)
Pahang Malaca
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Importante centro commerciale
4
Origine dei sette viaggi Nanjing
YUNNAN
Kochi Kollam Jaffna SRI LANKA
Colombo
MALDIVE
BANGLADESH
INDIA
Palembang
Destinazione
I N D O N E S I A
O C EA N O I N D IA N O 1450-1460 Decade
1405-1433 I sette viaggi di Zheng He
il commercio marittimo dei Ming
1400
GIAVA Surabaya
1492 Cristoforo Colombo sbarca nel Nuovo Mondo 1500
1495 Sviluppo dei bacini di 1498 Vasco da Gama sbarca carenaggio a Portsmouth, Inghilterra davanti a Calicut, India Muraglia, costruzione della Città Proibita, trasferimento della capitale a Pechino
1420-1430 Ampliamento della Grande
1519-1522 La spedizione di Fernando
Magellano circumnaviga il globo 1600
1514 Le navi portoghesi entrano nelle acque della Cina
LA MAPPA KANGNIDO prima delle spedizioni di zheng he la Cina aveva già raccolto numerose informazioni sul mondo al di là dell’oceano Indiano. Il primo imperatore della dinastia Ming, Hongwu, commissionò una mappa del mondo la cui versione più famosa, la Kangnido, venne realizzata dai coreani nel 1402. La carta topogafica mostra una Corea sovradimensionata e situa la Cina al centro del mondo conosciuto, con i suoi lunghi fiumi e la Grande Muraglia. Il resto dell’Asia orientale appare lontana dalle posizioni reali e di dimensioni molto ridotte: Indonesia e Filippine non sono altro che una serie di puntini e solo la penisola malese è riconoscibile. Le informazioni necessarie per la realizzazione della mappa provenivano dai geografi arabi, il che spiega il contorno ben definito dalla penisola arabica e del mar Rosso. La mappa rivela anche una buona conoscenza dell’Africa: va ricordato che la mappa Kangnido precede di tre anni le spedizioni di Zheng He e che, per quanto le dimensioni dell’Africa siano ridotte, i contorni mostrano chiaramente che era possibile navigare oltre la sua estremità meridionale. Al di sopra del continente africano si vede un mar Mediterraneo compresso e alcuni Paesi dell’area: a sud si distinguono Marocco ed Egitto, mentre a nord Germania, Francia, Italia, Grecia e Spagna.
IN QUESTA MAPPA VENNE RIPORTATO IL GRAN VOLUME DI INFORMAZIONI GEOGRAFICHE RACCOLTE DAI CARTOGRAFI DI CORTE CINESI NEL XIV SECOLO. SE NE CONSERVANO VARIE VERSIONI. LA PRINCIPALE, DIPINTA SU SETA, SI TROVA NELLA BIBLIOTECA DELL’UNIVERSITÀ DI RYUKOKU (KYOTO) E MISURA 171 X 164 CM. AKG / ALBUM
Germania Mar Caspio
Francia
Italia
Grecia Persia
Mar Mediterraneo Mesopotamia
Spagna Egitto Marocco
Africa
India
Penisola arabica
Montagne della Luna (sorgenti del Nilo)
Sri Lanka
Lago BalqaĹĄ
Grande Muraglia
Corea
Cina
Sud-est asiatico
LO STUPORE DI UN VIAGGIATORE
SPIAGGIA VICINO A GALLE, NELL’ODIERNO SRI LANKA, UNO DEI LUOGHI DOVE APPRODÒ LA FLOTTA DI ZHENG HE.
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RANO TRE I CRONISTI al seguito delle
spedizioni di Zheng He, il più importante dei quali era Ma Huan. Di umili origini (si descrive come un “boscaiolo di montagna”) e convertito all’islam in gioventù, studiò arabo e persiano, il che a 23 anni gli permise di essere arruolato come interprete nel quarto viaggio. Prese parte anche al sesto e al settimo viaggio e fu uno dei pochi membri della spedizione a visitare La Mecca. Descrive con molti particolari vari luoghi e i rispettivi costumi. A Giava constata stupefatto che i locali si siedono a terra con le gambe incrociate (cosa che vedrà spesso, dato che i cinesi erano gli unici a usare le sedie in tutta l’Asia orientale). Si sorprende poi dell’assenza di cucchiai e bacchette e del fatto che si mangi con le mani, e ne conclude che il cibo è sporco così come la gente stessa.
NIGEL PAVITT / GETTY IMAGES
erano tornate indietro non avendo trovato altro che vento e rocce. Sia Marco Polo che Ibn Battuta testimoniarono la presenza delle enormi navi mongole e del viavai delle imbarcazioni cinesi nell’oceano Indiano. Alla fine del XIII secolo Marco Polo descrisse questi velieri, su cui aveva viaggiato dalla Cina all’India, come navi che avevano da quattro a sei alberi, un equipaggio di 300 marinai e 60 cabine per i mercanti sul ponte. All’inizio del XIV secolo Ibn Battuta viaggiò dall’India alla Cina su una nave con mille persone. Inoltre, nell’Atlante catalano di Cresques, del 1375, appaiono già le imbarcazioni cinesi a cinque alberi. Ma è giusto dubitare delle inverosimili dimensioni che la Storia ufficiale della dinastia Ming attribuisce ai baochuan di Zheng He (120 e 140 metri di lunghezza per 54 di larghezza), anche se il ritrovamento di una barra del timone di 11 metri rilancia la veridicità di queste cifre. Al momento l’arche-
MING, I SIGNORI DELL’A SIA I Ming decisero di proseguire e tenere sotto controllo l’espansione marittima promossa dai Song e dagli Yuan. In basso, moneta di Hongwu, fondatore della dinastia Ming.
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esperti, e quindi gettavano le ancora davanti a Quy Nohn, al centro del Vietnam appena conquistato, che volevano impressionare con l’ingente potenza navale. Le spedizioni – che non si dirigevano mai a nord – approdavano di solito a Giava e Sumatra, sostavano qualche tempo in Malacca in attesa del monsone (un vento che d’inverno soffia verso ovest) e quindi salpavano per lo Sri Lanka e Calicut. Da lì, le spedizioni successive si addentrarono verso il golfo Persico, arrivando a Hormuz, e verso il mar Rosso, da cui alcuni partecipanti raggiunsero La Mecca. Gli ultimi viaggi si conclusero in Africa. Le fonti indicano che Malindi (nel Kenya attuale) fu l’ultimo porto a essere raggiunto. Al contrario, la mappa di fra Mauro, elaborata a Venezia nel 1457 (circa 25 anni dopo l’ultima spedizione di Zheng He), riporta che nel 1420 navi cinesi avevano doppiato il capo di Buona Speranza e proceduto verso nord, ma alla fine 68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LOREMU IVIS BRIDGEMAN / ACI
ologia sottomarina ha dimostrato che le navi cinesi del XIV e XV secolo non superavano generalmente i 30 metri di lunghezza per otto di larghezza. Le grandi imbarcazioni con cui Kublai attaccò il Giappone erano lunghe 70 metri, ben al di sotto dei 140 metri che la tradizione attribuisce a Zheng He.
La fine di un’epopea Nel 1433 i viaggi di Zheng He, iniziati nel 1405 per ordine dell’imperatore Yongle, si interruppero per sempre su decisione di un altro imperatore, Xuande. Perché i Ming distrussero la potenza navale ereditata dai Song? I problemi non erano tanto di ordine economico – in quel momento la Cina riscuoteva un enorme volume di imposte e i viaggi non rappresentavano neppure un tre per cento delle entrate – bensì di ordine politico. Da un lato, la vittoria dei Ming sui mongoli implicava uno spostamento della tensione bellica verso nord. Dall’altro, i funzionari erano contrari alle spedizioni perché queste rafforzavano il potere degli eunuchi e dei militari. Infine,
erano troppo costose, perché si sommavano alle altre decisioni prese in contemporanea da Yongle (il trasferimento della capitale a Pechino, la costruzione della Città Proibita, le opere del Gran Canale e la guerra contro il Vietnam). Tuttavia, l’ostacolo più grande era l’opposizione dello stato Ming al commercio marittimo privato, che fu duramente punito. Alla morte di Zheng He la sua armata navale fu sciolta, la flotta fu frammentata – anche se i Ming mantennero un ingente numero di navi – e le imbarcazioni passarono alle dipendenze di varie autorità costiere. La Cina non sarebbe più stata una potenza navale fino al XXI secolo. Al giorno d’oggi Zheng He è diventato il simbolo delle ambizioni marittime della Cina, intenta a ricostruire la sua antica sfera d’influenza: l’area del mar Cinese Meridionale che si trova al centro delle rivendicazioni nazionali ricalca la zona ripetutamente esplorata dalle navi dell’ammiraglio.
LA TORRE DI PORCELLANA
Con questo nome è conosciuto il tempio buddhista di Bao’en a Nanchino, i cui lavori di costruzione furono diretti da Zheng He tra il 1424 e il 1431. Fu distrutta nel 1856 durante la rivolta dei Taiping.
DOLORS FOLCH SINOLOGA. PROFESSORESSA EMERITA DELL’UNIVERSITÀ POMPEU FABRA DI BARCELLONA. CURATRICE DELLA MOSTRA I GRANDI VIAGGI DI ZHENG HE (2009)
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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COM’ERANO LE NAVI DI ZHENG HE? L’immagine predominante delle “navi del tesoro” (le più grandi della flotta), ricostruita in queste pagine, si basa soprattutto su due fonti: il libro di Luo Maodeng, Romanzo popolare del viaggio nell’oceano Occidentale dell’Eunuco dei Tre Gioielli (1597), dove si racconta che avevano nove alberi, erano lunghe 140 metri e larghe 54, e la Storia ufficiale della dinastia Ming (1645-1739), che riprende queste misure. In realtà, le dimensioni dovevano essere minori. Sally K. Church, dell’Università di Cambridge, ha suggerito che avessero cinque o sei alberi e una lunghezza di 75-90 metri.
BARRA DEL TIMONE
A Nanchino sono stati trovati i resti di una barra del timone di 11 metri, forse appartenuta a una delle “navi del tesoro” e che ne testimonierebbe le grandi dimensioni.
Ancore. Erano in ferro. Potevano superare i due metri di lunghezza ed erano situate a poppa.
Vele. Le navi avevano 9 alberi dotati di enormi vele la cui struttura era rinforzata con canne di bambù.
Gru. Erano usate per caricare e scaricare la nave.
Vegetali. Venivano coltivati a bordo, in speciali ceste.
Animali esotici. Erano parte del carico abituale che veniva riportato in Cina, di ritorno dall’Asia e dall’Africa. Cannoni. Ce n’erano due dozzine, in bronzo.
Animali. I cinesi imbarcavano animali vivi sia da commercio che da macello. Zavorra. Conferiva ulteriore peso alla nave, aumentandone la stabilità.
Confronto delle dimensioni di una “nave del tesoro” di Zheng He di 100 m di lunghezza con la Santa María, una delle caravelle con cui Cristoforo Colombo arrivò in America nel 1492. “Nave del tesoro”. 100 metri
Santa María
SOL 90 / ALBUM
GIARDINI DI VERSAILLES
SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12
Questa statua che rappresenta la Senna è situata nel parterre nord, davanti alla grandiosa facciata progettata da Luis Le Vau. Étienne Le Hongre, 1690.
VERSAILLES UN GIORNO ALLA CORTE DEL RE SOLE Luigi XIV trasformò la reggia di Versailles nel centro del potere francese. La vita quotidiana del re era un rituale perfettamente pianificato, dove l’importanza di ogni cortigiano dipendeva dalla sua vicinanza al monarca
GÉRARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS
LUIGI XIV CON I MEMBRI DELL’ACCADEMIA DELLE SCIENZE. OLIO DI HENRI TESTELIN. MUSÉE NATIONAL DU CHÂTEAU DE VERSAILLES ET DE TRIANON.
I BRONZI DELLA CORONA
Luigi XIV acquistò numerose sculture di bronzo come questa, Giove fulmina i titani, per arricchire la sua reggia e rafforzare la sua immagine di monarca assoluto. Musée du Louvre, Parigi.
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el 1682, stabilendo la corte e il governo a Versailles, Luigi XIV prese una decisione fondamentale per il suo regno: per la prima volta in Francia l’esercizio del potere si identificò con un luogo, Versailles, che in qualche modo diventò la seconda capitale del Paese. La reggia, relativamente nuova, divenne il centro dell’intera Europa. Completamente aperta al pubblico, offriva ai numerosi visitatori francesi e stranieri che la affollavano un compendio dell’abilità degli artigiani e degli artisti protetti dal re e al suo servizio. Inoltre, rappresentava una vetrina della ricchezza della Francia – dai marmi provenienti dalle cave del regno fino
alle opere d’arte che costituivano le collezioni reali – e una prova tangibile della gloria di colui il quale si stava imponendo come il principale sovrano europeo. In quell’epoca Versailles si trovava in pieno processo di ristrutturazione. I lavori si incentravano nel palazzo, il cui corpo centrale, riservato ai sovrani e alla famiglia reale, e l’ala del mezzogiorno, nota anche come ala dei prìncipi, erano quasi terminati. I lavori nell’ala nord, invece, sarebbero iniziati nel 1684. Furono costruite anche numerose dépendance in modo che i vari servizi della corte e degli organi di governo potessero rimanere lì tutto l’anno: le ali dei ministri, le due scuderie reali, l’edificio del Grand Commun, la torre idrica, l’orto del re. I giardini furono oggetto di un ampio restauro che mise in risalto la Grande Prospettiva, l’asse est-ovest che attraversa tutto il parco. Al di là dei giardini, il Piccolo Parco era disposto attorno al Gran Canale, mentre il Grande Parco, circondato da mura, costituiva un’immensa riserva di caccia che copriva una superficie di oltre 10mila ettari. In questa cornice trascorreva la giornata il re, intorno al quale gravitavano tutti i cortigiani come i pianeti attorno al sole.
