NU MERO 113
NATIONAL GEOGRAPHIC
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DENTRO LE PIRAMIDI
ANTICHI RELITTI
UN PATRIMONIO SALVATO
OMAYYADI
CARRI ITTITI
LA CREAZIONE DELL’IMPERO MUSULMANO
ANTICHI RELITTI
SULLA PISTA DEI FOSSILI
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I PRECURSORI DELLA PALEONTOLOGIA
POMPEO MAGNO
POMPEO
STORIA DI UNA DISFATTA
OMAYYADI
ITTITI
IL POTERE DEI CARRI DA GUERRA
FOSSILI
N. 113 • LUGLIO 2018 • 4,95 € 80113
ROMANOV
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PERIODICITÀ MENSILE - ESCE IL 22/06/2018 - POSTE ITALIANE S.P.A SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) AUT. MBPA/LO-NO/063/A.P./2018 ART. 1 COMMA 1 - LO/MI. GERMANIA 11,50 € SVIZZERA C. TICINO 10,20 CHF - SVIZZERA 10,50 CHF - BELGIO 9,50 €
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SPECIALE CENTENARIO
LA FINE DEI ROMANOV L’OMICIDIO DEGLI ULTIMI ZAR DI RUSSIA
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EDITORIALE
non c’è guerra in cui non le abbiamo viste nel passato, e purtroppo ancora oggi continuiamo a vederle troppo spesso. Eppure non per questo le cosiddette “vittime collaterali”– inevitabili, ci ripetono – diventano più sopportabili. Che l’ultimo zar Nicola II fosse il peggiore dei dittatori, come hanno voluto far credere a lungo i bolscevichi (forse per giustificare l’ingiustificabile), o che in realtà non fosse poi peggio di molti di coloro che l’avevano preceduto, in ogni caso che colpa potevano mai avere avuto le sue figlie, tutte adolescenti o poco più, o il suo bambino, peraltro malato? Osservare a distanza di cent’anni i loro volti speranzosi, fieri e puliti come quelli di moltissimi giovani, pensare a come sono stati brutalmente trucidati e a tutto quello che si sono persi per colpa di un mondo dei grandi che probabilmente non capivano (e che forse nessuno gli avrebbe mai chiesto se condividevano o no) non può che generare rabbia e tristezza. E irrimediabilmente ci costringe a guardarci attorno e a riconoscerne tante, troppe, di bambine e di bambini che sono oggi “vittime collaterali” di altre guerre che si combattono lontano e vicino a noi. Certo molto diverse per nascita e per esperienze vitali, queste bambine e questi bambini, che vediamo alla televisione o incontriamo per le strade delle nostre città, hanno tuttavia in comune con Anastasija, Marija, Ol’ga, Aleksej e Tat’jana un futuro e un presente interrotto, sfigurato, cancellato. Esattamente ciò che mai vorremmo per i nostri figli e per le nostre figlie. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale
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8 ATTUALITÀ 12 PERSONAGGI STRAORDINARI Karl Marx, da ribelle a rivoluzionario
Marx osservò in prima persona le ingiustizie sociali ed elaborò una teoria della rivoluzione che nel 1848, quando Marx non aveva ancora trent’anni, confluì nel Manifesto del partito comunista.
124 GRANDI SCOPERTE Ai Khanoum
All’inizio degli anni sessanta del secolo scorso, durante una battuta di caccia, l’ultimo re dell’Afghanistan scoprì i resti di una città ellenistica abbandonata da circa duemila anni. Si tratta di uno dei giacimenti archeologici più interessanti del nord-est del Paese.
128 LIBRI E MOSTRE
18 MAPPE DEL TEMPO 20
Il planisfero di Mercatore
Nel 1587 Rumold Mercatore, basandosi sulle informazioni raccolte dal padre, elaborò una stampa calcografica a colori.
20 VITA QUOTIDIANA
Invito a cena a Roma Dall’austerità delle cene repubblicane allo sfarzo dei festini di epoca imperiale: un viaggio gastronomico nell’antica Roma.
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58 UN PATRIMONIO SALVATO LE CENTINAIA DI RELITTI che
nel corso dei secoli sono colate a picco in seguito a battaglie o tempeste e sono rimaste sepolte, con merci e persone, nel fondo del Mediterraneo forniscono informazioni preziose sulle rotte commerciali, sulle tecniche di costruzione e di navigazione ma anche sulle società dell’antichità. A partire dagli anni cinquanta, grazie a una nuova disciplina, l’archeologia sottomarina, sono stati recuperati molti di questi relitti. DI CARLES AGUILAR UNA MONTAGNA DI ÀNFORE GIACE AMMUCCHIATA SUL LETTO MARINO NELLE ACQUE DELL’ISOLA TURCA DI BALIKESIR.
24 Dentro le piramidi Le piramidi hanno attratto per secoli i viaggiatori, che hanno cercato di svelarne i segreti. Grazie alla tecnologia, oggi sappiamo molte cose su questi antichi monumenti di pietra. DI JOSÉ MIGUEL PARRA
40 Gli ittiti e il potere dei carri da guerra Nel II millennio a.C. nel Vicino Oriente si diffuse il carro da guerra, un’arma potente che avrebbe agevolato l’espansione di grandi regni, come quello ittita. DI LUIS ALBERTO RUIZ CABRERO
50 Pompeo Magno: storia di una disfatta Pompeo raggiunse presto la fama grazie alle vittorie militari, ma non resse allo scontro con Cesare, di cui era stato alleato. DI CARLES BUENACASA
92 Sulla pista dei fossili Fino all’avvento della paleontologia, i fossili venivano visti come resti di giganti mitologici o prove del Diluvio universale. DI F. PELAYO LÓPEZ
106 La tragica fine dei Romanov In una notte di cent’anni fa, dopo essere stati tenuti prigionieri per mesi dai bolscevichi, lo zar e la sua famiglia vennero assassinati. DI TOBY SAUL
78 La creazione dell’impero musulmano
Dopo una guerra civile, dal 661 d.C. l’impero musulmano fu governato da una dinastia imparentata con Maometto. Gli omayyadi vennero accusati di scarsa devozione religiosa e di assolutismo e affrontarono varie rivolte prima di essere sconfitti nel 750 d.C. DI VICENTE MILLÁN TORRES
LA KA’BA, IL “CUBO” SACRO DELLA MECCA. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE, PARIGI.
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Pubblicazione periodica mensile - Anno VIII - n. 113 ANTICHI RELITTI
Editore: RBA ITALIA SRL
OMAYYADI LA CREAZIONE DELL’IMPERO MUSULMANO
SULLA PISTA DEI FOSSILI
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I PRECURSORI DELLA PALEONTOLOGIA
POMPEO
STORIA DI UNA DISFATTA
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IL POTERE DEI CARRI DA GUERRA N. 113 • LUGLIO 2018 • 4,95 € 80113 9
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PERIODICITÀ MENSILE - ESCE IL 18/05/2018 - POSTE ITALIANE S.P.A SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) AUT. MBPA/LO-NO/063/A.P./2018 ART. 1 COMMA 1 - LO/MI. GERMANIA 11,50 € SVIZZERA C. TICINO 10,20 CHF - SVIZZERA 10,50 CHF - BELGIO 9,50 €
PRESIDENTE
RICARDO RODRIGO
UN PATRIMONIO SALVATO
SPECIALE CENTENARIO
LA FINE DEI ROMANOV L’OMICIDIO DEGLI ULTIMI ZAR DI RUSSIA
L’ULTIMO ZAR RUSSO NICOLA II CON LA SUA FAMIGLIA IN UN’IMMAGINE DEL 1914 CIRCA.
via Gustavo Fara, 35 20124 Milano
Direttore generale: ANDREA FERDEGHINI Vicedirettrice editoriale: ELENA LEDDA Grafica: MIREIA TREPAT Coordinatrice: ANNA FRANCHINI Collaboratori: LUIGI COJAZZI; MATTEO DALENA;
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CHEDERROS / AGE FOTOSTOCK
AT T UA L I T À
GUERRIERI DI TERRACOTTA nel
mausoleo di Qin Shi Huangdi, a Xi’an. Migliaia di statue simili sorvegliano la tomba del primo imperatore cinese.
ANTICA CINA
L’imperatore immortale Una serie di lettere testimoniano l’ossessione di Qin Shi Huangdi per la vita eterna
DAGLI ORTI / AURIMAGES
G QIN SHI HUANGDI (sopra) era così ossessionato dall’immortalità che inviò numerose missioni alla ricerca dell’elisir di lunga vita e nel 219 a.C. organizzò persino una spedizione navale in Giappone. Ma non riuscì a raggiungere il suo obiettivo: morì prematuramente nel 210 a.C. e la sua dinastia si estinse con lui.
li archeologi cinesi hanno scoperto nello Hunan – Cina meridionale – una grande quantità di missive del III secolo a.C. scritte su fogli di bambù, in cui alcuni ufficiali riferiscono al primo imperatore cinese, Qin Shi Huangdi, dei loro tentativi di trovare l’elisir della vita eterna. Ad affidargli quell’incarico era stato l’imperatore stesso, desideroso di inserire l’immortalità nell’elenco delle sue conquiste.
Le migliaia di messaggi ritrovati contengono rapporti sui progressi delle ricerche. In uno di questi il mittente si augura che la risposta possa trovarsi in un’erba locale; in un’altra si riferisce che l’elisir non è stato identificato, ma che continueranno a cercarlo. Le lettere non solo confermano la leggenda sulla ricerca dell’immortalità da parte del sovrano, ma sono anche una testimonianza del sofisticato sistema burocratico del nascente impero cinese.
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PERSONAGGI STRAORDINARI
Karl Marx: da ribelle a rivoluzionario Appassionato della filosofia di Hegel, Marx osservò in prima persona le ingiustizie sociali ed elaborò una teoria della rivoluzione che nel 1848 plasmò nel Manifesto del partito comunista
A
due secoli dalla sua nascita, avvenuta il 5 maggio del 1818, la figura di Karl Marx è ancora oggi associata all’aspetto severo e alla folta barba bianca immortalati dal pioniere della fotografia John Mayall attorno al 1875. Al punto che a volte costa immaginarsi che dietro quell’icona possa esserci mai stato un giovane. Eppure fu proprio prima di scrivere il Manifesto del partito comunista – uscito nel 1848, quando non aveva ancora trent’anni – che Marx visse le esperienze politiche, intellettuali e personali che avrebbero segnato tutta la sua opera. Cresciuto nel pieno apogeo della cultura romantica, Marx fu il tipico giovane ribelle. Suo padre Heinrich, un ricco avvocato di origine ebraica che si era convertito al cristianesimo un anno prima della nascita del figlio, lo introdusse al pensiero liberale illuminista e alla critica del regime assolutista prussiano (la Renania, la regione natale di Marx, era allora prussiana). All’età di 17 anni Karl entrò all’Università di Bonn. Qui trascorse una giornata in prigione per ubriachezza e disturbo della quiete pub-
I fronti del giovane Marx 1818 Karl Marx nasce il 5 maggio a Treviri, nella Renania-Palatinato, in una Prussia governata da una ferrea monarchia assoluta.
1841 Comincia a lavorare per la Gazzetta renana, dalle cui pagine critica con durezza lo stato prussiano che, in risposta, chiude il giornale.
1843 Si trasferisce a Parigi dopo il matrimonio con Jenny. Qui entra in contatto con i circoli comunisti della città e incontra Engels.
1845 Espulso dalla Francia, Marx va in esilio a Bruxelles, dove poco dopo fonda con Engels il Comitato comunista di corrispondenza.
1848
blica, partecipò al duello di rito tra le matricole e si iscrisse a un circolo di poeti. L’anno successivo si trasferì all’Università di Berlino per studiare diritto e filosofia. Fu lì che entrò in contatto con il pensiero di Hegel, il filosofo più influente dell’epoca. Marx aderì alla corrente dei cosiddetti Giovani hegeliani, un movimento di discepoli del filosofo di Stoccarda che avevano dato un’interpretazione democratica e laicista al pensiero del maestro. Tra questi si distinguevano il filosofo e teologo bavarese Ludwig Feuerbach – che dichiarava: «Non avere religione è la mia religione» –, lo scrittore e giornalista tedesco Arnold Ruge e il giovane professore di teologia Bruno Bauer, che divenne mentore di Marx.
L’espulsione dall’università Inizialmente i Giovani hegeliani si identificavano con il liberalismo ed esercitavano una critica rispettosa nei confronti del regime, ma i continui scontri con le autorità li spinsero verso posizioni più radicali. Per reazione il governo chiuse le porte dell’università ai membri del movimento, che si trovarono così costretti a intraprendere carriere più insicure. In un certo senso, furono la generazione perduta
Marx reinterpretò la filosofia della storia di Hegel in senso rivoluzionario
Conclude il Manifesto del partito comunista, quindi si trasferisce definitivamente a Londra.
GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, INCISIONE A FORMA DI MEDAGLIA. A
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LEADER DALLA «CRINIERA LEONINA» A 24 ANNI KARL MARX era «un uomo vigoroso, con una folta peluria nera che gli invadeva guance, braccia, naso e orecchie […] e dotato di un’illimitata fiducia in sé stesso», secondo l’uomo d’affari di Colonia Gustav von Mevissen. Dieci anni più tardi un rapporto dei servizi segreti prussiani, che lo seguivano in tutta Europa, ribadiva: «Ha un aspetto possente, la carnagione scura, i capelli e la barba di un nero intenso. Non si rade. È un uomo geniale ed energico». In seguito quella «criniera leonina» scura «come il carbone» si trasformò nell’emblematica capigliatura bianca da profeta biblico. KARL MARX NEL SUO STUDIO NEL 1875. OLIO DI ZHANG WUN. MUSEUM KARLMARX-HAUS, TREVIRI. ERICH LESSING / ALBUM
della vita intellettuale tedesca. Il 1841 segnò per Marx il passaggio all’età adulta: «Ci sono momenti della vita che costituiscono il confine di fronte a un tempo trascorso, ma contemporaneamente indicano con precisione una direzione nuova». Obbligato a rinunciare alla professione accademica, Karl si orientò verso l’attività giornalistica grazie al progetto del giurista Georg Jung e dell’intellettuale radicale Moses Hess, che fondarono un quotidiano di politica ed economia, la Gazzetta renana. Fu qui che il giovane cominciò ad affinare la sua voce. Uno
dei suoi primi interventi fu in difesa della libertà di stampa, da lui descritta come «lo specchio spirituale in cui il popolo si contempla». Rappresentò una delle cause che all’epoca lo vide maggiormente coinvolto, insieme alla libertà di commercio. Marx entrò ben presto a far parte del comitato editoriale e divenne il direttore informale della Gazzetta – che grazie a lui triplicò il numero di copie stampate –, ma si attirò in questo modo le attenzioni del governo. Marx scriveva di questioni locali, come la situazione dei viticoltori della Mosella o la legge che vietava la
raccolta di legna nelle vecchie foreste comunali. Nel fondo, però, rivolgeva una critica allo stato prussiano, che in tutta risposta non esitò a proibire la pubblicazione del quotidiano nel marzo del 1843. «In Germania non mi lasciano fare nulla», si lamentava Marx. Ciononostante, quell’anno fu per lui memorabile. Cominciò a scrivere la sua prima opera teorica, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, dove delineava le sue idee sull’alienazione ed esprimeva le sue convinzioni repubblicane e democratiche, prendendo le distanze dal suo vecchio maestro. A STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
KARL MARX nacque a Treviri, vicino
HANS GEORG EIBEN / GETTY IMAGES
alla frontiera con il Lussemburgo. Nell’immagine, la piazza del mercato con la chiesa di San Gengolfo sullo sfondo.
giugno sposò Jenny von Westphalen, figlia di Johann Ludwig, un aristocratico e alto funzionario prussiano, amico del padre di Karl, che prese il genero sotto la sua ala e gli fece conoscere le opere di Shakespeare. Il matrimonio destò preoccupazioni in entrambe le famiglie per la differenza di età – lei aveva quattro anni più di lui – e per
l’incerta situazione economica della coppia. Ma Jenny, una donna talentuosa, affascinante e di grande intelligenza, non ebbe esitazioni. Sarebbe rimasta la compagna di vita e di pensiero di Marx fino alla morte, avvenuta nel 1881. Lui l’avrebbe raggiunta due anni dopo. Nel frattempo Arnold Ruge aveva deciso di fondare una nuova pubblicazione a
AMICO PROVVIDENZIALE FRIEDRICH ENGELS apparteneva a una facoltosa famiglia proprietaria di un’industria tessile. Fin dal loro primo incontro a Parigi, nel 1844, divenne intimo amico di Marx. Fu il suo più stretto collaboratore – scrisse anche alcuni articoli che poi Marx firmò con il proprio nome – e lo sostenne nei vari momenti di difficoltà economica. FRIEDRICH ENGELS FOTOGRAFATO ATTORNO AL 1845. AKG / ALBUM
Parigi, al riparo dalla censura prussiana: gli Annali franco-tedeschi. Propose a Marx di collaborare al progetto e questi accettò. Alla fine di ottobre lui e Jenny partirono per la Francia, dove avrebbero vissuto un periodo decisivo.
L’epoca parigina Parigi era allora la «grande sorgente magica da cui sgorga la storia del mondo», secondo la definizione di Ruge. Una città spumeggiante, caratterizzata da una vita sociale, politica e culturale unica in Europa. Qui Marx lesse avidamente i socialisti francesi Saint-Simon, Cabet e Fourier, e gli economisti britannici Ricardo e Smith. Trattò anche con il poeta Heine, con Proudhon – autore del pamphlet Cos’è la proprietà?, che contiene la celebre affermazione «la proprietà è un furto» – e con
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MARX ED ENGELS nella tipografia
ORONOZ / ALBUM
della Nuova gazzetta renana, organo della Lega dei comunisti nel 1848 e 1849. Olio di E. Chapiro. Istituto Marx-Engels-Lenin, Mosca.
l’anarchico Bakunin, che in seguito sarebbe diventato uno dei suoi principali antagonisti. Iniziò a frequentare i circoli operai e ad ammirarne la capacità organizzativa perché in essi «la fraternità tra le persone non è un concetto vuoto, ma una bella realtà. In quei volti induriti dal lavoro risplendono i sentimenti più nobili dell’umanità». D’altra parte era molto critico nei confronti delle teorie che sorgevano intorno a questi gruppi, che riteneneva utopistiche o romantiche, e si prefisse in contrapposizione di elaborare una dottrina comunista «scientifica». Nel maggio del 1844 i coniugi ebbero la loro prima figlia, che chiamarono Jenny, come la madre. Tra agosto e settembre conobbero colui che sarebbe diventato il migliore amico e protettore della famiglia: Friedrich Engels. Figlio di un ricco industriale tessile, scrisse un’opera che Marx studiò attentamen-
te e da cui attinse i dati su cui fondare la sua teoria della storia: La situazione della classe operaia in Inghilterra. Fu l’inizio di una grande amicizia e collaborazione intellettuale che durò tutta la vita e il cui primo frutto, La Sacra famiglia, venne pubblicato nel 1845. Il testo rappresenta un regolamento di conti con l’eredità hegeliana e, in particolare, con l’ex mentore di Marx, Bruno Bauer. Alla fine uscì un solo numero degli Annali, ma i due articoli scritti da Marx furono centrali per lo sviluppo della sua visione del mondo. Nel primo,“Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel”, dichiarava che la religione era il prodotto di un’umanità alienata e la definiva «l’oppio dei popoli». Per Marx la critica alla religione non era fine a sé stessa: «La critica del cielo si trasforma […] in critica della terra, la critica della religione in critica del diritto, la critica della teologia in critica
della politica». Nel secondo articolo, intitolato “Sulla questione ebraica” e a volte ingiustamente accusato di antisemitismo, esponeva per la prima volta l’idea che l’emancipazione umana fosse legata alla fine del capitalismo.
Esilio a Bruxelles Dopo il fallimento dell’esperienza degli Annali, Karl e Jenny contribuirono alla pubblicazione di Avanti!, un giornale dei lavoratori che uscì senza previa autorizzazione ufficiale. Per questa ragione il ministro degli interni lo fece chiudere e ordinò l’espulsione dalla Francia del suo comitato direttivo: Marx, Heine e Ruge. Nel febbraio del 1845 la famiglia Marx avrebbe lasciato Parigi per stabilirsi a Bruxelles. A conti fatti la permanenza nella capitale francese fu di soli 15 mesi, ma rappresentò un periodo determinante, uno dei pochi in cui Marx conobbe persone con le quali ebbe relazioni cordiali STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PERSONAGGI STRAORDINARI
il secondo congresso della Lega dei comunisti a Londra. Deutsche Historisches Museum, Berlino.
e scambi fecondi, e anche una certa intimità. L’alternarsi di momenti di cordialità e di turbolenza caratterizzò la vita della coppia anche a Bruxelles, una città accogliente in cui regnava la libertà e dove nacque la loro seconda figlia, Laura. Ma la situazione economica della famiglia si fece sempre più precaria e non precipitò solo grazie
all’aiuto di Engels e di alcuni amici tedeschi. Nonostante le difficoltà finanziarie, Marx riuscì a dedicarsi allo studio dell’economia politica, della storia e delle teorie socialiste, a costo di dormire solo quattro ore a notte. Chi ebbe a che fare con lui in quel periodo conobbe un tratto del suo carattere che non l’avrebbe più abbandona-
GLI ANNI LONDINESI ESPULSO da Bruxelles nel 1848, Marx si trasferì
con la famiglia prima a Parigi, poi a Colonia e, infine, a Londra. Quelli londinesi furono anni di estrema povertà tanto che, alla morte di uno dei figli, la moglie Jenny dovette chiedere un prestito per comprare la bara. Ciononostante, nel 1867 Marx riuscì a pubblicare il primo volume del suo capolavoro, Il capitale. AKG / ALBUM
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OLIO di H. Mocznay che ricostruisce
to: l’arroganza intellettuale. Il critico letterario russo Pavel Annenkov, per esempio, descrisse Marx come un uomo vigoroso, di solide convinzioni e incrollabile forza di volontà, il quale «parlava soltanto per giudizi che non ammettevano replica, rafforzati per di più da un tono terribilmente sferzante». Era, in breve, «un dittatore democratico». A Bruxelles Marx lavorò a due testi importanti che sarebbero stati pubblicati solo postumi: L’ideologia tedesca, scritto con Engels, e le Tesi su Feuerbach. Il primo riunisce una serie di manoscritti in cui Marx sviluppa la sua concezione materialistica della storia, secondo cui le società sono il riflesso dei loro rapporti economici e materiali: quando questi rapporti
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FOTO DI FAMIGLIA.
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Marx (a destra) ed Engels posano con le tre figlie del primo. Da sinistra a destra: Laura, Eleanor e Jenny.
cambiano, le società si trasformano, sotto la guida di una classe dominante. Se all’epoca il potere era nelle mani della borghesia, dietro di essa stava sorgendo un nuovo soggetto, il proletariato, che avrebbe rovesciato l’ordine stabilito e posto fine all’oppressione di classe. Questa era anche la missione che si era prefisso Marx, come si legge in un famoso passo delle Tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, ora si tratta di trasformarlo».
Verso il Manifesto Nel giugno del 1845 Marx decise di recarsi a Manchester e a Londra per prendere contatti con un’associazione di esuli tedeschi e con i militanti inglesi del movimento cartista. Al suo ritorno a Bruxelles fondò il Comitato comunista di corrispondenza, che mirava a creare una rete di relazioni internazionali tra gruppi e associazioni
di Francia, Inghilterra e Germania. Era l’embrione della Lega dei comunisti, che nacque nel giugno del 1847. Marx aveva ormai rotto con tutte le altre forme di socialismo e comunismo, ritenendo il suo approccio l’unico valido. Nel marzo del 1846 ebbe un duro scontro con Wilhelm Weitling, sarto e oratore tedesco critico verso gli eccessi di teoria e paladino dei sentimenti del popolo. «Fino ad ora l’ignoranza non ha mai aiutato nessuno!» gli gridò Marx durante una riunione, alzandosi di scatto. Analogamente, nel 1847 rispose alla Filosofia della miseria di Proudhon con un’acida critica intitolata Miseria della filosofia. Queste posizioni gli valsero non pochi nemici, ma anche la fama di pensatore rigoroso e implacabile. Al secondo congresso della Lega dei comunisti, tenutosi nel dicembre del 1847, il comitato di Londra affidò a Marx ed Engels l’incarico di redigere un documento che illustrasse le po-
sizioni del gruppo. I due raccolsero la sfida. Marx rientrò a Bruxelles e a fine gennaio del 1848 concluse la stesura del Manifesto del partito comunista, un saggio che riassumeva la teoria marxista della storia e della rivoluzione in un linguaggio vivace e accessibile a tutti. Pochi giorni dopo scoppiava a Parigi un’insurrezione che si sarebbe propagata rapidamente nel resto d’Europa. Il Manifesto non ebbe una grande influenza su quel periodo rivoluzionario, né sul successivo trentennio. Ma a partire dal 1880 lo «spettro» del comunismo e l’appello all’unione dei «proletari di tutto il mondo» iniziarono ad aggirarsi per il continente europeo e per il mondo intero. —Vladimir López Alcañiz Per saperne di più
SAGGIO
Il giovane Karl Marx György Lukács. Orthotes, Napoli, 2015.
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MAPPA DEL TEMPO
1587
Il planisfero di Rumold Mercatore
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ome il suo nome indica, il planisfero fu elaborato da Rumold Mercatore nel 1587 sulla base delle informazioni raccolte da suo padre Gerardo (1512-1594), probabilmente il piĂš importante cartografo del XVI secolo. Si tratta di una stampa calco-
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PLANISFERO DI GERARDO E RUMOLD MERCATORE COSÌ COME APPARVE NELL’ATLAS SIVE COSMOGRAPHICAE MEDITATIONES (DUISBURG, 1595).
grafica a colori, decorata ai margini con ricchi arabeschi fiamminghi, che presenta la sfera terrestre suddivisa in due circonferenze, una per ogni emisfero. Il Nuovo mondo è separato dagli altri continenti e sono chiaramente definite le linee dell’equatore, dei tropici e dei circoli polari. La
mappa spicca per le esaustive informazioni sulle recenti scoperte fatte in terra americana. Tuttavia presenta ancora l’immagine mitica della Terra Australis (un enorme continente che circonderebbe l’Antartide) e della Terra Septemtrionalis (l’Artico), formata da quattro isole e quattro
LIBRARY OF CONGRESS / SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
MAPPA DEL TEMPO
fiumi disposti simmetricamente. I colori che delimitano i continenti e le isole furono applicati a mano dopo la stampa – che consentiva un unico colore per le linee – e pertanto variano da copia a copia. —Joan Carles Oliver Torelló STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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V I TA Q U OT I D I A N A
Invito a cena nella Roma imperiale Dall’austerità delle cene repubblicane ai festini di epoca imperiale: un viaggio gastronomico nell’antica Roma ancora bollissero le grandi pentole di terracotta fumanti di polenta.
Che il banchetto abbia inizio!
