Speciale Storica n°12 - Civiltà Leggendarie

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JIM RICHARDSON / GETTY IMAGES

LA CITTÀ INGHIOTTITA DALLA FORESTA Dopo l’abbandono nel XVI, la città di Angkor, in Cambogia, scomparve dalla storia fino alla sua riscoperta da parte di Henri Mouhot nella metà del XIX. Nella foto, il tempio di Ta Prohm, che è stato volutamente lasciato senza restauro, coperto da vegetazione, come esempio dello stato in cui si trovava Angkor quando venne scoperta.


CIVILTÀ LEGGENDARIE


IL GRANDE FESTIVAL DI PRIMAVERA All’inizio della stagione primaverile si teneva il festival di Qingming, la cui celebrazione è raffigurata in questo dipinto su seta di epoca Ming (secoli XIV-XVI). Tra le altre attività, venivano pulite le tombe degli antenati. Metropolitan Museum, New York.

Lo spirito delle civiltà straordinarie – maya, azteca, inca, egizia, micenea, nabatea, khmer o della Cina imperiale – si riflette non solo nei documenti che ci hanno lasciato, ma anche nelle loro capitali.

10 Le civiltà precolombiane dell’America Maya, Aztechi e Incas crearono raffinate civiltà e sconfinati imperi in ambienti eterogenei e spesso inospitali

22 Tikal, piramidi nella foresta Governata da sovrani che, tra il III e il IX secolo d.C., ne fecero una delle più splendide città maya, Tikal ci ha lasciato enigmi ancora insoluti

36 Tenochtitlán, la capitale degli Aztechi Fondata su un’isola del lago Texcoco, la capitale dell’Impero azteco impressionò i conquistatori spagnoli per lo splendore dei suoi edifici

50 Machu Picchu, un enigma archeologico Scoperta nel 1911 da Hiram Bingham, la città sacra inca continua a celare i segreti sulla sua natura e sulla sua reale funzione

66 Popoli del Mediterraneo Le grandi civiltà che si sono succedute per un millennio sulle coste del Mediterraneo hanno formato il mondo e la cultura occidentali 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


DEA / ALBUM

78 Tebe, la città sacra di Amon Quando i sovrani di Tebe espulsero gli Hyksos dall’Egitto, la loro città divenne la capitale politica e spirituale del Paese

90 Troia, mito e realtà della città omerica Le vicende della guerra di Troia e la distruzione della città, descritte nell’Iliade continuano a essere sospese tra la storia e la leggenda

104 Petra, la città scolpita nella roccia Nel II secolo a.C. sorse nell’Arabia del nord il regno dei Nabatei, la cui capitale, a lungo caduta nell’oblio, è una delle meraviglie del mondo

118 Asia orientale, la culla di tre grandi civiltà Dall’Età del Bronzo, Cina, Giappone e Sudest asiatico diedero vita a grandi civiltà, nate da una radice comune e testimoniate dalle loro capitali

MACHU PICCHU, LA CITTÀ INCA SCOPERTA NEL 1911 FOTO: ROBERT CLARK 2009

130 Angkor, la capitale dell’Impero khmer Ricca di templi e santuari innalzati tra la giungla cambogiana e le lagune, Angkor, dal IX secolo, divenne il cuore dell’Impero khmer

142 La Città Proibita, il palazzo del Figlio del Cielo Ventiquattro imperatori risedettero per cinque secoli nella “Purpurea Città Proibita” di Pechino, uno dei complessi più grandi del mondo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

LOTTA DAVANTI ALLE MURA DI TROIA Achille, il migliore tra i guerrieri achei che assediavano Troia, uccide Pentesilea, la regina delle Amazzoni, che era accorsa a difendere la cittĂ . Vaso a figure nere, opera del ceramista Exechias. 540-530 a.C.


DOVE TUTTO È INIZIATO

S

ono passati soltanto 90 anni dal quel 5 novembre 1924, quando l’ultimo imperatore della Cina, Pu Yi, abbandonò per sempre la Città Proibita di Pechino. Si concludevano così oltre duemila anni di storia dell’Impero cinese, che negli ultimi seicento ebbe come centro nevralgico quel complesso inaccessibile dove si decidevano le sorti del popolo più numeroso del Pianeta. Oggi, la Città Probita, spogliata dei suoi tesori e della sua aura sacra, resta il testmone muto di antichi fasti e di un potere tanto sconfinato quanto misterioso agli occhi dei sudditi. La Città Proibita è uno degli otto siti in quattro continenti che abbiamo scelto per ripercorrere la storia delle civiltà leggendarie che hanno formato quel mondo di cui oggi noi siamo gli eredi. E che, a differenza di quella cinese, hanno concluso da secoli, o millenni, la loro parabola storica. A cominciare dalle prime civiltà del Mediterraneo: Micenei, Fenici, Popoli del Mare, ai quali dobbiamo la costruzione di società, culture e costumi che poi sarebbero stati conglobati nella Grecia classica e assorbiti dall’Impero Romano. Per continuare con la civiltà egizia e quella nabatea di Petra, che rappresentarono il raccordo tra il Mediterraneo stesso e le porte d’Oriente. Dall’altra parte dell’Atlantico, Maya, Aztechi e Inca portarono allo splendore civiltà completamente diverse dalle nostre, un patrimonio di conoscenze e di culture che, anche se barbaramente devastate dai conquistadores spagnoli, sono sopravvissute silenziosamente nelle etnie di quei popoli, e oggi testimoniate da siti archeologici fortunatamente rimasti indenni dalla distruzione. Soltanto due secoli fa, delle testimonianze che tali civiltà ci hanno lasciato rimaneva visibile poco o nulla. Ma a cominciare dall’Egitto e poi via via nei luoghi del Mediterraneo, dell’Asia e delle Americhe, molti di essi sono tornati alla luce grazie al coraggio e alla passione di archeologi, studiosi, ma anche dilettanti o avventurieri. Oggi, così, possiamo conoscere sempre di più del passato custodito in quei luoghi, rimasti addormentati nei secoli grazie alla terra o alle sabbie che nel tempo li hanno ricoperti, o alla vegetazione che li ha avviluppati in uno scrigno rimasto (fortunatamente) a lungo impenetrabile. Giorgio Rivieccio



NURIA PUENTES

DA SEPOLTURA A CHIESA Tra le sepolture reali scavate nell’arenaria di Petra vi è la tomba dell’Urna (al centro della foto), di chiara ispirazione ellenistica, che in epoca bizantina venne riconvertita in un tempio cristiano.


IL TEMPIO DEI GUERRIERI Questa larga piramide a gradoni, luogo di riunione dei guerrieri, sorge nel complesso archeologico di Chichén Itzá, nella penisola dello Yucatán (Messico), una delle città-simbolo della cultura Maya.


CIVILTÀ PRECOLOMBIANE

AMERICA Maya, Aztechi e Incas crearono raffinate civiltà e sconfinati imperi in ambienti eterogenei e spesso inospitali. Tutte destinate a soccombere e a sparire dal mondo, in seguito alla conquista spagnola ISABEL BUENO BRAVO

SIMON NORFOLK / CONTACTO

DOCENTE DI STORIA DELLE AMERICHE

HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC 11


N

el XVI secolo, quando le prime navi spagnole raggiunsero il Messico, il continente americano era già popolato da numerose civiltà. Dall’Alaska alla Terra del Fuoco, dall’Oceano Pacifico all’Atlantico, i nativi americani si erano insediati in tutta l’estensione di quell’immenso territorio, dimostrandosi capaci di adattarsi ai più diversi ecosistemi. Non solo: malgrado condizioni di vita spesso oggettivamente difficili, i popoli precolombiani delle Americhe erano riusciti a dare vita a civiltà evolute e raffinate, ciascuna dotata di caratteri propri, pur discendendo tutte da una comune matrice di culture ancestrali.

Gli Imperi maya e azteco si svilupparono entrambi nella Mesoamerica – la grande regione storica costituita dagli attuali Messico e America Centrale – e condivisero una serie di tratti di evidente derivazione olmeca. La civiltà olmeca, spesso definita la “cultura madre” mesoamericana, fiorì nel Golfo del Messico intorno al 1200 a.C. Della sua eredità fanno parte elementi come il tempio-piramide, il calendario, la scrittura glifica (con fonemi-immagini), la cultura astronomica, anche il gioco della pelota (palla), oltre ad aspetti più materiali come la coltivazione del mais, del fagiolo e della zucca. Agli Olmechi, i Maya e gli Aztechi sarebbero inoltre debitori dell’apertura di rotte commerciali poi sfruttate come veicolo di espansione economica e culturale. Con il declino della civiltà olmeca, attorno al 200 a.C., iniziò a risplendere l’astro di Teotihuacán, “la città degli dei”, situata nel cuore del Messico. La sua ascesa segnò l’ingresso della Mesoamerica nel cosiddetto periodo classico, destinato a protrarsi fino al X secolo d.C. Priva di fortificazioni e tuttavia potentissima, Teotihuacán attrasse decine di migliaia di abitanti da tutte le aree circostanti, trasformandosi 12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

KENNETH GARRETT / NGS

Le origini olmeche


UN GRANDE RE DI PALENQUE Pakal I il Grande (603-683 d.C.), qui raffigurato insieme al nipote K’inich Ahkal Mo’ Naab’ III, fu il più potente sovrano di Palenque, città maya sorta nel sud del Messico. Museo Archeologico di Palenque. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA CASA DELLE COLOMBE Eretto nel IX secolo, questo edificio evoca lo splendore della città maya di Uxmal, nella penisola dello Yucatán. Il suo nome è dovuto all’insolita forma crestata del tetto, che agli Spagnoli ricordava le colombaie andaluse.

in una metropoli affollatissima (pare che all’apice del suo splendore ospitasse 150.000 persone) e multietnica. Dal I secolo d.C., lungo il viale dei morti, la sua via sacra, furono costruite grandi piramidi e sontuosi complessi di palazzi, simboli di un potere che andava sempre più estendendo la propria influenza: non a caso tracce della cultura di Teotihuacán sono state rinvenute a oltre mille chilometri di distanza, nelle città maya del Guatemala.

La cultura maya Nelle fitte giungle guatemalteche, in un territorio climaticamente ostile, i Maya svilupparono una delle culture più originali ed enigmatiche della storia. Tra il III e il X secolo d.C., questo popolo dalle origini misteriose eresse centinaia di magnifiche Città-Stato, centri di culto e di potere chiamati Tikal, Palenque, Copán, Uxmal. Alla loro guida vi erano sovra14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ni circonfusi di sacralità, guerrieri-sacerdoti venerati come divinità e perennemente in guerra gli uni con gli altri. I Maya di epoca classica non furono tuttavia solo infaticabili costruttori e impavidi guerrieri. Diedero anche un grande impulso al sapere, sviluppando un sistema di scrittura basato su ideogrammi e segni fonetici, di cui si servirono per celebrare la propria civiltà in tutti i modi e luoghi possibili: sui muri delle gigantesche piramidi sacre, lungo le scalinate di edifici monumentali come il Tempio 26 di Copán, sulle stele di pietra e sui codici di amatl (un tipo di carta ricavata dalla corteccia degli alberi) usati per ricordare, tramite glifi e disegni, i principali eventi di ciascuna dinastia. A metà del IX secolo, i centri urbani maya del Guatemala e dell’Honduras furono abbandonati, e la popolazione si riorganizzò in piccole comunità rurali o emigrò verso nord. La pe-


DOUG STERN / NGS

nisola messicana dello Yucatán divenne il nuovo cuore della civiltà maya, e lì sorsero città profondamente influenzate dai culti dell’altopiano del Messico, come quello di Quetzalcóatl, il serpente piumato. Tra di esse si distinse Chichén Itzá, che fu per circa un secolo la città più influente della regione, prima di venire soppiantata da Mayapán nel XIII sec.

Il calcolo del tempo Una delle manifestazioni più sorprendenti del genio maya sono i sistemi di calcolo messi a punto per misurare il tempo. Due erano i calendari che scandivano la vita collettiva: il calendario solare (haab), più preciso di quello gregoriano, diviso in 18 mesi di 20 giorni, più cinque giorni nefasti chiamati uayeb (“senza nome”); e lo tzolkin, un calendario rituale di 260 giorni raggruppati in 13 mesi di 20 giorni utilizzato per la divinazione. Dalla combina-

LA SCOPERTA, NEL 1946, delle pitture murali di Bonampak, nel Chiapas messicano, rivelò che i Maya non erano un popolo pacifico amante solo del culto del sacro e dell’osservazione degli astri, ma una società di guerrieri che praticavano la tortura e i sacrifici umani: il dipinto mostra alcuni prigionieri in ginocchio, con le unghie strappate, dinnanzi al re. AFFRESCO DALLA STANZA 2 DEL TEMPIO DELLE PITTURE MURALI DI BONAMPAK (MESSICO), 800 D.C. CIRCA.

zione dei due calendari risultava un ciclo di 52 anni, equiparabile al nostro secolo. La cronologia maya era calcolata a partire da una data leggendaria e composta da 5128 anni solari: nel nostro calendario tale data corrisponderebbe al 13 agosto del 3114 a.C. L’osservazione astronomica permise ai sacerdoti maya non solo di misurare con precisione il tempo, ma anche di prevedere eclissi, solstizi ed equinozi. Il sistema di numerazione usato era vigesimale (a base venti); un punto rappresentava l’unità, mentre il cinque era simboleggiato da una barretta e lo zero da una conchiglia. I calcoli astronomici erano registrati su codici manoscritti a colori. Un tratto che i Maya condividevano con Aztechi e Incas era l’enorme peso assegnato alla religione: adoravano un pantheon di divinità legate alle forze della natura, e se ne propiziavano il favore attraverso un insieme di riti, cerimonie

INCENSIERE DI TIKAL Questa scultura maya raffigura una divinità che regge un cranio umano. Quando l’incenso bruciava all’interno della statua, dalla bocca del dio usciva un filo di fumo, a simboleggiare, forse, l’alito della vita.

KENNETH GARRETT

SIMON NORFOLK / CONTACTO

ASTRONOMI E GUERRIERI


MONTEZUMA, POTENTE MA ISOLATO

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ENCHÉ CON LUI LA CIVILTÀ AZTECA

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

sia giunta al culmine dello splendore, Montezuma II (1466-1520) non fu un imperatore molto popolare. Impegnato in un vasto programma di riforme sociali, affiancato a un incessante sforzo di espansione militare, Montezuma II colpì gli interessi di molti, provocando un diffuso malcontento. Ciò non frenò la sua azione riformatrice: egli innovò completamente la burocrazia statale, esautorando i vecchi funzionari fedeli ai suoi avversari; promulgò leggi per porre sotto controllo i guadagni dei mercanti e aumentò le tasse in tutto il regno, cosa che provocò rivolte nelle provincie imperiali. Quando Hernán Cortés sbarcò sulle coste del Messico, Montezuma II era quindi all’apice della potenza ma anche dell’isolamento. Non fu perciò difficile, per il conquistador spagnolo, convincere gli avversari di Montezuma ad allearsi con lui contro l’imperatore.

L’INCORONAZIONE DI MONTEZUMA, ILLUSTRAZIONE TRATTA DA HISTORIA DE LAS INDIAS DE NUEVA ESPAÑA DI DIEGO DURÁN, 1579 CIRCA.

ART ARCHIVE

CHICOMECÓATL, LA DEA DEL MAIS Sposata con il terribile Tezcatlipoca, era anche la dea della fertilità; in questa statua porta una collana di mais. Museo Nacional de Antropología, Città del Messico.

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e sacrifici (anche umani) che governavano ogni aspetto della vita collettiva. Dal punto di vista sociale, le Città-Stato maya erano fortemente gerarchizzate, guidate da un sovrano ereditario, o ahau, a cui veniva riconosciuta natura divina. Nella scala sociale, dopo di lui venivano i nobili, i sacerdoti, i guerrieri, i funzionari, i mercanti e, infine, i contadini. Questi ultimi coltivavano modesti appezzamenti di terreno detti milpas, per ottenere i quali spesso i Maya disboscavano e poi incendiavano piccole porzioni di foresta, così che le ceneri degli alberi fertilizzassero un suolo altrimenti povero. Le colture più diffuse erano mais, fagioli, patata, cotone e, naturalmente, cacao. I Maya furono il primo popolo a coltivare questa pianta, dai cui semi ricavava una bevanda che amavano consumare fredda dopo i pasti oppure, con

una valenza mistica, durante i riti. Per prepararla, diluivano nell’acqua il cacao in polvere e poi sbattevano la miscela fino a creare una densa schiuma, che aromatizzavano con la vaniglia, il pepe oppure il peperoncino, e addolcivano con il miele. I semi di cacao di peggiore qualità erano impiegati come moneta.