Il re si alza La giornata di Luigi XIV era strettamente pianificata da quando si svegliava al mattino fino al momento di andare a dormire. Il duca di Saint-Simon la riassunse in una frase famosa: «Con un almanacco e un orologio si può sempre sapere con esattezza cosa stia facendo il re, anche a trecento leghe di distanza». La giornata cominciava alle otto e mezza. Il primo valletto della camera reale si avvicinava al letto del sovrano e pronunciava la famosa formula: «Sire, è l’ora». Iniziava così il lever du roi, la cerimonia di un’ora durante la quale il monarca usciva dal letto, si lavava, veniva
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IL RE SOLE E IL SUO PALAZZO DANIEL ARNAUDET / RMN-GRAND PALAIS
1623
1651
Luigi XIII decide di costruire una residenza di caccia a Versailles, dove acquista dei terreni per praticare il suo sport preferito.
Luigi XIV comincia a visitare regolarmente Versailles: qui trova un ambiente più rilassato rispetto al palazzo reale del Louvre.
LA CORTE DI MARMO
Era la corte dell’antico padiglione di caccia. Attorno a essa si articolava il Grande Appartamento di Luigi XIV, con la camera da letto reale al primo piano, illuminata dalle tre finestre che danno sul balcone visibile al centro dell’immagine. STÉPHANE LEMAIRE / GTRES
1661
1682
1700
1715 470 A.C.
Cominciano i lavori per trasformare un ex padiglione di caccia nella dimora per l’organizzazione delle attività festive.
Il 6 maggio Luigi XIV stabilisce la sua residenza a Versailles, portandosi dietro la corte e l’amministrazione centrale del palazzo.
Accetta il trono spagnolo per suo nipote, Filippo V, cui chiede di essere un buono spagnolo ricordando però di essere nato francese.
Costretto letto dal 25 Bis. Valicera udaciest facio, agosto, muore confertium qui di cricancrena strum iltem primo settembre. quod cavo, PalaGli nonfes succede il suo egervid co hospronipote fuissil di cinque anni, Luigi XV. tandiurnic oportud.
Era in una stanza di 90 m2, sorvegliata da un valletto di camera. Gli uomini che visitavano la stanza dovevano salutare il letto, le donne inchinarsi.
L’INIZIO DELLA GIORNATA
Qui sotto, rappresentazione della conclusione della cerimonia del lever du roi in un’illustrazione del 1904. Lavato e vestito, il re si lascia allacciare le scarpe prima di dirigersi alla Cappella Reale.
LEEMAGE / PRISMA
vestito e pettinato e recitava le sue preghiere quotidiane. Decine di cortigiani affollavano le anticamere nella fremente attesa di poter entrare nella camera reale. Le differenze di rango marcavano l’ordine di accesso alla stanza: prima i principi e gli intimi del re, poi i ministri, quindi il resto dei cortigiani. In totale c’erano sei “entrate”. Era l’opportunità per ottenere un favore dal sovrano o comunicargli delle informazioni. Alcuni potevano persino ottenere un’autorizzazione speciale per entrare prima degli altri, quando il re svolgeva le sue funzioni corporali seduto sulla chaise percée. La seduta fisiologica durava mezz’ora, anche se un testimone chiariva che il re lo faceva «più per cerimonia che per necessità». Dopo essersi alzato il re si dirigeva normalmente alla cappella della reggia, che si trovava all’entrata dell’ala nord. Si trattava di un atto molto importante per la corte, in quanto mostrava pubblicamente la devozione del
Re cristianissimo e permetteva a chiunque di seguirne il percorso o di entrare nella cappella non solo per vederlo ma anche per farsi vedere. Per raggiungere il luogo di culto il sovrano prendeva la Grande Galleria, situata dietro la sua stanza, e quindi attraversava le varie sale del Grande Appartamento.
La messa del re La cappella reale è di tipo palatino, cioè su due livelli. Quello superiore è in corrispondenza del primo piano della reggia: qui si trova la tribuna reale, da cui il re, inginocchiato, assisteva alla messa quotidiana. Si trattava di una messa a voce bassa (vox secreta), durante la quale la cappella musicale – il corpo di musicisti del re – eseguiva uno o più mottetti. Questa cerimonia durava una mezz’ora. Cinque volte l’anno, in occasione di certe festività particolari, il sovrano faceva la comunione. Allora scendeva al pianoterra per assistere alla messa dal coro, su un inginocchiatoio installato a tale scopo. In quei giorni, all’uscita della cappella, si svolgeva la cerimonia del tocco della scrofola: un gran numero di malati di scrofola – un
BRIDGEMAN / ACI
IL LETTO REALE
LA CAPPELLA REALE DI VERSAILLES
Luigi XIV assisteva ogni giorno alla messa alle 10 di mattina da questo palco al primo piano del palazzo. Sul fondo si può ammirare un organo realizzato da Robert Clicquot e sulla volta a cupola una Resurrezione di Cristo di Charles de la Fosse. RAPHAËL GAILLARDE / RMN-GRAND PALAIS
LA GRANDE GALLERIA
Costruita tra il 1678 e il 1684 sotto la direzione dell’architetto Jules HardouinMansart in sostituzione della terrazza, la Grande Galleria è uno spazio sontuoso, di 73 metri di lunghezza, che unisce la camera del re con il Grand Trianon. Decorato da Charles Le Brun, il soffitto rappresenta i grandi trionfi del regno di Luigi XIV. I diciassette archi in corrispondenza delle finestre sono decorati con degli specchi – perciò diventerà nota in seguito come Galleria degli Specchi. In questo spazio sono esposte le più belle sculture antiche delle collezioni reali. ARNAUD CHICUREL / GTRES
LA CORTE DEL RE SOLE Ai tempi di Luigi XIV la reggia di Versailles era organizzata in una serie di spazi nei quali si svolgevano le attività quotidiane della corte, sempre al ritmo imposto dalla volontà del sovrano.
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1
1 Corte di Marmo
Luigi XIII la fece costruire nel 1623 come parte del precedente palazzo. I marmi bianchi provengono dal palazzo di proprietà di Jean–Baptiste Colbert.
2 Camera da letto reale
Nel 1701 la Camera del Re venne collocata al centro del palazzo, in una stanza al primo piano con finestre che davano sulla Corte di marmo.
3 Grande Galleria
Questo spazio emblematico sostituì l’ampia terrazza che collegava gli appartamenti del re e quelli della regina, rispettivamente a nord e a sud.
4 Appartamento della regina L’area riservata alla sovrana era costituita da varie stanze, come il Salone della Pace, la Camera della Regina e il Salone dei Nobili.
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5 Grande Appartamento
I sei saloni dell’ala destra erano dedicati alla Guerra (in fondo alla Grande galleria), ad Apollo, Mercurio, Marte, Diana e Venere.
6 Appartamento Interno
In questa sezione del palazzo si trovavano stanze a carattere più privato: camera da letto, sala da biliardo, salone dei pendoli, ecc.
7 Cappella Reale
Una zona importante del palazzo, perché il sovrano, cattolico devoto, vi si recava quotidianamente con la famiglia per assistere alla messa.
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LA FONTANA DI APOLLO CON IL GRAN CANALE SULLO SFONDO NEL 1713. OLIO DI PIERRE-DENIS MARTIN. CHÂTEAU DE VERSAILLES.
Consiglio non riprendeva nel pomeriggio, il re era libero di andare a passeggiare nei giardini, dove poteva ammirare le creazioni del suo giardiniere reale, Le Nôtre, e del suo architetto Hardouin-Mansart. Luigi XIV scrisse di suo pugno Modo di mostrare i giardini di Versailles, un itinerario che permetteva di visitarne i punti principali: parterre, sentieri, scorci e boschetti. Amava anche osservare le innumerevoli sculture che lui stesso faceva collocare e cambiare secondo i suoi capricci: alla fine del suo regno nei giardini di Versailles ce n’erano quasi duecento. Al sovrano piaceva anche andare a caccia all’interno del Grande Parco e a volte nei boschi adiacenti. Questi momenti di svago, ai quali il re invitava i cortigiani che godevano dei suoi favori, erano molto richiesti: il successo a corte si misurava in termini di prossimità fisica con il sovrano.
La Versailles più intima
RMN-GRAND PALAIS
LA MARCHESA DI MAINTENON
Françoise d’Aubigné si sposò segretamente con Luigi XIV alla morte della sua prima moglie, la spagnola Maria Teresa d’Asburgo, nel 1683. Musée du Louvre, Parigi.
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tipo di tubercolosi extrapolmonare – provenienti da ogni parte del Paese si inginocchiavano al passaggio del re, che li toccava a uno a uno in volto e gli diceva: «Il re ti tocca, Dio ti guarisce». Al ritorno dalla messa, oppure dopo il lever, (in questo caso la messa si svolgeva più tardi) il re entrava nel Gabinetto del Consiglio, la sala attigua al Salone del Re, trasformata in camera da letto nel 1701. Da lì Luigi XIV presiedeva ogni giorno il Consiglio. I ministri sedevano attorno al tavolo e prendevano la parola a turno per esprimere la propria opinione sui vari punti dell’ordine del giorno. Il sovrano interveniva per ultimo, per dirimere le questioni e sancire le decisioni. A partire dal 1686 il re di solito pranzava nella sua stanza. Mangiava a una tavola quadrata, secondo il rituale del petit couvert: il pasto prevedeva solo tre portate di sei piatti ciascuno e si svolgeva in pubblico, con le porte della camera aperte. Se il
Se il re non era dell’umore per uscire, o se il tempo o la salute non glielo permettevano, poteva rifugiarsi nell’Appartamento Interno. Ampliata nel 1693, quest’area privata situata oltre il Gabinetto del Consiglio era composta da quindici stanze. Ospitava svariate opere d’arte che facevano parte delle collezioni reali ma erano riservate al diletto personale del sovrano. Tra queste c’erano numerosi quadri, come la Gioconda di Leonardo da Vinci, pietre preziose o vasi di pietra dura, piccole sculture in argento o bronzo, manoscritti miniati, medaglie… A partire dal 1683 nel pomeriggio il re andava a visitare Madame de Maintenon, la sua consorte morganatica, ovvero la sua sposa segreta, un personaggio che aveva una grande inflenza a corte. Nello spazio ridotto della stanza di quest’ultima il sovrano riceveva i ministri per le sessioni di lavoro in preparazione del Consiglio. In quel periodo il re iniziò a invitare regolarmente i membri della corte, varie volte a settimana, alle feste che si tenevano nelle sale del Grande Appartamento – la parte del palazzo più accessibile al pubblico. Durante il giorno questa poteva essere percorsa liberamente dai visitatori desiderosi di conoscere le condizioni di vita del monarca francese e di ammirare lo sfarzo delle sue collezioni di opere d’arte. Durante queste feste – note co-
LA SALA DELL’OCCHIO DI BUE
Quest’anticamera accanto alla stanza del re fu costruita nel 1701 e prende il nome dalla finestra ovale situata alla base del soffitto. CHRISTOPHE FOUIN / RMN-GRAND PALAIS
LA CORTE SI DIVERTE: BALLI,
Giochi di carte nel Salone di Marte Il gioco era proibito a Parigi ma consentito a Versailles, dove si potevano scommettere somme ingenti. Qui vediamo il Gran Delfino, primogenito di Luigi XIV, mentre mescola un mazzo di carte davanti ai cortigiani.
JOSSE / SCALA, FIRENZE
Danze nel Salone di Apollo Nel corso delle serate ogni sala del Grande Appartamento era riservata a un’attività. Nel Salone di Apollo le dame e le principesse ballavano davanti al re. La festa terminava con una contraddanza.
JOSSE / SCALA, FIRENZE
Nel 1696 Antoine Trouvain illustrò in una serie di incisioni vari momenti delle
GIOCHI E BUFFET
JOSSE / SCALA, FIRENZE
BNF / RMN-GRAND PALAIS
soirées d’appartement, le feste organizzate da Luigi XIV a Versailles
Biliardo nel Salone di Diana Luigi XIV era un grande appassionato di questo gioco. «Restano tutti immobili fino a che il re non ha terminato la partita; quindi si spostano nella sala della musica», scrisse Madame Palatine, cognata del re.
Buffet nel Salone di Venere In questa sala c’erano tavole imbandite con vassoi di torte, grandi coppe di cristallo o d’argento traboccanti di frutta e dolci e varie bevande per rinfrescarsi tra uno svago e l’altro.
schera. Questi ultimi potevano avere luogo nel Grande Appartamento o nelle camere di qualche membro della famiglia reale, sempre che fossero abbastanza spaziose da poter accogliere una compagnia numerosa. A partire dal 1683 verso le dieci di sera il re si dirigeva alla prima anticamera delle sue stanze per la cena, le souper, che veniva generalmente servita secondo il protocollo del grand couvert, che era costituito da cinque portate successive. Alcuni membri della famiglia reale potevano essere ammessi alla tavola del re. L’abbondanza dei piatti simboleggiava l’opulenza reale e la buona salute del regno. Come avveniva per la messa, anche quest’atto era pubblico, ma date le dimensioni della stanza non era sempre possibile assistere alla cena del sovrano. La cerimonia, che prevedeva un accompagnamento musicale, poteva durare tre quarti d’ora.