Abbandonata definitivamente la semplicità dei tempi antichi, in epoca imperiale il banchetto divenne status symbol dell’aristocrazia. Il consumo di carne aumentò vertiginosamente: soprattutto suini che, secondo Plinio, avevano la carne più buona (l’unica ad avere cinquanta sapori diversi), caprini e, più raramente, ovini (usati invece per il latte e la lana). Molto amati erano anche i volatili da cortile: anatre, piccioni e oche, ingrassate anche per ottenere il BANCHETTO ROMANO. ficatum (il nostro foie gras). La gallina, Heinrich Leutemann. invece, fu allevata a lungo solo per le Sammlung Archiv für Kunst und Geschichte. Berlino. uova. Poco utilizzata fu da sempre la carne dei bovini poiché questi animali erano fondamentali per il lavoro dei campi, tanto che fino alla fine del IV secolo c’era l’esilio se non addirittura la cui la lepre, il capriolo e il cinghiale. La pena di morte per chi ne uccideva uno. carne era spesso dura e nodosa, quindi Completava il quadro la selvaggina, tra veniva bollita nell’acqua o nel latte per una, due e anche tre volte. In questo modo perdeva tutto il sapore e, per renderla più appetitosa, si aggiungevano salse, condimenti e spezie. Il pesce entrò tardi nell’alimentazione, NEL II SECOLO A.C. la dura focaccia (fatta con ma in epoca imperiale il suo consumo puls disseccata e arrostita) venne sostituita si diffuse velocemente: anguille, cefadal pane lievitato. Comparvero anche le prime li, orate, spigole, crostacei, molluschi panetterie (pistrina). Tuttavia molti tradizio(carissimi!) e murene. nalisti vedevano in questo cambiamento un Con l’espansione militare di Roma segno della decadenza dei costumi. nel Mediterraneo, arrivarono sulle riAL MERCATO. MUSEO GREGORIANO PROFANO. CITTÀ DEL VATICANO. ve del Tevere cibi e sapori nuovi. Tra questi molti frutti: le ciliegie, secondo AKG / ALBUM
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mmaginiamo di ricevere un invito a cena da un antico romano. Siamo sulle rive del Tevere, al tramonto. Finito il lavoro, inizia il riposo serale e in tutte le case cominciano i preparativi per la cena. Potessimo scegliere il periodo? Senz’altro quello imperiale, quando l’austera semplicità a tavola cedette il posto al lusso. In origine i gusti erano semplici, basti pensare che il piatto principale era la famosa puls, una sorta di polenta composta da farina – solitamente di farro – ammollata in acqua, bollita e accompagnata da legumi, uova, verdure e, per chi poteva permetterselo, carne. Questo piatto era diffuso un po’ in tutta l’Italia antica, tanto che i greci diedero ai romani il soprannome di pultiphagi o pultiphagonides, ossia “mangia polenta”. Mentre gli aristocratici abbandonarono quasi del tutto la puls sostituendola con il pane, Giovenale ricorda come nelle case della povera gente
SAPORE DI PANE
SCALA, FIRENZE
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la tradizione introdotte nel 65 a.C. da Lucullo, che le aveva apprezzate mentre guerreggiava sul mar Nero contro Mitridate; le pesche e i limoni (originari rispettivamente di Cina e Pakistan) giunti a Roma dalla Persia; le albicocche, originarie della Cina; il melograno, diffuso in tutto l’Oriente, e i datteri, provenienti dall’Africa. Questi frutti esotici erano molto cari, tanto che Marziale si lamenta di un anfitrione che non offriva frutta ai suoi commensali per risparmiare! Nelle riserve di caccia degli aristocratici, poi, iniziarono a essere allevati animali esotici come lo struzzo, originario
Triclini: la moda di banchettare alla greca CON IL PASSARE del tempo gli aristocratici iniziarono a banchet-
tare sdraiati sui letti, imitando la nuova moda importata dai greci che, a loro volta, avevano ripreso l’abitudine dai popoli dell’Oriente. Questi letti, definiti triclini poiché su di essi vi era posto per tre persone distese, venivano disposti a cerchio attorno a un basso tavolino centrale, e si lasciava un varco solo per il servizio. La sala da banchetto prese il nome di TRICLINIO e i più ricchi avevano anche più triclini: alcuni erano maggiormente adatti al perio-
do estivo e altri a quello invernale. Per evitare di sporcare la coperta su cui erano distesi, i convitati si portavano da casa un tovagliolo. Quest’ultimo poteva anche servire per avvolgere gli avanzi del pasto, che a fine serata venivano offerti dal padrone di casa.
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V I TA Q U OT I D I A N A
MANGIARE CON LE MANI È UN’ARTE
NATURA MORTA POMPEI, I SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE. NAPOLI.
SDRAIATI e con il solo braccio
ARGENTIERE. MUSÉE D’ARCHÉOLOGIE NATIONALE SAINT-GERMAIN-EN-LAYE. FRANCIA.
dell’Africa, e il fagiano, proveniente dalle zone vicine al mar Nero. In epoca imperiale si potevano anche ingaggiare cuochi professionisti. I più ricercati erano senza dubbio quelli orientali e greci, che non solo dovevano cucinare piatti esotici, ma anche “creare” vere e proprie opere d’arte poiché il cibo doveva essere presentato in tavola scenograficamente. Siamo ben lontani dall’austerità e dalla semplicità dei primi tempi, quando anche il padrone di casa non disdegnava di mettersi ai fornelli. Il De re coquinaria , manuale
PRISMA / ALBUM
RUE DES ARCHIVES / ALBUM
destro libero, i commensali non usavano posate, difficili da maneggiare in quella posizione. Ma non era un problema: bastava allungare la mano per prendere il cibo, già tagliato in piccoli pezzi. Scrive Ovidio: «Prendi in punta di dita le vivande, è un’arte pure questa che vuol garbo». E per pulirsi la bocca? Mollica di pane.
di gastronomia attribuito ad Apicio, un buongustaio del I secolo d.C., è senza dubbio la più celebre opera di gastronomia del mondo antico e illustra bene quale fosse la cucina del periodo imperiale. Dalle ricette di quest’opera emergono la commistione in uno stesso piatto di carne e di pesce, l’uso e perfino l’abuso dei condimenti, tanto da nascondere il sapore del cibo e, soprattutto, la mescolanza di dolce e salato, che dava ai piatti un gusto agrodolce tipico della tradizione orientale. Nascondere il sapore originario del cibo a noi pare insensato, ma non lo era per gli antichi romani. Basti pensare
Nella Roma imperiale stupire gli ospiti era un imperativo assoluto
Invito a cena con sorpresa Stupire gli ospiti era l’imperativo assoluto, come si evince dal Satyricon di Petronio, opera di fantasia ma sicuramente ispirata a mode reali dell’epoca. Vi è descritto il pantagruelico banchetto di Trimalcione, un ex schiavo arricchito; in esso viene servito un cinghiale cucinato intero e circondato da piccoli maialini in pasta di mandorle e con due cestini colmi di datteri appesi alle zanne. Non appena il cuoco pianta il coltello nel fianco dell’animale, ne escono tordi vivi e svolazzanti. Libertà durata poco, visto che i poveretti vengono prontamente catturati, cotti e serviti! Letteratura a parte, un piatto molto famoso e
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FRUTTA ESOTICA MOSAICO. III SEC. D.C. EL DJEM, TUNISIA.
che, in un suo epigramma, Marziale elogia la bravura di un cuoco, capace di imitare tutti i piatti adoperando solo la zucca! Lo stesso Apicio dà ricette con le aringhe… senza aringhe!
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Prosciutto in crosta
SCENA DI VITA QUOTIDIANA A POMPEI. PETER CONNOLLY.
(Apicio, De re coquinaria VII.IX.1)
SE SI volesse provare, con Apicio sotto braccio, a riadattare qualche antica ricetta, ci si troverebbe davanti a un grosso ostacolo: Apicio elenca gli ingredienti, ma non le quantità. Qui una sua ricetta reinterpretata dai moderni chef.
Ingredienti: 1 prosciutto di circa 3 kg. Per la pasta brisée: 500 gr di farina • 2 cucchiaini da tè rasi di sale • 10 cucchiai e mezzo di olio • 8 cucchiai di acqua gelata bruno o succo di ananas (Apicio utilizza il miele). Preparare la pasta brisée, stenderla con un mattarello e avvolgervi bene il prosciutto. Decorare con i ritagli e spennellare con rosso d’uovo. Mettere in forno a 180° fino a che la pasta sia ben dorata. Servire caldo o freddo. Freddo è più buono.
ricercato era il porcus troianus: un maiale ripieno di salsicce con salse aromatiche e verdure il cui nome ricorda quello del leggendario cavallo di Troia “ri”pieno di soldati achei. Lucullo, contemporaneo di Cicerone, si fece costruire un triclinio dentro una voliera. In questo modo i suoi ospiti, mentre gustavano la carne di pavone o di fagiano, potevano anche vedere l’animale vivo e svolazzante. Piccolo inconveniente: l’odore di pollaio, che rendeva impossibile la permanenza al suo interno. Più fortuna ebbero i triclini ad acqua. Plinio il Giovane ha lasciato una descrizione del suo triclinio: a una delle estremità di una piscina tondeggiante i commensali erano sdraiati su triclini in muratura. Dall’altra parte, i servitori spingevano sull’acqua vassoi lignei stracolmi di bontà da gustare in modo tale che, galleggiando, queste raggiungessero i commensali.
L’utilizzo di neve per raffreddare le vivande divenne una moda tra i ricchi, che pagavano un bicchiere d’acqua refrigerata a più caro prezzo di una coppa di buon vino. Con la neve si facevano sorbetti a base di latte, uova e miele: un vero e proprio gelato ante litteram! Allora come oggi i medici erano contrari alle bevande ghiacciate, anche perché la neve arrivava sporca nelle coppe a causa dei vari passaggi cui era sottoposta: raccolta sui picchi innevati, trasportata su carri, imballata nella paglia e, infine, immagazzinata. Plinio racconta che Nerone fu il primo a utilizzare neve per refrigerare l’acqua, mentre Svetonio riferisce che abbia introdotto anche la moda di fare bagni nella neve per arginare la calura estiva. Il gusto cambia nel corso del tempo. Ecco allora alcuni cibi che furono molto amati dagli aristocratici. La carne di pavone, ad esempio, era considerata pregiatissima ed era molto costosa;
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Preparazione: Comprare un prosciutto cotto (Apicio consigliava di lessarlo con molti fichi secchi e tre foglie di alloro ma oggi basta acquistare un buon prosciutto) e togliere la cotica e parte del grasso. Praticare una serie di incisioni a rombi sulla superficie e bagnare con zucchero
una volta cotto, l’animale veniva presentato in tavola intero e ornato con le sue bellissime piume. Dall’editto di Diocleziano sappiamo che il pavone femmina, con piume più modeste, costava un terzo in meno del maschio. Una vera e propria leccornia sembra essere stata la lingua di fenicottero, così come i talloni del cammello – di cui Apicio dà la ricetta. Per non parlare del cervello di struzzo, molto amato da Eliogabalo, o della carne di cucciolo di cane. Molti di questi cibi a noi fanno storcere il naso, ma come ci hanno insegnato gli antichi romani…de gustibus non est disputandum. —Barbara Faenza Per saperne di più
TESTI
Satyricon Petronio. Garzanti, Milano, 2008. SAGGI
L’alimentazione nel mondo antico: I romani. Età Imperiale AA.VV. Ist.Poligrafico e Zecca dello Stato-Archivi di Stato, 2001.
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LA GRANDE GALLERIA
L’ampio corridoio di circa 47 metri di lunghezza e più di otto di altezza all’interno della grande piramide di Cheope, costruito con la tecnica della falsa cupola, dimostra l’abilità degli architetti egizi. JOCHEN SCHLENKER / AGE FOTOSTOCK
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Viaggio al centro delle tombe reali
DENTRO LE PIRAMIDI Le piramidi egizie hanno affascinato per secoli viaggiatori ed esploratori, che sono penetrati al loro interno per svelarne i segreti. Oggi, grazie alla tecnologia, gli archeologi sanno molte piĂš cose su questi antichi monumenti di pietra
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sterix, Obelix e Panoramix entrano nella grande piramide e si perdono nel dedalo di corridoi progettato dai perfidi architetti del faraone. Fortunatamente Idefix, il cagnolino di Obelix, entra a cercarli e li conduce in salvo. Nell’immaginario popolare, come dimostra questa scena del fumetto Asterix e Cleopatra, le piramidi sono edifici labirintici e pieni di trappole. Non è chiaro quale sia l’origine di mie, i faraoni preferirono affidarsi al potere sacro della regalità piuttosto che a complicati meccanismi di sicurezza. Il massimo che si utilizzava per scoraggiare i saccheggiatori erano dei blocchi di granito lungo il percorso. Le piramidi non hanno cavità interne; le camere sono quasi sempre sotterranee o costruite a livello della base, e solo il corridoio d’ingresso attraversa il corpo dell’edificio. Considerato che si tratta di costruzioni di dimensioni imponenti, questo schema facilitava il lavoro degli architetti del faraone e preveniva possibili crolli. L’unica eccezione a questa regola è la grande piramide di Cheope.
Piramidi a gradoni Il principale elemento interno della piramide di Djoser a Saqqara, considerata la più antica d’Egitto ed edificata dal saggio Imhotep durante la III dinastia, è costituito da un enorme pozzo. Sul fondo è situata la camera funeraria, composta di blocchi di granito simili a mattoncini di un gioco di costruzione. Dai lati nord, ovest e sud partono dei corridoi che conducono ad alcuni magazzini, dove venivano conservati dei vasi di pietra.
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questa immagine, che si è consolidata senz’altro anche grazie al cinema di Hollywood e ai videogiochi di Lara Croft. Forse perché è difficile credere che queste immense costruzioni di pietra contengano solo poche stanze. In ogni caso la realtà è molto più prosaica della fantasia: le grandi piramidi egizie hanno poche cavità al loro interno, nessuna delle quali contiene trappole per ladri. Nemmeno nelle tombe della Valle dei Re, costruite durante il Nuovo regno, ci sono meccanismi per dissuadere i predoni: giusto qualche pozzo di pochi metri di profondità al centro degli edifici, che serviva a prevenire possibili allagamenti e in cui solo un ladro sprovveduto e senza luci sarebbe potuto cadere. L’interno delle piramidi dell’Antico regno, a eccezione di quella di Cheope, è costituito da elementi relativamente semplici, per quanto complessi da interpretare. In effetti durante la sesta dinastia la pianta delle piramidi si standardizzò. Per proteggere le proprie mum-
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MAESTOSE TOMBE DI PIETRA
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Imhotep, architetto del faraone della III dinastia, Djoser, erige la piramide a gradoni di Saqqara, la prima della storia.
La piramide di Meidum, iniziata secondo il modello a gradoni, viene trasformata in una piramide a facce lisce da Snefru, della IV dinastia.
IL CALIFFO AL-MA’MUN ALL’INTERNO DELLA GRANDE PIRAMIDE. INCISIONE DI LUIGI MAYER. 1804.
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LA PIRAMIDE DI MEIDUM
La costruzione di questa piramide a gradoni fu conclusa da Snefru, faraone della IV dinastia. Le facce vennero rese lisce tramite l’aggiunta di strati di muratura, che in seguito crollarono.
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Snefru fa costruire altre due piramidi a Dahshur: una a doppia pendenza (piramide romboidale) e una a facce lisce (piramide rossa).
Cheope, figlio di Snefru, erige a Giza la più grande piramide d’Egitto, una delle meraviglie del mondo antico.
A Giza vengono costruite la piramide di Chefren, grande quasi quanto quella di Cheope, e quella di Micerino, più piccola.
Le piramidi della V dinastia hanno dimensioni minori e materiali più scadenti. In quella di Unis vengono trovati i Testi delle piramidi.
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LA PIRAMIDE DI SEKHEMKHET
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Basso Egitto
Abu Rawash Giza Abu Gurab Saqqara Hawara al-Fayyum
lati da alcuni magazzini sotterranei disposti lungo un corridoio a forma di U. I cunicoli non terminati attorno alla camera funeraria probabilmente ospitavano delle stele simili a quelle della piramide di Djoser. Anche la tomba incompiuta di Khaba, successore di Sekhemkhet, presenta una struttura simile, ma ha un minor numero di magazzini. Questi ambienti, situati vicino alle mummie dei faraoni, forse rappresentavano un sostituto simbolico dei corpi dei servi, che durante la I dinastia venivano sacrificati e posti nei sepolcri reali per accompagnare i sovrani nell’aldilà.
Verso la piramide perfetta La struttura interna delle tombe monumentali subì un radicale cambiamento alla fine della III dinastia, con la piramide a gradoni di Meidum, attribuita al faraone Huni e conclusa dal figlio Snefru. Sul lato nord, a una certa altezza dal suolo, è situato l’ingresso, da cui parte un corridoio che conduce alla camera funeraria. Questa non è più situata decine di metri sotto la struttura della piramide, ma a livello del terreno. I magazzini
SOPRA: ARCHIVIO WHITE STAR. SOTTO: ARALDO DE LUCA
Le uniche due camere della piramide sono incompiute e adornate con pannelli di pietra calcarea, lastre di maiolica turchese e tre stele che rappresentano il faraone durante la festa Heb Sed – una cerimonia per celebrare la rinascita della forza regale. Si accedeva al pozzo tramite una galleria scavata davanti al lato nord della struttura, che permetteva all’anima del faraone di raggiungere gli astri circumpolari, ovvero quelli sempre visibili perché non tramontano mai nel cielo notturno. Vicino all’angolo est della piramide si trovava il serdab – una piccola cella destinata ad accogliere il ka (l’essenza vitale) del defunto. Al suo interno era situata una statua di Djoser con gli occhi puntati in direzione di due fori sulla parete, che permettevano al sovrano di guardare le stelle imperiture cui sarebbe asceso. Imhotep progettò anche la piramide di Sekhemkhet, d i e t e M rraneo il successore di Mar Djoser, anche se non la completò. Il monumento è circondato su tre
Della piramide di Sekhemkhet, opera di Imhotep, è rimasto solo il corridoio discendente d’ingresso, visibile sulla sinistra.
Abusir MENFI
Dahshur Meidum el-Lisht el-Lahun
Il Paese delle piramidi. I faraoni dell’Antico regno eressero le loro piramidi a Saqqara, Meidum, Dahshur, Giza, Abu Rawash, Abu Gurab e Abusir. I sovrani del Medio regno costruirono complessi piramidali a Hawara, el-Lisht, el-Lahun e Dahshur.
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Serdab
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PIRA MID E A GRA D O NI la prima piramide della storia sorge su un terreno sopraelevato nella necropoli di Saqqara. La mastaba o tomba quadrangolare, inizialmente progettata dall’architetto Imhotep, subì cinque successive modificazioni, che la trasformarono in una piramide a sei gradoni. Il monumento finale ha una base di 121 metri da est a ovest e di 109 metri da nord a sud, e un’altezza complessiva di 60 metri. I sei volumi successivi furono costruiti con piccoli blocchi di pietra e quindi ricoperti con pietra calcarea bianca proveniente dalle cave di Tura, nei pressi della capitale Menfi. Al centro della piramide si apre un enorme pozzo di 28 metri di profondità 1, rivestito in granito. Questo condotto porta alla camera funeraria di Djoser 2 , costruita anch’essa con blocchi di granito e sigillata con un grande masso dello stesso materiale 3 di 3,5 tonnellate. DECORAZIONE IN TONALITÀ DI VERDE REALIZZATA CON PIASTRELLE DI MAIOLICA. È STATA SCOPERTA ALL’INTERNO DI ALCUNE CAMERE SOTTERRANEE, RIMASTE INCOMPIUTE, DELLA PIRAMIDE DI DJOSER.
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LA PIRAMIDE ROSSA DI SNEFRU
Dopo aver completato la piramide romboidale di Dahshur, verso il tredicesimo anno del suo regno Snefru iniziò a costruire nello stesso luogo un nuovo edificio. Conosciuto come la piramide rossa, è il primo esemplare a facce lisce eretto in Egitto. Quest’impressionante struttura misura 220 metri di lato e 105 metri di altezza. DESIGN PICS / DEDDEDA / GETTY IMAGES
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IL CORRIDOIO DI MEIDUM
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indipendenti, poste rispettivamente sul lato nord e sul lato ovest. È molto probabile che le due camere fossero relazionate alla doppia inclinazione delle facce e simboleggiassero la duplice natura del Paese, suddiviso in Alto e Basso Egitto. L’altro edificio è la piramide rossa, la prima a essere concepita sin dall’inizio con le facce lisce. Contiene tre stanze collegate tra loro: due sono a livello del terreno mentre la terza è rialzata, quasi ad anticipare la peculiare struttura interna della piramide di Cheope, figlio e successore di Snefru, che sarebbe stata costruita subito dopo.
La meraviglia di Cheope È la più grande delle piramidi egizie e rappresenta un’evoluzione rispetto al modello precedente. Le tre camere scoperte nella piramide di Cheope non sono più situate in prossimità della superficie, come avveniva in precedenza. Una, apparentemente incompiuta, è collocata a 30 metri di profondità; un’altra, sormontata da un tetto a due falde, si trova a una ventina di metri di altezza; infine la camera funeraria – che ha un tetto
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scompaiono completamente, forse sostituiti dalle due piccole stanze che precedono la cripta. Questo schema a tre camere si ripeterà nelle piramidi successive. A Meidum compaiono per la prima volta tutti gli elementi che, a partire da allora, caratterizzeranno i complessi piramidali: tempio basso o a valle (un approdo sul Nilo dove veniva accolto il corpo del defunto), via d’accesso, tempio alto (dove si svolgeva il culto del sovrano deceduto), piramide sussidiaria (la cui funzione non è molto chiara) e piramide principale (dove veniva deposta la mummia del faraone perché potesse raggiungere gli astri circumpolari). Snefru fece costruire anche altri due monumenti sepolcrali, entrambi a Dahshur. Il primo è la piramide romboidale, così chiamata perché presenta una variazione della pendenza delle facce circa a metà altezza. Ha la particolarità di avere due camere funerarie – una al di sopra del livello del terreno e una sotterranea – con due entrate
L’entrata della piramide di Meidum è uno stretto cunicolo discendente di 58 m di lunghezza, 0,85 m di larghezza e 1,65 m di altezza.
Piramide di Meidum. All’interno di questo edificio, terminato probabilmente da Snefru, viene usata per la prima volta la tecnica della falsa cupola per costruire il soffitto della piccola camera funeraria, lunga 5,9 m e larga 2,65 m. A RC
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PIRAMIDE ROMBOIDALE O A DOPPIA PENDENZA costruita da snefru a dahshur, è l’unica in Egitto con queste caratteristiche. Attualmente misura 101,15 metri di altezza e 188,6 metri di lato. Secondo il progetto iniziale, l’edificio avrebbe dovuto misurare 138 metri di altezza e 156 di lato. Esistono varie teorie che cercano di spiegare la variazione di pendenza. Secondo la più accreditata, l’instabilità del terreno su cui sorge la piramide provocò fratture all’interno e all’esterno dell’edificio. Gli architetti del faraone modificarono quindi l’inclinazione delle pareti per contenere il peso del monumento. Altri ritengono invece che il progetto iniziale di Snefru prevedesse già questo cambiamento. All’interno della piramide ci sono due camere funerarie, cui si accede tramite due ingressi situati rispettivamente a 12 1 e a 33 metri di altezza 2. Le due camere sono collegate tra loro da un corridoio lungo 18 metri 3.
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SOPRA, LA PIRAMIDE ROMBOIDALE DI DAHSHUR COME APPARE OGGI. CONSERVA GRAN PARTE DEL RIVESTIMENTO ESTERNO IN PIETRA CALCAREA.
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LE PIRAMIDI VISTE DAL CIELO
Vista aerea della piana di Giza con le tre grandi piramidi. In primo piano, la grande piramide; a fianco, la piramide di Chefren, con il vertice rivestito di pietra calcarea; sullo sfondo la più piccola delle tre, quella di Micerino, sul cui lato nord è visibile la breccia aperta nel 1196 dal figlio di Saladino. KENNETH GARRETT / GETTY IMAGES
sulla piana di giza, nei pressi del Cairo, sorge la necropoli reale della IV dinastia in cui Cheope, Chefren e Micerino fecero costruire le tre grandi piramidi. La più grande di tutte è quella di Cheope, detta anche grande piramide, seguita da quella del figlio Chefren. L’esploratore Giovanni Battista Belzoni, che nel 1818 individuò l’entrata superiore di quest’ultima, descrive così il suo ingresso nella camera funeraria: «Che delusione la vista di quel luogo! […] Molte delle lastre del pavimento erano state rimosse alla ricerca di qualche tesoro […] Nell’angolo ovest finalmente intravidi un sarcofago seppellito a livello del terreno […] Accanto al sarcofago c’era un cumulo di ossa di bovino e sulla parete retrostante un’iscrizione in arabo…». La scritta affermava che un sultano era penetrato nella piramide secoli prima. Belzoni non era stato dunque il primo. BELZONI PENETRA NELLA PIRAMIDE DI CHEFREN IL 2 MARZO DEL 1818. SCRIVERÀ ALL’INTERNO: «SCOPERTA DA G. BELZONI». INCISIONE DI AGOSTINO AGLIO. 1820.
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PRINT COLLECTOR / GETTY IMAGES
PIRAMID I D I GIZA
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LA CAMERA DELLA REGINA
ARALDO DE LUCA
Piramidi minori Questa distribuzione delle stanze rimase unica. Djedefra, figlio e successore di Cheope, fece costruire la sua camera funeraria una quindicina di metri al di sotto della sua piramide (che fu smantellata in epoca romana). Il fratellastro Chefren scelse la classica posizione a livello del terreno. All’interno della piramide di Micerino, figlio di Chefren, compaiono invece alcuni elementi che poi ritorneranno nelle successive piramidi dell’Antico regno: oltre all’anticamera e alla camera funeraria (poste ad altezza diversa e separate da sei magazzini), lungo il corridoio d’accesso si trovano un’altra stanza e tre grandi blocchi di granito che ostacolano il passaggio. Questi elementi ritornano a Mastabat el-Fara’un
– il complesso funerario di Shepseskaf, ultimo sovrano della IV dinastia – e diventeranno ricorrenti a partire dalla fine della V dinastia. Da quel momento in poi la struttura interna delle piramidi, decorata con formule funerarie (i Testi delle piramidi), rimarrà sempre la stessa: un corridoio che conduce a una piccola stanza seguita da tre blocchi di granito; dopo di essi, il corridoio prosegue fino a un’anticamera che a ovest dà sulla camera funeraria e a est sui magazzini che formavano il serdab (l’unica stanza senza testi). E così la storia dell’evoluzione delle piramidi, iniziata a Saqqara con un pozzo e delle stanze scavate nella roccia, si concluse ancora a Saqqara alla fine dell’Antico regno, quando gli architetti reali stabilirono uno schema fisso per l’interno delle dimore eterne dei faraoni egizi. JOSÉ MIGUEL PARRA EGITTOLOGO. MEMBRO DELLA SQUADRA DEL PROGETTO DJEHUTY
Per saperne di più
SAGGI
Storia delle piramidi Franco Cimmino. Rusconi, Milano, 1996. Nel cantiere della grande piramide Marco Virginio Fiorini. Ananke, Torino, 2012. INTERNET
www.scanpyramids.org
SOPRA: 4D NEWS. SOTTO: ARALDO DE LUCA
piano ed è preceduta da un ampio corridoio, la cosiddetta grande galleria – è posta a una quarantina di metri di altezza. Il nome della piramide, “l’orizzonte di Cheope”, lascia forse intravedere la ragione di questa modifica della posizione delle camere. Probabilmente gli architetti del faraone volevano assimilare Cheope al raggio solare (che è simboleggiato sia dalle piramidi a facce lisce sia dagli obelischi), il che potrebbe pure indicare che Cheope fu deificato in vita.
