Storica National Geographic - giugno 2018

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GÖBEKLI TEPE

INDOVINI

VICHINGHI

MOZART

SUFFRAGISTE

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LA GIUSTIZIA DEL FARAONE

LEGGI E CASTIGHI IN EGITTO

GLI INDOVINI

AUSPICI, PRESAGI E PROFEZIE

IL PRIMO TEMPIO DELLA STORIA - ESCE IL 18/05/2018 - POSTE ITALIANE S.P.A SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) 1 COMMA 1 - LO/MI. GERMANIA 11,50 € - SVIZZERA C. TICINO 10,20 CHF - SVIZZERA 10,50 CHF - BELGIO 9,50 €

GÖBEKLI TEPE

AUT. MBPA/LO-NO/063/A.P./2018 ART.

PERIODICITÀ MENSILE

GIUSTIZIA DEL FARAONE

DIVINITÀ E MITI DEI GUERRIERI NORDICI

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LA LOTTA PER LA CONSACRAZIONE

772035 878008

MOZART A VIENNA

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NATIONAL GEOGRAPHIC

VICHINGHI

N. 112 • GIUGNO 2018 • 4,95 €

NU MERO 112

storicang.it

VOTO ALLE DONNE

L’AVVENTURA DELLE SUFFRAGISTE

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EDITORIALE

dalla nuova zelanda all’Arabia Saudita. Oltre cent’anni di lotte, dal 1893 al 2015, separano il primo e l’ultimo Paese ad aver concesso il voto alle donne. Anche se “concesso” non è certo il verbo più adeguato per definire la strada verso il suffragio universale. Sono state, invece, battaglie dure e lunghe quelle che le femministe hanno portato avanti contro pregiudizi vecchi di millenni e spesso contro la riluttanza di alcuni non solo a perdere i propri privilegi ma, ancor prima, a riconoscerli in quanto tali. La resistenza al cambiamento, invece, poco ha avuto a che vedere con la religione, o con il livello di “democratizzazione” di questo o di quel Paese (basti pensare che nella nostra vicina Svizzera le donne possono votare solo dal 1971). Forse la più nota delle battaglie per il voto femminile è stata quella delle suffragiste britanniche agli inizi del ’900. Però non è stata certo la prima. Già durante la Rivoluzione francese, quando per la prima volta viene sancita l’uguaglianza di tutti gli uomini, viene concesso il suffragio universale maschile (dimenticandosi delle donne, che pur avevano partecipato alla rivoluzione). Nel 1791 la scrittrice Olympe de Gouges redige la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, nella quale rivendica il diritto al voto sostenendo che la donna nasce libera e ha, quindi, uguali diritti rispetto all’uomo. Oltre due secoli dopo, quasi ovunque le donne possono votare in uguaglianza di condizioni con gli uomini. Eppure, la strada da percorrere verso una reale parità di diritti e di doveri è ancora in salita. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale

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8 ATTUALITÀ 12 PERSONAGGI STRAORDINARI I fratelli Lumière

Auguste e Louis rivoluzionarono l’industria dell’immagine.

18 GRANDI INVENZIONI La macchina da scrivere Nel 1874 fu messo in vendita l’apparecchio inventato da Christopher Sholes.

20 VITA QUOTIDIANA 26

122 GRANDI ENIGMI Cosa accadde ad Amelia Earhart

L’aviatrice scomparve in mezzo all’oceano Pacifico nel 1937, mentre cercava di ultimare il giro del mondo.

126 GRANDI SCOPERTE Il palazzo pubblico più antico al mondo

Il complesso monumentale di edifici di Arslantepe testimonia la nascita dello stato più di 5mila anni fa.

Umorismo romano

Le battute e gli scherzi osceni erano all’ordine del giorno nell’antica Roma.

24 ANIMALI NELLA STORIA Una giraffa per Carlo X

La giraffa che il viceré d’Egitto regalò al re francese nel 1827 suscitò grandi aspettative tra i suoi concittadini.

26 EVENTO STORICO L’affaire Anna d’Austria

I diamanti della regina di Francia furono al centro di un grande scandalo.

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58 ÀUGURI, GLI INDOVINI DELL’ANTICA ROMA I ROMANI si preoccupavano

molto di ciò che il futuro aveva in serbo per loro e si sforzavano di interpretare la volontà degli dei. Prima di prendere qualsiasi decisione politica o di partecipare a una guerra, magistrati e generali cercavano di capire se i loro piani godevano dell’approvazione divina. L’interpretazione dei segni celesti era competenza degli àuguri, gruppo che esercitava una grande influenza. DI SANTIAGO MONTERO MONTE PALATINO. DA QUESTO COLLE SI PREDICEVA IL FUTURO OSSERVANDO IL VOLO DEGLI UCCELLI.

44 Göbekli Tepe, il primo tempio Nel sud della Turchia sorge un imponente santuario megalitico risalente a circa 12mila anni fa. Si tratta del luogo di culto più antico scoperto fino a oggi, che potrebbe precedere la comparsa dell’agricoltura. DI SUSANA SOLER POLO

72 Divinità e miti vichinghi Prima di entrare in contatto con il cristianesimo, i popoli scandinavi adoravano numerose divinità, che governavano le loro vite. Ma soprattutto aspiravano a morire in combattimento per poter trascorrere l’eternità accanto a Odino, padre degli dei e protettore del Valhalla. DI DAVID CARRILLO RANGEL

88 La Vienna di Mozart Poco più che ventenne, Mozart decise di stabilirsi a Vienna, la capitale dell’impero austriaco. Sperava di trionfare nelle sale da concerto e nei teatri d’opera, ma presto si trovò strozzato dai debiti. Una malattia improvvisa lo condusse alla morte a soli 35 anni. DI STEFANO RUSSOMANNO

106 Le suffragiste Dopo decenni di rivendicazioni e lotte a oltranza da parte delle femministe, nel 1928 le donne britanniche ottennero il diritto di partecipare al voto in uguaglianza di condizioni con gli uomini. DI AINHOA CAMPOS POSADA

30 La giustizia

del faraone

Nell’antico Egitto i reati comuni, come i furti o l’insolvenza, erano giudicati da tribunali locali o tramite l’intervento di un oracolo, mentre i crimini più gravi, come gli omicidi o la ribellione, erano di competenza del visir del faraone. Deir el-Medina costituisce una delle principali fonti d’informazione sul funzionamento della giustizia faraonica. DI IRENE CORDÓN I SOLÀ-SAGALÉS

STATUETTA DELLA DEA MAAT CON LA PIUMA IN TESTA. XXI DINASTIA.

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

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VOTO ALLE DONNE

L’AVVENTURA DELLE SUFFRAGISTE

Pubblicazione periodica mensile - Anno VIII - n. 112

MOZART A VIENNA LA GIUSTIZIA DEL FARAONE LEGGI E CASTIGHI IN EGITTO

GLI INDOVINI AUSPICI, PRESAGI E PROFEZIE

GÖBEKLI TEPE IL PRIMO TEMPIO DELLA STORIA

VICHINGHI DIVINITÀ E MITI DEI GUERRIERI NORDICI

NAVI VICHINGHE IN MARE JAMES GALE TYLER (1855-1931) FOTO: SUPERSTOCK / ALBUM

www.storicang.it E-mail: storica@storicang.it Esce il 20 di ogni mese

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RICARDO RODRIGO

LA LOTTA PER LA CONSACRAZIONE

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Errata corrige • Storica 109 (marzo 2018): P. 122. Il fiume si chiama Weser, non Wesser. • Storica 110 (aprile 2018): P. 68. La moneta nell’immagine non rappresenta Nerone, ma Tito.

JEAN N. CASE Chairman, TRACY R. WOLSTENCROFT Vice Chairman, WANDA M. AUSTIN, BRENDAN P. BECHTEL, MICHAEL R. BONSIGNORE, ALEXANDRA GROSVENOR ELLER, WILLIAM R. HARVEY, GARY E. KNELL, JANE LUBCHENKO, MARC C. MOORE, GEORGE MUÑOZ, NANCY E. PFUND, PETER H. RAVEN, EDWARD P. ROSKI, JR., FREDERICK J. RYAN, TED WAITT, ANTHONY A. WILLIAMS RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE

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GARY E. KNELL Chairman JEAN A. CASE, RANDY FREER, KEVIN J. MARONI, JAMES MURDOCH, LACHLAN MURDOCH, PETER RICE, FREDERICK J. RYAN, JR. INTERNATIONAL PUBLISHING

YULIA PETROSSIAN BOYLE Senior Vice President, ROSS GOLDBERG Vice President of Strategic Development, ARIEL DEIACO-LOHR, KELLY HOOVER, DIANA JAKSIC, JENNIFER JONES, JENNIFER LIU, LEIGH MITNICK, ROSANNA STELLA

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SAMER ABDALLAH / AP IMAGES / GTRES

AT T UA L I T À

UN ARCHEOLOGO pulisce

MOHAMED ABD EL GHANY / REUTERS / CORDON PRESS

dalla sabbia la superficie di un sarcofago in legno trovato nella necropoli di Minya.

ALL’INTERNO DEGLI IPOGEI

(tombe scavate nella roccia), gli archeologi hanno trovato circa quaranta sarcofagi antropomorfi in calcare. Alcuni di essi presentano dei geroglifici, come quello qui sopra, che viene pulito da un membro dell’équipe.

M. EL GHANY / REUTERS / CORDON PRESS

ANTICO EGITTO

Ritrovata una necropoli di sacerdoti egizi Nella località di Minya gli archeologi hanno scoperto le tombe di diversi sacerdoti devoti a Thot, il dio della scrittura, e dei loro familiari

NELLE TOMBE della

necropoli di Minya (antica di 2500 anni e situata a nord della vasta area archeologica di Tuna el-Gebel) sono stati ritrovati più di mille ushabti, statuette funerarie che nell’aldilà avrebbero svolto ogni mansione e lavoro al posto del defunto. Molti sono in buono stato di conservazione; gli altri, rotti, saranno restaurati da esperti.

U

na missione archeologica egiziana ha scoperto nella zona di Tuna el-Gebel, nella provincia di Minya, a 250 chilometri a sud del Cairo, una necropoli risalente al Periodo tardo (664-332 a.C.) e all’epoca tolemaica (30530 a.C.). La necropoli, la cui scoperta è stata annunciata lo scorso febbraio dal ministro dell’antichità egiziano, si trova vicino alla città di Ermopoli, centro del culto al dio Thot. Ciò spiegherebbe la ragione per la quale i corpi

rinvenuti nei sarcofagi appartengano a sacerdoti devoti al dio dalla testa di ibis, Thot, per gli antichi egizi protettore della scrittura.

Alti sacerdoti Gli egittologi hanno scoperto che una delle tombe appartiene a un alto sacerdote di nome Hersa-Essei. In essa compaiono altre tredici sepolture accompagnate da ushabti (statuette funerarie) e diversi canopi in alabastro, nei quali si conservavano le viscere mum-

mificate del defunto. È stato possibile identificare anche un secondo sacerdote di alto rango, Djehuty-Irdy-Es, la cui mummia è ornata da un collare di bronzo, perline blu e rosse, di avorio e cristallo, nonché da quattro amuleti di pietre semipreziose. Gli egittologi hanno inoltre portato alla luce quaranta sarcofagi calcarei di diverse forme e dimensioni, con nomi e cariche dei proprietari, e una tomba familiare con grandi sarcofagi e diversi ushabti di maiolica.

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PERSONAGGI STRAORDINARI

I fratelli Lumière, dal movimento al colore Louis e Auguste Lumière rivoluzionarono l’industria e l’arte dell’immagine con le invenzioni della foto istantanea, della pellicola cinematografica e dell’autocromia

L’invenzione che cambiò la storia 1870 La famiglia Lumière giunge a Lione in fuga dai prussiani. Antoine, il padre, apre un laboratorio di fotografia in città.

1881 Louis Lumière scopre la fotografia istantanea. I Lumière fondano la più grande fabbrica di lastre fotografiche al mondo.

1895 I fratelli Lumière inventano il cinematografo e realizzano la prima proiezione pubblica al Grand Café di Parigi.

1903 I Lumière brevettano la fotografia a colori, chiamata “autocromia”. A partire dal 1907 commercializzano le lastre.

L

a famiglia Lumière aveva un cognome premonitore. Infatti la luce, in ogni sua forma, fu protagonista di tutte le loro invenzioni. Eppure la storia dei Lumière cominciò in una Francia oscurata dall’invasione prussiana del 1870. All’umiliazione della sconfitta si unì la sanguinosa rivoluzione della Comune di Parigi. Per sfuggire ai pericoli, la coppia formata da Antoine Lumière e Jeanne-Joséphine Costille decise di trasferirsi. Abbandonò Besançon, cittadina di frontiera, per insediarsi nell’entroterra, a Lione. È qui che ebbe inizio la loro dinastia di imprenditori borghesi, archetipo sociale di una élite la cui gioia di vivere sarebbe culminata nella Belle Époque. Il padre, Antoine, era un ritrattista con un grande senso degli affari. Dopo essersi stabilito a Lione, aprì uno studio fotografico nel centro della città, dove conquistò una clientela eterogenea. Attirò la borghesia facoltosa di piazza Bellecour con l’esposizione dei suoi ritratti in vetrina. E sedusse i cittadini del quartiere popolare della Guillotière offrendo fotografie di piccolo taglio, formato tessera, che vendeva al prezzo di un franco la dozzina. Al centro della

vetrina spiccava un autoritratto in cui era appoggiato alla macchina e all’attrezzatura fotografica. I figli Auguste e Louis impararono a leggere con gli incomparabili titoli della letteratura infantile e con i Viaggi straordinari di Jules Verne. Nel 1877 furono iscritti alla scuola tecnica La Martinière dove, mediante una ferrea disciplina, venivano educati i futuri imprenditori. Mentre Auguste mostrava interesse per la medicina e la biologia, Louis conciliava lo studio della fisica e della chimica con la passione per il piano, prendendo lezioni in conservatorio. Tale formazione li dotò di pacata saggezza e di rigore scientifico.

Catturare l’istante Nel 1881, ad appena diciassette anni, Louis aveva già fatto qualche prova per fermare il movimento nelle foto: il fumo di un fuoco di stoppie in giardino, il fratello che lanciava un cubo d’acqua, che saltava su una sedia o che allontanava con un bastone il cane di famiglia. Aveva appena inventato, insomma, l’istantanea che, come avevano fatto i pittori impressionisti più di un decennio prima, catturava l’istante e la sua luce fugace. Questa

I Lumière formarono giovani operatori per catturare immagini in tutto il mondo SSPL / GETTY IMAGES

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CINEMATOGRAFO INVENTATO DAI FRATELLI LUMIÈRE. 1895.

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GIOVANI CON VOCAZIONE SCIENTIFICA volle che i suoi figli studiassero al liceo tecnico La Martinière dove, a partire da una base umanistica, acquisirono una solida conoscenza scientifica. Tutto ciò stimolò la loro inventiva. Louis scoprì l’istantanea nel 1881. Nel 1895 i due fratelli inventarono il cinematografo e, nel 1903, l’autocromia a colori. La vocazione per la ricerca continuò durante la Prima guerra mondiale, periodo in cui Auguste disegnò apparecchiature ortopediche e garze per le bruciature dei soldati. I fratelli arrivarono persino a studiare il cinema in 3D. ANTOINE LUMIÈRE

AUGUSTE E LOUIS LUMIÈRE. RITRATTO A COLORI DEI DUE FRATELLI. FOTOGRAFIA SCATTATA NEL 1900. AKG / ALBUM

scoperta fu divulgata sulla rivista della Società francese di fotografia e suscitò profonda ammirazione tra i colleghi di mezzo mondo. Poco dopo il patriarca della famiglia comprò un terreno nel quartiere di Monplaisir, situato in periferia: ciò avrebbe potuto consentire la manipolazione di prodotti chimici senza correre il rischio di causare danni alle persone. In soli dieci anni i fratelli Lumière costruirono il più grande laboratorio di fotografia d’Europa e crearono una propria marca di lastre fotografiche, che ricevette il nome

di “Etichetta azzurra” per il colore della scatola. La vendita massiva dei prodotti li rese rapidamente ricchi e permise ai fratelli di dedicarsi alla ricerca. Nel 1883, mentre ampliavano gli affari, i Lumière bandirono un concorso pubblico per assumere ricercatori nei loro laboratori. Nonostante si fossero presentati universitari e laureati, i Lumière preferirono dare lavoro ai tecnici formatisi nel liceo La Martinière. La creazione della società “Antoine Lumière & figli” portò cambi sostanziali nelle loro vite. Dal vecchio studio

sulle sponde del Rodano si trasferirono in una villa modernista soprannominata Château Lumière. Grazie al patrimonio acquisito, la famiglia si affermò nell’alta società locale. Ma non tutti i Lumière reagirono allo stesso modo alla nuova ricchezza: mentre il padre patì la “febbre del mattone”, ovvero si fece costruire molte case, i figli si mantennero fedeli ai valori della filantropia e alla fede nel progresso. Con la proliferazione degli espedienti ottici, gli spettacoli audiovisivi divennero di moda e furono registrati brevetti di ricercatori come Louis Le STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

SPETTACOLI PER TUTTI I TIPI DI PUBBLICO

Prince e Thomas Edison, con l’evidente accelerazione degli studi sul cinema. E ancora una volta Louis Lumière scoprì la soluzione: il “cinematografo”. L’apparecchio consisteva in una scatola di legno con un obiettivo e una pellicola perforata di 35 mm. Quest’ultima ruotava grazie a una manovella e scattava le fotografie istantanee che compo-

MANIFESTO CHE PUBBLICIZZA IL CINEMATOGRAFO DEI LUMIÈRE.

FOTO: ORONOZ / ALBUM

FOTOGRAMMI DEL FILM L’USCITA DALLE OFFICINE LUMIÈRE.

NELLA PARIGI della Belle Époque, il manifesto era il veicolo pubblicitario per eccellenza. Il cartellone, attaccato ai muri o nei chioschi, promuoveva le qualità di un prodotto commerciale. I Lumière incaricarono il litografo Henri Brispot di creare un’immagine che rappresentasse il cinematografo. Il suo manifesto fu tutt’altro che innocente. Alla porta di una sala si accalcano cittadini di diverse classi sociali ed età; c’è anche un prete, e la fila è protetta dalla polizia. Si trasmettevano così tre messaggi: il cinema si rivolgeva a un pubblico eterogeneo, non nuoceva al buon costume e il biglietto costava poco.

nevano la sequenza (che non durava più di un minuto), per poi proiettare il film sullo schermo. Dall’inizio del 1894 i fratelli Lumière cominciarono a sperimentare le riprese con una nuova macchina che, installata davanti l’ingresso principale della fabbrica, cercava di ritrarre a suon di manovella la fine della giornata lavora-

LA VITA A COLORI lori, l’“autocromia”. Le lastre, messe in commercio dal 1907, trasudano nostalgia per la pittura impressionista nei ritratti di paesaggi, persone o scene della Grande guerra. Il critico Alfred Stieglitz scrisse: «Il mondo intero impazzirà di colore e i Lumière ne saranno i responsabili». PACCO DI LASTRE AUTOCROME LUMIÈRE. 1907-1920. SSPL / GETTY IMAGES

LOREM IPSUM

NEL 1903 LOUIS LUMIÈRE brevettò la fotografia a co-

tiva. Realizzarono tre versioni del film L’uscita dalle officine Lumière prima di proiettarlo finalmente, insieme ad altri film, nella seduta pubblica che si celebrò il 28 dicembre 1895 nel famoso Salon Indien del Grand Café di Parigi.

Alla ricerca del colore Dopo il successo di pubblico, i Lumière incaricarono l’ingegnere Jules Carpentier di costruire un gran numero di macchine da presa, individuarono degli agenti nelle principali capitali europee e americane, e formarono giovani operatori disposti a viaggiare nei cinque continenti per girare scene di vita locale. La selezione del personale fu semplice ed economica:

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CINEMATOGRAFO LUMIÈRE. Dopo il successo della prima proiezione nel 1895, due anni dopo i fratelli aprirono a Parigi un teatro per proiettare le proprie pellicole.

fecero colloqui ai neolaureati delle facoltà e scuole tecniche di Lione e gli impartirono un corso accelerato di ripresa e proiezione. Al contempo gli fornirono un’attrezzatura tecnica e le credenziali necessarie per realizzare il lavoro in tutto il mondo. Così approdò nell’azienda uno studente di farmacia di nome Gabriel Veyre, che presto salpò per l’America Latina. Invece il militare veterano Félix Mesguich fu incaricato di aprire una succursale negli Stati Uniti; il capo meccanico Charles Moisson seguì in Russia l’incoronazione dello zar, mentre un vecchio allievo del La Martinière, Alexandre Promio, fu autorizzato dalla reggente di Spagna, doña Maria Cristina, a filmare alcune scene della guardia e dell’armata reale. Un’intera squadra che, nella diaspora pianificata dagli uffici della fabbrica Lumière, avrebbe contribuito a un’inedita globalizzazione delle immagini.

Nel frattempo, oltre ad amministrare gli affari aziendali, i fratelli Lumière proseguivano con le ricerche per ottenere la fotografia a colori con una sola lastra, un solo cliché. Tali studi andavano dalla tecnica del colore a mano utilizzata dai giapponesi nelle stampe — come quelle che collezionava Claude Monet — alle lastre in vetro traslucido che si potevano proiettare sullo schermo. In effetti, nelle fabbriche di Monplaisir scoprirono un procedimento battezzato “tricromia” che i cameramen dell’azienda presentavano come prova fotografica a colori dopo le sessioni di cinema. La pittura, la fotografia e il cinema condividevano lo stesso linguaggio: tutti riflettevano i cambiamenti della natura, inquadravano l’attimo catturato e coglievano la fugace luce del paesaggio. Mancava soltanto che condividessero uno sguardo a colori. La lastra autocro-

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

PERSONAGGI STRAORDINARI

ma dei Lumière, brevettata nel 1903 e commercializzata nel 1907, stupì gli specialisti per la sua estrema sensibilità e fu l’unico strumento a colori fino al 1935. L’autocromia entusiasmò i critici per le stesse ragioni per cui l’istantanea e la celluloide avevano ammaliato i predecessori: riproduceva la realtà e vinceva sulla morte. Ne è una prova il fatto che politici e milionari iniziarono a farsi ritrarre a colori con la speranza di passare alla posterità. Ciononostante presto sarebbe arrivata la Grande guerra, e con essa, la realtà sarebbe tornata al bianco e nero. —Pedro García Martín Per saperne di più

SAGGI

Cinema. 100 anni di storia Gianni Canova. Garzanti, Milano, 2013. CINEMA

Lumière! L’invenzione del cinematografo Cineteca di Bologna, 2016.

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GRANDI INVENZIONI

La macchina da scrivere arriva sul mercato Christopher Sholes ideò un apparecchio per imprimere parole su fogli di carta che permetteva di scrivere documenti chiari e ordinati molto più velocemente che a mano

L’

idea di un sistema di scrittura meccanico che superasse i limiti della stesura manuale nacque nel XVI secolo. Alcuni dei primi prototipi erano destinati a persone cieche, come il dispositivo di “scrittura tattile” inventato nel 1575 dallo stampatore e editore attivo a Venezia Francesco Rampazzetto. Nel 1802, poi, Agostino Fantoni costruì un’altra macchina per la sorella cieca, la contessa Carolina Fantoni da Fivizzano, che poté così scrivere le sue torride lettere d’amore nell’intimità. Nel corso del XIX secolo decine di inventori lavorarono a idee simili. I modelli erano molto diversi tra loro,

dal “cembalo scrivano” di Giuseppe Ravizza (1855), simile a un pianoforte – introdusse per la prima volta l’uso di leve per imprimere le lettere –, alla “palla da scrivere”del reverendo danese Rasmus Malling-Hansen (1865), la prima a ottenere un discreto successo commerciale. La macchina da scrivere di oggi è figlia dell’editore, giornalista, inventore e politico statunitense Christopher Latham Sholes. Insieme a due amici anch’essi inventori, Carlos Glidden e Samuel W. Soule, Sholes elaborò un primo prototipo piuttosto grossolano che fu brevettato il 23 giugno 1868. Soule e Glidden abbandonarono il

CEMBALO SCRIVANO, INVENTATO DA RAVIZZA NEL 1837 E BREVETTATO NEL 1855. SCALA, FIRENZE

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1874

PALLA DA SCRIVERE IDEATA DAL DANESE MALLING-HANSEN NEL 1865.

progetto, mentre Sholes si associò con l’imprenditore James Densmore, che si era entusiasmato vedendo una lettera scritta con il prototipo e aveva dato a Sholes i fondi per andare avanti.

Il modello definitivo Sholes e Densmore si dedicarono a migliorare la macchina introducendo numerose modifiche. In varie occasioni Sholes fu sul punto di abbandonare l’impresa, ma Densmore lo convinse a non mollare. Nel 1873, quando ritennero di avere in mano il prototipo definitivo, vendettero i diritti a un’azienda in grado produrre molte unità e di costruire meccanismi efficienti con pezzi intercambiabili: l’azienda di armi e macchine da cucire Remington di New York. Nel luglio del 1874 furono immesse sul mercato le prime mille unità delle macchine Remington. I tasti azionavano delle leve, disposte a semicerchio, che imprimevano le lettere su un nastro imbevuto di inchiostro. La macchina aveva un carrello che si muoveva da destra a sinistra ogni volta che si premeva un tasto, e un rullo per collocare la carta. Il movimento di ritorno del carrello era ottenuto tramite un pedale simile a quello di una macchina da cucire. Sholes ideò anche la disposizione della tastiera QWERTY, che si è mantenuta fino ai nostri giorni. Teoricamente la inventò per evitare che la macchina

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CRISTOPHER SHOLES. PADRE DELLA MACCHINA DA SCRIVERE.

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LA SCRITTURA NELL’ERA INDUSTRIALE 1713

L’ingegnere britannico Henry Mill ottiene un brevetto per una macchina da scrivere di cui non si sa quasi nulla.

1855

L’italiano Giuseppe Ravizza brevetta il “cembalo scrivano”, dotato di un innovativo sistema di leve.

1868

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Christopher Sholes brevetta un prototipo grossolano e con una tastiera simile a quella di un piano.

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Sholes vende il brevetto della sua invenzione all’azienda Remington, produttrice di armi e di macchine da cucire.

UN MODELLO di macchina da scrivere Remington del 1874, con sole lettere maiuscole.

mentre lavoro e permette che entri un’enorme quantità di parole in una pagina». Il creatore di Tom Sawyer apprezzava anche il fatto «che non lascia macchie di inchiostro» e, «naturalmente, fa risparmiare carta». I problemi di questo primo modello furono ben presto risolti. Il dattilografo ora poteva vedere la riga che stava scrivendo e alternare con facilità maiuscole e minuscole. Le vendite, inizialmente scarse, cominciarono ad aumentare fino a fare della macchina da scrivere un elemento d’uso quotidiano negli uffici e nelle case di tutto il mondo. —Juan José Sánchez Arreseigor

La Remington mette in vendita le prime macchine da scrivere, che con il tempo otterranno un grande successo commerciale. PAGINA SCRITTA CON UNA MACCHINA INVENTATA DA CHARLES THURBER NEL 1843.

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si inceppasse, ma nessuno lo sa con certezza. All’inizio le lettere erano esclusivamente maiuscole. Uno dei primi a spendere per questo apparecchio la cifra di 125 dollari dell’epoca – circa 2400 dollari di oggi, ben più di quello che costa un Pc di una certa potenza – fu lo scrittore Mark Twain, che si vantava di essere «la prima persona al mondo» a usare il marchingegno per la stesura di un manoscritto letterario. Anche se si lamentava del fatto che non era facile abituarvisi, Twain intuiva «le virtù» della macchina: «Imprime più rapidamente di quanto io scriva, consente di appoggiarmi allo schienale della sedia

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V I TA Q U OT I D I A N A

Di cosa (e di chi) ridevano i romani Nell’antica Roma scherzi e battute erano parte integrante della quotidianità e non risparmiavano nessuno troviamo Bruto (“massiccio”), Ruffo (“dai capelli rossi”), Capitone (“dalla testa grande”) e Strabone (“guercio”).