L’ascesa degli Aztechi Con l’arrivo dei Maya nello Yucatán, tra il IX e il X sec. d.C., si inaugura il periodo postclassico della Mesomerica, l’epoca in cui emerge una nuova grande civiltà: quella azteca. Originari di una mitica città del nord chiamata Aztlán, gli Aztechi, o Mexica, furono l’ultimo popolo a insediarsi nella Valle del Messico, nel XII secolo. Secondo il mito, vi giunsero dopo una peregrinazione di oltre due secoli, alla ricerca di un luogo sacro promesso loro dal dio Huitzilopochtli. Grazie a un segno


PETER ESSICK / NGS

divino, i sacerdoti aztechi lo individuarono infine in un’isola del lago Texcoco, nel Messico centrale; ma impossessarsene non fu facile: l’area, infatti, era sovraffollata e l’isola apparteneva alla potente città di Azcapotzalco. Per ottenere il diritto a risiedervi, gli Aztechi dovettero quindi pagare un pesante tributo al sovrano della città e legarsi a essa in rapporti di vassallaggio. Solo così ebbero la possibilità di stabilirsi sull’isola dove, nel 1325, fondarono la città di Tenochtitlán. Malgrado la carenza di terre coltivabili e la salinità delle acque lacustri, gli abitanti di Tenochtitlán fecero dell’agricoltura l’attività principale, sviluppando un ingegnoso metodo: consisteva nel puntellare il fondo del basso lago con pali di legno, creando degli appezzamenti lunghi 20 metri e larghi cinque. L’area rettangolare veniva riempita con fango e limo, fino a creare una sorta di orto galleggiante, o

chinampa, in grado di produrre più raccolti ogni anno. La stabilità del chinampa veniva garantita piantando agli angoli alberi che, con le radici, lo ancoravano al fondo del lago. Le colture praticate sui chinampa erano le stesse di tutta la Mesoamerica: patate, cereali, fagioli e soprattutto mais. Tali prodotti costituivano la base dell’alimentazione azteca, arricchita da pesce di lago e cacciagione.

LA PIRAMIDE DI EHÉCATL Questo tempio circolare, dedicato al dio del vento Ehécatl, è uno dei monumenti più significativi del sito di Calixtlahuaca, città azteca nel Messico centrale.

Istruzione obbligatoria Un secolo dopo la sua nascita, nel 1428, Tenochtitlán guidò una vittoriosa rivolta contro Azcapotzalco. Da quel momento, i rapporti di forza nella Valle del Messico cambiarono: le città azteche presero il sopravvento e fondarono una confederazione, la Triplice Alleanza, che univa Tenochtitlán, Texcoco e Tlacopán. In seguito Tenochtitlán si impose sulle altre due città, per cui all’arrivo degli Spagnoli era a STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ART ARCHIVE

PER I POPOLI AZTECHI, IL DESTINO DEI DEFUNTI DIPENDEVA DAL TIPO DI MORTE CHE LI AVEVA COLPITI SCUDO AZTECO CON PIUME E ORO, XVI SECOLO. MUSEUM FÜR VÖLKERKUNDE, VIENNA.

tutti gli effetti la capitale dell’Impero azteco, una città tanto splendida da impressionare gli stessi conquistatori. Al vertice della sua piramide sociale c’era il tlatoani, o l’imperatore, sotto il quale agivano una nobiltà di sangue e una nobiltà di merito, formata da commercianti e guerrieri. I macehuale, cioè le classi popolari, e i tlatacotin, ovvero gli schiavi, costituivano il grosso della popolazione. L’Impero azteco era retto da leggi severe, alle quali anche i nobili erano tenuti a sottomettersi. L’insegnamento era obbligatorio e, per quanto riguarda i maschi, a carico dello Stato dai 14 fino ai 20 anni. Aveva un’impronta militare e veniva impartito in apposite scuole dette telpochcalli. Esisteva anche una “università”, il calmecac, riservata ai figli della nobiltà destinati a diventare funzionari imperiali. C’erano scuole di canto e ballo per le bambine, che sin da piccole venivano istruite nei mestieri domestici e nei lavori agricoli. Da grandi potevano diventare levatrici, mercanti, tessitrici o cuoche nelle campagne militari.

La passione per la pelota I Mexica condividevano con i Maya la passione per la pelota, il gioco che gli Aztechi chiamavano tlachtli. Era uno sport a carattere rituale, nel quale due squadre si sfidavano su un grande campo rettangolare. Il gioco consisteva nel passarsi una palla elastica senza mai utilizzare le mani; vinceva la squadra che per prima riusciva a far passare la palla attraverso uno stretto anello di pietra posto verticalmente in posizione rialzata. Le partite erano piuttosto violente e i giocatori si riparavano testa, anche e ginocchia con protezioni di cuoio. L’economia azteca si fondava sull’agricoltura e sul commercio, sia locale sia a lungo raggio. Inoltre, essendo un popolo di guerrieri, i Mexica traevano cospicui guadagni dai pesanti tributi versati loro dalle città sottomesse. La religione azteca si fondava su un pantheon di divinità sanguinarie ed esigenti, guidate dal 18 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

signore della guerra Huitzilopochtli. L’offerta più gradita agli dei era il sacrificio umano, che i sacerdoti praticavano al culmine di solenni cerimonie imperniate sulla rievocazione dei principali trionfi militari aztechi. Tra i cardini di questa religione c’era la convinzione che il cielo fosse articolato in tredici parti, ognuna sede di una divinità, e gli inferi in nove livelli. I Mexica credevano inoltre che il destino dei defunti fosse deciso non dal loro comportamento in vita, ma dal tipo di morte, più o meno gloriosa, che avevano fatto. La complessità dell’Impero azteco esigeva un buon sistema di contabilità e registrazione dei tributi, fondato su metodi di calcolo elaborati dai Maya. E da questi gli Aztechi presero anche il calendario cerimoniale, basato sui cicli delle stagioni e composto da 18 mesi di 20 giorni più cinque giorni aggiuntivi.

Il popolo del Sole Non diversamente dagli Aztechi, anche gli Incas si nutrirono di varie culture ancestrali: la principale fu forse quella di Chavín de Huántar (Perú) che, tra l’850 e il 250 a.C., irradiò la sua influenza in tutta la regione andina. Da questa lontana matrice, rafforzata dai contatti con le culture moche, nazca, chimú, huari e tiahuanaco, nacque nel XV secolo l’Impero inca (o Tahuantinsuyu, cioè delle “Quattro Regioni del Sole”): un territorio sconfinato che si estendeva dalle coste del Pacifico fino all’Amazzonia, e includeva gli attuali Stati di Perú, Ecuador, Colombia, Cile e Argentina. La capitale di questo immenso regno fu la città andina di Cuzco, fondata nel 1110 d.C. nella valle peruviana dell’Urubamba. Per lungo tempo non fu altro che un villaggio, ma poi, durante il regno di Pachacúti (XV secolo), venne ingrandita e abbellita con palazzi, templi e pucara (costruzioni militari), oltre che dotata di un’efficiente rete fognaria. La sua trasformazione coincise in pratica con la nascita dell’Impero inca, che ebbe carattere teocrati-


GORDON WILTSIE / GETTY IMAGES

UNA CITTÀ SULLE ANDE Situata nella valle del fiume Apurímac, a 3100 metri di altitudine, la città di Choquequirao risale molto probabilmente al regno dell’energico Pachacúti (1380-1460), fondatore del vasto Impero inca.


CORBIS / CORDON PRESS

L’IMPERATORE INCA ERA VENERATO COME FIGLIO DEL SOLE E PRENDEVA IN MOGLIE SUA SORELLA KERO, COPPA RITUALE INCA IN LEGNO DIPINTO, BROOKLYN MUSEUM, NEW YORK.

co: il potere era concentrato nelle mani di un imperatore, o capac inca, che veniva adorato come figlio del Sole e, per motivi dinastici, si sposava con la sorella, la coya. Ogni famiglia discendente da un capac inca defunto costituiva una panaca, un clan nobiliare che svolgeva un ruolo centrale nella gestione dello Stato. I suyuyuq erano i governatori delle quattro province (suyu) in cui era suddiviso l’Impero; i curaca le autorità locali che governavano gli hatun runa, i contadini, e gli yanacona, i servitori della nobiltà.

La base della società inca era l’ayllu, formato da un insieme di clan che avevano un antenato in comune ed erano governati da un curaca, responsabile di tutti gli aspetti della vita del gruppo. L’ayllu era al servizio dello Stato, da cui riceveva l’incarico di lavorare tre diversi tipi di terre: un appezzamento privato – affidato ai maschi al momento del matrimonio – da coltivare a esclusivo beneficio del proprio clan; alcuni fondi agricoli comuni destinati al sostentamento del curaca, degli anziani e di tutti i malati dell’ayllu; infine le proprietà imperiali, il cui prodotto era riservato al capac inca e al culto del dio Sole. Per ampliare il territorio coltivabile, gli Inca crearono terrazze artificiali e piattaforme sui versanti delle montagne, fecero ampio uso di fertilizzanti come il guano degli uccelli e gli scarti del mais, misero a punto complessi sistemi di irrigazione artificiale. Così facendo riuscirono a coltivare in alta quota prodotti come mais, peperoncini, papaya, pomodori e fagioli, oltre a diverse varietà di patate che conservavano disidratandole e poi trasformandole in chunu, una sorta di farina granulosa. Nelle regioni orientali dell’Impero era molto diffusa anche la coltivazione della coca, 20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BPK / SCALA, FIRENZE

Comunità al servizio dello Stato

le cui foglie, masticate con un po’ di cenere, alleviavano il senso di fatica e consentivano ai contadini di lavorare per ore senza pause. Gli Incas furono l’unica popolazione della Mesoamerica a praticare l’allevamento: non tanto a scopo alimentare, quanto per ricavare la lana per le proprie vesti. Vigogne, alpaca e lama erano le specie più diffuse; i lama, in particolare, erano molto apprezzati, poiché potevano essere sfruttati anche per il trasporto di pesi sugli impervi sentieri andini.

Un tributo in manodopera Oltre ai lavori agricoli comunitari, l’Impero imponeva ai suoi sudditi anche un’altra corvée. Si chiamava mita ed era una sorta di tributo al governo in forma di manodopera. Nei periodi di guerra, questo servizio pubblico coincideva in genere con l’arruolamento; ma più spesso i cittadini dell’Impero erano chiamati a impe-


CUZCO, LA CAPITALE DEGLI INCAS

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A CAPITALE politica e spirituale

dell’Impero inca fu Cuzco, città a 3400 metri di quota sulle Ande peruviane. Fondata intorno al 1100 d.C., in origine non era niente più che un villaggio di capanne in legno con tetti di paglia. La sua trasformazione avvenne durante il regno di Pachacúti (1380-1460), che ampliò e ristrutturò il villaggio facendone una grande città. Con un raggio di circa cinque chilometri, Cuzco giunse a ospitare fino a 20.000 abitanti nel suo nucleo centrale, e altri 200.000 nei dintorni. La mappa della città ricordava la forma di un puma, la cui testa corrispondeva alla fortezza di Sacsayhuamán, dominante sulla capitale, mentre la coda era data dalla confluenza di diversi fiumi. Nel centro si concentravano i principali palazzi e templi, il più sacro dei quali era il fastoso Coricancha, con le pareti rivestite d’oro, nel quale si rendeva culto al dio Sole e si custodivano le mummie dei sovrani defunti.

LA DECISIVA BATTAGLIA TRA GLI SPAGNOLI E GLI INCA DINNANZI ALLA CITTÀ DI CUZCO. INCISIONE DI THEODOR DE BRY, 1596.

gnarsi in opere di interesse collettivo, come la costruzione della rete viaria imperiale, che si estendeva per oltre 40.000 chilometri e comprendeva ponti di corda sospesi e stretti sentieri scavati nella montagna. Grazie al reticolo di sentieri, la corte di Cuzco riuscì in breve a estendere la propria autorità su tutto l’Impero, imponendo un’unica lingua ufficiale, il quechua, e un’unica religione. Ogni giorno, i sentieri andini erano percorsi da squadre di messaggeri, i chasqui, che avevano l’incarico di far giungere fino nelle periferie più lontane gli ordini imperiali. I chasqui partivano da un tambo, una sorta di rifugio attrezzato, e dovevano recarsi di corsa fino a quello successivo, posto a circa tre chilometri di distanza, dove li attendeva un altro chasqui, pronto a ricevere il messaggio e partire a sua volta verso il tambo successivo. Nella civiltà inca, la religione impregnava ogni aspetto della vita quotidiana. Le

cerimonie erano legate ai cicli agricoli, e per soddisfare gli dei – tra i quali dominava Viracocha– si facevano offerte rituali e sacrifici di animali. Anche il sacrificio umano era praticato, ma meno spesso che nel mondo azteco. La festività più importante era l’Inti Raymi, che coincideva con il solstizio d’inverno australe, ovvero il 21 giugno. Quel giorno, i dignitari e i sacerdoti dell’Impero si riunivano all’alba nella grande piazza di Cuzco e lì, al sorgere del Sole, sacrificavano un lama nero, dalle cui viscere i sacerdoti traevano auspici per il futuro. Gli Incas utilizzavano un calendario solare di 365 giorni, che iniziava con il solstizio d’inverno. Anche se non disponevano di un sistema di scrittura propria, tennero efficacemente la contabilità dell’Impero per mezzo del quipu, un sistema di mnemotecnica decimale basato sull’utilizzo di corde di lana e cotone intrecciate e di nodi di colori diversi. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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TEMPIO DEL GRANDE GIAGUARO Conosciuto anche con il nome di Tempio I, questo imponente edificio sacro della Gran Plaza è l’emblema della città di Tikal e uno dei più spettacolari monumenti maya.

SIMON NORFOLK / NB PICTURES / CONTACTO

IL VOLTO DI UN GRANDE SOVRANO Questa maschera funeraria di giada copriva il volto di Jasaw Chan K’awilI, sovrano che, tra il VII e l’VIII secolo d.C., condusse Tikal a uno splendore senza precedenti.


ART ARCHIVE

PIRAMIDI NELLA FORESTA

TIKAL

Governata da una stirpe di sovrani che, tra il III e il IX secolo d.C., fecero di questa Città-Stato una delle più splendide della civiltà classica maya, Tikal ci ha lasciato enigmi ancora insoluti, anche relativi alla sua misteriosa fine MIGUEL RIVERA DORADO PROFESSORE DI ARCHEOLOGIA DELLE AMERICHE UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID

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PANORAMIC IMAGES / GETTY IMAGES

IL TEMPIO DEL GIAGUARO Due celebri monumenti di Tikal: il Tempio del Grande Giaguaro e, a sinistra, l’Acropoli Nord. Il nome maya di Tikal era Yax Mutul, che secondo gli studiosi significa “capello annodato”.

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a civiltà maya fiorì fra l’XI secolo a.C. e il XVI secolo d.C., su un territorio vasto più di 300.000 chilometri quadrati e comprendente gli attuali Messico, Guatemala, Honduras, Salvador e Belize. Fra i molti misteri che circondano questa antica civiltà, uno dei più affascinanti agli occhi degli studiosi riguarda l’inesauribile furore costruttivo che ne caratterizzò l’ascesa. In un ambiente climaticamente ostile, coperto da fitte foreste pluviali e costellato di paludi, i Maya costruirono centinaia di splendide città di pietra: Palenque, Copán, Oxkintok, Calakmul, Uxmal, Yaxchilán. Nessuno di questi centri politici e religiosi eguagliò però in splendore e prestigio Tikal, nell’odierno dipartimento guatemalteco di Petén, città che riunisce alcuni dei più straor-

dinari monumenti precolombiani giunti fino a noi. Le sue rovine furono scoperte dal governatore di Petén Modesto Méndez nel 1848, ma con ogni probabilità già il condottiero spagnolo Hernán Cortés, nella sua spedizione in Honduras del 1525, vi era passato molto vicino, e di certo la presenza di resti maya nella foresta pluviale era nota da secoli ai contadini e agli abitanti della zona. Il nome Tikal, che significa “luogo delle voci”, è invece recente. Lo diedero alla città gli Europei colpiti dalle strida d’uccello e dai rumori dalla foresta. Gli studiosi credono che anticamente la città si chiamasse Yax Mutul, un termine maya che significa “capello annodato” e che corrisponde al glifo identificativo di Tikal nelle iscrizioni di quel popolo. Oggi, di questa grande Città-Stato situata nel nord del Guatemala, i turisti non possono am-


I primi “signori divini” Il territorio maya era frazionato in decine di Città-Stato, ognuna delle quali controllava un’area più o meno estesa ma raramente superiore ai 3000 km2. C’erano alcune città egemoniche che imponevano rapporti di vassallaggio ai centri minori, ma in genere ogni località maya aveva un proprio re, chiamato ahau,

“signore”, o kul ahau, “signore divino”. Non faceva eccezione Tikal, benché sia difficile stabilire a che epoca risalga la prima dinastia locale. Qualche indizio della presenza di un ahau si ritrova nell’epoca predinastica, che va dal V secolo a.C. al 292 d.C.; ma si tratta di tracce labili, da cui è impossibile desumere con certezza l’esistenza in tempi così remoti di un sistema politico incentrato sull’autorità di una singola persona o singola stirpe, come nelle monarchie successive. Le iscrizioni geroglifiche segnalano come possibile fondatore della prima dinastia di Tikal, tra il I e il II secolo d.C., Yax Ehb ‘Xook, forse sepolto nella tomba 85, situata nel settore archeologico denominato Acropoli Nord. Se escludiamo questo misterioso sovrano, di cui non sappiamo pressoché nulla, il primo ahau di Tikal documentato storicamente è

LA DINASTIA DI TEOTIHUACÁN Questo incensiere è stato trovato nella tomba di Siyaj Chan K’awil II, secondo re della dinastia teotihuacána che, nel 378 d.C., s’impose su Tikal.

ART ARCHIVE

mirare che un numero limitato di edifici, sottratti dagli archeologi all’assedio della vegetazione e inclusi in un parco naturale segnalato dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Occorre dunque un certo sforzo di fantasia per immaginare lo splendore originario dell’abitato, formato da centinaia di templi e palazzi e reso ancora più sontuoso dalla profusione di statue, stucchi, ceramiche colorate che ornavano le piramidi e gli edifici di Tikal.