Situata al centro dell’asse nord-sud della piramide di Cheope, questa camera ha un soffitto a volta e misura 4,17 m di altezza, 5,65 m di lunghezza e 5,23 m di larghezza.
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GR AND E PIRA MID E si accede all’interno dell’edificio tramite un’entrata 1 posta sul lato nord, a 15 metri dal suolo, che dà su un corridoio di un metro di larghezza per 1,2 metri di altezza. Questo passaggio scende per 105 metri, quindi prosegue in orizzontale per 9 metri fino a una camera sotterranea 2 posta a 35 metri di profondità. A 20 metri dall’ingresso della piramide un cunicolo ascendente 3, più corto del precedente, conduce alla grande galleria 4 – un enorme corridoio lungo 47 metri –, davanti alla quale si apre un pozzo di 69 metri (noto come il “passaggio dei ladri”) 5. All’inizio della grande galleria c’è un corridoio che conduce a una stanza al centro della piramide 6 – la camera della regina – con un tetto a due falde. Proseguendo lungo la grande galleria si raggiunge la camera del re 7, sormontata da 5 camere di scarico. Dalla camera del re e della regina partono dei condotti di 20 centimetri di sezione 8, che puntano in direzione delle stelle. SITUATA ALL’INTERNO DELLA PIRAMIDE DI CHEOPE, LA CAMERA DEL RE È A PIANTA RETTANGOLARE ED È RIVESTITA DI LASTRE DI GRANITO. È DOMINATA DA UN ENORME SARCOFAGO VUOTO, ANCH’ESSO DI GRANITO.
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I ROBOT SI FANNO STRADA
I ROBOT UPUAUT
Il primo robot costruito per esplorare le piramidi è stato Upuaut (“colui che apre la via” in antico egizio). Ben presto ha ceduto il passo a Upuaut-2, la versione migliorata visibile qui sotto.
All’interno della grande piramide di Cheope ci sono quattro stretti condotti la cui funzione rimane un mistero. Due di questi partono dalla camera della regina e non si sa ancora dove arrivino. Gli altri due iniziano nella camera del re e conducono all’esterno. Sono stati esplorati grazie a dei piccoli robot dotati di telecamere.
Il tetto e le due pareti furono ricavati da un unico blocco di pietra.
Successi e fallimenti. Upuaut è stato utilizzato per esplorare i condotti superiori della piramide e ha permesso di ripulirli. Upuaut-2 ha percorso i tunnel inferiori prima di venire bloccato da una lastra.
Il pavimento era formato da un altro blocco di pietra. I condotti non furono realizzati al termine della costruzione, ma pianificati dall’inizio.
Condotto superiore nord
Condotto superiore sud
Condotto inferiore sud
I due tunnel superiori sono noti fin dal XVII secolo. Quelli inferiori furono scoperti nel 1872 dall’ingegnere Waynman Dixon.
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10 20 metri
Sud
Nord
Condotto inferiore nord
Camera sotterranea
TECNOLOGIE ED ESPLOR A ZIONI
IL ROBOT PYRAMID ROVER VIENE INTRODOTTO IN UNO DEI CONDOTTI DELLA GRANDE PIRAMIDE.
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Nel 1991 il robot Upuaut, progettato da Rudolf Gantenbrink, esplora i condotti della camera del re. Nel 1993 l’Upuaut-2 perlustra i tunnel inferiori che partono dalla camera della regina. A sud il robot viene bloccato da una lastra di pietra con due piccoli manici.
Nel canale inferiore sud viene introdotto il robot Pyramid Rover per cercare di capire cosa ci sia oltre la lastra. La telecamera in fibra ottica mostra un passaggio e una seconda lastra di pietra, priva di manici. Viene scoperta una porta simile nel condotto inferiore nord.
Inizia il progetto Djedi, sponsorizzato dall’Università di Leeds, per continuare lo studio dei condotti inferiori. Dietro la prima lastra un piccolo robot scopre alcuni geroglifici e una linea dipinti in rosso e realizzati dagli operai che eressero la piramide.
ILLUSTRAZIONE: SOL 90 / ALBUM. FOTO: PATRICK CHAPUIS / GAMMA-RAPHO / GETTY IMAGES. 3D PIRAMIDE: PICTURE-ALLIANCE / AP IMAGES / GTRES
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ROBOT UPUAUT-2
IL ROBOT UPUAUT-2, IL SECONDO A ESSERE INTRODOTTO ALL’INTERNO DELLA PIRAMIDE DI CHEOPE.
Registrazione. Videocamera in miniatura. Può ruotare su un piano orizzontale e verticale.
Sistema a guida laser. Serve a misurare l’interno del tunnel.
Cingoli di gomma. Migliorano la trazione.
Propulsione. Il sistema di ruote superiori e inferiori è azionato da sette motori elettrici che, in condizioni ideali, forniscono una spinta di 40 kg.
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NEL 1993 IL PYRAMID ROVER APRE UN ORIFIZIO SULLA PORTA SCOPERTA IN UNO DEI CONDOTTI.
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Il progetto Scan Pyramids effettua una “radiografia” della piramide per mezzo di muoni (particelle subatomiche capaci di penetrare a grandi profondità). Viene così scoperta una cavità di almeno 30 m di lunghezza e del volume della grande galleria giusto al di sopra di essa.
Alimentazione. Il robot funziona con la corrente elettrica attraverso un cavo ombelicale di 4,2 mm di diametro.
Struttura. Le parti del robot sono realizzate con la stessa lega di alluminio in uso in campo aeronautico.
VISTA DEL «GRANDE VUOTO» SCOPERTO GRAZIE AI MUONI.
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ITTITI IL POTERE DEI CARRI DA GUERRA
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CARRI E CAVALLI
Nell’immagine sopra, la caccia al leone in un bassorilievo neoittita datato attorno al 750 a.C. e proveniente da Coba Höyük (Sakçagözü), in Anatolia. Pergamonmuseum, Berlino. Sotto, passaredini di carro ittita con possibile scena di domesticazione del cavallo. XIX secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi.
Nel II millennio a.C. nel Vicino Oriente si diffuse il carro da guerra: una nuova e potente arma che avrebbe sostenuto l’espansione di grandi regni come l’impero ittita in Anatolia o l’Egitto dei faraoni
DEA / ALBUM
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ITTITI CONTRO EGIZI
Un bassorilievo del tempio di Ramses II ad Abu Simbel mostra il faraone sul suo carro intento a lottare contro i soldati ittiti nella battaglia di Qadeš, attorno al 1290 a.C.
A
ttorno al 1350 a.C. raggiunse la sua massima espansione uno dei più potenti stati dell’antichità: l’impero ittita, i cui domini comprendevano l’Anatolia e gran parte della Siria attuale. Il prodigioso sviluppo degli ittiti fu favorito dal loro potenziale militare, la cui arma più temuta erano i carri da guerra. L’utilizzo di questi nuovi mezzi caratterizzò il II millennio a.C., l’era dei grandi regni del Vicino Oriente. Non sorprende affatto, quindi, che
i carri siano menzionati in numerosi passi delle cosiddette “lettere di Amarna”, ovvero la corrispondenza diplomatica intercorsa tra diversi faraoni del Nuovo regno e altri sovrani della regione. Per esempio, Amenofi III saluta il re di Babilonia Kadashman-Enlil I con queste parole: «Io sto bene, spero anche tu. Mi auguro che siano in salute anche la tua casa, le tue mogli, i tuoi figli, i tuoi nobili, i tuoi cavalli, i tuoi carri e le tue terre. Io sto bene, e stanno bene anche la mia casa, le mie mogli, i miei figli, i miei nobili,
2500 a.C. C R O N O LO G I A
FARE LA GUERRA SU RUOTE
Sullo Stendardo di Ur sono raffigurati dei carri sumeri con ruote lignee piene, trainati da quattro asini e armati di giavellotti che il compagno dell’auriga scagliava sui nemici. STENDARDO DI UR (PARTICOLARE). BRITISH MUSEUM, LONDRA. SCALA, FIRENZE
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1457 a.C.
1275 a.C. circa
La popolazione asiatica degli hyksos si insedia nel delta del Nilo e governa una parte dell’Egitto con i sovrani della XV e XVI dinastia. Si ritiene introduca il carro da guerra nel Paese.
Durante la campagna contro Megiddo, il faraone Thutmose III si impossessa di 2.041 cavalli e quasi mille carri. In seguito distrugge il regno di Mitanni, aprendo così la strada allo scontro con gli ittiti.
Nella battaglia di Qadeš tra il faraone Ramses II e il re ittita Muwatalli II vengono impiegati migliaia di carri. Lo scontro non ha un chiaro vincitore e sarà seguito da un trattato di pace.
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1650-1550 a.C.
Su questo vaso ritrovato a Kültepe compare una biga (un carro trainato da due cavalli). XIX secolo a.C.
LBU
Questi veicoli esistevano già mille anni prima che i sovrani del Vicino Oriente ne parlassero con tanto orgoglio nelle loro corrispondenze. L’esemplare più conosciuto è quello rappre-
UN AURIGA ASSIRO
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I primi carri
sentato nello Stendardo di Ur (un pannello di legno ritrovato in una tomba reale della città sumera omonima e risalente al 2500 a.C.): ha quattro ruote lignee piene di diametro compreso tra i 50 e gli 80 centimetri e dei cerchi in pelle, probabilmente fissati con chiodi di rame o bronzo. Secondo questa raffigurazione il carro trasportava un cocchiere e un guerriero armato di giavellotti. Il mezzo era trainato da una varietà di asino, i cui movimenti non venivano ancora diretti tramite il morso
DEA
i miei cavalli, i miei carri e i miei tanti soldati; nelle mie terre tutto è tranquillo». In un’altra lettera il re d’Egitto minaccia velatamente un suo vassallo, il principe di Ammiya, in questo modo: «Sappi che il re è come il sole nel firmamento. I suoi soldati e la moltitudine dei suoi carri godono di buona salute».
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L’ADDESTRAMENTO DEI CAVALLI
IL PROGRAMMA DI KIKKULI
L
a necessità di disporre di animali in buone condizioni per i battaglioni di carri è dimostrata dalla presenza di vari trattati di ippologia nell’archivio dell’edificio E della capitale ittita, Hattuša (l’odierna Boǧazkale). Il più antico e completo è˘ il testo di un maestro di nome Kikkuli, che inizia con queste parole: «Così parla Kikkuli, l’addestratore di cavalli della terra di Mitanni». Il trattato risale al 1345 a.C. circa e si articola in tre parti. La prima è un sistema di selezione degli animali della durata di quattro giorni; la seconda, un programma di addestramento dettagliato che iniziava in autunno, durava 184 giorni e prevedeva una serie di esercizi volti a ridurre l’affaticamento e il rischio di lesioni dei cavalli. Infine, la terza parte fornisce
indicazioni in merito alle razioni di cibo e acqua da dare all'animale. Non si sa che razze di cavalli venissero selezionate né dove si svolgesse l’addestramento (in Egitto si teneva nei pressi della grande sfinge di Giza). Non si sa nemmeno che tipo di preparazione specifica ricevessero cavalli, aurighi e guerrieri per l’attività bellica, né quali fossero le strategie offensive e difensive usate.
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GUERRIERO A CAVALLO
Il bassorilievo qui sopra proviene da un blocco di pietra del tempio di Tell Halaf, nel nord della Siria, vicino alla frontiera turca. Arte neoittita. IX secolo a.C.
(una barretta che si introduce all’interno della bocca), ma con uno strumento molto meno efficiente, ossia un anello collocato sulla cartilagine nasale. Di conseguenza i carri erano lenti e poco maneggevoli. La loro funzione era probabilmente quella di inseguire i nemici: ecco perché sono spesso rappresentati nell’atto di schiacciare l’avversario. Il carro doveva essere anche un elemento di prestigio usato nelle parate trionfali e nei riti funebri. Con il passaggio dal III al II millennio a.C. i carri divennero una delle principali armi dell’epoca e videro l’introduzione di varie novità: la ruota a raggi sostituì quella piena, il morso
prese il posto dell’anello nasale, e gli asini cedettero il passo a una coppia di cavalli uniti a un timone centrale al quale era agganciata una piattaforma aperta sul retro. Nel corso del II millennio a.C. l’utilizzo di questi veicoli aumentò drasticamente. Intorno al 1650 a.C., durante l’assedio della città Uršu, il re ittita Hattušili I dichiarava di avere 30 carri a fronte degli 80 dei suoi avversari hurriti. Tre secoli e mezzo più tardi, attorno al 1275 a.C., nella battaglia di Qadeš l’esercito ittita di Muwatalli II poteva contare su circa 3.700 carri, anche se solo 500 ittiti; il resto era messo a disposizione da 18 stati alleati o vassalli.
Il nuovo disegno ittita
Il carro da guerra era utilizzato principalmente per inseguire il nemico e non per attaccarlo frontalmente
Gli ittiti svilupparono un nuovo modello di carro con ruote più leggere, a sei raggi invece di otto. Questo veicolo poteva trasportare tre soldati, per quanto se ne vedano solo due nei bassorilievi del grande tempio di Abu Simbel fatto costruire dal faraone Ramses II,
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Mar N
Mar
Confini dell’antico regno ittita (1650 a.C.-1500 a.C.) Massima espansione dell’impero ittita (1350 a.C.)
Nero
Kaska
Limiti del regno di Mitanni (1450 a.C.) Confini egiziani sotto Ramses II Rotte commerciali
Ankara Gordio
Wilusa
Afyonkarahisar
Akpinar
Gavur Kalesi
Ahhiyawa
Tyana
Eflatun Pinar Hagilar
Lukka
ar
Alshe
Malatya
Amida
Kummanni
Gurgum
Hanigalbat
Shubat-Enlil
Kizzuwatna
Ugarit
M
Korucutepe
Chagar Bazar Harran Hubishna Amanus Karkemiš Adana Tell Mitanni Brak Sam’al Tell al-Hadidi Mersin Tarso Alalakh Aleppo Emar Tell Fray
Kara Hüyük
Afrodisia
Tyana
Isuwa
Tabal
Nesa/Kanesh Acem Hüyük
Pitassa Hilakku
Arzawa
Altintepe
Ankuwa
Yalburt
Beycesultan
Komana
HATTUSA
Hatti
Ussa
Assuwa
Mileto
Horoztepe
Inandik Alacahöyük Mashat Hüyük
Ussa Gruppi etnici e stati
Bayrakli Karabel
Hayasa-azzi
Pala
Alasiya
Me dit erraneo
Arwad
Ebla
Nuhassa
Qatna
Terqa
Tadmor (Palmira)
Mari
Biblo
Amurru CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
l’avversario di Muwatalli a Qadeš. Secondo queste rappresentazioni il cocchio ittita misurava tra i 2,1 e i 2,5 metri di lunghezza. La maggior leggerezza rispetto a quelli nemici veniva compensata dalla presenza di un terzo passeggero: oltre all’auriga e al guerriero c’era uno scudiero che si agganciava agli anelli posteriori della struttura e ne aumentava così la stabilità durante le manovre. La rapidità dei carri (che a volte si spostavano di notte) permetteva agli ittiti di compiere attacchi a sorpresa dagli effetti potenzialmente letali. Se sui carri ittiti si utilizzavano le lance, tra i contingenti nemici l’arma più diffusa era l’arco composito, realizzato con lamine di corno e vari tipi di legname. Con la sua portata di circa 200 metri e una frequenza di tiro tra i 6 e i 10 proiettili al minuto, l’arco era molto più efficace della lancia o del giavellotto. Ma indipendentemente dalle armi presenti a bordo, il carro DA
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IL CARRO, SIMBOLO DELLA REGALITÀ Patera d’oro ritrovata a Ugarit. Permette di apprezzare il ruolo del carro in quanto elemento di prestigio regale. XV-XIV secolo a.C. Musée du Louvre.
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era utilizzato più per inseguire i nemici che per condurre degli attacchi veri e propri, anche se è probabile che in alcuni casi aiutasse la fanteria a rompere le linee nemiche. Su un terreno favorevole poteva raggiungere una velocità di 16 chilometri all’ora. Per dotarsi di battaglioni di carri lo stato doveva disporre di ingenti risorse. Servivano ampi arsenali per custodire i veicoli (di solito smontati), grandi stalle per i cavalli e reti commerciali attive per procurarsi i vari tipi di legname. Il carro del XV secolo a.C. ritrovato a Tebe nella tomba Rosellini ha il timone e il mozzo in legno di olmo; l’asse e i raggi delle ruote in legno di rovere, e il gavello (l’anello esterno delle ruote) e il telaio in legno di frassino. Per non appesantire il veicolo di solito non si utilizzavano metalli. Le giunzioni dei vari elementi, compresi i raggi, erano realizzate con strisce di corteccia di betulla o di cuoio bagnato. I gavelli delle ruote STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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erano ricoperti da una fascia di pelle inumidita, che diventava più compatta a mano a mano che si asciugava e fungeva da battistrada. L’asse delle ruote particolarmente lungo – poteva raggiungere i 2,5 metri – forniva una maggiore stabilità, soprattutto in curva. La piattaforma per i passeggeri era leggera e misurava circa un metro di larghezza e mezzo metro di profondità; era ricoperta di pelli e adornata con materiali preziosi.
Uomini e cavalli Nei vari regni dell'epoca si sviluppò un’aristocrazia militare di guerrieri che combattevano sui carri, come i maryannu del regno di Mitanni. Questi soldati godevano di una posizione politica e sociale privilegiata: ricevevano in usufrutto dei terreni con cui mantener-
I GUERRIERI A CAVALLO La raffigurazione di cavalieri, risalente all’VIII secolo a.C., si trova a Karatepe (Turchia), capitale di uno dei regni neoittiti sorti dal crollo dell’impero ittita. ALAMY / ACI
si, che potevano lasciare in eredità ai propri figli ma non vendere. Grazie a queste risorse erano in grado di provvedere alle spese per il carro, i cavalli e l’auriga. Gli ufficiali, che nella Babilonia del tempo prendevano il nome di shakrumash, potevano trasmettere il carro e la professione stessa ai propri figli, indipendentemente dal fatto che questi fossero in grado di guidarli o meno. Il cavallo era il principale animale da traino, anche se inizialmente molti sovrani preferivano usare delle bestie più lente (e meno pericolose) quando prendevano parte alle marce trionfali. In una lettera al re di Mari, risalente attorno al 1775 a.C., si legge: «Non voglia il mio signore montare un cavallo; salga piuttosto su un carro tirato da emioni [asini selvatici] più consono al suo ruolo di re». Di-
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sporre di buoni cavalli era la preoccupazione di ogni monarca. L’imperatore ittita Hattušili III chiedeva a Kadashman-Enlil I, re di Babilonia: «Inviami dei cavalli, degli stalloni giovani e grandi, perché quelli che mi ha mandato tuo padre erano belli ma piccoli, e in ogni caso sono invecchiati». Va notato che i destrieri dell’epoca erano di dimensioni ridotte rispetto a quelli odierni: raggiungevano un’altezza massima di 1,5 metri al garrese. Si trattava di animali costosi, come dimostra la lettera rabbiosa che il re di Qatna scriveva a Ishme-Dagan I, sovrano di Ekallatum, tra il 1780 e il 1740 a.C.: «Sei un grande monarca; mi hai chiesto quattro cavalli e te li ho inviati. E adesso tu mi mandi [solo] 20 mine [circa 10 chili] di stagno. Non hai forse ricevuto da me tutto [quello che volevi]? Come osi mandarmi questa misera quantità di stagno? Se non mi avessi mandato nulla, mi sarei infuriato di meno, per gli dei di mio padre!». A partire dal XV secolo a.C. fanno la loro comparsa le corazze a scaglie di bronzo per proteggere i guerrieri sui carri e i rispettivi
animali. I cavalli ittiti raffigurati nei bassorilievi della grande sala del tempio di Ramses II ad Abu Simbel non hanno una vera e propria armatura, ma c’è un’immagine in cui indossano una barda a placche di metallo, detta sariam. Questa protezione poteva raggiungere i 27 chili di peso, stando all’esemplare rinvenuto a Kamid el-Loz, nell’odierno Libano. Ma né i poderosi carri né le scintillanti protezioni di bronzo degli aurighi poterono impedire la fine degli ittiti. Il crollo dell’impero e della sua capitale, Hattuša, avvenne attorno al 1190 a.C. in seguito alle incessanti lotte interne per il trono e alle invasioni degli enigmatici popoli del mare, che sconvolsero l’intero Mediterraneo orientale.
LE MURA DI HATTUŠA
La porta dei Leoni era uno degli accessi alla capitale ittita, Hattuša (nell’odierna Turchia). I leoni ruggenti scolpiti su entrambi i lati della porta sono un simbolo di forza e protezione.
LUIS ALBERTO RUIZ CABRERO UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID
Per saperne di più
SAGGIO
Il libro delle rupi: alla scoperta dell'impero degli ittiti C. W. Ceram. Einaudi, Torino, 2003. Lettere tra egiziani e ittiti Violetta Cordani (a cura di). Paideia, Torino, 2017.
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I carri apparvero nel III millennio a.C. in Mesopotamia, luogo d’invenzione (non casualmente) della ruota. I primi esemplari erano lenti e pesanti, ma nel millennio successivo si svilupparono modelli più leggeri. Non venivano usati solo in battaglia, ma anche per sottolineare il potere del re vittorioso che schiaccia il nemico.
LA MIGLIOR ARMA DA GUERRA
Tipo di ruota Piene, fatte con tavole di legno. Numero di ruote Quattro. Trazione Quattro emioni (asini), manovrati tramite anelli collocati nelle narici. Equipaggio Un auriga e un guerriero armato di giavellotti.
SUMERI Si ritiene che svilupparono il carro da guerra a partire da quello da trasporto. L’impiego di questo mezzo si diffuse durante gli scontri del III millennio a.C. tra le cittàstato mesopotamiche.
CARRO DA GUERRA. BASSORILIEVO IN PIETRA PROVENIENTE DA KARKEMIŠ. X-VIII SECOLO A.C. MUSEO DELLE CIVILTÀ ANATOLICHE, ANKARA.
I COSIDDETTI stati neoittiti sorsero tra Siria e Anatolia dopo lo sfaldamento dell’impero ittita (verso il 1190 a.C.). Da questi territori, che rappresentavano la parte orientale dei domini dell'impero, provengono le uniche rappresentazioni di carri non egizie legate al mondo ittita, come quella visibile qui accanto, datata tra il 1000 e l’800 a.C.
scontro di Qadeš mostra l’equipaggio di un carro ittita: l’auriga, un guerriero e un terzo soldato dotato di uno scudo a forma di otto con il quale doveva proteggere i compagni mentre questi ultimi lanciavano i proiettili.
1 GUERRIERI. Un bassorilievo egizio dello
Ai tempi della battaglia di Qadeš tra gli egizi e gli ittiti (1290 a.C. circa) i carri da guerra egizi trasportavano tre uomini su una piattaforma disposta sopra un asse che poteva raggiungere i 2,5 metri di lunghezza.
Gli ittiti
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ILLUSTRAZIONI CARRI: SOL 90 / ALBUM. FOTO: PETER HORREE / ALAMY / ACI
3 CAVALLI. Ricevevano un addestramento intensivo che includeva marce notturne (probabilmente per evitare il calore diurno di buona parte del Vicino Oriente). Il dorso dell’animale era protetto da un sariam, una barda di cuoio rivestita di piastre metalliche, mentre la testa era coperta con un girpisu, un tessuto rinforzato con borchie di ferro.
Tipo di ruota A raggi. Numero di ruote Due. Trazione Quattro cavalli. Equipaggio Un auriga e tre guerrieri.
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2 ARMAMENTI. Uno dei tre uomini a bordo svolgeva un ruolo prevalentemente offensivo ed era armato di lance e giavellotti, ma forse anche di arco e frecce come i contingenti di carri di altri Paesi.
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ASSIRI Verso l’VIII secolo a.C. gli assiri erano dotati di quadrighe, poderosi carri da combattimento che guidavano l’assalto dei loro imponenti eserciti.
Tipo di ruota A raggi, di legno. Numero di ruote Due. Trazione Due cavalli. Equipaggio L’auriga e un guerriero armato di arco composito.
EGIZI L’introduzione del carro leggero in Egitto viene attribuita agli hyksos, che penetrarono nel delta del Nilo attorno al 1650 a.C. Gli egizi avrebbero poi perfezionato il veicolo.
UN PA T R IM O N IO S AL VAT O
ANTICHI RELITTI Il Mediterraneo è la tomba millenaria di numerose imbarcazioni, naufragate con merci e persone mentre solcavano le sue acque. Questi relitti forniscono informazioni preziose sulle società e sulle economie dell’antichità
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UN PALLONE PER SALVARE LE ÀNFORE
SINISTRA: BRIDGEMAN / ACI. DESTRA: INSTITUTE OF NAUTICAL ARCHAEOLOGY
Due archeologi subacquei riportano in superficie un gruppo di ànfore tramite un pallone di sollevamento. Fanno parte delle oltre 800 rinvenute nel relitto di Yassı Ada, una nave bizantina del VII secolo affondata nelle acque del mar Egeo. Sulla sinistra, macchina di Anticitera, scoperta nel relitto omonimo. Museo archeologico nazionale, Atene.
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P
er i suoi contemporanei, il naufragio di una nave è un tragico incidente. Per i ricercatori, invece, costituisce una fonte di dati dall’incalcolabile valore scientifico, una vera e propria miniera di informazioni. Così come avviene con le rovine di Pompei, il relitto di un’imbarcazione è l’immagine congelata di un determinato momento storico: rivela i segreti non solo del carico trasportato, ma anche della vita dell’equipaggio. Questi peculiari siti archeologici nascosti sui fondali marini hanno delle caratteristiche uniche che li distinguono da quelli terrestri. Se le condizioni fisiche al momento dell’affondamento sono adeguate, i resti possono conservarsi persino per millenni. Il legno della nave, le ceste o le calzature di cuoio dei marinai hanno una resistenza eccezionale che ne permette il successivo studio archeologico. Se a questo si aggiunge il fatto che l’isolamento subacqueo evita le alterazioni, il risultato è l’istantanea di un’epoca. Il relitto assume particolare rilevanza se si considera che, fin dalla preistoria, gli esseri umani si sono dedicati a un’intensa attività esplorativa. Il trasporto marittimo, lacustre e fluviale era il modo più veloce, sicuro ed economico di trasferire merci e persone. Non è quindi difficile immaginare che già nei tempi remoti ci fosse un frenetico viavai di imbarcazioni che, in alcune occasioni, si avventuravano in viaggi sconosciuti e, in altre, seguivano rotte commerciali già battute. Per gli archeologi il relitto costituisce il tassello mancante per la comprensione del commercio antico. Gli scavi permettono di riportare alla luce un’infinità di resti di oggetti costruiti in località diverse da quella del ritrovamento. Si tratta quindi certamente di prodotti importati, ma come sono arrivati dal luogo di fabbricazione alla loro destinazione finale? Il relitto offre le risposte, è l’anello di congiunzione tra
1960 George Bass ritrova i resti di una nave dell’Età del bronzo a capo Gelidonya.
1961-1964 La squadra di Bass rinviene un relitto bizantino a Yassı Ada.
1968-1969 I Katzev recuperano il Kyrenia, una nave greca del IV sec. a.C. affondata a Cipro.
1984-1994 George Bass riporta alla luce il relitto di Uluburun, nelle acque di Bodrum.
1999-2001 Scavi dei resti di una nave greca del V secolo a.C. a Tektas, Burnu, in Turchia. UIG / ALBUM
due realtà storiche e commerciali concrete. L’archeologia subacquea è una scienza relativamente recente. Solo negli ultimi sessant’anni gli studiosi hanno sviluppato una metodologia per esplorare i fondali e recuperare i resti senza bisogno di intermediari.