UNA DECORAZIONE SONTUOSA
Il vaso di bronzo qui sotto, con manici a forma di sfinge, fu realizzato da Claude Ballin, famoso orefice che partecipò alla decorazione originale del palazzo di Luigi XIV.
C. FOUIN / RMN-GRAND PALAIS
86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
La conclusione della giornata RMN-GRAND PALAIS
SALONE DI DIANA. LA DEA DELLA CACCIA È PROTAGONISTA DEI QUADRI CHE DECORANO LA STANZA, COME QUELLO SITUATO SOPRA IL CAMINO, IL SACRIFICIO DI IFIGENIA, DI CHARLES DE LA FOSSE.
me soirées d’appartement – il Grande Appartamento era riservato al re e ai suoi invitati, che avevano il privilegio di condividere con lui, in modo tutto sommato informale, questi momenti di svago. Era possibile giocare a biliardo o a qualsiasi tipo di gioco di società e d’azzardo, ma anche conversare, ascoltare musica, ballare o mangiare un dolce. Queste feste furono istituite per mostrare la nuova posizione che occupava Versailles in quanto residenza abituale del sovrano e sede del potere. Infatti, permettevano al re di rafforzare i suoi vincoli con l’élite aristocratica, superando la diffidenza che all’inizio del suo regno aveva provocato la rivolta nobiliare della Fronda (le cui cause furono la crescente pressione fiscale, la riduzione dell’influenza politica e la perdita dei privilegi dei parlamentari voluta dalla monarchia). Le altre serate della settimana erano dedicate alla commedia, che poteva essere francese o italiana, oppure alla tragedia, molto più spesso teatrale che lirica. Durante il carnevale venivano organizzati anche vari balli in ma-
La giornata di Luigi XIV a Versailles terminava sempre con la cerimonia del coucher du roi, ovvero l’atto di andare a letto, che si svolgeva nell’abitazione del sovrano proprio come il lever del mattino. Più semplice rispetto a quest’ultimo, il coucher du roi non implicava entrate successive di cortigiani, ma prevedeva invece che il re concedesse a qualcuno di loro un onore occasionale, come per esempio il privilegio di sostenere il candelabro mentre lui si toglieva i vestiti. In questo modo la Versailles di Luigi XIV si impose come un universo modellato dal sovrano, attorno al quale e in funzione del quale era organizzata tutta la vita della corte. Lungi dall’essere solamente un sistema politico formato da cortigiani sottomessi, Versailles era il teatro di una brillante civiltà di corte, destinata a diffondersi non solo in Francia ma anche nel resto d’Europa grazie ai numerosi visitatori e ambasciatori stranieri. Le soirées d’appartement costituivano un simbolo di questa nuova arte di vivere: rappresentavano senza dubbio un momento privilegiato della cortesia e della politesse francesi, che venivano pienamente dispiegate in uno scenario concepito e realizzato dai migliori artisti del regno. ALEXANDRE MARAL CURATORE DEL MUSÉE NATIONAL DES CHÂTEAUX DE VERSAILLES ET DE TRIANON LE ROI, LA COUR ET VERSAILLES (2013) AUTORE DI
CREPUSCOLO A VERSAILLES
La reggia vista dalla Fontana di Apollo, con una statua in piombo dorato del dio sul suo carro, opera di Jean-Baptiste Tuby. 1670 circa. JEAN-BAPTISTE LEROUX / RMN-GRAND PALAIS
UN POMERIGGIO ALL’ARIA APERTA A VERSAILLES uest’olio di un pittore anonimo mostra Luigi XIV circondato da una comitiva con cui sembra dirigersi verso i Giardini di Versailles, forse per una battuta di caccia. Il gruppo passa davanti alla cosiddetta Grotta di Teti, un padiglione costruito nel 1665 davanti al palazzo e che fu demolito venti anni dopo per consentire una più ampia visione prospettica dei giardini. Il padiglione era riccamente decorato e veniva usato come spazio per divertimenti di corte come feste o rappresentazioni teatrali. Probabilmente il quadro raffigura l’uscita da uno di questi eventi. Il re è a cavallo, seguito da altri cortigiani, tra cui suo figlio, il Gran Delfino. In primo piano, sulla destra, si vede una governante con un bambino piccolo: forse un figlio del re e della sua amante, Madame de Montespan, oppure suo nipote maggiore, nato nel 1682. RMN-
GRAND PALAIS
BRIDGEMAN / ACI
C. FOUIN / RMN-GRAND PALAIS
LA GROTTA DI TETI NELLA REGGIA DI VERSAILLES, IN UN’INCISIONE REALIZZATA ATTORNO AL 1680. QUI SOPRA, EMBLEMA SOLARE DEL SALONE DELL’ABBONDANZA DI VERSAILLES.
LE PITTURE NERE
Quest’opera intitolata Le Parche o Atropos, appartenente alle Pitture Nere, mostra un uomo con le mani legate, alla mercé delle Parche o Moire, le dee della mitologia greca dalle quali dipendeva il destino umano. In basso a destra, ritratto di Goya nel 1826, quando aveva 80 anni. Vicente López. DIPINTO: ORONOZ / ALBUM. RITRATTO: DEA / ALBUM
GOYA
UN GENIO IN TEMPI OSCURI
Dopo la Guerra d’indipendenza, in una Spagna nuovamente dominata dall’assolutismo, Goya sfogò il suo pessimismo esistenziale in opere come le Pitture Nere. In seguito andò a cercare in Francia un ambiente più propizio alla sua arte
PLAZA MAYOR DI MADRID
Goya visitò Madrid per la prima volta a 17 anni, nel 1763, per partecipare a un concorso artistico della Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando, che allora aveva sede nella plaza Mayor, nel cuore dell’odierna capitale spagnola.
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uando scoppiò la Guerra d’indipendenza Francisco de Goya era già l’artista spagnolo più stimato e richiesto. A partire dal suo trasferimento a Madrid nel 1775, all’età di 29 anni, il maestro aragonese si era rapidamente inserito nell’ambiente cortigiano della città, prima dipingendo cartoni di arazzi destinati a decorare i palazzi reali e in seguito come ritrattista di corte e dell’élite aristocratica del Paese. Nel 1789 Goya raggiunse l’apice della sua professione con la nomina a pittore di camera del re Carlo IV. I numerosi incarichi ricevuti in quegli anni gli permisero di migliorare notevolmente la sua posizione economica e di frequentare il gotha della società. Nelle sue lettere all’amico Martín Zapater raccontava le sue gite a cavallo con la duchessa Osuna, oppure descriveva con ironia le sue scappatelle con la seducente duchessa d’Alba: «Avresti fatto meglio a venire ad aiutarmi a dipingere la duchessa d’Alba, che ieri mi si è infilata nello studio per farsi ritrarre il volto, e c’è riuscita». Goya arrivò persino a considerare la possibilità di richiedere un titolo
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A 43 anni Goya viene nominato pittore di camera del re Carlo IV.
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Soffre una grave malattia che gli provoca una sordità permanente.
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Finisce la sua serie di stampe sulla Guerra d’indipendenza.
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Acquista la Quinta del Sordo. 18201823 realizza le Pitture Nere.
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Si trasferisce a Bordeaux, dove risiede fino alla morte nel 1828.
nobiliare. Tuttavia, nel 1793 la sua vita subì una svolta imprevista. Mentre si trovava a Siviglia si ammalò gravemente e rimase costretto a letto per vari giorni. Goya disse di esser stato vittima di un colpo apoplettico, anche se attualmente si ipotizza che fosse un caso di sifilide. In ogni caso la malattia gli provocò una sordità permanente, che avrebbe avuto una profonda ripercussione sul suo carattere e sulla sua visione del mondo. Da quella crisi personale nacque un nuovo artista che non si preoccupava più di seguire solo i dettami artistici della sua epoca, ma che aveva deciso di esplorare anche il proprio mondo interiore dipingendo secondo il suo criterio personale, indipendente da quello dei clienti.
La fine della guerra La Guerra d’indipendenza (1808-1814) provocò nella vita di Goya, che aveva già passato la sessantina, una nuova crisi, condivisa stavolta con i suoi compatrioti. Il pittore fu testimone dell’occupazione francese di Madrid, visitò Saragozza distrutta dopo due assedi napoleonici e seguì con angoscia tutti gli alti e bassi del conflitto. Le sue emozioni rimase-
Alla fine della Guerra d’indipendenza il nuovo governo di Ferdinando VII indagò su Goya perché lo sospettava di essere coinvolto con il regime di Giuseppe I, ma alla fine venne scagionato
SANDRA RACCANELLO / FOTOTECA 9X12
ro impresse nella serie di incisioni intitolata I disastri della guerra. Iniziata in pieno conflitto e terminata verso il 1815, la serie non venne pubblicata fino al 1863. Ben oltre il suo valore documentale, I disastri della guerra è una riflessione in chiave universale sulla violenza e sulla crudeltà umana.
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Alla fine del conflitto realizzò i due famosi dipinti Il 2 maggio 1808 a Madrid: la lotta contro i mamelucchi, e Il 3 maggio 1808 a Madrid: le fucilazioni nella montagna del principe Pío. Erano due opere di propaganda patriottica con le quali l’artista voleva «tramandare, attraverso il pennello, le più importanti ed eroiche azioni o scene della nostra gloriosa insurrezione contro il tiranno d’Europa». Al contempo, presentandole come se fossero scene viste da un testimone e suscitando in questo modo una maggiore empatia nel pubblico, Goya demistificava la magniloquenza della pittura di tematica storica. La guerra pose Goya davanti a un dilemma: l’atteggiamento che avrebbe dovuto assumere nei confronti dell’occupazione francese. Alcuni intellettua-
LA DUCHESSA D’ALBA
Nel 1795 Goya dipinse questo ritratto della sua amica, musa e benefattrice, la duchessa d’Alba, con la quale forse ebbe una storia sentimentale. Palacio de Liria, Madrid.
li “francofili” puntarono sul nuovo regime di Giuseppe Bonaparte, nel quale vedevano un superamento dell’assolutismo e dell’intolleranza religiosa della precedente monarchia borbonica. Goya condivideva quest’atteggiamento critico, ma non per questo si spinse fino ad appoggiare il nuovo governo. Come tanti altri cittadini, l’aragonese tentò di adattarsi il meglio possibile alla situazione, evitando di entrare in conflitto con le autorità competenti. In pubblico si mostrò sempre prudente e lavorò indistintamente per una parte e per l’altra; il suo obiettivo era poter garantire una vita tranquilla a sé stesso e alla propria famiglia. Questo atteggiamento fece sì che, una volta terminata la guerra, con il rientro di Ferdinando VII dall’esilio e la restaurazione dell’assolutismo, Goya venisse a trovarsi in una situazione delicata. Nel 1815 il pittore fu sottoposto a un processo per accertare il suo livello di coinvolgimento con il governo napoleonico. Gli venne rimproverato, tra le varie accuse, di aver giurato fedeltà a Giuseppe Bonaparte, di aver partecipato all’insediamento del marchese di Almenara – un noto sostenitore dei francesi – come protettore della Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando e di aver partecipato, insieme ad altri illustri pittori, alla selezione dei quadri della scuola spagnola destinati al museo di Napoleone a Parigi. Se poté uscirne indenne fu solo grazie alla sua vecchia amicizia con il duca di San Carlo, incaricato dell’epurazione del personale della casa reale. Ciononostante, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Goya non riuscì a evitare di cadere in disgrazia come pittore di camera del re, ruolo nel quale fu sostituito da pittori più giovani e affini al monarca, come Vicente López o José de Madrazo. In effetti, dal 1816 non ebbe più nessun incarico da parte del monarca, che probabilmente lo considerava ormai un anziano fuori dal suo tempo. In quegli anni Goya, vedovo dal 1812, viveva nella sua casa di calle Valverde con il figlio Javier e la nuora Gumersinda. Il suo isolamento si accentuò con la perdita degli amici filofrancesi che, in maggioranza, erano andati in esilio nel sudovest della Francia, dove vivevano in condizioni deplorevoli: Bernardo de Iriarte morì a Bordeaux nel luglio del 1814, mentre Juan Meléndez Valdés sarebbe morto a Montpellier nel 1817. Solamente Leandro Fernández de Moratín, da Barcellona mantenne un assiduo legame con il pittore attraverso un amico comune, l’abate Juan Antonio Melón. Nonostante tutte le disavventure, la capacità creativa di Goya in que94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
GOYA CURATO DAL DOTTOR ARRIETA
Goya fu assistito dal dottor Arrieta nel 1819, quando fu colpito da una grave malattia. Dopo la guarigione dedicò questo dipinto al suo amico. Minneapolis Institute of Art.
gli anni rimase sorprendente. L’aragonese continuò a lavorare grazie a incarichi privati, ottenuti grazie alle sue vecchie amicizie, vedendosi ormai costretto ad accettare qualsiasi commissione pur di guadagnare qualcosa. In questo senso, il quadro Santa Justa y Santa Rufina, dipinto per la cattedrale di Siviglia nel 1817, è una prova molto interessante del suo dichiarato scetticismo religioso. Goya ottenne questo incarico grazie alla mediazione di un amico, lo storico Juan Agustín Ceán Bermúdez. Questi dovette insistere molto per convincerlo che il dipinto doveva essere improntato a quella devozione religiosa tanto disprezzata dall’autore. Così raccontava in una lettera indirizzata al collezionista Tomás de Veri: «Vossignoria ormai conoscerà Goya e saprà quanto mi è costato ispirargli certe idee così opposte al suo carattere. Gli ho dato per iscritto le istruzioni su come dipingere il quadro, gli ho fatto fare tre o quattro bozzetti e finalmente si sta delineando il quadro che spero risulterà di mio gradimento». DEA / ALBUM
La Quinta del Sordo è passata alla storia perché Goya dipinse al suo interno le famose Pitture Nere, considerate da alcuni critici la Cappella Sistina della pittura moderna
FOTO: QUINTLOX / ALBUM
Il pittore aragonese realizzò anche un altro genere di opere di connotazione più intimista, ma anch’esse destinate a sostenere l’economia familiare. Tra queste si distingue la serie di 33 stampe intitolata Tauromachia. Probabilmente disegnò queste scene di corrida pensando che sarebbero state abbastanza richieste sul mercato nazionale e che, trattandosi di un argomento innocuo, non sarebbero state censurate. Invece le vendite risultarono deludenti, forse perché le stampe di Goya erano molto lontane dallo spirito ludico e aneddotico con cui altri pittori affrontavano l’argomento, mentre lui aveva enfatizzato gli aspetti più drammatici e legati alla morte della tradizione della corrida.