UN REGNO FRAZIONATO IN PROVINCE

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DOMINI DI TIKAL si estendevano tra il

AKG / ALBUM

Guatemala e la penisola messicana dello Yucatán, nelle cosiddette Terre Basse maya. Lì, in una regione quasi interamente ricoperta da fitte foreste pluviali, esistevano centinaia di Città-Stato, con diversi gradi di potere e influenza. Molte di queste disponevano di istituzioni di governo autonome, ma altre dovevano rendere tributo a Tikal, offrendole beni e forza-lavoro, sostenendola nelle sue continue guerre contro le città rivali, piegandosi alle sue esigenze commerciali. In questo grande territorio maya, suddiviso in province o tzuk, le relazioni fra le varie Città-Stato erano determinate dalle alleanze politiche ed economiche, dai matrimoni dinastici, dall’esito delle guerre. Il territorio che ciascun re maya dominava era chiamato ahauel. Si ritiene che al suo apogeo, nel periodo tardo-classico, l’ahauel di Tikal raggiungesse i 100.000 chilometri quadrati.

IL PAGAMENTO DEI TRIBUTI IN UN VASO DIPINTO DI EPOCA TARDO-CLASSICA (600-900 D.C.). COLLEZIONE PRIVATA, NEW YORK.

IL GIOIELLO DEL SOVRANO Pettorale di giada raffigurante il re di Tikal con un suo cortigiano. Gli ahau di Tikal erano affiancati da una piccola corte composta da membri della famiglia reale, funzionari pubblici e artisti.

Balam Ajaw, nome che si deduce dalle decorazioni della Stele 29, databile al 292 d.C. Seguono vari re fino ad arrivare a Siyaj Chan K’awill I, che governò attorno al 307. Gli succedette una donna, Une’ B’alam, e poi K’inich Muwaan Jol, morto nel 359. Suo figlio Chak Tok Ich’aak I, che appare in varie stele, salì al trono nel 360 e morì nel 378, certamente per mano dell’esercito straniero che, proprio in quegli anni, conquistò Tikal.

Una stirpe straniera

BRIDGEMAN / INDEX

I Maya si servivano di una curiosa metafora per parlare della morte. Quando un loro caro spirava, dicevano che era “entrato nell’acqua”, perché l’Oltretomba, il regno dei morti, era nascosto sotto le acque che bagnano la penisola dello Yucatán, in Messico. A volte dicevano 26 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

che il defunto aveva “intrapreso il cammino”, riferendosi ai labirintici sentieri che discendevano nelle viscere dell’inframondo. La morte di Chak Tok Ich’aak I, sul finire del IV secolo d.C., aprì una nuova fase nella storia di Tikal, caratterizzata dall’assoggettamento alla dinastia di Teotihuacán, potente metropoli situata nei pressi dell’attuale Città del Messico, a più di mille chilometri di distanza. È molto probabile che le sedi del potere regio durante la dominazione di Teotihuacán fossero concentrate nell’area archeologica denominata Mundo Perdido, dove ancora oggi sorge una piramide di 30 metri che riproduce lo stile degli edifici di Teotihuacán, basati sull’alternanza di piani inclinati e piattaforme. In questa seconda fase della storia di Tikal, che potremmo chiamare “Teotihuacana”, l’ahau di maggior spicco fu indubbiamente Siyaj Chan K’awil II (411-456 d.C.), a cui si deve la magni-


J. FUSTÉ RAGA / AGE FOTOSTOCK

fica Stele 31, ornata con il racconto dei suoi trionfi politici. Le stele maya erano lastre di pietra di varie misure, quasi interamente ricoperte di incisioni: scolpite perlopiù al termine di un katún, un periodo del calendario maya corrispondente a 7200 giorni, servivano sia come strumenti di propaganda politica sia come oggetti di culto. I loro geroglifici e le loro incisioni presentavano infatti il sovrano come una divinità, un essere superiore di cui si celebravano i legami con il cosmo e con gli dei, oltre che i trionfi militari e politici. La Stele 40 di Tikal, che esalta il re K’an Chitam, figlio di Siyaj Chan K’awil II, fu scoperta dall’équipe ispano-guatemalteca che stava restaurando il Tempio del Grande Giaguaro. Il professor Gaspar Muñoz Cosme, docente al Politecnico di Valencia, si trovava alla direzione dei lavori quando fu rinvenuto questo documento di grande importanza, i cui

geroglifici aprirono uno spiraglio sulla figura di un sovrano fino ad allora sconosciuto. Da K’an Chitam il trono passò al figlio Chak Tok Ich’aak II, e da questi a una serie di ahau su cui le informazioni scarseggiano, dato che attorno al 508 Tikal fu interessata da una convulsa fase politica forse legata alla fine di una dinastia e alla lotta tra diverse fazioni per sostituirla. Di questo periodo turbolento ci restano solo alcune stele, fra cui spicca quella dedicata a Ix Yo K’in, una donna che ereditò il trono quando era ancora bambina. I veri problemi per la città iniziarono tuttavia nel 562, anno in cui, di colpo, la produzione di stele cessa. Il gigantesco Impero di Teotihuacán, che aveva improntato di sé tutta l’America Centrale, entrò improvvisamente in crisi, e poco a poco abbandonò le sue “colonie” ritirandosi dal nord del Guatemala. Vi sono due fatti che dimostrano le difficoltà vissute in

LA GRANDE PIRAMIDE DEL SOLE Costruita nel tipico stile di Teotihuacán, con un’alternanza di piattaforme e piani inclinati, era il simbolo della potentissima Città-Stato messicana. Sulla facciata erano dipinti giaguari, stelle e serpenti a sonagli.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UNA DINASTIA STRANIERA TEOTIHUACÁN, NELL’ODIERNO MESSICO, ERA LA MAGGIORE POTENZA DELL’AMERICA CENTRALE.

1

2

L’ARRIVO DEGLI INVASORI

La Stele 31 di Tikal (sotto) ci informa che il 16 gennaio 378 Siyaj K’ak’ giunse in città. Quello stesso giorno morì il re Chak Tok Ic’haak I (“Artiglio di giaguaro”). Anche la scultura nota come Marcador de Tikal (a destra) conferma l’arrivo di Siyaj K’ak’, come pure l’ascesa al trono di Teotihuacán, nel 374, di “Gufo lanciadardi”. Potrebbe essere questo il re che ordinò a Siyaj K’ak’ l’attacco a Tikal.

L’INIZIO DI UNA NUOVA DINASTIA

Secondo la Stele 31, scolpita nel 445 d.C., Yax Nuun Ayiin I (“Naso ricurvo”) salì sul trono di Tikal nel 379, sotto l’ala di Siyaj K’ak’. È probabile che il padre del nuovo re fosse “Gufo lanciadardi”. Nella Stele 31 (a destra) Yax Nuun Ayiin I indossa lo scudo e il copricapo tipici dei guerrieri di Teotihuacán, insieme alla collana di conchiglie portata da tutti i principi di questa città.

fu terminato il k’awil (titolo che denota alto rango) dell’Ovest

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Siyaj K’ak’

Glifo di Siyaj K’ak’, “Fuoco che nasce”

Chak Tok Ic’haak

L’ARRIVO DI SIYAJ K’AK’. PARTICOLARE DEI GEROGLIFICI DELLA STELE 31 DI TIKAL.

KENNETH GARRETT

entrò nell’acqua (morì)

allo stesso tempo

MARCADOR DE TIKAL. AL CENTRO DEL DISCO SUPERIORE VI È IL GLIFO DI “GUFO LANCIADARDI”. SCULTURA IN PIETRA CALCAREA, 416 D.C.

Glifo di “Gufo lanciadardi”

FONTE DELLE ILLUSTRAZIONI: NIKOLAI GRUBE, LOS MAYAS. UNA CIVILIZACIÓN MILENARIA, VERLAG GMBH/H. F. ULLMANN, 2006.

Maya

Tempio maya

28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Maya

Lanciadardi (arma)

Piattaforma piramidale di Teotihuacán e tempio maya

Piume di quetzal

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Guerriero di Teotihuacán


ALLA CONQUISTA DI TIKAL PARTÌ DA QUI, NEL 378 D.C., L’ATTACCO CHE DETRONIZZÒ LA PRIMA DINASTIA DELLA CITTÀ-STATO

3

L’ASCESA DI SIYAJ KHAN K’AWIL II

Nel 411 divenne re di Tikal Siyaj Khan K’awil II (“Cielo tempestoso”), figlio di Yax Nuun Ayiin I. Fu lui a far scolpire la Stele 31, che lo raffigura mentre regge con la mano destra un copricapo ornato con il glifo di suo nonno “Gufo lanciadardi”, mentre in testa ne porta uno con rimandi alla dinastia abbattuta nel 378. In tal modo egli si presenta come l’erede sia della tradizione politica di Teotihuacán sia di quella di Tikal.

ART ARCHIVE

AKG / ALBUM

YAX NUUN AYIIN, RE DI TIKAL DAL 379, INDOSSA QUI IL TIPICO ABBIGLIAMENTO DEI GUERRIERI DI TEOTIHUACÁN. STELE 31 DI TIKAL, 445 D.C.

KENNETH GARRETT

STATUETTA DIPINTA DI INCENSIERE TROVATA NELLA TOMBA 48 DI TIKAL, IDENTIFICATA COME LA SEPOLTURA DI SIYAJ CHAN K’AWIL II.

SIYAJ CHAN K’AWIL II. LATO ANTERIORE DELLA STELE 31 DI TIKAL. PIETRA CALCAREA, MUSEO SYLVANUS G. MORLEY, TIKAL.

Ceramiche di Teotihuacán Copricapo a nappe

Dal Messico alle Terre Basse Nelle raffigurazioni di questa ceramica dipinta del 400 d.C. circa, è forse documentata l’invasione delle Terre Basse maya da parte delle truppe di Teotihuacán. La scena mostra alcuni guerrieri che partono da un tempio nel tipico stile di Teotihuacán e avanzano verso una città maya. Inviati di Teotihuacán

Tempio nello stile di Teotihuacán

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Furono due i sovrani che condussero Tikal a imporsi su tutta l’area circostante, superando la vicina Calakmul (nell’attuale Stato messicano di Campeche), con cui rivaleggiava da secoli. Il primo fu Jasaw Chan K’awil I, artefice della vittoria del 695 contro Calakmul e della costruzione dei Templi I e II. Nel Tempio I, vera e propria icona dell’architettura maya per via del suo profilo stilizzato e dell’altezza (quasi 50 m), si trova anche la tomba di questo potente sovrano, forse il più grande del periodo tardo-classico (VII-IX secolo d.C.). Nella camera funeraria, all’atto dell’apertura, fu rinvenuto un corredo di magnifici oggetti d’arte, tra i quali un recipiente di giada a mosaico, una splendida collana anch’essa di giada e 37 ossa incise con glifi e scene sacre e profane: un capolavoro assoluto dell’arte maya.

OTIS IMBODEN / NGS

Un colosso nel cuore della città

ACROPOLI NORD Assieme al settore archeologico noto come Mundo Perdido, l’Acropoli Nord è l’area più antica di Tikal, il luogo dove sono state rinvenute le tracce dei primi re conosciuti della città.

quest’epoca dalle città maya: l’interruzione delle edificazioni, fino ad allora incessanti, e il venir meno della produzione di stele. Questa situazione perdurò per tutta la seconda metà del VI secolo e probabilmente per gran parte del VII secolo, un periodo per noi avvolto nell’oscurità proprio a causa dell’assenza di incisioni commemorative.

Lo splendore tardo-classico Sul finire del VII secolo, con il crollo dell’Impero di Teotihuacán, Tikal recuperò la sua indipendenza e raggiunse uno splendore senza precedenti. Fu in quest’epoca che si costruirono i monumenti più importanti della città, testimonianza di una fioritura politica ed economica che si rispecchiò nell’architettura e in tutte le arti: la città crebbe fino ai suoi confini estremi e i templi piramidali raggiunsero altezze e dimensioni mai viste prima.

30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Alla morte di Jasaw Chan K’awil, sul trono di Tikal salì il figlio Yikin Chan K’awil, ricordato per le vittorie contro Calakmul, Yaxhá e altre città. Al suo regno è associata la costruzione della piramide più alta di Tikal, il Tempio IV (oltre 65 metri), la cui base non è stata ancora del tutto liberata dalla vegetazione e che si ergeva come una montagna nel cuore della città. Si tratta del più grande tempio mai eretto dalla civiltà maya: si è calcolato che per completarlo servirono 200.000 metri cubi di materiale di riempimento, ed è uno dei tre colossi, con la piramide messicana di Cholula e con quella del Sole di Teotihuacán, eretti dai nativi americani in epoca precolombiana. È probabile che Yikin Chan K’awil sia sepolto proprio in questa piramide, anche se finora nessuno si è dato cura di cercarne la tomba. Il Tempio IV, e più in generale tutti gli edifici sacri di Tikal, sono anche una delle prove più concrete di una tesi che gli archeologi hanno impiegato decenni per dimostrare: ovvero che le piramidi maya fossero innanzitutto templi funerari, mausolei per i loro ahau e monumenti commemorativi delle loro stirpi. Già da prima dell’arrivo dei “Teotihuacani”, i governatori di Tikal erano soliti farsi seppellire nelle viscere di questi colossali edifici, concentrati nell’Acropoli Nord, nel Mundo Perdido e nel centro della città. L’abitudine proseguì anche in epoca tardo-classica, come dimostra proprio il caso di Jasaw Chan K’awil.


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UNA CIVILTÀ SOFFOCATA DAL SOVRAFFOLLAMENTO

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UANDO LA CIVILTÀ maya giun-

se al suo apice, tra il VI e l’VIII secolo d.C., le Terre Basse ospitavano già centinaia di Città-Stato. L’esistenza di questo raffinato mondo urbano, collegato da una rete di strade sopraelevate dette sacbeob, era possibile grazie al lavoro dei contadini, che costituivano il grosso di una popolazione in continuo aumento. Si pensa che attorno a Tikal, in epoca classica, la densità della popolazione fosse giunta a 150-200 abitanti per chilometro quadrato. La pressione sulle

risorse naturali causata da questo sovraffollamento, unita alle ambizioni dell’oligarchia dirigente, generarono profonde tensioni sociali, sfociando in continue guerre. Il potere degli ahau, logorato dall’instabilità, entrò in crisi, e con esso le città, sedi delle corti reali. Furono queste le cause del “collasso” che, nel IX secolo, portarono all’abbandono dei maggiori centri urbani maya REPERTO 1. Personaggio femminile, Museo Nacional de Antropología, Città del Messico. 2. Guerriero maya, Museo Nacional de Antropología, Città del Messico.

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WERNER FORMAN / GTRES

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DOPO IL COLLASSO DELLA CIVILTÀ MAYA, TIKAL FU ABBANDONATA E LA GIUNGLA INGHIOTTÌ LA CITTÀ

AKG / ALBUM

VASO CILINDRICO CON COPERCHIO, MUSEO SYLVANUS G. MORLEY, TIKAL.

È dunque probabile che, con il tempo e l’approfondirsi delle ricerche, verranno alla luce altre tombe regali: non solo quella di Yik’in Chan K’awil, nel Tempio IV, ma anche la camera funebre del sovrano noto come Sole Oscuro (IX secolo d.C.), nel Tempio III, e la sepoltura dell’ignoto ahau che giace nel Tempio V, uno dei più elevati fra quelli che sorgono attorno alla Gran Plaza.

Re, sacerdoti e contadini Malgrado la potenza politica e militare raggiunta, Tikal non sopravvisse alla crisi, il cosiddetto “collasso”, che cancellò la civiltà maya classica fra il IX e il X secolo. Un tracollo originato forse da un concorso di cause: le tensioni fra un sistema monarchico dispotico e un’aristocrazia sempre più ambiziosa e insofferente; l’eccessiva crescita demografica e il conseguente sovrasfruttamento dei suoli, accompagnato da continue siccità; la forte pressione fiscale che impoveriva le classi contadine e infine le guerre sempre più frequenti. Tikal, a poco a poco, fu abbandonata e la giungla inghiottì piramidi e palazzi: l’ultima stele incisa in città, la numero 11, risale all’869. La ricca metropoli, che in epoca classica aveva raggiunto un’estensione approssimativa di 120 chilometri quadrati e ospitava fino a 90.000 abitanti, fu nel tempo dimenticata e ricoperta dalla folta vegetazione tropicale che ne occultò per secoli i grandiosi resti. Quando queste rovine vennero ritrovate, agli archeologi apparve chiaro che Tikal, al pari degli altri centri maya, non era stata costruita con intenti residenziali. Gli abitanti del periodo preclassico (1000 a.C.-250 d.C.) eressero i primi edifici in pietra con l’unica finalità di creare spazi cerimoniali o rituali. Lentamente, a causa dell’incessante attività edilizia e della crescita demografica, questi centri acquisirono anche un ruolo amministrativo ed economico, senza tuttavia mai perdere la loro primaria funzione religiosa e politica. 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Coloro che abitavano nelle città erano solitamente membri dell’oligarchia dominante, a cui si affiancavano funzionari pubblici, sacerdoti, guerrieri, artigiani, mercanti, servi e tutte quelle figure indispensabili al buon funzionamento dello Stato. I contadini abitavano in periferia, nei pressi dei terreni che coltivavano. Erano loro, insieme agli schiavi, a dover svolgere i mestieri più faticosi: edificare piramidi e palazzi, tagliare la legna nei boschi, estrarre pietre e ghiaia nelle cave, trasportare i massi fino al luogo delle costruzioni.