I precursori In precedenza le operazioni erano effettuate da sommozzatori che non avevano una formazione archeologica adeguata. Ciò non ha comunque impedito una serie di ritrovamenti significativi. Ad esempio nel 1895 Eliseo Borghi organizzò una spedizione nel lago di Nemi (sui Colli Albani) allo scopo di “ripescare” i reperti di alcune navi imperiali risalenti all’età di Caligola. Diversi decenni prima Annesio Fusconi aveva tentato, invano, la stessa impresa con una campana batiscopica.
Pochi anni dopo l’impresa di Borghi, nel 1901, ebbe luogo una delle missioni subacquee più celebri della storia, che culminò con il ritrovamento dei resti di una nave affondata di fronte all’isola greca di Anticitera. In entrambi i casi non si può parlare propriamente di interventi archeologici, in quanto non fu seguita nessuna metodologia precisa e ci si avvalse della collaborazione di pescatori di spugne di mare. Fu solo nel 1950 che Nino Lamboglia, archeologo fondatore dell’Istituto internazionale di studi liguri, inaugurò una nuova prospettiva proponendo di considerare il relitto quale un sistema chiuso in cui l’insieme dei manufatti costituisce un contesto impermeabile ai fattori esterni, come una specie di capsula del tempo. Le potenzialità di questo approccio si rivelarono nel recupero del relitto romano di Albenga. Si trattava dei resti di un’immensa nave mercantile che trasportava migliaia di ànfore. Lo scopo di Lamboglia era definire la cronologia precisa di una specifica tipologia di ànfore vinarie. Per ottimizzare l’operazione di recupero, si servì del dragamine Daino. ERMA DI DIONISO. RITROVATO IN UNA NAVE ROMANA AFFONDATA A MAHDIA (TUNISIA). L’IMBARCAZIONE TRASPORTAVA OPERE D’ARTE.
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Questa tecnica gli permise di centrare il suo obiettivo ma causò anche la perdita di molti dati scientifici, come sarebbe emerso in seguito. Se l’approccio era corretto, la metodologia era ancora da rivedere.
Immersioni nella storia
Il primo tentativo in questo senso fu fatto a capo Gelidonya, lungo le coste turche, con i resti di un’imbarcazione cananea (del Canaan, approssimativamente l’attuale Palestina) del 1200 a.C. Questa operazione era destinata a rappresentare l’inizio della moderna archeologia subacquea e costituisce ancor oggi un modello di intervento. George Bass sapeva che gli scavi archeologici sono un modo aggressivo di ricavare informazioni storiche, perché il processo stesso implica lo smantellamento del sito in quanto tale. L’irreversibilità degli scavi spinse la squadra di Gelidonya a registrare meticolosamente ogni elemento nella sua posizione subacquea originaria e, soprattutto, a spiegarne il rapporto con gli altri materiali presenti e con il contesto archeologico. Gli oggetti venivano estratti solo dopo che si era compresa la ragione per la quale si trovavano in un determinato luogo. Si trattava di un processo lento, ma che permetteva di massimizzare le informazioni ricavate dal sito. La squadra di George Bass dimostrò così che i fondali marini ospitavano un’enorme massa di dati che aspettava di essere studiata; ma ci sarebbe voluto ancora del tempo perché l’archeologia subacquea ottenesse il riconoscimento e il rispetto della comunità accademica. Sette anni più tardi Michael
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BRIDGEMAN / ACI
Una decina di anni dopo l’esperimento di Lamboglia, una squadra di giovani archeologi – formata tra gli altri da George Bass, Ann Bass, Peter Throckmorton, Honor Frost e Claude Duthuit – comprese che era possibile applicare con successo la metodologia archeologica agli interventi subacquei. La formula era semplice: formare gli archeologi in tecniche di immersione per renderli in grado di studiare direttamente i siti, senza bisogno di intermediari.
NAUFRAGIO DELLA NAVE SU CARTEL PUBLICITARIO DE WHITE CUI VIAGGIAVA L’APOSTOLO PAOLO. STAR QUEDIANUNCIA «LOS BARCOS OPERA ROB WOOD. 2002. MÁS GRANDES DEL MUNDO». 1911.
IL NAUFRAGIO DELL’APOSTOLO PAOLO DI TARSO fu fatto prigioniero e quindi inviato
a Roma via mare. Nel corso del viaggio si scatenò una terribile tempesta, che durò vari giorni. I marinai persero il controllo dell’imbarcazione, che si incagliò nel tentativo di avvicinarsi a una baia e cominciò a sfasciarsi sotto i colpi delle onde. L’equipaggio si gettò in acqua e raggiunse a nuoto l’isola di Malta, dove Paolo compì vari miracoli. Nell’antichità chi viaggiava per mare – membri dell’equipaggio, passeggeri o prigionieri come l’apostolo – portava con sé non solo averi, ma anche idee, valori e credenze religiose. Le testimonianze archeologiche ritrovate nei relitti permettono di ricostruire queste storie personali.
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CAPO GELIDONYA
Vista panoramica di capo Gelidonya, sulla costa turca. Qui nel 1200 a.C. circa affondò una nave cananea, che fu recuperata nel 1960 da una squadra di archeologi subacquei guidati da George Bass.
NAVI OVUNQUE
In epoca romana le acque del Mediterraneo erano una delle principali vie per il trasporto di merci e persone. Bassorilievo di un sarcofago. I secolo a.C. Museo della civiltà romana. MONDADORI / ALBUM
Katzev e sua moglie Susan Womer Katzev – due archeologi con un’ampia esperienza subacquea – seguirono le orme e i consigli della squadra di George Bass, basandosi sul suo innovativo intervento a capo Gelidonya. L’obiettivo della spedizione era indagare con la massima precisione sul Kyrenia, il relitto di una piccola nave mercantile greca del IV secolo a.C. affondata al largo delle coste cipriote. In assenza di un sostegno accademico o istituzionale, la campagna fu finanziata con il contributo degli stessi ricercatori e di diversi mecenati. Gli archeologi registrarono minu-
ziosamente ogni elemento del carico, dagli effetti personali dell’equipaggio alla struttura della nave, come se si trattasse di una scena del crimine. I Katzev trascorsero lunghe giornate ad analizzare i dati e gli elementi ritrovati per ricostruire la possibile rotta della nave, la causa del suo affondamento e il numero di membri dell’equipaggio presenti a bordo. Erano i primi passi dell’archeologia subacquea, e ogni volta si sperimentavano nuove soluzioni. In quest’occasione si decise di riportare a galla i resti della nave, per metterli insieme e conservarli in superficie. L’operazione fu resa possibile dalla precisione della documentazione della struttura dell’imbarcazione e dall’eccellente lavoro di ricostruzione navale di Richard Steffy.
Archeologia del futuro Dopo gli scavi pionieristici di capo Gelidonya, negli anni settanta si sono susseguite altre importanti pietre milia54 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ri dell’archeologia subacquea: il relitto bizantino dell’isola di Yassı Ada in Turchia, le navi romane di Madrague de Giens, nel sud della Francia, il Bou Ferrer sulle coste orientali della Spagna.
La proliferazione dei siti ha portato a una specializzazione da parte degli archeologi. Se le prime generazioni di ricercatori sottomarini si erano formate negli scavi terrestri per poi apprendere le tecniche di immersione, adesso l’archeologia subacquea si studia già all’università. Attualmente gli interventi in profondità possono giovarsi di tecnologie d’avanguardia che consentono di inventariare sempre più accuratamente i resti archeologici perché, in fin dei conti, il processo di scavo consiste ancora nella distruzione controllata del sito stesso. I GPS subacquei permettono di localizzare il relitto con maggiore precisione, il laser aiuta a registrare ogni elemento della nave con grande esattezza, le planimetrie e i disegni archeologici del sito possono essere fatti direttamente
ARTE GRECA PER ROMANI
Sui fondali di Mahdia, in Tunisia, fu ritrovata una nave romana carica di opere d’arte greche destinate ai ricchi proprietari dell’Africa settentrionale, come questa statua. WERNER FORMAN / GTRES
su computer o tablet subacquei, e la documentazione fotografica in due dimensioni ha ceduto il posto alle immagini 3D. A questi progressi si aggiunge la possibilità di accedere a profondità più elevate grazie ai sottomarini a comando remoto (ROV) o alle immersioni con varie miscele di gas. Attualmente l’archeologia subacquea gode del meritato riconoscimento scientifico e dell’indispensabile sostegno della società. La collaborazione dei sommozzatori sportivi, dei pescatori e del personale marittimo è essenziale per individuare nuovi relitti e proteggere quelli esistenti. Per questo motivo i progetti subacquei del XXI secolo pongono l’enfasi sull’attività di divulgazione e mirano a sviluppare esperienze pionieristiche che consentano l’accesso pubblico in situ ai resti archeologici sommersi. Gli interventi sui relitti romani di cala Cativa e capo di Vol, a Girona, dove sono state organizzate visite subacquee durante gli scavi, o il relitto di Bou Ferrer, ad Alicante, sono stati riconosciuti dall’UNESCO come esempi di buone pratiche nella gestione del patrimonio culturale subacqueo. Un esempio di valorizzazione del patrimonio è senza dubbio quello che ha a che vedere con il relitto di Grado (Gorizia), nave romana del II secolo d. C. (poi denominata Iulia Felix) la cui presenza venne segnalata nel 1986. Il relitto fu oggetto di otto campagne di scavo che permisero il recupero dello scafo e del carico, principalmente composto da ànfore contenenti garum, la salsa a base di interiora di pesce tanto amata dai romani. Recentemente questa scoperta è finita sotto i riflettori grazie alla mostra, da poco svoltasi a Trieste, Nel mare dell’intimità. L’archeologia subacquea racconta l’Adriatico (a cura dell’archeologa Rita Auriemma). CARLES AGUILAR DIRETTORE DI ARCHEOLOGIA SUBACQUEA FEDERAZIONE CATALANA DI ATTIVITÀ SUBACQUEE
Per saperne di più
SAGGI
Archeologia marittima del Mediterraneo Carlo Beltrame. Carocci, Roma, 2012. Nel mare dell’intimità (catalogo mostra) Rita Auriemma (a cura di). Gangemi, Roma, 2018.
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SPECIALE / ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
BRITANNIA
GERM
ANIA Ventotene
A TO C E L A AN N T O I C
San Rossore
O
MAR
Fiumicino
GALLIA
I secolo a.C. (1950)
Genua Genova
Grand Congloué I secolo a.C. (1952)
Cala Cativa I secolo a.C. (1894)
CANTABRICO
Narbo Narbona
III-V secolo d.C. (1958-1965)
Albenga
Giglio
I
A
M
I secolo a.C. (1978)
Tarraco Tarragona
Cala San Vicenç VI secolo a.C. (2002)
HISPANIA
Sud Lavezzi I secolo d.C. (1990)
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Spargi
II secolo a.C. (1958)
Marsala
I secolo d.C. (1999)
Mazarrón
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Panormus Palermo SICILIA
Carthago Cartagine
Mare di Alborán
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III secolo a.C. (1969-1971)
VII secolo a.C. (1988)
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I Roma Ostia
SARDEGNA
Bou Ferrer
Carthago Nova Cartagena
R
Madrague de Giens I secolo a.C. (1967)
M
IV secolo d.C. (1970)
Massilia Marsiglia
Capo di Vol
Stretto di Gibilterra
I sec. a.C.-V sec. d.C. (2009)
I sec. a.C.-I sec. d.C. (1998)
R
A IT
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Relitto
Tarraco
I secolo a.C.
Affondamento
ILLIRIA Provincia romana
(1894)
Ritrovamento
AFRICA
Mahdia
I secolo a.C. (1907)
Città romana Rotta commerciale romana
EOSGIS.COM
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IL MEDITERRANEO, CIMITERO DI NAVI In fondo al Mediterraneo si trovano centinaia di navi che solcarono le sue acque migliaia di anni fa. La mappa di queste pagine mostra i siti di alcuni dei più importanti ritrovamenti di relitti, dalle coste della Spagna fino ai litorali della Siria e dell’Asia Minore.
.-V sec. d.C.
Napoli
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I
A
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Torre Sgarrata
normus
G
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Ephesus Efeso
Yassı Ada
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Gelidonya
XIII secolo a.C. (1960)
Serçe Limani XI secolo d.C. (1977)
Modone
II-III secolo d.C. (1962)
–a Mellieh
IV secolo a.C. (1967)
VII secolo d.C. (1961)
MAR IONIO
M A R
Kyrenia
Uluburun
XIV secolo a.C. (1983)
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Syracussae Siracusa
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III secolo d.C. (1967)
CAPPADOCIA
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Brindisium Brindisi
II-III secolo d.C. (1965)
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I-II secolo d.C. (2003)
Tyrus Tiro
Anticitera I secolo a.C. (1900)
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Ma’agan Michael
II-III secolo d.C. (1967)
V secolo a.C. (1985)
Antirodi
I sec. a.C.-I sec. d.C. (1998)
Belgammel
I sec. a.C.-I sec. d.C. (1964)
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Alexandria Alessandria
E G I T T O
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SPECIALE / ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
CONTENITORI DEL PASSATO
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GEORGE E ANN BASS RIMUOVONO SEDIMENTI MARINI DA ALCUNE ÀNFORE.
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ANADOLU AGENCY / GETTY IMAGES
COURTNEY PLATT / NGS
e ànfore sono dei recipienti specificamente progettati per essere stivati sulle navi. Per fenici, greci e romani costituirono il principale mezzo per il trasporto di liquidi e avevano una forma pensata per sfruttare al massimo lo spazio disponibile sulle imbarcazioni. I puntali allungati ne facilitavano la distribuzione in tutta la parte concava della stiva, permettevano di riempire gli spazi tra le file inferiori e di creare un blocco compatto. Le ànfore erano insomma pensate per ottimizzare la relazione tra peso del recipiente e contenuto, e per offrire un’elevata resistenza meccanica alla pressione del resto delle merci e agli urti prodotti durante la fase di carico o la navigazione. La loro forma variava a seconda del contenuto (vino, olio, salse…) e il loro ritrovamento permette di stabilire una cronologia approssimativa dell’uso di questi prodotti. Lo studio delle argille e dei minerali con effetti sgrassanti in esse contenuti consente di risalire al luogo di produzione. A volte sul collo, sui manici o sul puntale appaiono alcuni segni incisi prima della cottura dell’argilla che indicano il fabbricante. In altri casi sulla superficie delle ànfore era impresso un titulus pictus, ovvero delle parole che potevano riferirsi al contenuto, all’origine o al destinatario.
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MONTAGNE DI ÀNFORE
Un gruppo di archeologi subacquei ispeziona un insieme di ànfore millenarie depositate sul fondale marino nei pressi dell’isola turca di Balıkesir, nel mar Egeo.
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INDAGINE SU UN NAUFRAGIO BIZANTINO
SPECIALE / ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
Questo disegno ricostruisce l’intervento archeologico subacqueo nei pressi dell’isola di Yassı Ada, in Turchia. Si possono vedere le varie fasi di scavo e documentazione nonché i diversi strumenti di comunicazione e di immersione in profondità.
LAVORARE SOTT’ACQUA
I
CHRISTOPHER KLEIN / NGS
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SCAVI FATTI DALLA SQUADRA DI BASS DEL RELITTO DI ULUBURUN, UNO DEI PIÙ ANTICHI DOCUMENTATI FINO A OGGI.
DAVIS MELTZER / NGS
l valore principale del sito non risiede tanto nel materiale in sé, quanto nel contesto archeologico. In una prima fase si rimuovono i sedimenti tramite dei tubi di aspirazione. Una volta ripuliti i resti, si suddivide l’area in una griglia numerata che permette di identificarli tramite coordinate. Quindi si eseguono i disegni in scala e si geolocalizza il sito. La torre mobile posta sopra la griglia permette di scattare foto e registrare video di ogni riquadro mantenendo sempre la stessa distanza e angolazione. In questo modo è possibile assemblare le diverse immagini per ottenere un mosaico fotografico del sito. La comunicazione durante le immersioni è limitata, ma esistono strumenti che consentono di parlare sott’acqua. La campana subacquea e le maschere facciali con microfono e video permettono l’interazione con la squadra sull’imbarcazione tramite un cavo ombelicale. Una volta inventariati, gli oggetti vengono portati in superficie con dei palloni di sollevamento.
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SPECIALE / ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
UN MODELLO DI INTERVENTO
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gli albori dell’archeologia subacquea lo studio del Kyrenia mostrò alla comunità scientifica la quantità di informazioni che era possibile ricavare da un relitto se si utilizzava una corretta metodologia di recupero. A partire dai dati ottenuti su un carico che proveniva da località differenti, la squadra diretta dai Katzev è riuscita a ricostruire la rotta seguita dall’imbarcazione prima del naufragio. Dopo aver lasciato le coste dell’Anatolia, la nave fece scalo per caricare merci nei porti di Rodi, Samo, Kos e Cipro, dove affondò. L’analisi del legname, effettuata da Richard Steffy, rivelò la tecnica di costruzione navale caratteristica dell’epoca. Si trattava di una piccola imbarcazione di 14 metri di lunghezza, costruita a “fasciame portante”: la chiglia e il rivestimento esterno (il fasciame) erano cioè i primi elementi a essere realizzati, quindi si procedeva al rinforzo della struttura tramite l’inserimento dell’ossatura. L’osservazione diretta degli archeologi ha permesso inoltre di comprendere le cause dell’affondamento: alle numerose riparazioni cui fu sottoposto il Kyrenia nel corso del suo lungo servizio, durato quasi un secolo, si aggiunsero i danni provocati da un assalto di pirati, come testimoniano i segni trovati sullo scafo della nave.
BATES LITTLEHALES / NGS
UN ARCHEOLOGO ESPLORA I RESTI DEL KYRENIA, SITUATI A 30 METRI DI PROFONDITÀ.
CON S ERVA ZION E I resti del Kyrenia sono stati raccolti dal fondale e riportati in superficie. Il successivo intervento di conservazione e ricostruzione della squadra di Richard Steffy è durato otto anni. Il legno è stato trattato con glicole polietilenico per ripristinarne la consistenza originaria.
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R ICOS TRUZION E Effettuata sulla base dei dati archeologici, mostra un’imbarcazione a un solo albero, con vela quadrata e due timoni laterali. La chiglia era protetta da un rivestimento di piombo.
RICHAR
D SCHLE
CHT / N
GS
C A R ICO Il Kyrenia aveva a bordo 400 ànfore di vino di Rodi e Samo, 29 macine in pietra di Nisiro, una grande quantità di mandorle e gli effetti personali dell’equipaggio, costituito da 4 uomini. Il carico si trovava nella zona di poppa.
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MARTIN MOXTER / AGE FOTOSTOCK
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UN CARICO ECCEZIONALE
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Uluburun è il relitto di una nave di 3.500 anni fa, una delle più antiche mai ritrovate. Il suo ricco carico è stato rinvenuto tra i 40 e i 60 metri di profondità. Per dieci anni la squadra di George e Ann Bass si è immersa nelle acque turche per studiare e recuperare i resti di un’imbarcazione che tra il suo carico annoverava dei lingotti di rame “a pelle di bue” (espressione che ne indica la forma rettangolare stirata agli angoli) e, in misura minore, di stagno. Erano i metalli necessari alla produzione di bronzo, una lega che avrebbe contraddistinto un’epoca dell’umanità. Oltre alle materie prime per la fabbricazione di oggetti di alta qualità, tra i resti della nave sono stati ritrovati manufatti di lusso, alcuni dei quali sono illustrati in queste pagine: gioielli d’oro, armi, strumenti musicali, lingotti di vetro, avorio di ippopotamo e di elefante, e anche grandi contenitori di trementina e mirra. Questo carico fuori dal comune ha permesso agli archeologi di farsi un’idea migliore della complessità del commercio marittimo nell’Età del bronzo. Nelle merci e nei manufatti dell’Uluburun si mescolano tracce di diverse culture, dal Baltico all’Africa equatoriale. Il destinatario doveva senz’altro essere un ricco governatore, oppure un agiato mercante.
CION DOLO AU R EO Pendaglio in stile cananeo a forma di falco con le ali spiegate e intento ad afferrare due cobra con gli artigli.
DIT TICO DI BOS SO Serviva a sostenere le tavolette di cera degli scribi. È in legno di bosso (buxus sempervirens) con i cardini in avorio.
BILL CURTSINGER / NGS
CALICE D’ORO DI ORIGINE SCONOSCIUTA RITROVATO TRA I RESTI DELL’ULUBURUN.
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NGS SINGER / BILL CURT
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JAMES L. STANFIELD / NGS
R HY TON Coppa per bere in ceramica a forma di testa di ariete. Lo stile richiama altri esemplari provenienti dalla Siria e da Cipro.
C AVA LI ER E La statuetta di terracotta qui sopra rappresenta un uomo a cavallo che indossa un cappello simile al petaso greco.
JAMES L. STA
NFIELD / NG
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ARMI Gruppo di daghe, pugnali, punte di lancia e asce tra cui spicca la spada cananea, con l’impugnatura in avorio ed ebano egizio.
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Le effigi del generale romano, di chiara influenza ellenistica, lo ritraggono con un aspetto affabile e dignitoso. Busto del Museo archeologico nazionale di Venezia. A destra, aureo con l’effigie di Pompeo e di suo figlio Sesto. Museo archeologico nazionale, Napoli.
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BPK / SCALA, FIRENZE
IL VOLTO DI POMPEO MAGNO
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STORIA DI UNA DISFATTA
POMPEO M AGNO Membro di una ricca famiglia del Piceno, Pompeo raggiunse presto la fama grazie alle sue vittorie militari. Ma uscĂŹ sconfitto dallo scontro con Cesare, di cui in precedenza era stato alleato
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C R O N O LO G I A
Ascesa e caduta di un generale 106 a.C. Il 29 settembre nasce Gneo Pompeo Magno, figlio di Gneo Pompeo Strabone, ricco proprietario terriero e senatore piceno.
83 a.C. Durante la guerra contro Papirio Carbone, Pompeo recluta tre legioni per appoggiare Silla. Ne sposa la figliastra Emilia.
76-71 a.C.
TEATRO ROMANO DI MÉRIDA
Pompeo viene inviato in Spagna per soffocare la rivolta di Sertorio. Di ritorno in Italia, elimina le ultime sacche di ribelli dell’esercito di Spartaco.
Fondata nel 25 a.C., Augusta Emerita era la capitale della provincia romana della Lusitania. Il magnifico teatro cittadino si ispirava a quello di Pompeo a Roma e aveva un portico doppio dietro il proscenio.
67-66 a.C. La lex Gabinia concede a Pompeo ampi poteri per combattere i pirati, mentre la lex Manilia il comando militare contro Mitridate.
60 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso formano il primo triumvirato. L’anno successivo Pompeo sposa Giulia, figlia di Cesare, che muore di parto nel 54 a.C.
LEGIONARI ROMANI
Pompeo ebbe un ruolo chiave nella sconfitta del ribelle Sertorio in Spagna. Sotto, bassorilievo con due legionari. Museo archeologico, Siviglia.
52 a.C. Viene nominato “console senza collega” e si allea con gli avversari di Cesare. Questi varca il Rubicone nel 49 a.C. scatenando la guerra civile.
48 a.C. Dopo la sconfitta del 9 agosto a Farsalo, Pompeo fugge ad Alessandria, dove viene assassinato su ordine del re Tolomeo XIII. ORONOZ / ALBUM
FERNANDO EL CATÓLICO. SIGLO XVI. CAPILLA REAL DE GRANADA.
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el 61 a.C. si svolse a Roma una delle processioni trionfali più fastose della storia della città. Il protagonista era un generale di 47 anni, di bella presenza, portamento maestoso e, soprattutto, baciato dalla fortuna – o almeno così sembrava allora. Era già al suo terzo trionfo, a coronamento di una carriera memorabile che alcuni anni prima gli era valsa l’appellativo di Magnus, “il grande”. Avrebbe scritto in seguito Plutarco: «Anche altri in passato avevano ottenuto tre trionfi. Ma lui, avendo trionfato per la prima volta sull’Africa, la seconda sull’Europa e, infine, sull’Asia, sembrava in qualche modo aver sottomesso il mondo intero». Quella di Pompeo è la storia dell’ascesa di un homo novus fino ai vertici del potere. La sua famiglia non apparteneva infatti ai lignaggi più antichi e nobili dell’Urbe. I Pompeo erano originari del Piceno ed erano entrati nell’ordine sena-
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FRANCISCO DE CASA / ALAMY / ACI
toriale grazie ai servigi militari prestati alla repubblica. I romani autentici non apprezzavano le loro origini galliche e guardavano con sospetto quelle capigliature bionde, non comuni nella Roma del tempo.
CRASSO IL TRIUMVIRO Nonostante i contrasti, Pompeo e il ricco Marco Licinio Crasso (sotto) formarono un triumvirato con Cesare. Louvre.
Quando Pompeo fece il suo ingresso nell’arena politica romana, la città era da poco uscita da uno dei più gravi conflitti della sua storia: la guerra civile (88-81 a.C.) tra la fazione dei populares, sostenitori del console Gaio Mario e delle istanze del popolo, e gli optimates, i conservatori aristocratici guidati da Lucio Cornelio Silla. Erano stati questi ultimi a imporsi e ad assumere il governo di Roma alla morte del loro leader, nel 78 a.C. Quasi tutti i membri della famiglia di Pompeo erano fautori e collaboratori di Silla. In particolare il padre, Gneo Pompeo Strabone, un militare che si era fatto una reputazione di uomo brutale e senza scrupoli durante la
BRIDGEMAN / ACI
La guerra in Spagna
Guerra sociale (una rivolta degli alleati italici di Roma che mirava a rivendicare l’estensione del diritto di cittadinanza). Il futuro Pompeo Magno seguì le orme paterne e iniziò la sua carriera nell’esercito combattendo contro i populares di Mario. Uno dei principali teatri del conflitto era la penisola iberica, dove resisteva il governatore ribelle Quinto Sertorio. La Guerra sertoriana iniziò nell’80 a.C. e costrinse Pompeo a restare in Spagna fino al 71 a.C., un anno dopo l’uccisione del suo avversario da parte dei suoi stessi generali. In ricordo di quella campagna Pompeo fondò una città che da lui avrebbe preso il nome – Pompaelo, poi diventata Pamplona – ed eresse un monumento commemorativo sul colle di Panissars, nei Pirenei orientali, in parte conservato. Nell’iscrizione, invece perduta, il giovane generale lasciava una testimonianza della sua attività bellica: 876 comunità sottomesse con la spada. Forte di quell’importante vittoSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL PRIMO TRIUMVIRATO
UN PATTO SEGRETO
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el 60 a.C. gli esponenti politici più in vista di Roma erano Pompeo, che aveva sconfitto i pirati e i regni orientali; Crasso, che aveva sgominato Spartaco e il suo esercito di schiavi, e Cesare, un ambizioso esponente della prestigiosa gens Iulia. I tre si riunirono in segreto e strinsero un’alleanza di cinque anni senza basi legali né sostegno istituzionale. Era un accordo tra privati cittadini che prevedeva di mettere la rispettiva influenza al servizio di alcuni obiettivi politici comuni. Il primo di questi fu l’elezione di Cesare al consolato (59 a.C.). Per suggellare l’alleanza con Pompeo, Cesare gli diede in sposa la sua unica figlia, Giulia. Pompeo si era appena separato dalla terza moglie, Mucia Terzia, appartenente all’influente gens Mucia e madre di Pom-
pea, di Gneo e di Sesto. Gli ultimi due sarebbero diventati acerrimi nemici di Giulio Cesare e di Augusto. Dopo la morte di Giulia (54 a.C.) Pompeo sposò Cornelia, figlia di Metello Scipione, che non gli diede discendenti e fu la sua ultima moglie. Il triumvirato fu rinnovato a Lucca nel 56 a.C. L’anno seguente Crasso e Pompeo vennero eletti consoli e prorogarono di altri cinque anni il mandato proconsolare di Cesare nelle Gallie.
ria, nel 70 a.C Pompeo fu nominato console di Roma, sebbene non avesse occupato nessuna delle magistrature che tradizionalmente precedevano l’assegnazione della carica. Condivise il mandato con il facoltoso Marco Licinio Crasso, capo dei populares, con cui aveva da sempre una relazione tesa e poco collaborativa. Alla fine del consolato la leggenda militare di Pompeo riprese a crescere grazie a due nuove campagne. La prima, nel 67 a.C., lo vide mettere fine alla pirateria nel Mediterraneo, un fenomeno che minacciava in particolare la Sicilia, le coste adriatiche, la Cilicia e Creta. Pompeo suddivise il Mediterraneo in tre settori, che assegnò ad altrettanti generali, e ciascuno di loro si occupò di sradicare definitivamente i pirati dalla propria zona di competenza. Entro la fine dell’anno furono requisite 846 imbarcazioni, conquistati 120 villaggi e catturati 20mila prigionieri, poi venduti come schiavi. Le vittime nemiche furono circa 10mila. La successiva campagna
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Pompeo pose fine alla minaccia dei pirati che infestavano il Mediterraneo. I danni commerciali causati dalla pirateria avevano provocato l’aumento del prezzo del grano a Roma. In primo piano nell’immagine il tempio di Saturno nel foro romano. Era la sede dell’erario pubblico.
CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM
IL CUORE DI ROMA
71 a.C. Elimina gli ultimi resti dell’esercito di Spartaco
76-71 a.C. Mette fine alla ribellione di Sertorio IS
PA
Pamplona
NIA
I TA CORSICA
LIA
Brindisi
Ibiza
Cartagine Nuova
Stretto di Gibilterra
Cartagine
NUMIDIA
81 a.C. Sconfigge Enobarbo e il re Iarba
SICILIA
M
A
Siracusa
G R ECI A Farsalo
Atene
BITINIA
E
MALTA
R
P O N TO
Bisanzio
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R
Utica
MAR NERO
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Durazzo
Napoli
65 a.C. Fine della guerra contro Mitridate
A
Roma
SARDEGNA
ISOLE BALEARI
IRI
48 a.C. Sconfitto da Cesare a Farsalo
MA
Cadice
Empúries
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ILL
Efeso
G
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CILIC
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CRETA
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Leptis Magna
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Antiochia Biblo
67 a.C. Sconfigge i pirati cilici Gerusalemme Alessandria
LI B I A
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82 a.C. Sconfigge Perpenna
FE
OCEANO ATLANTICO
Petra
62 a.C. Sottomissione di Petra
IL CONQUISTATORE DEL MEDITERRANEO N. WONGCHUM / ALAMY / ACI
GNEO POMPEO MAGNO fu un generale vittorioso fin da giovane, quando soffocò
rivolte e conquistò territori dalla Spagna all’Asia minore, passando per l’Africa settentrionale, la Sicilia e la stessa penisola italica. Nella mappa qui sopra sono indicate le campagne di Pompeo fino allo scoppio della guerra civile contro Cesare e alla battaglia conclusiva di Farsalo.
di Pompeo si svolse in Oriente tra il 66 e il 63 a.C. L’obiettivo dell’operazione militare era interrompere le attività espansionistiche di due re ostili a Roma: Mitridate VI del Ponto e Tigrane II d’Armenia. Le vittorie schiaccianti dell’esercito romano spinsero Mitridate al suicidio e il sovrano armeno alla resa. Ma soprattutto portarono all’annessione di alcuni territori chiave – la Siria, la Cilicia, il Ponto e la Bitinia – e alla creazione di un nuovo sistema di protettorati.
CESARE, IL NEMICO Mentre Cesare era impegnato nelle Gallie, il suo rapporto con Pompeo degenerò in aperta ostilità. Busto di Cesare. Museo regionale Agostino Pepoli, Trapani.
Il primo triumvirato
AKG / ALBUM
Le ultime due campagne, oltre ad accrescere il prestigio militare di Pompeo, permisero a Roma di ripristinare il traffico marittimo e riprendere le relazioni commerciali sul fronte orientale. Nel frattempo nella vita politica romana stava emergendo la figura di Giulio Cesare, che nel 63 a.C. ottenne la più alta magistratura religiosa – la carica vitalizia di pontefice massimo. Al ritorno
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nella capitale Pompeo celebrò il suo trionfo con un grande sfoggio di ricchezze e l’elargizione di 75 milioni in dracme d’argento. Tuttavia, al momento di procedere all’assegnazione delle terre che aveva promesso ai suoi veterani, si scontrò con l’opposizione del senato. Non gli restò altra scelta che avvicinarsi ai leader dei populares, Crasso e Cesare, con i quali strinse un’alleanza segreta: il primo triumvirato (60 a.C.). Grazie a questo accordo Cesare fu eletto console nel 59 a.C. ed effettuò la distribuzione di terre promessa da Pompeo. Al termine del consolato Cesare andò in Gallia alla ricerca degli allori militari che gli avrebbero permesso di consolidare la sua carriera politica. Prima di partire suggellò l’amicizia con Pompeo dandogli in sposa la figlia Giulia. I due condottieri si rividero solo dieci anni più tardi, ma erano ormai nemici giurati. L’improvvisa scomparsa di Giulia, morta di parto nel 54 a.C., e di STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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POMPEO SI DIRIGE VERSO LE PORTE DI ROMA SU UN CARRO TRAINATO DA ELEFANTI. PUÒ COSÌ AVERE INIZIO LA PROCESSIONE TRIONFALE PER LE VITTORIE RIPORTATE IN AFRICA. OLIO DI GABRIEL JACQUES DE SAINT-AUBIN. 1765. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.
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Pompeo Magno, l’“Alessandro romano” tificarsi con Alessandro. Per il primo trionfo, che ebbe luogo quando aveva solo 24 anni, voleva fare il suo ingresso in città su un carro trainato da quattro elefanti per rievocare Ercole e Dioniso, mitici antenati di Alessandro. Ma le ridotte dimensioni della porta lo costrinsero ad accontentarsi di una normale quadriga. In occasione del secondo trionfo, invece, sollevò un trofeo delle sue conquiste spagnole, analogamente a quanto fatto in India da Alessandro. Infine nel terzo, per celebrare la vittoria su Mitridate indossò un clamide che si diceva fosse appartenuto al conquistatore macedone. Pompeo era diventato insomma, l’”Alessandro romano”.
MMA / RMN-GRAND PALAIS
A causa delle sue origini plebee, Pompeo soffriva di un costante senso di inferiorità verso le antiche famiglie romane. Per questo apprezzava molto i riconoscimenti simbolici, nella speranza che lo riscattassero dalle umili condizioni dei suoi antenati. E, in effetti, accettò con entusiasmo l’epiteto di Magno attribuitogli dai suoi soldati, che lo metteva sullo stesso piano del grande conquistatore macedone Alessandro. Plinio il Vecchio, grande ammiratore del generale, lo definisce «colui che ha uguagliato la gloria delle imprese non solo di Alessandro, ma dello stesso Ercole» . Le tre celebrazioni trionfali di Pompeo dimostrarono la sua tendenza a iden-
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L’ASSOGGETTAMENTO DI PETRA
Dopo aver sottomesso la Giudea nel 63 a.C., Pompeo procedette all’annessione di Petra, la fiorente enclave carovaniera considerata la rosa del deserto giordano. La città poté conservare la sua autonomia in cambio del versamento di un ingente tributo.
LA BATTAGLIA DI FARSALO
LO SCONTRO FINALE
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ell’inverno del 49 a.C. Cesare riuscì a inviare nella regione balcanica una parte delle sue truppe, eludendo la sorveglianza che Pompeo esercitava sull’Adriatico dalla sua base di Durazzo. Il resto del contingente non avrebbe potuto effettuare la traversata fino alla primavera successiva. Cosciente della sua inferiorità numerica, Cesare svernò presso il fiume Apso in voleva lo scontro, ma si fece attesa di rinforzi. Iniziò quindi trascinare dallo spirito belliuna guerra di logoramento in coso dei suoi soldati e dalle cui le sue truppe, prive di ade- cospirazioni dei suoi generaguati rifornimenti, ebbero la li. Sebbene avesse meno solpeggio. Ma Pompeo non sep- dati, Cesare riuscì a imporsi pe approfittare della situazio- grazie alle sue scelte stratene, e Cesare e il suo esercito giche. A quanto riferisce lui si rifugiarono nella vicina stesso, perse circa 200 uoApollonia.Il generale piceno mini a fronte dei 15mila morti decise allora di raggruppare e 24mila prigionieri tra le file le truppe in Tessaglia, dove lo di Pompeo. Secondo fonti più raggiunse Cesare. La battaglia imparziali le vittime tra gli uodefinitiva si svolse il 9 agosto mini di Cesare furono 1.200 e del 48 a Farsalo. Pompeo non tra quelli del suo rivale 6mila.
Crasso, ucciso l’anno dopo nella battaglia di Carre (Mesopotamia), furono abilmente usate dagli optimates per riportare Pompeo dalla loro parte. Così il generale piceno rifiutò una nuova alleanza matrimoniale con Cesare e nell’aprile del 52 a.C. accettò la nomina a “console senza collega”. Si trattava di una designazione inusuale, perché a Roma il consolato era una magistratura collegiata. Fu probabilmente un espediente per assegnargli i poteri di un dittatore senza dichiararlo espressamente. Alla fine del mandato Pompeo ottenne l’incarico di proconsole, che conservò fino alla morte nel 48 a.C.
Pompeo contro Cesare La situazione divenne ancora più tesa quando gli optimates annunciarono che, al termine del suo periodo in Gallia, Cesare sarebbe stato processato per le malversazioni commesse durante il consolato. Di fronte a questa intricata congiuntura politica, Cesare non ebbe altra scelta che opporsi all’autorità
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IL TRIONFO DI CESARE IN UNA TEMPERA DI PAOLO UCCELLO. XV SECOLO. MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS DI PARIGI.
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LA REGINA CLEOPATRA Pompeo arrivò in Egitto nel pieno del conflitto tra Tolomeo XIII e la sorella e moglie Cleopatra. Sotto, statua di Cleopatra. Ermitage. San Pietroburgo.
LOREM IPSUM
SCALA, FIRENZE
del senato. Nel 49 a.C. violò gli ordini ricevuti e varcò il Rubicone, il fiume che segnava il confine con la Gallia cisalpina. Con quel gesto diede inizio a una guerra civile che si sarebbe protratta fino al 45 a.C. Nella prima fase del conflitto Pompeo fu al comando dell’esercito della repubblica. Nonostante disponesse di molte più truppe rispetto al suo rivale, non osò affrontarlo e iniziò a ritirarsi di fronte alla sua avanzata. Arrivato a Brindisi imbarcò tutte le sue truppe alla volta di Durazzo, sulla sponda opposta dell’Adriatico. Nel frattempo Cesare otteneva pieni poteri a Roma con il titolo di dictator. Quindi inseguì il suo avversario fino in Tessaglia, dove la fortuna militare di Pompeo giunse al termine: il 9 agosto del 48 a.C. fu sconfitto a Farsalo dal miglior genio strategico di Cesare. Il generale piceno fuggì via mare con una trentina di fedelissimi, senza sapere bene dove andare. I suoi amici più cari gli sconsigliarono
di chiedere la grazia a Cesare, argomentando che era poco onorevole affidare la propria salvezza a un gesto di clemenza del nemico. Gli suggerirono invece di rifugiarsi in Egitto: un consiglio che si sarebbe rivelato fatale alla luce degli eventi successivi.
Assassinio in Egitto Arrivato di fronte alle coste egiziane, Pompeo inviò un messaggio al giovane sovrano Tolomeo XIII, che era impegnato a Pelusio in una guerra contro la sorella e moglie Cleopatra VII. In quel momento il governo era in realtà nelle mani dell’eunuco Potino, che fece riunire i consiglieri reali. Questi decretarono che Pompeo andava eliminato per evitare che la sua presenza in Egitto giustificasse eventuali ingerenze di Roma negli affari interni del Paese. Come avrebbe fatto notare più tardi Plutarco, il destino di Pompeo fu deciso da un eunuco, un generale egizio (quindi non romano) e un maestro di retorica che STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA DECAPITAZIONE DI POMPEO
Dopo l’assassinio di Pompeo in Egitto il suo cadavere fu decapitato e la testa offerta in dono a Cesare. Olio di Gaetano Gandolfi. XVIII secolo. Musée Magnin, Digione.
convinse i suoi uditori con l’argomentazione che «un morto non morde». Pompeo fu attirato in trappola dai messi di Tolomeo, che gli offrirono di trasportarlo a terra su una piccola imbarcazione. Il generale riconobbe sulla barca un vecchio compagno d’arme, il tribuno Lucio Settimio, e accettò fiducioso. Ma quando ormai la costa era vicina, Achilla, prefetto di Tolomeo, e Settimio lo pugnalarono. Secondo Plutarco, Pompeo morì «senza dire né fare nulla di indegno di lui, ma sospirando soltanto». Dopo aver assistito a quell’evento tra l’incredulità e la paura, i suoi familiari e amici levarono le àncore e fuggirono senza vendicarlo. Fu Giulio Cesare ad assumersi questa incombenza: sconvolto dalla morte e dalla decapitazione del rivale, fece giustiziare i responsabili del tradimento.
Il grande sconfitto della guerra Il grande sconfitto della guerra civile fu dunque Pompeo, che per molti aveva rappresentato l’ultima speranza di riportare
al potere gli optimates, l’ala più conservatrice del senato. La sua sconfitta a Farsalo significò la fine della repubblica e mise in evidenza il maggior talento militare e politico di Cesare. Ma pur ammettendo la superiorità di quest’ultimo, i suoi contemporanei riconobbero a Pompeo una dignità morale di cui il rivale era privo, e ne idealizzarono la figura di uomo virtuoso e senza macchia. Plutarco ne esaltò per esempio lo stile di vita moderato, i trionfi militari, l’eloquenza persuasiva, i modi affabili, l’estrema generosità nel dare e la modestia nel ricevere ciò che gli veniva restituito. Sicuramente i suoi principali contributi alla causa degli optimates furono le sue doti strategiche e le sue vittorie militari. La fama di generale imbattuto gli valse il favore di grandi personalità politiche della sua epoca, come Cicerone, che riponeva in lui grandi speranze. Ciononostante, in campo politico Pompeo non seppe dimostrarsi all’altezza
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IBRAHIM HISHAM / GETTY IMAGES THIERRY LE MAGE / RMN-GRAND PALAIS
delle aspettative del senato. La sua fedeltà alla causa degli optimates si dimostrò strettamente legata al suo tornaconto personale e non esitò a schierarsi con i populares quando gli fece comodo. Pompeo non aveva l’istinto politico di Cesare e non seppe approfittare come lui del sistema istituzionale romano. Alla fine il suo tallone d’Achille fu proprio il rispetto per l’ordine stabilito, come fece giustamente notare il contemporaneo Velleio Patercolo: «Di eccellente onestà, egregia integrità, moderate capacità retoriche, reso ambizioso dall’autorità conferitagli dalle magistrature […] Mai, o quasi mai, usò il suo potere per imporsi». Pompeo scelse di difendere il sistema repubblicano, ma non seppe fare nulla per risollevarlo dalla crisi in cui versava. Giulio Cesare invece cercò di scardinarlo definitivamente. Il generale piceno era una persona insicura e dubbiosa quando non si trattava di guerre, e gli optimates seppero approfittare di questi aspetti
del suo carattere per legarlo a loro e farne il braccio armato del partito. Così, quando Cesare partì per la Gallia, Pompeo si lasciò trascinare dagli eventi e dai consigli altrui, mentre il futuro dittatore fu sempre artefice del proprio destino. Infine, la fuga di Pompeo dopo la battaglia di Farsalo fu probabilmente troppo affrettata: se avesse analizzato la situazione con più calma, si sarebbe reso conto che non tutto era perduto. E forse il futuro di Roma avrebbe preso una direzione diversa.
LA COLONNA DI POMPEO
Dove un tempo sorgeva il Serapeo di Alessandria – il tempio dedicato al dio Serapide – oggi è ancora visibile la colonna di granito rosa di circa 29 metri che, secondo la tradizione, indica il luogo di sepoltura di Pompeo.
CARLES BUENACASA DIPARTIMENTO DI STORIA E ARCHEOLOGIA. UNIVERSITÀ DI BARCELLONA
Per saperne di più
TESTI
Farsaglia o la guerra civile Lucano. BUR, Milano, 1997. SAGGI
Pompeo Giuseppe Antonelli. Newton&Compton, Roma, 2005. Giulio Cesare Guido Clemente. Giunti, Firenze, 2012.
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LA CREAZIONE DELL’IMPERO MUSULMANO
I CALIFFI OMAYYADI Dal 661 d.C. l’impero musulmano fu governato da una dinastia imparentata con la famiglia di Maometto. Gli omayyadi vennero accusati di scarsa devozione religiosa e di ambizioni assolutiste e dovettero affrontare continue rivolte prima di essere sconfitti nel 750 d.C.
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LA GRANDE MOSCHEA DI DAMASCO
Costruita tra il 705 e il 715 sotto il regno del sesto califfo omayyade, al-Walid I, è uno dei templi più grandi e venerati dell’islam. MICHELE FALZONE / AWL IMAGES
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RECIPIENTE PER PROFUMO
All’inizio dell’epoca islamica si diffusero i vasi di vetro a forma di animale. Sotto, un cammello regge una boccia di profumo. Metropolitan Museum, New York.
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ANDREA PISTOLESI / AGE FOTOSTOCK
CUPOLA DEL TESORO, DOVE VENIVANO CUSTODITE LE RICCHEZZE DELLA GRANDE MOSCHEA DI DAMASCO.
el 657, nella località siriana di Siffin, due grandi eserciti musulmani si studiarono con grande pazienza. Erano guidati rispettivamente da Ali, il quarto califfo dell’islam dopo la morte di Maometto, e dal governatore della Siria, Mu'awiya, che si era ribellato in seguito all’omicidio del precedente califfo e aveva così dato inizio alla Prima fitna (guerra civile) dell’islam. Dopo 77 giorni di attesa, vari tentativi di negoziazione e qualche scaramuccia, a luglio Ali decise di attaccare. Vedendosi in difficoltà, gli uomini di Mu'awiya appesero alcune pagine del Corano alle punte delle loro lance: un gesto con
cui chiedevano di porre fine a quella battaglia tra musulmani e proponevano di sottoporsi a un arbitrato. L’interruzione del conflitto si sarebbe rivelata fatale per Ali, che da quel momento in poi perse gran parte dei suoi alleati e quattro anni più tardi fu assassinato. Dopo essersi assicurato l’Egitto, il suo rivale fu proclamato califfo a Gerusalemme nel luglio del 660. Mu'awiya proveniva da una famiglia di mercanti, gli omayyadi, che apparteneva alla tribù dei Quraysh, la stessa di Maometto. Suo padre era stato un acerrimo nemico del profeta, e solo di fronte all’imminenza della sconfitta aveva accettato di negoziare con lui e di convertirsi insieme al figlio alla nuova religione. Chi aveva appoggiato Maometto fin dall’inizio dubitava della sincerità di quella conversione e temeva un ritorno al potere delle vecchie forze precedenti alla nascita dell’islam. Nonostante il sospetto con cui era visto, Mu'awiya sarebbe passato alla storia come un modello esemplare di capotribù arabo. In un’occasione dichiarò: «Non uso mai la voce se posso usare i soldi, né la frusta se posso usare la voce, né la spada se posso usare la frusta: ma se devo usare la spada, non esito a farlo». Riteneva insomma che convincere i propri avversari con il denaro fosse più conveniente che fare la guerra ma, in caso di necessità, era pronto a combattere.
La costruzione di un impero Quando Mu'awiya salì al potere, il califfato comprendeva l’Egitto e la Libia a ovest, e la Siria, la Mesopotamia e l’Iran a est. Il nuovo sovrano e i suoi discendenti proseguirono l’opera di espansione, raggiungendo la penisola iberica e i confini dell’India. Ma, soprattutto, si dedicarono al compito di organizzare questo immenso territorio avvalendosi dell’esperienza degli imperi
C R O N O LO G I A
IL POTERE DEGLI OMAYYADI
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L’omayyade Mu‘awiya è nominato califfo dell’islam dopo una guerra civile contro il quarto califfo, Ali, che sarà assassinato nel 661.
Alla morte di Mu‘awiya sale al trono il figlio Yazid. Scoppiano degli scontri tra gli omayyadi e i loro avversari.
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LA GUERRA CHE DIVISE L’ISLAM
La guerra civile che vide scontrarsi Ali e Mu‘awiya si concluse con la vittoria di quest’ultimo e la scissione tra sciiti e sunniti. Nell’illustrazione, la battaglia di Siffin (657). British Library, Londra. BRITISH LIBRARY / SCALA, FIRENZE
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Gli omayyadi iniziano la conquista dell’Europa in al-Andalus. Saranno fermati solo nella battaglia di Poitiers (732).
L’impero omayyade, con la sua amministrazione arabizzata e islamizzata, si estende dall’India alla penisola iberica.
Si succedono tre califfi, generando un periodo di instabilità. Marwan II sale al trono, ma scoppia una nuova guerra civile.
Marwan II muore in facio, Bis. Valicer udaciest battaglia in Egitto. confertium qui cri Diventa strum califfo al-Saffāh, dellanonfes tem quod cavo, Pala nuova egerviddinastia co hos abbaside, fuissil che regneràoportud. fino al 1258. tandiurnic
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LA DONNA CHE IRRISE IL CALIFFO
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IL CALIFFO MU‘AWIYA CASTIGA SUA MOGLIE MAYSUN. MINIATURA TRATTA DAL LIBRO DEGLI ANIMALI. X SECOLO. BIBLIOTECA AMBROSIANA, MILANO.
DIFFERENZA dei suoi contem-
poranei, il califfo Mu‘awiya non aveva un grande harem. Preferiva i piaceri della tavola a quelli sessuali, al punto che molti poeti ironizzarono sulla sua grassezza. Tra loro ci fu anche una delle sue mogli, Maysun, una cristiana dell’importante tribù dei Kalb. Nota per la sua intelligenza e per la sua eloquenza, la madre del futuro califfo Yazid I compose un poema sulla virtù della vita beduina nel deserto, che diceva di preferire al lusso della vita di corte. Questi versi non avrebbero destato particolare attenzione se non fosse stato per l’ultima frase: «Preferirei essere stuprata da uno dei miei magri cugini che da quell’asino obeso». Si dice che dopo aver ascoltato questo verso Mu‘awiya, accecato dall’umiliazione, ripudiò la moglie.
Lisbo
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Tangeri G
DEA / GETTY IMAGES
La Ka ba ("cubo") è situata all’interno della moschea della Mecca ed è il luogo più sacro dell’islam. Qui sotto è raffigurata in una miniatura del XIII secolo. Bibliothèque Nationale de France, Parigi. (
precedenti. Mu'awiya stabilì la sua corte a Damasco – che gli arabi avevano strappato all’impero bizantino nel 634 – e sfruttò le strutture amministrative preesistenti, senza praticamente apportare innovazioni. I funzionari, l’organizzazione e la moneta rimasero quelli bizantini o dell’impero sasanide (che era stato abbattuto dalle forze musulmane nel 651). Solo la Siria e la Mesopotamia rimasero sotto l’amministrazione diretta del califfo, mentre negli altri territori furono nominati dei governatori, gli emiri. La gestione delle relazioni con le tribù era affidata ad appositi funzionari. Alle comunità non musulmane, che rappresentavano la maggioranza della popolazione del giovane impero islamico, fu concesso di conservare le proprie strutture. Queste svolgevano una funzione intermediaria con il potere omayyade, come nel caso dei rabbini e dei vescovi. Grazie alla notevole capa-
cità nel gestire le tribù e le sue grandi abilità nel campo della politica tribale, Mu'awiya riuscì a garantire a suo figlio la successione al trono. Si trattava di un fatto inedito: la tradizione in vigore fino ad allora prevedeva che il califfo fosse eletto da un’assemblea di notabili. Con l’ascesa al potere di Yazid I nel 680, gli omayyadi diedero vita alla prima dinastia della storia dell’islam.
Dissidenze interne I primi a ribellarsi al potere omayyade furono i sostenitori di Ali, il califfo assassinato. Sotto la guida di Husain, figlio di Ali, si scontrarono con un distaccamento di Yazid nella celebre battaglia di Kerbela, ma vennero sconfitti. Lo stesso Husain vi trovò la morte. Questo evento viene ricordato ancor oggi dagli sciiti (i seguaci di Ali) nella festività annuale dell’Ashura. Nel mondo musulmano si stava diffondendo il malcontento verso lo stato creato dagli omayyadi, ormai più simile al vecchio modello bizantino che al califfato ideale prospettato dalla dottrina di Maometto. Alcuni
CARTINA: EOSGIS.COM. BROCCA: MMA / RMN-GRAND PALAIS. LASTRA: BRITISH MUSEM / SCALA, FIRENZE
IL CUBO SACRO DELLA MECCA
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L’ESPANSIONE MUSULMANA TRA IL VII E L’VIII SECOLO.
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come i loro predecessori, i califfi omayyadi fondarono tutti i loro rapporti con le altre popolazioni sul principio della jihad, la guerra santa che era alla base della loro espansione. A occidente sottomisero il Maghreb e conquistarono la penisola iberica, mentre a oriente occuparono l’Afghanistan e la regione del Sindh (nell'attuale Pakistan). Le loro bandiere sventolavano da al-Andalus (la Spagna musulmana) fino alla frontiera con la Cina. Ma sotto gli omayyadi gli eserciti arabi subirono anche le prime battute d’arresto dalla nascita dell’islam. La supremazia navale di Bisanzio e la sconfitta del 732 contro i franchi frenarono la loro espansione in Europa, e in Asia centrale cazari e turchi si rivelarono una barriera insormontabile. Nel 750 gli omayyadi di Damasco cedettero il potere agli abbasidi, ma ormai l’islam era politicamente frammentato e la sua espansione si era interrotta.
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DA AL-ANDALUS ALLA FRONTIERA CINESE
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SIMURG, UCCELLO FANTASTICO DELLA MITOLOGIA IRANICA CON TESTA DI CANE. LASTRA IN STUCCO DI UN EDIFICIO OMAYYADE. BROCCA PER L’ACQUA IN STILE SASANIDE. GLI OMAYYADI PORTARONO A TERMINE LA CONQUISTA DELLA PERSIA. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.
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DAMASCO, LA GRANDE Nel XIV secolo il viaggiatore ibn Battuta restò affascinato dalla città
DAMASCO «è il paradiso
d’Oriente […] Agghindata di fiori di piante odorose […] e avvolta in drappi di broccato […] I giardini la circondano come l’alone che cinge la luna, sembrano petali tutto intorno a un fiore».