Imperatori grotteschi Anche agli imperatori venivano affibbiati nomignoli scherzosi. Quando Tiberio era ancora un soldato i suoi commilitoni lo prendevano in giro storpiando il suo nome, Tiberius Claudius Nero, in Biberius Caldius Mero, tre doppi sensi che alludevano alla sua natura di gran bevitore, amante del vino caldo e puro (merum). I legionari adoravano farsi beffe dei generali nei carmina triumphalia, i canti che accompagnavano le sfilate degli eserciti vittoriosi attraverso il centro di Roma. Durante la parata trionfale del 46 a.C. Giulio Cesare dovette sopportare gli sberleffi dei suoi soldati, che intonavano: «Cittadini, sorvegliate le vostre donne: vi portiamo il calvo adultero», in allusione alla vita dissoluta del loro

RUFO IL NASONE LA CARICATURA RIPORTATA qui accanto è stata rin-

venuta sui muri della villa dei Misteri di Pompei. L’iscrizione sulla parte superiore recita: Rufus est (“è Rufo”). Si sa che il proprietario della casa era un certo Istacidio Rufo. Qualcuno, forse uno schiavo scontento, volle prendersi gioco di un padrone probabilmente sgradito. CORPUS INSCRIPTIONUM LATINARUM

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i dice che ogni popolo ha il suo senso dell’umorismo, non sempre facile da capire per gli altri. Lo spirito caustico degli antichi romani rifletteva il carattere insolente e sarcastico di quella che in origine era una comunità di contadini e soldati. Il cosiddetto italum acetum (“aceto italico”) costituiva l’altra faccia della gravitas, la rispettabile serietà che si sforzavano di trasmettere i cittadini dell’élite. I romani davano un tocco umoristico anche al terzo componente del nome, il cognome, che spesso traeva origine dal riferimento a qualche caratteristica di famiglia. Ad esempio, il nome completo del famoso poeta Ovidio era Publio Ovidio Nasone. Cicerone, invece, viene da cicer, “cece”, forse perché i suoi antenati coltivavano ceci oppure perché il capostipite aveva un’escrescenza sul volto che richiamava la forma del legume. Tra i cognomi particolarmente curiosi

DOPO essere andato in rovina, Plauto fu costretto a lavorare per qualche tempo come mugnaio. Qui legge una delle sue opere in un mulino. Olio di Camillo Miola. 1864.

comandante e alla sua pronunciata calvizie. Giravano inoltre riferimenti maliziosi alle sue relazioni con il re di Bitinia: «Cesare sottomise le Gallie, Nicomede sottomise Cesare». I toni burleschi che caratterizzavano questi versi avevano probabilmente anche lo scopo di evitare gli eccessi di superbia del generale vincitore. Cicerone diceva che in una città così pettegola nessuno era al riparo dalle maldicenze. Erano proprio le persone dell’alta società come lui, presunte depositarie della gravitas, a riversare il loro humor tanto nei discorsi pubblici come nella vita privata. Quando vide

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suo genero Lentulo, che era basso di statura, con una lunga spada appesa in vita, Cicerone esclamò: «Chi ha legato mio genero a quel ferro?». A proposito di una matrona romana piuttosto in là con gli anni che dichiarava di averne solo una trentina, commentò: «Dev’essere senz’altro vero, sono già vent’anni che glielo sento ripetere». Anche l’imperatore Augusto aveva uno spiccato senso dell’umorismo. Quando il console Galba, che era gobbo, lo invitò a correggerlo nel caso in cui avesse commesso degli errori, Augusto gli rispose che avrebbe anche potuto correggerlo, ma non certo raddrizzarlo.

La commedia: i romani ridono di sé stessi ALLA MORTE di Plauto «il riso, lo scherzo e il divertimento […] piansero insieme», recita un epitaffio di cui probabilmente lui stesso è l’autore. Nelle opere del celebre commediografo latino sfilano i tipi sociali più caratteristici: il vecchio

libidinoso che contende al figlio una bella cortigiana, la matrona romana prepotente e sprecona, il servo scaltro e imbroglione, il parassita morto di fame, il soldato FANFARONE, il protettore spietato e ripugnante, i banchieri avidi e tirchi. Plauto accentuava i di-

fetti di ogni personaggio per far

RIDERE il suo pubblico e non esi-

tava a ricorrere a un linguaggio scurrile. «A casa di quella zoccola se ne andava lo schifoso, quel miserabile ubriacone che ha corrotto anche mio figlio!» sbotta una MOGLIE TRADITA nella commedia l’Asinaria.

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V I TA Q U OT I D I A N A

RIDERE DELLA DEFORMITÀ

SCENA DI UNA COMMEDIA

di Plauto con il servus callidus (autore di beffe) a Pompei.

A VOLTE VENIVANO INVITATE A

RAFFIGURAZIONE DI UN GIOVANE GOBBO. MOSAICO RINVENUTO AD ANTIOCHIA (NELL’ODIERNA TURCHIA). II SECOLO.

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Le prese in giro non erano sempre ben ricevute dai destinatari. Cornelio Fido, genero di Ovidio, si mise a piangere in senato perché qualcuno gli aveva dato dello «struzzo spelacchiato». A volte ridere in pubblico poteva essere pericoloso. Nel 192 d.C. lo storico Cassio Dione si trovava con alcuni colleghi senatori al Colosseo, dove si svolgeva un’esibizione dell’eccentrico imperatore Com-

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intervenire ai banchetti anche persone con disabilità fisiche (come nani o gobbi) o intellettuali. I loro intermezzi, probabilmente, suscitavano le risa dei commensali.

modo. A un certo punto il sovrano romano uccise uno struzzo al centro dell’arena, lo decapitò e si girò verso di loro facendogli capire che avrebbero potuto fare la stessa fine. La scena provocò una certa ilarità tra i senatori, ma per evitare di scoppiare a ridere apertamente Dione si mise a masticare delle foglie di alloro della sua corona, prontamente imitato dai compagni.

Comici di palazzo Presso la corte imperiale non mancavano i buffoni per il divertimento dei regnanti. Il prediletto di Augusto

A differenza di altri, Seneca non amava ridere dei difetti fisici altrui NANO BUFFONE. STATUETTA DI TERRACOTTA PROVENIENTE DA ERCOLANO. I SECOLO.

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e del suo circolo era un comico di nome Galba. Tiberio, dal canto suo, annoverava un nano tra i suoi giullari. Domiziano, invece, assisteva agli spettacoli dei gladiatori in compagnia di un giovane dal cranio piccolo e deforme, che si sedeva ai suoi piedi vestito di rosso e conversava con lui tra il serio e il faceto. All’epoca di Traiano a incaricarsi dei motti di spirito era un certo Capitolino che, secondo Marziale, era ancora più divertente di Galba. Anche le menomazioni fisiche e mentali potevano essere oggetto di scherno, ma per qualcuno c’erano dei limiti. In una delle sue lettere a Lucilio, Seneca cita una certa Arpaste, una «serva matta» ereditata dalla prima moglie, «che non sa di essere cieca [...] e dice che la casa è buia». Il filosofo afferma con grande umanità che è contrario a ridere delle miserie

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Scherzi dell’«amante della risata» LE BARZELLETTE raccolte nel Philogelos dimostrano

che in epoca greco-romana le battute non risparmiavano nessuna categoria di persone.

Un uomo si lamenta con un intellettuale perché lo schiavo che gli ha venduto è morto. Questi gli risponde: «Che strano, finché ce l’avevo io non è mai successo».

della gente e aggiunge: «Se voglio divertirmi con un pagliaccio, non devo cercare lontano: rido di me». L’umorismo era il protagonista indiscusso delle conversazioni in strada e in taverna. Ne sono una testimonianza i graffiti sui muri degli edifici di Pompei, dove abbondano scherzi, invettive e caricature di persone reali. I clienti scontenti di una pensione scrivono per esempio: «Abbiamo pisciato a letto. Lo confesso, ospite, abbiamo sbagliato. Ma se mi chiedi perché, rispondo: non c’era un orinale». Quando Ventidio Basso raggiunse una delle più alte cariche della magistratura, la gente ripensò con stupore alle sue origini di mulattiere. Qualcuno scrisse per le vie di Roma: «Accorrete, àuguri tutti e aruspici! È avvenuto proprio adesso un prodigio straordinario: quello che strigliava i muli è stato eletto console!».

L’AMBASCIATORE ROMANO LUCIO POSTUMIO, INVIATO NELLA COLONIA GRECA DI TARANTO, FU RIDICOLIZZATO PUBBLICAMENTE DURANTE UN SUO INTERVENTO PERCHÉ NON PARLAVA BENE IL GRECO. INCISIONE. XX SECOLO.

Tracce di umorismo popolare sono visibili anche in alcuni epigrammi satirici di Marziale, famosi per le loro chiuse brevi e incisive. Il poeta spagnolo amava prendere di mira con il suo spirito caustico i difetti fisici e caratteriali dei suoi contemporanei: «“Quinto ama Taide”. “Taide quale?” “Taide la guercia”.“A Taide manca un occhio, a Quinto tutti e due”».

Antologia di barzellette Ciononostante, bisogna aspettare il IV, V secolo d.C. per trovare una vera e propria raccolta di barzellette. È scritta in greco e si intitola Philogelos, che letteralmente significa “l’amante della risata”. L’antologia contiene circa 270 storielle di vario tipo. Alcune hanno come protagonisti gli abitanti di Abdera (nella Grecia settentrionale), anticamente considerati gli scemi per antonoma-

sia, insieme ai cumani (anche detti poloviciani). Ma compaiono anche eunuchi, falsi indovini e misogini. Ecco un esempio che dimostra come certe forme di umorismo siano una costante di ogni epoca. Un indovino incompetente predice a un uomo il suo futuro e gli dice che non potrà avere figli. Quando l’uomo ribatte di averne già sette, l’indovino replica: «Ma li hai guardati bene?». —Fernando Lillo Redonet Per saperne di più

TESTI

Epigrammi Marco Valerio Marziale. Garzanti, Milano, 2008. Le commedie Tito Maccio Plauto. Einaudi, Torino, 1975. Le commedie Publio Terenzio Afro, Garzanti, Milano, 1986. SAGGI

Ridere nell’Antica Roma Mary Beard. Carocci, Roma, 2016.

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Un abitante di Abdera vede un eunuco conversare con una donna e gli chiede se è sua moglie. Quando quello gli risponde che gli eunuchi non possono avere donne, l’abderita replica: «Allora dev’essere tua figlia».

THE STAPLETON COLLECTION / BRIDGEMAN / ACI

Un uomo che sta rientrando da un viaggio chiede a un falso indovino notizie sulla sua famiglia. «Stanno tutti bene, anche tuo padre», dice l’indovino. «Ma mio padre è morto dieci anni fa», risponde l’uomo. Al che l’indovino ribatte: «Che fosse tuo padre lo credi tu».

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ANIMALI NELLA STORIA

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uando salì al trono nel 1824 il re francese Carlo X fece sapere ai suoi ambasciatori che desiderava ampliare il suo zoo con nuove specie. Il console francese al Cairo, l’italiano Bernardino Drovetti, si affrettò a soddisfare la richiesta del sovrano. Esperto in ogni sorta di traffico losco – antichità faraoniche comprese – Drovetti gli inviò innanzitutto un gatto selvatico e una iena, ma subito gli venne in mente un regalo eccezionale: una giraffa africana. Convinse quindi il viceré Mehmet Ali che un dono del genere sarebbe stato un’abile mossa per ingraziarsi il re francese e dissipare i timori che aveva

INGRESSO DELLA GIRAFFA A PARIGI NEL 1827. INCISIONE DEL XX SECOLO. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

sollevato il suo recente intervento a Cipro e in Grecia. Nello stesso anno alcuni cacciatori arabi catturarono nel Sudan settentrionale una femmina di giraffa di sei mesi di età, dopo averne ucciso la madre. In seguito la vendettero al governatore della provincia, che a sua volta la cedette al viceré. Nel 1826, quando l’animale aveva due anni e misurava 3,5 metri di altezza, Mehmet Ali decise di mandarlo in Francia. Al collo della giraffa fu posta una fascia di pergamena su cui erano riportati alcuni versi del Corano, per proteggerla durante il viaggio. La spedizione era formata da quattro accompagnatori egiziani, tre

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Nel 1826 il viceré d’Egitto mandò in Francia, come regalo personale al re Carlo X, una splendida giraffa, che suscitò tra la popolazione un entusiasmo mai visto

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La giraffa che fece impazzire i francesi PIATTO DEL 1827 CON RAFFIGURAZIONE DELLA GIRAFFA. MUSÉUM NATIONAL D’HISTOIRE NATURELLE, PARIGI.

mucche che avrebbero fornito all’animale il latte necessario (ne consumava quasi 100 litri al giorno) e un’antilope, dono personale di Drovetti al re.

In processione verso Parigi Il viaggio a bordo di un brigantino sardo durò 32 giorni, che la giraffa trascorse nella sentina con il lungo collo che sporgeva da un foro appositamente realizzato nel ponte. Quando sbarcò a Marsiglia, nel novembre del 1826, il prefetto la fece rinchiudere in una stalla adibita allo scopo. Non sapeva se mandarla a Parigi via mare, con un’imbarcazione che avrebbe risalito il Rodano, o a piedi. Alla fine chiese al governo l’invio di «una persona intelligente, capace di gestire la situazione». Il prescelto fu il naturalista Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, professore di zoologia presso il Museo di storia naturale di Parigi e direttore del relativo zoo. Nonostante soffrisse di gotta e reumatismi, Geoffroy raggiunse rapidamente Marsiglia, dove decise che la cosa migliore era portare la giraffa a piedi fino a Parigi, a 880 chilometri di distanza. A Marsiglia l’animale aveva suscitato un immenso interesse popolare, al punto che il prefetto aveva dovuto mobilitare i gendarmi, e persino la cavalleria, per contenere le persone che si accalcavano per vederla. Lo stesso avvenne anche nelle altre 22 città che la comi-

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LO ZOO o Ménagerie del Jardin du Roi (oggi Jardin des Plantes) fu creato nel 1794. Aveva una rotonda dedicata agli animali “pacifici” ed è qui che fu condotta la giraffa inviata dal pascià Mehmet Ali. Uno degli accompagnatori egiziani restò a Parigi ad accudirla. Ogni giorno doveva salire su una scala per spazzolarla – un compito la cui durezza divenne proverbiale. «Sono più stanco del turco della giraffa» usava dire la gente all’epoca.

TALLANDIER / BRIDGEMAN / ACI

THE PIERPONT MORGAN LIBRARY / SCALA, FIRENZE

STUDIO della giraffa regalata a Carlo X. Acquerello di Nicolas Huet il Giovane.

ATTRAZIONE NELLO ZOO DI PARIGI

tiva dovette attraversare, nei 41 giorni di viaggio necessari per raggiungere Parigi. La giraffa era protetta da una tela cerata impermeabile decorata con dei gigli (l’emblema dei re di Francia). In ogni città, il suo ingresso maestoso, fiancheggiato dagli accompagnatori e dai gendarmi, era salutato da grandi folle. Si dice che a Lione 30mila persone si fossero riversate nella piazza principale per vederla. La gente restava sbalordita dalla sua altezza – durante il soggiorno in Francia l’animale aveva continuato a crescere e misurava ormai 3,7 metri –, dalla velocità di corsa che poteva raggiungere e dalla sua lingua viola di 45 centimetri. Geoffroy

notava che aumentava ogni giorno di peso, i suoi muscoli si rafforzavano e non si rifiutava più di bere davanti agli sconosciuti. Alcuni giorni dopo il suo arrivo a Parigi la giraffa fu portata al cospetto del re a Saint-Cloud, a una quindicina di chilometri dalla capitale. I giornali raccontarono che il re volle vedere camminare, e persino correre, questo singolare quadrupede. Tutta la corte osservò ammirata quel suo modo straordinario di procedere, in particolare al trotto. L’animale venne quindi portato nello zoo del giardino del re, dove una marea di persone accorse a contemplarla. Solo nell’estate

del 1827 ci furono 100mila visitatori. La sua popolarità divenne travolgente. Fu oggetto di canzoni, poesie e numeri di vaudeville. Veniva raffigurata su carta da parati, stoviglie e mobili, e anche su capi e accessori d’abbigliamento: c’erano vestiti, cappelli e cravatte à la giraffe, ovvero color arancione a macchie nere. Ma questa febbre non durò a lungo. Appena tre anni più tardi lo scrittore Honoré de Balzac diceva che solo i più ingenui provinciali andavano ancora al giardino reale per vederla. Oggi il suo corpo impagliato si trova al Museo di storia naturale di La Rochelle. —Jesús Villanueva STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Anna d’Austria e lo scandalo dei diamanti Nel 1625 la moglie spagnola di re Luigi XIII fu accusata dai suoi detrattori di aver avuto un idillio con il duca di Buckingham, ambasciatore inglese, cui avrebbe regalato dei gioielli

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ella primavera del 1625 Anna d’Asburgo passeggiava nei giardini della residenza reale di Amiens in compagnia di un nobile inglese. Improvvisamente si udirono risuonare per il parco le grida allarmate della donna, diventata regina di Francia in seguito al matrimonio con Luigi XIII. La dama di corte Madame de Motteville, allora una bambina, racconterà nelle sue memorie che la regina «era stata turbata da qualche manifestazione troppo appassionata

del duca e aveva urlato per richiamare l’attenzione del suo stalliere». Il nobile in questione era George Villiers, duca di Buckingham, con cui la regina aveva un appuntamento segreto. Buckingham era arrivato alla corte francese per scortare in Inghilterra, dove si sarebbe unita in matrimonio con il re Carlo I, la principessa Enrichetta Maria, sorella di Luigi XIII. Anna d’Asburgo era alla guida del seguito che avrebbe accompagnato la cognata fino all’imbarco per le isole britanniche. Le voci di un presunto idillio tra il galante

duca di Buckingham, di 33 anni, e la sovrana francese, di 24, circolavano a corte sin dall’arrivo del primo in Francia, alcuni mesi prima. I due si erano conosciuti in Spagna quando Anna, figlia del re Filippo III, era solo un’adolescente. Già allora il passionale aristocratico aveva manifestato un debole per l’infanta, considerata una delle donne più belle dell’epoca: carnagione chiara, capelli biondi, grandi occhi azzurri e aspetto formoso. Queste caratteristiche non le erano state d’aiuto al momento di

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LA DUCHESSA DIETRO ALL’INTRIGO

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DATA S TO R I C A

AL SUO ARRIVO alla corte francese, a soli 14 anni, Anna d’Asburgo strinse amicizia con alcune ragazze più o meno della sua età. Tra queste spiccava la duchessa di Chevreuse, una donna imprevedibile che fu al centro di diversi amori e intrighi. Di lei si diceva che disprezzasse «gli scrupoli e i doveri come nessun’altra». Nel 1624 si innamorò dell’ambasciatore inglese lord Holland. Sembra che i due avessero complottato per far nascere «una liaison di interessi e corteggiamenti tra la regina e il duca di Buckingham».

ANNA D’AUSTRIA regala i

puntali di diamante al duca di Buckingham prima che questi faccia ritorno in Inghilterra. Olio di W. Bakalowicz. XIX secolo.

DUCHESSA DI CHEVREUSE. INCISIONE DI UN’EDIZIONE DI I TRE MOSCHETTIERI.

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sposarsi con Luigi XIII. Il sovrano francese aveva ignorato la moglie fin dal primo giorno. Piuttosto, aveva continuato a preferire la compagnia dei giovani soldati della sua guardia e, soprattutto, del suo primo ministro dell’epoca, Charles-Albert de Luynes. Fu lui che, di fronte allo scarso interesse del re per le donne, lo aveva spinto verso il talamo nuziale con l’obiettivo di mettere a tacere le voci che avevano trasformato la consumazione del matrimonio reale in una faccenda di stato. Il tempo confermò la repulsione del re di fronte ai suoi

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doveri coniugali e le conseguenti difficoltà a dare un erede alla corona. Una questione che l’entourage della sovrana era intenzionato a risolvere anche a costo di spingerla tra braccia di un altro.

con Buckingham ad Amiens. Forse la duchessa non si aspettava che il duca avesse un approccio così diretto o che, in quel caso, la regina lo rifiutasse. Abituata alla tranquilla corte spagnola, Anna d’Asburgo aveva scoperto Il corteggiamento della regina con sorpresa, ma anche con piacere, la La sovrintendente del seguito della leggerezza dei costumi presso la corte regina, Marie de Rohan-Montbazon, francese. In ogni caso, sembra che non duchessa di Chevreuse, una dama nota avesse intenzione di essere infedele al per il suo atteggiamento frivolo – la marito, ma comunque accolse di buon cui compagnia non avrebbe giovato al grado le attenzioni del duca e accettò il buon nome della sovrana – diede un suo corteggiamento romantico. contributo decisivo in questo senso. Tutto ciò è testimoniato dal fatto Fu lei a presentare ad Anna il duca che non solo gli perdonò l’audacia di Montmorency e, successivamen- dimostrata ad Amiens, ma quando il te, a organizzarle l’incontro segreto duca si apprestava a lasciare la corte francese lei gli regalò i puntali di diamante che indossava il giorno in «Odia tutto ciò che non è cui si erano conosciuti. Questo aneddoto sarebbe rimasto soggetto alla sua volontà», circoscritto se non fosse giunto alle si diceva di Richelieu orecchie dell’acerrimo nemico della regina: il cardinale Richelieu, che in quel periodo era, per così dire, il padrone BUSTO DI RICHELIEU DI BERNINI. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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DATA S TO R I C A

IL PALAZZO DEL LOUVRE fu la sede della

della Francia. Luigi XIII riponeva piena fiducia nel cardinale, e questi esercitava un controllo totale sulla vita di corte. «Quello che non era soggetto alla sua volontà era esposto al suo odio», scrisse di lui il moralista La Rochefoucauld. Valeva anche per la regina francese. Per mettere in cattiva luce Anna d’Asburgo agli occhi del marito, Richelieu organizzò l’intrigo che, nel XIX secolo,

Alexandre Dumas avrebbe trasformato in un’opera letteraria, ovvero il celeberrimo I tre moschettieri. Le vicende di D’Artagnan e dei suoi compagni si svolgono su uno sfondo rigorosamente storico, anche se lo scrittore si concesse qualche licenza, soprattutto dal punto di vista cronologico. Una delle prove della veridicità dell’aneddoto sui puntali

LA MODA DEI PUNTALI QUESTI ANTICHI E LUSSUOSI finimenti, in voga nel XVII secolo, venivano realizzati con pietre preziose, smalti o diamanti incastonati. I nobili li portavano cuciti sulle spalle, mentre le dame li indossavano appesi alla cintura, come nel caso di Anna d’Austria, raffigurata in questo ritratto di Rubens. FINE ART IMAGES / ALBUM

CSP / AGE FOTOSTOCK

corte francese fino al suo trasferimento a Versailles sotto Luigi XIV. Nell’immagine, il cortile quadrato (cour carrée).

è che Henri-Auguste de Loménie, conte di Brienne, lo menzionò nelle sue memorie. In qualità di segretario di stato e responsabile delle negoziazioni per il matrimonio di Enrichetta Maria di Borbone e di Francia con il futuro Carlo I d’Inghilterra, Brienne conosceva la questione in prima persona.

Il ballo di Londra A quanto riferisce il conte, la duchessa di Chevreuse si incaricò di far avere al duca di Buckingham i puntali di diamante, e lui si affrettò a esibirli a un ballo di corte a Londra. Nella capitale inglese Richelieu aveva una buona alleata, Lucy Percy, contessa di Carlisle – Milady de Winter nel romanzo di Dumas –, che lo mise al cor-

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La regina, disposta a tutto NEL DICEMBRE DEL 1625 un emissario

inglese scrisse da Parigi una lettera a Buckingham in cui lo informava della situazione della corte francese. La lettera era in codice, ma è facile dedurre che si riferisce a Luigi XIII e ad Anna d’Asburgo.

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Il continua a nutrire sospetti, ne parla spesso e permette che alcune malelingue gli dicano che dimostra infinite premure voi sapete bene per chi [...] Sappiate che siete allo stesso tempo il più fortunato e il più sfortunato degli uomini, perché si è spinta oltre ogni vostra aspettativa ed è disposta a tutto pur di non rinunciare al suo desiderio. GEORGE VILLIERS, DUCA DI BUCKINGHAM. RITRATTO DI M.J. VAN MIEREVELT.

rente del fatto. Durante il ballo la contessa riuscì a tagliare con discrezione dall’abito del duca qualche puntale, che inviò immediatamente al cardinale. Quando Buckingham si accorse della scomparsa dei gioielli, capì cos’era successo e commissionò a un gioielliere londinese degli esemplari simili. Quindi rispedì i puntali a Madame de Chevreuse, pregandola, secondo quanto riferì il conte di Brienne, «di restituire alla regina il regalo frutto della sua munificenza e far sapere a Sua Maestà che il motivo è il semplice timore che ne possa nascere qualche voce che possa pregiudicarla». Non si sbagliava. Richelieu aveva convinto il re a interrogare la regina in merito ai famosi puntali, facendogli anche sapere che lei li aveva regalati a Buckingham. È a questo punto che storia e letteratura divergono: nella realtà sembra che, quando il re chiese con insistenza ad Anna di indossare i gioielli, questa si

limitò a mostrargli il suo portagioie completo. Nel romanzo di Dumas, invece, la sovrana li sfoggia sulla sua tenuta da cavallerizza. In ogni caso Brienne riferisce che in quell’occasione Anna ebbe la soddisfazione «di sapere che il re rimproverò al cardinale la sua mancanza di fiducia».

La rivincita della regina Negli anni seguenti l’animosità tra Anna d’Asburgo e Richelieu non fece che accentuarsi. Il punto di massima tensione arrivò nel 1635, quando Spagna e Francia entrarono in conflitto diretto nel contesto della Guerra dei trent’anni. Il primo ministro accusò la regina di intrattenere una corrispondenza segreta con suo fratello, Filippo IV, con l’obiettivo di passargli informazioni sui piani francesi. Isolata a corte e ignorata dal marito, Anna aveva addirittura preso in considerazione l’idea di fuggire nei Paesi Bassi.

Ciononostante, a quel punto una circostanza inaspettata cambiò la situazione. All’inizio del 1638 fu annunciato, fra lo stupore generale, che la regina era incinta. Di fronte alla perplessità della corte, che era perfettamente al corrente dell’inesistente relazione intima tra i coniugi, circolò la voce che un’improvvisa tormenta aveva costretto il re a rinunciare a una battuta di caccia e a trovare rifugio nella stanza della regina. Stranamente il futuro Luigi XIV nacque proprio dieci mesi dopo la presunta tempesta. I pensieri di tutti andarono all’avvenente ambasciatore della Santa Sede da poco giunto a corte, un certo Giulio Raimondo Mazzarino. Ma questa è un’altra storia. —María Pilar Queralt del Hierro Per saperne di più

SAGGIO

Richelieu. Un cardinale tra guerre, diavoli e streghe Alessandro Roveri. Guida, Napoli, 2003.

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PUNIZIONI CORPORALI

Le due scene provengono dalla tomba di Menna (alto funzionario di Thutmose IV), situata nella necropoli tebana di Gurna. Sopra, un uomo sembra applicare una specie di unguento ad alcuni funzionari. Sotto, una persona stesa a terra viene bastonata, forse per essere venuta meno ai suoi obblighi fiscali. AKG / ALBUM

FARAONE Nell’antico Egitto i furti, le risse, gli abusi e le insolvenze erano giudicati da tribunali locali, mentre i reati più gravi, come l’omicidio o la ribellione, erano di competenza del visir del faraone

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JULIAN LOVE / AWL-IMAGES SCALA, FIRENZE

MAAT, LA DEA DELLA GIUSTIZIA

Questo rilievo rappresenta Maat, dea della giustizia e dell’ordine, con una piuma di struzzo in testa. Nel giudizio di Osiride la piuma veniva posta su uno dei due piatti della bilancia per pesare il cuore del defunto.

A

ttorno al 1752 a.C., quando il re babilonese Hammurabi promulgò il suo famoso codice giuridico, in Egitto non esisteva nulla di simile. Se il sistema legislativo della civiltà mesopotamica si estendeva a tutti gli aspetti della vita quotidiana, i decreti dei faraoni riguardavano solo alcune questioni specifiche. Ne è un esempio il provvedimento emanato da Neferirkara Kakai, della V dinastia, per concedere delle esenzioni fiscali a

un piccolo tempio di Abido, nell’Alto Egitto. Il primo codice legale egizio conosciuto apparve solo nel 715 a.C., durante la XXIV dinastia. Era opera del faraone Boccori e, tra le altre cose, prevedeva l’abolizione della servitù per debiti. L’assenza di testi giuridici non significa che in Egitto regnasse l’anarchia. Esisteva infatti un diritto consuetudinario: un insieme di pratiche, usi e costumi sorto dalla tradizione popolare e trasmesso oralmente, che con il tempo aveva acquisito lo status di legge.

2613-2345 a.C. C R O N O LO G I A

LEGGE E GIUSTIZIA IN EGITTO

2284-2216 a.C. Il faraone Pepi II emana un decreto, menzionato nel Papiro di Ipuwer, che dimostra l’esistenza di norme giuridiche durante la VI dinastia.

La stele di Giza (IV o V dinastia), il più antico documento giuridico d’Egitto giunto fino a noi, è un contratto di compravendita che dimostra l’esistenza di una specie di diritto civile.

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PAPIRO DELLA VI DINASTIA. ÄGYPTISCHES MUSEUM, BERLINO.