L’urbanistica maya Osservando Tikal, è anche possibile capire quale funzione avessero gli edifici e gli spazi pubblici nelle città di epoca classica. A tal proposito, va notato innanzitutto come presso questo popolo non soltanto le piramidi svolgessero funzione di templi. Molti altri edifici avevano valenza sacra, vuoi perché dedicati agli dei, vuoi perché ospitavano riti religiosi. I Maya estendevano il concetto di sacro a tutti i luoghi dove si svolgevano le loro attività quotidiane, o nei quali si riteneva possibile stabilire un contatto con gli dei. Si potrebbe dire che quelli che noi chiamiamo palazzi (in quanto si suppone che gli ahau vi esercitassero le loro mansioni politiche e amministrative) fossero anche templi. E non solo perché ospitavano il re, discendente dagli dei, ma anche per le numerose cerimonie religiose che questi era chiamato a celebrarvi. Dal punto di vista urbanistico, a Tikal, così come in tutte o quasi le città della civiltà maya, lo spazio urbano era organizzato attorno a una serie di piazze. L’abitato era suddiviso in settori o quartieri, ciascuno dei quali si sviluppava a partire da una piazza attorno a cui si innalzavano gruppi di edifici che a loro volta circoscrivevano una corte. Le piazze facilitavano la circolazione degli abitanti ed erano il luogo dove si svolgevano le cerimonie pubbliche più solenni. Grazie alla loro ampiezza, ga-


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M. ROBINSON / CORBIS / CORDON PRESS

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UNA PIAZZA AL CENTRO DI TUTTO

LA GRAN PLAZA DI TIKAL In tutte le grandi culture precolombiane, la piazza era il principio ordinatore degli spazi urbani, il luogo dove i cittadini si incontravano e in cui avvenivano gli scambi commerciali.

che sormontate da edicole sacre abbellite da architravi in legno finemente intagliati. Due frammenti di questi architravi si conservano al British Museum di Londra. 3 Stele. Collocate dinnanzi ai templi, celebravano tramite geroglifici e incisioni le gesta degli ahau. Venivano scolpite al termine dei principali cicli temporali del calendario maya, ogni 7200, 3600 o 1800 giorni. 4 Acropoli Nord. In questa grande area sacra, posta a nord della Gran Plaza, sorgevano i templi funerari dei re del primo periodo classico, tra il 250 e il 600 d.C.

KENNETH GARRETT

Circondata da enormi templi e palazzi, la Gran Plaza era il centro politico, religioso e commerciale di Tikal. A farla edificare fu Jasaw Chan K’awil I, salito al trono nel 682 e morto nel 734. 1 Tempio I. Ribattezzato Tempio del Grande Giaguaro per via di un architrave raffigurante un trono a forma di giaguaro, questo edificio, alto 47 metri, fu eretto da Yikin Chan K’awil come monumento funebre per il padre, il grande Jasaw Chan K’awil I. 2 Architravi. I templi avevano la forma di piramidi tron-

IL RE JASAW CHAN K’AWIL I Questo vaso funerario è ornato con l’effigie di uno dei più grandi ahau di Tikal. VIII secolo d.C., Museo Nacional de Antropología, Città del Messico.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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AKG / ALBUM

MARTIN ENGELMANN / AGE FOTOSTOCK

I NEMICI DI TIKAL Tra il VI e il VII secolo, Tikal fu sconfitta dalla sua grande rivale Calakmul, che si era alleata con Caracol (nella foto, uno dei templi di questa città).

SANGUE UMANO PER RIGENERARE IL COSMO

I

L POPOL VUH, IL LIBRO SACRO DEI MAYA, parla della decisione degli

dei di creare l’uomo, chiamato con i suoi sacrifici rituali a fornire il sangue necessario per rigenerare il cosmo. Fedeli a questa credenza, i Maya ingaggiavano continue guerre non tanto per desiderio di potere quanto per catturare vittime sacrificali con cui placare la sete di sangue delle divinità, e garantire così la continuità dell’universo. Ecco perché il sacrificio umano, uno degli eventi chiave nei miti della creazione, era tanto importante. Oltre al sacrificio dei prigionieri di guerra e dei bambini, un altro rito particolarmente solenne era rappresentato dall’autosacrificio dei re, giacché il loro sangue era molto più potente di quello dei comuni mortali. In occasione dell’ascesa al trono o di matrimoni dinastici, re e regine si ferivano volontariamente infilzandosi la lingua o i genitali con pietre appuntite. Il sangue sgorgato veniva sparso su fogli di carta che si provvedeva poi a bruciare, affinché il fumo portasse l’offerta agli dei. LA REGINA LADY XOC PRATICA UN AUTOSACRIFICIO, ARCHITRAVE 24 DA YAXCHILÁN, 709 D.C., BRITISH MUSEUM, LONDRA.

34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

rantivano inoltre una prospettiva adeguata per contemplare in tutta la loro maestosità le alte piramidi tronche in cima alle quali sorgevano i templi veri e propri. Le corti, chiuse da ogni lato da gruppi architettonici concepiti come unità autonome, erano luoghi di transito ma anche di relax, dove la gente passeggiava nel tempo libero o dove i politici si intrattenevano in lunghe conversazioni. I vari blocchi di edifici erano collegati tra loro da strade sopraelevate in pietra dette sacbeob, che oltre a una funzione pratica ne assolvevano anche una simbolica e rituale. Nel 734 d.C, la Gran Plaza di Tikal accolse probabilmente migliaia di persone giunte da ogni parte del regno per assistere alle cerimonie funebri del re Jasaw Chan K’awil, sepolto nel Tempio I, al limite orientale della città. Le corti dell’Acropoli centrale, uno dei maggiori complessi architettonici maya giunti fi-


Le piramidi gemelle A Tikal si può ammirare una struttura architettonica che è specifica quasi esclusivamente di questa città. Si chiama “gruppo delle piramidi gemelle” ed è costituita da due piattaforme piramidali (a Tikal esistono nove di questi complessi), senza alcun tempio sommitale, situate sui lati est e ovest di una stessa piazza, l’una di fronte all’altra. A nord della piazza si innalza un recinto sacro al cui interno è collocata una grande stele, men-

tre a sud sorge un palazzo con nove porte che rappresentano probabilmente i vari livelli dell’Oltretomba. Sono raffigurazioni cosmologiche di epoca tardo-classica, innalzate ogni 7200 giorni per celebrare la fine di un katún, un ciclo temporale di grande importanza nella cultura della civiltà maya. Sempre a Tikal, sono stati rinvenuti campi in pietra per il gioco rituale della palla, grandi cisterne, depositi d’acqua forse utilizzati per bagni di vapore, oltre a centinaia di altri edifici dei quali gli studiosi ignorano ancora oggi l’uso. I Maya, che amavano gli enigmi, hanno lasciato dietro di sé molti misteri: Tikal, apparentemente così impenetrabile, quasi nascosta in mezzo alla fitta giungla, conserva probabilmente, tra le migliaia di costruzioni non ancora disseppellite, la soluzione a questi enigmi.

L’ARTE VASARIA DEI MAYA I Maya eccelsero nell’arte della ceramica: sotto, una terracotta policroma decorata con testa d’uccello. Museo Nacional de Arqueología, Città del Guatemala.

ART ARCHIVE

no a noi, furono invece testimoni di importanti e cruciali decisioni politiche, come quelle relative alla guerra con l’odiata rivale Calakmul. Da queste corti, inoltre, passarono quasi sicuramente gli ambasciatori dei più importanti regni maya della penisola dello Yucatán, oltre a colonne di prigionieri trascinati verso l’umiliazione e il sacrificio finale.


DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

PIEDRA DEL SOL Scolpita attorno al 1512, ha un diametro di 3,5 metri e pesa 24 tonnellate. Raffigura elementi della cosmologia azteca e, al centro, la testa di una divinità. Museo Nacional de Antropología, Città del Messico.


LA CAPITALE DEGLI AZTECHI

TENOCHTITLÁN Fondata su un’isola del lago Texcoco, nel Messico centrale, la favolosa capitale dell’Impero azteco impressionò gli stessi conquistatori spagnoli per lo splendore dei suoi edifici che sembravano sorgere dall’acqua ISABEL BUENO BRAVO DOCENTE DI STORIA DELLE AMERICHE


A

differenza di altre città antiche, che sopravvivono tra edifici moderni e strade trafficatissime, Tenochtitlán, la favolosa capitale dell’Impero azteco, fu smontata pietra per pietra dagli Spagnoli per costruire con i suoi blocchi il centro urbano poi ribattezzato Città del Messico. Eppure non tutto di lei è morto, e il suo fascino, sia pure offuscato, ancora risplende nei resti archeologici della Grande Piramide o Templo Mayor, portati alla luce nel centro della capitale messicana. Per non parlare dei vividi racconti lasciati da quegli stessi soldati spagnoli che, dopo la conquista, l’avrebbero rasa al suolo. Sono queste testimonianze, da cui traspare un autentico senso di ammirazione, a permetterci di capire che cosa fu Tenochtitlán nel XVI secolo, e come si svolgeva la vita lungo i suoi canali, nelle sue strade brulicanti di persone, all’interno dei templi e dei palazzi che adornavano il suo recinto sacro.

Tutti concordano sulla bellezza, la pulizia e l’ordine di Tenochtitlán. A partire da Hernán Cortés, l’uomo che la conquistò nel 1521: “Non potrò dire che una parola delle cento che varrebbe la pena di pronunciare”, scrisse nei suoi diari. Anche Bernal Díaz del Castillo, compagno di spedizione di Cortés e cronista della conquista del Messico, non nasconde il senso di meraviglia che provò contemplando per la prima volta Tenochtitlán: “Rimanemmo stupefatti, e alcuni di noi pensarono si trattasse di un incantesimo, come quelli di cui legge nel Libro di Amadis (poema cavalleresco spagnolo del XVI secolo), a causa delle grandi torri, dei templi e degli edifici che sembravano innalzarsi dall’acqua. Altri si domandavano se tutto ciò non fosse solamente un sogno”. A esprimersi così sono uomini che avevano combattuto in tutta Europa, che conoscevano le maggiori città del Vecchio Continente; ep38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

Una visione incantata


MOTECUHZOMA XOCOYOTZIN Più noto come Montezuma II, nei diciotto anni del suo regno (1502- 1520) l’imperatore estese i domini aztechi con campagne militari. Ritratto attribuito al messicano Antonio Rodriguez, 1680 circa.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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AKG / ALBUM

LA PIETRA DI AHUÍZOTL Questo bassorilievo azteco, frammento di un’urna funeraria forse appartenuta all’imperatore Ahuízotl, raffigura il dio della pioggia Tlaloc mentre sparge acqua e mais. 1502, British Museum, Londra.

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pure, al cospetto di Tenochtitlán non potevano scacciare la sensazione di stare sognando a occhi aperti. La capitale azteca si mostrò loro in tutto il suo incanto, adagiata su un’isola in mezzo a un lago verde smeraldo, ancorata alla terraferma da tre grandi viali rialzati.

Il mistero delle origini Tenochtitlán fu la capitale del più grande impero della Mesoamerica, la regione formata da Messico e America Centrale. Le origini della città sono avvolte nella nebbia: secondo alcuni racconti, a fondarla furono un gruppo di Aztechi, o Mexica, che chiesero all’imperatore Tezozomoc, signore della città di Azcapotzalco, di offrire loro un posto dove risiedere. Tezozomoc concesse loro un isolotto al centro del lago Texcoco e lì, come un umile villaggio vassallo di Azcapotzalco, ebbe inizio l’incredibile ascesa di Tenochtitlán.

Nel primo secolo di vita (1325-1428), la città crebbe allo stesso ritmo delle sue strutture politiche, sviluppandosi nei modi tipici dell’urbanistica mesoamericana: il cuore della città era costituito da un centro cerimoniale costellato di templi e palazzi e delimitato da un coatepantli, o “muro di serpenti”. Lungo questo recinto di pietra, ornato da sculture di rettili ritorti, si aprivano quattro porte orientate verso i punti cardinali. Erano loro a dividere l’abitato in quattro settori, ulteriormente frazionati in unità urbanistiche più piccole, i calpulli, ognuna delle quali disponeva di un proprio tempio e di una scuola (telpochcalli). Le case erano a pianta quadrata, e solo le dimore nobiliari avevano due piani. Le strade erano affiancate da canali su cui navigavano canoe cariche di merci. Non esistevano altri mezzi di trasporto: gli Aztechi non possedevano animali da soma e non conoscevano la ruota.


Acquedotto. Un sistema di tubazioni portava l’acqua potabile fino in città.

Strade. Larghe e rettilinee, erano interrotte da alcuni ponti mobili.

Canoe. Ai vari quartieri si accedeva tramite viali rialzati oppure in canoa.

Piazze. Nelle piazze cittadine si svolgeva l’attività commerciale dei mercanti.

Zoo-giardino. Montezuma II aveva un giardino botanico e uno zoo personale.

Area di culto. Il Templo Mayor dominava il centro cerimoniale di Tenochtitlán.

Viale rialzato. Portava alle città di Iztapalapa e Xochimilco, sulle sponde del lago. Palafitte. Ai conquistatori spagnoli queste case edificate sull’acqua ricordavano Venezia.

AKG / ALBUM

Canali. Delimitavano gli spazi urbani e facilitavano la circolazione.

Chiusa. Costruita nel XV secolo, impediva alle piene del lago Texcoco di inondare la città.

Case. Le abitazioni erano ampie e avevano un giardino.

TERRAPIENI, PONTI, ISOLE ARTIFICIALI

MESSICO

Zupango Lago Zupango Xaltocán

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Lago Xaltocán

IN DALLA SUA FONDAZIONE, Tenochtitlán ri-

Teotihuacán Acolmán

Texcoco

Tepeyac

Lago Texcoco

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Tepetzinco Tenochtitlán Iztapalapa

Lago Xochimilco

Lago

Xochimilco Chalco

CARTOGRAFÍA: EOSGIS

chiese imponenti lavori idraulici e urbanistici. Gli abitanti costruirono tre grandi strade rialzate che collegavano la città aTepeyac, Iztapalapa e Tlacopán, tre località sulla terraferma. Lungo questi terrapieni furono realizzati ponti mobili per consentire il passaggio delle canoe, e, in caso di guerra, rendere inespugnabile l’abitato. Il rischio di inondazioni fu limitato costruendo una grande diga, mentre per garantire alla città acqua potabile (non essendo bevibile quella del lago) fu creato un acquedotto di 5 chilometri che attingeva alle fonti di Chapultepec. Buona parte dei prodotti agricoli proveniva infine dai chinampas, sorta di “isolotti artificiali” creati nel lago Texcoco per la coltivazione.

Ingrandimento

Acquedotto Acqua salata

LA VENEZIA DEL NUOVO MONDO Sopra, Tenochtitlán prima della distruzione: l’incisione, realizzata nel 1524, si basa sulla descrizione della città offerta da Hernán Cortés nelle sue lettere al re di Spagna Carlo V.

Acqua dolce Zona paludosa

Chinampas Enclave azteca

Sorgente di acqua dolce

INGEGNERIA AGRICOLA I chinampas erano “orti galleggianti” creati puntellando il fondo del basso lago con dei pali. L’area così circoscritta veniva poi riempita di fango fino a varcare la superficie dell’acqua.


IN VIAGGIO VERSO LA TERRA PROMESSA

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ECONDO IL MITO, i fondatori di Te-

TIBOR BOGNÁR / AGE FOTOSTOCK

nochtitlán partirono da Aztlán, nel Nord del Messico, spinti da una profezia del dio Huitzilopochtli che li invitava a cercare la Terra Promessa. Vagarono per circa 200 anni, poi la visione di un’aquila che divorava un serpente sopra un cactus indicò loro che erano giunti a destinazione. Su un’isola del lago Texcoco, nella Valle del Messico, fondarono Tenochtitlán, che si espanse fino ad assumere la guida della Triplice Alleanza, la confederazione di tre città azteche (le altre erano Texcoco e Tlacopán) che spadroneggiava sull’intera Valle del Messico.

I TELAMONI (STATUE MASCHILI CORRISPONDENTI ALLE CARIATIDI) DI TULA.

TLALOC, “NETTARE DELLA TERRA” Dio della pioggia e della fertilità, Tlaloc (qui raffigurato in un incensiere) era uno degli dei più venerati e temuti dell’affollato pantheon azteco.

1 Achutla. Quando nel 1503 guidò una campagna militare contro i Mixtechi, popolo precolombiano del Messico centrale, Montezuma II conquistò anche questa città.

5 Tlaxiaco. Nel 1511 le truppe di Montezuma II occuparono anche la grande città di Tlaxiaco, al termine dell’ennesima spedizione militare contro i Mixtechi.

2 Quetzaltepec. Nel 1504 Montezuma II attaccò Tututepec, capitale del regno mixteco, ma riuscì a impossessarsi solo di alcuni centri periferici, come Quetzaltepec.

6 Soconusco. Questa regione di confine tra Messico e Guatemala si sollevò nel 1511 contro il dominio azteco. Montezuma II inviò un esercito per schiacciarla.

3 Yanhuitlán. Montezuma riprese la sua campagna militare contro i Mixtechi nel 1507, guidando un esercito di 2000 uomini alla conquista di Yanhuitlán e Zozollán.

7 Zimapán. A nord, Montezuma conquistò le città di frontiera di Zimapán e Oxitipán, nel corso della sua lotta contro i Taraschi e il regno di Metztitlán.

4 Tlaxcala. I regni di Huexotzinco e Tlaxcala furono nemici scomodi per Montezuma II, che tra il 1508 e il 1518 ne conquistò alcuni territori periferici.

8 Gli Spagnoli. Nel 1519 Cortés sbarcò con 600 uomini lungo le coste di Veracruz, nel Messico orientale, e dopo sei mesi di cammino giunse alle porte di Tenochtitlán.