L’ACQUA «La sua terra è a tal punto sazia d’acqua che quasi desidera aver sete, e poco ci manca che anche i duri e aspri sassi dicano: “Percuoti col piede la terra: ne sgorgherà acqua fresca buona per lavarti e per bere!”».
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CAPITALE DEL CALIFFATO scelta dagli omayyadi come capitale del loro immenso impero
LA MOSCHEA «La più
grandiosa al mondo, la più magnifica dal punto di vista architettonico, la più squisita per grazia […] Uscendo si trova, a sinistra, un grandissimo mercato […] dove una volta c’erano la casa di Mu‘awiya ibn Abi Sufyan e quelle della sua gente».
I DAMASCENI «Fanno a gara nel costruire moschee e
GIORGIO ALBERTINI
zawiya, madrase e santuari […] Lo straniero si trova a proprio agio: non deve mai perdere la dignità e gli si evita tutto quanto potrebbe avvilire il suo orgoglio».
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QASR AL-KHARANA
Tra il VII e l’VIII secolo gli omayyadi costruirono nel deserto giordano vari edifici come quello sottostante. Si trattava allo stesso tempo di fortificazioni e di residenze destinate allo svago della famiglia del califfo.
MANUEL COHEN / AURIMAGES
MONETA E IMPERO
Gli omayyadi coniarono le prime monete dell’islam sul modello della valuta bizantina dell’epoca. Questo dinar d’oro dell'anno 695 rappresenta il califfo Abd al-Malik. British Museum, Londra.
discendenti dei compagni del profeta, guidati da Abd Allah ibn al-Zubayr, insorsero contro il califfo e si asserragliarono nelle città sante di Medina e La Mecca. Gli abitanti di Medina protestarono simbolicamente contro gli omayyadi gettando a terra turbanti, mantelli e sandali. Yazid rispose a tale sfida dimostrando di non aver alcun rispetto per quei luoghi sacri: Medina fu saccheggiata per tre giorni; La Mecca venne invece sottoposta a un duro assedio, durante il quale il santuario fu distrutto a colpi di catapulta e la Ka ba rimase accidentalmente danneggiata da un incendio. Yazid non riuscì quindi a placare la ribellione e alla sua morte improvvisa, avvenuta nel 683, si inaugurò un periodo di instabilità conosciuto come Seconda fitna . Il mondo musulmano era lacerato: Ibn al-Zubayr governava su un territorio che andava dall’Arabia all’Egitto, mentre il nuovo califfo Abd al-Malik ormai controllava solo la Siria. Al-Malik assediò nuovamente La Mecca nel 691, deciso (
SCALA ,
a chiudere i conti con Ibn al-Zubayr e con i suoi sostenitori. A tale scopo non esitò a distruggere la Ka ba, accrescendo così il mito dell’empietà degli omayyadi. (
L’effigie del califfo Nonostante la cattiva reputazione di cui godeva la dinastia, i governi di al-Malik e del figlio, al-Walid I (705-715), intensificarono gli sforzi per islamizzare e arabizzare il califfato, come testimonia il caso dell’unificazione monetaria. Al posto della moneta bizantina e sasanide, in uso fino ad allora, ne venne coniata una nuova, con l’immagine del califfo, la guida spirituale e militare dell’islam. Questa effigie sarebbe stata poi sostituita da iscrizioni in arabo, nel rispetto del divieto (derivato da un'interpretazione del Corano) di rappresentare figure umane. La nuova valuta si basava comunque sul precedente modello bizantino: il denario aureo divenne il dinar, la dracma d’argento fu sostituita dal dirham e il follis di bronzo dal fels, denominazioni che sarebbero state utilizzate anche dai governi musulmani successivi. Analogamente l’arabo sostituì
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MANUEL COHEN / AURIMAGES
GLI AFFRESCHI DELLA VOLTA DI QUSAYR AMRA RAFFIGURANO VARI LAVORI CONNESSI ALLA COSTRUZIONE DELL’EDIFICIO.
costruito all’inizio dell’VIII secolo, Qusayr Amra è situato in mezzo al deserto, a 80 chilometri da Amman (Giordania). Disponeva di un hammam (bagno termale) per la famiglia del califfo. Il palazzo è un buon esempio di arte omayyade, spesso opera di artisti persiani e bizantini che vi esprimono lo stile delle rispettive terre. Negli affreschi sulle pareti compaiono figure animali e umane, inclusa qualche donna nuda: un fatto non comune nell’arte islamica, che successivamente si asterrà dalle rappresentazioni umane considerandole una pratica blasfema. UNA DONNA SOLLEVA UNA SCODELLA IN UN PARTICOLARE DELLA DECORAZIONE DELLA PARTE INFERIORE DI UN ARCO.
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NUDO FEMMINILE RAFFIGURATO SU UNA PARETE DEI BAGNI DI QUSAYR AMRA.
SINISTRA: MANUEL COHEN / AURIMAGES. DESTRA: YADID LEVY / AGE FOTOSTOCK
UN’OASI DI SENSUALITÀ IN MEZZO AL DESERTO
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IL CALIFFO CONQUISTATORE
BRIDGEMAN / ACI
Il califfato raggiunse la sua massima estensione con al-Walid I (705715). Sotto, Tariq ibn Ziyad, il condottiero berbero che guidò la conquista della penisola iberica nell'anno 711.
ORONOZ / ALBUM
GLI ARABI MARCIANO ALLA CONQUISTA DELLA SPAGNA. IMMAGINE DI UN MANOSCRITTO DEL 1237. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE, PARIGI.
il greco nei documenti ufficiali. In ambito pubblico si rafforzò il primato dell’islam sulle religioni preesistenti, in particolare sul cristianesimo, ai cui adepti fu proibito di fare processioni o esporre croci in pubblico.
La fine della dinastia Alla morte di al-Walid I si succedettero tre califfi nel giro di appena nove anni. Tra questi si distinse Omar II (717-720), che sarebbe passato alla storia per la devozione religiosa e l’applicazione della legge islamica nella gestione dello stato. Nonostante l’introduzione di varie riforme amministrative, lasciò in eredità ai suoi successori Yazid II (720724) e Hisham (724-743) una grave crisi economica. Se da un lato le spese erano in continuo aumento, dall’altro si era interrotto quel leggendario flusso di bottini di guerra un tempo garantito dall’espansione del califfato. Un’altra perdita nelle entrate dipendeva senz'altro dall’esenzione fiscale di cui beneficiavano i neoconvertiti. In alcuni casi si arrivò a proibire l’a-
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desione all’islam di grandi masse, per evitare che approfittassero dei vantaggi economici e sociali connessi all’adozione del credo musulmano. Nel frattempo svariati nemici continuavano a cospirare contro gli omayyadi, o in segreto o promuovendo apertamente delle rivolte. L’instabilità politica di Damasco – dove nel 744 si succedettero tre califfi – favorì lo scoppio di un’insurrezione che segnò l’inizio della Terza fitna. I nemici arabi e non arabi degli omayyadi si coalizzarono in un ampio movimento, l’Hashimiyya, guidato da Abu Muslim. Questo generale proveniente dalla provincia orientale del Khorasan dichiarò guerra all’ultimo califfo omayyade in Siria, Marwan II (744-750). Nonostante vari tentativi di soffocare la ribellione, alla fine del 749 Marwan perse la strategica città di Kufa; l’anno seguente fu sconfitto sulle sponde del Grande Zab, un affluente del Tigri. Fuggì con un gruppo ridotto di seguaci in Egitto, dove fu ben presto raggiunto dai suoi avversari. Di fronte alla notevole sproporzione delle forze in campo, Marwan rese onore al vecchio spirito beduino: guidò un’ultima disperata carica di cavalleria e morì in uno scontro corpo a corpo, non prima di aver ucciso svariati nemici. A cinque anni di distanza dalla sconfitta degli omayyadi, uno degli ultimi sopravvissuti della dinastia sbarcò nel porto di Almuñécar (Spagna), dopo aver affrontato un viaggio lungo e pericoloso dalla Palestina al Maghreb. Abd al-Rahman ibn Mu'awiya riuscì a conquistare il potere in al-Andalus (la Spagna musulmana) approfittando delle dispute tribali, analogamente a quanto aveva fatto in Siria il suo omonimo antenato. A migliaia di chilometri da Damasco, il destino stava offrendo agli omayyadi una nuova opportunità. VICENTE MILLÁN TORRES STORICO. SPECIALISTA DI LETTERATURA ISLAMICA
Per saperne di più
SAGGI
Breve storia dell'Islam William Montgomery Watt. Il Mulino, Bologna, 2001. Ibn Battuta. I viaggi A cura di Claudia M. Tresso. Einaudi, Torino, 2006. Gli omayyadi. La nascita dell'arte islamica Museum with no frontiers. Electa, Milano, 2000.
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LA CUPOLA DELLA ROCCIA DI GERUSALEMME
All’inizio dell’VIII secolo. Abd al-Malik fece costruire la cupola vicino alla roccia da cui, secondo la tradizione, Maometto ascese al cielo in sella al destriero Buraq. È il primo esempio di uno stile architettonico chiaramente islamico. REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
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I MOSAICI DELLA GRANDE MOSCHEA La Grande moschea di Damasco era organizzata attorno a un cortile centrale, secondo il modello prevalente nell’architettura religiosa omayyade. La tradizione vuole che la struttura dell’edificio fosse ispirata alla casa del profeta a Medina: un cortile quadrato circondato da un muro di mattoni di adobe, con le stanze situate nella zona orientale. Il cortile, dove venivano ricevuti gli ospiti, sarebbe diventato la zona di preghiera. FRAMMENTO DEL MOSAICO DELLA MOSCHEA DI DAMASCO. VIII SECOLO. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.
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Immagini del paradiso? La moschea fu fatta costruire da al-Walid I, il conquistatore della Spagna. Il califfo ricorse ad abili artigiani cristiani – forse inviati dall’imperatore di Costantinopoli – che decorarono con mosaici in stile bizantino i muri dei portici attorno al cortile e le pareti della cupola del tesoro. Le immagini raffigurate sono tipiche dell’arte romana e bizantina: un corso d’acqua circondato da grandi alberi tra i quali sorgono edifici di varie forme. Forse questi paesaggi assumono anche un particolare significato religioso: si tratterebbe di rappresentazioni del paradiso, molto frequenti nel Corano, caratterizzate da elementi come giardini, fiumi, latte e miele.
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UN RETTILE SULLE ALPI
Nel 1982 sul monte San Giorgio, nelle Alpi svizzere, venne scoperto il fossile di questo piccolo rettile. Imparentato con il moderno coccodrillo, visse durante il periodo Triassico, più di duecento milioni di anni fa. Istituto di Paleontologia, Zurigo. NATHAN BENN / GETTY IMAGES
I PRECURSORI DELL A PALEONTOLOGIA
SULLA PISTA DEI FOSSILI Prima di sapere che i fossili sono tracce di stadi remoti nell’evoluzione degli esseri viventi, gli uomini li consideravano resti di giganti mitologici, scherzi della natura o prove del Diluvio universale
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lungo i fossili hanno suscitato tanta curiosità quanto stupore. Cosa pensare, infatti, di conchiglie marine ritrovate sulla cima di una montagna? O di enormi ossa rinvenute sotto terra? Oggi sappiamo che i fossili sono i resti o i calchi naturali di organismi che vissero milioni di anni fa e che, dopo un processo di interramento o infiltrazione, si sono conservati nei sedimenti geologici. Tuttavia, in mancanza delle conoscenze della paleontologia moderna, in passato si elaborarono le teorie più disparate per spiegare la natura e l’origine di questi esseri “pietrificati”. I riferimenti più antichi si trovano negli scritti di autori greci e romani. Generalmente si tratta di accenni alla presenza di conchiglie e di altri organismi marini sulla terraferma – in alcuni casi di loro impronte o di calchi, in altri della loro presenza pietrificati o conservati all’interno della roccia –, però non mancano i riferimenti alle ossa fossili, il più delle volte di grandi dimensioni. Aristotele propose una spiegazione che ebbe grande successo. Secondo la sua teoria, i fossili si erano formati grazie all’azione di un fluido terrestre che pietrificava tutto quello con cui entrava in contatto, oppure di qualche vis plastica, una forza plasmatrice sconosciuta. La tesi aristotelica si mantenne per tutto il Medioevo. Si credeva che certi tipi di fossili avessero avuto origine dai resti di animali acquatici trasformati in pietra a causa delle esalazioni vaporose di una “forza mineralizzante”. Altri autori medievali sostenevano invece che i vegetali fossili potessero essere il prodotto dell’influenza degli astri. Contemporaneamente si diffuse anche un’interpretazione basata sulla Bibbia secondo la quale le conchiglie marine, trovate sulle cime delle montagne, si erano depositate lì dopo il ritiro delle acque del Diluvio universale. Nel Rinasci-
1282 Secondo Ristoro d’Arezzo la formazione delle montagne è dovuta al Diluvio.
1551 Johann Conrad Gessner pubblica un libro illustrato sui fossili.
1670 Agostino Scilla pubblica un trattato a favore dell’origine organica dei fossili.
1726 Johann J. Scheuchzer fa conoscere un fossile chiamato Homo diluvii testis.
1796 Georges Cuvier determina che il megaterio è una specie estinta. UN UOMO RACCOGLIE CONCHIGLIE MARINE IN MONTAGNA. INCISIONE NELL’OPERA DI AGOSTINO SCILLA, 1670. LINDA HALL LIBRARY OF SCIENCE
mento cominciò a crescere l’interesse per gli oggetti singolari e curiosi, tra i quali i fossili. Negli edifici religiosi e civili come chiese, monasteri e comuni, venivano esposte ossa fossili di grandi dimensioni, a volte attribuite a giganti oppure a draghi. Gli eruditi, inoltre, li raccoglievano per le camere delle meraviglie, precorritrici dei moderni musei. Nelle camere e nei musei esistevano addirittura istruzioni su come raccogliere e collocare in ordine le collezioni di elementi pietrificati, minerali, animali impagliati, mostruosità... In un libro pubblicato nel 1551 il naturalista tedesco Johann Conrad Gessner realizzò una serie di illustrazioni di fossili, tra i quali rientravano non solo i resti di piante e animali, ma anche quelli di asce di selce, minerali, cristalli e addirittura oggetti archeologici come braccialetti e anelli.
Dalla Bibbia alla scienza Gli studiosi continuavano a spiegare l’origine dei fossili a partire dalla tradizione greco-romana e a credere che fossero il risultato di movimenti tumultuosi dovuti a esalazioni terrestri, come i terremoti. Si speculò anche su una loro possibile origine dai germi o dai semi che, provenienti dai vapori umidi esalati dal mare, venivano poi sparsi attraverso le piogge e si depositavano a terra formando i fossili. Altri consideravano i fossili come “scherzi della natura”, che riproducevano casualmente forme somiglianti a conchiglie o ad altri esseri viventi. Tuttavia dalla fine del XVII e per tutto il XVIII secolo a prevalere fu senza dubbio l’interpretazione derivata dalla Bibbia. Numerosi eruditi cercarono di dimostrare che le irregolarità della crosta terrestre e la presenza di fossili marini lontani dal mare e sulla cima delle montagne – tanto di molluschi quanto di mammiferi giganti – fossero conseguenza del Diluvio universale descritto nella Genesi.
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All’inizio del XVIII secolo il medico svizzero J. J. Scheuchzer presentò un insieme di fossili come i resti di una vittima umana del Diluvio, anche se in realtà appartenevano a un anfibio fossile. La teoria del Diluvio si basava sul presupposto che Dio avesse creato tutte le specie animali in un periodo di sei giorni e che queste fossero rimaste immutate nel corso del tempo (sebbene si potesse supporre che si fossero salvate grazie all’arca di Noè). Tuttavia questa teoria presentava il problema che numerosi fossili, tanto di molluschi quanto di mammiferi giganti, non potevano essere messi in relazione con specie viventi. Pertanto durante l’Illuminismo alcuni scienziati iniziarono a pensare che i fossili corrispondessero a specie estinte. A confermare quest’ipotesi contribuí in modo decisivo la scoperta dello scheletro di un animale preistorico rinvenuto vicino a Buenos Aires e inviato a Madrid nel 1788. Una volta ricostruito, si scoprì che si trattava di una specie di bradipo gigante completamente sconosciuta, che venne chiamata Megatherium americanum. Cuvier, un erudito francese, condusse uno studio anatomico del megaterio e di altri fossili simili comparandoli con specie viventi di elefanti e nel 1796 pubblicò le Mémoires sur les espèces d’éléphants vivants et fossiles. Cuvier sosteneva che nel tempo si erano succeduti grandi cataclismi geologici che avevano sterminato la fauna vivente e che i fossili erano tutto ciò che ne rimaneva. La sua filosofia “catastrofista” era ancora distante dalla teoria dell’evoluzione che sarebbe stata poi sviluppata da Darwin, ma certamente lo studioso francese pose le basi della paleontologia, lo studio scientifico dei fossili. FRANCISCO PELAYO LÓPEZ ISTITUTO DI STORIA. CONSIGLIO SUPERIORE PER LA RICERCA SCIENTIFICA (MADRID).
Per saperne di più
SAGGI
Paleontologia generale Aart Brouwer. Mondadori, Milano, 1980. Il magico mondo dei fossili. Una guida pratica per conoscerli e collezionarli. De Agostini, Novara, 1997.
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MONDADORI / ALBUM
IL DILUVIO UNIVERSALE. AFFRESCO DI AURELIO LUINI. XVI SECOLO. CAPPELLA DEL DILUVIO UNIVERSALE. CHIESA DI SAN MAURIZIO AL MONASTERO MAGGIORE, MILANO.
LEONARDO DA VINCI, IL SOLITO SCETTICO MENTRE LEONARDO DA VINCI nel 1489 era impegnato a lavo-
rare a una grande scultura di bronzo a Milano, alcuni contadini gli portarono un sacco pieno di una grande quantità di conchiglie e coralli rinvenuti in montagna. A partire da quel momento Leonardo non smise di riflettere sulla questione, come risulta dal Codice Leicester (1508). Contrario alla teoria che quei ritrovamenti fossero dovuti al Diluvio, Leonardo decise di provare come le conchiglie «in mille braccia d’altura non vi furon portate dal Diluvio». Se infatti il Diluvio era stato causato da piogge torrenziali o da inondazioni marine, lui avrebbe dimostrato che «né per pioggia che ingrossi i fiumi, né per rigonfiamento d’esso mare li nichi, come cosa grave, non sono sospinti dal mare alli monti, né tirati a sé dalli fiumi contro al corso delle loro acque».
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Processo di fossilizzazione della Fedexia, anfibio carnivoro somigliante a una salamandra e vissuto 300 milioni di anni fa. CHIMICA E GEOLOGIA
I fossili secondo la scienza moderna
1. Dopo la morte
l’animale viene sommerso nel letto di un fiume, e così si sottrae all’ossidazione e alla putrefazione aerobica.
la formazione dei fossili è un fenomeno naturale, e perché avvenga devono essere soddisfatte determinate condizioni. Prima di tutto alla morte di un organismo la sua decomposizione deve essere ritardata, per esempio depositandosi su un fondale fangoso e venendo seppellito rapidamente da un altro sedimento. Questo permette lo sviluppo del processo di mineralizzazione, una serie di interscambi chimici tra le ossa dell’animale e i sedimenti che lo ricoprono; ciò provoca la sostituzione delle ossa con materiale minerale, anche se viene mantenuta la forma originale. Con il passare del tempo le trasformazioni della superficie terrestre possono erodere la zona dove si era depositato l’animale e l’erosione fa sì che il fossile venga riportato alla luce. Sebbene gli scienziati oggi abbiano localizzato microfossili risalenti a più di tremila milioni di anni fa, questi furono visibili in abbondanza solo durante le Ere paleozoica (541-252 milioni di anni fa), grazie all’apparizione di specie dotate di corazza e scheletri adatti alla fossilizzazione, e mesozoica (252-66 milioni di anni fa), cui appartengono i fossili di dinosauro.
2. I sedimenti
ricoprono lo scheletro. Con il tempo si sovrappongono nuovi strati, che coprono quelli anteriori.
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3. Durante il
processo di fossilizzazione le molecole del tessuto originale sono sostituite da minerali che le litificano.
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TRILOBITE TROVATO NEL GRAND CANYON DEL FIUME COLORADO (USA). QUESTO ARTOPODE VISSE DURANTE IL CAMBRIANO 541-485 MILIONI DI ANNI FA.
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4. I movimenti della crosta terrestre sollevano gli strati portando il fossile in superficie fino a quando l’erosione lo rende visibile.
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Echinodermi perforati, forse utilizzati come elementi di una collana. Museo archeologico, SaintGermain-en-Laye.
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Ornamenti e amuleti circondati da leggende
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Corno di Ammone. Fossile di ammonite, tipo di mollusco che visse fino alla fine del Cretaceo. Museo civico di Scienze naturali, Bergamo.
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Ascia del Paleolitico inferiore, con incisa una figura dell’echinoidea Conulus, proveniente da Swanscombe (Inghilterra).
Cranio di una donna Cromagnon, ritrovato nella caverna di Cavillon e decorato con fossili di gasteropodi. Musée de l’Homme, Parigi.
SPL / AGE FOTOSTOCK
l’interesse per i fossili risale alle origini stesse dell’umanità. Nelle caverne e nei giacimenti preistorici sono state rinvenute alcune conchiglie fossili perforate che venivano sicuramente utilizzate come orecchini. In altre occasioni i fossili erano incrostati su dei crani o incisi su strumenti come le asce. I fossili erano considerati non solo oggetti singolari e attraenti, ma anche elementi dotati di poteri magici. Con il passare del tempo si susseguirono curiose teorie. Per esempio i fossili di ammonite – un mollusco a forma di spirale – presero il nome di “corno di Ammone” per la rassomiglianza con la divinità egizia rappresentata da un ariete; nel Medioevo, invece, questi stessi fossili erano noti come “pietre di serpente”. Successivamente le pietre con forme particolari, specialmente quelle che somigliavano a piante oppure ad animali, presero il nome di “pietre figurate” e attrassero l’interesse di eruditi ma anche di collezionisti.
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Ciclope. Rappresentazione del mostro mitologico in un’incisione di Joan Sluperius. 1572. BRIDGEMAN / ACI
Femore di mammut proveniente dalla Siberia, datato intorno ai 40mila anni fa. MARY EVANS / SCALA, FIRENZE
XVI SECOLO
Rivive il mito dei giganti il ritrovamento di enormi ossa in stato fossile – in genere resti di proboscidati (imparentati con gli odierni elefanti) e cetacei (mammiferi marini) – è stato fonte di continue polemiche. Durante l’antichità e il Medioevo era diffusa la credenza che appartenessero ai giganti descritti nella mitologia classica (per esempio i ciclopi) o nella Bibbia. Nel XVI secolo iniziò un dibattito, che si prolungò fino alla fine del XVIII, nel quale si ipotizzò che le ossa potessero appartenere a uomini di elevata statura. Così si evince dai racconti dei navigatori e dei viaggiatori che attraversavano lo stretto di Magellano e che assicuravano di aver visto autentici giganti, i patagoni. Ad esempio, il cronista della spedizione cinquecentesca di Cavendish li descrisse come uomini di grande statura e capaci di correre molto velocemente. I racconti venivano alimentati dai ritrovamenti di enormi ossa pietrificate che le leggende indigene dell’America centrale e del sud attribuivano a un’antica razza di giganti.
Patagoni raffigurati in una mappa dell’America di Willem Blaeu, inizi del XVII secolo.
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Denti di squalo fossilizzati. Appartengono a due specie differenti: quello a sinistra allo Squalicorax pristodontus, l’altro al Cretolamna biauriculata.
Le misteriose lingue di pietra fin dall’antichità troviamo riferimenti a un tipo di fossile relativamente comune nelle zone mediterranee. Plinio credeva che si trattasse di glossopetrae, lingue pietrificate cadute dal cielo durante un’eclisse. In seguito si pensò fossero denti di serpente o di drago. Nel XVII secolo il danese Niels Stensen, medico personale del Granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici, elaborò una teoria diversa sulle glossopetrae. Nel 1666 Stensen realizzò la dissezione anatomica della testa di un grande squalo bianco catturato da poco e si rese conto che i denti dell’esemplare coincidevano nella loro morfologia con le pietrificazioni chiamate appunto glossopetrae. Questa scoperta gli permise di proporre un’ipotesi più ampia riguardo la natura organica dei fossili. Niels Stensen sostenne anche che l’età dei fossili era da mettere in relazione con lo strato di terra nel quale venivano rinvenuti, e per questa ragione viene considerato da molti come il padre della moderna stratigrafia.
IMAGINI: SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
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Testa di squalo bianco. Quest’incisione fu realizzata da Niels Stensen nel 1666 quando dissezionò la testa di uno squalo bianco pescato nel Mediterraneo.
Megalodonte. Specie di squalo gigante estinto 1,2 milioni di anni fa. Poteva misurare anche 20 metri di lunghezza.
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1725
Le false pietre di Würzburg nel 1725 accadde uno degli episodi più drammatici nella storia della conoscenza dei fossili. Johann Beringer, professore di Storia naturale e decano della Facoltà di Medicina di Würzburg, in Germania, fu vittima di uno dei primi casi di frode scientifica di cui abbiamo notizia. Seguendo l’usanza del periodo, Beringer si dedicava a fare escursioni per raccogliere campioni naturali utili alle sue ricerche, tra le quali i fossili. Alcuni colleghi, con l’intenzione di screditarlo, fecero costruire dei falsi fossili con del comune fango per poi seppellirli nei posti in
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cui Beringer andava abitualmente a raccogliere i suoi esemplari. Meravigliato per la scoperta, Beringer redasse nel 1726 un’opera completa di una trentina di illustrazioni dei supposti fossili rinvenuti. Alcuni appartenevano ad animali, tanto invertebrati quanto vertebrati, mentre altri rappresentavano oggetti celesti e addirittura lettere ebraiche, il che portò Beringer a ipotizzare una loro origine divina. Quando si scoprì la verità, lo scandalo fu talmente grande che sia Beringer sia i falsari vennero screditati.
Fossili falsi. In questa pagina vengono mostrati alcuni dei falsi esemplari utilizzati per ingannare Beringer: in alto, una pianta e due rane fossili; sopra queste righe, lettere ebraiche disegnate dallo stesso Beringer.
FOSSILI: NATURAL HISTORY MUSEUM, LONDON / BRIDGEMAN / ACI. ILLUSTRAZIONI: ALAMY / ACI
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Fossile di salamandra gigante. Questo esemplare è dello stesso tipo di quello che Scheuchzer identificò come un essere umano antidiluviano.
Homo diluvii testis. L’incisione rappresenta una salamandra gigante (Andrias scheuchzeri) di Scheuchzer. Libro della pietrificazione. Schmidt. 1855.
1725
Un fossile umano dell’epoca del Diluvio un fossile che sembrava rappresentare una pietrificazione umana suscitò un acceso dibattito sull’origine dell’umanità prima del Diluvio. L’esemplare, scoperto nel 1725, consisteva in un blocco di pietra contenente quello che sembrava essere una parte di un cranio e sette vertebre. Il medico svizzero Johann Jacob Scheuchzer sosteneva che appartenessero a un uomo annegato durante il Diluvio universale e per questo lo battezzò Homo diluvii testis, ovvero “uomo testimone del Diluvio”. Secondo Scheuchzer si trattava di ossa umane, simili per proporzioni a quelle di un individuo della sua stessa altezza. Dopo la morte di Scheuchzer, intorno all’esemplare nacque una curiosa controversia: si trattava di un essere umano oppure di un pesce siluro? Qualche anno più tardi, nel 1811, l’esemplare sarebbe stato identificato correttamente da Georges Cuvier come quello di una salamandra gigante vissuta nel Miocene superiore (circa 11-5 milioni di anni fa).