J. LIEPE / RMN-GRAND PALAIS

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IL TEMPIO DI MEDINET HABU

Nel primo pilone del tempio di Ramses III si trova l’immagine ricorrente del faraone che ristabilisce la maat afferrando per i capelli i nemici dell’Egitto.

CUSTODE DELL’ORDINE E DELLA GIUSTIZIA

L’IMPERO DELLA MAAT

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l vertice dello stato egizio, spesso rappresentato come una piramide sociale, c’era il faraone, che doveva regnare sul Paese in perfetto equilibrio e armonia. Gli antichi egizi esprimevano questo concetto con il termine maat, che indicava ordine, verità, equità e giustizia. La personificazione della maat era una divinità femminile, figlia del dio-sole Ra: veniva raffigurata con una piuma di struzzo sul capo e, spesso, anche con un lungo scettro e un ankh (simbolo della vita) in mano. Maat era anche colei che difendeva l’ordine cosmico contro il caos. Nei testi egizi si afferma che l’obbligo di garantire la maat ricade sul faraone in quanto intermediario tra gli dei e gli esseri umani. «Ra ha mandato il sovrano sulla terra dei vivi, nei secoli dei secoli, per amministrare la giustizia degli uomini, compiacere gli dei, sostenere Maat e sconfiggere Isfet [il caos e l’ingiustizia]», si legge in un trattato di teologia scritto ai tempi della regina Hatshepsut (1490-1468 a.C.).

1319-1292 a.C. Horemheb fa incidere sul decimo pilone del tempio di Karnak un decreto composto di nove parti che mira a frenare gli abusi dei funzionari corrotti tramite una riforma del sistema giudiziario.

località stessa: alterchi, liti tra vicini, malversazioni, furti e vari episodi di violenza e di intimidazione. Secondo questi documenti, le controversie venivano risolte attraverso due organi giudiziari che avevano entrambi sede nel villaggio: l’oracolo del faraone Amenofi I e un tribunale locale, il kenbet.

Il verdetto divino L’oracolo era una statua in cui si credeva risiedesse il faraone Amenofi I divinizzato. Gli abitanti di Deir el-Medina potevano con-

720-715 a.C.

111 secolo a.C.

Il faraone Boccori (XXIV dinastia) promulga il primo codice egizio di cui si abbia conoscenza. Nel I secolo a.C. Diodoro Siculo afferma che la nuova legislazione aboliva la servitù per debiti.

Il codice di Ermopoli (dal nome della località in cui fu ritrovato) è un rotolo di papiro in scrittura demotica (usata nei documenti indirizzati al popolo) che contiene una raccolta di diritto civile a uso di magistrati e scribi.

QUINTLOX / ALBUM

Una delle più preziose fonti di informazioni sul funzionamento della giustizia nel mondo faraonico si trova sulla riva occidentale del Nilo, esattamente nell’antico villaggio di Deir el-Medina. Lì vivevano gli operai incaricati di costruire le tombe dei faraoni del Nuovo regno (1552-1069 a.C.), la cui capitale, Tebe, era situata sulla sponda opposta. A Deir el-Medina sono stati ritrovati ben 284 testi a carattere giuridico scritti su papiri e ostraka (frammenti di pietra o ceramica), in cui sono riportati diversi casi giudicati nella

TAVOLETTA DELLO SCRIBA REALE AMENOFI. XVIII DINASTIA.

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UWE SKRZYPCZAK / AGE FOTOSTOCK AKG / ALBUM

IL FARAONE DEIFICATO

Amenofi I – figlio di Ahmose, capostipite della XVIII dinastia – fu deificato alla morte e divenne il patrono del villaggio di Deir el-Medina, dove c’era un tempio in suo onore. Sopra, statua oracolare di Amenofi I. Museo egizio, Torino.

sultarlo in merito a qualsiasi tema, incluse banali questioni della vita quotidiana come «domani sarà un giorno propizio per costruire una nuova casa?» oppure «rimarrò incinta questo mese?». In altri casi le domande si riferivano a conflitti tra vicini: «È stato Ineni a prendere una pentola al vicino senza permesso?»; «È mio quest’oggetto?» oppure «Lo ha rubato qualcuno del villaggio?». L’oracolo di Amenofi veniva consultato in occasione delle processioni, nei giorni di festa, in mezzo all’enorme folla che si radunava per ascoltare i contendenti. Le richieste venivano fatte all’aperto e seguivano una procedura semplice. L’immagine della divinità veniva collocata su una lettiga trasportata da otto sacerdoti wab – dei normali lavoratori che, nel tempo libero, prestavano servizio come officianti laici e si incaricavano delle cerimonie di purificazione. I querelanti formulavano le loro domande e i responsi dovevano essere chiari, spesso dei semplici “sì” o “no”: se la statua si

spostava in avanti la risposta era positiva, in caso contrario era negativa. Il simulacro del faraone poteva anche vibrare o abbassarsi. A quanto si può vedere in alcuni dipinti murali, l’immagine del dio era circondata da una folla entusiasta di uomini e donne che cantavano, ballavano, suonavano i tamburi e altri strumenti musicali chiamati sistri, forse per celebrare la saggezza della sentenza. Il Papiro 10.335 del British Museum riferisce che, quando qualcuno chiedeva all’oracolo l’identità di un ladro («chi ha rubato il lino o il grano dai magazzini?»), si procedeva a leggere ad alta voce la lista degli accusati o degli abitanti di tutto il villaggio. Se all’udire un certo nome la statua faceva qualche movimento particolare (per esempio, vibrava), la persona in questione veniva dichiarata colpevole. Il papiro riporta il caso di un imputato che si proclamò innocente nonostante il verdetto accusatorio del dio. Ma quando altri due oracoli successivi confermarono il

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IL VILLAGGIO DEGLI OPERAI

Panoramica di Deir el-Medina, dove vivevano gli artigiani che costruirono le tombe della Valle dei Re. La maggior parte delle informazioni sul funzionamento della giustizia faraonica è stata trovata in questo villaggio.

HARRY BURTON / THE GRIFFITH INSTITUTE

UN’ATTIVITÀ LUCRATIVA E PERICOLOSA

In Egitto i saccheggi di tombe sono documentati fin dall’epoca predinastica. Spinte dalla necessità, molte persone rubavano nei monumenti funebri. Famoso è il caso della tomba di Tutankhamon, che fu violata dai ladri poco dopo la sepoltura del sovrano. Nella foto si vede una delle aperture praticate per accedere all’interno della struttura.

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IL TEMPIO DI KARNAK

Il tempio del dio Amon a Karnak, sulla sponda orientale di Tebe, fu progressivamente ampliato con nuovi piloni e santuari dai faraoni che si succedettero. Nel tempio venivano giudicati i casi di saccheggio di tombe reali. Su alcune pareti furono incisi testi legali come la stele giuridica di Karnak, un documento del regno del faraone Nebiryerau I (XVII dinastia), o il decreto di Horemheb, emanato dall’ultimo faraone della XVIII dinastia. KENNETH GARRETT / GETTY IMAGES

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BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE BRIDGEMAN / ACI

PUNIZIONI ESEMPLARI

Non pagare le tasse aveva gravi conseguenze, come mostra questo bassorilievo della tomba di Mereruka a Saqqara, in cui un contadino viene bastonato.

primo e convinsero gli spettatori della sua colpevolezza, l’uomo fu abbandonato anche dai suoi sostenitori e picchiato fino a che non confessò i suoi crimini. Oltre ai responsi oracolari esisteva anche un procedimento che veniva amministrato da un organo simile alle odierne giurie popolari. Il kenbet era un tribunale secolare formato da persone rispettabili del villaggio e si occupava di questioni civili come il mancato pagamento di beni o servizi, le dispute e le liti tra vicini, i piccoli furti, gli insulti e le calunnie. A proposito della sua composizione, nei testi viene usata la formula «Kenbet del giorno formato da…», cui segue una lista di nomi con le rispettive professioni. Il numero di giurati era variabile – sono riportati casi di tribunali formati da cinque, otto o tredici membri – e la partecipazione era aperta anche alle donne, per quanto gli uomini fossero sempre molti di più. In Egitto non esistevano cause legali

come quelle attuali, ma si sono conservate alcune sentenze che hanno permesso di ricostruire il funzionamento della giustizia. Tutti i processi iniziavano con il giuramento del querelante davanti ai testimoni. Mentire sotto giuramento era considerato un reato grave: invocare il faraone o il dio Amon come testimoni di una falsità era un’offesa punita con la morte. Quindi la giuria ascoltava la denuncia ed emetteva il verdetto, anche se non è chiaro quale sistema di voto adottasse. La maggior parte dei processi si svolgeva nei fine settimana – in Egitto la settimana durava dieci giorni, di cui otto erano lavorativi – o durante le festività locali. In nessun caso era possibile interrompere i lavori alla tomba del faraone. Davanti al kenbet potevano arrivare cause di vario tipo, come quella di una donna che denunciò le violenze subite dal marito e di cui non è nota la conclusione. In un caso opposto un uomo accusò la moglie di non

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SACCHEGGI DI TOMBE

SCANDALO A TEBE

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essersi presa cura di lui quando era malato. Alcuni processi riguardavano i contratti di noleggio degli asini. Questi animali venivano affittati per il trasporto di acqua, legna o persone, ed erano piuttosto cari: il costo poteva raggiungere i tre sacchi di frumento al mese. In più di un’occasione l’affittuario non pagava la somma pattuita o non dava da mangiare all’asino durante il periodo d’uso. In altri casi il proprietario affittava un asino in cattive condizioni fisiche, che moriva qualche giorno dopo, per poi chiedere in risarcimento un animale più giovane.

Uno spettacolo pubblico Il kenbet giudicava anche alcuni crimini come i furti di beni statali. In simili eventualità la giuria popolare era composta da membri di una categoria sociale più elevata del solito, come gli scribi del visir di Tebe o i capi della polizia. È questo il caso di una donna di nome Heria, accusata di aver rubato una coppa a un

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privato – un fatto che di per sé non avrebbe avuto grande rilevanza. Ma di fronte al rifiuto di Heria ad ammettere il furto, il kenbet ordinò una perquisizione della sua abitazione, dove oltre alla coppa in questione furono trovati alcuni beni del tempio di Amon scomparsi tempo prima. Heria continuò a negare ogni responsabilità, ma il kenbet la ritenne colpevole e trasferì immediatamente il caso al visir. La storia di Heria si è conservata proprio grazie alla copia di una lettera che lo scriba del tribunale inviò al visir stesso e in cui dichiarava: «Heria è una manipolatrice che merita la morte». Le sessioni del kenbet erano pubbliche e vi potevano assistere tutti gli interessati. In un’epoca in cui scarseggiavano altre forme di intratteni-

LA DEA E IL FARAONE

Questa statuetta d’argento rappresenta un faraone di epoca ramesside che regge un’immagine della dea Maat. Musée du Louvre, Parigi.

N / ACI

Questo papiro conservato al British Museum racconta il caso del sovrintendente corrotto di Tebe ovest, Pauraa, accusato di far parte di una rete dedita al saccheggio di tombe nella necropoli tebana.

BRIDGEMA

IL PAPIRO ABBOTT

lla fine della XX dinastia si verificarono alcuni episodi di furti nelle tombe della Valle dei Re, luogo di sepoltura dei sovrani egizi. Uno di questi casi è giunto fino a noi grazie a documenti come il Papiro Abbot, che contiene un riassunto della vicenda giudiziaria. Nell’anno 16 del regno di Ramses IX (1100 a.C. circa) Paser, sindaco di Tebe, presentò una denuncia contro Pauraa, sovrintendente di Tebe ovest e della necropoli. Le indagini fecero emergere una rete ben organizzata di ladri di tombe, di cui facevano parte importanti membri dell’amministrazione. Durante l’interrogatorio gli otto imputati furono bastonati con un palo e sottoposti alla torsione delle mani e dei piedi. Alla fine confessarono di essere penetrati in una tomba reale, di averla saccheggiata e di aver bruciato le mummie del re e della regina. Per la tematica affine si possono collegare al primo anche il Papiro Amherst (nel quale si riporta la testimonianza di un ladro) e il Papiro Meyer (cita i nomi di alcuni saccheggiatori).

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AKG / ALBUM ARALDO DE LUCA

UN UOMO POTENTE

Nella sua tomba di Gurna, il visir (chaty) Rekhmire è rappresentato con i simboli propri della sua funzione: un ciondolo con l’immagine della dea Maat, una tunica bianca (shenep) che va dal petto alle caviglie e un lungo scettro (aba).

mento, i casi giudiziari dovevano rappresentare un bel diversivo per gli abitanti di Deir el-Medina. I processi iniziavano con la riunione dei membri del tribunale per ascoltare le accuse del querelante. Le pene andavano dalle multe e dagli ammonimenti a non ripetere gli atti fino alle punizioni corporali, che nei casi più gravi prevedevano la bastonatura.

La giustizia del visir Il kenbet non poteva pronunciarsi sui crimini più gravi, che comportavano pene di reclusione, lavori forzati, mutilazioni o morte, e non poteva neppure concedere la grazia. Tutto ciò era competenza del visir – il “primo ministro” del faraone – che risiedeva a corte. Questi reati venivano quindi giudicati prima dal kenbet a Deir el-Medina; se poi l’accusato era ritenuto colpevole, il suo caso veniva trasferito al visir, che in Egitto rappresentava l’ultima istanza giudiziaria, cioè una specie di corte suprema.

Nel Papiro Salt 124, conservato al British Museum, c’è un esempio dei processi che potevano arrivare davanti al visir. L’imputato, un certo Paneb, doveva affrontare una lunga lista di accuse: furto, saccheggio di tombe, minacce di morte, corruzione del precedente visir, appropriazione indebita di strumenti del governo egizio per uso personale, comportamento tirannico nei confronti degli abitanti del villaggio, stupri, insulti contro gli dei e omicidio. La denuncia era stata presentata da Amonnakht, un operaio di Deir el-Medina risentito per il fatto che Paneb gli aveva rubato il posto di capomastro. Non si sa se Paneb fu condannato, perché purtroppo la sentenza finale del visir è andata perduta. Se i suoi crimini furono provati, la pena prevista dalla legge egizia per casi del genere era la condanna a morte, eseguita tramite somministrazione di un veleno mortale o impalamento. Non è chiaro quanto fosse frequente la pena capitale, ma pare che i faraoni tendessero ad

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CENTRI DI RECLUSIONE

CARCERI IN STILE EGIZIO

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ll’epoca dei faraoni non esisteva il concetto di carcere come lo intendiamo oggi. Nell’Antico regno compaiono tracce di un’istituzione chiamata kheneret (ovvero “luogo chiuso” o “luogo recintato”) che, però, si perdono a partire dalla XVIII dinastia. D’altro canto, in alcuni testi si fa riferimento all’idea di rinchiudere le persone: ne sono un esempio queste parole di Pepi-Ankh, nomarca del nomo dell’albero e visir: «Non sono mai stato sorvegliato, non sono mai stato incarcerato». A partire dal Medio regno i kheneret sono centri di reclusione per reati come il sottrarsi agli obblighi di lavoro dovuti al faraone. Nel Nuovo regno questa istituzione fu sostituita dall’itehu, che aveva funzioni simili. In caso di particolare gravità del crimine, i condannati potevano essere inviati in centri di lavoro forzato situati ai confini dell’Egitto o all’estero. Un decreto della V dinastia dice: «Dovrà essere trasferito alla Grande Dimora e costretto a lavorare nella cava di pietra».

applicarla con moderazione. Per esempio, uno dei faraoni Khety consigliava al figlio Merikara: «Agisci con giustizia, se vuoi conservarti a lungo sulla terra […] Evita di punire ingiustamente. Non colpire nessuno con il coltello, perché ciò non è utile. La prigione e la frusta sono sufficienti a mantenere l’ordine nel Paese, tranne per i ribelli i cui piani vengano scoperti. Dio conosce i colpevoli e ne punisce i peccati con il sangue». Tra i castighi raccomandati, oltre alla reclusione e alla fustigazione, c’erano i lavori forzati nelle cave o nelle miniere. Come emerge dalla frase di Khety, erano le rivolte contro il sovrano a essere punite senza esitazione con la morte. Ne fornisce un esempio il Papiro giuridico di Torino, che contiene un resoconto completo del processo ai responsabili di un complotto contro il faraone Ramses III, della XX dinastia. La cosiddetta “congiura dell’harem”, che si concluse probabilmente con la morte del sovrano, vide la partecipazione di ufficiali e

funzionari di palazzo molto prossimi al faraone. Tuttavia, la vera ideatrice dell’assassinio fu la regina Tiye, che voleva sostituire suo figlio Pentaur al legittimo erede al trono, il figlio della moglie principale del faraone, Iside. Lo svolgimento del processo fu semplice: gli accusati furono convocati di fronte al tribunale, dichiarati colpevoli e condannati. Quando, durante le udienze, emerse la complicità di alcuni giudici con sei delle donne accusate, nacque un vero e proprio scandalo. I giudici furono immediatamente puniti: la maat non aveva pietà per i suoi servitori infedeli.

PRIGIONIERI E SERVI

I prigionieri di guerra – come quelli raffigurati in questo bassorilievo del tempio funerario di Ramses III a Medinet Habu – diventavano proprietà a vita del faraone, che poteva darli in schiavitù a chi li aveva catturati.

IRENE CORDÓN I SOLÀ-SAGALÉS STORICA. MEMBRO DELLA SOCIETÀ CATALANA DI EGITTOLOGIA

Per saperne di più

SAGGI

La giustizia nell’Antico Egitto Pietro Testa. Saecula, Zermeghedo (VI), 2017. I testi delle piramidi Christian Jacq. Bompiani, Milano, 1998. Testi religiosi dell’Antico Egitto Edda Bresciani. Mondadori, Milano, 2001.

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ECCO LE PENE PIÙ GRAVI Nell’antico Egitto la giustizia prevedeva diversi tipi di punizioni corporali. Tra le altre spiccano l’amputazione delle estremità – per esempio naso e dita –, un castigo che lasciava il condannato segnato a vita. I responsabili di reati come il mancato pagamento delle tasse erano sottoposti ad altri tipi di castighi pubblici, come la bastonatura e la fustigazione a sangue.

n alcuni casi lo stato egizio ricorreva anche alla pena capitale. Rubare in un tempio o insultare e attentare contro la persona del faraone erano considerati i reati più gravi che potesse commettere un cittadino, ed erano puniti con la morte. L’esecuzione poteva avvenire in vari modi: il più utilizzato fu probabilmente l’impalamento, che consisteva nell’infilzare una pala per il retto, la vagina o la bocca del condannato. L’esposizione pubblica era parte integrante della pena stessa. Per evitare questo supplizio, ad alcune persone appartenenti alle classi privilegiate veniva offerta la possibilità di suicidarsi tramite l’ingestione di veleno. Un’altra pena di morte diffusa era quella per annegamento. Secondo Eusebio veniva praticata anche la decapitazione. MA UNA PUNIZIONE ancor peggiore della pena

capitale era la morte nella vita ultraterrena. La condanna più estrema che si potesse infliggere a un condannato consisteva nel bruciare il suo cadavere o gettarlo nel Nilo e cancellare il suo nome, perché implicava la scomparsa nell’aldilà. In questi casi ai familiari non veniva restituito il corpo del defunto né concessa la possibilità di svolgere qualche forma di rito funebre.

STATUETTA DELLA DEA MAAT IN TRONO, CON LA CARATTERISTICA PIUMA IN TESTA. XXI DINASTIA.

VASO DI MAIOLICA DECORATO CON SCENE IN RILIEVO. XXII DINASTIA (850 A.C. CIRCA). ÄGYPTISCHES MUSEUM, BERLINO.

BRIDGEMAN / ACI

ORONOZ / ALBUM

UN UOMO VIENE BASTONATO MENTRE DUE PERSONE GLI BLOCCANO I PIEDI E LE MANI. TOMBA DI BAKET III. XI DINASTIA. DESCRIPTION DE L’ÉGYPTE. 1809. AKG / ALBUM

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COLOSSO DEL FARAONE AKHENATON. IL PROMOTORE DELL’ERESIA DI AMARNA FU SOTTOPOSTO A UNA DAMNATIO MEMORIAE: IL SUO NOME VENNE CANCELLATO DA TUTTI I MONUMENTI PER IMPEDIRGLI DI VIVERE ETERNAMENTE. ARALDO DE LUCA

ARALDO DE LUCA

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I L P R I M O T E M P I O D E L L A S TO R I A

GOBEKLI Nel 1995 è stato scoperto nel sud della Turchia un singolare complesso

TEMPLI DI PIETRA

Situato nella Turchia sudorientale, Göbekli Tepe è un complesso di strutture circolari in pietra che, secondo gli archeologi, risalirebbe a 11.600 anni fa. Forse era un centro di culto. VINCENT J. MUSI / NGS

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TEPE

megalitico risalente a quasi 12mila anni fa

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L’ASSALTO DEL CINGHIALE

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ra il X e il VI millennio a.C. nel Vicino Oriente si verificò una svolta cruciale per la storia dell’umanità: la cosiddetta rivoluzione neolitica. In questo lungo processo la vecchia società dei cacciatori-raccoglitori cedette il passo a una vera e propria economia agricola, basata sulla domesticazione di piante e animali. Gli archeologi hanno individuato le testimonianze più antiche di questa trasformazione nella Mezzaluna fertile, un’ampia regione che va dalla Mesopotamia alla valle del Nilo e che comprende i siti di Gerico in Cisgiordania e Jarmo e Shanidar nell’attua-

Mar Nero

Ankara

T URC HIA Gobekli Tepe ¨

NG MAPS

SIRIA Mar Mediterraneo

0 km

IRAQ 500

GÖBEKLI TEPE È SITUATO NELL’ ATTUALE TURCHIA, A 15 KM DALLA CITTÀ DI S,ANLIURFA E A 40 KM DAL CONFINE SIRIANO.

le Iraq. Nel 1995 a questi luoghi si è aggiunto Göbekli Tepe, situato nell’odierna Turchia sudorientale. Scoperto dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt, che si dedicò agli scavi fino alla morte nel 2014, Göbekli Tepe ha modificato profondamente la nostra comprensione del modo in cui si è prodotta la rivoluzione neolitica. Il giacimento risale al Neolitico preceramico, il periodo in cui iniziò la domesticazione della flora e della fauna. A conferma di questo fatto sono stati ritrovati nel sito alcuni falcetti di selce e delle piccole macine di pietra. A soli trenta chilometri di distanza, sul monte Karaca Dağ, poi, sono state identificate le prime varianti domesticate del frumento. Eppure, il ritrovamento di una grande quantità di ossa di gazzelle e di cinghiali e l’assenza di resti di specie domesticate suggeriscono che il complesso sia stato costruito da cacciatori-raccoglitori. Ma ciò che rende davvero unico Göbekli Tepe è la sua struttura monumentale. Nell’area studiata fino a oggi sono state trovate varie costruzioni megalitiche circolari, costituite da mura intervallate da pilastri a forma di T, di un’altezza che oscilla tra il metro e mezzo delle costruzioni più recenti

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Nelle decorazioni di Göbekli Tepe compaiono alcuni degli animali selvaggi che minacciavano gli insediamenti umani della zona, come il cinghiale sulla sinistra.

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ANIMALI SELVAGGI

Le colonne di pietra di Gรถbekli Tepe sono decorate con figure di feroci predatori. Nella foto, un animale con le fauci spalancate scolpito su un blocco di pietra calcarea di cinque tonnellate.

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FIGURE DECAPITATE E TESTE UMANE

e i cinque metri e mezzo delle più antiche. Al centro di questi edifici erano situati due pilastri più alti, anch’essi a forma di T, con incisioni molto schematiche di figure umane: si possono distinguere occhi e braccia, e dei tratti che, forse, rappresentavano vestiti. È difficile stabilire con certezza l’identità degli esseri raffigurati, ma le loro dimensioni e la posizione che occupano al centro del complesso fanno pensare a delle divinità o comunque a persone che comandavano.

Un sito millenario Finora è stata portata alla luce solo una parte delle strutture del sito. Le prospezioni mostrano che si estende su nove ettari e che ci sono vari complessi ancora sepolti, forse una ventina. Alcuni di essi potrebbero essere più antichi di quelli studiati fino a oggi, che risalgono al

X millennio a.C. Sarebbero quindi precedenti alle prime testimonianze di agricoltura. Lo studio degli edifici emersi dagli scavi sembra indicare un cambiamento: i più antichi sono formati da blocchi di dimensioni maggiori e con decorazioni più complesse, mentre quelli più recenti sono delimitati da mura rettangolari e le decorazioni sono più semplici. In entrambi i casi furono realizzati con la pietra calcarea proveniente da alcune cave distanti poche centinaia di metri. Considerata la rudimentale tecnologia disponibile all’epoca, il trasporto di blocchi del peso di diverse tonnellate non dovette rivelarsi un’impresa semplice. Un’opera di tale portata necessitava di un’organizzazione collettiva su larga scala, in un’epoca in cui i gruppi umani erano di dimensioni ridotte. La costruzione di Göbekli Tepe richiese quindi la cooperazione di differenti tribù e clan. Non sono solo le proporzioni colossali a rendere unico il sito, ma anche il repertorio iconografico. I pilastri sono decorati con incisioni a rilievo di animali selvatici come cinghiali, volpi, tori, uccelli, serpenti e scor-

TESTA UMANA DI PIETRA RITROVATA A GÖBEKLI TEPE.

VINCENT

Sul pilastro di pietra a destra, alto 5,5 metri, è rappresentata una figura umana, forse un sacerdote, che indossa una cintura da cui pende un perizoma.

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PILASTRO DI GÖBEKLI TEPE CON INCISIONI DI AVVOLTOI, UNO SCORPIONE E UNA FIGURA UMANA ACEFALA.

PERSONAGGI MISTERIOSI

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A GÖBEKLI TEPE non è stata identificata nessuna tomba, ma sono stati ritrovati vari frammenti ossei di crani umani. Secondo una ricerca recentemente pubblicata, alcuni di tali frammenti presentano segni di tagli, incisioni, perforazioni e resti di colorazione. Questi interventi furono eseguiti dopo la morte e indicano pratiche di scarnificazione e decapitazione cui sembrano riferirsi anche alcuni rilievi: su uno dei pilastri a forma di T compaiono una figura itifallica (con il pene eretto) senza testa, delle sculture umane decapitate e delle incisioni di animali che sembrano sostenere dei teschi umani. È stata anche ritrovata la statuetta di una persona inginocchiata che regge una testa umana a mo’ di offerta.

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IL LUOGO DOVE EBBE INIZIO L’AGRICOLTURA Göbekli Tepe si trovava all’estremità settentrionale della Mezzaluna fertile, la culla della rivoluzione neolitica. Questa regione è ricca di graminacee selvatiche, che sarebbero all’origine dei primi cereali coltivati, e pure di specie animali cacciabili, da cui sarebbero derivati i primi allevamenti. Attorno al 6000 a.C. in quest’area si verificò la trasformazione dei cacciatori-raccoglitori in agricoltori. Come mostrano i centri indicati sulla mappa, la transizione (dovuta a cambiamenti ambientali, a rituali religiosi o alla pressione demografica) avvenne in luoghi e momenti diversi.

RIFERIMENTI DELL A MAPPA E DEI GR AFICI Cultura natufiana

Insediamento

(13000-10000 a.C.)

Domesticazione di piante e animali Architettura monumentale. Grandi costruzioni di fango o pietra.

Neolitico preceramico B

Arte rituale. Rappresentazioni simboliche dell’ambiente, ad esempio di sculture di animali.

(8500-6250 a.C.)

Grano silvestre

Grano addomesticato

Mar Mediterr aneo

Domesticazione dei cereali. È indicata l’area di coltivazione di cereali attuale. Si ritiene che la diffusione dei cereali selvatici fosse leggermente maggiore.

EGITTO

I cereali domesticati si distinguono dai loro antenati selvatici per le maggiori dimensioni dei chicchi. Inoltre i chicchi dei cereali domesticati non cadono con la maturazione e possono quindi essere raccolti più facilmente.

150

0 km

Frontiere, fiumi e linee delle coste attuali

Clima caldo e umido

ilo

(10000-8500 a.C.)

N

Neolitico preceramico A

Clima freddo e secco

CULTURA NATUFIANA

13000 a.C.

La comparsa dei primi villaggi. I primi insediamenti di cacciatoriraccoglitori (alcuni dei quali avevano diverse centinaia di abitanti) furono in gran parte abbandonati per circa 1200 anni a causa del raffreddamento climatico. Intorno al 9600 a.C. le temperature tornarono a salire e i villaggi rinacquero, ma gli esseri umani continuavano a raccogliere la maggior parte degli alimenti e a consumarli collettivamente. Con l’affermarsi dell’agricoltura e la crescita degli insediamenti, ogni famiglia cominciò a nutrirsi in modo autonomo.

12000 a.C.

Nei villaggi natufiani (il cui nome deriva dal sito di Uadi el-Natuf, il primo a essere scoperto), i cacciatoriraccoglitori costruirono capanne con pietre impilate, che probabilmente ricoprivano con pelli di animali.