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Il centro cerimoniale fungeva, contemporaneamente, da cuore amministrativo e religioso di Tenochtitlán. Lì erano riuniti tutti gli edifici più importanti: grandi templi e piramidi dedicati alle divinità azteche, campi per praticare il gioco rituale della palla, tzompantli (altari sovrastati da intelaiature in legno su cui venivano esposti i crani delle vittime sacrificate agli dei), palazzi e uffici amministrativi, tribunali, armerie, carceri, archivi.

Il grande mercato di Tlatelolco

SCALA, FIRENZE

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Sebbene la concezione urbanistica di Tenochtitlán fosse un’evidente eredità della visione mesoamericana dell’universo, le antiche leggende affermano che fu Huitzilopochtli in persona, il principale dio azteco, a progettare la città, stabilendo dove costruire il recinto sacro e in che modo le varie tribù dovessero raggrupparsi.

Tenochtitlán, tuttavia, era ben di più del suo centro cerimoniale: al di fuori dell’area sacra, isolata dal muro di pietra, la vita brulicava frenetica nel tianguis, il mercato. Hernán Cortés scrive che a Tenochtitlán esistevano vari mercati, distribuiti tra le sue innumerevoli grandi piazze. Il maggiore si svolgeva a Tlatelolco, città gemella della capitale, sorta sul lato opposto dell’isola al centro del lago Texcoco. Qui si riunivano ogni giorno più di 60.000 persone a comprare e vendere le merci più svariate: gioielli, materiali da costruzione, uccelli, conigli, cervi, piccoli cani destinati alla macellazione, tessuti, verdure, frutta, zucchero, liquori, cotone, pitture, pelli, mais, pane, uova. “Nelle sue strade si vendono merci di ogni genere”, scrive ancora Cortés, “e senza che nessuna si mescoli alle altre, perché sono molto ordinati”. Un ordine che non riguardava solo la distri-


UAXTECHI

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Oxitipán

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Impero azteco nel 1503

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Guarnigioni azteche

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Percorso di Hernán Cortés

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Veracruz

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Territorio dei Maya Putún

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Triplice Alleanza Offensive di Montezuma II

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TENOCHTITLÁN

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TARASCHI

Conquiste di Montezuma II

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Quetzaltepec

MIXTECHI Tututepec CARTOGRAFÍA: EOSGIS

Istmo di Tehuantepec

Monte Albán

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buzione, ma anche la vendita delle merci, in quanto a Tlatelolco era attivo un corpo di ispettori incaricati di prevenire truffe e frodi. Tenochtitlán e Tlatelolco ospitavano i mercati con il maggior assortimento di prodotti; ma anche in altre città esistevano mercati importanti, sia pure più specializzati: a Cholula si vendevano pietre preziose, a Texcoco tessuti, Azcapotzalco era celebre per il commercio di schiavi, Acolman per la vendita di cani. Il pagamento delle merci avveniva tramite baratto o usando cacao e oro come moneta.

La vita quotidiana L’alimentazione era molto varia, anche se la base era costituita da mais, fagioli, frutta e verdura. Le proteine provenivano dal consumo di cacciagione, pesce, piccoli cani allevati a scopo alimentare e vari tipi di insetti, tra cui cavallette e formiche. Inoltre, presso gli Azte-

Tehuantepec G o l fo di Tehu a n t e p ec

Pacific o

6 SOCONUSCO Huiztlán Mazatlán

chi, era abituale nutrirsi di tecuitlatl, una sorta di microalga – oggi commercializzata con il nome scientifico di Spirulina platensis – che apportava vari nutrienti essenziali: proteine, vitamine, sali minerali. Tenochtitlán aveva un’altissima densità di popolazione, circa 250.000 abitanti, un numero impressionante se lo si confronta con quello delle città europee dell’epoca: Napoli, Costantinopoli, Parigi, Venezia e Milano superavano a malapena i 100.000 abitanti. Un tale affollamento esigeva una particolare attenzione all’igiene pubblica, nel quale gli Aztechi erano all’avanguardia. Il cronista Bernal Díaz del Castillo racconta come per tutta la città fossero distribuite latrine pubbliche, “fatte di canne, paglia o erba, affinché non venissero viste dai passanti”. Della loro pulizia si occupavano addetti che raccoglievano i liquami, poi riciclati come concime agricolo. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL CENTRO CERIMONIALE ALL’EPOCA DI MONTEZUMA II, I MAGGIORI TEMPLI E LUOGHI DI CULTO DI TENOCHTITLÁN ERANO

Coatepantli. Decorato con sculture di serpenti, era il muro che cingeva il centro cerimoniale.

Coateocalli. Le sue stanze custodivano le statue delle divinità adorate dai popoli sconfitti. Calmecac. Scuola per nobili destinati a ruoli di responsabilità nella amministrazione imperiale.

TITRE: Casa delle Aquile. COMME DANS LA Vi sono state ritrovate due statue di guerrieri-aquila, così ORIGINALE MAQUETTE chiamati per il loro costume. COULEURS: COMME DANS LA MAQUETTE ORIGINALE Tempio di Cihuacóatl. Questa divinità, per metà donnaCOULEURS e per metà serpe, TEXTES: proteggeva le partorienti. COMME DANS LA MAQUETTE ORIGINALE OUVERTURE: SANS TEXTE Tempio di EhécatlQuetzalcóatl. Di forma circolare, era consacrato al dio azteco del vento.

ILUSTRACIÓN: MB CREATIVITAT

Tozpalatl. Ospitava una fonte dalla quale i sacerdoti aztechi attingevano l’acqua per le cerimonie.

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Gioco della palla. Era molto popolare tra gli Aztechi, che scommettevano grandi fortune sugli incontri.

TITRE: VERLAG COULEURS TEXTURE T MODERNES COULEURS ORO FOND OUVERTUR SANS TEXT


DELLA CAPITALE AZTECA CONCENTRATI NEL SUO CENTRO CERIMONIALE, UN RECINTO QUADRATO DI 500 METRI DI LATO

Casa dei Giaguari. Gli ocelotl, i temibili guerrieri-giaguaro, onoravano il dio Tezcatlipoca, implacabile e vendicativo.

Tempio di Tezcatlipoca. Lo “Specchio Fumante” era il dio della notte, emblema dell’oscurità e del male.

Templo Mayor. Era il tempio principale della città. Costruito in sette tappe a partire dal 1325 circa, era alto complessivamente 60 metri.

: Tzompantli. Era adornato AG con i teschi dei sacrifici recenti, quasi sempre di prigionieri di guerra. EURS: URE TEMPS ERNES EURS TEXTES: FONDO NEGRO RTURE: TEXTE Tempio del Sole. Probabilmente era dedicato a Tonatiuh, dio del Sole, che per sorgere ogni mattina all’alba pretendeva come tributo l’offerta di sacrifici umani.

Tempio di Xochiquétzal. Vi si adorava la dea dei fiori, della danza, delle arti, dei giochi e dell’amore.

Tempio di Chicomecóatl. Dea del mais, veniva onorata offrendole in sacrificio una fanciulla decapitata.

IL RECINTO SACRO Fulcro politico e religioso dell’Impero azteco, il recinto sacro di Tenochtitlán ospitava templi, palazzi, scuole, tribunali, l’armeria, la biblioteca e altre istituzioni. Il grande Templo Mayor rappresentava simbolicamente la “montagna sacra”, il luogo dove Huitzilopochtli, il dio della guerra, aveva scatenato una terribile battaglia al momento della sua nascita. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

L’ALTARE DEI SACRIFICATI Questo tzompantli, utilizzato per esporre i crani delle vittime sacrificali, è stato rinvenuto nei pressi del Templo Mayor. Secondo alcune testimonianze, a Tenochtitlán vi furono fino a sette tzompantli.

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Oltre che nella gestione dei servizi, Tenochtitlán era una città “moderna” anche sotto altri punti di vista. Per le strade esistevano osterie che proponevano un menu ricco di alternative: si poteva consumare un pasto rapido oppure scegliere qualcosa di più complesso, ordinando empanadas (una sorta di fagottini di pasta) con vari ripieni, tacos a base di carne o pesce, e dolci accompagnati da cacao. Per chi aveva sete era possibile dissetarsi con un rinfrescante succo di frutta oppure con altre bevande più o meno alcoliche. In caso di malattia, ci si poteva rivolgere a un farmacista, che in genere prescriveva rimedi a base di erbe medicinali o di estratti animali. Ne esistevano a centinaia, studiati per curare ogni genere di indisposizione: dai dolori allo stomaco all’insonnia, dall’epilessia ai disturbi connessi alla gravidanza. I Mexica conoscevano e utilizzavano a scopo medico e aneste-

tico anche sostanze allucinogene come il peyote, un piccolo cactus del deserto che tuttavia, essendo ritenuto pianta sacra, poteva essere raccolto solo da persone autorizzate.

I giardini di Nezahualcoyotl Molte delle erbe necessarie per preparare i farmaci venivano coltivate nei lussureggianti giardini botanici di Tenochtitlán. Tra i più sontuosi dovevano esservi – almeno a giudicare dai resti archeologici ritrovati a Città del Messico – quelli disegnati nel XV secolo da Nezahualcoyotl, tlatoani (cioè imperatore) della potente città di Texcoco; ma forse ancora più splendidi erano i giardini appartenenti a Montezuma II, che dopo la caduta azteca divennero di proprietà di Cortés. Se il farmacista non era in grado di risolvere il problema che assillava il paziente, questi poteva rivolgersi ai medici, le cui conoscenze


IL TEMPLO MAYOR DI TENOCHTITLÁN

COYOLXAUHQUI, LA DEA LUNARE DEGLI AZTECHI. MUSEO DEL TEMPLO MAYOR, CITTÀ DEL MESSICO.

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AKG / ALBUM

RA L’EDIFICIO più importante dell’Impero azteco, l’emblema del potere religioso e politico. La sua funzione consisteva nel canalizzare l’energia dell’universo e nel mettere in comunicazione il mondo con le forze dell’Aldilà. La piramide tronca misurava 82 metri di lato e 45 di altezza. Sulla sua cima sorgevano due templi dedicati rispettivamente a Huitzilopochtli e Tlaloc, le massime divinità azteche.

Tlaloc Il tempio di sinistra era dedicato a Tlaloc, dio della pioggia e della fertilità. Per onorarlo si sacrificavano bambini.

DK IMAGES

Huitzilopochtli Il tempio di destra era consacrato al potente Huitzilopochtli, dio del Sole e della guerra e patrono degli Aztechi. Chac Mool Statua di figura umana in posizione reclinata, con una ciotola sul petto in cui veniva depositato il cuore dei sacrificati.

Tzompantli Sul lato nord del Templo Mayor è stato ritrovato questo altare, ornato con 240 crani di pietra.

Sei ampliamenti Il tempio fu ingrandito sei volte tra il XIV e il XV secolo, mediante sovrapposizione di strutture successive.

Camera sacerdotale Qui i sacerdoti si preparavano a officiare le solenni cerimonie prescritte dal calendario azteco.

Serpenti Le basi della doppia scalinata frontale erano decorate con teste di serpente, animale sacro ai popoli aztechi.

Altare con rane Dinnanzi alla scalinata che portava al tempio di Tlaloc c’era un altare con le statue di due rane, simbolo dell’acqua.

Coyolxauhqui Questa pietra (riprodotta nella foto sopra) raffigurava la dea della Luna, morta squartata per mano del fratello Huitzilopochtli. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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KEN WELSH / AGE FOTOSTOCK

PLAZA DE LAS TRES CULTURAS Situata nel cuore di Città del Messico, coincide con il centro cerimoniale di Tlatelolco, città-gemella di Tenochtitlán. Qui capitolò l’ultimo re azteco, Cuauhtémoc, che dovette arrendersi a Hernán Cortés.

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anatomiche, grazie ai sacrifici umani praticati con regolarità dagli Aztechi, erano assai avanzate. I cronisti spagnoli raccontano che, per curare i feriti, sui campi di battaglia erano presenti medici indigeni molto più abili negli interventi dei loro colleghi europei. Altre specialità, come l’ostetricia, presso gli Aztechi erano ritenute prerogativa delle sole donne.

Il lamento del conquistador Gli Aztechi vivevano in una società gerarchizzata, in cui ogni individuo doveva servire la comunità con il lavoro, il tequitl, in funzione del proprio rango sociale. I pilpiltin, o nobili, si situavano ai vertici della piramide gerarchica, non pagavano tasse, vivevano una vita privilegiata; ma in cambio dovevano attenersi a un rigido codice morale e le loro trasgressioni erano punite con particolare severità. Più in basso nella scala sociale vi erano i guerrieri e i

mercanti, poi i macehuales, la plebe. In ultimo si trovavano gli schiavi. La giornata iniziava presto; mentre le donne preparavano il cibo per la famiglia, gli uomini andavano a lavorare nei campi o in città. I bambini ricevevano un’educazione severa, che iniziava in casa e proseguiva a scuola. I giovani si sposavano attorno ai vent’anni, e solo allora entravano a far parte a pieno titolo della società. Tra i nobili era praticata la poligamia, utile per favorire i matrimoni politici. La civiltà azteca, che a Tenochtitlán trovava la sua espressione più alta, venne drammaticamente distrutta nel 1521 dall’arrivo degli Spagnoli. La sua repentina caduta impressionò gli stessi conquistatori, ispirando a uno di loro questa considerazione: “Pensai che nessuna altra terra pari a questa sarebbe mai stata scoperta nel mondo. Ma ora tutto ciò che vidi è stato distrutto; nulla è rimasto in piedi”.


DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

LA MADRE DI HUITZILOPOCHTLI Coatlicue, dea del fuoco, della vita e della morte, è raffigurata in questa statua con i suoi tipici attributi: la gonna di serpenti e la collana di cuori umani. Museo Nacional de Antropología, Città del Messico.


ROBERT CLARK / NGS

NEL CUORE DELLE ANDE Machu Picchu fu costruita intorno alla metĂ del XV secolo su un picco alto 2438 metri. Grazie alla sua posizione fu preservata dalla distruzione dei conquistadores.


UN ENIGMA ARCHEOLOGICO

MACHU PICCHU Scoperta nel 1911 dall’esploratore e archeologo americano Hiram Bingham, la città sacra inca, costruita a oltre 2400 metri di altezza sulle vette andine, continua a celare i segreti sulla sua natura e sulla sua reale funzione CONSTANZA CERUTI TITOLARE DELLA CATTEDRA DI ARCHEOLOGIA INCAICA ALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DI SALTA ESPLORATRICE DELLA NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY


N

W. FORMAN / GTRES

ella varietà del suo fascino e nella potenza della sua magia, non conosco altro luogo al mondo che possa paragonarsi a questo”. Con tali parole l’esploratore americano Hiram Bingham descrisse Machu Picchu, raccontando la scoperta di questa città costruita dagli Incas sulle Ande orientali del Perú. Era il 24 luglio del 1911.

PORTATORE ANDINO Per coltivare le pendici del Machu Picchu fu necessario costruire terrazze artificiali. Il ruolo dei portatori era quindi di fondamentale importanza. Ethnologisches Museum, Berlino. 52 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Il giovane esploratore e archeologo americano aveva trascorso la notte precedente accampato sulle rive del fiume Urubamba, ai piedi delle imponenti cime andine fitte di vegetazione. Quelle pendici montane gli ricordavano gli alti dirupi delle Hawaii, dove era nato. Quella mattina, contemplando le pareti rocciose che si innalzavano per oltre mille metri sul livello del fiume, a Bingham erano sembrate inverosimili le voci sull’esistenza di rovine in luoghi tanto inaccessibili. Il naturalista e il medico che lo accompagnavano in quella prima spedizione erano talmente scettici che avevano preferito rimanere a cacciare farfalle e a lavare vestiti nel loro accampamento di Mandor Pampa: non potevano immaginare che quella sarebbe stata una giornata fondamentale nella storia dell’archeologia. Mosso dalla curiosità, Bingham andò incontro al proprio destino, accompagnato da Melchor Arteaga, un indigeno locale di etnia quechua con il ruolo di guida. Dopo l’avventuroso attraversamento di un ponte traballante sull’Urubamba e una difficile salita lungo i piovosi versanti della montagna, Bingham riuscì finalmente a contemplare lo spettacolo mozzafiato delle antiche rovine che affioravano qua e là tra la vegetazione.

L’ultimo rifugio degli Incas Nel suo libro La città perduta degli Incas, Bingham raccontò nei particolari questa spedizione, che era stata finanziata dalla Yale University e dalla National Geographic Society. L’esploratore era giunto in Perú alla ricerca di Vilcabamba, la città rifugio degli ultimi Incas. Così si chiamavano i re di quel villaggio andi-

no, i cui sudditi conosciamo come inca proprio per il nome dei loro sovrani. Cinque secoli prima, da una “pianura sacra” o vilcapampa, celata nel folto delle foreste andine, gli ultimi imperatori inca – Manco Inca (o Manco II), Sayri Túpac, Titu Cusi e Túpac Amaru – erano riusciti a sostenere per oltre un trentennio la resistenza contro i conquistatori europei. Questa eroica lotta era terminata nel 1572, quando Túpac Amaru fu catturato e decapitato nella piazza principale di Cuzco. La configurazione topografica di Macchu Picchu non somigliava per niente a quella di una pianura o pampa come quella che dava il nome all’ultima capitale inca. Questa circostanza avrebbe dovuto far suonare un campanello d’allarme nella mente di Bingham. L’archeologo però, trascinato dall’entusiasmo, non ebbe dubbi nell’associare la sua scoperta alla leggendaria Vilcabamba. Oggi gli studiosi identificano l’ultimo bastione della resistenza inca con un altro sito ancora più inaccessibile di Machu Picchu: le rovine di Espíritu Pampa, situate rispetto a quest’ultimo circa cento chilometri a nordovest. Nel 1912, Bingham condusse una seconda spedizione a Machu Picchu, durante la quale scattò circa cinquecento fotografie del luogo e realizzò i primi scavi archeologici scientifici, di cui successivamente pubblicò i risultati. Le mappe risultanti dalle prime rilevazioni compiute ancora sorprendono gli esperti per la loro qualità e precisione, anche se in seguito è stata necessaria una revisione critica di alcune conclusioni, alla luce di nuovi studi. Per esempio, le osservazioni di George Eaton, l’osteologo che accompagnava Bingham, si


BRIDGEMAN / INDEX

IL SIGNORE DEL MONDO In quest’olio su tela del XVIII secolo è rappresentato Pachacútec, il primo grande sovrano del Tawantinsuyu, le “Quattro Regioni unite”, come gli Incas chiamavano il loro Impero.