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/ ACI
JOHANN JAKOB SCHEUCHZER. RITRATTO DEL NATURALISTA E GEOLOGO SVIZZERO ALL’ETÀ DI 59 ANNI. PHYSICA SACRA. 1731.
ALAMY
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Fossile di pesce spada. Fossile di larva di libellula. Fiore di getonia bolcensis. Fossile di pesce angelo.
Bolca, il giacimento più famoso
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Secondo molti studiosi, l’Italia possiede alcuni tra i più importanti giacimenti fossiliferi al mondo. Tra questi, i reperti di Bolca (Vr). Si tratta di fossili, per lo più pesci – ma anche crostacei e molluschi, insetti, un coccodrillo, resti di meduse o piante– risalenti all’Eocene medio (circa 50 milioni di anni fa). La bellezza dei reperti e la loro ottima conservazione attirarono l’attenzione degli studiosi fin dal XVI secolo. Il primo a parlarne fu probabilmente il medico senese Andrea Mattioli in una pubblicazione del 1550, mentre il farmacista veronese Francesco Calzolari possedeva, già intorno al 1571, alcuni fossili nella sua collezione. Tra gli altri studiosi legati al sito, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo il veronese Giovanni Battista Gazzola vantava, nel suo palazzo, una collezione di 1200 esemplari, poi prelevati da Napoleone e portati a Parigi. Il mantovano Giovanni Serafino Volta, invece, realizzò nel 1789 un catalogo dei pesci fossili. Importante anche il contributo del marchese Maffei, della famiglia Rigoni, e soprattutto della famiglia Cerato, che studia i fossili da oltre due secoli.
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FOSSILI: AGE FOTOSTOCK
PAT R I M O N I O I TA L I A N O
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Georg Wolfgang Knorr. Ritratto dell’incisore e studioso di fossili realizzato da Johann Adam Schweickart. 1761. Sammlung Archiv für Kunst und Geschichte, Berlino.
1755
I fossili e la sperimentazione nella seconda metà del XVIII secolo gli studiosi elaborarono spiegazioni scientifiche sulla formazioni dei fossili. Tra il 1755 e il 1788 G.W. Knorr, mercante d’arte e incisore, ed E. I. Walch, filologo e naturalista, pubblicarono un’opera in diversi volumi, molto popolare all’epoca per le magnifiche illustrazioni dei fossili che conteneva. Knorr e Walch credevano che, nel corso dei secoli, la terra fosse passata attraverso diverse catastrofi geologiche e che i resti degli organismi morti nei cataclismi avessero dato origine ai fossili. I due autori analizzarono anche il processo di pietrificazione attraverso la sperimentazione chimica. In questo modo poterono osservare che i resti ossei fossili subivano gli stessi effetti delle ossa naturali quando erano esposti all’azione del fuoco, che li riduceva in cenere e li convertiva in carbone. Se i fossili venivano sottoposti a distillazione emettevano uno “spirito volatile di ammoniaca” dal quale si estraevano sali alcalini che ricordavano l’urina: ciò dimostrava la loro natura organica.
RITRATTO: AKG / ALBUM. FOSSILI: SPL / AGE FOTOSTOCK
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Fossili di conchiglia rappresentati in una delle lamine di Johann Ernst Immanuel Walch, Il regno delle pietre sistematicamente disegnato. 1761.
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JOSSE / SCALA, FIRENZE
ÂŤIl nostro immortale naturalista ha ricostruito interi mondi con qualche osso sbianchitoÂť scrisse Balzac su Cuvier, rappresentato in questa pittura a olio di T. Chartran mentre esamina fossili nel suo gabinetto. La Sorbonne, Parigi. 1886-89.
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Megaterio americano in un’incisione realizzata da Georges Cuvier nel 1804. Annali del Muséum National d’Histoire Naturelle. Parigi. Rappresentazione di un megaterio, dove si può apprezzare la somiglianza dei suoi artigli con quelli del bradipo attuale. Incisione a colori.
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ILLUSTRAZIONI: SCIENCE PHOTO LIBRARY / AGE FOTOSTOCK
Cuvier e la fauna estinta nel 1788 venne rinvenuto vicino a Buenos Aires lo scheletro quasi integro di un animale di grandi dimensioni completamente sconosciuto. I resti ossei vennero imballati in casse e spediti al gabinetto di Storia naturale di Madrid (all’epoca il territorio argentino apparteneva alla corona spagnola). Lì l’esemplare venne montato e furono realizzate cinque incisioni con i disegni e le descrizioni delle ossa. Una copia di queste incisioni arrivò a Parigi, all’Istituto di Francia, dove poterono essere analizzate da Georges Cuvier, in quel momento il principale speciali-
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sta di anatomia comparata e paleontologia dei vertebrati. Cuvier realizzò un esame anatomico basandosi sulle incisioni e comparò l’esemplare americano con i resti fossili di proboscidati e con denti e ossa di specie viventi di elefanti. In questo modo nel 1796 determinò che le ossa conservate a Madrid appartenevano a un mammifero del superordine Xenarthra (come l’armadillo, il bradipo o il formichiere), però di un genere estinto, che chiamò Megatherium americanum. Così, grazie ai fossili, venne ricostruito per la prima volta un animale estinto.
Alcune ossa del genere Megalonyx, che appartiene all’ordine Pilosa, lo stesso del megaterio. Incisione di G. Cuvier. Sul Megalonix. 1812.
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BERI
MORTE DI UNA DINASTIA L’ESECUZIONE DELLA FAMIGLIA IMPERIALE In una notte di luglio di cento anni fa l’impero dei Romanov in Russia giunse a una sanguinosa fine. Tenuti prigionieri per mesi dai bolscevichi, il deposto zar Nicola II, la moglie Alessandra e i cinque figli vennero brutalmente uccisi. Le loro morti hanno alimentato il mistero attorno al loro destino
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RITRATTO DI FAMIGLIA
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I Romanov in una fotografia del 1913. Al centro è seduto lo zar con la moglie. Alle loro spalle, da sinistra a destra, le figlie Marija, Ol’ga e Tat’jana. La figlia più giovane, Anastasija, è quella seduta sullo sgabello, mentre Aleksej è seduto a terra. Nella pagina precedente, oggetto celebrativo della visita di Nicola II in Francia nel 1896.
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I confini sono quelli della Rivoluzione russa, novembre 1917.
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TRA IL MARZO 1917, QUANDO NICOLA II ABDICÒ, E IL LUGLIO 1918, QUANDO FURONO UCCISI, I ROMANOV FURONO TENUTI AGLI ARRESTI DOMICILIARI A SAN PIETROBURGO, A TOBOL’SK E A EKATERINBURG.
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a Rivoluzione russa scoppiò nel febbraio 1917. Un mese più tardi Nicola II, imperatore e autocrate di tutte le Russie, abdicò al trono, diventando semplicemente Nicola Romanov. Con la rivoluzione in patria e il catastrofico fallimento della Prima guerra mondiale all’estero, la dinastia dei Romanov, che nel 1913 aveva festeggiato tre secoli al potere, giunse a una rapida fine. Le forze bolsceviche tennero la famiglia prigioniera, spostandola di luogo in luogo, fino a una sanguinosa notte del luglio 1918 in cui furono tutti sterminati, vittime di un destino di cui si erano rifiutati di vedere le avvisaglie.
Con la testa nella sabbia
credeva fermamente nel suo diritto divino di regnare, convinzione condivisa dalla moglie Alessandra. L’Ochrana, la sua polizia segreta,
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Per Nicola, salito al trono nel 1894 dopo la morte del padre Alessandro III, abdicare fu probabilmente un sollievo. Descritto come un uomo limitato e privo di immaginazione, non era adatto, né per capacità né per temperamento, a governare in tempi tanto turbolenti. Indeciso cronico, quando doveva dare un ordine rimandava fino all’ultimo istante, per poi ripetere semplicemente l’ultimo consiglio ricevuto. Tanto che, secondo una battuta che circolava a San Pietroburgo, le due persone più potenti di Russia erano lo zar e chiunque gli avesse parlato per ultimo. Nicola
Cent’anni dalla tragedia
Marzo 1917 Lo zar Nicola II abdica. I Romanov rimangono sotto custodia a Carskoe Selo, ma il governo di Kerenskij teme che li attacchino elementi radicali.
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IL PALAZZO D’INVERNO DI SAN PIETROBURGO
Nicola II e la famiglia non vivevano in quest’imponente edificio della capitale russa, dimora degli zar dal XVIII secolo, bensì nel palazzo di Alessandro a Carskoe Selo, una trentina di chilometri di distanza. Lì Alessandra, di origine tedesca e non familiarizzata con la lingua russa, non sentiva il rifiuto che la corte manifestò nei suoi confronti fin dall’inizio. Inoltre, stare lì permise alla zarina di mantenere il segreto sull’emofilia dello zarevič, malattia che poteva impedirgli di diventare l’erede al trono.
Agosto 1917
Maggio 1918
Luglio 1918
1979
2007
La famiglia imperiale viene allontanata da Carskoe Selo e inviata, insieme a decine di cortigiani, alla località siberiana di Tobol’sk.
A fine mese tutti i Romanov si riuniscono nella Casa Ipat’ev di Ekaterinburg, dove il 30 aprile erano già arrivati Nicola, Alessandra e Marija.
Nella notte tra il 17 e il 18 tutta la famiglia viene assassinata nel sotterraneo della Casa Ipat’ev. I loro corpi vengono sfigurati e sotterrati in segreto.
In una fossa comune si rinvengono i resti dei Romanov. La scoperta viene mantenuta segreta fino al crollo dell’Unione Sovietica.
In una seconda fossa vengono ritrovati i resti di Aleksej e Marija, gli unici due figli dello zar che non erano ancora stati rinvenuti.
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1 PROGRAMMA DEL TEATRO ALEKSANDRINSKIJ DI SAN PIETROBURGO CON GLI ATTI COMMEMORATIVI DEL TRECENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA DINASTIA ROMANOV.
un’organizzazione di violenti assassini, operava impunemente. Come leader, lo zar conobbe pochi successi. Dal 1904 al 1905 combatté e perse una guerra contro il Giappone, con un conseguente calo di prestigio sia in patria sia all’estero. Nel 1905 una rivolta interna lo costrinse a istituire la duma, un corpo legislativo eletto del quale limitò l’autorità prima ancora che si tenesse la sessione iniziale, nel tentativo di restare aggrappato al potere. E quando nel 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale, Nicola guidò il suo popolo in un conflitto che avrebbe esaurito le risorse della nazione e sarebbe costato milioni di vite. Ciononostante l’ultimo zar rimase cieco alla propria crescente impopolarità, convinto che il popolo lo amasse ugualmente. Il popolo, però, aveva opinioni diverse. La propaganda bolscevica l’aveva soprannominato “Nicola il Sanguinario”.
FASTI IMPERIALI
Numerosi oggetti, pubblici e privati – come quelli qui sotto – testimoniano il lusso nel quale visse la dinastia che governò la Russia per 300 anni. 4
La famiglia imperiale Nicola era un uomo legato alla famiglia. Amava la moglie Alessandra e lei amava lui. In un’epoca in cui la regola generale era che i monarchi si sposassero per interessi dinastici più che per affetto, la loro era un’unione fortunata. Convolati a nozze nel 1894, i due ebbero l’una dopo l’altra quattro figlie: Ol’ga, 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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1 Corona imperiale
2 Ritratti incorniciati
3 Uovo Fabergé
4 Arredi liturgici
Utilizzata per l’incoronazione di Nicola II nel 1896, la corona imperiale fu usata la prima volta da Caterina la Grande nel 1762. È incastonata con quasi cinquemila diamanti disposti ad arte. Palazzo dell’Armeria, Mosca.
Ritratti in miniatura dello zar Nicola II e della figlia più grande, Ol’ga. Dipinti da Johannes Zehngraff negli anni novanta dell’ottocento, sono montati su cornici da tavolo in giada intarsiate d’oro e pietre preziose, create dalla gioielleria Fabergé.
Di tutti i tesori dei Romanov le uova realizzate ogni Pasqua dal 1885 dalla gioielleria Fabergé di San Pietroburgo sono i più famosi. L’uovo del 1913, qui riprodotto, fu creato per celebrare il tricentenario della fondazione della dinastia. Palazzo dell’Armeria, Mosca.
Pochi oggetti esprimono la devozione e lo sfarzo dei Romanov più di questi arredi liturgici utilizzati per celebrare la messa. Commissionati da Fëdor III nel XVII secolo, sono intarsiati con dieci tipi di pietre preziose. Palazzo dell’Armeria, Mosca.
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LA “MALATTIA DEI RE” E I “POTERI DEL MISTICO” L’EMOFILIA SI TRAMANDAVA nella famiglia della zarina
Alessandra, che la ereditò dalla nonna, la regina Vittoria del Regno Unito, passandola poi al figlio Aleksej. Questa malattia genetica compromette la capacità del sangue di coagulare, facendo sì che ferite anche lievi possano causare problemi seri. Nel caso di Aleksej, pure un piccolo colpo poteva provocare la rottura di un vaso sanguigno, scatenando gravi emorragie. Particolarmente delicate erano le sue articolazioni. Lo sviluppo, negli anni cinquanta, di un agente che aiutasse a controllare le emorragie arrivò troppo tardi per Aleksej, la cui sola speranza – così credeva sua madre – risiedeva nei poteri curativi di Rasputin.
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MICHAEL NICHOLSON / GETTY IMAGES
ALEKSEJ, ALL’ETÀ DI OTTO O NOVE ANNI, GIOCA CON LA COLLANA DI PERLE DELLA MADRE IN QUEST’IMMAGINE DEL 1913.
Tat’jana, Marija e Anastasija. Aleksej, il tanto desiderato maschio nonché erede, nacque per ultimo, nel 1904. A detta di tutti, i Romanov erano una famiglia felice e unita.
Tedesca di nascita e nipote della regina britannica Vittoria, Alessandra aveva un carattere più forte e assertivo del marito. Il suo modo di fare introverso e distaccato le alienò le simpatie del popolo russo, che la vedeva come un’estranea. A differenza del marito, la zarina si rendeva conto della propria impopolarità, cosa che la rese ipersensibile, maniaca del controllo e paranoica. Sigmund Freud una volta osservò che una famiglia tende a organizzarsi attorno al suo membro più problematico. Per i Romanov era probabilmente Alessandra. Il suo carattere nervoso le assicurava l’atten-
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UNA CAPITALE POCO SICUR A
Nel 1914, all’inizio della Grande guerra, San Pietroburgo prese il nome di Pietrogrado. La città ospitava decine di migliaia di soldati, fomentati dal caos economico, dalla scarsità di cibo e dalle sconfitte militari con la Germania. A febbraio del 1917 (secondo il calendario giuliano vigente all’epoca in Russia; marzo secondo il calendario gregoriano) scoppiò una rivoluzione alla quale si unirono le truppe, come si vede in quest’immagine. Lo zar, considerato responsabile della crisi, si vide costretto ad abdicare.
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zione costante del marito e delle figlie. Tra la più grande e la più piccola delle granduchesse correvano quasi sei anni. Le maggiori, Ol’ga e Tat’jana, venivano affettuosamente chiamate “la coppia grande”, mentre le più giovani, Marija e Anastasija, erano “la coppia piccola”. Tutti quanti stravedevano per il figlio minore, Aleksej. L’erede al trono era nato emofiliaco, problema che aveva ereditato dal ramo materno, e la sua salute divenne il fulcro delle loro esistenze. Quasi ogni attività comportava il rischio di un colpo o un taglio che avrebbe potuto scatenare catastrofiche emorragie. Nelle settimane di convalescenza, Alessandra dormiva sul pavimento accanto al suo letto. Aleksej era
GRIGORIJ RASPUTIN ERA UN MISTICO DI ORIGINI CONTADINE LA CUI INFLUENZA SULLA ZARINA ALIMENTÒ UN FORTE RISENTIMENTO, CULMINATO NEL SUO ASSASSINIO NEL 1916, ALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE.
gentile, un po’ birichino e viziato dalla madre e dalle sorelle. In un’epoca in cui i genitori della classe alta mantenevano con i figli rapporti distanti, la fragilità fisica di Aleksej lo legò molto ai suoi. Rese inoltre la famiglia vulnerabile. E quando si presentò qualcuno in grado di sfruttare tale vulnerabilità, loro caddero completamente nelle sue mani. Grigorij Rasputin, nato nella Siberia occidentale, era un sedicente uomo di Dio, rinomato per il comportamento licenzioso, le abilità curative e la capacità di predire il futuro. Non è chiaro se fosse un imbonitore o ritenesse realmente di avere poteri soprannaturali. I Romanov credevano ciecamente in lui: Rasputin ebbe una grande influenza sulla famiglia STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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gia, e il mistico riuscì ad alleviarne il dolore. Si narra che quest’ultimo avesse raccontato a Nicola e Alessandra che la salute del figlio sarebbe stata legata alla forza della dinastia. La sua abilità nel mantenere il bambino in salute gli avrebbe assicurato un posto a palazzo e il potere di influenzare lo zar. Girava voce che il comportamento depravato di Rasputin fosse arrivato fino a sedurre la zarina. Per quanto quasi sicuramente non sia stato l’amante di Alessandra, alla corte dei Romanov egli ebbe relazioni con un numero incredibile di donne. E ignorando le richieste di allontanarlo, Nicola fece ancora più arrabbiare il popolo russo: il desiderio di rendere felici la moglie e il figlio gli impedì di rimuovere la minaccia che incombeva sul suo impero. Nel settembre 1915, nel corso della Prima guerra mondiale, Nicola si recò al fronte per prendere personalmente il comando delle forze russe. La zarina rimase a occuparsi delle questioni interne, e l’influenza che Rasputin aveva su di lei divenne evidente nella scelta che l’imperatrice fece di ministri incompetenti. Le perdite al fronte e la condotta di Rasputin in patria misero il popolo russo contro lo zar e la sua famiglia. I tempi erano maturi per una rivoluzione.
ASSALTO AL PALAZZO D’INVERNO
Nell’ottobre del 1917 (novembre secondo il calendario gregoriano) i bolscevichi presero il potere e Lenin divenne il leader russo.
imperiale, soprattutto su Alessandra. Quando Rasputin conobbe i Romanov, nel 1905, la zarina era disperata. Proprio quell’anno la rivoluzione aveva quasi rovesciato la monarchia. La nascita di Aleksej, l’anno prima, le aveva dato l’erede nel quale lei sperava, ma l’emofilia del bambino, oltre a essere una tragedia personale, era anche una minaccia per la dinastia. La crisi politica e l’agonia materna permisero a Rasputin di insinuarsi in seno alla famiglia. Nel 1908 Aleksej soffrì di una forte emorra-
LE PERDITE AL FRONTE E LA CONDOTTA DI RASPUTIN IN PATRIA MISERO IL POPOLO RUSSO CONTRO LO ZAR E LA SUA FAMIGLIA. I TEMPI ERANO MATURI PER UNA RIVOLUZIONE
La vita in prigionia Per i bolscevichi i Romanov divennero pedine di scambio e insieme un grande grattacapo. La Russia doveva negoziare la propria uscita dalla Prima guerra mondiale ed evitare nel contempo un’invasione straniera. I nemici della nazione avrebbero tenuto gli occhi puntati su di loro, per vedere che cosa ne sarebbe stato degli ex governanti; ma, rimanendo in vita, i Romanov avrebbero rappresentato un simbolo per il movimento monarchico. Alcuni volevano che fossero mandati in esilio, altri che subissero un processo per quelli che la popolazione percepiva come crimini, e altri ancora che scomparissero per sempre.
All’inizio la famiglia fu mandata nel palazzo di Carskoe Selo. Per problemi di sicurezza, fu poi trasferita a Tobol’sk, a est dei monti Urali. Lì i Romanov non venivano trattati male. Nicola sembrava quasi rinato: si godeva la vi-
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ta rurale all’aria aperta e non sentiva certo la mancanza dello stress che essere zar gli procurava. Avevano mantenuto un seguito generoso – 39 servitori in tutto – e conservato molti beni personali, tra cui l’adorato album di fotografie di famiglia rilegato in pelle. In quei primi giorni di prigionia potevano ancora sognare un lieto fine. Avrebbero potuto raggiungere l’Inghilterra e vivere in esilio con il cugino britannico re Giorgio V. O, meglio ancora, magari gli avrebbero permesso di ritirarsi nella loro proprietà in Crimea, che aveva fatto da sfondo a molte estati felici. Non capivano che, a poco a poco, tutte le vie di fuga si stavano chiudendo. Fino a che rimase solo la strada per Ekaterinburg. Quest’ultima era la città più radicalizzata della Russia, fortemente
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ALLA RICERCA DELLA TRANQUILLITÀ NEL LUGLIO DEL 1917 a Pietrogrado scoppiò una
rivolta operaia che il capo del governo Kerenskij represse duramente. Questi era preoccupato della sicurezza della famiglia imperiale, che si trovava a Carskoe Selo: il capo del governo temeva che il palazzo di Alessandro (nell’immagine qui in alto) potesse venir assaltato dalla folla infuriata. Il pericolo accrebbe tra luglio e agosto, tanto che si decise di inviarli a Tobol’sk, in Siberia, un luogo appartato dall’influenza della rivoluzione. Alcuni sostengono che, in realtà, Tobol’sk fosse solo una tappa e che Kerenskij volesse mettere in salvo la famiglia mandandola in Giappone attraverso la Manciuria.
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SEI DEI ROMANOV SEDUTI SUL TETTO DELLA RESIDENZA DI CAMPAGNA A TOBOL’SK, DOVE FURONO TENUTI PRIGIONIERI DALL’ESTATE 1917 ALLA PRIMAVERA 1918.
PRESSO LA TOMBA DELLA CONTRORIVOLUZIONE. LITOGRAFIA DI VIKTOR DENI CHE ALLUDE ALLA FINE DELLO ZARISMO. 1920.
comunista e anti-zarista. «Andrei ovunque, tranne che negli Urali» si dice abbia affermato Nicola mentre il treno si avvicinava alla sua destinazione finale. Lì la famiglia alloggiava in un grosso edificio conosciuto come Casa Ipat’ev dal nome dell’ex proprietario. Un’alta palizzata in legno era stata innalzata per tagliare fuori il mondo esterno, e i confinati avevano l’uso di un giardino per fare esercizio. L’uomo al comando, Avdeev, era corrotto (la sua gente derubava liberamente i Romanov), ma non crudele. Le guardie erano persone comuni, reclutate dalle fabbriche dei dintorni, che con il passare del tempo entrarono in confidenza e fecero persino amicizia con i prigionieri. Non poteva durare. I bolscevichi rimpiazzarono Avdeev con Jakov Jurovskij, l’uomo che avrebbe orchestrato lo sterminio. Jurovskij reclutò guardie più severe e disciplinate. Mantenne un rapporto distante ma professionale con Nicola e Alessandra, persino mentre ne pianificava la morte. A Nicola, che ancora una volta fraintese la situazione, sembrava addirittura gradevole.
Gli ultimi giorni Gli ultimi civili a vedere i Romanov vivi furono quattro donne portate dalla città per pulire Casa Ipat’ev. Marija Starodumova, Evdokija Semenova, Varvara Driagina e una non identificata quarta domestica diedero alla famiglia un briciolo di respiro dalla noia del
UNA FAMIGLIA PRIGIONIER A
Dopo l’abdicazione di Nicola II nel marzo 1917, le condizioni della prigionia dei Romanov peggiorarono progressivamente. I primi mesi li passarono nel lusso del palazzo di Alessandro a Carskoe Selo, vicino a San Pietroburgo. Invece l’estate furono mandati a Tobol’sk, in Siberia, dove la residenza era molto più rustica, ma potevano godere di una buona accoglienza da parte dei locali. Infine, dopo che i bolscevichi salirono al potere, nella primavera 1918, la famiglia venne trasferita a Ekaterinburg, città conosciuta per il suo fervore anti-zarista. Lì gli vennero confiscate le macchine fotografiche, ragione per cui non ci sono arrivate immagini loro nella casa in cui sarebbero stati uccisi.
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PLACCA COMMEMORATIVA DELLA FAMIGLIA IMPERIALE A TOBOL’SK, DOVE FURONO TENUTI PRIGIONIERI.
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SCALA, FIRENZE
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TAT’JANA E ANASTASIJA LAVORANO NEI GIARDINI DEL PALAZZO DI ALESSANDRO, A CARSKOE SELO, VICINO A SAN PIETROBURGO, NEL 1917.
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ANASTASIJA, TAT’JANA, OL’GA E MARIJA AL PALAZZO DI ALESSANDRO NEL 1917: SI ERANO RASATE LA TESTA IN SEGUITO A UN ATTACCO DI MORBILLO, COME SI FACEVA ALL’EPOCA.
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confino e un ultimo contatto con il mondo esterno. La testi-
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JAKOV JUROVSKIJ, L’UOMO CHE ORGANIZZÒ L’ESECUZIONE DEI ROMANOV E NE FECE SPARIRE I RESTI.
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monianza di queste donne ci ha fornito un ritratto più umano della famiglia ormai condannata. Nonostante il divieto di parlare ai Romanov, le domestiche ebbero ugualmente l’opportunità di osservarli da vicino. All’inizio furono colpite dal contrasto tra i racconti sull’arroganza della famiglia, diffusi dalla propaganda anti-zarista, e le persone modeste che si trovarono davanti. Le granduchesse erano ragazze normali. Quanto al povero, fragile Aleksej, a Evdokija Semenova sembrò la personificazione della sofferenza. Come molti prima di lei, la donna fu in particolar modo colpita dai suoi occhi dolci, che trovò pieni di tristezza. I Romanov, comunque, furono felicissimi del diversivo. Le sorelle si precipitarono ad aiutare a sfregare i pavimenti, cogliendo l’opportunità per parlare con le domestiche a dispetto delle regole. Semenova riuscì addirittura a dire qualche parola gentile ad Alessandra. Una delle scene che sia Semenova sia Starodumova ricordarono con grande chiarezza fu quando Jurovskij si sedette accanto allo zarevic̆ (figlio dello zar), informandosi sulla sua salute. Una scena resa sinistra, in retrospettiva, dal fatto che Jurovskij era perfettamente consapevole che a breve sarebbe stato il carnefice del bambino. I Romanov dovevano essere uccisi perché erano il simbolo supremo dell’autocrazia. L’ironia era che a Ekaterinburg i bolscevichi li avevano spogliati di ogni traccia di aristocrazia. Per dirla con le parole di Evdokija Semenova: «Non erano dèi. Erano persone normali come noi. Semplici mortali». La notte del 16 luglio fu inviato a Mosca un telegramma che informava Lenin della decisione di trucidare i prigionieri. All’una e trenta del mattino
IL SEMINTERRATO
di Casa Ipat’ev, dove nel luglio 1918 venne uccisa la famiglia Romanov insieme alla servitù.
«NON ERANO DÈI. ERANO PERSONE NORMALI COME NOI. SEMPLICI MORTALI» RICORDA EVDOKIJA SEMENOVA, UNA DELLE ULTIME PERSONE A VEDERE I ROMANOV VIVI
Jurovskij informò i Romanov che il conflitto tra le armate rossa e bianca stava minacciando la città e che, per la loro stessa sicurezza, dovevano essere trasferiti nel seminterrato.