11000 a.C.

18 persone

Stima delle dimensioni medie di una comunità secondo alcuni studi condotti nel sudovest della Mezzaluna fertile.

Zona comune

FERNANDO G. BAPTISTA, NGM; PARTRICIA HEALY; DEBBIE GIBBONS, NG (MAPPA) FONTI: IAN KUIJT, UNIVERSITÀ DI NOTRE DAME; KLAUS SCHMIDT, JENS NOTROFF E OLIVER DIETRICH, ISTITUTO ARCHEOLOGICO TEDESCO; GEORGE WILLCOX, CENTRO NAZIONALE DI RICERCA SCIENTIFICA, FRANCIA; MELINDA A. ZEDER, SMITHSONIAN INSTITUTION

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TURCHIA

A Nevalı Çori c’erano pilastri simili a quelli di Göbekli Tepe, ma più piccoli e di epoca successiva.

Çatal Hüyük (7400-6200 a.C.)

Hallan Çemi (11000-9300 a.C.)

Nevalı Çori (8600-7700 a.C.)

GÖBEKLI TEPE (9600-8200 A.C.)

Tell Qaramel (10700-9400 a.C.)

CIPRO LIBANO

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9000 A.C.

8000 A.C.

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7000 A.C.

Wadi Hammeh 27 (13000-11000 a.C.)

IRAN

Ali Kosh (7500-6000 a.C.) Gerico (9600-7500 a.C.)

Beidha (8200-7500 a.C.)

Abu Hureyra II (8000-7000 a.C.)

Aswad (8500-7300 a.C.) Ain Mallaha (12000-10000 a.C.)

STRISCIA DI GAZA Dhra (9600-9200 a.C.)

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Jarmo (7500-6000 a.C.)

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CISGIORDANIA

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SIRIA

Abu Hureyra I (11300-9500 a.C.)

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ISRAELE

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Nemrik (9500-7200 a.C.)

Jerf el Ahmar (9300-8900 a.C.)

Mureybet (10600-8000 a.C.) CIPRO DEL NORD

Domesticazione degli animali. Le pecore e le capre selvatiche furono i primi animali domesticati, intorno al 9000 a.C. Nel millennio seguente furono domesticati anche maiali e mucche.

Çayönü (8500-6300 a.C.)

Ain Ghazal (8400-6200 a.C.)

IRAQ

Nella torre di Gerico, alta otto metri e larga nove, si praticavano forse dei rituali legati al raccolto.

6500 A.C.

SUMERI EUROPA

ASIA

GIORDANIA ARABIA SAUDITA

AFRICA

Clima caldo e più umido NEOLITICO PRECERAMICO A

10000 a.C.

NEOLITICO PRECERAMICO B

9000 a.C.

Nei villaggi con capanne di adobe c’erano dei depositi comunitari di alimenti. Non ci sono prove chiare della presenza di piante domesticate, ma si coltivavano già cereali selvatici.

90 persone

8000 a.C.

7000 a.C.

I villaggi agricoli, in cui vivevano migliaia di persone, erano formati da abitazioni collegate tra loro e suddivise in stanze. Sulle pareti interne c’erano simboli rituali, come corna di toro e teschi di antenati. Zone sacre

900 persone Accesso al tetto

Zona comune

Magazzino dei viveri della comunità Magazzino dei viveri

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GLI ARCHEOLOGI EFFETTUANO SCAVI ATTORNO AI RESTI DI UN PORTALE AL CENTRO DI UNO DEGLI ANELLI DI PILASTRI DI GÖBEKLI TEPE.

pioni. Potrebbe trattarsi di spiriti guida che proteggevano i vari clan che si riunivano in quel luogo, o forse di guardiani che difendevano gli esseri di pietra presenti al centro del complesso. Nei rilievi compaiono anche delle figure umane, e sono state ritrovate inoltre delle sculture che rappresentano sia animali sia esseri umani. Tra queste spiccano quella di una donna raffigurata frontalmente (forse simboleggiava la fertilità), e varie figure decapitate.

Il primo tempio dell’umanità? Gli archeologi si sono interrogati a lungo riguardo a quale fosse la funzione di Göbekli Tepe. Lo scopritore del sito, Klaus Schmidt, non aveva dubbi: si trattava di un centro religioso eretto da gruppi di cacciatori-raccoglitori che vi si recavano periodicamente in pellegrinaggio per celebrare un rituale di qual-

che tipo. Quest’interpretazione significava mettere in discussione molte idee consolidate. Le altre costruzioni megalitiche conosciute sono molto più tarde – Stonehenge, per esempio, risale al III millennio a.C. – e sono opera di società agricole complesse, dotate di un sistema di credenze religiose che ne garantiva la coesione. Se gli edifici di Göbekli Tepe sono stati invece costruiti da gruppi di cacciatori-raccoglitori, questo implicherebbe che la religione si è sviluppata prima dell’agricoltura. Ma esistono anche altre teorie. Secondo l’antropologo canadese Ted Banning, il complesso potrebbe essere un insediamento permanente, sul modello degli spazi collettivi organizzati attorno a totem scoperti lungo la costa nord-occidentale degli Stati Uniti. Ma questa teoria alternativa non chiarisce il ritrovamento di utensili in pietra di diversa origine, alcuni dei quali prodotti a notevole distanza dal sito. La presenza di questi reperti è meglio spiegata dall’ipotesi che Göbekli Tepe fosse un centro di pellegrinaggio per differenti gruppi di cacciatori-raccoglitori. Un’altra diffi-

STATUA DI UN PREDATORE PROVENIENTE DA GÖBEKLI TEPE.

FOTO: VINCENT J. MUSI / NGS

VINCENT J. MUSI / NGS

VINCENT J. MUSI / NGS

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ANIMALI E UOMINI In alcuni siti neolitici del sud della Turchia, del nord della Siria e del nord-ovest dell’Iraq sono state scoperte possibili testimonianze di quella che forse fu la prima religione organizzata al mondo. In enclave come Göbekli Tepe o Nevalı Çori – un insediamento fondato mille anni dopo Göbekli a 30 km di distanza da questi – abbondano le raffigurazioni degli animali pericolosi che minacciavano gli insediamenti umani, come cinghiali, felini e serpenti. Qui a sinistra se ne può vedere un esempio scolpito sulla parte posteriore di una testa di pietra ritrovata a Nevalı Çori. Le immagini umane non sono molte, ma una delle più impressionanti è quella sulla destra, risalente almeno all’8000 a.C. È stata scoperta a 14 chilometri da Göbekli Tepe ed è la più antica scultura a grandezza naturale conosciuta. Sopra, in una ciotola di calcare trovata a Nevalı Çori due figure danzano con un animale, forse uno spirito guida.

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L A COSTRUZIONE DI GÖBEKLI TEPE I primi templi conosciuti furono probabilmente eretti da persone provenienti da zone molto distanti tra loro. I pilastri e i blocchi di pietra venivano intagliati con degli strumenti in selce e i muri erano consolidati con l’argilla. Quando veniva terminato un nuovo tempio, quello vecchio veniva interrato. Non è chiaro quale fosse l’uso esatto di questi complessi.

Testa

Braccio Cintura Copripudende di pelle di animale

Mani

Le sculture sui pilastri rappresentano figure umane stilizzate. Si tratta di individui importanti o di esseri soprannaturali?

I pilastri venivano intagliati, scolpiti e quindi collocati in posizione.

Pilastri Area scavata Area non scavata Area mostrata nell’illustrazione

Pilastri dell’entrata

Area del santuario Gli studi geomagnetici dei nove ettari del sito indicano che tra il 9600 e l’8200 a.C. furono eretti almeno venti templi. Nell’immagine, i più antichi sono quelli sopra.

L’intaglio di un pilastro La forma a T veniva incisa direttamente su una base di pietra calcarea. Quindi, con un gioco di leve si spaccava la roccia lungo le linee di frattura e si estraeva il pilastro.

48,5 m

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I pilastri di calcare potevano raggiungere le 16 tonnellate e venivano trasportati dalle cave a circa 400 metri di distanza con la sola forza umana.

Il circolo interno non aveva porte. È probabile che vi si accedesse con delle scalette. Forse venivano appese ai pilastri delle offerte costituite da pelli di animali.

Offerte

I bambini potevano aiutare a trasportare l’acqua piovana raccolta nei pozzi per il consumo.

Una tribuna per gli spettatori? Forse c’erano dei terrapieni da cui i pellegrini potevano assistere alle cerimonie celebrate all’interno dei circoli. Ma è anche possibile che il tempio fosse coperto e l’accesso limitato.

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I pilastri d’ingresso erano costituiti da un blocco a forma di U con la base interrata.

Possibile copertura FERNANDO G. BAPTISTA (ILLUSTRAZIONE) E LAWSON PARKER (MAPPA E DIAGRAMMI), NGM; PATRICIA HEALY FONTI: KLAUS SCHMIDT, JENS NOTROFF E OLIVER DIETRICH, ISTITUTO ARCHEOLOGICO TEDESCO; IAN KUIJT, UNIVERSITÀ DI NOTRE DAME

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ANIMALI E SPIRITI PROTETTORI L’ICONOGRAFIA animale presente a Göbekli Tepe è ampia e variegata. Cinghiali, serpenti e scorpioni avevano probabilmente una funzione protettrice, ma non animali come le gazzelle o gli asini selvatici. Doveva trattarsi di una mitologia complessa, in cui i serpenti erano le figure più rappresentate. La “struttura C” è l’unico luogo dove il rettile sembra essere superato in importanza dal cinghiale. Anche la volpe è molto presente nella simCinghiale Volpe bologia del santuario, probabilmente perché era un animale diffuso nella zona. È raffigurata sola o in compagnia di altre specie, come Gru la gru o l’uro. GLI ANIMALI SCOLPITI SUI PILASTRI SONO ORIGINARI DELLA ZONA E POTREBBERO RAPPRESENTARE DEGLI SPIRITI CUSTODI.

Scorpione

Serpente

PILASTRO IN UNA CAVA

La cava da cui provengono le pietre con le quali fu edificato il sito si trova nei pressi del sito stesso. Vi sono stati rinvenuti dei pilastri non terminati, il più grande dei quali è lungo quasi sette metri.

LAWSON PARKER / NGS

Il mistero continua Il giacimento solleva ancora molti interrogativi. Per esempio in merito alla causa del suo abbandono. A questo proposito si è ipotizzato che gli edifici venissero interrati ritualmente quando perdevano il loro potenziale magico, oppure alla morte di qualche personaggio importante, come un capo clan e, successivamente, se ne costruissero di nuovi. Secondo una teoria più recente l’abbandono non era intenzionale, ma provocato

da frane ed erosioni. I templi di Göbekli Tepe non sono un caso isolato. In vari siti anatolici sono state scoperte strutture simili. A Nevalı Çori – insediamento che potrebbe essere sorto in seguito all’abbandono definitivo di Göbekli Tepe – sono stati trovati dei pilastri a forma di T. Il repertorio iconografico di Göbekli Tepe ricorre poi nelle sculture di serpenti e cinghiali di Nevalı Çori o nelle figure di avvoltoi di Nahal Hemar (Israele) e Gerico (Cisgiordania). Tutto questo indica l’esistenza di uno sfondo religioso comune che si sviluppò durante la rivoluzione neolitica e favorì la formazione di gruppi molto più grandi dei semplici nuclei familiari o dei clan. Fu proprio questo orizzonte condiviso che nel X millennio a.C. permise la comparsa, in un angolo dell’Anatolia, di quello che fu probabilmente il primo tempio della storia. SUSANA SOLER POLO STORICA

Per saperne di più

SAGGI

Costruirono i primi templi Klaus Schimdt. Oltre, Sestri Levante (GE), 2011. ARTICOLI

Come nacque la religione National Geographic, Giugno 2011. INTERNET

http://gobeklitepe.info

VINCENT J. MUSI / NGS

coltà che devono affrontare i sostenitori della teoria dell’insediamento permanente è che non si sa con certezza se le strutture ritrovate a Göbekli Tepe fossero coperte. Alcuni esperti sostengono di sì, in base alla disposizione dei pilastri e ad altre ragioni strutturali, e soprattutto perché gli edifici più recenti mostrano delle suddivisioni interne che fanno pensare a delle stanze. Anche il ritrovamento di un gran numero di ossa di animali destinati al consumo potrebbe andare a favore dell’ipotesi dell’insediamento. Secondo Klaus Schmidt si tratta invece di resti di banchetti rituali, il che implica che Göbekli Tepe ospitava quanto meno una sorta di clero.

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IL SACRIFICIO DI UN TORO

Un aruspice esamina le viscere di un toro appena sacrificato. Al suo fianco, con un’ascia sulla spalla, il cultrario, incaricato di uccidere l’animale. Rilievo del foro di Traiano. II secolo d.C. Musée du Louvre, Parigi. JOSSE / SCALA, FIRENZE

Auspici, presagi e profezie

INDOVINI A ROMA Preoccupati da ciò che gli riservava il futuro, i romani adoperarono ogni mezzo per conoscere in anticipo i disegni divini. Fecero ricorso a indovini e aruspici, sacerdoti specializzati nell’interpretare la volontà degli dei

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C R O N O LO G I A

Àuguri e aruspici a Roma 753 a.C.

Secondo la leggenda, Romolo fonda Roma dopo aver visto dodici avvoltoi sul Palatino, il doppio di quelli individuati dal fratello Remo.

241 a.C.

Il senato proibisce al console Lutazio Cercone di consultare l’oracolo della Fortuna a Praeneste poiché si tratta di una pratica non romana. LA GROTTA DELLA SIBILLA

212 a.C.

Cuma, vicino Napoli, era il sito dove si trovava la grotta della Sibilla, la profeta più temuta per i suoi enigmatici auspici. Nell’immagine, l’oscura galleria d’accesso alla grotta lunga 107 metri.

Il pretore Marco Emilio ordina di bruciare i libri di profezie e le nuove formule di suppliche e sacrifici che si sono diffusi a Roma.

205 a.C.

Dopo copiose piogge di pietre, i Libri sibillini raccomandano di portare a Roma il betilo o pietra sacra che rappresenta la dea Cibele.

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LETTURA DI UN FEGATO

Specchio in bronzo decorato con una scena mitologica: l’indovino greco Calcante legge gli auspici nel fegato di una vittima sacrificale. Musei vaticani.

83 a.C.

Un incendio nel tempio di Giove Capitolino distrugge i Libri sibillini. Il senato nomina una commissione che va a recuperarli in Grecia.

44 a.C.

LOREM IPSUM

L’aruspice Spurinna rivela a Cesare il pericolo di morte che lo minaccia alle idi di marzo. Cicerone pubblica il trattato Della divinazione.

47 d.C.

Claudio riorganizza l’Ordo LX haruspicum, un ordine di aruspici etruschi che collaborerà con gli imperatori e con il senato.

CRÓNICA DE CASTILLA, POR DIEGO ENRÍQUEZ DEL OR

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ochi popoli hanno vissuto ancorati ai buoni e cattivi presagi nell’andamento della vita quotidiana come gli antichi romani. In ogni momento del giorno o della notte poteva presentarsi un segno di cattivo auspicio. Se un romano inciampava sulla soglia di casa, pensava che quel giorno fosse meglio non uscire. Se durante un banchetto si udiva il canto di un gallo, si smetteva di mangiare e si facevano scongiuri per allontanare il presagio negativo. Accadeva lo stesso negli affari pubblici. Prima di riunire un’assemblea, eleggere un magistrato o andare in battaglia si considerava imprescindibile consultare la volontà degli dei per assicurarsi risultati favorevoli. A tal fine, veniva utilizzata una particolare pratica di divinazione: gli auspici, ovvero l’osservazione degli uccelli — dal latino

UM

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LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI

GLI ÀUGURI DI CICERONE. ILLUSTRAZIONE TRATTA DA LAS SUPERSTICIONES DE LA HUMANIDAD. 1881.

CONTRO LA SUPERSTIZIONE

auspicium o avispicium —, più concretamente del loro volo o del canto. Come asserì il filosofo e politico Cicerone, dall’abolizione della monarchia all’instaurazione della repubblica «a Roma nessuna decisione riguardante lo stato, in pace come in guerra, si prendeva senza essere prima ricorsi agli auspici».

Romolo, il primo augure La pratica degli auspici risale alle origini dell’Urbe. Secondo il noto racconto della fondazione di Roma, i fratelli Romolo e Remo decisero di consultare gli auspici per sapere chi dei due dovesse fondare la nuova città. Remo si posizionò sul colle Aventino e avvistò sei avvoltoi, mentre Romolo dal Palatino ne scorse il doppio. Romolo e Remo furono considerati i primi àuguri, sacerdoti incaricati dell’interpretazione dei segni degli uccelli. A Numa Pompilio, secondo re di Roma, fu attribuita più tardi la fondazione del collegio augurale. In origine il collegio

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confronti della superstizione. Ritiene che generi paure e insicurezze, devii dai canoni religiosi stabiliti e costituisca un pericolo per la sicurezza dello stato. Perciò è indispensabile superarla: «La superstizione si è estesa a tutti i popoli, ha oppresso gli spiriti di quasi tutti gli uomini e ha fatto loro commettere una quantità di stupidaggini».

era presumibilmente composto da tre membri, numero che Tarquinio portò a sei e che raggiunse i sedici membri nel I secolo a.C. Per molto tempo l’accesso a questo incarico fu limitato ai patrizi, l’aristocrazia che dominava Roma sin dalla costituzione della repubblica. Tuttavia, nel 300 a.C. una legge riservò ai plebei cinque dei nove posti di cui allora il collegio era composto. Determinanti per tutta l’epoca imperiale, gli àuguri si riconoscevano da due segni distintivi: il lituus o lituo, un bastone arcuato all’estremità superiore, e la trabea, un tipo di toga con le strisce di color rosso brillante e l’orlo porpora. Si ritiene che il lituo di Romolo fosse

LA SIBILLA DI CUMA

Nell’Eneide Virgilio descrive così la Sibilla: «Augusta nel suo antro immenso, lei l’interprete […] alita, ispira e mostra il futuro». Acquerello. 1805.

AKG / ALBUM

FOTOSEARCH / AGE FOTOSTOCK

CICERONE, nell’opera Della divinazione si mostra molto critico nei

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LA TOMBA DEGLI ÀUGURI

Il sepolcro della necropoli etrusca di Tarquinia è decorato con dipinti murali, come nell’immagine, in cui è raffigurato un rituale di lotta mentre un augure osserva il volo degli uccelli.

custodito nella curia dei Salii, sul Palatino, e che fosse miracolosamente scampato all’incendio che aveva bruciato il recinto nel 390 a.C., quando Roma fu invasa dai galli. Quando questi ultimi abbandonarono la città l’importante reliquia apparve sul pavimento dell’edificio incendiato senza aver subito alcun danno. Il lituo era emblematico per il potere della repubblica e veniva persino raffigurato sulle monete. La scienza augurale godeva di grande prestigio a Roma, grazie al particolare legame che questa aveva con Giove, che si consultava e invocava dall’alto del colle. Tuttavia, occorre ricordare che gli àuguri non erano intermediari tra gli dei e gli uomini ma, come sostiene Cicerone, «interpreti degli dei». Infatti, i veri inter-

IL BASTONE RITUALE

Il lituo era il bastone liturgico usato dagli àuguri per “tracciare” a cielo aperto un tempio simbolico dal quale osservare il volo degli uccelli. Quello nell’immagine in basso, in bronzo, fu ritrovato nella necropoli di Cerveteri. 580 a.C. Museo nazionale di Villa Giulia, Roma.

mediari (internuntiae Iovis) di cui si serviva il dio per comunicare con gli uomini erano gli uccelli, non gli àuguri. I romani non erano gli unici nell’antichità a consultare gli dei sul futuro. Com’è risaputo, i greci avevano molti oracoli, come quelli dei santuari di Zeus a Olimpia o di Apollo a Delfi. Anche i romani avevano un oracolo, quello della Sibilla Cumana. I responsi della pitonessa (pizia) si basavano sui libri di profezie portati a Roma dai primi re della città, e che furono in seguito consultati dai magistrati, i decemviri, ogni volta che nell’Urbe si prospettava una sventura. Le cronache raccontano che i Libri sibillini furono consultati in occasione delle copiose piogge di pietre su Roma. Il responso, confermato dall’oracolo di Delfi, fu di portare a Roma, dalla città di Pessinunte (in Asia Minore), un AKG / AL B UM betilo o pie-

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ALAMY / ACI SCALA, FIRENZE

I SUOVETAURILIA

tra sacra, che rappresentava la dea Cibele. All’infuori di questi libri, la divinazione romana era ben lontana dal competere con quella greca o etrusca. L’augure osservava e interpretava i segni offerti dagli uccelli, senza preoccuparsi di prevedere o annunciare il futuro. Chiedeva a Giove di inviargli un segno per capire se fosse lecito intraprendere una guerra, celebrare un’assemblea o nominare un sacerdote. La risposta della divinità poteva essere solo affermativa o negativa, e non illuminava mai sul futuro. L’auspicio aveva infatti la sola finalità di conoscere la volontà di Giove, ovvero di sapere se la divinità approvasse o meno i progetti dei politici e dei militari romani, e non cosa riservasse alla città il destino. Il responso aveva inoltre una validità precisa, scadeva alla fine del giorno, anche se si poteva ripetere quello successivo o in altri momenti. L’augure romano non era, pertanto, un indovino con il ruolo di predire il futuro. A Roma la funzione più

PRIMA DI INTRAPRENDERE una battaglia l’esercito romano si purificava con la cerimonia della lustratio. In essa si eseguivano i suovetaurilia, il sacrificio di un maiale, una pecora e un toro. Gli aruspici interpretavano le viscere degli animali per conoscere la volontà degli dei. Gli animali venivano condotti dal victimarius, mentre bucinatores e symphoniacus intonavano melodie sacre.

propriamente divinatoria veniva compiuta dall’aruspicina — antica scienza introdotta dagli etruschi — e dall’astrologia.

Classi di auspici Gli auspici si potevano racchiudere in due tipologie. Gli auspicia oblativa erano quelli che si presentavano inaspettatamente, come potevano essere i lampi o i tuoni, definiti ex caelo, ovvero segni del cielo. Venivano considerati molto sfavorevoli poiché rappresentavano l’interruzione della pace con gli dei (pax deorum) ed erano interpretati come il segno che doveva impedire o annullare un determinato progetto. Se si verificavano

LA COLONNA TRAIANA

In alto, rilievo della colonna Traiana che riproduce la lustratio, la cerimonia di purificazione tramite il lavaggio con acqua, presieduta dall’imperatore Traiano. Sono due le scene di lustratio ivi rappresentate.

L’auspicio aveva la sola finalità di conoscere la volontà di Giove, e non il futuro del popolo romano STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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FINE ART IMAGES / ALBUM

PUBLIO DECIO MURE ASSISTE ALL’INTERPRETAZIONE DEI SEGNI DURANTE IL SACRIFICIO. DIPINTO DI RUBENS. 1616-1617. LIECHTENSTEIN MUSEUM, VIENNA.

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Il sacrificio di un console nel 340 a.c. durante la seconda guerra contro i latini, l’esercito romano era accampato nei pressi di Capua. Secondo i racconti di Tito Livio, i consoli Publio Decio Mure e Tito Manlio Torquato videro separatamente un essere maestoso e di corporatura superiore a quella umana, il quale li avvertì che la vittoria sarebbe andata all’esercito del generale che avesse donato la propria vita agli dei. Allora i consoli offrirono un sacrificio e il sacerdote, cioè l’aruspice, mostrò a Decio il fegato della vittima, mutilato nella parte che gli corrispondeva. Doveva essere lui a sacrificarsi per il proprio esercito e chiese al pontefice Marco Valerio come procedere. Fu così che, secondo quanto

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gli fu detto, indossò la toga pretesta, orlata di una fascia porpora, e si ricoprì il capo, si toccò il mento con la mano, si mise in piedi su una lancia poggiata a terra e pronunciò un’invocazione, tra gli altri, a Giano, Giove, Marte, Quirino e Bellona, che si concluse con queste parole: «Come ho dichiarato con le mie parole, per la repubblica del popolo romano […] offro in voto le legioni e le truppe ausiliarie del nemico insieme a me stesso». Subito dopo si lanciò a cavallo contro le file nemiche, cadendo sotto una pioggia di frecce. Infervorati dal sacrificio del comandante, i romani si gettarono con impeto in battaglia e annientarono totalmente i latini.

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Manuale d’istruzioni per leggere fegati nel 1877 nei pressi di Piacenza venne ritrovato un oggetto in bronzo a forma di fegato di pecora, di dodici centimetri, datato intorno all’anno 100 a.C. e conosciuto come il “fegato di Piacenza”. Il particolare manufatto, realizzato probabilmente nei dintorni di Chiusi, fu adoperato dagli aruspici etruschi come modello per leggere il futuro nel fegato degli animali sacrificati. Il colore e la presenza, o assenza, di macchie e malformazioni erano gli elementi che permettevano di interpretare la volontà divina. Il modello rinvenuto è una riproduzione piuttosto fedele del fegato di una pecora, con un lobo caudato e una vescica biliare stilizzati. La parte esterna del fegato si divide in due regioni, una favorevole e l’altra sfavorevole, e nella parte interna spiccano tre protuberanze con valore divinatorio. Il manufatto riporta incisi i nomi di diverse divinità etrusche e sul bordo esterno compaiono le sedici ripartizioni della volta celeste.

Sei caselle sul lato sinistro elencano una serie di divinità ctonie (della terra) e notturne, disposte intorno al simbolo della luna.

Processus pyramidalis. Una delle tre protuberanze a carattere divinatorio.

Processus papillaris. La protuberanza più rilevante. Riceveva il nome di caput iecinoris e la sua assenza indicava un presagio molto sfavorevole: annunciava infatti grandi sciagure.

Bordo diviso in 16 caselle, in esatta corrispondenza con la ripartizione del cielo per l’osservazione dei fulmini.

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Vesica fellea. Una delle protuberanze che un fegato perfetto doveva mostrare.

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LA MORTE ANNUNCIATA DI CESARE

Gli uccelli, messaggeri divini Per la richiesta di auspici si rispettava un procedimento ben disciplinato. I sacerdoti si posizionavano nell’auguraculum, uno spazio quadrangolare di piccole dimensioni, generalmente recintato e con un’unica entrata, e

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LE OCHE SACRE

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I volatili, consacrati alla dea Giunone, salvarono Roma con i loro starnazzi durante l’attacco dei galli al Campidoglio nel 390 a.C. Rilievo proveniente da Ostia.

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posto in cima a un colle. Al centro si innalzava una tenda o capanna, con all’interno una sedia in pietra su cui prendeva posto l’augure. Da qui tracciava con il lituo uno spazio celeste immaginario, o templum, e procedeva con l’osservazione. La richiesta si compiva all’alba e in assoluto silenzio. Qualsiasi rumore, la caduta di un oggetto, lo squittio di un topo o semplicemente un errore del celebrante nel recitare la formula annullava gli effetti del consulto. L’orientamento nord-sud ed est-ovest era fondamentale dato che divideva lo spazio celeste in quattro porzioni proiettate in forma immaginaria sulla terra, il templum terrestre. Forse guardando verso sud l’augure osservava gli uccelli entrare nel templum: quelli favorevoli venivano da sinistra, e quelli sfavorevoli da destra. Gli àuguri esaminavano non

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durante i comizi o una sessione al senato, bisognava interrompere immediatamente l’evento. Questo tipo di auspici poteva essere percepito e interpretato da chiunque. La seconda tipologia era costituita dagli auspici richiesti (auspicia impetrativa), ovvero compiuti da un magistrato con diritto di auspicio, come un console o un pretore. Era uno di loro a “osservare” o “ricevere il segno” inviato dagli dei, sempre con l’aiuto dell’augure che, in qualità di “esperto” o di “consigliere”, interpretava i segni diretti al magistrato. Il magistrato doveva pertanto sottostare ai responsi degli àuguri, con conseguenze rilevanti, dato che questi potevano paralizzare o ritardare i propri piani.

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GIULIO CESARE VIENE AVVERTITO DEL CATTIVO PRESAGIO NEL TRAGITTO VERSO IL SENATO. INCISIONE. XIX SECOLO.

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rima dell’assassinio di Giulio Cesare alle idi di marzo del 44 a.C., numerosi prodigi preannunciarono la sua morte. Secondo il De vita Caesarum di Svetonio «le mandrie di cavalli che aveva consacrato al dio del fiume quando attraversò il Rubicone, e che lasciava libere di correre, senza guardiano, si rifiutavano di nutrirsi e piangevano continuamente. Per di più, mentre faceva un sacrificio, l’aruspice Spurinna lo ammonì di “fare attenzione al pericolo che non si sarebbe protratto oltre le idi di marzo”». Alla vigilia delle idi Cesare ebbe altri cattivi presagi: «sognò di volare al di sopra delle nubi e di stringere la mano di Giove; la moglie Calpurnia sognò invece che crollava la sommità della casa e che suo marito veniva ucciso tra le sue braccia; poi d’un tratto, le porte della camera da letto si aprirono da sole».