La Quinta del Sordo Poco dopo la fine della guerra Goya intraprese una controversa relazione con Leocadia Zorrilla, una donna 42 anni più giovane di lui. La ragazza era parente della nuora di Goya, Gumersinda Goicoechea, e il suo ruolo nella vita del pittore resta ancora oggi un enigma. Secondo alcuni esperti, Goya accolse la giovane in casa come governante, con un gesto
CONTRO IL CLERO
Queste due stampe de I disastri della guerra fanno della satira sul ritorno dell’intolleranza religiosa dopo il 1814. Si intitolano rispettivamente Si romperà la corda e Contro il bene comune.
magnanimo nei confronti di una donna in difficoltà economiche in seguito al suo difficile divorzio da Isidro Weiss, dal quale era stata accusata di infedeltà nel 1811. Secondo altri, al contrario, Leocadia era l’amante del pittore e la piccola Rosario Weiss sarebbe quindi il frutto del loro amore.
Al di là di queste speculazioni, è sicuro che dall’inizio del 1819 Leocadia visse con Goya nella Quinta del Sordo, un esteso podere di circa 145mila metri quadrati situato vicino al ponte di Toledo, sulle rive del fiume Manzanares. Senza dubbio il maestro aragonese acquistò la dimora per potersi allontanare dal trambusto del centro cittadino e per dedicarsi ad attività più rilassanti, tipiche dello stile di vita bucolico. Prima che la comprasse Goya, questa tenuta era appartenuta dal 1795 a un tale Anselmo Montañés, che vi costruì una casa di campagna di due locali, con giardino e un pozzo d’acqua potabile. Sappiamo che, poco prima di partire per l’esilio in Francia, Goya regalò la proprietà a suo nipote Mariano, di diciassette anni. Alla morte del nonno, Mariano vendette questi terreni a Segundo Colmenares nel 1859. Grazie alle scritture notarili di questa vendita sappiamo che la struttura originale era stata ampliata da Goya ed era composta da «piano terra e primo piano con diversi affreschi sulle pareti deteriorate»: tutto questo, in un complesso che comprendeva anche una casa per il giardiniere, un pollaio, un capanno per le macchine a vapore, uno stagno e due norie (macchine idrauliche). Alla fine, dopo essere passata per vari proprietari STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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stranieri che avevano interessi immobiliari nella zona, la residenza fu demolita nel 1909. La storia della Quinta del Sordo è arrivata ai posteri perché Goya dipinse al suo interno le famose Pitture Nere, definite dallo storico Valeriano Bozal la Cappella Sistina della pittura moderna. Si tratta di quattordici dipinti a olio realizzati direttamente sulle pareti di due ambienti della casa, la sala da pranzo al piano terra e lo studio al primo piano. Questi dipinti si conservarono nella dimora fino a quando il barone Fréderic Émile d’Erlanger, che comprò la proprietà nel 1873, decise di scollarli dal muro e trasferirli su tela, compito affidato al restauratore del Museo del Prado Salvador Martínez Cubells. Le Pitture Nere furono esposte con scarso successo all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 prima di rimanere definitivamente al Prado dal 1881. Gli esami radiografici hanno rivelato che sotto questi dipinti ce n’erano altri, LBU /A AKG con tematiche paesaggistiche. È possibile che in Goya fosse scemata la predi96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
LA LATTAIA DI BORDEAUX
Questo ritratto fu dipinto da Goya a Bordeaux nel 1827, un anno prima della sua morte. Si è detto che la modella potrebbe essere Rosario Weiss. Museo del Prado, Madrid.
lezione per la paesaggistica bucolica dopo aver visto la morte da vicino, durante la malattia che lo aveva colpito nel 1819. Aveva approfittato quindi del Triennio liberale (1820-1823) per regolare i conti con le vecchie piaghe che affliggevano la Spagna come l’Inquisizione, la superstizione o la miseria del popolo. Queste scene allegoriche dipinte tra il 1820 e il 1823 sono state messe in relazione con le stampe della serie Le follie, dato che ne condividono il carattere ermetico e la libertà creativa. Goya le dipinse in assoluta riservatezza, per sé stesso e come riflesso dei suoi sentimenti più personali, mostrando una visione pessimista e fantasmagorica della Spagna che, arrivato a questo punto della sua vita, sentiva come un incubo.
Esilio e libertà Nell’aprile del 1823 le truppe francesi, conosciute come i Centomila Figli di San Luigi, restaurarono Ferdinando VII al potere mettendo così fine al Triennio liberale. Di fronte alle possibili rappresaglie contro i liberali, Goya si rifugiò in casa di un amico molto rispettato a
A detta di Moratín, il soggiorno a Bordeaux giovò enormemente a Goya: «Gli piacciono la città, la campagna, il clima, il cibo, l’indipendenza, e la tranquillità»
LUIGI VACCARELLA / FOTOTECA 9X12
corte, il canonico José Duaso. Tuttavia, poco dopo decise che la cosa migliore era abbandonare la Spagna. Per non perdere la condizione di pittore di camera, nel maggio 1824 chiese al re un permesso di sei mesi per trasferirsi al sanatorio di Plombières, nell’est della Francia. Il permesso gli fu concesso, ma il pittore in realtà non aveva nessuna intenzione di andare in una stazione termale. Quello che voleva era andare in Francia. A Bordeaux fu ricevuto da Leandro Fernández de Moratín, che descrisse così il suo arrivo: «Effettivamente Goya arrivò sordo, vecchio, goffo e debole, senza sapere una parola di francese e senza neanche un servitore, eppure contento e desideroso di vedere il mondo». E realmente, nonostante l’età avanzata, il suo desiderio di viaggiare era tale che in giugno si trovava già a Parigi. Nella capitale si dedicò a visitare monumenti e a passeggiare per i luoghi pubblici, come risulta dai rapporti della polizia francese dell’epoca. A settembre di quello stesso anno ritornò a Bordeaux per vivere assieme a Leocadia e ai suoi figli. Fu nuovamente il suo amico Moratín a offrire un’eccellente descrizione della vita di
PIAZZA REALE DI BORDEAUX
Goya andò in esilio in questa città francese nel 1824. L’ambiente liberale che trovò a Bordeaux, molto diverso da quello spagnolo, gli permise di sviluppare la sua opera senza ingerenze.
Goya in terra francese: «Con i suoi 79 natali e gli acciacchi, non sa cosa lo attende né quello che vuole. Io lo esorto a starsene tranquillo fino alla fine del suo permesso. Gli piace la città, la campagna, il clima, il cibo, l’indipendenza e la tranquillità di cui gode. Da quando è qui non ha sofferto di nessuna delle malattie che tanto lo affliggevano là. Malgrado tutto, a volte si mette in testa che a Madrid ha molto da fare. Se glielo permettessero, si metterebbe in cammino su una mula baia, con la sella, la cappa, le staffe di color noce, stivali e bisacce». Goya ritornò ancora un paio di volte a Madrid, nel 1826 e nel 1827, con il proposito di sistemare le sue faccende economiche e richiedere una pensione. In generale la vita del pittore a Bordeaux doveva essere tranquilla, malgrado i gravi problemi urinari.Pur non accettando altri incarichi, si dedicò a ritrarre i suoi amici, a disegnare la frenetica vita di strada e insegnò persino a dipingere alla piccola Rosario, figlia di Leocadia. A 80 anni Goya ritornò ad assaporare la libertà in Francia dopo aver abbandonato parte dei suoi mostri interiori. E seppe rinnovare la sua sorprendente capacità creativa, sperimentando nuove tecniche litografiche nelle stampe I tori di Bordeaux e anticipando lo stile degli impressionisti nel dipinto La lattaia di Bordeaux. Un inno, quest’ultimo, alla gioventù e alla bellezza con il quale Goya praticamente concluse la sua opera, poco prima di morire il 16 aprile del 1828. JOSÉ ANTONIO VIGARA ZAFRA UNIVERSITÀ NAZIONALE DI EDUCAZIONE A DISTANZA (MADRID)
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LE PITTURE NERE
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Furono chiamate così le quattordici scene che Goya dipinse a secco sulle pareti dei due piani della Quinta del Sordo, un podere nei dintorni di Madrid che il pittore acquistò nel 1819. La casa fu demolita verso il 1909, quando i dipinti erano già nel Museo del Prado.
QUINTA DEL SORDO. FOTOGRAFIA DELLA TENUTA DI GOYA SCATTATA INTORNO AL 1873 DAL FOTOGRAFO FRANCESE JEAN LAURENT.
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Una lettura personale dei miti classici e biblici
asmodea. Il titolo di questo dipinto sembra far riferimento al demone Asmodeo, uno spirito infernale menzionato nel Libro di Tobia, anche se questa fonte non spiega chi sia il soggetto guardato con timore dalle due figure principali. Queste sembrano volare come il personaggio della letteratura spagnola “diablo cojuelo” (diavolo zoppo), che viaggiava sospeso in aria e sollevava i tetti delle case per spiare cosa succedeva al loro interno. Sotto le due figure si vede un paesaggio scuro, con una fila di persone seguite da alcuni soldati francesi che si dirigono verso una strana collinetta, forse in allusione alla Guerra d’indipendenza. saturno che divora i suoi figli. Questo celebre dipinto rappresenta il titano Cronos, o Saturno, che divora uno dei figli avuti con la moglie Rea. Questa tematica era molto diffusa nella pittura europea del Rinascimento e del Barocco, però Goya la sviluppa in modo molto personale. Per prima cosa, tralascia gli attributi tradizionali del dio del tempo, come la falce. Non esplicita nemmeno dove si collochi la scena nel firmamento. Tuttavia, la differenza più eclatante si apprezza nella figura che Saturno sta divorando: non un fanciullo, bensì una giovane donna. Questo fatto, in contrasto con il viso feroce dell’anziano Saturno, suggerisce che Goya abbia espresso in quest’opera le proprie pulsioni.
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SIMBOLI E METAFORE
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Per Goya la mitologia non aveva una semplice funzione educativa ed estetica, com’era abituale nella pittura europea, ma gli serviva come metafora per esprimere il suo pessimismo vitale di fronte agli eventi personali e collettivi. Nelle Pitture Nere ci sono varie opere di tematica mitologica (Saturno, Le Parche) e biblica (Asmodea, Giuditta e Oloferne).
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Stampe della vita popolare
il pellegrinaggio a san isidro. Questo dipinto mostra in primo piano un gruppo di mendicanti in un paesaggio oscuro e tenebroso. Tutti i personaggi della processione, guidati da un cieco, hanno un aspetto grottesco e sembrano trovarsi in piena trance sovrannaturale, che si evince dalle loro fattezze deformi, le bocche aperte e gli occhi fuori dalle orbite, metafore dell’imbruttimento provocato dal fanatismo religioso.
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duello rusticano. In quest’opera altrettanto celebre due uomini con le gambe parzialmente sprofondate nella terra lottano con delle mazze in campo aperto. Un critico li identificò con due bovari, dato che si vedono sullo sfondo alcuni buoi al pascolo. Altri autori, invece, hanno letto il quadro come una metafora della guerra civile tra spagnoli. Valeriano Bozal suggerisce di leggerlo come un’opera di meditazione sulla natura umana. la lettura. Questa scena si svolge in un interno buio, dove alcuni uomini con la barba e dall’aspetto trasandato sono riuniti intorno a uno di loro, con la camicia bianca, che legge ad alta voce un libro, o forse un giornale, come i tanti che circolavano durante gli anni di effervescenza politica del Triennio liberale.
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La stregoneria e l’Inquisizione
pellegrinaggio. Questo quadro rappresenta una processione che avanza dalla sinistra, lungo un sentiero che corre ai piedi di una montagna ricoperta da un bosco rigoglioso. La comitiva è formata soprattutto da donne anziane dall’aspetto grottesco. Sulla destra si vede un uomo che è stato interpretato come un familiar dell’Inquisizione, ossia un laico che svolgeva funzioni di vigilanza e assistenza per il Sant’Uffizio. I personaggi sono vestiti secondo la moda del XVII secolo, probabilmente per sottolineare l’anacronismo rappresentato da questo tribunale ecclesiastico che era stato restaurato da Ferdinando VII nel 1814 per poi essere abolito definitivamente nel 1834.