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L’Impero inca si estende verso sud, occupando un vasto territorio i cui domini arrivano fino alla Patagonia. In un secolo, gli Incas sono riusciti a dare vita a un Impero che si estende per circa 780.000 km2.

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WILLIAM E. MCNULTY, LAWSON PARKER E LISA R. RITTER, NGM. IMMAGINE LANDSAT (DETTAGLIO): GLOBAL LAND COVER FACILITY. FONTI: BRIAN S. BAUER, UNIVERSITY OF ILLINOIS; R. ALAN COVEY. SOUTHERN METHODIST UNIVERSITY, TERENCE N. D’ALTROY, COLUMBIA UNIVERSITY. CARTINE: NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY.

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Muore l’imperatore Huayna Cápac. Durante il suo regno gli Incas sono avanzati sul versante orientale delle Ande e si sono rinserrati nel bacino amazzonico. Scoppia la guerra civile tra Huascar e Atahualpa, i figli di Huayna Cápac.

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Túpac Yupanqui, figlio di Pachacútec, vince i Chimú (i cui artigiani e tesori vengono portati a Cuzco) e conquista Chan Chan, la loro capitale. Sconfigge poi anche i Cañari (nell’odierno Ecuador) e si impadronisce della loro capitale, Ingapirca.

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Il sovrano inca Viracocha amplia i suoi domini a spese dei Chancas a ovest e delle popolazioni stanziate nei pressi del lago Titicaca a sud. Suo figlio Pachacútec sconfigge i Chanchas nell'anno 1438.

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L’ESPANSIONE INCA Esseri divini, discendenti del Sole, gli Incas (parola che in un primo tempo designava i sovrani andini e che in seguito si estese anche al loro popolo) governarono un Impero abitato da ben dodici milioni di persone distribuite in una fascia lunga 4000 chilometri tra la cordigliera delle Ande e l'oceano. Le varie zone di questo vastissimo Impero, il più grande tra quelli precolombiani del continente americano, erano collegate tra di loro grazie a un’imponente rete stradale, che raggiungeva all’incirca i 40.000 chilometri. Il cuore dell’Impero si trovava nella valle del fiume Urubamba, dove sorgevano la capitale Cuzco, varie residenze reali e numerosi luoghi sacri. In questi ultimi siti si veneravano le mummie dei sovrani, la cui ubicazione è indicata nella cartina, finché non caddero nelle Cor mani degli Spagnoli e se ne persero le tracce. d 1 Proprietà Reale

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Machu Picchu

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11 Huayna Cápac 13 Atahualpa 1500

10 Túpac Inca Manco Inca e 12 Huascar altri sovrani post-conquista

Gli Aztechi del Messico e gli Incas del Perú condivisero destini simili. Ereditarono le conoscenze tecniche e buona parte delle credenze delle culture che li precedettero, crearono due grandi Imperi sottomettendo decine di popoli e furono vittime di ignoti invasori: gli Spagnoli.

Incas

Wari (Huari)

VASO CON LA RAPPRESENTAZIONE DI VISI UMANI. CULTURA NAZCA.

Tiwanaku (Tihuanaco) ALBUM

UOMO CON I LOBI DELLE ORECCHIE FORATI. CULTURA INCA.

NGS

ALBUM

Nazca

PIETRA DEL SOLE O CALENDARIO AZTECO, TROVATO A TENOCHTITLÁN.

Chimú TUMI, COLTELLO CERIMONIALE. TESORO DI LAMBAYEQUE. CULTURA CHIMÚ.

ALBUM

CHAC, DIO DELLA PIOGGIA. BRUCIAINCENSO, CULTURA MAYA.

Teotihuacán

ALBUM

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SCALA, FIRENZE

A LUNGO SI CREDETTE CHE MACHU PICCHU FOSSE UN LUOGO RISERVATO ALLE “VERGINI DEL SOLE” PIANTA DI MAIS IN ARGENTO. STAATLICHE MUSEEN, BERLINO.

Tra scienza e avventura Gli errori commessi non devono appannare il valore dell’opera documentaria di Bingham e dei suoi collaboratori. Non si possono ignorare gli sforzi da loro compiuti per liberare le costruzioni dalla fitta vegetazione che li ricopriva, né le difficili condizioni in cui tale impresa fu svolta, ossia il caldo opprimente e i rischi legati alla natura del luogo. Kenneth Heald, topografo e abile scalatore, fornì un racconto drammatico della prima ricognizione sul picco Huayna Picchu. Le spine si infilavano nella carne e i tendini delle spalle quasi si laceravano nello sforzo di aggrapparsi alle pareti per evitare cadute fatali nei precipizi. La stessa cima che sovrasta il sito di Machu Picchu non poté essere conquistata fino a quando gli esploratori non trovarono le scalinate abilmente intagliate dagli Incas nella roccia viva della montagna. La costruzione di Machu Picchu era iniziata verso la metà del XV secolo, all’epoca di Pachacútec, il primo inca riguardo al quale si trovano riferimenti storici e a cui si attribuisce la fondazione del Tawantinsuyu, l’Impero inca “delle Quattro Regioni unite”. La città venne costruita, abi56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

HERVÉ HUGHES / GTRES

rivelarono sbagliate. La gracilità degli scheletri rinvenuti indusse all’errata conclusione che Machu Picchu fosse stato abitato soprattutto da donne dedite ai culti religiosi (acllas e mamaconas, le “vergini del Sole”). In realtà, contrariamente a quanto sostenne lo studioso a partire dalle ossa rinvenute, il numero delle donne che risiedevano a Machu Picchu era molto vicino a quello degli uomini. La popolazione complessiva si aggirava sui mille abitanti, distribuiti nelle circa duecento strutture del luogo. Tra le principali attività produttive c’era la coltivazione del mais e della foglia di coca, usata a scopo cerimoniale.

tata e abbandonata in meno di un secolo. Il suo stile architettonico è “tardo imperiale”, e nel corso dei vari scavi archeologici non sono emersi indizi di occupazioni precedenti agli Incas o successive alla conquista europea. La mancanza di oggetti cerimoniali di metallo suggerisce che l’abbandono del luogo fu pianificato. Il sito comprende un settore cerimoniale, uno di uso residenziale e varie terrazze destinate alle coltivazioni. È possibile che la monumentalità architettonica e la collocazione scenografica di Machu Picchu, con i suoi altissimi terrazzamenti affacciati sui precipizi, avessero lo scopo di suscitare ammirazione reverenziale nelle popolazioni confinanti, in particolare i Chanca, nemici storici degli Incas. Nei contrafforti andini orientali si trovano molte rovine che sembrano corrispondere a cittadelle legate al controllo del territorio e che combinano caratteristiche rituali


UNA VISIONE SORPRENDENTE “Sentii che mi mancava il respiro, cos’era quel luogo? Perché nessuno ce ne aveva parlato?”. Questi furono i pensieri che vennero in mente a Hiram Bingham quando nel 1911 vide per la prima volta la città inca.

UNA SFIDA ALL’INGEGNO

IL LAVORO DELLA TERRA, ILLUSTRAZIONE DALLA CRONACA DI HUAMAN POMA DE AYALA. XVII SECOLO.

ORONOZ / ALBUM

SULLA CORDIGLIERA ANDINA c’è poca terra coltivabile e per questo la città di Machu Picchu era circondata da terrazzamenti artificiali noti come andenes. Questi venivano irrigati con cura e avevano una conformazione tale per cui era evitata la perdita di terreno produttivo a causa dell’erosione. Il mais costituiva una coltura fondamentale per la civiltà inca; dalla fermentazione di questa pianta si otteneva una bevanda usata a scopo cerimoniale: la chicha.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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NELLE TERRE DEL SIGNORE DELLE ANDE Machu Picchu venne costruita nel XV secolo e fu abitata per un centinaio d’anni; si ritiene che ci vivesse circa un migliaio di persone. Una grande piazza cerimoniale orientata da nord a sud divide il complesso in due settori: a ovest si trova la cosiddetta “città superiore”, dove si trovano i principali templi e le case nobiliari; a est si trova la “città inferiore”, dove risiedevano coloro che erano al servizio dei templi.

1 Porta meridionale. Era l’unico ingresso alla città, alla quale si giungeva attraverso quello che è noto come “il cammino inca”. Le mura e il fossato separavano le aree residenziali e le terrazze agricole della parte sud della città.

2 Terrazze coltivate. Intorno alla città furono costruite terrazze dedicate alla coltivazione di erbe medicinali, fiori, patate e mais. Con quest’ultimo si preparava anche la bevanda detta chicha. 3 Magazzino. In questo grande edificio si conservavano gli alimenti e i prodotti che si portavano fino in città in groppa ai lama.

4 Piazza sacra. Era circondata dagli edifici che conosciamo come “Grande tempio” e “Tempio delle tre finestre”. Una lunga scalinata la univa con la pietra rituale detta intihuatana.

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5 Intihuatana. Luogo di carattere religioso, forse osservatorio astronomico, situato nel punto più alto della città. È contrassegnato dalla presenza di un singolare megalito intagliato.

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6 e 7 Canali e fontane. Facevano parte di un complesso sistema di immagazzinamento dell’acqua, che proveniva da ruscelli.

8 Palazzo reale. Da alcuni studiosi viene

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considerato una residenza reale inca, in quanto possedeva un giardino privato, una stanza da bagno e un locale per la guardia armata.

9 Tempio del sole. Anche se è noto come “Torrione” per la sua forma, in realtà era un luogo di culto. Durante il solstizio d’estate, i raggi del Sole nascente penetrano da una finestra e corrono paralleli a una linea tracciata nella roccia. Tempio del Condor. Deve il nome a una testa intagliata in una roccia che ricorda l'uccello andino. Casa della Tre Porte. Si pensò che fosse la residenza delle cosiddette “Vergini del Sole”, donne consacrate al culto religioso. DISEGNO DI ROBERT GIUSTI/ NGS. CONSULENTI TECNICI E ARCHEOLOGICI: K.R. WRIGHT E R.M. WRIGHT. DE WRIGHT WATER ENGINEER INC: A. VALENCIA. DEL DIPARTIMENTO DI ANTROPOLOGIA ARCHEOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ NAZIONALE DI SAN ANTONIO ABAD DI CUZCO: G.F. MCEWAN, WAGNER COLLEGE DI NEW YORK.


MACHU PICCHU FORSE ERA UNA RESIDENZA DELLA FAMIGLIA DEL RE PACHACÚTES

e difensive. Ma nel caso di Machu Picchu, la funzione difensiva pare secondaria, a giudicare dalla qualità della sua architettura religiosa. Nel 1993, gli archeologi Richard Burger e Lucy Salazar avanzarono l’ipotesi che Machu Picchu fosse la residenza reale temporanea della panaca di Pachacútec, vale a dire del gruppo composto dal sovrano stesso, da tutta la sua famiglia e dai suoi servitori. In questo luogo spettacolare, che distava circa una settimana di cammino da Cuzco, l’imperatore e la corte potevano godere delle bellezze paesaggistiche e del clima salutare del luogo. Per arrivarvi dalle fredde alture di Cuzco bisognava percorrere una strada cerimoniale costeggiata da complessi architettonici che competevano fra loro in maestosità.

Oggi, i turisti che giungono a Machu Picchu attraverso il cosiddetto “cammino inca” possono seguire le orme di Pachacútec per oltre 40 chilometri di antichi sentieri, ammirando la bellezza di Runkurakay, Sayacmarca e Phuyupatamarca, altri siti esplorati da Bingham e dai suoi collaboratori tra il 1912 e il 1915. Queste rovine archeologiche testimoniano la perizia costruttiva degli Incas e il loro ineguagliabile talento nel fondere armoniosamente elementi architettonici e paesaggistici. La spiegazione dell’ubicazione di Machu Picchu è legata al suo rapporto con le montagne circostanti, venerate dagli Incas: questa è l’interpretazione dell’antropologo Johan Reinhard, che ha definito il sito un autentico “centro sacro”. Innanzitutto, la città si trova su una cresta posta tra due monti chiaramente collegati sul piano simbolico e linguistico: il “picco vecchio” o Machu Picchu (2490 metri) e il “picco giovane” o Huyana Picchu (2667 metri). Entrambi fanno parte degli ultimi contrafforti del Nevado Salcantay che, con i suoi oltre 6000 metri di altezza, era una delle montagne più venerate 60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

HERVÉ HUGHES / GTRES

Un centro sacro


LA CITTÀ VISTA DALL’ ALTO Le rovine di Machu Picchu (letteralmente “picco vecchio”) come appaiono dalla sommità dell’Huayna Picchu (“picco giovane”), che con i suoi quasi 2700 metri di altezza svetta di fronte al sito inca.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CRONACA DI UNA GRANDE

HIRAM BINGHAM / NGS

LA SCOPERTA DI MACHU PICCHU ATTRASSE SUBITO L'INTERESSE DELLE GRANDI ISTITUZIONI

1911

ILGRANDE SOGNO DI HIRAM BINGHAM

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all’Università di Yale, si recò per la prima volta in Perú. Qui sviluppò una vera e propria ossessione per la città perduta di Vilcabamba, l’ultimo baluardo della resistenza inca contro i conquistadores spagnoli. L’esploratore, che desiderava ardentemente ritrovarla, scavò tra le rovine di Choquequirao, a sud-est di Cuzco, che secondo alcuni ricercatori doveva coincidere con l'antica Vilcabamba. Non trovò però indizi che confermassero questa ipotesi. Deciso a proseguire la ricerca, Bingham organizzò una nuova spedizione nel 1911. HIRAM BINGHAM DURANTE LA SUA SPEDIZIONE ARCHEOLOGICA IN PERÚ NEL 1911.

62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

H. BINGHAM / YALE PEABODY MUSEUM / NGS

EL 1909, HIRAM BINGHAM, figlio di missionari e laureato

HIRAM BINGHAM / NGS

DA CUZCO, Hiram Bingham raggiunse la cittadina di Aguas Calientes, ai piedi della montagna di Machu Picchu. Il suo gruppo si accampò vicino alla casa di Melchor Arteaga, un contadino che gestiva una taverna. Questi informò Bingham che poco lontano c’erano grandi rovine. Il 24 luglio, dopo aver attraversato il fiume Urubamba su precari ponti di legno e dopo più di un’ora di salita, Bingham contemplò per la prima volta le rovine di Machu Picchu.

UN INDIGENO DAVANTI AL COSIDDETTO PALAZZO DELLA PRINCIPESSA E IL TEMPIO DEL SOLE O TORRIONE.


SCOPERTA ARCHEOLOGICA SCIENTIFICHE, COME LA NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY E LA YALE UNIVERSITY

MACHU PICCHU IN UNA FOTOGRAFIA SCATTATA NEL 1911.

1912

1915

HIRAM BINGHAM tornò a Machu Picchu nel 1914 per esplorare le strade che giungevano al sito, e di nuovo nel 1915, anno in cui scoprì numerose tombe inca. Lo studio degli scheletri rinvenuti lo indusse a pensare che a Machu Picchu risiedessero le cosiddette “Vergini del Sole”, le sacerdotesse. Fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1956, Bingham continuò a credere erroneamente che Machu Picchu fosse la leggendaria città di Vilcabamba.

ELWOOD C. ERDIS, INGEGNERE ARCHEOLOGICO DELLA SECONDA SPEDIZIONE, NELLA SUA TENDA. 1912.

HASBROUCK / NGS

H. BINGHAM / YALE PEABODY MUSEUM / NGS

LA NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY e la Yale University finanziarono la seconda spedizione di Hiram Bingham a Machu Picchu. Per quattro mesi, la squadra di Bingham scavò nella città inca e la liberò da gran parte della vegetazione che la ricopriva. Se già al primo avvistamento lo studioso americano aveva creduto che Machu Picchu fosse la città di Vilcabamba, al termine di questa campagna di scavi ne fu ancora più convinto.

CRANI RINVENUTI IN VARIE TOMBE DI MACHU PICCHU DURANTE LA CAMPAGNA DI SCAVI DEL 1915. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BPK / SCALA, FIRENZE

ATAHUALPA E PIZARRO L’imperatore inca incontra il conquistador a Cajamarca, dove verrà fatto prigioniero. Stampa del XVI secolo di Theodor de Bry. Staatliche Museen, Berlino.

dagli Incas. Inoltre, la cresta su cui si trovano le rovine di Machu Picchu è quasi completamente circondata dal letto dell’Urubamba, il fiume sacro le cui acque discendono dal lontano Ausangate, il monte più importante e sacro nel cuore del territorio inca. Anche i ghiacciai di Pumasillo e Verónica, che si possono vedere dal settore cerimoniale di Machu Picchu, erano oggetto di culto.