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GLI ARUSPICI DELL’IMPERATORE

Il dipinto di Giovanni di Stefano Lanfranco riproduce la scena di un sacrificio animale davanti all’imperatore. Un sacerdote versa una libagione vicino al piccolo altare. Museo del Prado, Madrid.

solo il volo ma anche la specie di uccelli in questione. Gli alites (avvoltoio, aquila, falco), per esempio, esprimevano segnali attraverso il volo ed era importante considerare la “regione” in cui comparivano, l’altezza e le tipologie di volo, nonché il luogo in cui si posavano. Invece gli oscines (corvo, cornacchia, gufo) davano segni attraverso il canto e se ne valutava il tono, la direzione del suono o la frequenza. In entrambi i gruppi esisteva una gerarchia tra gli uccelli, in cui l’aquila e il picus (ovvero il picchio) assicuravano gli auspici più significativi. Gli auspici erano precettivi in numerose circostanze della vita dello stato romano. Si effettuavano, per esempio, nell’assunzione delle funzioni dei principali magistrati, come consoli, censori e tribuni militari. Nel caso di magistrati eletti, se gli auspici non erano favorevoli

L’A LTARE DEGLI DEI LARI

Le case custodivano un altare dedicato ai lari, divinità domestiche. In questo, appartenente ai Vettii, a Pompei, lo spirito del focolare (con la testa ricoperta da un velo), attorniato da due lari, sta per offrire un sacrificio.

bisognava rinunciare all’incarico, anche se comunque la consultazione si poteva ripetere un altro giorno. Cicerone ricorda la capacità degli àuguri di sciogliere le assemblee o il senato, di annullare le sessioni già iniziate e persino di riuscire a far sì che i consoli rinunciassero al loro mandato. Infatti, secondo Cicerone bastava una semplice formula: «A un altro giorno». Anche sul campo di battaglia era obbligatorio consultare gli auspici prima di entrare in combattimento. Tito Livio racconta che, durante la guerra tra Roma e la città etrusca di Veio, agli inizi del IV secolo a.C., l’esercito romano non poté sferrare l’attacco, nonostante gli etruschi aspettassero rinforzi, poiché il dittatore Camillo «fissava con insistenza la cittadella, da dove gli àuguri dovevano inviare il segnale convenuto, non appena i presagi fossero stati propizi». UIG / ALBUM

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IL RIFIUTO DEI POLLI DURANTE LA PRIMA GUERRA PUNICA il console Publio Claudio Pulcro,

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al comando della flotta romana in Sicilia, consultò i polli sacri per sapere se gli dei gli sarebbero stati favorevoli in battaglia. Nonostante gli sforzi dell’augure, i polli si rifiutarono di mangiare e il console, furioso, ordinò di gettarli in mare mentre esclamava: «Se non vogliono mangiare, che bevano!». Inutile dire che la battaglia fu persa.

Quando i romani cominciarono a combattere lontano dalle città, la comunicazione con gli àuguri diventò più difficile. Difatti, prima di partire per una campagna i generali disponevano una cerimonia nel Campidoglio che li legittimasse a consultare gli auspici di guerra fuori dai confini della città.

Tecniche di minor prestigio Nel I secolo a.C., l’ultimo della repubblica, la scienza augurale entrò in crisi o, forse, si trasformò per adattarsi ai nuovi tempi. Gli auspici tradizionali furono sostituiti dalla tecnica del tripudium, che consisteva nell’osservazione dell’appetito e del comportamento dei polli sacri. Se all’uscita dalla gabbia in cui erano rinchiusi i volatili mangiavano con avidità i chicchi appena gettati, e qualche granello si staccava dal becco e cadeva a terra, allora il presagio era favorevole. Se, al contrario, non avevano appetito o battevano le ali, il presagio era sfavorevole. La spiegazione del cambiamento risiede

probabilmente nella semplicità del nuovo metodo, in contrasto con la complessità dell’osservazione e interpretazione degli uccelli augurali. Al tripudium ricorrevano i capi militari e i magistrati che non avevano diritto di auspicio. Questi ultimi disponevano di un assistente per compiere l’osservazione, il pullarius. In quegli anni sembra che si consultassero i polli sacri in diverse occasioni, sul campo di battaglia o prima di iniziare una sessione in senato. La popolarità del metodo è dimostrata dal fatto che l’imperatore Augusto si facesse ritrarre con i polli sacri in opere come il Cammeo di Colonia o nell’altare dei

I POLLI SACRI

Nell’incisione in alto, intitolata L’antica Roma: l’oracolo dei polli sacri (Heinrich Leutemann, 1866), due pontefici con la testa ricoperta dal velo e due militari in attesa scrutano il comportamento dei volatili.

Alcuni uccelli esprimevano segnali in volo, altri con il canto, del quale si valutava il tono, il suono e la frequenza STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL MONTE PALATINO

In epoca imperiale il colle diventò la residenza ufficiale degli imperatori. Era uno dei luoghi in cui si realizzavano le augurationes attraverso l’osservazione degli uccelli.

lari del Vicus sandalarius, quartiere dei fabbricanti di sandali a Roma. Ciononostante, erano in molti a sostenere che questo metodo non avesse lo stesso valore degli auspici tradizionali. Cicerone, che oltre a essere un politico e filosofo era anche un augure, lamentava che non si osservassero più a cielo aperto uccelli nobili e grandi come l’aquila ma semplici polli chiusi in gabbia.

Agli inizi del II secolo a.C. il senato importò a Roma una nuova categoria di indovini: gli aruspici etruschi. Si tratta di un caso eccezionale, difatti poche società antiche concedevano a un sacerdote di nazionalità straniera — in questo caso etrusca — di partecipare alle questioni religiose e politiche nazionali, in più Roma e l’Etruria erano state potenze nemiche irreconciliabili per oltre due secoli. Il sacerdozio degli aruspici era prestigioso e inizialmente era legato alle famiglie aristocratiche etrusche, sostituite con il passare

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Indovini etruschi

del tempo da aruspici di origine romana o latina che agivano come consiglieri di governatori provinciali e imperatori, funzionari delle città o indovini dell’esercito romano. Gli aruspici utilizzavano tre tecniche divinatorie: l’aruspicina o osservazione delle viscere delle vittime sacrificali, l’interpretazione del significato dei fulmini e l’interpretazione di fenomeni quali terremoti, eclissi solari, passaggio di comete, nascita di bambini con malformazioni o di animali con due teste... Gli aruspici diventarono famosi per tutte e tre le tecniche ma la più importante fu senza dubbio l’aruspicina. Questa pratica divinatoria incentrava l’attenzione sul fegato, una delle sei viscere estratte dall’animale (le altre erano milza, stomaco, reni, cuore e polmoni). Anzitutto, si osservava la posizione all’interno del corpo e, dopo l’estrazione, si analizzavano il colore e l’aspetto esterno. STATUETTA IN BRONZO CHE RAPPRESENTA UN ARUSPICE ETRUSCO. IV SECOLO A.C. MUSEO GREGORIANO ETRUSCO, VATICANO.

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SCALA, FIRENZE WORLD TRAVEL LIBRARY / AGE FOTOSTOCK

IL COLLEGIO DEGLI ARUSPICI

Con una postura rituale caratteristica, l’aruspice teneva il fegato nella mano sinistra e lo palpava con la destra mentre poggiava il piede sinistro su una roccia. Il fegato doveva orientarsi sempre verso sud. Per determinare la divinità corrispondente e il significato di qualsiasi anomalia o deformità l’indovino era solito servirsi di uno strumento ausiliario, un fegato di bronzo di piccole dimensioni come il “fegato di Piacenza”. Ritrovato nel 1877, presenta i nomi delle divinità iscritti nei“registri”o“caselle”(sedes deorum) nelle diverse sezioni dell’organo. Nel I secolo a.C. furono introdotte altre forme di divinazione provenienti dall’estero, ovvero l’astrologia, l’interpretazione dei sogni o le tecniche profetiche di engastrymithoi (ventriloqui) e harioli (indovini). In epoca imperiale si diffusero profezie e oracoli, con circoli di profete germane (Veleda, Ganna, Aurinia) o druidi galli (Maricco) che annunciavano la fine di Roma. Quando il tempio di Giove Capitolino subì un nuovo

NEL 47 L’IMPERATORE CLAUDIO presentò al senato una petizione per

chiedere la protezione della disciplina divinatoria dell’aruspicina, di origine etrusca. Tacito spiega negli Annali: «[Claudio] riferì poi in senato sul collegio degli aruspici, onde impedire la scomparsa, per incuria, di un sapere antichissimo in Italia». Fu pertanto promulgato un decreto per preservare e rafforzare la disciplina.

incendio nel 69 d.C., i druidi interpretarono il fuoco come un segno della collera degli dei e profetizzarono non solo l’imminente fine dell’impero, ma anche la nuova egemonia dei galli. Tuttavia, àuguri e aruspici mantennero le loro funzioni fino alla fine dell’impero. Ancora nel 410 d.C. offrivano i loro servigi al prefetto di Roma per frenare l’invasione dei barbari di Alarico richiamando i fulmini contro l’esercito nemico. Quella volta il tentativo non funzionò.

I SAGGI ETRUSCHI

Un augure etrusco appare raffigurato nella tomba degli àuguri, nella necropoli di Tarquinia. La disciplina divinatoria etrusca godette di grande prestigio nell’antica Roma.

SANTIAGO MONTERO UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID

Per saperne di più

TESTI

Della divinazione. Cicerone. Garzanti, Milano, 2012. SAGGI

La divinazione nell’antichità Raymond Bloch. Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1995. La religione romana arcaica. Georges Dumézil. BUR, Milano, 2001. La trama segreta del mondo. Giulio Guidorizzi. Il Mulino, Bologna, 2015.

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LA CACCIA SELVAGGIA DI ODINO

Con questo titolo, Peter Nicolai Arbo rappresentò nel 1872 un mito del folklore norreno, la spettrale battuta di caccia a cui presero parte sia gli dei nordici sia i guerrieri defunti. National Museum of Art, Architecture and Design, Oslo. JACQUES LATHION / NASJONALMUSEET, OSLO

L A R E LIG IO N E D E I V IC H I N G H I

IL REGNO D Le storie dell’antica mitologia scandinava provengono soprattutto dai

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DI ODINO testi scritti nell’Islanda cristiana del XIII secolo

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LA NATURA E GLI DEI

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Il potente artiglio e il forte becco accentuano la ferocia dell’aquila, animale legato al culto di Odino. Il reperto ritrovato in Svezia e realizzato in bronzo dorato faceva parte dei finimenti di un cavallo.

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PAGANI E CRISTIANI. SULLA PORTA DELLA CHIESA DI HYLESTAD, IN NORVEGIA, FURONO INCISI EPISODI DELLA VITA DELL’EROE SIGURD, CHE SNORRI STURLUSON RACCONTÒ NELL’EDDA IN PROSA.

el suo bel palazzo Aegir, dio del mare, allestì una grande festa per riunire gli dei, ai quali servì la sua famosa birra. Durante il banchetto Loki – divinità enigmatica, ambigua e affine al mondo del caos –inveì contro i presenti. Accusò Iduun, custode delle mele magiche che preservano la gioventù degli dei, di una lussuria sfrenata e di aver giaciuto persino con l’assassino del fratello. E oltraggiò Odino, padre degli dei e protettore del Valhalla, luogo abitato dai guerrieri morti in battaglia. Anche Freyja, dea della bellezza, dell’amore e della lussuria, nonché dea guerriera che accoglieva nel suo palazzo i caduti in battaglia, fu oggetto di insulti. Poi toccò a Tyr, dio della giustizia; a Njörd, dio della fecondità e del mare, e a Freyr, dio della fertilità e fratello di Freyja. Com’era prevedibile, l’incontro non finì bene. All’arrivo di Thor, figlio di Odino e di Frigg, Loki fu costretto a fuggire. L’accalorata discussione tra gli dei viene descritta in un poema della mitologia nordica chiamato Lokasenna o Disputa di Loki. A differenza della mitologia clas-

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sica (che gli stessi greci e romani tramandarono per iscritto), i miti nordici vennero plasmati su carta quando per i vichinghi era già iniziato il percorso di assimilazione al cristianesimo e, in una società ormai pienamente convertita, il paganesimo era associato alla superstizione. Il termine “vichinghi” era utilizzato dai cronisti europei per indicare i popoli scandinavi che tra l’VIII secolo e la metà dell’XI esploravano mari e fiumi per commerciare o colonizzare altre terre. Questi popoli non erano dediti solo ai saccheggi, come viene raccontato negli scritti medievali e nei testi raccolti dagli storici in fasi successive: è vero che assaltavano monasteri, ma al contempo commerciavano anche in Spagna o nelle isole britanniche. A mano a mano che entravano in contatto con le società cristiane, le loro credenze ne assorbivano gli elementi culturali. Perciò appare complesso comprenderne con esattezza la visione del mondo e la religione.

I miti nordici I miti nordici, nella forma a noi pervenuta, risalgono al XIII secolo e furono trascritti in Islanda, paese che i norreni avevano colonizzato nel IX secolo. Non si tratta delle saghe originarie raccontate dai vichinghi ma di quanto restava dell’antica mitologia nordica quattrocento anni dopo il loro arrivo nell’isola. La versione narrativa è racchiusa in due opere fondamentali che condividono lo stesso titolo, Edda, termine di origine sconosciuta e forse derivante da óthr, ovvero “poesia” in islandese antico. L’autore dell’Edda in prosa è il sacerdote islandese Snorri Sturluson (1178-1241). L’intento primario del testo, più che spiegare i miti nordici, era quello di preservare la conoscenza e l’arte poetica degli scaldi. Questi ultimi erano i poeti presso le corti dei re scandinavi e nelle composizioni utilizzavano le kenningar, metafore molto elaborate che, per essere comprese, richiedevano un’adeguata conoscenza della mitologia. Ad esempio, il “sangue di Kvasir” è l’idromele, bevanda degli dei, che in uno dei miti prendeva questo nome perché la sostanza era composta dal miele e dal sangue di un personaggio chiamato Kvasir, che era stato ucciso da due nani. L’altra fonte narrativa

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C R O N O LO G I A

LA FINE DEGLI ANTICHI DEI 793 Il saccheggio del monastero di Lindisfarne, a nord della Gran Bretagna, rappresenta la prima incursione dei vichinghi in Europa.

947 La Norvegia adotta il cristianesimo. La Danimarca lo farà poco tempo dopo, tra il 950 e il 983.

1000 Colonizzata dai norreni nel IX secolo, l’Islanda adotta la religione cristiana. Le credenze religiose vichinghe iniziano a indebolirsi.

1220 Intorno a questa data il sacerdote islandese Snorri Sturluson scrive l’Edda in prosa, opera che racchiude antichi miti nordici.

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FLATEYJARBÓK, REDATTO IN ISLANDA INTORNO AL 1390, RACCONTA LE SAGHE DEGLI ANTICHI RE NORRENI.

ELMO SVEDESE IN BRONZO RISALENTE ALL’ERA DI VENDEL (VII SECOLO), CHE PRECEDE L’ERA VICHINGA. WERNER FORMAN / GTRES

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THOR, IL PIÙ FORTE TRA GLI DEI

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hor, figlio di Odino e della dea Frigg, è il più forte tra tutti gli dei e spesso li protegge dalla minaccia di altri esseri come i giganti. Thor combatte con il suo martello, chiamato Mjolnir, che fa tremare la terra e scatena i tuoni. Numerosi ritrovamenti di amuleti e ciondoli a forma di martello dimostrano il culto associato alla fertilità e alla guarigione. Alcuni incantesimi, difatti, invocano Thor per curare le ferite. Nonostante disponga di molti oggetti magici simili a Mjolnir, la sua peculiarità è la forza fisica. Uno degli episodi più conosciuti che riguarda il dio è la lotta con il serpente che circonda Midgard (la terra degli umani): Thor riuscirà a tirarlo fuori dall’oceano dopo avergli lanciato un’esca che l’ingordo serpente aveva morso non appena gli era stata porta.

AMULETO CON LA FORMA DEL MARTELLO DI THOR, RISALENTE ALL’XI SECOLO E REALIZZATO IN ORO E ARGENTO. SWEDISH HISTORY MUSEUM, STOCCOLMA.

INTERFOTO / AGE FOTOSTOCK

LA RICCHEZZA DI UN GUERRIERO

principale è nota come Edda poetica ed è una raccolta di poemi mitologici ed eroici tratti da manoscritti di varie epoche, il più antico dei quali è il Codex Regius, datato intorno al XIII secolo.

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Risalente al X o all’XI secolo, la spada fu rinvenuta in Svezia. I vichinghi erano al contempo commercianti e briganti, La religione dei vichinghi in un’epoca in cui Per la mentalità cristiana non è facile comcommercio e pirateria prendere come una religione possa onorasi confondevano.

re divinità adultere, codarde o avide quali i protagonisti della grossolana disputa del banchetto nel palazzo del dio Aegir. O come sia possibile mostrare un dio principale, il “padre di tutti”, umiliato da un altro come accade nell’episodio tra Loki e Odino. Le relazioni appaiono complesse e anche i confini tra le varie divinità non sono chiari. Difatti, gli dei collegati al mare sono tre: Aegir, Rán e Njörd, così come Odino, Thor e Freyja sono legati alla guerra e alla morte. Probabilmente nella volontà di capire i miti degli antichi, i sacerdoti medievali applicavano spesso un’interpretazione basata sulla mitologia classica e seguivano l’esempio dello storico romano

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Tacito che, nell’opera Germania, identificava Odino con Mercurio. Come dimostrano i toponimi della geografia scandinava, è molto probabile che i vichinghi adorassero gli dei tramandati nei racconti della mitologia. Molti sono i nomi di luoghi derivati dal culto di Odino, come la città danese di Odense, o da Thor, come l’isola svedese di Torsö, ovvero “l’isola di Thor”. Altri luoghi hanno preso invece il nome di divinità raramente nominate negli scritti ma che, nel passato, furono di certo molto venerate, come il dio Ullr. Dalle fonti scritte, sul suo conto sappiamo solo che era un ottimo arciere e sciatore, eppure è presente in numerosi toponimi in Norvegia e in Svezia. Ma allora la mitologia nordica è solo un’invenzione dei sacerdoti cristiani medievali, che nulla ha a che vedere con la religione dei vichinghi? Certamente no. È stato dimostrato che la data di creazione di molti poemi dell’Edda poetica è precedente alla data delle trascrizioni. In realtà, il passato pagano è sopravvissuto durante e oltre il Me-

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RAPPRESENTAZIONE DELLA COSMOLOGIA VICHINGA SECONDO FRIEDRICH NOACK. ASGARD, LA RESIDENZA DEGLI DEI, SI TROVA AL CENTRO. INCISIONE DEL 1887.

SOPRA: SAMMLUNG RAUCH / AGE FOTOSTOCK. SOTTO: BRIDGEMAN / ACI

I NOVE MONDI DELL’UNIVERSO LA COSMOLOGIA NORDICA si articola intorno a nove mondi uniti tra di loro e che comunicano e si collegano attraverso un rigoglioso frassino chiamato Yggdrasill. Ogni mondo ospita le diverse specie che abitano lo spazio mitico. Nel punto più alto si trova Asgard, regno degli dei. Più in basso c’è Midgard, la terra di mezzo e dimora degli uomini, circondata dall’oceano e sorvegliata da un enorme serpente. Nel regno di Jötunheim, invece, abitano i giganti di ghiaccio. Le radici di Yggdrasill sono bagnate

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da due fonti: una di acque sapienti vigilata dal gigante Mimir e l’altra, detta Udr, abitata dalle norne. Le norne sono spiriti, disir, responsabili del destino dell’umanità. I loro nomi indicano il passato (Urdr), il presente (Verdandi) e il futuro (Skuld). Uno dei loro compiti è far sì che il frassino non marcisca né si secchi. Nei pressi delle radici, minacciato costantemente dal drago Nidhogg, si trova Niflheimr, “il regno dell’oscurità”: governato dalla dea Hel, vi dimorano coloro che non sono morti in

battaglia. Niflheimr, dominato da gelo e freddo, e Muspelheim, dove regnano fuoco e calore, sono i mondi primordiali da cui tutto nasce. Infine, la parte più alta dell’albero è abitata da una misteriosa aquila, mentre il tronco è percorso continuamente dallo scoiattolo Ratatoskr che porta messaggi da un mondo all’altro. TESTA DI GUERRIERO VICHINGO. SCULTURA IN CORNO DI ALCE PROVENIENTE DA SIGTUNA (SVEZIA).

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UN FUNERALE VICHINGO SECONDO UN TESTIMONE OCULARE NELLA CRONACA DI VIAGGIO nota come Risala, l’arabo Ahmad ibn Fadlan racconta che nel 922, durante un viaggio diplomatico teso a stringere contatti tra la città di Baghdad e il re dei bulgari del Volga, la carovana in cui viaggiava venne assaltata da un gruppo di vichinghi. In quell’occasione Ahmad ibn Fadlan si trovò a partecipare al funerale di un “uomo illustre”. Secondo quanto racconta, l’imbarcazione del defunto fu trascinata verso terra. All’interno venne allestita una tenda dove adagiarono il corpo, lavato e lussuosamente vestito, e le armi. Tutt’intorno furono disposte le offerte alimentari. Nel

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frattempo iniziava il rito sacrificale di vari animali, i cui resti venivano gettati sulla nave. Una delle schiave del defunto si offrì volontaria per morire con lui e si unì ai festeggiamenti, che durarono dieci giorni. Il giorno del funerale, gli uomini fecero visita alla schiava e, uno dopo l’altro, la stuprarono. La trascinarono sulla nave, dove la spogliarono dei suoi gioielli, e poi la condussero nella tenda insieme al padrone morto. Lei oppose resistenza e loro la violentarono di nuovo. Una donna anziana, definita nella storia “l’angelo della morte”, la uccise con un coltello. La nave fu poi bruciata e sepolta sotto un tumulo.

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NAVE FUNERARIA DI UN PRINCIPE VARIAGO (VICHINGO SVEDESE) IN TERRA SLAVA, RICREATA DA HENRYK SIEMIRADZKI (1843-1902).

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Ciondoli in argento appartenenti a un tesoro sotterrato verso l’anno mille. Provengono dall’isola svedese di Gotland. Swedish History Museum, Stoccolma.

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dioevo. Ne sono prova i testi della mistica cristiana Brigida di Svezia, del XIV secolo, che denunciava con preoccupazione questi culti e avvertiva della necessità di limitare la diffusione di storie sugli elfi, una delle specie che apparteneva al mondo mitologico scandinavo. In altri casi, le vicende note mediante la mitologia sono confermate da ritrovamenti archeologici, come ad esempio le pietre runiche. Le rune erano il sistema di scrittura utilizzato dai popoli germanici e, di conseguenza, dai vichinghi sin dall’anno 150 d.C. La maggior parte delle pietre runiche che si sono conservate risalgono all’epoca vichinga e ricordano coloro che parteciparono alle spedizioni commerciali o ai saccheggi. In molti casi presentano soltanto l’iscrizione e pochi elementi decorativi. In altri, invece, si riscontra la combinazione di

simboli cristiani e pagani. Esempi dell’ultimo caso sono la pietra di Ledberg, in Svezia, o la croce di Thorwald, sull’isola di Man (tra la Gran Bretagna e l’Irlanda), che sembra rappresentino il momento del Ragnarök in cui il lupo Fenrir attacca Odino.

Il Ragnarök e il Valhalla Reso popolare da Richard Wagner come il “crepuscolo degli dei”, il Ragnarök comprende una serie di avvenimenti raccontati da diverse fonti e poi raccolti nell’Edda poetica. Lo scontro finale, influenzato dall’apocalisse cristiana, conduce alla distruzione degli dei e alla rinascita di una nuova generazione di divinità. Il Ragnarök scatena una lotta tra creature mitologiche che vede schierati, da una parte, gli dei e i guerrieri morti, scelti per il Valhalla; dall’altra, gli avversari, capeggiati da Loki e i giganti. Il lupo Fenrir, figlio di Loki, lotterà al suo fianco in battaglia e ucciderà Odino. L’archeologia offre ulteriori elementi della vita quotidiana dei vichinghi che, verosimilmente, confermano la credenza in ele-

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EFFIGI DI EROI VICHINGHI

JIM NIX / GETTY IMAGES

LYSEFJORD. QUESTO FIORDO NORVEGESE SI TROVA NEI PRESSI DELLA CITTÀ DI STAVANGER, A SUD-OVEST DEL PAESE. OLTRE L’ISLANDA, I VICHINGHI NORVEGESI COLONIZZARONO LA GROENLANDIA E GIUNSERO IN TERRA AMERICANA.

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L’ARRIVO AL VALHALLA? La pietra di Tjängvide, come suggeriscono le rune ancora leggibili in superficie, fu eretta in memoria di un tale Jórulfr, probabilmente dopo la sua morte. Questo spiegherebbe la rappresentazione, nella parte superiore, di quella che sembra una scena del Valhalla: un cavaliere giunge alla dimora di Odino e viene ricevuto da una valchiria, che gli offre un corno colmo di idromele. Secondo alcuni studiosi, il cavaliere sarebbe Odino perché il cavallo sembra avere otto zampe come l’animale della divinità, Sleipnir. Nel pannello inferiore compare la riproduzione di una nave vichinga, a voler suggerire che Jórulfr partecipò a qualche spedizione. Swedish History Museum, Stoccolma.

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I R ACCO N T I DELLE

EDDE COLONIZZATA dai vichinghi norvegesi sin dal IX secolo, l’Islanda conservò le tradizioni orali della mitologia nordica. Nel XIII secolo fu compilata l’ Edda poetica o Edda maggiore, una raccolta di poesie su divinità ed eroi. Invece, al poeta e storico Snorri Sturluson (1178-1241) viene attribuita la scrittura dell’Edda in prosa o Edda minore, una sorta di manuale destinato a scaldi o poeti che fornisce le conoscenze dell’antica mitologia necessarie per comporre poesia. Dalle opere, soprattutto dall’Edda minore, proviene la nostra visione dei miti vichinghi, preservata prima che la nuova religione la seppellisse per sempre nell’oblio. Queste illustrazioni sono tratte dalle versioni delle Edde del XVIII.

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Gli dei cercano di legare Fenrir, il lupo che ucciderà Odino nel Ragnarök (l’apocalisse scandinava), con un inganno. Fenrir accetta a condizione che una divinità metta una mano nella sua bocca. Tyr accoglie la richiesta e il lupo gli strappa via l’arto appena si rende conto di essere stato raggirato perché in realtà i suoi lacci sono una corda magica.

FOTO: AKG / ALBUM. ILLUSTRAZIONI, IN SENSO ORARIO: AKG / ALBUM; BRIDGEMAN / ACI; AKG / ALBUM; AKG / ALBUM; MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

IL LUPO FENRIR DIVORA ODINO DURANTE IL RAGNARÖK (A DESTRA), ACCANTO A UNA CROCE (A SINISTRA). RILIEVO DELLA CROCE DI THORWALD DELLA CHIESA DI ANDREAS, NELL’ISOLA DI MAN, SITUATA TRA L’INGHILTERRA E L’IRLANDA.

Tyr e Fenrir

Odino

L’astuto padre degli dei estrae l’idromele, la bevanda divina che ruba al gigante Suttung perforando la roccia fino a giungere dove costui la conserva gelosamente.

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Loki

Uno degli asi (signori assoluti del cielo), è splendido ma cattivo. Dall’unione con la gigantessa Angrboda nascono il lupo Fenrir, il serpente Jormungand e Hel, dea degli inferi. Gli dei lotteranno contro i tre mostri durante il Ragnarök.

Heimdall

All’inizio del Ragnarök, la divinità soffia nel suo corno Gjallarhorn (che si sente in tutti i mondi) per avvertire gli dei.

Ullr

Figlio di Sif e figliastro di Thor, è di bell’aspetto, ha le virtù di un guerriero ed è un ottimo arciere e sciatore. Nessuno può competere con lui.

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LA FINE E L’INIZIO DEL MONDO

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THOR (NELL’IMMAGINE) MUORE DURANTE IL RAGNARÖK, QUANDO IL SERPENTE JORMUNGAND, ORMAI QUASI DOMATO, SOFFIA UN VELENO CHE LO UCCIDE.

ella mitologia nordica il Ragnarök è la fine del mondo. La catena degli eventi che conduce all’apocalisse comincia con la morte del figlio di Odino e di Frigg, Balder, architettata da Loki. A quel punto cala un lungo inverno, il Fimbulvetr. Il sole e la luna vengono divorati dai lupi mentre un terremoto scuote la terra. Le forze del caos si preparano per la battaglia finale, a cui si uniscono il lupo Fenrir, il serpente che circonda la terra di mezzo, Loki e altre creature. Il gigante del fuoco Surt causa gli incendi che ingoiano la terra. Ma ogni fine è un nuovo inizio, secondo la concezione ciclica del tempo. Dopo la distruzione emerge una nuova terra, fertile e giusta, insieme a Balder, rinato come figura decisiva. Le descrizioni del nuovo mondo ricordano le immagini medievali della terra promessa o del paradiso.