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il sabba delle streghe. In questo dipinto, conosciuto anche come Il grande caprone, Goya sembra muovere un’aspra critica contro la superstizione che imperava nella Spagna del suo tempo. Il pittore rappresenta in primo piano un caprone oscuro con un assistente sulla destra, circondato da stregoni e streghe di tutte le età, che si agitano e osservano ansiosi. Sulla destra appare una fanciulla vestita di nero, con le mani infilate in un manicotto, forse una giovane aspirante strega. Si tratta di una scena d’iniziazione ai riti della stregoneria e pertanto è un’introduzione al mondo della morte e della barbarie.
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TRA EUROPA E ORIENTE
Questa foto di Lawrence risale al 1919, quando il tenente sostenne l’amico Faysal affinché i vincitori della Grande guerra riconoscessero un regno arabo. Nella pagina seguente, la daga che Nasir, sharif di Medina, regalò a Lawrence nel 1917. RITRATTO: BRIDGEMAN / ACI. DAGA: NATIONAL ARMY MUSEUM, LONDON / BRIDGEMAN / ACI
LAWRENCE D’ARABIA L’INGLESE DEL DESERTO
Storico formatosi a Oxford e grande conoscitore del mondo arabo, Thomas Edward Lawrence divenne il protagonista più noto della rivolta araba contro i turchi durante la Prima guerra mondiale
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Bureau dei servizi di intelligence britannici ed entrò in diretto contatto con lo sharif al-Husayn ibn Ali. Membro della famiglia hashemita, Husayn era considerato discendente del Profeta e custode dei luoghi santi musulmani della Mecca e di Medina. Questo ne faceva la massima autorità religiosa del mondo sunnita dopo il sultano-califfo ottomano Mehmet V. Britannici e francesi promisero a Husayn un grande regno arabo unito se questi fosse riuscito a sollevare i suoi connazionali contro i turchi, alleati della Germania, e ventilarono persino la possibilità di sostenere la sua candidatura al futuro califfato.
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PENISOLA ARABICA
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STATI DELLA TREGUA
Una guerra nel deserto
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Mar Arabico I COLORI INDICANO PROTETTORATI, COLONIE E OCCUPAZIONI MILITARI. NG MAP
IL VICINO ORIENTE NEL 1914
La Turchia entrava nella Prima guerra mondiale al fianco di Italia e Germania. Ciò rappresentava una grave minaccia per le comunicazioni tra la Gran Bretagna e l’India attraverso il Canale di Suez.
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homas Edward Lawrence, nato in Galles nel 1888, era un adolescente introverso quando, tra il 1905 e il 1906, entrò nel Jesus College di Oxford: lì si sviluppò il suo interesse per l’archeologia e per il Vicino Oriente. A partire dal 1909 viaggiò per il mondo arabo, allora sotto il dominio dell’Impero ottomano: visitò Siria, Libano, Palestina, Arabia ed Egitto. Nel 1914, quando scoppiò la Prima guerra mondiale, Lawrence era ormai espertissimo di questioni etniche e geografiche relative a quei territori. Aveva imparato molto bene l’arabo, del quale conosceva anche alcuni dialetti, mentre degli arabi aveva assimilato costumi e mentalità. Quell’anno fu ingaggiato dall’Arab
Husayn era in contatto diretto con l’alto commissario britannico in Egitto, Henry McMahon: insieme stabilirono la creazione di un contingente di combattenti volontari arabi, provenienti da varie tribù beduine, di cui il tenente Lawrence – promosso al grado di capitano e poi di colonnello dell’esercito britannico – sarebbe stato il “consigliere militare” (political officer). Il 10 giugno del 1916 Husayn lanciò un appello al popolo arabo chiamandolo alla ribellione contro il sultano. La chiamata ebbe subito buon esito, anche in considerazione del fatto che gli ottomani cercavano di forzare l’assimilazione culturale dei popoli facenti parte del loro impero, ai quali imponevano l’uso della lingua turca. Grazie al valore degli insorti, le forze armate del sultano furono piegate in meno di un anno: nel marzo del 1917 il generale Frederick S. Maude entrava da vincitore a Baghdad, al comando della Mesopotamian Expeditionary Force. Nel luglio dello stesso anno gli insorti arabi conquistavano il porto di Aqaba, sul mar Rosso, e in dicembre il generale Edmund H. Allenby entrava a Gerusalemme alla testa dell’Egyptian Expeditionary Force mentre Faysal, uno dei quattro figli di Husayn, faceva
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AL-HUSAYN IBN ALI, SHARIF DELLA MECCA, NEL 1922.
1888
1909-1914
Il 16 agosto nasce a Tremadoc (Galles) T. E. Lawrence, figlio di Thomas Chapman e di Sara Maden, istitutrice dei suoi figli.
Dopo gli studi a Oxford visita come storico e archeologo il Vicino Oriente, dove studia l’architettura crociata ed effettua scavi a Karkemish.
ASSEGNATO AL CAIRO
1916-1918
1919-1922
1923-1935
1935
Come ufficiale di intelligence britannica collabora con l’hashemita Faysal nella rivolta araba contro i turchi durante la Grande guerra.
Appoggia senza successo Faysal per creare uno stato arabo. Nel 1922 lascia il ruolo di consigliere del governo britannico del Vicino Oriente.
Si arruola nella RAF e poi nel Royal Tank Corps sotto falso nome. Pubblica I sette pilastri della saggezza (1926), dove narra la rivolta araba.
Il 19 maggio muore a Moreton (Dorset) in un incidente di moto, per schivare due giovani in bicicletta.
ANNA SERRANO / GTRES
Questa città ospitava il quartier generale delle truppe britanniche nel Vicino Oriente. Lawrence, assegnato al dipartimento di intelligence militare, arrivò qui nel dicembre del 1914. Moschea del sultano Barquq, Il Cairo.
L’INTREPIDA CONQUISTA DI AQABA
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ENTRATA DEI RIBELLI ARABI AD AQABA NEL LUGLIO DEL 1916. LA FOTO FU SCATTATA DALLO STESSO T.E. LAWRENCE.
L 9 MAGGIO 1917 una cinquantina di arabi
lasciavano il porto di Wejh, nella penisola araba, la base di Faysal. Con loro c’era Lawrence, che aveva con sé 22mila sovrane, monete d’oro britanniche, per comprare l’aiuto dei beduini lungo il cammino verso il porto di Aqaba. Aveva pianificato di conquistarlo a sorpresa, attraversando il deserto e attaccando alle spalle una guarnigione turca impreparata. Poteva contare sull’appoggio di Awda Abu Tayi, della tribù beduina degli Howeytat. L’oro permise di ingrossare ulteriormente le fila degli attaccanti, che erano già circa mezzo migliaio quando il 2 luglio conquistarono Aba el-Lissan, villaggio che proteggeva l’acceso a Aqaba, espugnata quattro giorni dopo. Lawrence percorse 150 miglia attraverso il deserto del Sinai fino al Cairo, dove comunicò la sua vittoria ai comandanti britannici e chiese armi e denaro per i ribelli.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
FAYSAL , IL LEADER RIBELLE
Terzo figlio dello sharif Husayn, nel 1915 visitò in segreto Damasco per concordare l’appoggio delle società nazionaliste arabe alla rivolta dell’Hegiaz.
il suo ingresso trionfale a Damasco, capitale intellettuale e politica del mondo arabo. Per tutto quel periodo Lawrence fu consigliere proprio di Faysal, che considerava l’unico con il carisma sufficiente per guidare la rivolta. Intanto quell’ufficiale britannico minuto (era alto un metro e 66 centimetri) ma robusto, che indossava abiti arabi e si spostava a dorso di cammello, martellava gli ottomani con tattiche di guerriglia incentrate sugli attacchi alla ferrovia dell’Hegiaz, che univa Damasco con Medina ed era un asse centrale per i movimenti delle truppe turche in Arabia.
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Il primo successo All’inizio, dopo l’unione di Lawrence con le forze di Faysal nell’ottobre del 1916, la guerra non era andata bene. Da un lato, la ferrovia turca dell’Hegiaz, interrotta ripetutamente, veniva sempre riallacciata. Dall’altro, i capi delle tribù beduine ribelli non smettevano di litigare. Lawrence doveva accordarsi con ciascuno di loro, sforzandosi di trasmettergli il senso di essere al centro del conflitto. Ma non era facile, anche perché gli alti comandi britannici non sembra-
vano troppo interessati allo scacchiere militare dell’Hegiaz. Lawrence aveva bisogno di un successo che lo distinguesse, e lo trovò il 6 luglio del 1917 nell’epica conquista di Aqaba. Quest’azione non danneggiò particolarmente la struttura militare ottomana, né venne considerata importante dagli alti comandi britannici. Tuttavia, ebbe importanza per il mondo arabo: grazie a essa Lawrence si guadagnò la stima dei beduini e si garantì un posto nell’olimpo degli eroi locali. Per un momento parve quasi eclissare la popolarità di Faysal. Ma ben presto le cose cominciarono a non andare per il verso giusto. Ci fu un periodo di maltempo, con tempeste di sabbia che rallentavano e ostacolavano le operazioni. I conflitti tra gli sceicchi ripresero con violenza. Molti di loro facevano il doppio gioco: era noto che ricevevano soldi sia dagli inglesi che dai turchi. Prima della guerra il governo ottomano li considerava dei briganti, e in fondo continuavano a comportarsi come tali più che come ribelli propriamente detti. La guerra di Husayn e di Faysal per un watan, ovvero per uno stato arabo libero e unito, non era mai stata davvero la loro. Gli sceicchi beduini non
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3 1911-1914 Lawrence lavora come archeologo nella città ittita di Karkemish.
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9 Maggio-giugno 1917 Unite le forze con il capotribù Awda, Lawrence e i suoi soldati beduini scompaiono nel deserto di Wadi as Sirhan.
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Le truppe di Faysal si dirigono verso nord mentre Lawrence continua gli attacchi alla ferrovia.
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10 6 luglio del 1917 Dopo aver sorpreso la guarnigione turca, Lawrence e Awda conquistano Aqaba.
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Dara Deraa 11 1917-1918
Haifa
SINAI
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12 3 ottobre 1918 Dopo aver sconfitto i turchi a sud della città, Faysal, preceduto da Lawrence, conduce il suo esercito a Damasco.
Damasco
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SIRIA
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Lawrence lavora per il servizio di intelligence del ministero della guerra britannico al Cairo.
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ottobre 1916
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2 Luglio-settembre del 1909 In un viaggio a piedi di oltre 1.500 km, Lawrence esplora 36 castelli, impara l’arabo e promette di tornare.
CIPRO
4 Dicembre 1914-
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1 7 luglio del 1909 Lawrence sbarca a Beirut e inizia lo studio dei castelli dei crociati per la sua tesi a Oxford.
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8 9 maggio 1917 Dopo aver lasciato Faysal a Weyh, Lawrence si dirige verso nord con un gruppo di guerrieri.
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7 Marzo 1917 Lawrence lancia attacchi alla ferrovia dell’Hegiaz per fermare le truppe turche.
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Rotte di Lawrence, 1909 Rotta dell’attacco a Aqaba, 1917 Altre rotte di Al Wayh Lawrence, 1916-18 Weyh Incursione Giacimento archeologico Luogo storico e toponimi regionali in marrone Umm Lajj Sono indicate le frontiere attuali
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Medina Jeif Al Hamra 6 23 ottobre 1916 Wadi
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Lawrence conosce Faysal, figlio dello sharif Husayn e uno dei quattro fratelli che guidano gli arabi.
Rabigh 5 16 ottobre 1916
Lawrence arriva in Arabia con una missione segreta britannica di appoggio alla rivolta araba.
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La Mecca
40°E
WADI RUM, LA BASE DI LAWRENCE E FAYSAL
Nei Sette pilastri della saggezza Lawrence scrisse di Wadi Rum, nell’attuale Giordania: «La nostra piccola carovana tacque intimidita, piena di timore e vergogna per la propria piccolezza di fronte a montagne così maestose». JAMIE FRIEDLAND / GETTY IMAGES
PONTE DELLA FERROVIA DELL’HEGIAZ SUL FIUME YARMUK, IN SIRIA, ATTORNO AL 1917. DURANTE LA RIVOLTA ARABA, IL 7 NOVEMBRE DELLO STESSO ANNO, LAWRENCE TENTÒ INUTILMENTE DI DISTRUGGERE QUESTO VIADOTTO.
L’OBIETTIVO DEI GUERRIGLIERI
Sotto, stemma della ferrovia dell’Hegiaz, attaccata da Lawrence, con l’emblema dell’Impero ottomano. Sono visibili dei fori di proiettili. Imperial War Museum, Londra.
combattevano né per senso del dovere né per degli ideali, bensì per la gloria, per il denaro, per il loro piacere, per la fedeltà nei confronti dei prìncipi che amavano e ammiravano, per il benessere della loro tribù. Lawrence si rese conto che la presa di Aqaba era stata inutile e chiese di essere assegnato a un altro incarico. Ma il generale Allenby, che da giugno aveva assunto il comando della Egyptian Expeditionary Force, era del parere che Lawrence avesse fatto un ottimo lavoro e lo rispedì con Faysal.