Un centro di pellegrinaggio Nel periodo degli equinozi e dei solstizi, i sacerdoti inca si riunivano probabilmente nello scenario cerimoniale di Machu Picchu chiamato intihuatana (letteralmente, “posto dove si cattura il sole”). Qui tuttora si trova una pietra intagliata che doveva avere una funzione rituale e che per la sua conformazione viene oggi interpretata come un orologio o un osservatorio astronomico. Da lì, dal luogo più 64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sacro della città, i sacerdoti potevano osservare il sorgere e il tramontare del sole dalle colline di San Miguel e di San Gabriel. È trascorso più di un secolo dalla scoperta compiuta da Hiram Bingham. Al di là delle controversie accademiche sulla funzione originaria del sito, è indubbio che questo esploratore riuscì a trasmettere al mondo occidentale il fascino per quella magnifica eredità degli Incas che è Machu Picchu. Molti archeologi continuano a studiare questa antica città. Insieme a loro, ogni anno vi giungono sempre più viaggiatori, tra cui gli amanti del turismo mistico e della New Age, grazie ai quali il sito di Machu Picchu rinnova il proprio ruolo di luogo di pellegrinaggio e di iniziazione religiosa. In questo modo, in pieno XXI secolo, la città che rimase segreta nel cuore delle Ande ricomincia a svolgere il ruolo di centro sacro assegnatole ormai più di cinquecento anni fa.


JEAN-DANIEL SUDRES / GTRES

ADATTATA AI FORTI DISLIVELLI Alcune delle scalinate in pietra e delle terrazze che fungevano da muri di contenimento a Machu Picchu. Il sito è collocato su un terreno caratterizzato da forti dislivelli.


CORAZZA DI UN GUERRIERO PUNICO Nella pagina seguente, pettorale di un’armatura cartaginese. Il pezzo in bronzo è decorato con una testa femminile fornita di elmo e con motivi floreali. Museo del Bardo, Tunisi.

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

PROCESSIONE DI SACERDOTESSE In questo affresco di Cnosso, donne partecipano a un rituale sfilando al suono di strumenti musicali. 1700-1400 a.C. Museo Archeologico di Iraklio (Candia), Creta.


R. WOOD / CORBIS / CORDON PRESS

POPOLI DEL

MEDITERRANEO Cretesi, Fenici, Cartaginesi, Greci, Romani. Le grandi civiltà che si sono succedute per un millennio sulle coste del Mediterraneo hanno formato il mondo e la cultura occidentali, rappresentando ancora oggi un punto di riferimento ÓSCAR MARTÍNEZ SCRITTORE E DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA


I

l Mediterraneo è più misterioso e antico della più antica e misteriosa delle civiltà. Non è solo il punto d’incontro di tre continenti , ma è l’area che tutti e tre hanno in comune. La sua storia è segnata dal movimento di popoli, di culture, di leggende e di commerci, ed è stato scenario di avvenimenti che hanno inciso in modo determinante sulla storia dell’umanità. Anche se probabilmente fu nel XII millennio a.C. che gli uomini del Paleolitico superiore si avventurarono temerariamente a navigare sulle sue acque, l’archeologia può testimoniare solo che ciò avvenne cinque millenni più tardi. A ogni modo, fu durante il III millennio a.C. che il Mediterraneo smise di essere un abisso che separava le terre e divenne la strada che le univa. Da questo punto di vista è indicativo il fatto che i Greci, per indicare il mare, finirono per adottare la parola pontos, collegata per certi versi con il termine “ponte”, che derivano dalla stessa radice path, andare.

Tra il 3000 e il 2000 a.C. fiorì nell’estrema parte orientale del Mediterraneo una cultura radicata nelle isole Cicladi, così chiamate per la loro disposizione a forma di cerchio (kyklos, in greco). I loro abitanti non solo possedevano giacimenti di rame, ma conoscevano anche il segreto per lavorarlo: fondendolo con lo stagno che si procuravano nella zona interna dell’Anatolia e del Mar Nero, gli artigiani ottenevano il bronzo con cui fabbricavano recipienti e armi che garantivano prestigio e protezione ai loro proprietari. La scoperta del bronzo mise in moto una rete di contatti nella quale queste isole poterono approfittare della loro posizione centrale nel Mar Egeo per dar vita alla prima cultura mediterranea. Tuttavia, la prima civiltà del Mediterraneo sorse nell’isola di Creta. Ecco come ciò avvenne secondo un famoso mito: trasformatosi in toro, Zeus rapì una principessa fenicia di nome Europa e la portò fino a Creta per genera68 STORIACA NATIONAL GEOGRAPHIC

VIDLER / AGE FOTOSTOCK

Le prime culture


IL PALAZZO MINOICO DI CNOSSO Un rilievo policromo, che mostra un toro infuriato alla carica, decora l’ingresso nord del palazzo di Cnosso, a Creta, il centro palaziale più grande e potente dell’isola.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BPK / SCALA, FIRENZE

IL MITO DEL LABIRINTO DEL MINOTAURO NACQUE FORSE DALL’INTRICO DI STANZE DEL PALAZZO 1 Mura. Fino al XV

IL LABIRINTO DI MINOSSE SU UNA MONETA CRETESE. IV SECOLO A.C.

I nuovi padroni del mare Sebbene gli storici discutano del fatto che si possa parlare, a proposito di Creta, di un vero e proprio impero marittimo – la talassocrazia minoica –, il riconoscimento che i Cretesi ottennero da potenze dell’Età del Bronzo, come Egizi e Ittiti, lo lascia ben supporre. Lo storico Tucidide afferma che Minosse sottomise le isole dell’Egeo mediante un’armata. Inoltre, nel mondo greco era diffuso un antico mito secondo il quale Minosse aveva imposto un cruento tributo ai Greci, che periodicamente dovevano sacrificare quattordici fanciulle al Minotauro, il mostro con testa di toro e corpo d’uomo che abitava all’interno di un labirinto. Dato che il palazzo di Cnosso, scoperto dall’archeologo Arthur Evans nel 1900, presenta una complessa struttura formata da stanze comunicanti tra loro tramite tortuose scale e corridoi, si può pensare che dietro la leggenda esistano tracce di verità. Secondo quello stesso mito, la fine del tributo a Minosse si ebbe quando un eroe greco 70 STORIACA NATIONAL GEOGRAPHIC

2 Porta dei Leoni. Posta tra i due lati delle mura, è sormontata da due leoni in rilievo, unico esempio di scultura monumentale micenea.

3 Circolo A. Conteneva sei fosse con tombe reali del XVI secolo a.C. Qui Schliemann trovò la maschera che attribuì ad Agamennone. MALTINGS PARTNERSHIP / DK IMAGES

re con lei il leggendario re Minosse. La civiltà minoica – come la battezzarono gli archeologi dal nome del sovrano – si caratterizzava per i suoi monumentali complessi palaziali e per il suo notevole sviluppo culturale: intorno al 1900 a.C. possedeva una sofisticata scrittura e una raffinata arte. In questo periodo, i Cretesi strinsero rapporti con gli Egizi, che, concentrati com’erano sul Nilo, avevano posto le transazioni marittime nelle mani degli isolani di Keftiu, come viene chiamata Creta nelle fonti egizie. Testi e rappresentazioni artistiche egizie raccontano che le genti del Nilo ottenevano attraverso i Cretesi metalli, legna e pietre preziose, e non bisogna scartare la possibilità che si servissero di loro come marinai quando dovevano solcare il Mediterraneo.

secolo a.C. circondavano esclusivamente il palazzo; nel XIII secolo a.C. raggiunsero il loro perimetro definitivo.

4 La grande rampa. Questa via reale era affiancata da muri e conduceva all’acropoli, dove si trovava il palazzo reale.

chiamato Teseo sconfisse il Minotauro, un episodio che potrebbe trovare il suo riflesso storico nel fatto che Creta alla fine cadde nelle mani di una nuova potenza che aveva preso forma nella Grecia continentale. Di fatto, intorno al 1700 a.C. sorse quella che viene considerata la prima civiltà greca, quella micenea, così chiamata per uno dei suoi principali centri, la cittadella di Micene. Il suo potere era andato crescendo all’ombra di Creta: basta osservare i motivi pittorici che adornavano i suoi palazzi per percepire l’influsso che lo stile di vita minoico aveva esercitato su di essa. Tuttavia, fu principalmente l’assimilazione del sistema organizzativo cretese che permise ai Micenei di soppiantare i loro vicini come principale potenza politica e commerciale del Mar Egeo. Non si sa fino a che punto si imposero con le armi sui loro “mentori” cretesi o se sempli-

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MICENE, LA FORTEZZA DEI RE GUERRIERI Patria del mitico Agamennone, Micene si ergeva sulla cima di una collina di 300 metri di altezza, posizione che le permetteva di dominare la pianura circostante e di controllare le rotte verso nord. Da qui, i re governavano i loro territori e programmavano le conquiste.

5 Case e templi. In questa area della cittadella si ergevano granai, botteghe, archivi e case private. Ci sono anche vari santuari.

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6 Propilei. Ingresso principale al palazzo, situato a nordest. Conducevano a un grande cortile dove si trovava il corpo principale dell’edificio. 7 Grande megaron. Nucleo sociale del palazzo. Al centro bruciava un fuoco circondato da 4 colonne; un’apertura permetteva l’uscita del fumo.

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8 Cisterna. Questa cisterna, che venne costruita vicino a una fontana sotterranea, assicurava la fornitura di acqua alla cittadella in caso di assedio. 9 Porta nord. Nella parte settentrionale delle mura si apre questa porta d’accesso alla città, simile alla Porta dei Leoni, ma più piccola.

LA CITTÀ DISTRUTTA Frammento di un affresco proveniente da Akrotiri, la città principale di Thera, che venne distrutta dalla terribile eruzione vulcanica. nel 1600 a.C. circa. Museo Archeologico Nazionale, Atene.

INTORNO AL 1600 A.C. il vulcano di Thera (attuale Santorini) eruttò. Il fenomeno, che comportò una violenta esplosione, un terremoto e l’espulsione di materiali vulcanici, devastò l’isola che era già stata colpita da precedenti eruzioni. L’evento forse ispirò la leggenda di Atlantide. Creta, poco più di 100 chilometri a sud, fu colpita dagli tsunami e dai depositi di materiali vulcanici. Si persero raccolti, bestiame e navi. Sebbene risulti che i palazzi, costruiti per reggere i sismi, siano rimasti in piedi, dovettero esserci molte vittime.

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LA GRANDE ESPLOSIONE

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LA GUERRA DI TROIA DESCRITTA DA OMERO COSTITUISCE UN ENIGMA PER L’ARCHEOLOGIA MENELAO ED ETTORE LOTTANO PER IL CORPO DI EUFORBO. PIATTO. VII SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

cemente approfittarono della catastrofe naturale più grave dell’antichità: l’eruzione dell’isola vulcanica di Thera (oggi Santorini) nel XV secolo a.C., origine di un devastante maremoto che accelerò la rovina di Creta. Senza addentrarci nell’ipotesi che questa sciagura sia il nucleo del mito di Atlantide – un continente distrutto dalle divinità a causa della superbia dei suoi abitanti, eccellenti marinai –, è il caso di dire che il collasso materiale e spirituale che dovettero allora affrontare i Cretesi aprì le porte dei loro palazzi ai Micenei, che si impossessarono delle loro reti commerciali, divenendo la presenza più significativa nell’Egeo fino al XIII secolo a.C. Anche se i Micenei ampliarono il loro campo d’azione rivolgendo l’attenzione a occidente, il centro del loro interesse era nei porti di Levante come Biblo e Ugarit, punto d’incontro tra Micenei, Ittiti ed Egizi. Presto si sarebbe visto che la zona costituiva anche una fonte di conflitti: nel primo quarto del XIII secolo a.C., le forze del faraone Ramses II si scontrarono a Qadesh con quelle del re ittita. La battaglia tra i due colossi, conclusa con un accordo di pace, fu il primo sintomo del fatto che l’universo mediterraneo stesse per esplodere.

Pirati e razziatori Senza dubbio, l’episodio più emblematico della fine dell’Età del Bronzo è la distruzione di Troia, regno situato nel punto chiave delle relazioni tra il mondo ittita e quello miceneo. L’esistenza di una guerra di Troia nei termini descritti da Omero nell’Iliade costituisce ancora oggi un enigma per l’archeologia. Ciononostante, esistono documenti degli Ittiti che testimoniano tensioni, a proposito di Troia, tra i loro re e il sovrano degli ahhiyawa, cioè gli akhaioi (“achei”), che è il termine utilizzato da Omero per indicare i Greci. Gli studi archeologici condotti nell’area rivelano che intorno al 1200 a.C. Troia fu conquistata con il sangue e con il fuoco. Tuttavia la 72 STORIACA NATIONAL GEOGRAPHIC

sua caduta fu all’incirca contemporanea anche a quella dei presunti assalitori micenei. Nello stesso periodo il regno di Ugarit (sulla costa dell’attuale Siria) scriveva agli Ittiti chiedendo protezione contro minacce che giungevano dal mare, senza sapere che Hattusa, la capitale dell’impero, era prossima a essere distrutta. Effettivamente, nel passaggio dal XIII al XII secolo a.C. tutto il Vicino Oriente fu scosso da una forza distruttiva. Per conoscerne l’origine occorre andare a Tebe, la capitale del Nuovo Regno egizio. Lì, sulle pareti del mausoleo di Ramses III, si esibiva la vittoria del faraone su “alcuni popoli del nord che cospiravano nelle loro isole” e contro i quali “nessuna regione poteva resistere”: quelli che l’archeologia ha chiamato “Popoli del mare”. Oggi non si pensa che si trattasse di orde conquistatrici, bensì di gruppi di popolazioni soggette a pressioni impossibili da determinare con precisione, come carestie o catastrofi naturali. Alcuni erano forse di origine greca: il nome di ekwesh, uno dei Popoli del mare, assomiglia molto a quello degli akhaioi omerici. Coloro che prima erano i dominatori del mare agivano dunque ora come pirati. Con il mondo miceneo e ittita distrutti, solo l’Egitto mantenne il suo aspetto di civiltà. La violenta fine dell’Età del Bronzo è stata definita come il peggior episodio della storia antica: la vita nel Mediterraneo doveva essere reinventata. Passarono almeno due secoli perché nei porti del Levante, primo tra tutti quello di Tiro, si tornasse a percepire un soffio di energia sul mare. Lì abitavano alcuni mercanti che i Greci chiamarono Fenici, per la preziosa tinta purpurea di cui detenevano il monopolio (phoinix significa “porpora”). I Fenici, la grande popolazione del Mediterraneo che compare nell’Odissea, vengono descritti come eccellenti commercianti, anche se poco affidabili. Certo erano molto audaci, come è rivelato dal fatto che, intorno al IX secolo a.C., navigarono fino a Gadir (Cadice),


J.XXXXXXXXF D. DALLET / AGE FOTOSTOCK

IL TEMPIO DI MEDINET HABU Sulle pareti di questo tempio funerario eretto in onore di Ramses III si trova un rilievo che commemora la vittoria del faraone contro i cosiddetti “Popoli del mare”.


LA PIRATERIA, UNA PIAGA MILLENARIA

L

A LETTERATURA E LA MITOLOGIA ri-

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flettono la costante presenza della pirateria nel Mediterraneo antico. Per esempio, una leggenda racconta che il dio Dioniso, dopo essere caduto in balia dei pirati tirrenici (Etruschi), fece zampillare del vino sulla nave e fece ubriacare i suoi carcerieri; successivamente fece apparire un orso e i suoi terrorizzati sequestratori si gettarono in mare trasformandosi in delfini. Secondo alcune fonti, lo stesso Giulio Cesare fu rapito in gioventù dai temibili pirati cilici. Nonostante il rispetto con cui lo trattarono, il giovane Cesare mantenne poi la promessa di tornare a crocifiggerli. Fino al 66 a.C. i Cilici tennero Roma in scacco, colpendo continuamente i suoi interessi nel Mediterraneo orientale, e solo quando Pompeo Magno divise il Mediterraneo in tredici distretti e spazzò via i pirati dalle sue acque la pirateria scomparve definitivamente.

DIONISO SU UNA NAVE. COPPA ATTICA A FIGURE NERE PROVENIENTE DALLA BOTTEGA DEL PITTORE EXEKIAS, VI SECOLO A.C.

ART ARCHIVE

CIONDOLO FENICIO I Fenici dominarono i commerci nel Mediterraneo ed esportarono oggetti di lusso, come questa maschera di pasta di vetro. III secolo a.C. Museo di Cartagine, Tunisi.