THE MAAS GALLERY, LONDON / BRIDGEMAN / ACI

UN GIOIELLO VICHINGO

La spilla Pitney, realizzata in rame dorato, mostra in forma stilizzata un animale che combatte con un serpente che morde al collo la sua preda. XI secolo. British Museum, Londra.

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menti peculiari, come il Valhalla. Quello che potrebbe essere descritto come il paradiso norreno è immaginato come un palazzo dove, per tutto il giorno, i guerrieri caduti in combattimento e scelti da Odino, gli einherjar, si preparano a lottare. Coloro che sono morti durante lo scontro tornano in vita di notte e si uniscono ai festeggiamenti voluti dal signore dei cieli. Inoltre, era proprio Odino a selezionare le migliori donne e i migliori uomini caduti in battaglia. Nella scelta degli eletti poteva contare sull’aiuto delle valchirie, dee guerriere alate (diventate famose anche grazie all’opera la Cavalcata delle valchirie di Wagner) che conducevano i guerrieri fino al palazzo e che, durante la festa notturna, gli servivano l’idromele. Sono stati ritrovati molti monili – probabilmente usati come ciondo-

li – raffiguranti una donna che offre corni di idromele, forse proprio una valchiria. Ma un simile rituale veniva compiuto anche dalla consorte del re o del capo per rinsaldare il vincolo con i propri guerrieri. I ciondoli potrebbero essere collegati a questa cerimonia più che a una rappresentazione delle valchirie.

L’aldilà dei vichinghi Due aspetti tangibili della religione dei vichinghi sono l’esistenza di un aldilà e di un culto funerario che comprende il rito dei sacrifici umani. Queste pratiche vengono descritte nei racconti e confermate dai ritrovamenti archeologici. Una delle fonti è opera sempre di Snorri Sturluson (l’autore dell’Edda in prosa), che riporta gli episodi in una cronaca sui re scandinavi, l’Heimskringla. Secondo il testo, Odino instaurò una legge che disponeva la cremazione dei morti insieme ai propri beni, affinché le ricchezze li accompagnassero nel Valhalla. Le ceneri dovevano essere gettate in mare oppure sepolte. Per

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Il frassino Yggdrasill e il lupo Fenrir compaiono in questa illustrazione di un manoscritto islandese del XVII secolo, conservato presso l’Istituto Árni Magnússon di studi islandesi, a Reykjavík.

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ARNI MAGNUSSON INSTITUTE, REYKJAVIK / BRIDGEMAN / ACI

IL LUPO E L’ALBERO

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ALAMY / ACI

UNA TOMBA DEL IX SECOLO

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Nel 1903 iniziarono gli scavi del tumulo di Oseberg (sopra), in Norvegia. In una buca con un diametro di 40 m furono rinvenuti due scheletri di donna, una nave intera e un imponente corredo funerario.

TESTA DI DRAGO RITROVATA NEL TUMULO DI OSEBERG, DECORATA CON SPUNTONI DI STAGNO. GLI OCCHI E LE ZANNE SONO REALIZZATI CON PLACCHE DI METALLO.

tutti gli uomini “illustri” venivano erette tombe monumentali commemorative. E a chi dimostrava grandi qualità venivano riservati monumenti in pietra. L’altra fonte è Risala, un resoconto di viaggio di Ahmad ibn Fadlan, un viaggiatore e scrittore arabo del X secolo che, dopo un incontro con i vichinghi nel Volga, descrive dettagliatamente un rito funerario. Il viaggiatore si riferisce al defunto quasi con le stesse parole utilizzate da Snorri: in questo caso si tratta del cadavere di “un uomo illustre” che, dopo dieci giorni di celebrazioni, viene deposto su una nave insieme a parte delle sue ricchezze e a una schiava che viene violentata e uccisa. Dopo la cremazione le ceneri di entrambi vengono tumulate. Indipendentemente dal fatto che la credenza nell’aldilà fosse legata al Valhalla o meno, il culto e la memoria funeraria sembrano essere stati fondamentali per la religione vichinga. Inoltre,

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la devozione per le varie divinità era radicata nella natura e nel paesaggio. Le pietre runiche erette in memoria dei morti spesso celebravano anche la costruzione di un ponte. I racconti fantastici da cui proviene il materiale mitologico scandinavo alla fine del Medioevo e all’inizio dell’Età moderna trasformeranno questi tumuli in luoghi di incontro dei morti (in realtà dei non morti), che possono tornare per regolare i conti con i vivi o persino per risolvere questioni amorose rimaste in sospeso, come narra una composizione dell’Edda. L’archeologia dimostra che le pratiche funerarie descritte da Snorri e ibn Fadlan convivevano con riti diversi, come la sepoltura di intere navi non cremate. Altre volte, invece, le camere funerarie venivano collocate sotto tumuli circondati da pietre allineate a forma di nave, o si preferiva la semplice inumazione (sepoltura del cadavere). Queste varianti vanno comprese all’interno di un quadro religioso privo di una gerarchia stabilita. Oltre alle differenti sepolture, esistevano con molta probabilità delle varianti nella forma di adorare gli dei, i cui nomi sono forse l’unico vestigio chiaro che ci permette di comprendere la religione dei vichinghi. Tutto il resto appartiene al mito, separato ormai dai riti originari. La mitologia nordica ci dà indizi per interpretare il passato, ma conosciamo gli antichi dei soprattutto attraverso la mediazione degli autori cristiani islandesi del XIII secolo che scrivevano sui propri avi. Le storie di Odino, Thor e Loki continuano ad affascinare, ma il significato profondo che queste divinità avevano per i popoli vichinghi e il modo in cui gli rendevano culto non sono verità storica, bensì oggetto di continua interpretazione. DAVID CARRILLO RANGEL UNIVERSITÀ DI BARCELLONA

Per saperne di più

TESTI

Edda Snorri Sturluson. Adelphi, Milano, 2003. SAGGI

I miti nordici Gianna Chiesa Isnardi. Longanesi, Milano, 2012. I vichinghi Bernard Marillier. L’età dell’Acquario, Torino, 2017.

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MITI ETERNI

Odino si congeda dalla valchiria Brunilde in una scena tratta dalla tetralogia operistica L’anello del nibelungo di Richard Wagner, che nel XIX secolo divulgò la mitologia nordica. WHITFORD FINE ART / BRIDGEMAN / ACI

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PALAZZO DI SCHÖNBRUNN

Nel 1786 l’imperatore del Sacro romano impero e arciduca d’Austria Giuseppe II commissionò a Mozart una breve opera, L’impresario teatrale, perché fosse rappresentata nella residenza estiva della famiglia imperiale, nei dintorni di Vienna. MIRAU RAINER / FOTOTECA 9X12

MOZART A VIENNA La lotta di un genio per la consacrazione

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Stanco di essere trattato dai suoi datori di lavoro aristocratici come un servo, a 25 anni Mozart decise di trasferirsi a Vienna e vivere esclusivamente del proprio talento. I concerti e le composizioni ammaliarono gli intenditori, ma non furono sempre sufficienti a sbarcare il lunario. Una malattia stroncò la sua carriera a 35 anni

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I

l 17 marzo del 1781 Mozart scrisse al padre. Fu l’unica volta che si rivolse a Leopold in un modo così affettuoso: «Mon très cher ami!», esordiva. Tutta la lettera denotava uno stato di eccitazione. Il giovane compositore era appena giunto a Vienna al seguito del suo datore di lavoro, l’arcivescovo Colloredo. Non era la prima volta che Mozart si recava nella capitale. Infatti c’era già stato in almeno due occasioni: da bambino, All’epoca Vienna aveva circa duecento mila abitanti e una chiara vocazione cosmopolita, con cittadini che provenivano da tutte le regioni dell’impero. La città era una potente calamita per qualsiasi musicista. Tutte le classi sociali godevano e coltivavano la musica. Erano frequenti i concerti in case private e in luoghi pubblici, sia in spazi chiusi sia all’aperto. La nobiltà commissionava composizioni per le feste e tra i suoi membri molti dilettanti o appassionati erano in cerca di maestri di musica. In ambito operistico predominava il gusto italiano, ma al tempo stesso si coltivavano forme di teatro musicale di carattere più popolare, in tedesco o in dialetto viennese. Una simile richiesta creava naturalmente un eccesso di offerta. Nessun luogo attirava così tanti musicisti in cerca di fortuna e la competizione era feroce.

La dignità del musicista Sedotto da Vienna, Mozart si mostrava ogni giorno più insofferente per l’atteggiamento di Colloredo, arcivescovo di Salisburgo e suo datore di lavoro. Nel 1781 le tensio-

FRANCO COGOLI / FOTOTECA 9X12

quando a sei anni aveva suonato per l’imperatrice Maria Teresa, e poi da giovane promettente, quando aveva cercato, invano, di far rappresentare la sua opera La finta semplice. Nel momento in cui scriveva al padre Mozart aveva 25 anni e contemplava Vienna con altri occhi. La città lo abbagliava per l’ampiezza delle strade, la moltitudine di gente e la ricchezza delle attività che offriva. Non era paragonabile all’ambiente provinciale e angusto di Salisburgo, città natale e luogo in cui aveva iniziato la sua carriera di musicista. Le successive lettere al padre pullulano di nomi nuovi: la famiglia Mesmer, il barone Braun, il conte Cobenzl, la contessa von Rumbeke, la pittrice Rosa Hagenauer-Barducci… Davanti a lui si apriva un’inedita dimensione fatta di nuovi contatti e di possibilità. Per la prima volta si sentiva compreso («Qui tutti ascoltano la musica in silenzio») e pensava di trovarsi nel suo ambiente.

C R O N O LO G I A

1756

1781

Wolfgang Amadeus Mozart nasce a Salisburgo. Il padre, violinista, lo indirizza verso la carriera musicale dalla precoce età di tre anni.

Rompe con il datore di lavoro, l’arcivescovo di Salisburgo, e decide di vivere di composizioni, concerti e lezioni di piano.

XXXXX

ALLA CORTE IMPERIALE

MOZART. RITRATTO DEL 1819. MUSIKVEREIN, VIENNA.

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ERICH LESSING / ALBUM

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VISTA DI SALISBURGO

Nel XVIII secolo la città natale del compositore aveva appena diecimila abitanti, ma offriva discrete opportunità per i musicisti, soprattutto in ambito religioso.

1784

1786

1790

1791

Si affilia a una loggia massonica di Vienna ed entra in contatto con personalità celebri della massoneria locale.

Va in scena con grande successo Le nozze di Figaro, la prima delle tre opere che creerà con il librettista Lorenzo Da Ponte.

La salita al trono di Leopoldo II priva Mozart del già limitato appoggio che la corte imperiale gli aveva concesso fino ad allora.

Poco dopo la messa in scena di Il flauto magico, e senza aver concluso il Requiem, Mozart muore di insufficienza renale.

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La moglie Constanze Weber

DEA / SCALA, FIRENZE

OPO AVER ROTTO con il datore di lavoro, Colloredo,

Mozart andò a vivere in affitto a casa della famiglia Weber. Lì strinse amicizia con una delle figlie, Constanze, a cui ben presto fece una proposta di matrimonio. Constanze sosteneva che Wolfgang si fosse innamorato di lei quasi nello stesso momento in cui, nel 1778, era stato respinto da sua sorella Aloisia. Pare infatti che il compositore fosse stato dapprima interessato alla sorella maggiore di Constanze la quale, però, aveva finito per sposare un altro musicista. Wolfgang e Constanze si sposarono il 4 agosto 1782. Forse per adempiere a una promessa fattale durante il fidanzamento, Mozart le dedicò l’aria K.440 (K.383h). La coppia ebbe sei figli, quattro dei quali morirono durante l’infanzia. Nel 1809 Constanze si risposò con un diplomatico danese. Morì all’età di ottant’anni, nel 1842. CONSTANZE MOZART NEL 1785. MOZARTEUM, SALISBURGO.

MOZART IN CONCERTO

Nel 1789 Mozart tenne un concerto a Lipsia: si trattava di tre sinfonie e due concerti per pianoforte, tutti opere sue. LEBRECHT / ALBUM

ni tra i due si fecero sempre più evidenti. Mozart si lamentava di venir pagato poco e di essere trattato come un servo. Dal canto suo, l’arcivescovo non era disposto a consentire il comportamento arrogante di un subordinato. La rottura si ebbe a giugno quando, di fronte all’ennesima rimostranza, il ciambellano di Colloredo, il conte Arco, mandò via a calci il compositore. Era il punto di non ritorno. A partire da quel momento Mozart avrebbe intrapreso una carriera di musicista indipendente, con tutti i rischi che la decisione comportava. La principale fonte di entrate per un musicista senza un impiego stabile era la nobiltà. Le case aristocratiche accoglievano concerti in cui Mozart poteva partecipare nel duplice ruolo di pianista e di compositore. L’altra possibilità era l’insegnamento. I

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rampolli della nobiltà e delle classi alte erano soliti dedicarsi allo studio di uno strumento. Il compositore ebbe molti alunni, anche se non fu mai un professore per vocazione e contemplò l’attività didattica piuttosto come una risorsa economica. I concerti pubblici si finanziavano spesso con la sottoscrizione, antenata della pratica attuale del crowdfunding. Il musicista pubblicava sul giornale l’annuncio del concerto e gli interessati compravano una quota finché si arrivava alla cifra desiderata. Si trattava di un sistema con un’alta percentuale di insuccesso, come dimostrarono alcune delle sottoscrizioni lanciate da Mozart. Un’altra possibile entrata economica era la vendita delle composizioni agli editori musicali, all’epoca in piena evoluzione, anche se le somme offerte erano solitamente modeste.

Pianista professionista Nonostante l’ottimismo di Mozart, la situazione non era affatto idilliaca. Inoltre il giovane musicista mancava di concretezza, di abilità nell’intessere le relazioni sociali adeguate e di iniziativa per imporsi su concorrenti che erano molto più agguerriti di lui. Tuttavia, i primi anni di Mozart a Vienna furono stimolanti. Come pianista non aveva il profilo di un virtuoso, ma era bravo ed espressivo. Le sue qualità di improvvisatore erano riconosciute e richieste, e le sue composizioni spesso ben accolte. Come rivela nelle sue lettere, i ritmi di lavoro erano molto stressanti. Si svegliava alle sei e componeva dalle sette alle nove. Dedicava il resto della mattinata alle lezioni. Nel pomeriggio ricominciava a comporre e continuava fino alle nove di sera, tranne nei giorni in cui doveva esibirsi. Nel frattempo Mozart si era sposato con Constanze Weber e, poco dopo, erano nati i figli. Il denaro arrivava con regolarità ma non era mai sufficiente. I problemi economici angosciarono sempre il musicista, che amava ostentare un tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità. Domestici e vestiti all’ultima moda furono le voci dolenti del capitolo delle spese. La coppia giunse persino ad avere una carrozza. Questo lusso era probabilmente legato alla necessità di adeguarsi agli ambienti aristocratici e

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LA HOFBURG DI VIENNA

A Vienna Mozart non riuscĂŹ a ottenere un impiego fisso come musicista di corte. Nel palazzo imperiale furono rappresentate solo alcune delle sue opere celebrative. REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12

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L’ATTRAZIONE PER VIENNA

Un amico del padre ammonì Mozart: «Mi creda, lei qui si lascia abbagliare; a Vienna la fama di una persona dura molto poco, dopo qualche mese i viennesi richiedono già qualcosa di nuovo». Vista della città dal belvedere, di Bernardo Bellotto. 1760 circa. FINE ART / ALBUM

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16 luglio del 1782, Il ratto dal serraglio fu un importante successo per conquistare un posto al sole nel panorama musicale viennese. L’opera venne accolta bene, anche se l’elogio dell’imperatore non fu privo di sfumature non del tutto positive: «Troppo bello per i nostri orecchi e troppe note, mio caro Mozart», a cui il musicista sembra che rispose con una punta d’orgoglio: «Non una più del necessario, Maestà».

Genio incompreso

NEL 1789 MOZART DIRIGE A BERLINO LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SUA OPERA IL RATTO DAL SERRAGLIO. L’INCISIONE DELL’EPOCA MOSTRA CHE IL MUSICISTA ERA UN UOMO DI BASSA STATURA. INFATTI ERA ALTO POCO PIÙ DI 1,60. GRANGER / AURIMAGES

facoltosi che il compositore frequentava per lavoro. Il suo principale obiettivo era l’imperatore Giuseppe II, grande melomane e mecenate delle arti: Mozart ambiva a ottenerne un incarico importante o almeno un impiego stabile come musicista di corte. Quest’ultima aspirazione non si compì mai. Mozart ottenne solo la nomina, quasi simbolica, di musicista da camera, incaricato di scrivere le danze per le feste di corte. Nulla a che vedere con il posto prestigioso (e meglio remunerato) di maestro di cappella, attribuito a Salieri. Mozart riuscì a farsi commissionare dall’imperatore l’incarico di un Singspiel – opera con parti recitate – per il Burgtheater, primo teatro della città. Andato in scena il L’IMPERATORE GIUSEPPE II ERA CONOSCIUTO PER LA SUA PASSIONE PER LA MUSICA. RITRATTO DI UN ARTISTA ANONIMO. PALAZZO VENEZIA, ROMA.

Le parole dell’imperatore riflettono la realtà, ovvero che il pubblico viennese non entrò mai totalmente in sintonia con l’opera di Mozart. Il suo linguaggio risultava troppo denso per orecchi più abituati alla tenerezza melodica di Paisiello o al sobrio classicismo di Salieri. Troppe note, troppo lavoro formale, troppa “sostanza”. Ossia, tutto ciò che oggi costituisce la grandezza di quella musica era per i suoi contemporanei un ostacolo. Una volta superata la curiosità che aveva suscitato al suo arrivo, Mozart divenne uno dei tanti musicisti che a Vienna si sforzavano per farsi notare. Ottenne riconoscimenti ma mancava la consacrazione definitiva. Nel frattempo, la vita quotidiana si faceva sempre più difficile da affrontare. Il compositore raccolse maggiori consensi fuori dalla capitale. L’opera buffa Le nozze di Figaro, rappresentata senza molto clamore al Burgtheater il primo maggio del 1786, fu un trionfo a Praga: «Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta, non si canta, non si fischia che il Figaro», scrisse il compositore dalla città ceca. L’opera successiva, il Don Giovanni, seguì invece un percorso inverso, ma con lo stesso risultato. Andò in scena a Praga con grande successo, mentre la ricezione a Vienna fu tiepida. Il commento di Giuseppe II fu ancora una volta rivelatore: «L’opera è divina e forse più bella del Figaro, ma non è cibo per i denti dei miei viennesi», disse. «Lasciamogli il tempo di masticarla», rispose Mozart. Non c’era da stupirsi. Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte – quest’ultima debutta al Burgtheater il 26 gennaio del 1790 – formano una trilogia considerata la vetta assoluta nella storia del genere operistico. Il modo in cui la musica tratteggia la

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BIBLIOTECA IMPERIALE DI VIENNA

Intorno al 1780 van Swieten, direttore di questa splendida biblioteca barocca, organizzava concerti da camera ai quali partecipava spesso il suo amico Mozart. ERICH LESSING / ALBUM

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MOZART E LA MAGIA DEL PIANO Sebbene da bambino brillasse anche come violinista, Mozart sviluppò la sua arte con i cordofoni a tastiera, prima il clavicembalo e poi il piano. Quest’ultimo, dal suono più potente e modulabile, gli consentì di raggiungere l’apice del successo come compositore e interprete.

1.

RITRATTO IDEALIZZATO DI MOZART DAVANTI A UN CLAVICEMBALO, DI JOSEPHSIFFRED DUPLESSIS. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.

1.

Il clavicembalo

Dal Rinascimento e fino al XVIII secolo il clavicembalo era lo strumento a corde più prestigioso. Il meccanismo di corde pizzicate produceva un suono dalla grande ricchezza armonica, anche se non consentiva di effettuare la dinamica sonora. Mozart scrisse le prime sonate per clavicembalo a sei anni. Anche i suoi concerti per piano, composti prima dei vent’anni, erano destinati al clavicembalo.

CLAVICEMBALO: DAGLI ORTI / AURIMAGES. CLAVICORDO E PIANO: METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

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2.

Il clavicordo

Grazie alle piccole dimensioni e alle sonorità tenui, il clavicordo era lo strumento domestico per eccellenza. Si basava su un meccanismo a corda percossa, come il piano, ma con un volume molto ridotto. Nei suoi viaggi Mozart ne portava sempre uno e ne aveva un altro in casa che, sicuramente, utilizzava per comporre. 3.

CLAVICORDO REALIZZATO DA CHRISTIAN KINTZING NEL 1763. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.

Il piano

Ideato intorno al 1698, il piano è dotato di un meccanismo a corde percosse che consente di produrre suoni tenui e forti (appunto piano e forte, da cui deriva il nome forte-piano o pianoforte) e note legate tra loro, aspetto che aumenta il potere espressivo della musica. Anche se inizialmente era più costoso e delicato del clavicembalo, il piano finì per sostituirlo nei gusti dei musicisti e del pubblico. Nel 1777 Mozart scrisse meravigliato al padre dopo aver provato il piano di un costruttore viennese: «La Sonata in re è ineguagliabile sul forte-piano di Stein». Il piano consentì a Mozart di stupire per il suo virtuosismo ma, ancor più, per il potere emotivo delle sue composizioni.

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PIANOFORTE COSTRUITO A VIENNA DA FERDINAND HOFMANN INTORNO AL 1790. MET, NEW YORK.

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DAGLI ORTI / AURIMAGES

Il compositore e la massoneria ozart entrò nella massoneria nel 1784 come membro della loggia “Alla beneficenza”, e in seguito di “Alla speranza incoronata”. Il compositore passò in breve tempo dal grado di apprendista a quello di compagno e maestro. Elementi chiave dell’ideale massonico erano la fratellanza e la virtù individuale, intese come adesione ai princìpi della ragione e del diritto naturale. Nella massoneria si muovevano molte amicizie di Mozart, tra cui il mercante Johann Michael von Puchberg, i compositori Anton Stadler e Emanuel Schikaneder, e il diplomatico Gottfried van Swieten. Anche Joseph Haydn ne fece parte. Decisivo per la massoneria viennese fu il naturalista Ignaz von Born, che ispirò il personaggio di Sarastro in Il flauto magico, opera profondamente influenzata dal simbolismo massonico. SCENA DI IL FLAUTO MAGICO DI MOZART. INCISIONE.

psicologia dei personaggi e orienta il ritmo drammatico ha rappresentato una lezione per le generazioni successive. Inoltre, Vienna favorì incontri e amicizie che segnarono positivamente lo sviluppo personale e artistico di Mozart. Era arrivato da poco in città quando prese contatti con il barone Gottfried van Swieten, prefetto della biblioteca di corte, nucleo di quella che oggi è la Biblioteca nazionale austriaca. Nel suo soggiorno come ambasciatore a Berlino, van Swieten aveva raccolto le partiture di Johann Sebastian Bach e di Georg Friedrich Haendel, compositori all’epoca caduti nell’oblio. Le aveva portate a Vienna e ne offriva l’ascolto durante i concerti ANTONIO SALIERI, MUSICO DI CORTE A VIENNA. NONOSTANTE LA LEGGENDA, MANTENNE UNA BUONA RELAZIONE CON MOZART. RITRATTO.

domenicali organizzati nella propria casa. Mozart vi partecipava in qualità di musicista e arrangiatore. La scoperta di Bach e Haendel lasciò una traccia durevole nella sua musica. Sempre a Vienna Mozart incontrò Franz Joseph Haydn, il compositore vivente per cui espresse la più grande ammirazione (peraltro ricambiata). Il primo incontro tra i due risale al 1784 o alla fine del 1783. Mozart tradusse questa devozione in una serie di sei quartetti per archi – il genere haydniano per eccellenza – che pubblicò nel 1785 preceduti da un’ossequiosa dedica in italiano. Va inoltre ricordato il nome di Johann Michael Puchberg, mercante e compagno di loggia massonica che aiutò Mozart in numerose occasioni. Dal 1788 la situazione economica del compositore cominciò a precipitare e rivolse a Puchberg incalzanti richieste di denaro con toni sempre più drammatici. Le istanze aumentavano in estate, quando la nobiltà e le famiglie benestanti – principale fonte di ingressi per le tasche di un musicista – si trasferivano nelle case di campagna e lasciavano Vienna.

Le porte si chiudono La morte di Giuseppe II nel 1790 rappresentò per Mozart la fine del sogno di diventare, un giorno, musicista della corte imperiale. La scarsa comprensione dell’arte di Mozart non aveva impedito al defunto imperatore di mostrare interesse per il musicista. Fu proprio lui a tutelare la nascita delle tre grandi opere italiane del compositore, nonostante i temi polemici dei libretti scritti da Lorenzo Da Ponte. Non bisogna dimenticare che Le nozze di Figaro, basata sull’omonima commedia di Beaumarchais, metteva in scena un nobile burlato dai suoi servitori. Se Giuseppe II rispondeva per certi aspetti all’immagine del sovrano illuminato e riformatore, il successore Leopoldo II si mostrò più conservatore. Per di più, il suo interesse per la musica era inesistente. Ciononostante, nel 1791 Mozart parve intravedere finalmente scenari più favorevoli. L’episodio più rilevante fu l’incarico di un Singspiel da parte di Emanuel Schickaneder, una curiosa figura di impresario, attore e commediografo la cui compagnia si esibiva al Theater auf der Wieden, nella periferia

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CHIESA DI SAN PIETRO

Mozart compose musica sacra soprattutto quando si trovava a Salisburgo. Perfino la la Messa in do minore, scritta a Vienna nel 1782, venne presentata nella sua città natale. Nell’immagine, interno della Peterskirche di Vienna. NEIL FARRIN / AWL IMAGES

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magico. Questo successo fu l’ultima gioia per un Mozart ormai estenuato.

Morte annunciata

DEA / SCALA, FIRENZE

FINO ALL’ULTIMO RESPIRO

Nel giorno della morte, al mattino, Mozart ancora lavorava al Requiem prostrato nel letto in compagnia della moglie e dell’allievo Süssmayr. La sera entrò in coma e morì all’una di notte. In alto, il dipinto di William James Grant. 1854.

della capitale. Mozart iniziò a scrivere quella che sarebbe diventata una delle sue opere più celebri, Il flauto magico, ma dovette interromperla per intraprendere un altro lavoro dell’ultima ora. L’impresario Guardasoni gli aveva richiesto un’opera seria come parte dei festeggiamenti per l’incoronazione di Leopoldo II a Praga. L’offerta era allettante, l’unico problema erano le scadenze. Mozart accettò. Si racconta che compose La clemenza di Tito in meno di venti giorni (oggi è risaputo che in realtà ci mise un po’ in più, ma in ogni caso fu un’impresa). La fredda accoglienza che ricevette l’opera – secondo una tradizione non documentata, l’imperatrice Maria Luisa la definì «una porcheria tedesca» – fu compensata poco dopo dai calorosi applausi ricevuti, sin dalla prima, il 30 settembre del 1791, da Il flauto

Nel mese di ottobre, durante una passeggiata al Prater – grande parco pubblico di Vienna –, il compositore scoppiò in lacrime e confessò a Constanze il timore che qualcuno volesse avvelenarlo. La sua paranoia era aumentata da quando una persona che non aveva voluto rivelare la propria identità gli aveva incaricato una messa da requiem. Il misterioso cliente, come fu scoperto poi, era il conte Franz von Walsegg, aristocratico e musicista dilettante che voleva omaggiare la defunta sposa e, al tempo stesso, presentare l’opera come propria. Da lì la necessità di tenere nascoste le circostanze dell’incarico e il nome del vero autore. Mozart aveva la sensazione di scrivere quel requiem per sé stesso. Inoltre, il suo decadimento fisico era sempre più evidente. Alla fine di novembre avvenne il crollo: il compositore aveva il corpo così gonfio da non riuscire ad alzarsi dal letto. La sua mano si fermò sull’ottavo tempo della Lacrimosa. Il Requiem lo avrebbe poi completato il suo allievo Süssmayr. Wolfgang Amadeus Mozart morì all’una del mattino del cinque dicembre nella sua casa di Rauhensteingasse, dopo una notte di violente febbri. A causa delle condizioni economiche precarie, Constanze scelse una sepoltura di terza classe, la più economica. Poche persone parteciparono al funerale, che fu celebrato in tutta fretta per la rapida decomposizione del cadavere. L’artista venne sepolto in una fossa comune nel cimitero di Sankt Marx, un quartiere situato nell’estrema periferia di Vienna, senza che da allora nessuno sia mai riuscito a trovare il luogo esatto in cui fu sotterrato il corpo. STEFANO RUSSOMANNO CRITICO MUSICALE

Per saperne di più

TESTI

Lettere Wolfgang Amadeus Mozart. A cura di E.Ranucci. Guanda, Modena, 2006. Memorie. I libretti mozartiniani Lorenzo da Ponte. Garzanti, Milano, 2006. SAGGI

WAM. La vita e il tempo di W. A. Mozart Pietro Melograni. Laterza, Roma-Bari, 2010.