L’umiliazione Lawrence cercò di coordinare gli attacchi degli arabi e l’avanzata delle truppe di Allenby verso nord, con esito incerto. Fu in questo periodo, nel novembre del 1917, che i turchi lo fecero prigioniero mentre effettuava una ricognizione sul terreno nei pressi del nodo ferroviario di Dara, a sud di Damasco. Prima di riuscire a scappare, fu torturato e probaIM
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bilmente violentato. Non si seppe mai esattamente cosa fosse successo, ma Lawrence ne uscì segnato in modo indelebile: «In preda a un dolore che mi spingeva al bordo della follia, dovetti cedere l’unica cosa che possediamo quando nasciamo: l’integrità del proprio corpo», scrisse in una lettera alla moglie di George Bernard Shaw, Charlotte. «È qualcosa di imperdonabile, di irrecuperabile, ed è ciò che mi ha costretto a rinunciare a una vita dignitosa e all’esercizio del mio non disprezzabile talento». L’umiliazione subita da Lawrence è stata collegata a quanto avvenne a Tafa un anno dopo, nel settembre del 1918. In quel villaggio le milizie ottomane avevano in precedenza assassinato donne e bambini, e giustiziato i combattenti arabi feriti. Quando gli insorti sconfissero i turchi, non ne ebbero pietà: massacrarono chiunque cadesse nelle loro mani. Fu Lawrence a dare l’ordine di non fare prigionieri, forse spinto da un desiderio di vendetta personale che si mescolava alla volontà di rivalsa dei suoi commilitoni arabi. Subito dopo l’episodio di Dara, il 9 dicembre 1917 Allenby entrava a Gerusalemme alla
STAPLETON COLLECTION / BRIDGEMAN / ACI
PIERRE PERRIN / GETTY IMAGES
ALLENBY ENTRA A GERUSALEMME
Lawrence racconta che la caduta della città, il 9 dicembre del 1917, avvenne «con un accompagnamento di aerei e fuoco di batterie antiaeree, con velivoli che continuavano a sorvolarci in circolo, senza sosta».
TESI DI DOTTORATO DI LAWRENCE, DEDICATA AI CASTELLI CROCIATI IN TERRA SANTA. PER DOCUMENTARSI, NEL 1909 PERCORSE 1.770 KM A PIEDI IN SIRIA E PALESTINA. FU COSÌ CHE INIZIÒ A CONOSCERE IL MEDIO ORIENTE.
ANNIE GRIFFITHS / NGS
UN RICORDO DI DAMASCO
Nel 1898 l’imperatore Guglielmo II depositò questa corona di bronzo sulla tomba del sultano Saladino, a Damasco. Quando Faysal occupò la città, la regalò a Lawrence.
guida delle truppe britanniche e delle bande arabe. Una volta conquistata la Città Santa non c’era più tempo da perdere: bisognava puntare su Damasco. E questo fecero le forze di Faysal mentre Lawrence si prodigava nei suoi attacchi alla ferrovia. Il 3 ottobre del 1918 il figlio di Husayn entrò a Damasco. Fu allora che le cose si misero davvero male.
Vittoria e disillusione
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Nel maggio del 1916, tramite i patti SykesPicot, francesi e britannici si erano segretamente spartiti l’Impero ottomano: ai primi erano andati la Siria (inclusa Damasco) e il Libano, mentre i secondi avevano ricevuto i territori meridionali. Qui avrebbero potuto governare sotto la tutela degli hashemiti, la dinastia dei custodi dei luoghi santi islamici: lo sharif Husayn e i figli Abdullah e Faysal. Quest’ultimo era ormai un leader militare indiscusso: parlava perfettamente inglese ed era trattato con rispetto dai consi-
glieri militari. I quali, tuttavia, gli nascondevano molte cose, e in particolare una: gli accordi di spartizione tra francesi e britannici. Faysal non sarebbe mai stato a capo di quel grande stato che gli arabi speravano di ottenere in cambio della loro rivolta contro gli ottomani. Un regno le cui frontiere avrebbero dovuto andare dall’Arabia alla Siria. Faysal si proclamò re a Damasco l’11 marzo del 1920, ma i francesi lo espulsero dalla Siria senza tante cerimonie. E Lawrence, che in quanto agente dei servizi di intelligence doveva essere al corrente di tutto questo, in che situazione si trovava? Secondo alcuni, ormai da tempo non ragionava più come un occidentale, tanto meno come un ufficiale di Sua Maestà britannica: il suo cuore era ormai con gli uomini del deserto. Per altri, invece, era rimasto sempre un funzionario dell’intelligence britannica, ed era stata piuttosto la sua indole instabile a far vacillare le sue convinzioni e a rendere il suo comportamento non sempre del tutto limpido. I beduini, quando ancora lo amavano e lo temevano, lo chiamavano Aurans Iblis, “Lawrence il Diavolo”. Un soprannome che divenne ancora più popolare quando, in preda alla delusione, cominciarono a dubitare di lui (ancora oggi nel mondo arabo sono in molti a considerarlo un ipocrita, un traditore). Su quanto avvenne subito dopo la fine della guerra ci sono varie teorie. Alcuni biografi dipingono un Lawrence triste, frustrato, consapevole di essere giudicato dagli arabi complice del tradimento perpetrato dai britannici ai loro danni. Altri ritengono che in realtà stesse recitando: secondo questi ultimi aveva sempre svolto quel che riteneva il suo dovere di ufficiale e di funzionario e sapeva mettere a tacere i sentimenti. Nel 1919 Lawrence prese parte alla Conferenza di pace di Parigi come membro della delegazione di Faysal, che vide le sue rivendicazioni politiche respinte dai vincitori della Grande guerra. Tornato in Inghilterra, sfruttò per un certo periodo il suo nome e la memoria delle sue gesta pubblicando articoli e fotografie e insistendo sui suoi rapporti con il generale Allenby. In seguito collaborò con Winston Churchill come consulente nel Colonial Office del governo britannico, ma il lavoro burocratico non faceva per lui. Si occupò anche della Siria, ormai entrata nell’orbita coloniale francese, ma neanche in
VENTISETTE ARTICOLI OVVERO COME TRATTARE CON GLI ARABI SECONDO LAWRENCE l 20 agosto del 1917 l’Arab Bulletin pubblicò un testo di T.E. Lawrence che illustrava i 27 punti che questi aveva elaborato per spiegare il carattere degli arabi e aiutare così i britannici che lavoravano con loro a orientarsi. Ci sono consigli di ordine politico, come quello di mantenersi sempre in secondo piano dietro al leader di cui si è consiglieri e di non contraddirlo mai in pubblico, ma di cercare piuttosto di influenzarlo attraverso colloqui privati e informali. Lawrence raccomanda poi di trattare i sottufficiali con disinvoltura e indulgenza, di evitare relazioni troppo strette con i subordinati e di non picchiarli mai, perché un tale gesto, oltre a svilire chi lo compie, alza un mu-
ro tra l’ufficiale e i suoi sottoposti. Tuttavia, le frasi più interessanti sono quelle che si riferiscono al carattere dei beduini. SI DISPREZZANO TRA LORO, affer-
ma Lawrence. Nessuno dei beduini stima i membri delle tribù vicine e rivali, per cui bisogna evitare di vincolarsi a uno specifico clan. Ai beduini non piacciono gli stranieri che imitano malamente il loro modo di vivere: anzi, li disprezzano. Amano solo due tipi di persone: lo straniero che resta tale e quello che, accettando di entrare nell’universo dell’etnia beduina, vi si integra nel miglior modo possibile. Si può dire che Lawrence d’Arabia appartenesse a questa seconda categoria.
UN GRUPPO GUERRIGLIERO NEL 1917. IL SECONDO A SINISTRA IN PIEDI È IL TENENTE COLONNELLO NEWCOMBE. SEGUONO I GUERRIGLIERI ARABI E, SULLA DESTRA, IL TENENTE HORNBY.
L’EMIRO NAWAF SHAALAN, FIGLIO DI NURI SHAALAN, LEGGENDARIO CAPO DELLA TRIBÙ RUWALLAH CHE SI UNÌ ALLA RIVOLTA ARABA. RITRATTO DI ERIC KENNINGTON. 1921.
MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
GRANGER / ALBUM
LAWRENCE, CON L’UNIFORME DELLA RAF, IN SELLA A UNA BROUGH SUPERIOR SS100, LA MOTO CON CUI EBBE L’INCIDENTE CHE GLI COSTÒ LA VITA. FOTO DEGLI ANNI TRENTA.
LA FAMA DI GUERRIERO DEL DESERTO
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OCO PRIMA che Lawrence tornasse
in Inghilterra nel 1918, Lowell Thomas, un corrispondente di guerra statunitense, trascorse otto giorni con lui e gli insorti arabi raccogliendo materiale per le sue cronache. Basandosi su alcune incursioni di cui era stato informato, al termine del conflitto scrisse una serie di spettacolari reportage per varie riviste. Questi articoli ruotavano attorno alla figura idealizzata di Lawrence, che Thomas soprannominava «il re d’Arabia senza corona», e furono accolti con leggerezza ed entusiasmo da un pubblico esausto delle sanguinose cronache provenienti dalle trincee d’Europa. Più tardi, in una serie di conferenze, i racconti del giornalista seppero emozionare gli spettatori che affollavano le sale di Stati Uniti e Gran Bretagna ansiosi di saperne di più su Lawrence d’Arabia.
I SETTE PILASTRI DELLA SAGGEZZA
Lawrence poté scrivere questo affascinante resoconto delle sue campagne nel deserto tra il ‘16 e il ‘18 grazie a una borsa di studio dell’All Souls College di Oxford. La prima edizione è del 1926.
RUE DES ARCHIVES / ALBUM
questo caso il suo atteggiamento fu del tutto chiaro. Amava la Francia, conosceva bene il francese – una lingua da cui tradusse anche alcuni libri –, ma forse, da amico di Faysal, non aveva mai dimenticato come il principe hashemita fosse stato cacciato da Damasco. Secondo alcune voci Lawrence, per ripicca, fomentava la rivolta siriana contro i francesi. Non sembra che in quegli anni si trovasse davvero a suo agio. I servizi britannici forse non avevano più bisogno di lui, e il sospetto che circondava la sua figura presso gli arabi lo rendeva “inutilizzabile”nel Vicino Oriente. Per questo cercò di scomparire per un certo periodo, arruolandosi come aviere nella Royal Air Force (RAF) con lo pseudonimo di John Hume Ross: ma anche in tale veste venne identificato e allontanato nel febbraio 1923. Cambiò di nuovo nome e, come Thomas Edward Shaw, servì per un anno nel Royal Tank Corps. Nel 1925 venne riammesso nella RAF e assegnato a una base india-
na, ma nel 1928 dovette tornare in Inghilterra, accompagnato da una fama contraddittoria: da un lato il suo libro, I sette pilastri della saggezza, aveva avuto grande successo; dall’altro sembra che lo si accusasse di spionaggio. Si ritirò allora in una sua piccola proprietà a Chingford, a nord-est di Londra, e continuò a occuparsi della RAF finché non fu definitivamente congedato nel marzo 1935. Si dedicò nel frattempo a uno dei suoi grandi interessi, la letteratura cavalleresca medievale. Un’altra sua passione era la motocicletta: era un ottimo motociclista, ma proprio a ciò dovette la sua fine. Lawrence infatti perse la vita il 19 maggio del 1935, all’età di 46 anni, in seguito a un incidente di moto avvenuto nel Dorset, dove viveva. Anche sulla sua fine aleggia qualche dubbio: secondo alcune ipotesi, sarebbe stato avvicinato da un gruppo di nazionalisti inglesi e l’incidente di cui fu vittima sarebbe in realtà stato pianificato per eliminare un possibile futuro leader. FRANCO CARDINI PROFESSORE EMERITO DELL’ISTITUTO ITALIANO DI SCIENZE UMANE / LAWRENCE D’ARABIA ISTITUTO DI STUDI UMANISTICI. AUTORE DI
MILANSYS / GETTY IMAGES
INTERFOTO / AGE FOTOSTOCK
LA CAPITALE DEGLI ARABI
Nel 1914 Damasco era la capitale culturale del mondo arabo nonché il centro più attivo della resistenza agli ottomani e alla loro imposizione della lingua turca. Per questo Faysal, Lawrence e Allenby si erano posti come obiettivo la conquista della città.
LAWRENCE, CONSIGLIERE AL CAIRO Medio Oriente è figlio della ’attuale politica coloniale britannica… e di T.E.
Lawrence. Nel 1919, alla Conferenza di pace di Parigi, Francia e Gran Bretagna si spartirono l’amministrazione dei domini ottomani in quella regione. Quindi, nel marzo del 1921, si tenne al Cairo una conferenza dove i britannici stabilirono l’organizzazione politica dei territori sotto il loro controllo, i cosiddetti “mandati”. Winston Churchill, ministro delle colonie, convocò presso l’hotel Semiramis gli alti funzionari civili e militari di quella città. Le decisioni prese in quel contesto portavano la firma di Lawrence, allora a capo del dipartimento del Medio Oriente, creato poco tempo prima. R U S S I A
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LE RIGHE INDICANO MANDATI E OCCUPAZIONI MILITARI.
STATI DELLA TREGUA OMAN
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I PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA DEL CAIRO, NEL MARZO DEL 1921. TRAMITE CHURCHILL, DI CUI ERA CONSIGLIERE, LAWRENCE ESERCITÒ UN’INFLUENZA DECISIVA NEL RIDISEGNARE IL MEDIO ORIENTE.
1 IR AQ Gli hashemiti, che avevano guidato la rivolta araba, divennero gli alleati ideali dei britannici per mantenere il controllo indiretto della zona. Faysal, espulso dalla Siria dai francesi, fu incoronato re dell’Iraq grazie alle sollecitazioni di Lawrence. A questo scopo fu necessario creare artificialmente il regno dell’Iraq unendo in modo abbastanza sconsiderato le
T. E. Lawrence
Wiston Churchill
MONDADORI / ALBUM
tre province che erano state create dagli ottomani per separare curdi, arabi sunniti e arabi sciiti. Solo la pressione della Gran Bretagna riuscì a imporre alla guida del nuovo regno la monarchia hashemita, che era vista come servile nei confronti dei britannici ed estranea a un territorio la cui ricchezza petrolifera si sarebbero spartiti francesi e britannici nel 1928.