L’ultima notte Non ci sono prove che i Romanov non abbiano reagito con docilità. Portando in braccio lo zarevic̆ , Nicola guidò in cantina la propria famiglia e i quattro servitori rimasti con loro: il medico di famiglia Evgenij Botkin, la cameriera Anna Demidova, il cuoco Ivan Kharitonov e il domestico Aleksej Trupp. Riuniti tutti insieme in quel luogo angusto e spoglio, apparivano ancora ignari del proprio destino. Furono portate tre sedie per Alessandra, Nicola e Aleksej, mentre gli altri
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LA“CASA A DESTINAZIONE SPECIALE”
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a Casa Ipat’ev era circondata da una palizzata di legno così alta che da dentro non si riuscivano a vedere le chiome degli alberi. Alcuni giorni dopo l’arrivo della famiglia, i carcerieri tinteggiarono di bianco i vetri delle camere da letto. In quelle stanze nel mese di giugno compirono gli anni successivamente la zarina Alessandra (46), Tat’jana (21), Anastasija (17) e Marija (19). Il 14 luglio un sacerdote locale, padre Storožev, venne chiamato per celebrare la messa: fu una delle ultime persone a vedere la famiglia imperiale viva. Tre giorni dopo i Romanov e i loro quattro domestici vennero massacrati in una stanza di tre metri per quattro della “Casa a destinazione speciale”, come la chiamavano i carcerieri. Successivamente la casa fu la sede di un museo della rivoluzione e di uno anti-religioso fino a che, nel 1977, quando si avvicinava il sessantesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre, Boris El’cin, in quel momento capo del Partito comunista provinciale, diede ordine di demolirla per evitare che diventasse luogo di pellegrinaggio di elementi anti-rivoluzionari.
rimasero in piedi. Jurovskij si avvicinò, con
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i carnefici dietro di lui sulla soglia, e lesse ai prigionieri attoniti una dichiarazione preparata: «Il praesidium del soviet regionale, adempiendo al volere della rivoluzione, ha decretato che l’ex zar Nicola Romanov, colpevole di innumerevoli sanguinosi crimini contro il popolo, debba essere fucilato». Quando Jurovskij terminò la lettura, le guardie cominciarono a sparare. I racconti sono contrastanti, ma la maggior parte concorda nel dire che lo zar sia stato il bersaglio principale e che morì in seguito a diversi colpi di arma da fuoco. La zarina spirò per un proiettile in testa. Mentre la stanza si riempiva del fumo degli spari, tut-
UN SOTTERRANEO DENSO DI FUMO DI POLVERE DA SPARO QUI SOTTO, UNA PISTOLA DEL TIPO DI QUELLE USATE NELL’OMICIDIO DEI ROMANOV. I DODICI UOMINI SPARARONO COSÌ VICINO CHE ALCUNI DI LORO RIPORTARONO BRUCIATURE DA POLVERE DA SPARO E RIMASERO PARZIALMENTE SORDI.
ta la disciplina del plotone svanì. Le granduchesse sembravano non essere state ferite dai proiettili, che erano rimbalzati sui loro corpi (si scoprì in seguito che, durante l’assalto iniziale, i gioielli tempestati di diamanti cuciti sui vestiti avevano agito come un’armatura). Uno dei carnefici – un ubriacone di nome Ermakov, – perse il controllo e cominciò a colpire i Romanov con una baionetta. Dopo venti minuti di puro orrore, l’intera famiglia e il seguito, colpiti da proiettili, armi da taglio o a mani nude, erano tutti morti. Gli undici corpi furono trascinati fuori di casa e caricati su una camionetta. Gli studiosi ritengono che i corpi siano stati dapprima scaricati in una miniera poco profonda chiamata STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ANASTASIJA, LA PIÙ GIOVANE DELLE FIGLIE DELLO ZAR NICOLA II, IN UNA FOTOGRAFIA PRIVA DI DATA.
Ganina Jama, che i bolscevichi tentarono di far crollare con delle granate. Ma il pozzo rimase intatto, così i corpi furono portati via in tutta fretta. Lungo il tragitto la camionetta si impantanò nel fango e due corpi, che ora si crede essere quelli di Aleksej e Marija, furono scaricati e gettati nella foresta. Gli altri nove furono cosparsi di acido, bruciati e sepolti in una fossa separata non molto lontano da lì.
La verità viene fuori
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In seguito al massacro, quando si affrontava l’argomento i funzionari sovietici diventavano evasivi. Anche dopo aver annunciato la morte di Nicola, per un po’ sostennero che Alessandra e Aleksej fossero vivi in un luogo sicuro. I decessi sarebbero stati ufficialmente confermati solo nel 1926, e anche allora i bolscevichi rifiutarono di assumersi la responsabilità dell’esecuzione. Nel 1938 Iosif Stalin soppresse formalmente ogni discussione sul destino della famiglia, e nel 1977 fu demolita Casa Ipat’ev, decretata dal governo di «nessun valore storico». Il silenzio forzato attorno al destino dei Romanov può aver represso la pubblica discussione, ma alimentò un’infinita curiosità. Nei decenni successivi spuntò un notevole numero di impostori, la maggior parte dei quali sosteneva di essere uno dei figli dello zar. Ogni volta che compariva un nuovo pretendente, la storia tornava a galla, impedendo che il mistero venisse definitivamente sepolto, come in molti invece speravano. Nel 1979 una coppia di investigatori dilettanti scoprì il luogo di sepoltura principale vicino a Ekaterinburg, ma il riSUBITO DOPO la morte dei Romanov si sparse voce che alcuni trovamento fu tenuto segreto fino a dopo il di loro fossero sopravvissuti all’esecuzione. Al centro delle crollo dell’Unione Sovietica. Nel 1991, menpiù famigerate rivendicazioni del patrimonio di famiglia tre in Russia si diffondeva una fu Anastasija. Nel 1920 una donna, tratta in salvo da un nuova rivoluzione, alcuni canale di Berlino e ricoverata senza documenti d’identità, scienziati tornarono a Ekateraccontò alle autorità di essere Anastasija, narrando una rinburg per riscattare la stodettagliata storia di come fosse scampata al massacro. In ria. Esumarono i resti di nove seguito si trasferì negli Stati Uniti, dove si faceva chiamare persone, in seguito identifiAnna Anderson. La donna continuò a sostenere di essere cate come Nicola, AlessanAnastasija fino alla morte, nel 1984. Gli ultimi corpi dei dra, Ol’ga, Tat’jana, Anastasija Romanov furono rinvenuti nel 2007, mettendo così fine a e le quattro persone del loro ogni dubbio che qualcuno potesse essere sopravvissuto. ANNA ANDERSON IN La storia di Anderson affascinò il pubblico e ispirò il film seguito. Il rinvenimento delUN’IMMAGINE DEL 1961. Anastasia (1956), con Ingrid Bergman. le loro ossa diede inizio a un
ANASTASIJA E LA STORIA DI ANNA ANDERSON
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processo che ha consentito di portare alla luce sia gli orrori della loro morte sia il loro posto nella storia. Nel 1998 i resti furono sepolti nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di San Pietroburgo, luogo tradizionale di sepoltura degli zar. Nel 2000 la Chiesa ortodossa russa canonizzò Nicola, Alessandra e i loro figli come “martiri della passione”. A Ganina Jama – il primo luogo in cui i bolscevichi tentarono di disfarsi dei corpi – la Chiesa ortodossa russa costruì un monastero. Dove un tempo si ergeva Ipat’ev, nel 2003 fu consacrata la magnifica chiesa sul Sangue, divenuta da allora luogo di pellegrinaggio. Nel 2007, infine, furono trovati i resti di Aleksej e Marija, in seguito identificati grazie all’analisi del DNA. Qualcuno ha detto che le famiglie molto unite
possono tagliarsi fuori dal mondo. Così è stato per i Romanov. Il loro egocentrismo gli ha impedito di accorgersi del pericolo, ma il loro amore li ha rafforzati, rendendone il confino sopportabile. Il fatto che fino alla fine siano almeno rimasti insieme è stata la più grande benedizione dei loro ultimi mesi. TOBY SAUL COLLABORA REGOLARMENTE A HISTORY E SCRIVE DI ARTE E STORIA SU THE TIMES LITERARY SUPPLEMENT, OLTRE CHE SU ALTRE PUBBLICAZIONI.
Per saperne di più
SAGGI
UN SANTUARIO PER GLI ZAR
La chiesa sul Sangue a Ekaterinburg venne consacrata nel 2003; fu eretta esattamente dove si trovava la Casa Ipat’ev nella quale vennero assassinati i Romanov.
La fine dei Romanov Victor Alexandrov. Mursia, Milano, 2007. I Romanov: 1613-1918 Simon Sebag Montefiore. Mondadori, Milano, 2017. Four sisters: The Lost Lives of the Romanov Grand Duchesses Helen Rappaport. Pan Macmillan, 2014.
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IL MISTERO DEI RESTI DEI ROMANOV Frettolosamente sepolte in una fossa comune nel 1918, le ossa della famiglia imperiale massacrata furono recuperate solo decenni più tardi.
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egli anni settanta il geologo Aleksandr Avdonin, nato a Ekaterinburg, collaborò con il cineasta russo Gelij Rjabov alla ricerca del luogo di sepoltura dei sette Romanov. Grazie al suo precedente impiego al ministero degli affari interni sovietico, Rjabov fu in grado di accedere a documenti segreti contenenti tracce preziose. Una pubblicazione del 1926 descriveva il sito della sepoltura come «un luogo paludoso»,
mentre una fotografia del 1919 di un ponte incuriosì i due ricercatori. Lavorando in segreto, la squadra fu in grado di localizzare la struttura e, nel maggio 1979, scoprì una tomba. Temendo una rappresaglia i ricercatori decisero di non parlare della loro scoperta. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, cominciò uno scavo ufficiale, che rivelò come la tomba contenesse cinque Romanov e quattro membri della servitù. L’esperto forense sovietico Sergej
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Segreto tombale. Tra le foreste di betulle, 15 km a nord di Ekaterinburg, croci ortodosse marcano il sito della fossa comune ritrovata nel 1979.
Ricercatori. Sergej Abramov (a sinistra) con una foto della zarina Alessandra e un’altra del suo cranio. Aleksandr Advonin (a destra) iniziò la ricerca dei resti dei Romanov. 1.
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Un luogo in cui riposare. I resti trovati nella fossa grande furono conservati (sotto) fino al 17 luglio 1998, quando furono portati nel luogo di sepoltura tradizionale degli zar, la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di San Pietroburgo.
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Abramov utilizzò le misurazioni craniche per identificare scrupolosamente le ossa, mentre alcuni scienziati britannici estrassero DNA mitocondriale dai resti per compararlo con quello di parenti conosciuti. Nel 1993 fu annunciato che i resti erano quelli di Nicola II, Alessandra, Ol’ga, Tat’jana e Anastasija. Nel 2007 vicino alla prima tomba furono trovati dei resti carbonizzati sepolti, che l’analisi del DNA dimostrò essere quelli di Marija e Aleksej.
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Teschio dello zar Nicola II sovrapposto a una sua fotografia secondo la tecnica usata da Sergej Abramov, che identifica le ossa attraverso misurazioni del cranio.
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Testimoni senza parole. Qui sopra, i crani ritrovati nel 1991 e che corrispondono, da sinistra a destra, alla granduchessa Ol’ga, alla zarina Alessandra, allo zar Nicola e alle granduchesse Tat’jana e Anastasija. Sotto, le ricostruzioni dei crani dei cinque Romanov sulla base dei resti ossei, disposti nello stesso ordine.
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Ai Khanoum, la piccola Grecia dell’Afghanistan Sy
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La storia del sito di Ai Khanoum ebbe inizio nel 1961 quando, durante una battuta di caccia, l’ultimo re dell’Afghanistan, Mohammad Zahir Shah, fece un’incredibile scoperta nel cortile di una casa di campagna: resti di colonne greche e altri oggetti che i locali avevano scovato nelle vicinanze. Il re comunicò l’importante ritrovamento a Daniel Schlumberger, direttore della Delegazione archeologica francese in Afghanistan (Dafa), e si offrì di patrocinare gli scavi.
145 a.C.
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Dopo due secoli di prosperità, Ai Khanoum è abbandonata per l’invasione degli yuezhi. AK G/
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a città di Ai Khanoum (“Signora Luna” in uzbeko) è uno dei più affascinanti giacimenti archeologici della regione anticamente conosciuta come Battriana, nel nordest dell’Afghanistan. La colonia fu fondata da veterani greci alla fine del IV secolo a.C., e alcuni autori la credono una delle famose Alessandrie d’Asia. La città si trovava ai piedi del massiccio dell’Hindu Kush, su una collina alla confluenza dei fiumi Kokcha e Amu Darya. Per due secoli fu particolarmente florida e attiva grazie alle terre fertili, le pietre preziose e l’allevamento dei cavalli, e beneficiò di contatti e scambi commerciali con la civiltà cinese e quella indiana.
Le prime ricognizioni avvennero nel novembre del 1964 e confermarono che, sotto la polvere accumulatasi nei secoli, giacevano le rovine di una città greca. Poco dopo, esattamente il 20 dicembre, il Kabul Times le dedicò in copertina una mappa e, nelle pagine interne, un’intervista al professor Schlumberger. In seguito la notizia apparve anche su altri importanti quotidiani, come Le Monde e The Guardian. Molto di quanto sappiamo oggi circa l’ellenizzazione in Oriente di Alessandro Magno e dei suoi successori deriva da ciò che fu scoperto allora ad Ai Khanoum. Altri siti afgani di epoca ellenistica, come le Alessandrie d’Aria o di Arachosia, sono ancora sepolti sotto le moderne città di Herat e di Kandahar. E, dopo anni di
1961
Il re dell’Afghanistan scopre resti di colonne e altri oggetti greci durante una partita di caccia.
1964-1979
DANITA DELIMONT / ALAMY / ACI
Nel 1961, durante una battuta di caccia, il re afgano scoprì i resti di una magnifica città ellenistica abbandonata da circa duemila anni
PANORAMICA di Ai
Khanoum nella quale sono evidenti i buchi delle centinaia di scavi effettuati dai razziatori.
scavi, nemmeno nell’allora metropoli della regione, Battra, l’attuale Balkh, gli archeologi della Dafa hanno potuto rinvenire materiali rilevanti.
Gli scavi portano alla luce la città greca, ma l’invasione sovietica costringe a fermare i lavori.
2003
Gli archeologi tornano al giacimento e lo trovano quasi completamente distrutto.
STATERE IN ORO CON IL BUSTO DI ANTIOCO I RITROVATO AD AI KHANOUM. BU
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I REPERTI SALVATI
accogliere all’incirca 6mila persone – grande, quindi, quasi quanto quello di Epidauro in Grecia. Per di più le rovine si erano conservate molto bene, giacché la città era stata abbandonata verso il 145 a.C., dopo essere stata messa a ferro e fuoco da nomadi yuezhi provenienti dalla Cina. Nella cavea del teatro, gli archeologi hanno rinvenuto, infatti, una pila di scheletri umani risalenti a quel periodo.
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Ai Khanoum, invece, era come una “piccola Grecia” sulle sponde del fiume Amu Darya. Le campagne di scavi della Dafa, dirette da Paul Bernard e succedutesi dal 1965 al 1978, portarono alla luce una gran quantità di monete, iscrizioni e mosaici. Inoltre, vennero rinvenuti anche i resti di un vasto ginnasio, di un monumentale complesso di palazzi con porticati dorici e corinzi, e perfino un teatro che poteva
NEL 2001 l’organizzazione umanitaria Acted lavorò al recupero del patrimonio archeologico afgano. Nel villaggio di Khoja Bahoudin furono ritrovati integri alcuni reperti del vicino sito di Ai Khanoum, come i capitelli greco-battriani dell’immagine.
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Disco ritrovato nel tempio maggiore. Vi si possono scorgere la dea Cibele, il busto di Helios e un sacerdote iranico.
Gargoyle che imita una maschera da commedia. Faceva parte della decorazione di una fonte che si trovava vicino al teatro.
Un patrimonio recuperato LO SFORZO di archeologi e conservatori del Museo na-
zionale di Kabul ha permesso di recuperare opere di Ai Khanoum che erano state date per disperse. Nel 2001 Paul Bernard, antico direttore degli scavi, diceva per esempio che il busto di un anziano scolpito su un pilastro, prima presente nel museo, «forse non era sopravvissuto alla furia iconoclasta dei talebani». Il pezzo è stato però rintracciato ed esposto nel 2006 in una mostra parigina.
Un altro ritrovamento interessante, nel 1966, fu la lapide del Mausoleo di Kineas, considerato il fondatore della città. Su di essa il filosofo Clearco di Soli aveva ordinato di copiare, attorno alla metà del
III secolo a.C., parte delle massime di Delfi. E così sembra quasi che sia Apollo a parlare dal suo oracolo: «Nell’infanzia, comportati bene; in giovinezza, controllati; nella mezz’età, sii giusto; in vecchiaia, dà saggi consigli; nella morte non sentire dolore». Durante gli scavi successivi, nel cosiddetto “tesoro
del palazzo” furono scoperti ostraka con documenti in greco di carattere amministrativo, e perfino (con grande sorpresa degli archeologi) frammenti di un papiro con un dialogo del filosofo Aristotele dato per disperso. In quegli anni vennero pure alla luce statuette, terrecotte e decine di mo-
Ad Ai Khanoum convivevano una forte identità greca con idee importate da Cina e India FRAMMENTO DEL PIEDE DI UNA STATUA DI ZEUS TROVATO NEL TEMPIO DI AI KHANOUM.
nete greche con i nomi di diversi re greco-battriani e greco-indiani. I reperti furono catalogati e registrati al Museo nazionale di Kabul, anche se parte di quel materiale, assieme alle fotografie e ai diari di campo, fu poi mandato al Museo delle arti orientali di Parigi.
Simbiosi culturale Ai Khanoum aveva una forte identità greca, ma rimase una città cosmopolita: sulle scritte i nomi iranici e battriani si alternavano a quelli greci, e anche il tempio principale della città, dedicato a Zeus, sembra-
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GRANDI SCOPERTE Mezzaluna di bronzo fuso con la rappresentazione di un volto femminile. Ai Khanoum significa “Signora Luna” in uzbeko.
Busto di un uomo barbuto ritrovato nel ginnasio di Ai Khanoum. Si pensa che fosse il maestro del luogo.
Moneta del II secolo a.C. con la scritta «re Agatocle» in greco e in brahmi. Compaiono due divinità indù: Khrisna, con la ruota della legge, e il fratello Balarama.
DISCO: FINE ART IMAGES / ALBUM. GARGOILLE: THIERRY OLLIVIER / MUSÉE GUIMET / GETTY IMAGES. MONETA: AKG / ALBUM. LUNA E BUSTO: THIERRY OLLIVIER / MUSÉE GUIMET / GETTY IMAGES
va ispirato alle ziqqurat mesopotamiche. E infatti all’interno venne scoperto un oggetto particolare: un disco che rappresenta Helios, Cibele e un sacerdote iranico intento a fare un’offerta su un altare di fuoco. Ai Khanoum fu sempre ricca, soprattutto per lo sfruttamento delle vicine miniere di lapislazzuli nel Badakhshan: nel tesoro del palazzo c’erano ancora pietre non lavorate. Prosperò economicamente grazie anche alle relazioni commerciali con Cina e India, che permisero la circolazione sia di spezie e manu-
fatti in agata e avorio sia di idee scientifiche e credenze religiose della tradizione induista e buddista.
Guerra e distruzione Sfortunatamente la sorte del giacimento di Ai Khanoum è andata di pari passo con quella dell’Afghanistan. E il sito, nonché l’intero patrimonio culturale, ha sofferto quanto il Paese, gravemente piagato dai continui conflitti. Gli scavi francesi dovettero essere sospesi nel 1979 a causa dell’invasione sovietica e per decenni fu impossibile entrare nel Paese, poiché a
quella guerra catastrofica, durata sino al 1989, seguì una violenta guerra civile fino al 2001. Quando la Dafa tornò ad Ai Khanoum nel 2002, la devastazione era totale: buchi grandi quanto crateri testimoniavano l’entità della spoliazione; solo alcuni capitelli erano sopravvissuti nelle case da tè dei dintorni. E i pezzi depositati al Museo nazionale di Kabul avevano subìto la campagna iconoclasta dei talebani. Fortunatamente, però, nel 1989 parte della collezione era stata messa sotto chiave nei depositi sigillati della
Banca centrale dell’Afghanistan, depositi che furono riaperti nel 2003. Da allora una mostra itinerante per Stati Uniti ed Europa, organizzata dalla National Geographic Society, ha permesso di riscoprire alcuni dei tesori di Ai Khanoum che temevamo perduti per sempre. —Juan Pablo Sánchez Per saperne di più Fouilles d’Aï Khanoum Paul Bernard. DAFA, Parigi, 1973-2013 (diversi volumi). Afghanistan. Storia e società nel cuore dell’Asia. Elisa Giunchi. Carocci, Roma, 2007.
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LIBRI
PREISTORIA
Come eravamo nel lontano Paleolitico
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Marco Peresani
COME ERAVAMO Il Mulino, Bologna 2018; 156 pp.; 11 ¤
uando mise piede nella penisola italiana il primo Homo sapiens? Da dove proveniva e in quale contesto ambientale si trovò a vivere? Retrocedendo nel tempo di centinaia di migliaia di anni, fino all’epoca geologica del Pleistocene, Marco Peresani (docente di culture del Paleolitico all’Università di Ferrara) compie un viaggio «per capire chi siamo», riportando alla luce le tracce degli ominidi che si
insediarono nella penisola italiana. Impronte «effimere ma incontrovertibili» dei primi abitatori si sono palesate sotto forma di pietre scheggiate rinvenute nelle fessure carsiche a Pirro, nella Puglia settentrionale, così come sui terrazzi del Pedeappennino romagnolo a Monte Poggiolo, in un periodo che va da oltre 800mila anni fa fino a 1,4 milioni di anni fa circa. Penetrato dal Vicino Oriente grazie a una regressione marina che collegava i Balcani alla regio-
ne Nord Adriatica, l’Homo sapiens sarebbe successivamente venuto in contatto con il nativo Neanderthal. Secondo Peresani, dal punto di vista delle innovazioni quello fu uno dei momenti più intriganti dell’evoluzione umana. Le capacità di organizzazione dello spazio e di sfruttamento del territorio, insieme all’affermazione dell’arte parietale e mobiliare, dell’adorno personale e della musica, sono indizi che trasmettono informazioni fondamentali per ricostruire la vita, il rapporto con l’ambiente e le innovazioni culturali dei cacciatori-raccoglitori. E tutto ciò in un viaggio conoscitivo che va dalle Alpi fino alla Sicilia. —Matteo Dalena
BIOGRAFIA
Nicola Attadio
DOVE NASCE IL VENTO Bompiani, Milano, 2018; 204 pp.; 16 ¤ NELLIE BLY, penna libera in un
mondo senza donne. «Quante volte hai ripetuto: “Io vado per la mia strada”. E poi finalmente la vedi, la tua strada». È piena di ostacoli quella di Elizabeth Cochran, pioniera del giornalismo americano d’inchiesta tra ‘800 e ‘900.
Quel mondo, chiuso alle donne, la costringe a celarsi dietro lo pseudonimo di Nellie Bly, con il quale, secondo l’autore, «fa saltare sulla sedia non pochi notabili di Pittsburgh». Ne ricostruisce la vita lo scrittore Nicola Attadio: da una florida campagna della Pennsylvania fino alla ricerca di fortuna come «piccola orfana malinconica» al Dispatch di Pittsburgh. Tre anni dopo, nel 1887, viene ingaggiata come reporter al New York World di Joseph Pulitzer. Sotto innumerevoli travestimenti racconterà l’oscurità dei manicomi femminili, le condizioni delle operaie delle acciaierie, girerà il mondo in 72 giorni e vivrà amori e fallimenti da cronista «armata» di sguardo, penna e voce.
BELZONI, IL «GIGANTE» EGITTOLOGO ALTISSIMO di statura e pensiero, con le basette da dandy
e la camicia inamidata, nella Londra del 1820 Giovanni Battista Belzoni era considerato «l’italiano più famoso del mondo». Gaia Servadio ripercorre le gesta di uno dei più grandi egittologi della storia. Tra il 1816 e il 1819 Belzoni scoprì una decina di sepolture nella Valle dei Re, tra cui la celebre tomba di Seti I, la cosiddetta "Cappella Sistina egizia", e gli ingressi, fino ad allora sconosciuti, alla piramide di Chefren e al tempio di Abu Simbel. Come ricorda Servadio, Walter Scott scrisse di Belzoni che era l’uomo più bello (per un gigante) che avesse mai visto. Gaia Servadio
L’ITALIANO PIU’ FAMOSO DEL MONDO: VITA E AVVENTURE DI GIOVANNI BATTISTA BELZONI. Bompiani, Milano, 2018; 384 pp.; 16 ¤
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AMADEO BENESTANTE / FONDAZIONE DONNAREGINA PER LE ARTI CONTEMPORANNEE, NAPOLI
MOSTRE
A DESTRA DELLA FOTO: MOSAICO DI OTTAVIANO (I SECOLO D.C.). PARCO ARCHEOLOGICO DI POMPEI. A SINISTRA DELLA FOTO: INSTALLAZIONE DI J. KOUNELLIS, SENZA TITOLO, (2005); MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DONNAREGINA, NAPOLI.
Spazi divita pompeiana A Napoli una mostra mette in relazione reperti pompeiani con installazioni di artisti contemporanei
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tatue, mosaici, recipienti, utensili, una gigantesca àncora. Oggetti di mare e di terra provenienti dal Parco archeologico di Pompei diventano poli di memoria e dialogo tra epoche diverse all’interno di un’immensa domus contemporanea. Nella mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica: Le Collezioni i resti della quotidianità dell’antica Pompei si fondono con le opere del «MADRE, Museo d’arte contemporanea Donnaregina» di Napoli. È il concetto stesso di dimora pompeiana con i suoi atri e
saloni, spazi pubblici e privati, contenitori di storia e di vite, pensiero, relazioni, scambi commerciali, a essere al centro della mostra. In undici sale si può cogliere il senso degli spazi dell’abitare antico e, soprattutto, il posto occupato dagli individui nella società pompeiana. La sala centrale del primo piano del «MADRE», affrescata e decorata di maioliche di Francesco Clemente (protagonista della Transavanguardia sin dalla fine degli anni settanta), nonché arricchita da una selezione di oggetti d’uso quotidiano, ricostruisce il tablinum
e il triclinium. Erano gli spazi dedicati all’accoglienza dove, oltre a mangiare, si discuteva di filosofia, letteratura, arte, politica cittadina, si declamava poesia e si ascoltava musica. Invece nella sala dedicata all’artista greco Jannis Kounellis (1936-2017) viene affrontato il tema del viaggio e, più specificamente, del mare, così caro agli antichi in quanto luogo non solo di conquista ma anche d’incontro. Qui il mosaico noto come Mosaico di Ottaviano (I secolo d.C.), la cui cornice a onde marine racchiude un’àncora, due nuotatori e due delfini,
FINO AL 24 SETTEMBRE 2018 www.madrenapoli.it
viene messo in relazione con l’installazione Senza titolo, (2005) di Kounellis. Quest’ultima rappresenta una griglia metallica contenente vetri monocromi, bloccata da una grande àncora arrugginita. Perduta in parte in mare aperto e custodita per millenni nelle sue profondità, Pompei finalmente è riemersa. —Matteo Dalena STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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