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BOZZA DEL REQUIEM DI MOZART. STAATSBIBLIOTHEK, BERLINO.

lla morte di Mozart circolarono voci su un possibile avvelenamento che puntavano, senza alcun fondamento, su Antonio Salieri, con il quale Mozart aveva presumibilmente una rivalità musicale. La posterità ha dato adito alla calunnia, che è giunta fino a noi. Già all’epoca fu sostenuta anche l’idea della vendetta contro il musicista, reo di aver rivelato segreti massonici in Il flauto magico. Oggigiorno gli storici rifiutano l’ipotesi dell’avvelenamento. In mancanza di dati risolutivi e basandosi sui sintomi descritti da familiari e amici, la medicina attuale è più incline ad attribuire la morte di Mozart a un’insufficienza renale causata da un’infezione da streptococco.

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CARROZZA FUNEBRE DI MOZART. MINIATURA DI UN ARTISTA ANONIMO. KARLSPLATZ MUSEUM, VIENNA.

SOPRA: BPK / SCALA, FIRENZE. SOTTO: DEA / SCALA, FIRENZE

MORTE STR ANA

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MOZART SI RACCONTA NELLE LETTERE Al di là della musica, Mozart lasciò un’altra testimonianza della sua vita: le numerose lettere che scrisse al padre, alla moglie e agli amici. Scriveva senza peli sulla lingua, esprimeva la sua antipatia contro i potenti del momento che vantavano i propri successi nelle sale da concerto, o condivideva pensieri intimi con Constanze. LETTERA DI MOZART ALLA MOGLIE DEL 10 APRILE 1789, DA PRAGA. NELLE ULTIME RIGHE SCRIVE IN FRANCESE: «ADIEU, AIMEZ-MOI, ET GARDEZ VOTRE SANTÉ […]».

«Chi m’insulta è un cane» 7-2-1778: «Noi, povera gente comune, abbiamo altri codici [...] la nostra ricchezza muore con noi poiché l’abbiamo tutta nella nostra testa e nessuno può sottrarcela, a meno che non ci taglino la testa». 20-6-1781: «Garzone o conte che sia, chi m’insulta è un cane [...] per iscritto deve aspettarsi di certo un calcio nel sedere e anche un paio di schiaffi; mi ha offeso e io devo vendicarmi [...] sono troppo orgoglioso per confrontarmi con un così stupido castrone» (contro l’aristocratico amico del suo datore di lavoro, Colloredo, che lo buttò fuori a calci).

«Sono così occupato...» 28-12-1782: «Devo scriverle in tutta fretta perché sono già le cinque e mezza e per le sei aspetto dei musicisti che ho invitato per fare una piccola serenata. In ogni caso sono sempre così occupato che spesso non so più dove ho la testa. L’intera mattinata fino alle due se ne va con le lezioni, poi mangiamo; dopo pranzo devo concedere un’oretta al mio povero stomaco per la digestione; poi posso contare solo sulla sera per poter scrivere qualcosa, ma neppure questo è sicuro, perché spesso mi invitano a un concerto». PIATTO DI CERAMICA REALIZZATO ALLA FINE DEL XVIII SECOLO IN FRANCIA. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.

«Il bello non si apprezza» 28-12-1782: «L’ode è solenne, bella, tutto quello che vuole, però esageratamente ampollosa per le mie orecchie delicate. Ma che vuol farci! Ormai non c’è più nessuno che nelle cose conosca e apprezzi il giusto mezzo. Per essere applauditi bisogna scrivere cose così facili che le possa ricantare un vetturino, oppure così incomprensibili che piacciono proprio perché nessuna persona ragionevole può capirle». VIOLINO STRADIVARIUS DEGLI INIZI DEL XVIII SECOLO. COLLEZIONE DEL PALAZZO COMUNALE, CREMONA.

DA SINISTRA A DESTRA: JEAN-GILLES BERIZZI / RMN-GRAND PALAIS. DEA / ALBUM. TONY QUERREC / RMN-GRAND PALAIS. CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE. DEA / ALBUM; ALAMY / ACI.

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«Continuavano gli applausi...» 12-3-1783: «Il teatro era zeppo, il pubblico [di Vienna] mi ha accolto in un modo così bello che ho provato un vero piacere. Avevo lasciato il palco, ma continuavano gli applausi e alla fine ho ripetuto il rondò». 29-3-1783: «La sala non avrebbe potuto essere più affollata… ma ciò che mi ha fatto più piacere è che Sua Maestà l’imperatore vi assisteva; e come si è dimostrato contento e quali complimenti mi ha fatto!».

«Quanto mi piace la birra» 20-2-1790: «Se avessi saputo che aveva quasi finito la birra, non mi sarei permesso di privarla di parte di essa, mi prendo dunque la libertà di inviarle con la presente un’altra brocca, poiché per oggi ho del vino. La ringrazio cordialmente per la prima birra e quando ne avrà a disposizione dell’altra, la prego di mandarmene una brocca; sa bene quanto mi piace». BROCCA DI BIRRA DEL XVIII SECOLO. CITÉ DE LA CERAMIQUE, LIMOGES. CONCERTO NELLA HOFBURG DI VIENNA, NEL 1760, DI MARTIN VAN MAYSTENS.

«Ho bisogno di 500 fiorini» 12-7-1789: «Dio! Mi trovo in una situazione che non auguro al mio peggior nemico [...] A causa di questa disgraziata malattia sono impedito nei miei guadagni [...] Avevo deciso di dare ugualmente le mie accademie per sottoscrizione, per far fronte alle grandi spese [...] Ho fatto circolare per 14 giorni una lista, e vi compare un solo nome, Swieten! [...] Ora dipende solamente da lei, mio unico amico, se vuole o può prestarmi ancora 500 fiorini».

GOTTFRIED VAN SWIETEN, AMICO E PROTETTORE DI MOZART A VIENNA. RITRATTO DI V. CLAVAREAU.

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NELLE MANI DI UNA LEGGE MASCHILE

La polizia di Manchester arresta una suffragista durante una protesta in strada intorno al 1905, al culmine delle azioni a favore del voto femminile. La giovane detenuta indossa una toga che ne attesta la condizione di universitaria. PAST PIX / SSPL / AGE FOTOSTOCK

L’AV V E NT U R A D E L L E S U FFR AG I S TE

VOTO ALLE DONNE Tra il XIX e il XX secolo le donne britanniche lottarono per il diritto di voto, che fu riconosciuto in parità di condizioni con gli uomini solo nel 1928. La protesta sfociò in sabotaggi e scioperi della fame, e molte suffragiste dovettero affrontare il carcere

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UNO SGUARDO DISPREGIATIVO

Questa incisione del 1853 intitolata Gli effetti dell’emancipazione femminile mostra donne (e uomini) votare per il «candidato più bello».

V

enerdì 3 agosto 1832 il parlamento britannico discusse la petizione di una certa Mary Smith, di Stanmore. Poiché pagava le stesse tasse ed era soggetta alle stesse leggi degli uomini, la donna riteneva di avere anche lo stesso diritto a eleggere i suoi rappresentanti e ad avere voce in capitolo nella promulgazione delle leggi. Sir Frederick Trench non poteva credere alle proprie orecchie. Il deputato fece notare che le giurie miste avrebbero avuto delle conseguenze molto sconvenienti, come costringere uomini e donne a trascorrere la notte nella stessa stanza per deliberare. Si concluse così il primo dibattito sul voto femminile nella storia della Gran Bretagna. Il

movimento suffragista era agli inizi e aveva ancora pochi sostenitori. Alle donne non erano riconosciuti gli stessi diritti civili e politici di cui godevano gli uomini ed erano soggette anche ad altre importanti restrizioni. Chi era sposata non poteva possedere proprietà né dettare testamento o avere la custodia dei figli. Le nubili e le vedove avevano qualche libertà in più, ma anche loro erano escluse dalle professioni in ambito medico e legale, e dagli incarichi amministrativi. E naturalmente non potevano votare. Per la mentalità dell’epoca la subordinazione femminile era una parte fondamentale dell’ordine sociale. Considerati più dotati dal punto di vista fisico e intellettuale, gli uomini dovevano incaricarsi della sfera pubblica,

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UN PARLAMENTO DI UOMINI

La richiesta di Mary Smith di poter votare fu discussa nell’ambito della riforma elettorale britannica approvata nel 1832. Nell’immagine, la Camera dei comuni nel 1833. Olio di George Hayter.

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Ma neanche chi denunciava l’iniquità della situazione arrivava a rivendicare il diritto di voto. Nei regimi parlamentari dell’inizio del XIX secolo questo diritto era riconosciuto solo a una minoranza: in Gran Bretagna era limitato al 20 percento degli uomini. Unicamente i circoli più“radicali”si battevano per il suffragio universale maschile. La concezione dominante era che la responsabilità di eleggere i propri governanti ricadeva esclusivamente su pochi uomini ben istruiti e abituati ad amministrare le loro proprietà. Questa ridotta minoranza avrebbe saputo prendere le decisioni migliori per il resto degli uomini e ovviamente anche per le donne, considerate eterne minorenni.

Inizia la lotta Ma l’Inghilterra e il resto del mondo stavano entrando in un’epoca di profondi mutamenti economici, politici e sociali, che ben presto avrebbero avuto ripercussioni sulla condizione delle donne. Se nel 1830 le femministe erano poche e mal coordinate, trent’anni più tardi il movimento aveva acquisito forza e si era dato un obiettivo centrale: il riconoscimento del diritto di voto. Solo quando le donne avessero partecipato alle elezioni dei propri rappresentanti, e quindi all’elaborazione delle leggi, avrebbero potuto derogare alle norme che ne facevano delle cittadine di seconda classe.

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DONNE PIÙ INFORMATE

Questo cartello del 1897 – che annuncia l’opera teatrale La nuova donna, di Sydney Grundy – mostra il ruolo che un maggior accesso all’informazione ebbe nell’auge del movimento suffragista.

mentre le donne erano relegate all’ambito privato sotto la tutela maschile. Una buona parte dell’universo femminile aveva ormai fatto sua questa visione e la trasmetteva di madre in figlia. Di proteste non c’era praticamente traccia. Nel 1825 gli attivisti William Thompson e Anna Wheeler scrivevano: «Voi donne, che siete le più oppresse e umiliate, quando vi renderete conto della vostra condizione? Quando vi organizzerete per protestare e chiedere giustizia?».

L’IDEA CHE SOLO POCHI UOMINI FOSSERO ADATTI A GOVERNARE OSTACOLAVA SIA IL VOTO FEMMINILE SIA IL SUFFRAGIO UNIVERSALE MASCHILE

L’aumento dell’istruzione accrebbe il pubblico dei lettori e la diffusione di libri e giornali. Gli ideali femministi iniziarono a circolare maggiormente e a trovare sempre più sostenitori. Negli anni sessanta dell’ottocento si moltiplicarono le associazioni a favore del voto femminile. Come si chiedeva il filosofo John Stuart Mill: perché in un Paese governato dalla regina Vittoria, che aveva dimostrato le sue grandi doti di governante, non si riconoscevano alle donne gli stessi diritti degli uomini? Le prime organizzazioni videro un’opportunità unica di raggiungere i propri obiettivi nella nuova legge elettorale del 1867, che estendeva il diritto di voto a un terzo degli uomini adulti. Dato che il testo della normati-

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VITTORIA E ALBERTO

La regina Vittoria e il marito Alberto con i loro nove figli. La foto fu scattata nel 1861, poco prima della morte del re consorte. Il voto femminile sarebbe stato approvato parzialmente nel 1918, e definitivamente dieci anni dopo. BRIDGEMAN / ACI

va utilizzava il termine men (uomini) anziché males (maschi), si poteva interpretare che la legge si riferisse a entrambi i sessi. Le suffragiste incoraggiarono quindi le donne a partecipare alle elezioni: una certa Lily Maxwell fu inserita grazie a un errore nel censo del suo collegio elettorale e andò a votare per un candidato favorevole al suffragio femminile. Per evitare pericolosi precedenti, qualche mese dopo fu chiarito che la legge non si riferiva in nessun caso alle donne. Le suffragiste persero la battaglia, ma la loro causa guadagnò visibilità. I sostenitori del fronte contrario argomentavano preoccupati che le donne erano già rappresentate a sufficienza dai mariti: concedere il suffragio femminile era come dare un doppio voto agli

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LA FAMIGLIA REALE E IL VOTO FEMMINILE «LASCIATE CHE LE DONNE siano ciò che Dio ha voluto: una buona compagnia per l’uomo, ma con doveri e vocazioni totalmente diversi», scriveva la regina Vittoria d’Inghilterra nel 1870. La donna che guidò la Gran Bretagna dal 1837 (quando aveva solo 18 anni) al 1901 era contraria al voto femminile: «Se le donne smettessero di essere sé stesse per reclamare la parità con gli uomini», diceva, «diventerebbero degli esseri odiosi, pagani e ripugnanti, e sicuramente morirebbero prive della protezione maschile». Diverso fu l’atteggiamento delle figlie, soprattutto di Luisa, che era in contatto con le suffragettes (privatamente, vista la posizione della madre) e la cui cognata, Frances Balfour, era una suffragista di spicco.

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«DETENUTI E FOLLI NON POSSONO VOTARE. LE DONNE RIENTRANO FORSE IN TALI CATEGORIE?» SI LEGGE IN QUESTO CARTELLO SUFFRAGISTA DEL 1910.

I SUFFRAGISTI, COMPAGNI DI LOTTA TRA I SOSTENITORI del suffragio femminile ci furono

vari uomini che parteciparono ai raduni e alle manifestazioni del movimento, e in alcuni casi anche alle campagne più “radicali” della WSPU. Molti membri dei partiti liberale e laburista si presentarono alle elezioni con un programma a favore del suffragio. Alcuni di loro, come George Lansbury, si dimisero dal parlamento in appoggio alla causa. Tutti furono ridicolizzati e bollati come “isterici”. Coloro che si unirono agli scioperi della fame furono vessati con alimentazione forzata. Il sostegno maschile servì a dimostrare che il suffragio femminile non era solo la causa di una minoranza attiva, bensì una questione che riguardava la società nel suo insieme.

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«Da quando la mia Margarette è diventata suffragette». Copertina di canzone satirica del 1913. Illustra come il voto femminile fosse un timore diffuso tra gli uomini in quanto primo passo di una rivoluzione che avrebbe potuto invertire i ruoli di genere.

uomini sposati, che avevano grande influenza sulle rispettive mogli. Se poi i coniugi non condividevano le stesse idee politiche, il voto femminile avrebbe seminato discordia nelle famiglie, aggiungevano. Ma la vera preoccupazione era che questo cambiamento fosse solo l’inizio: se le donne avessero potuto votare, poi avrebbero voluto anche entrare in parlamento e partecipare al governo. E questo, assicuravano, avrebbe pregiudicato non solo gli interessi della nazione ma anche la loro stessa salute, «inadatta a sopportare i ritmi intensi della politica». Gli anti-suffragisti erano la maggioranza, ma la causa del voto delle donne continuava ad attirare sostenitori. Nel 1869 ci fu una svolta importante negli Stati Uniti: il Wyoming ap-

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«Madonna suffragista». Cartolina del 1910 che riprende satiricamente il tema della Madonna col Bambino. Varie illustrazioni dell’epoca rappresentano un marito esausto costretto a fare i lavori domestici e a prendersi cura dei figli mentre la moglie sta fuori casa.

«Questa è LA CASA costruita dall’uomo». Una donna si spaventa per un topolino davanti al parlamento, la “CASA” da cui gli uomini di stato «hanno governato il mondo con coraggio. Può la Donna aspettarsi di governare questa casa?». FOTO: BRIDGEMAN / ACI

provò il suffragio femminile. Nel frattempo la Gran Bretagna concesse alle donne di partecipare alle elezioni delle giunte distrettuali per l’istruzione. Nel 1894 il suffragio femminile si estese ai consigli locali e divenne sempre più comune vedere le donne in coda davanti alle urne. Nel 1881 si registrò un ulteriore passo avanti: l’isola di Man (che era un dominio britannico) concesse il voto a nubili e vedove. Molte personalità di spicco guardavano con sempre maggior simpatia alle organizzazioni suffragiste, ma non tutti erano disposti a compromettere i propri obiettivi politici per difendere la causa delle donne. Coscienti della necessità di coordinarsi al meglio per aumentare la pressione e ottenere nuovi appoggi, nel 1897 varie organizzazioni suffragiste diedero

vita all’Unione nazionale delle società per il suffragio femminile (NUWSS, dalle iniziali in inglese), grazie agli sforzi di colei che ne fu a lungo presidente, Millicent Garrett Fawcett. Le affiliate svolgevano principalmente un lavoro di lobby sui rappresentanti politici e organizzavano manifestazioni. Per quanto oggi possa sembrare strano, per le donne dell’epoca parlare in pubblico era ancora un tabù. Margaret Nevinson, suffragista convinta, considerava i comizi come qualcosa di volgare

PUBBLICITÀ CONTRO IL VOTO FEMMINILE

Le campagne anti-suffragiste dipingevano in toni sprezzanti le conseguenze sociali della concessione del voto alle donne.

LA VERA PREOCCUPAZIONE DEGLI ANTISUFFRAGISTI ERA CHE SE LE DONNE AVESSERO POTUTO VOTARE, POI AVREBBERO VOLUTO ANCHE ENTRARE IN PARLAMENTO E PARTECIPARE AL GOVERNO STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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rate a delle prostitute, e spesso la polizia doveva proteggerle dalla furia della folla. Per le donne non era facile partecipare agli incontri pubblici nemmeno come spettatrici. Quando il padre di Esther Knowles venne a sapere che la figlia era andata a un raduno suffragista si arrabbiò e picchiò la moglie, colpevole di averle dato il permesso. Tuttavia le rivendicazioni femministe si diffusero proprio grazie a manifestazioni di questo tipo, che all’inizio del XX secolo non attraevano più solo pochi curiosi ed erano diventate degli eventi di massa. Nel novecento le donne cominciarono a prendersi sempre più spazio: iniziarono a essere ammesse nelle aule della facoltà di medicina e partecipavano ormai in migliaia alle giunte distrettuali per l’istruzione, che nel 1870 accoglievano solo poche decine di donne.

Ribelli in carcere

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LA MARTIRE DEL SUFFRAGISMO BRITANNICO

Il 4 giugno 1913 Emily W. Davison fu travolta da un cavallo durante una protesta in un ippodromo. Morì quattro giorni dopo: aveva quarant’anni.

e violento. Le donne erano state educate alla discrezione e trovarsi al centro dell’attenzione le metteva a disagio. Anche una parte del pubblico disapprovava certi comportamenti: non di rado le oratrici erano accolte con una pioggia di insulti, lanci di oggetti e tentativi di percosse. La suffragista Charlotte Despard continuò il suo intervento a un comizio nonostante fosse stata colpita in pieno volto da un uovo. Molte attiviste erano oggetto di commenti volgari, perché venivano equipa-

QUANDO LE SUFFRAGISTE PARLAVANO IN PUBBLICO ERANO ACCOLTE CON LANCI DI OGGETTI O COMMENTI VOLGARI, PERCHÉ MORALMENTE VENIVANO EQUIPARATE A DELLE PROSTITUTE

Nonostante i passi avanti, a molte suffragiste il voto continuava a sembrare lontano. Era ciò che pensava Emmeline Pankhurst, la fondatrice dell’Unione sociale e politica delle donne (WSPU), nata nel 1903 da una scissione con il NUWSS per un disaccordo sulle strategie di lotta. Emmeline, che aveva partecipato alla sua prima assemblea per il diritto di voto a soli 14 anni, riteneva che per raggiungere il suo scopo il movimento dovesse dotarsi di un’organizzazione di tipo militare. Per questo motivo respinse regolarmente tutte le richieste di democrazia interna ed espulse chiunque contestasse le sue decisioni. Persino la figlia Sylvia dovette abbandonare la WSPU a causa della collaborazione con il Partito laburista. La leader si era infatti impegnata a non cooperare con nessun partito politico fino a che le donne non avessero ottenuto il voto. Inoltre gli uomini erano esclusi dall’organizzazione. Le scelte di Pankhurst fecero sì che l’Unione restasse di dimensioni ridotte: nel 1914 aveva solo cinquemila affiliate, contro le cinquantamila della NUWSS guidata da Fawcett.

La WSPU sviluppò delle forme di attivismo che ebbero grande risonanza sulla stampa, come per esempio interrompere i raduni dei partiti, cercare di entrare in parlamento, presentarsi a casa dei membri del governo

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NON È UN LUOGO PER DONNE

Nell’ottobre del 1906 varie militanti del WSPU furono arrestate mentre protestavano nell’atrio della Camera dei comuni, nel palazzo di Westminster.

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e incatenarsi davanti alle case dei deputati. Queste azioni si concludevano spesso con l’arresto delle protagoniste, che si rifiutavano di pagare la multa corrispondente e di conseguenza finivano in carcere. All’uscita erano accolte come eroine e ottenevano molta pubblicità. I loro sostenitori si moltiplicarono: nel 1908 una grande manifestazione a Hyde Park radunò più di 250mila partecipanti. Persino il giornale conservatore The Times dovette ammettere che era l’evento più imponente degli ultimi 25 anni. Le azioni delle suffragettes divennero sempre più spettacolari e in qualche occasione sfociarono in aggressioni: in segno di protesta contro il divieto di presentare petizioni al re – un diritto invece riconosciuto ai sudditi

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LO SPETTACOLO DEVE CONTINUARE CONSAPEVOLI di quanto fosse importante l’attenzione

dell’opinione pubblica, le suffragettes utilizzarono tattiche sempre più spettacolari. Muriel Matters lanciò su Londra migliaia di proclami suffragisti da un dirigibile. Due suffragiste si fecero inviare per posta a Downing Street per presentare una petizione al primo ministro. Marion Wallace Dunlop si introdusse nel parlamento e scrisse sulle mura di un corridoio un passo della Carta dei diritti. Leonora Cohen distrusse la teca che conteneva i gioielli della corona nella torre di Londra. Una di queste azioni si concluse tragicamente: nel 1913 Emily Wilding Davison morì durante il derby di Epsom, travolta dal cavallo del re mentre cercava di attaccarvi una bandiera suffragista.

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MILLICENT FAWCETT, FONDATRICE DELLA NUWSS, LA PRINCIPALE ORGANIZZAZIONE SUFFRAGISTA.

BORCHIA DI HOLLOWAY, CREATA DA SYLVIA PANKHURST NEL 1909 PER PROTESTARE CONTRO LE CONDIZIONI IN CUI ERANO DETENUTE LE SUFFRAGISTE.

maschi – alcune affiliate della WSPU lanciarono pietre contro i vetri delle case di alcuni deputati. Per la NUWSS fu la goccia che fece traboccare il vaso. Fawcett decise di rompere definitivamente con Pankhurst, ritenendo che le possibilità di successo non si basavano sul ricorso alla violenza ma «sulla crescente consapevolezza che le nostre richieste sono giuste e sensate». Ci furono scissioni anche all’interno della stessa WSPU: suffragiste storiche come Charlotte Despard lasciarono l’organizzazione in aperto disaccordo sia con questo tipo di azioni sia con il rifiuto di collaborare con altri partiti. I dissidi ebbero perfino ripercussioni terminologiche: in Gran Bretagna le sostenitrici dell’area radicale erano chiamate suffragettes, quelle dell’ala moderata suffragists. La reazione del governo non si fece attendere. Centinaia di suffragiste furono incarcerate e sottoposte a un duro regime penitenziario. Molte cominciarono lo sciopero della fame per chiedere lo status di prigioniere politiche e il miglioramento delle condizioni carcerarie. Le autorità volevano evitare a ogni costo che le detenute diventassero delle martiri della causa e si ritrovarono così di fronte a un grande dilemma. La soluzione cui ricorsero fu l’alimentazione forzata, un’operazione dolorosa e pericolosa che non fece che accrescere le simpatie della popolazione verso le suffragiste.

HOLLOWAY, LA MACCHIA DEL GOVERNO BRITANNICO LA PRIMA SUFFRAGISTA a intraprendere uno sciopero

della fame fu Marion Wallace Dunlop, una militante della WSPU detenuta nel carcere di Holloway che chiedeva le fosse riconosciuto lo status di prigioniera politica. Era stata condannata a un mese di carcere per aver affisso manifesti propagandistici. A partire dal 5 luglio del 1909 digiunò per 91 ore, poi fu rilasciata perché in pericolo di vita. Molte militanti seguirono l’esempio di Marion, che aveva preso questa decisione di sua iniziativa. Per tutta risposta, nel settembre dello stesso anno il governo introdusse l’alimentazione forzata sotto supervisione medica. Emmeline Pankhurst, leader della WSPU detenuta nella stessa prigione, scrisse: «Holloway era diventata un luogo di orrore e tormento; c’erano scene ripugnanti di violenza a ogni ora del giorno. I medici andavano di cella in cella a svolgere il loro terribile compito. Non dimenticherò mai quelle grida angoscianti, che mi risuonavano nelle orecchie». EMMELINE PANKHURST (A SINISTRA) E SUA FIGLIA CHRISTABEL IN CARCERE CON L’UNIFORME DELLE DETENUTE. BRIDGEMAN / ACI

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LE SUFFRAGETTES DETENUTE VENGONO ALIMENTATE A FORZA. LITOGRAFIA DI ACHILLE BELTRAME PUBBLICATA SU LA DOMENICA DEL CORRIERE NELL’APRILE DEL 1913.

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La repressione delle proteste nelle strade si inasprì. Nel novembre del 1910 fu convocata una manifestazione per chiedere al parlamento di riprendere il dibattito sulla concessione del voto alle nubili e alle vedove. A dissolvere la protesta furono inviate squadre di poliziotti provenienti dai quartieri bassi di Londra, che ricorsero a percosse e aggressioni sessuali con l’appoggio di numerosi spettatori. Due manifestanti morirono a causa delle ferite riportate, e la foto di una donna a terra in procinto di essere picchiata suscitò grande clamore. La risposta ufficiale delle autorità a quello che è passato alla storia come “il venerdì nero” fu incolpare dell’accaduto le suffragiste, che a loro volta reagirono invitando la gente a unirsi alla protesta. Vennero incendiati edifici e vagoni ferroviari, e distrutte vetrine. Le donne arrestate (in totale un centinaio) iniziarono lo sciopero della sete, della fame e del sonno e il governo si vide costretto a liberarle. Tuttavia, furono arrestate di nuovo alla prima occasione. Alla fine riuscirono a ottenere una riforma legale che prevedeva un leggero miglioramento delle condizioni penitenziarie delle attiviste.

Soluzioni radicali Nel frattempo il progetto di legge era arrivato al dibattito parlamentare. Vari ministri del governo liberale vi si opposero, ritenendo che le categorie di donne cui era indirizzato (nubili e vedove proprietarie di beni) avrebbero votato in maggioranza per i conservatori. E così, la proposta che tante speranze aveva suscitato fu bocciata nel 1912. Per Pankhurst era il segno

che bisognava passare alle maniere forti. Una minoranza riprese con maggior decisione la campagna contro le proprietà. In qualche caso si arrivò a gettare bombe nelle case vuote o a incendiarle. Il governo reagì continuando a incarcerare le suffragettes. Per non dover ricorrere alla pratica poco popolare dell’alimentazione forzata, nel 1913 il parlamento

L’UOMO CHE APPROVÒ IL VOTO

Il primo ministro Lloyd George insieme alle operaie di una fabbrica di munizioni di Manchester nel 1918. Alla sua destra compare la leader suffragista Flora Drummond, della WSPU.