2 TR ANSGIORDANIA Abdullah, fratello di Faysal, divenne emiro della Transgiordania, nuovo stato per cui sarebbe transitato il petrolio iracheno grazie a un oleodotto che nel 1935 arrivava fino a Haifa. La città si trovava in Palestina, dove la dichiarazione Balfour (1917) prevedeva «un focolare nazionale per il popolo ebraico» e che nel 1923 fu separata dalla Transgiordania (Giordania).
3 AR ABIA Husayn, padre di Faysal e Abdullah, fu il più colpito dalla politica dei britannici, che avevano armato Ibn Sa’ud, rivale degli hashemiti in Arabia, perché lottasse contro i turchi. Ma questi si rivolse contro Husayn e lo sconfisse. Husayn non aveva accettato la spartizione fra francesi e britannici, i quali riconobbero quindi il potere di Ibn Sa’ud, fondatore dell’Arabia Saudita.
GRANDI ENIGMI
Il Golem: un uomo di fango nel ghetto di Praga
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el XIX secolo diversi autori ripresero una storia curiosa che risaliva al tempo in cui l’imperatore Rodolfo II (1552-1612) stabilì la sua corte nella città di Praga. Si raccontava infatti che, in seguito alla scomparsa di un bambino cristiano, la popolazione avesse accusato gli ebrei che vivevano nella capitale ceca di averlo sequestrato per ucciderlo e poi utilizzare il suo sangue nel corso dei riti della Pasqua. Si trattava di una calunnia tipica delle “accuse del sangue” subite dagli ebrei sin dal Medioevo.
Rodolfo II non poté esimersi dal condannare tutti gli ebrei della città all’esilio, se non addirittura a morte, secondo altre versioni della storia.
L’uomo di fango Di fronte alla minaccia che incombeva sugli ebrei, un dirigente della comunità, Judah Loew ben Bezalel, conosciuto come Rabbino Loew, decise di intervenire. In sogno gli era stato ordinato di costruire un essere artificiale, conosciuto dalla tradizione ebraica con il nome di golem. Il Rabbino Loew chiese aiuto ad altri due amici rabbini e i tre si recarono insieme sulle rive della Moldava (Vltava in ceco). Una volta arrivati trac-
ciarono nel fango la sagoma di un uomo sdraiato e gli disegnarono volto, gambe e braccia. I due rabbini amici di Loew girarono intorno al Golem sette volte recitando alcuni incantesimi, dopo i quali la figura acquistò una tonalità rossastra, come se stesse ardendo. Quando si raffreddò lo stesso Loew gli girò intorno sette volte reggendo tra le mani una Torah. Poi i tre recitarono insieme un versetto della Genesi (2,7): «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». Infine il Rabbino Loew scrisse sulla fronte del Golem la parola emet (“veri-
DEFORME E ROZZO NELLA BIBBIA il termine “golem” è usato con l’accezione di “forma indefinita”, mentre nel Talmud (il corpo di commenti giuridici e religiosi sulla Bibbia) racchiude il significato di “persona senza educazione”. Da lì viene l’immagine del mostro: un essere informe, ottuso e dai movimenti impacciati. IL RABBINO LOEW CON IL GOLEM, LA SUA CREATURA. DIPINTO. XX SECOLO. THIERRY ESCH / GETTY IMAGES
VOLHA KAVALENKAVA / AGE FOTOSTOCK
Secondo una leggenda, nel XVI secolo un rabbino di Praga creò un uomo di fango per salvare la comunità ebraica della città
tà” in ebraico), e in tal modo gli diede vita. Incaricato da Loew di cercare il bambino scomparso, il Golem lo trovò e si presentò portandolo in braccio, proprio mentre si celebrava il giudizio per la condanna degli ebrei. Il bambino dichiarò che suo padre lo aveva obbligato a nascondersi nella cantina di casa, per provocare la distruzione degli ebrei. E fu così che il Golem salvò la comunità ebraica. Ciononostante, questa storia
PRAGA. Vista notturna della città in cui
scorre la Moldava, attraversata da diversi ponti. Secondo la leggenda, il Rabbino Loew utilizzò il fango delle rive di questo fiume per fabbricare il Golem.
UN ESSERE UMANO?
lem portava scritta in fronte, cambiandone il significato in “morte”, met in ebraico. Dopo avergli così tolto la vita, Loew nascose il Golem nella soffitta della sinagoga Vecchia-Nuova di Praga, lo rinchiuse a chiave e ordinò che nessuno entrasse.
Cosa dice la Bibbia La storia del Golem ha attratto scrittori e cineasti, in parte anche per le somiglianze con altri racconti che hanno affascinato l’imma-
LA CREAZIONE DI ADAMO. MINIATURA DELLA HISTORIA SCHOLASTICA . XII SECOLO.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
AKG / ALBUM
non ha un lieto fine. Il Golem cominciò a crescere senza sosta e diventò violento e incontrollabile fino al punto di uccidere vari gentili (ovvero, non ebrei), seminando il panico in tutta la città. Altre versioni affermano che arrivò perfino a uccidere alcuni ebrei. Il Rabbino Loew dovette intervenire nuovamente. Dopo aver ottenuto dall’imperatore la promessa che non avrebbe attaccato gli ebrei, eliminò la lettera alef dalla parola emet che il Go-
GLI STUDIOSI ebrei analizzarono in dettaglio la natura del Golem. Alcuni sostenevano che gli mancava l’anima, infusa da Dio ad Adamo, e quindi non poteva essere umano. Per questo motivo, dal punto di vista legale non poteva partecipare alle cerimonie religiose ebraiche, come la circoncisione o il Bar Mitzvah.
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GRANDI ENIGMI
RILEVAZIONE IMPOSSIBILE
ginazione popolare, come quello del mostro di Frankenstein. Tuttavia, nel caso del Golem non ci troviamo di fronte a una pura creazione romanzesca. Il tema è molto radicato nella tradizione religiosa ebraica; di fatto, si ispira direttamente
alla Bibbia. Infatti la Genesi racconta come Dio avesse creato Adamo a partire dalla terra – il nome Adam deriva dalla stessa radice ebraica della parola adamà, “terra” – infondendogli il soffio divino che gli diede non solo la vita, ma anche un’anima. A partire da questo passaggio della Genesi alcuni studiosi ebrei avrebbero speculato sulla facoltà umana di repli-
CIMITERO EBRAICO DI PRAGA. SULLA SINISTRA, LA LAPIDE SULLA TOMBA DEL RABBINO LOEW.
care il processo della creazione divina plasmando una figura di fango, il golem, al quale dar vita attraverso una serie di rituali magici. Alcuni rabbini attribuivano al golem un significato mistico e pensavano che non fosse altro che una metafora del risveglio spirituale dell’essere umano dopo il suo contatto trascendente con Dio. Altri,
Il Golem diventò violento e incontrollabile, tanto che il Rabbino Loew dovette togliergli la vita SINAGOGA VECCHIA-NUOVA DI PRAGA, DOVE SI CUSTODIVA IL GOLEM. INCISIONE. XIX SECOLO. GRANGER / AGE FOTOSTOCK
invece, arrivarono a pensare che una persona dotata di misericordia e di specifiche conoscenze potesse creare un essere umano artificiale a partire dalla materia inorganica. Ebbero luogo dibattiti intorno alla possibilità che Adamo nelle sue prime ore di vita fosse stato un golem, o che anche il profeta biblico Geremia ne avesse creato uno. Durante il Medioevo l’opera cabalistica Sefer Yetzirah (Il libro della creazione) divenne la fonte principale delle formule magiche attraverso le quali si riteneva possibile dar vita a un golem. Per esempio veniva consigliato
FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK
MIROSLAV KROB / AGE FOTOSTOCK
NEL 1984 IL CECO Ivan Mackerle – un investigatore del paranormale che fra altre cose si è occupato del mostro di Loch Ness – esplorò con un georadar la soffitta della sinagoga Vecchia-Nuova di Praga dove, secondo la leggenda, erano custoditi i resti del golem. L’analisi rivelò che nella stanza, che era stata ristrutturata nel XIX secolo, non c’era sepolto nulla.
FOTOGRAMMA del film
SZ PHOTO / BRIDGEMAN / ACI
Il golem, del 1920. L’attore e direttore Paul Wegener dà vita al leggendario personaggio di fango, che in questa scena passeggia per le vie di Praga.
al rabbino di non operare da solo, di svolgere previamente il rituale di purificazione e di utilizzare terra vergine.
Il golem arriva a Praga Le leggende ebraiche trasmesse dal Talmud narrano che vari rabbini avessero creato dei golem: del resto si riteneva che potesse farlo qualsiasi uomo saggio che fosse abbastanza vicino a Dio. Anche il folclore popolare ebraico del Medioevo ne parlava. Il fulcro di tutte queste storie finì poi per collocarsi in Polonia, dove risiedeva la comunità ebraica più numerosa. In particolare si distinse la figura di Elia
Ba’al Shem di Chelm, studioso di cabala polacco del XVI secolo. Di lui si diceva che avesse creato un golem che «cresceva ogni giorno e arrivò a essere più grande di tutti coloro che abitavano a casa sua», così che alla fine dovette ucciderlo togliendogli una lettera dalla fronte. Invece, non vi è nessuna testimonianza del fatto che il Rabbino Loew, che visse a Praga nella stessa epoca e che a sua volta raggiunse grande fama e prestigio, avesse mai provato a creare un golem. L’associazione del golem con la città di Praga venne fatta molto dopo, nel XIX secolo. L’austriaco Franz
Klutschak, giornalista e studioso di folclore, fu il primo a menzionare questa storia nel 1841, quando pubblicò un racconto su una rivista praghese. Nel 1847 il medico e folclorista Leopold Weisel raccolse un’altra versione. La relazione più completa venne pubblicata nel 1909 da Yudl Rosenberg, un rabbino e giudice che viveva a Varsavia. Fu lui a diffondere la storia del sequestro del bambino cristiano e della conseguente persecuzione antisemita. Un episodio, quest’ultimo, totalmente immaginario e incompatibile con il regime di relativa tolleranza di cui godevano
gli ebrei di Praga all’epoca di Rodolfo II. In ogni caso, il golem è sempre vivo nella coscienza popolare ebraica come metafora della superbia dell’essere umano che vuole fare ciò che gli è proibito. Lo stesso peccato che troviamo anche in un’altra creazione umana più recente: il mostro di Frankenstein. Sia il Golem di Praga sia la creatura di Frankenstein si rivelano difettosi e alla fine addirittura ingovernabili. Si trasformano così in un castigo per i loro creatori, colpevoli di aver cercato di emulare Dio. —Javier Alonso López STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL PRIMO ROMANZO STORICO DI FR ANCESCO ABATE E CARLO A. MELIS COSTA
Un impero su cui il sole sta per tramontare. Cagliari, 1665. Inviato come emissario del re, il Corregidor viene coinvolto in una congiura in grado di mettere in ginocchio la Corona di Spagna. La salvezza si trova in una donna che racchiude in sĂŠ due civiltĂ , in un bambino che tutti cercano e in un libro che intreccia i loro destini indissolubilmente.