IL CONTRIBUTO DELLE DONNE NELLE RETROVIE CONVINSE LA SOCIETÀ CHE ERA GIUNTO IL MOMENTO DI CONCEDERE IL SUFFRAGIO FEMMINILE

approvò la cosiddetta legge «del gatto e del topo». La normativa permetteva di rilasciare le recluse troppo debilitate dal digiuno per poi incarcerarle nuovamente una volta che si fossero riprese. Questa strategia fu ben accolta da un’opinione pubblica che disapprovava le bombe e i vetri rotti. Tali azioni avevano danneggiato l’immagine del movimento e dato nuovi argomenti a chi sosteneva che le donne fossero troppo emotive per votare. Sebbene gli attentati non fossero mai stati diretti contro altre persone, il minimo errore avrebbe potuto avere conseguenze fatali. Difficile dire cosa sarebbe successo se le cose fossero continuate così, perché lo scoppio della Grande guerra interruppe l’attività della WSPU. Pankhurst abbracciò la causa patriot-

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tica e si mise a disposizione del governo. La NUWSS proseguì invece con la sua campagna. L’attività politica del gruppo e soprattutto il contributo delle donne nelle retrovie durante la Grande guerra convinsero il parlamento e la società che era giunto il momento di concedere il suffragio femminile. Nel febbraio del 1918 fu approvata la legge che riconosceva il voto alle donne di più di 30 anni e lo estendeva a tutti gli uomini maggiori di 21. Per le donne fu una vittoria sicuramente importante, ma non completa. Le campagne proseguirono fino al luglio del 1928, quando venne uguagliata l’età minima per votare: 21 anni sia per gli uomini sia per le donne. Alla sessione decisiva del parlamento assistettero anche le protagoniste, ormai

anziane della lotta per il suffragio: Fawcett e Despard avevano rispettivamente 81 e 84 anni. Pankhurst, invece, era morta solo un mese prima. Fu proprio Charlotte Despard a dire in quell’occasione: «Non ho mai pensato che avrei visto riconosciuto il voto alle donne. Ma quando un sogno si avvera, è il momento di passare all’obiettivo seguente». AINHOA CAMPOS POSADA STORICA

Per saperne di più

SAGGI

Suffragette: La mia storia Emmeline Pankhurst. Castelvecchi, Roma, 2015. Storia delle storie del femminismo Cinzia Arruzza, Lidia Cirillo. Alegre,Roma, 2017. INTERNET

Fondazione Anna Kuliscioff

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LA LUNGA STRADA VERSO IL VOTO Quasi 125 anni fa la Nuova Zelanda divenne il primo Paese al mondo a riconoscere il suffragio universale femminile a tutte le donne al di sopra dei 21 anni. Fu l’inizio di un processo che non si è ancora del tutto concluso più di un secolo dopo: ancora oggi ci sono infatti stati che limitano questo diritto. IL PRIMO VOTO. LITOGRAFIA PUBBLICATA IN THE SPHERE IL 21 DICEMBRE DEL 1918.

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1893 Il 19 settembre la Nuova Zelanda concede il diritto di voto alle donne maggiori di 21 anni, anche se fino al 1916 non potranno essere elette. 1902 Le donne australiane ottengono il diritto di voto. Australia e Nuova Zelanda erano domini della corona britannica, ma godevano di un’ampia autonomia politica che favorì l’adozione di questa misura. 1906 Il primo giugno la Finlandia diventa il primo Paese europeo a permettere alle donne di essere elette in parlamento, grazie a una legge che sancisce il suffragio universale sia maschile sia femminile.

1911 In Italia nasce il Comitato socialista per il suffragio femminile intorno alla figura di Anna Kuliscioff. Russa naturalizzata italiana, nel 1912 fonda la rivista La difesa delle lavoratrici. Altre prima di lei si erano battute per il diritto di voto. Nel 1877 Anna Maria Mozzoni aveva presentato una petizione al governo per il voto politico alle donne, la prima di una lunga serie a essere bocciata. 1917 Dopo la Rivoluzione di febbraio e la caduta dello zar, una manifestazione di 40mila donne per le vie di Pietrogrado spinge il capo del governo provvisorio Lvov a concedere il suffragio femminile. 1918 Per la prima volta le

donne del Regno Unito possono votare. Il suffragio è limitato alle maggiori di 30 anni con determinati requisiti di proprietà. Nel 1928 il suffragio femminile viene esteso a tutte le donne maggiori di 21 anni, alla stregua di quello maschile.

1919 Tra la fine dell’impeBRIDGEMAN / ACI

ro russo (1918) e la conquista bolscevica del territorio, l’Azerbaigian diventa il primo Paese a maggioranza islamica a divenire una repubblica parlamentare e a concedere il voto alle donne.

LE ELEZIONI DEL 1918 IN GRAN BRETAGNA Si tennero il 14 dicembre, a un mese dalla firma dell’armistizio da parte della Germania e dalla fine dei combattimenti in Europa. Per la prima volta poterono votare le donne, anche se solo quelle maggiori di 30 anni, mentre il voto maschile fu esteso ai maggiori di 21 anni.

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SALVADANAIO BRITANNICO DEL 1913. INSERENDO UNA MONETA SI APRIVA IL CONTENITORE E COMPARIVA UNA GIOVANE CON UN CARTELLO E UNA COLLANA A FAVORE DEL VOTO FEMMINILE.

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1920 Viene ratificato il XIX

zione della repubblica, che riconosce il diritto di voto delle donne. Le prime elezioni politiche in cui le spagnole possono esercitare il diritto di voto sono quelle del 19 novembre 1933; le ultime, fino alle elezioni post-franchiste del 1977, saranno quelle del 1936.

1934 Nell’ambito della pro-

emendamento alla costituzione degli Stati Uniti, che sancisce il suffragio femminile. Fino a quel momento le donne potevano votare solo negli stati che lo permettevano; il primo ad autorizzare il voto femminile era stato il Wyoming nel 1869.

gressiva trasformazione e occidentalizzazione del Paese, la Repubblica turca guidata da Mustafa Kemal riconosce il suffragio femminile alle elezioni nazionali. Le donne potevano già votare alle elezioni locali fin dal 1930.

1929 L’Ecuador diventa

pazione tedesca la Francia concede il diritto di voto alle donne, che era stato respinto dal parlamento nel 1919 e nel 1922. Il suffragio costituisce un riconoscimento implicito del ruolo delle donne nella Resistenza.

il primo Paese dell’America Latina a ratificare il suffragio femminile. In Argentina il diritto di voto alle donne era stato riconosciuto dalla provincia di San Juan nel 1927, ma a livello nazionale fu adottato solo nel 1947.

19 3 1 In Spagna le corti

approvano la nuova costitu-

«LA DONNA DEVE VOTARE». CARTELLO FRANCESE CHE INCITA LE DONNE A LOTTARE PER I PROPRI DIRITTI. 1925-1930.

194 4 Alla fine dell’occu-

1946 Le donne votano per la prima volta in Italia: a marzo sarà la volta delle amministrative (mese nel quale si legalizza anche l’elegibilità delle donne) mentre il 2 giugno delle politiche (che coincidono con il referendum monarchia-repubblica). 1947 Non appena ottenuta l’indipendenza dalla Gran Bretagna, l’India riconosce nella sua costituzione il suffragio femminile. Nel ventennio successivo molti Paesi africani e asiatici che si emancipano dalla tutela coloniale riconoscono il diritto di voto alle donne.

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BANDIERINA PER IL VOTO FEMMINILE REALIZZATA DALLE SUFFRAGISTE STATUNITENSI TRA 1910 E IL 1920.

1971 Le donne svizzere ottengono il diritto di voto alle elezioni federali; tra 1959 e 1991 viene riconosciuto il suffragio femminile nelle elezioni locali dei vari cantoni.

la fondazione del regno (1932) le donne dell’Arabia Saudita possono votare ed essere elette alle elezioni municipali.

1 9 8 4 Il pr i nc ipato del

Liechtenstein diventa l’ultimo Paese europeo a ratificare il suffragio femminile, che verrà esercitato a partire dalle elezioni politiche del 1986.

EMBLEMA DELLA WSPU DISEGNATO DA SYLVIA PANKHURST: UNA DONNA VESTITA DI BIANCO (SIMBOLO DI PUREZZA) ESCE DAL CARCERE CON LE CATENE SPEZZATE AI SUOI PIEDI.

STATUETTA IN CERAMICA DI UNA SUFFRAGISTA. INIZI DEL XX SECOLO.

SUFFRAGISTE STATUNITENSI A BORDO DI UN RIMORCHIATORE NEL CORSO DI UNA CAMPAGNA.

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2015 Per la prima volta dal-

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GRANDI ENIGMI

Amelia Earhart, la pioniera scomparsa nell’oceano L’aviatrice stava completando il giro del mondo quando il 2 luglio 1937 scomparve nel Pacifico senza lasciare traccia so in attività tradizionalmente considerate maschili. Amelia decise che sarebbe diventata pilota nel 1920, dopo la sua prima esperienza di volo — un’ascensione di dieci minuti con il pilota Frank Hawks a Long Beach, in California. «Quando raggiunsi la quota di due o trecento piedi (tra i 60 e i 90 metri), seppi che dovevo volare», avrebbe ricordato in seguito. Il 3 gennaio 1921 prese la prima lezione e due anni dopo ottenne il brevetto di volo. Negli anni venti e trenta realizzò numerosi record: fu la donna che volò all’altitudine e alla velocità maggiori allora raggiunte, ad attraversare l’Atlantico e a pilotare, in solitaria,

tra Oakland e Honolulu, e tra Los Angeles e Città del Messico.

L’ultimo volo Amelia Earhart era una celebrità quando, nel 1937, progettò di compiere il giro del mondo. La sua non era la prima traversata aerea intorno al globo – impresa realizzata da una squadra statunitense nel 1924 –, ma era di certo la più lunga: una estenuante rotta di 47mila chilometri vicino all’equatore. Il tentativo iniziale non andò a buon fine. Infatti, un incidente danneggiò gravemente il velivolo. Dopo la riparazione dell’aereo (un Lockheed Modello 10

UNA DONNA LIBERA AMELIA EARHART era bionda, molto magra e alta un po’ più di 1,70 m. La stampa la ribattezzò Lady Lindy, per la somiglianza fisica con il famoso aviatore Charles Lindbergh. A 33 anni sposò l’editore George Putnam, che le fece la proposta di matrimonio per sei volte fino a quando, finalmente, lei cedette a condizione che entrambi potessero mantenere la più totale libertà. MEDAGLIA DEL DISTINGUISHED FLYING CROSS CONFERITALE DAL CONGRESSO USA. DMTRI KESSEL / LIFE / GETTY IMAGES

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ono tanti gli aerei dispersi a partire dal XX secolo e sommersi nelle profondità degli oceani. E soprattutto tanti gli aviatori morti di cui non furono mai ritrovati i corpi. Tra questi spicca la statunitense Amelia Earhart, icona femminista che scomparve nel Pacifico nel 1937. Amelia era nata il 24 luglio 1897 ad Atchison (Kansas), nel cuore degli Stati Uniti. Sin da piccola aveva mostrato un carattere avventuriero e indipendente e un grande interesse nei confronti di quelle donne che avevano avuto succes-

Electra), il primo giugno lei e il suo ufficiale di rotta Fred Noonan, pilota con grande esperienza di volo nel Pacifico, intrapresero il viaggio da Miami verso est. Dopo svariati scali giunsero a Lae, nella costa orientale di Papua Nuova Guinea. Il 2 luglio 1937 Earhart e Noonan partirono per la destinazione successiva, l’isola di Howland, circondata dalla barriera corallina, sperduta in mezzo al Pacifico e a metà strada tra l’Australia

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AMELIA EARHART con i capelli corti e scompigliati e vestita da aviatrice, un’immagine iconica. Nella foto, insieme all’Electra, aereo con cui tentò di fare il giro del mondo.

AEREO DA RECORD

aviatori non giunsero mai a destinazione. Dopo ore di volo, l’avvicinamento finale all’isola Howland attraverso la radionavigazione fu miseramente inefficace. L’Itasca ricevette segnali dall’aereo ma le comunicazioni di risposta furono quasi inesistenti. Earhart e Noonan proseguirono senza rotta su nuvole sparse le cui ombre a forma di isola potevano disorientarli. In una delle ultime chiama-

ERIC LONG / SMITHSONIAN NATIONAL AIR AND SPACE MUSEUM

e le Hawaii. Il cutter USCGC Itasca era stazionato in zona con l’incarico di mantenere i contatti radio con i piloti e guidarli fino al luogo stabilito. L’isola si trovava a circa 4.100 chilometri di distanza e la quantità di carburante era sufficiente per arrivare in condizioni normali, nonostante il fatto che i serbatoi (con una capacità di 1.150 galloni) non fossero stati riempiti completamente per ridurre il peso dell’aereo. Eppure gli

AMELIA EARHART realizzò due dei suoi record più importanti con un aeroplano conservato al National Air and Space Museum di Washington, il Lockheed Vega 5B di colore rosso qui in basso. Con il Vega divenne la prima donna ad attraversare l’Atlantico e a viaggiare da costa a costa negli Stati Uniti: due imprese in solitaria e senza scali.

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UNA NOTIZIA DI RISONANZA MONDIALE La scomparsa dell’aviatrice era sulle prime pagine dei giornali sin dal giorno successivo. «Amelia Earhart scomparsa nel Pacifico; [la sua] radio emette deboli SOS», titolava il Los Angeles Times. Secondo il quotidiano, numerosi radioamatori «ricevettero deboli segnali di SOS seguiti dalle lettere del codice di Earhart, KHAQQ [...]». Il quotidiano spiegava inoltre: «Il velivolo rimase senza carburante, scomparve nella piccola isola Howland e affondò nell’oceano invaso dagli squali».

te trasmisero: «Itasca, dovremmo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi. Il carburante si sta esaurendo. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1.000 piedi [circa 300 m]».

GRANGER / ALBUM

CARTINA CON IL «PERCORSO DEGLI AVIATORI SCOMPARSI E ZONA DELLE RICERCHE». COPERTINA DEL LOS ANGELES TIMES, 3 LUGLIO 1937.

A quel punto il contatto si interruppe e l’aereo fu dato per disperso. Una missione di salvataggio che mobilitò 66 aerei e nove barche per rastrellare 250mila miglia quadrate di oceano si concluse senza risultati. Il 5 gennaio 1939 l’aviatrice fu dichiarata legalmente morta. Sin dall’inizio la scomparsa di una persona così intrepida e ammirata come Amelia

Earhart alimentò ogni tipo di speculazione. Secondo una delle ipotesi che iniziarono a circolare, Earhart e Noonan stavano partecipando a una missione di spionaggio che aveva l’obiettivo di fotografare le strutture militari nipponiche presenti nel Pacifico negli anni immediatamente precedenti alla Seconda guerra mondiale. L’Electra

Earhart non ricevette i segnali dal cutter che doveva guidarla e volò senza rotta sull’oceano Pacifico AMELIA EARHART IN DIVISA DA PILOTA.

sarebbe stato individuato nello spazio militare aereo delle isole Marshall e abbattuto, oppure costretto ad atterrare dai giapponesi. Da qui l’interesse del governo degli Stati Uniti per le ricerche. Altri credono che gli aviatori sopravvissero come naufraghi su un’isola deserta del Pacifico. Nessuna delle due teorie, per quanto rocambolesche, è stata completamente confutata. In realtà, l’ipotesi più probabile è che, non riuscendo a stabilire un contatto con il cutter, l’aeroplano fosse rimasto senza carburante e si fosse schiantato nell’oceano con i due aviatori a bor-

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Un accampamento in mezzo al Pacifico

Coltello rotto di proposito per aprire gusci di vongole, appartenuto di sicuro a un naufrago.

DAL 1989 il TIGHAR ha portato a termine dodici

missioni nell’isola di Nikumaroro, 350 miglia a sud di Howland. In quella zona sono stati ritrovati oggetti degli anni trenta che potrebbero essere appartenuti a uno o più naufraghi, come Earhart e Noonan.

Cerniera che poteva essere di una giacca da aviatore o di un pantalone del 1930.

Vasetto di unguento venduto negli Stati Uniti che proteggeva dai raggi ultravioletti. Fusoliera con riparazioni, realizzate probabilmente dopo l’incidente che fece fallire il primo tentativo. FUSOLIERA: AP IMAGES / GTRES. CERNIERA E COLTELLO: TIGHAR. VASETTO: TIGHAR / GETTY IMAGES

do. Dal 2002 la compagnia Nauticos, impegnata nell’esplorazione dell’oceano, ha tracciato invano la zona con la tecnologia sonar per acque profonde. Sebbene tali ricerche non abbiano rilevato resti dell’aereo, sia i funzionari incaricati sia il dipartimento di aeronautica del National Air and Space Museum degli Stati Uniti sono convinti che l’apparecchio si trovi a circa 5.500 metri di profondità nelle vicinanze dell’isola Howland. E se invece l’Electra proseguì il volo e riuscì ad atterrare in qualche isola del Pacifico? Questa è la tesi alla base della ricerca del TIGHAR (The Interna-

tional Group for Historic Aircraft Recovery, ovvero il gruppo internazionale di recupero aerei storici).

Atterraggio d’urgenza Secondo il parere di questi ricercatori, Earhart e Noonan non riuscirono a scorgere Howland, si diressero a sud (da quanto si desume nell’ultima trasmissione conosciuta) fecero un atterraggio d’emergenza a Nikumaroro (isole Gardner), dove sopravvissero come naufraghi fino a che morirono senza essere stati ritrovati. Il TIGHAR sostiene che l’Electra atterrò sulla scogliera e fu poi trascinato nell’oce-

ano dalla marea. Non si sa cosa accadde a Noonan, ma Earhart potrebbe essere deceduta in un accampamento improvvisato nell’estremità sud-est dell’atollo. Sostengono questa tesi anche i risultati di analisi condotte dall’Università del Tennessee e pubblicati lo scorso marzo dalla rivista Forensic Anthropology secondo i quali i resti di ossa umane trovate nel 1940 a Nikumaroro sarebbero di Amelia. Nella zona sono stati trovati anche una custodia che all’epoca conteneva un sestante; i resti di una scarpa simile a quella che portava Earhart; i pulsanti e la cerniera di una

giacca da aviatore, e persino delle lastre di un aereo in alluminio. Una recente spedizione finanziata dal TIGHAR e dalla National Geographic Society è andata alla ricerca dei resti dei piloti con quattro cani appositamente addestrati, senza però risultati concreti. Oltre ottant’anni dopo la scomparsa di Amelia è ancora avvolta nel mistero. —Alec Forssmann Per saperne di più Felice di volare Amelia Earhart. Elliott, Roma, 2016. Ero Amelia Earhart Jane Mendelsohn. Bompiani, Milano, 2003.

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GRANDI SCOPERTE

Arslantepe: il palazzo pubblico più antico al mondo

L

a prima cosa che colpisce arrivando ad Arslantepe, nella verde piana di Malatya, a poca distanza dalle rive dell’Eufrate, è un tell di 30 metri, una collina artificiale formatasi per il continuo sovrapporsi di centri abitati nel corso di almeno sei millenni, dal VI al I millennio a.C. In turco Arslan-tepe significa “collina del leone” o “dei leoni”: il nome deriva dalle due statue dei leoni in pietra, già individuate a inizio novecento da viaggiatori di passaggio, che emergevano sulla sua sommità. I leoni, insieme alla grande statua di un re e a una serie di altri bassorilievi avevano orna-

Anni 1930

MAR NERO

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Arslantepe MAR MEDITERRANEO

to una porta di accesso alla città neo-ittita del I millennio a.C. Portati alla luce da una missione archeologica francese guidata negli anni trenta del novecento da Louis Delaporte, i leoni, la statua e i bassorilievi sono esposti oggi al Museo delle civiltà anatoliche di Ankara. Quando iniziai la mia avventura ad Arslantepe, nel 1976, le ricerche italiane erano già state avviate nel 1961 da Salvatore Puglisi e, poi, da Alba Palmieri. Allora si sapeva che, oltre alla città di epoca ittita e alla successiva

Una spedizione francese, guidata da Louis Delaporte, intraprende i primi scavi regolari del sito e rinviene la porta dei Leoni.

1961

neo-ittita, Arslantepe nascondeva importanti resti molto più antichi. Lungo il margine sud-occidentale del tell Palmieri aveva scoperto un edificio templare in mattoni crudi della fine del IV millennio a.C. Le indagini avevano evidenziato che il tempio non era isolato, ma faceva parte di un complesso di edifici pubblici ben più ampio. Questo si estendeva sotto un accumulo di oltre dieci metri di livelli di epoche successive: ci vollero molti decenni per portarlo alla luce su un’ampia superficie. A mano a mano che venivano scoperti e ripuliti dai loro stessi crolli, gli edifici apparivano monumentali e straordinariamente ben conservati. E tutto ciò nonostante si trattasse di strutture in mattoni crudi, per loro natura molto fragili, ricoperti da altrettanto fragili strati di intonaco bianco, an-

Iniziano le ricerche italiane, guidate da Salvatore Puglisi (La Sapienza di Roma) e, successivamente, dalla sua allieva Alba Palmieri.

1990

Gli scavi, diretti da Frangipane, portano alla luce i magazzini e il secondo tempio del palazzo.

© MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA NELL’ANATOLIA ORIENTALE - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA. FOTO: ROBERTO CECCACCI.

Un complesso monumentale di edifici sulle rive dell’Eufrate anatolico testimonia la nascita dello stato più di 5mila anni fa

L’EDIFICIO “DELLE UDIENZE” con la

piccola sala del podio aperta sulla corte e il salone interno “privato” comunicante con le residenze d’élite.

cora miracolosamente al suo posto dopo più di 5mila anni. E fu straordinaria l’emozione quando, ripulendo due di questi muri, sotto varie mani di intonaco bianco apparvero dei bellissimi dipinti con fi-

2014-2016

Vengono scoperti l’edificio “delle udienze” e la grande corte, che permettono di capire che il complesso era un vero e proprio palazzo.

COPPA SU ALTO PIEDE DECORATO, RINVENUTA ACCANTO AL PODIO DELL’IPOTETICO TRONO. ROBERTO CECCACCI

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LE DECORAZIONI

ni di intonaco bianco aveva permesso la loro conservazione. Il lavoro di restauro fatto permette oggi anche ai visitatori di fruirne e condividere l’emozione che provammo quando li vedemmo per la prima volta, sapendo che nessuno per millenni lo aveva più fatto. Quello che oggi è riconosciuto come il più antico esempio di un vero e proprio “palazzo”, che anticipa di quasi un millennio i più noti palazzi vicino-orientali del III

ROBERTO CECCACCI

gure rosse e nere. L’intervento immediato di restauratori specialisti permise di portare alla luce ampie superfici con decorazioni pittoriche e plastiche, ancora conservate nonostante l’estrema fragilità del supporto (fango) e della pittura (ocra e carbone). I dipinti raffiguravano in modo schematizzato personaggi o scene che trasmettevano un forte messaggio ideologico a chi entrava. Nell’ultima fase di vita degli edifici la cancellazione dei dipinti con ma-

NEL PALAZZO sono state rinvenute decorazioni pittoriche e plastiche, ben conservate nonostante l’estrema fragilità del supporto (fango) e della pittura (ocra e carbone). Una di esse raffigurava in forma stilizzata una scena in cui due tori guidati da un cocchiere trainavano probabilmente un aratro.

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GRANDI SCOPERTE

Magazzini per la ridistribuzione del cibo

Tre delle nove spade ritrovate nel palazzo di Arslantepe, di cui una decorata con agemina d’argento. Costituiscono la più antica testimonianza dell’uso di quest’arma.

UN GRUPPO di magazzini pieni di contenitori per derrate e centinaia di ciotole prodotte in serie ha fornito la documentazione di un’intensa attività di redistribuzione routinaria del cibo, probabilmente ai lavoratori che accedevano al palazzo. Migliaia di impressioni di sigillo con più di 200 raffigurazioni diverse erano state apposte su vari contenitori (vasi, sacchi, cesti) e sulle porte dei magazzini, documentando così numerose transazioni economiche controllate da funzionari.

millennio a.C. (come quello di Mari, nell’attuale Siria) è formato da un vasto complesso di edifici monumentali, datati tra il 3400 e il 3100 a.C. Si tratta di un insieme unitario di strutture pubbliche e residenziali connesse l’una all’altra e dislocate su più terrazzi lungo il pendio della collina. Intorno al 3100 a.C. il palazzo

fu distrutto da un violento incendio che permise la conservazione, sotto i crolli, di abbondantissimi materiali sui pavimenti: ceramiche, metalli, impressioni di sigillo su argilla, resti di materiale vegetale carbonizzato e numerose ossa animali, ovvero gli avanzi del cibo. Il loro studio ha consentito di ricostruire la vita e le attività economiche del palazzo e le funzioni degli edifici. Sono stati così

Cretula con impressione di sigillo raffigurante un leone, simbolo ricorrente nei sigilli e nelle rappresentazioni artistiche di Arslantepe.

individuati due templi, alcuni magazzini centrali, cortili, edifici di rappresentanza e aree in cui si svolgevano attività amministrative o nelle quali il materiale amministrativo (essenzialmente impressioni di sigillo) veniva tenuto per la contabilità. Qui le prime élite controllavano o coordinavano l’economia di base della popolazione in modo regolare e sistematico, impiegando forza-lavoro e

Il palazzo ha rivoluzionato alcune delle conoscenze tradizionali sulla nascita delle prime civiltà RICOSTRUZIONE DI UNO DEI SISTEMI DI CHIUSURA E SIGILLATURA DELLE PORTE.

ricompensandola con cibo, accumulato nei magazzini e distribuito in grandi quantità in ciotole prodotte in serie. Le migliaia di impressioni di sigillo ritrovate costituiscono una documentazione unica della nascita di un sistema amministrativo centrale e della burocrazia prima della scrittura. La stretta relazione simbolica tra le funzioni del leader e le attività economiche è evidente in una delle rappresentazioni pittoriche sulla parete del corridoio del palazzo e su un sigillo cilindrico. Entrambi riproducono probabili scene collegate all’agricoltura: l’aratro trainato da buoi che esce dal palazzo nel dipinto, e un personaggio

TIZIANA D’ESTE

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Impressione di sigillo cilindrico con scena raffigurante il leader seduto su un carro a slitta da trebbia, trainato da un bovino, guidato da un cocchiere e seguito da una processione di individui con forcone. La scena evidenzia il controllo sulle attività agricole.

Immagini di sigilli impressi sulle cretule di Arslantepe.

Ciotole prodotte in serie dai magazzini del palazzo. In quell’epoca si sviluppa una produzione di massa di ciotole al tornio, che risponde all’esigenza di distribuire cibo in modo sistematico in cambio di lavoro.

© MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA NELL’ANATOLIA ORIENTALE - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA. FOTO: ROBERTO CECCACCI. ILLUSTRAZIONI: TIZIANA D’ESTE.

eminente seduto su una tipica slitta da trebbia trainata da un bovino, e seguita da una processione di uomini con forcone, sul sigillo.

La sala “delle udienze” Le scoperte fatte tra il 2014 e il 2016 (gli scavi vengono finanziati fin dall’inizio dall’Università La Sapienza e dal ministero degli affari esteri) hanno portato alla luce un grande cortile cui conduceva il corridoio principale di accesso e su cui si affacciava un edificio monumentale. Solo una piccola stanza di questo edificio comunicava con la corte mediante un’ampia apertura ed era occupata quasi interamente

da un basamento in argilla con tre gradini, su cui resti bruciati in legno di ginepro di non grandi dimensioni indicano la presenza di un possibile trono ligneo. Davanti al podio due basse pedane d’argilla erano forse punti di sosta per chi si presentava al cospetto del leader, che probabilmente qui dava udienza al pubblico, esercitando, forse per la prima volta, un’autorità esplicitamente laica, senza mediazioni cultuali o religiose. Ne è prova il fatto che, mentre gli edifici pubblici del periodo precedente consistevano in due grandi templi, in cui avveniva una distribuzione cerimoniale di pasti in contesto sacro (con

centinaia di ciotole sparse intorno al podio-altare), l’edificio “delle udienze” non consentiva l’accesso al pubblico e non aveva né ciotole né attrezzature cultuali religiose. L’edificio comunicava alle spalle con strutture residenziali d’élite che, quindi, proprio come nei palazzi successivi, facevano parte integrante del complesso monumentale. Il palazzo di Arslantepe ha rivoluzionato alcune delle conoscenze tradizionali sulla nascita delle prime civiltà urbane e statuali. Da un lato, dimostra che il centro di gestazione di questi fenomeni non fu solo la Mesopotamia, ma tutte le regioni gravitanti

attorno al Tigri e all’Eufrate, fino alle montagne dell’Anatolia. Dall’altro, evidenzia che il sistema di governo incentrato sui palazzi nacque già alla fine del IV millennio a.C., in un’area considerata periferica rispetto al mondo mesopotamico. Per ultimo, il fatto che Arslantepe non fosse una grande città testimonia che nascita dello stato e urbanizzazione non furono sempre fenomeni associati. MARCELLA FRANGIPANE DIRETTRICE DELLA MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA AD ARSLANTEPE

Per saperne di più INTERNET

arslantepe.com/it La passione della Memoria-Arslantepe Rai Cultura.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero DUEMILA ANNI SUL FONDO DEL MARE NELL’ANTICHITÀ gli scambi

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economici e culturali tra i popoli del Mediterraneo erano resi possibili dalle navi che solcavano instancabilmente le sue acque. Sui fondali marini giace un numero enorme di imbarcazioni, colate a picco in seguito a battaglie o tempeste. A partire dagli anni cinquanta sono stati recuperati molti di questi relitti, che forniscono dati preziosi sul commercio marittimo.

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