Il Corregidor
pubbliredazionale
Uomini in cerca della verità nell’impero spagnolo del Seicento
Intervista agli autori Che cosa significa il titolo del romanzo, mento della supremazia militare, Il Corregidor? E che ruolo ha il corre- le culture tendono a condizionarsi e a fondersi. A parte l’esempio gidor in questa storia? chiarissimo dell’avventura orienIl corregidor era un funzionario rea- talizzante di Alessandro – dell’Imle, istituito nel regno di Castiglia fin pero romano che iniziò a mutare dal 1393 da re Enrico III. Il suo com- culturalmente proprio nell’inconpito era rappresentare la Corona tro con la Grecia, per poi assimispagnola, e le sue funzioni poteva- lare altre importanti culture come no essere varie: presiedere la giun- l’Egitto, mentre a ovest nasceva ta municipale convalidando le sue la cultura romanza – pensiamo a decisioni, fare le funzioni di magi- due casi moderni: la Gran Bretastrato inquirente e giudice in prima gna, e la sua “indianizzazione” o seconda istanza, e altre. La figura, dei costumi e dell’alimentazione, e con la caduta degli Asburgo, iniziò la Francia, con il processo di cona scomparire, per poi essere abolita taminazione subito, sino a temdefinitivamente nel 1883. Fuori dal pi recentissimi, dal mondo arabo territorio del regno i corregidores e africano. Non esistono culture imprimevano il proprio incarico sui pure: l’essere umano tende per sua documenti e nelle cerimonie, in- natura a comunicare e a confrondicando le facoltà specifiche di cui tarsi con i suoi simili. Basti pensaerano investiti. Di fatto, una formu- re che all’arrivo degli arabi in Asia la ricorrente di appellarsi era «Justi- Centrale sopravviveva ancora la cia mayor y lugarteniente», che stava cultura greco-indiana, erede, dopo a significare che, nei territori in cui novecento anni, di Alessandro. A esercitavano il mandato, avevano nostro avviso occorre anche rif letpieno diritto di amministrare la giu- tere sul fatto che la Spagna non stizia e di comandare forze militari. riuscì mai a darsi strutture adeNella nostra storia è un funzio- guate, anche perché divenuta la più nario di grande esperienza, inviato importante potenza coloniale lo in un territorio che non conosce, stesso anno della sua nascita come per un’inchiesta le cui indagini da Stato unitario nel territorio. subito appariranno difficili per l’oE a proposito dei guaranì, essi sono oggi una componente imstilità dell’ambiente. portante nella società del SudaI due protagonisti sono dom Jorge Baxu merica, soprattutto in Argentina de los Pevros, corregidor de hidalgos, di e Paraguay. Gestiscono grandi alorigine galiziana, fedele esecutore della levamenti, difendono tenacemente Corona di Spagna, e Maria Pilar Ho- la loro cultura, anche se inevitabilvypyayè, la ragazza che nei suoi due mente meticciata. Jorge Baxu nel romanzo è un nomi racchiude due mondi, quello guaranì in cui è nata e quello cristiano in uomo capace di cogliere appieno cui è cresciuta; sulla carta appartengono questa tendenza al mutamento. a due “fazioni” opposte, i dominatori e i dominati. Sono sempre i primi a vincere? In questa storia, oltre alle morti violente al centro delle indagini del corregiLa storia ci dice che, passato il mo- dor, c’è un assassino invisibile e letale,
la peste. Quanto cambiò il corso della storia dell’Italia? La pestilenza di quegli anni ha mutato l’Italia e l’Europa. Per la Sardegna è stata devastante. Il permanere di poche persone in centri importanti come Alghero, o addirittura il totale spopolamento per anni di grandi città come Sassari, è significativo. L’economia della Sardegna mutò per sempre. Mancando il numero sufficiente per mantenere la natura agricola del territorio, venne privilegiato l’allevamento, che richiedeva un numero assai minore di addetti. Venne favorito il ripopolamento con gente proveniente da tutte le parti di un regno planetario, ma vennero immigrati anche dalla Gran Bretagna e dalla Germania. Il grande storico sassarese del barocco, Francesco Manconi, nel suo splendido Castigo de Dios ha recuperato e citato descrizioni dell’epoca disastrose, che dipingono una società in rapido disfacimento, non dissimilmente dalle “apocalissi” sanitarie dei film di fantascienza odierni. Le conseguenze furono terribili sotto il profilo demografico. Si stima che in Sardegna venne a mancare più della metà della popolazione, con punte anche maggiori soprattutto nelle zone centro-settentrionali dell’isola, e nell’Italia settentrionale morì un milione di persone su quattro circa. A Napoli si arrivò a seicentomila morti, mentre Roma fu risparmiata, forse grazie alla sua allora scarsa vocazione commerciale. Vennero censiti “solo” 14.473 morti. È forse da ritenere che, come la precedente guerra dei Trent’anni aveva rappresentato l’inizio di una moderna diffidenza verso le guerre “universali”, la pestilenza globale del 1600 abbia stimolato il progresso della scienza medica.
GRANDI SCOPERTE
Le statue sepolte del faraone Micerino Nel 1908 George Reisner ritrovò otto triadi che rappresentavano il faraone Micerino, la dea Hathor e varie province dell’Egitto
1902
MAR MEDITERRANEO
GIZA
Triadi di Micerino
Reisner iniziò a scavare nelle vicinanze del complesso funerario di Micerino alla guida di una spedizione organizzata dall’Università di Harvard.
Statue ovunque EGITTO
L’obiettivo della riunione era la ripartizione delle zone di scavo nella piana di Giza. Ai tedeschi toccò il settore della Piramide di Chefren, seconda in grandezza dopo quella di Cheope, mentre agli italiani spettò una parte del cimitero situato a nord della stessa piramide. Agli statunitensi, invece, la sorte riservò tutto il complesso funerario del faraone Micerino, cui è dedicata la più piccola delle tre piramidi che sorgono a Giza. Quattro anni più tardi, nel 1906, l’archeologo George
La piana di Giza viene suddivisa in diverse concessioni. A Reisner va il complesso funerario di Micerino.
1906
La Piramide di Micerino era già stata esplorata nel 1837 dal britannico Richard Vyse. Reisner si dedicò pertanto a studiare altri elementi del complesso. Le sue ricerche diedero ben presto buoni frutti. Nei pressi del lato est della piramide Reisner individuò il tempio a monte – dove furono ritrovati dei frammenti di una colossale statua in alabastro del faraone seduto – e i resti della strada che collegava questo edificio con il tempio a valle (che non era ancora stato trovato), dove avevano avuto luogo i riti di purificazione della mummia del re. Rinvenne anche le cappelle
George Reisner inizia gli scavi a Giza. Trova il tempio a monte insieme alla Piramide di Micerino.
1908
Nel tempio a valle Reisner scopre statue che rappresentano il faraone con altre divinità.
ALCUNE TRIADI di MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON
N
el 1902 si tenne un summit di egittologia sulla terrazza dell’hotel Mena House del Cairo. Era stato convocato da Gaston Maspero, direttore del Servizio reperti archeologici d’Egitto, e tra gli invitati figuravano alcuni dei grandi archeologi del momento: il tedesco Ludwig Borchardt (che nel 1912 avrebbe scoperto il busto di Nefertiti) per conto dell’archeologo tedesco George Steindorff; l’italiano Ernesto Schiaparelli (che nel 1904 avrebbe trovato la tomba di Nefertari) e lo statunitense George Andrew Reisner, noto come il“Flinders Petrie americano”per la precisione e la minuziosità dei suoi metodi di lavoro.
Micerino nel luogo originario di ritrovamento. Foto scattata nel 1908 durante gli scavi di Reisner nel tempio del faraone a valle, a Giza.
funerarie delle tre piramidi satelliti appartenenti alle mogli di Micerino e qualche tomba di sacerdoti funerari incaricati del culto reale. Nel luglio del 1908 Reisner, dopo aver effettuato
1910
Viene alla luce un gruppo scultoreo di Micerino con una donna, forse la sua Grande sposa reale.
TESTA IN ALABASTRO DI MICERINO, RITROVATA NEL 1908 NEL SUO TEMPIO A VALLE. MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON. BRIDGEMAN / ACI
GEORGE A. REISNER
accedeva alla sala delle offerte, che aveva sei colonne, e al santuario propriamente detto, accanto al quale si aprivano delle camere. Fu qui che nel luglio del 1908 Reisner fece una scoperta sensazionale. Joseph Lindon Smith, disegnatore della spedizione, narra la circostanza del ritrovamento: «Io stesso condivisi con Reisner l’emozionante momento dell’apertura di ciascuna di quelle sale strapiene di sculture. Due ritratti
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON
alcuni sondaggi, incentrò la sua attenzione sulla ricerca dei resti del tempio a valle. Si trattava di una costruzione in mattone crudo con fondamenta di calcare, che sembrava essere stata conclusa affrettatamente, probabilmente a causa dell’inattesa morte del sovrano. All’ingresso orientale c’era un vestibolo con quattro colonne, circondato da alcuni ambienti simili a magazzini, che conduceva a un ampio cortile. Da questo patio si
OLTRE ALLE STATUE di Micerino, Reisner fece un’altra spettacolare scoperta a Giza: nel 1925 rinvenne la tomba intatta della regina Hetepheres, madre di Cheope, il costruttore della Grande Piramide. Ma la sua sua brillante carriera si interruppe negli anni ‘30, quando iniziò a soffrire di cecità progressiva. Ciononostante, continuò a lavorare e a pubblicare articoli con l’aiuto della figlia Mary. Morì nel 1942, nella sua residenza nei pressi delle piramidi di Giza.
127
SI RITIENE CHE LA DONNA rappresentata insieme al faraone Micerino in questo gruppo scultoreo sia la sua Grande sposa reale, la regina Khamerernebti II, anche se per alcuni ricercatori potrebbe trattarsi della madre. Questa diade presenta delle similitudini formali con le triadi ritrovate da Reisner nello stesso luogo. Qui il faraone indossa un nemes, copricapo regale, e il suo gonnellino è liscio e non pieghettato. La donna, della sua stessa statura (un segno della sua importanza), sostiene il sovrano, imitando la postura della dea Hathor in quello che sembra un gesto di protezione o forse di legittimazione del monarca per linea materna. La statua, incompiuta, misura 139,5 cm di altezza ed è conservata al Museum of Fine Arts di Boston.
BRIDGEMAN / ACI
LA GRANDE SPOSA REALE
La dea Hathor, sul trono, sostiene per la vita Micerino, che regge nella mano destra una mazza. Accanto alla dea, la rappresentazione del nomo della Lepre, di dimensioni minori. Altezza: 84,5 centimetri. Museum of Fine Arts, Boston.
in alabastro del re, quattro statue complete e la triade di grovacca (un tipo di pietra sedimentaria). Reisner riusciva a stento a contenere l’emozione…». Così, per lo stupore degli archeologi presenti, dalle rovine emersero alcuni magnifici gruppi scultorei: otto sculture in grovacca, ognuna delle quali era composta da tre personaggi, ossia il faraone, con la corona bianca dell’Alto Egitto; la dea Hathor, con il caratteristico copricapo a due corni e il disco solare, e la personificazione di un nomo o provincia egizia. Quattro di queste sculture, denominate triadi, erano
Micerino, al centro, ha in mano dei rotoli. Alla sua destra, Hathor, e a sinistra, con dimensioni estremamente ridotte, la personificazione del nomo di Tebe. Altezza: 92 centimetri. Museo egizio, Il Cairo.
frammentate e incomplete, mentre altre quattro erano concluse e in ottimo stato di conservazione. La loro funzione è incerta, anche se probabilmente aveva a che vedere sia con il culto che con la politica: un modo per indicare che Micerino regnava su tutto il Paese.
Capolavori Quando Reisner era ormai convinto che il tempio a valle di Micerino non avesse più segreti per lui, l’8 gennaio del 1910 venne alla luce un altro gruppo scultoreo completo: si trattava di una rappresentazione del faraone con il nemes, il coprica-
DA SINISTRA A DESTRA: BRIDGEMAN / ACI; JOSÉ LUCAS / AGE FOTOSTOCK; DEA / ALBUM
GRANDI SCOPERTE
Sulla destra del faraone, la dea Hathor, mentre sulla sinistra, la divinità del nomo, o provincia, di Cinopoli. Le mani delle dee sono visibili sulle braccia del re. Altezza: 96 centimetri. Museo egizio, Il Cairo.
po regale a forma di cuffia, in compagnia di una donna che lo cinge con un braccio, probabilmente la moglie, la regina Khamerernebti II. Purtroppo, l’artista che scolpì questa magnifica opera non vi incise sopra i nomi dei soggetti e non è quindi possibile affermare con certezza che si tratti della Grande sposa reale di Micerino, come generalmente ritenuto. George Reisner ritrovò una grande quantità di materiale nel complesso funerario di Micerino. Secondo quanto prevedavano le leggi di ripartizione dei ritrovamenti archeologici in vigore all’epoca, Reisner portò con
sé negli Stati Uniti una delle triadi complete e il gruppo di Micerino con sua moglie, oltre ad alcuni frammenti e alla statua colossale in alabastro del faraone proveniente dal tempio funerario. Il resto delle triadi complete, invece, rimase in Egitto. Questi ritrovamenti permisero a Reisner di ricostruire la tecnica scultorea egizia ai tempi della IV dinastia. Secondo quanto affermò lui stesso, quell’incredibile scoperta ebbe un’importanza tale che «rese necessario rivedere la storia dell’arte egizia di quel periodo». —Carme Mayans STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Prossimo numero LA RIVOLUZIONE CHE CAMBIÒ IL MONDO
FINE ART IMAGES / ALBUM
LA NOTTE DEL 25 ottobre del 1917 un gruppo di militanti comunisti assaltava il Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo e conquistava il potere in Russia. Il processo rivoluzionario iniziato a febbraio dello stesso anno, quando il malcontento popolare aveva fatto abdicare lo zar Nicola II, si concluse con la vittoria del Partito bolscevico diretto da Vladimir Lenin.
CREPIN-DAYNES / AGE FOTOSTOCK
LA GRANDE MIGRAZIONE DELL’HOMO SAPIENS 15MILA ANNI FA gli esseri umani attraversarono lo stretto di Bering e si stabilirono in America, dove culminò la colossale colonizzazione iniziata più di 70mila anni fa. La grande migrazione era cominciata quando un piccolo gruppo di Homo sapiens aveva lasciato le sue terre in Africa orientale e aveva attraversato il mar Rosso in direzione dell’Arabia. Da lì i discendenti della comunità, che secondo il DNA è la stirpe comune degli abitanti di quattro continenti, popolarono il resto del mondo.
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L’harem dei faraoni Le principesse straniere che si sposavano con i faraoni d’Egitto vivevano nel lusso, circondate da un seguito proprio e in relativa libertà.
Zarathustra, il primo profeta Non sappiamo se il fondatore della prima religione monoteista della storia sia realmente esistito, ma certamente ha condizionato tutte le altre.
Erodoto, il padre della storia Erodoto non fu solo un viaggiatore instancabile ma anche il primo a porsi l’obiettivo di raccontare i fatti e le grandi gesta degli uomini.
Centurioni, l’anima delle legioni A capo della fanteria, i centurioni erano un esempio per i soldati sia in guerra che in pace. Grazie al loro coraggio ed esperienza, erano stimati anche dagli imperatori.
Trafficanti di reliquie Durante il Medioevo si credeva che il contatto con i resti dei santi avesse virtù sanatrici. Questo portò a un intenso traffico di reliquie, non esente da furti e truffe.
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