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all’estremità opposta del Mediterraneo. Lì si trovava Tartesso, un regno semileggendario nel bacino del Guadalquivir, in cui si estraevano favolosi tesori di rame, oro e argento. Fu nell’814 a.C., che i Fenici di Tiro fondarono nel Nord Africa la loro Nuova Città: Qart Hadasht, o Cartagine. Secondo la leggenda, una principessa di Tiro di nome Elisa (che più tardi Virgilio nell’Eneide chiamò Didone) dovette fuggire da Tiro con il suo seguito, trovando rifugio nel Nord Africa. Lì le offrirono di occupare tanta terra quanta potesse ricoprirne una pelle di toro. Astutamente, ella tagliò la pelle in striscioline sottili, riuscendo ad abbracciare il perimetro di quella che poi sarebbe diventata Cartagine. Si racconta anche che per evitare di sposare un principe nordafricano si gettò su una pira, simulando un sacrificio di fondazione in onore del dio Melqart. Seguendo la scia delle navi fenicie, i Greci ri-

presero il mare che quattro secoli prima era stato loro. Le neonate poleis, le Città-Stato greche, stabilirono un fruttuoso rapporto con i Fenici. Questi non solo diedero loro le chiavi del commercio e della navigazione, ma anche un’altra risorsa non meno importante: l’alfabeto. Con la caduta dei regni micenei in Grecia, si era persa l’arte della scrittura, ma i Greci compresero presto che i segni scritti dei Fenici potevano rivelarsi molto utili; grazie all’alfabeto, i Greci avrebbero posto le basi della letteratura occidentale. Inoltre, quando intorno al 750 a.C. essi stabilirono i loro primi insediamenti nella Magna Grecia, l’alfabeto finì anche nelle mani dei Romani, il giovane popolo insediatosi sui sette colli che era destinato a dominare il mondo. La scarsità di terre e gli scontri sociali tra il popolo e gli aristocratici privati del loro potere minacciavano la stabilità della Grecia, spin-


S. MELTZOFF / NGS

gendo le città a organizzare spedizioni che avrebbero loro garantito un futuro lontano dalla patria. Fu l’inizio del grande processo colonizzatore greco nel Mediterraneo. Non è un caso che all’epoca fosse comparsa l’Odissea, il poema con il quale i Greci impareranno a muoversi attraverso l’universo che si apriva di fronte a loro. Dall’VIII al VI secolo a.C., in successive ondate, essi fondarono numerose città che andavano dalla Penisola iberica fino al Mar Nero. I collegamenti delle colonie con le metropoli furono affettivi, non politici, e molte colonie, come Siracusa, arrivarono a eclissare il potere della loro città madre.

Tempo di guerre Intorno al V secolo a.C. il Mediterraneo parlava con accento greco, ma a est come a ovest si intravvedevano due minacciose presenze. In Oriente, i Persiani o Medi, dopo aver con-

quistato l’Anatolia e il Levante, intrapresero la conquista della Grecia, senza accettare il mare come frontiera naturale. Le Guerre persiane, una serie di scontri che durarono per più di dieci anni, si conclusero con la battaglia navale di Salamina (480 a.C.) nella quale gli Ateniesi sconfissero i Persiani grazie alla loro capacità strategica e al loro valore militare. La città di Atene rinsaldò allora la sua gloria sulla base di un potente impero navale che quasi ottant’anni più tardi si estinse come conseguenza della sua sconfitta contro Sparta nella Guerra del Peloponneso. L’altra minaccia giunse da Occidente: nello stesso anno nel quale si metteva un freno alle ambizioni dei Persiani sul territorio greco, e forse proprio in accordo con i Persiani, un’armata cartaginese tentò l’invasione su vasta scala delle città greche di Sicilia. L’invasione fallì e si racconta che il capo pu-

NUOVE TECNICHE NAVALI ROMANE I Romani inventarono un nuovo metodo di abbordaggio mediante una passerella chiamata corvus (“corvo”) che si abbatteva sulla nave nemica, come mostra l’illustrazione riprodotta qui sopra.

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messo la sua flotta al suo servizio. Ma la tentazione siciliana era troppo forte per Roma. Con il pretesto di temere di essere circondati a livello territoriale, i Romani scatenarono nel 264 a.C. una delle ostilità belliche più famose del mondo antico: le Guerre puniche. Si trattò di tre conflitti nei quali l’esercito romano si spinse per la prima volta fuori dalla Penisola – in Sicilia, in Spagna e nel Nord Africa –, sconfiggendo la marina cartaginese nel suo stesso elemento. Il motto di Catone il censore Carthago delenda est divenne realtà nel 146 a.C., quando la città fu conquistata e rasa al suolo dalle legioni.

NURIA PUENTES

La favolosa Alessandria

LA STRADA DELLE FACCIATE A PETRA Costellata di tombe decorate con belle facciate monumentali, questa via concentra le sepolture costruite dai ricchi mercanti e commercianti della città nabatea di Petra.

76 STORIACA NATIONAL GEOGRAPHIC

nico Amilcare Magone si gettò nelle fiamme in cui bruciavano i suoi uomini. Settant’anni dopo uno dei suoi discendenti tornò per sacrificare 3000 prigionieri greci nel luogo in cui era morto Magone, cosa che mostra la ferocia con la quale la Sicilia fu contesa nel corso di due secoli. Il risultato fu un teso equilibrio territoriale: il settore orientale dell’isola rimase sotto il controllo dei Greci siracusani, e quello occidentale in mani cartaginesi. Ma un protagonista inatteso si sarebbe fatto vivo nel teatro delle operazioni del Mediterraneo: Roma, che da decenni dominava l’Italia. Nel III secolo a.C. l’atteggiamento di Roma verso il mare era quanto meno timoroso. La supremazia di Cartagine e il rispetto delle rispettive zone d’influenza avevano trasformato i Romani e i Cartaginesi in alleati; non a caso, il dominio di Roma in Italia si doveva al fatto che in alcune occasioni Cartagine aveva

Il vero asse del mondo, tuttavia, si trovava nel Mediterraneo orientale, dove splendeva di luce propria la città di Alessandria. L’affascinante capitale dell’Egitto tolemaico era il gioiello di tutte le numerose Alessandrie fondate da Alessandro Magno nella sua folgorante carriera da conquistatore. Nel 323 a.C., quando il Macedone morì e il suo impero fu diviso in tre monarchie ellenistiche, l’Egitto rimase nelle mani del suo generale Tolomeo, che spinse il Paese del Nilo a dirigere i propri interessi verso il Mediterraneo. Da Alessandria giungevano al mondo preziosi tessuti, piante aromatiche e spezie che arrivavano da oltre l’India lungo una rotta che la univa con Petra, la capitale dei Nabatei, una città di pietra rosa che fungeva da passaggio tra l’universo del Mar Mediterraneo e quello aperto da Alessandro. Alessandria era il centro commerciale e culturale del Mediterraneo: il suo Faro era una delle Sette Meraviglie del mondo antico, e nel Museo e nella Biblioteca si conservava tutto il sapere dell’epoca. Ma quando intorno al 200 a.C. sul suo trono salì un re bambino, Tolomeo V, le altre monarchie ellenistiche si ribellarono contro di lui. Per evitare la formazione di un blocco di potere in Oriente, Roma intervenne velocemente e nonostante gli sforzi di Cleopatra riuscì a sottomettere quest’area, creando il nuovo ordine del mondo. Nel I secolo a.C. quel mondo gravitava intorno a un mare che nel corso di poche generazioni i Romani avevano guadagnato il diritto di considerare loro: un mare “in mezzo alla terra”, il cosiddetto Mare Nostrum.


Via del Soma. Perpendicolare alla via Canopica, questa via portava al mausoleo di Alessandro.

Porto del Buon Ritorno. Si usava ancorarvi la flotta da guerra.

Il Grande Porto. Qui potevano attraccare le barche che arrivavano in città.

ACQUARELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © EDITIONS ERRANCE

Via Canopica. Era la via principale di Alessandria e scorreva parallelamente alla costa.

Timonio. Dopo la sconfitta ad Azio, Marco Antonio si ritirò su questo isolotto.

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LESSANDRIA sorse come una città

moderna, con un impianto urbanistico nuovo, secondo uno schema planimetrico ispirato a quello attribuito a Ippodamo di Mileto (V secolo a.C.): i grandi viali si incrociavano al centro e le strade si allungavano in parallelo, in isolati che formavano una scacchiera, nella quale spiccavano i grandi monumenti: il quartiere reale, con il

Museo e la Biblioteca, il grande ginnasio, il tempio di Alessandro, detto Soma (“corpo”, “tomba”) perché vi era la sepoltura del Macedone. Al di là delle mura rimanevano l’ippodromo e i quartieri nuovi. IL FARO DI ALESSANDRIA SU UNA MONETA ROMANA CONIATA AI TEMPI DI COMMODO. II SECOLO D.C. IL FARO ERA UN’ESPRESSIONE DELLA VOCAZIONE MARITTIMA DELLA CITTÀ.

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LA CITTÀ DELLE MERAVIGLIE


I TEMPLI TEBANI Due statue colossali di Ramses II, faraone della XIX dinastia, fiancheggiano l’ingresso del tempio di Luxor, a Tebe. Nel Nuovo Regno i faraoni ampliarono i templi tebani con splendidi monumenti e santuari.

JOHANNA HUBER / FOTOTECA 9X12

IL FARAONE AHMOSE I Fondatore della XVIII dinastia, riunificò l’Egitto sconfiggendo gli Hyksos e trasferì la capitale a Tebe. Sul pettorale della pagina a fianco, il faraone compare tra gli dei Ra e Amon. Museo Egizio, Il Cairo.


CORBIS / CORDON PRESS

LA CITTÀ SACRA DI AMON

TEBE Quando i sovrani di Tebe espulsero gli invasori hyksos dall’Egitto e fondarono il Nuovo Regno, la loro città divenne la capitale politica e spirituale del Paese. Vi abitavano i faraoni, il clero consacrato al culto del dio Amon, i funzionari reali e gli artigiani BÁRBARA RAMÍREZ GARCÍA STORICA, MEMBRO DELLA SOCIETÀ CATALANA DI EGITTOLOGIA


C

irca 600 chilometri a sud del Cairo, dove oggi si innalzano i moderni palazzi di Luxor, quattromila anni fa sorgeva una città potente e meravigliosa, una metropoli che rappresentava il cuore religioso e politico dell’antico Egitto. Fondata sulla riva orientale del Nilo, era nota agli antichi come Waset, ma è passata alla storia con il nome che le diedero i Greci: Tebe. Nell’Iliade, Omero celebra lo splendore di questa grande città, che definisce “Tebe egizia dalle cento porte”.

Tebe fu fondata in un luogo strategico, prossimo sia alla bassa Nubia (che comprendeva l’area nilota dell’Egitto meridionale) sia al deserto orientale, percorso da importanti piste commerciali e dalle vie che conducevano alle miniere d’oro nubiane. Ma la funzione economica della città era secondaria rispetto al suo ruolo religioso. Tebe, in effetti, era divisa in due parti: a est del Nilo c’era la città vera e propria, con i palazzi, le case, l’area sacra; a ovest, lungo la riva sinistra del fiume, sorgeva la necropoli, lo spazio consacrato al culto dei defunti di origine regale. Negli attuali siti di Sheikh Abd el-Qurna e di El-Tarif, nuclei centrali di quest’area funebre, vi erano almeno 36 templi, allineati da est a ovest e usati per secoli come luogo di sepoltura dei faraoni e dei loro dignitari. Poco lontano sorgevano le necropoli della Valle dei Re e della Valle delle Regine, affiancate dalle tombe del villaggio operaio di Deir el-Medina. La nostra conoscenza di Tebe è condizionata dal fatto che sulle sue rovine è sorto il moderno abitato di Luxor. L’originaria struttura urbanistica della città ci è quindi ignota, tranne per quel che riguarda l’area sacra, composta dai complessi templari di Luxor e di Karnak. È certo comunque che Tebe era una grande capitale già all’epoca del Primo periodo intermedio (2173-2040 a.C.), quando l’Egitto era 80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

NICO TONDINI / CORBIS / CORDON PRESS

L’antica Waset


IL SANTUARIO DI KARNAK All’epoca del Nuovo Regno, il Grande tempio di Amon, a Karnak (Tebe), era uno dei più vasti complessi sacri egizi, caratterizzato dalle possenti colonne della sala ipostila.

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divina tebana), fu promosso a suprema divinità egizia dai sovrani originari della città che unificarono il Paese durante il Medio Regno (2040-1786 a.C.). L’importanza acquisita da Amon trovò riscontro nell’adozione del suo nome da parte di molti faraoni della XII dinastia, tra cui Amenemhat II. Tebe acquisì così la condizione di città sacra, sede di alcune tra le più importanti festività religiose dell’intero Egitto. A quest’epoca appartengono resti di abitazioni da cui si deduce che la città aveva pianta ortogonale ed era circondata da mura. Durante il Secondo periodo intermedio (17861552 a.C.), l’Egitto fu invaso dagli Hyksos, popolazione di origine semitica che si stanziò lungo il delta del Nilo. Per più di un secolo il Paese restò diviso: da un lato gli Hyksos (XV dinastia), che governavano buona parte dell’Egitto dalla loro capitale Avaris; dall’altro i sovrani del sud, eredi della XIII dinastia, che si arroccarono attorno alla città di Tebe, dove fondarono le dinastie XVI e XVII.

AGE FOTOSTOCK

La cacciata degli Hyksos

IL FASCINO DEL PASSATO Karnak stupì i primi visitatori europei con le sue rovine. Sopra, litografia dall’opera Denkmaeler aus Aegypten und Aethiopien, di Karl. R. Lepsius. XIX secolo.

diviso tra due dinastie: quella di Heracleopolis Magna al nord (dinastie IX e X) e quella, appunto, di Tebe al sud (dinastia XI). Di questa antica stirpe tebana, tuttavia, sappiamo poco o nulla: l’unica testimonianza indiscutibile della sua potenza è costituita dal tempio funerario del faraone Mentuhotep II, che sorge sulla riva occidentale del Nilo, proprio di fronte all’odierna Luxor.

Amon, il dio supremo L’avvento del Medio Regno significò per Tebe la perdita della sua centralità politica, dato che la capitale fu spostata verso nord, a Iti-Tauy, città situata in un luogo sconosciuto tra Fayyum e Menfi. In compenso, Tebe conquistò un ruolo preminente in campo religioso. Amon “il misterioso”, che fino ad allora era stato un dio locale venerato insieme alla sposa Mut e al figlio Khonsu (con i quali formava la triade 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Su quest’poca di crisi le informazioni sono frammentarie come non mai. Pare tuttavia che i faraoni del sud si ergessero a tutori della tradizione egizia, contro il potere straniero rappresentato dagli Hyksos. Verso la fine del Secondo periodo intermedio, Tebe iniziò una nuova fase di espansione, ampliando la propria influenza fino oltre la moderna Asiut, circa 350 chilometri a sud del Cairo. La successiva espulsione degli Hyksos, sconfitti dopo lunghe battaglie e assedi dal faraone Ahmose I, permise ai sovrani di Tebe di riunificare il Paese sotto un’unica corona: la XVIII dinastia (1552-1305 a.C.). L’Egitto visse allora uno dei suoi momenti di maggior splendore, e così Tebe. Anche se agli inizi del Nuovo Regno la corte del faraone e gli apparati amministrativi furono trasferiti a Menfi, più vicina al delta del Nilo, Tebe riguadagnò il rango di capitale spirituale del Paese, nei cui templi si celebravano i riti legati al culto della monarchia divina. A quest’epoca si datano i grandi progetti costruttivi relativi ai complessi templari di Luxor e Karnak, che furono edificati soprattutto durante i regni della regina Hatshepsut, di Amenhotep III e, più tardi, dei sovrani della XIX dinastia. Durante la XVIII dinastia, il vecchio abitato


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MEKETRA E I SUOI ASSISTENTI CENSISCONO IL BESTIAME, MODELLINO FUNEBRE IN LEGNO, XI DINASTIA. MUSEO DEL CAIRO.

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ELLA TOMBA DEL CANCELLIERE MEKETRA, funzionario tebano vissuto all’epoca della XI dinastia, sono stati ritrovati alcuni modellini di legno che hanno incuriosito gli storici: raffigurano i lavori svolti dagli abitanti della capitale, piccole scene di vita rappresentate in modo così vivido da non sembrare risalenti a quattro millenni fa. L’interesse storico di questi pezzi unici è evidente: offrono preziose informazioni sulla vita quotidiana dei Tebani nel Medio Regno, dettagli da confrontare con analoghe raffigurazioni che ornano, come affreschi, le pareti delle tombe. Lo stesso Meketra compare nei modellini, ritratto mentre naviga sul Nilo o in veste di cancelliere, mentre censisce le mandrie di bestiame inviate come tributo.

LE IMBARCAZIONI NILOTICHE Questo modellino di legno, ritrovato nella tomba del cancelliere Meketra, a Sheikh Abd el-Qurna, raffigura una tipica imbarcazione fluviale egizia e il suo equipaggio. Museo Egizio, Il Cairo.

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SCENE DI VITA INTAGLIATE NEL LEGNO


SPONDA OCCIDENTALE

A Menfi (700 km)

RECINTO DI AMON

I laghi sacri dei templi

Dinnanzi ai templi vi erano piccoli laghi artificiali alimentati dal Nilo: ognuno di essi aveva un pontile per la userhat, la barca sacra di Amon, usata a scopo cerimoniale.

TEMPIO DI KHONSU

UNA CITTÀ DIVISA DALNILO

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URANTE IL NUOVO REGNO (1552-

1078 a.C.), attorno al tempio del dio Giza Saqqara Menfi Amon si sviluppò un centro urbano Meidum popoloso, chiamato in lingua egizia Waset, o Niut, “la Città”; i Greci lo ribattezzaroAkhetaton (Tell el-Amarna) no Tebe. In realtà, Waset era composta da due aree distinte, separate dal fiume Nilo. A ovest si Abydos trovavano le tombe reali e i templi funerari dei TEBE faraoni, mentre sulla sponda orientale i sovrani Valle dei Re eressero sontuosi palazzi, oltre a due grandi recinti sacri posti in corrispondenza degli attuali siti di Karnak e Luxor. Un ampio viale punteggiato da centinaia di sfingi di pietra collegava tra loro questi due complessi templari. In occasione delle principali ricorrenze religiose, come la Festa di Opet o la Bella Festa della Valle, il faraone e i sacerdoti conducevano in processione lungo questo cammino devozionale le statue della triade divina tebana, assise sulle loro imbarcazioni sacre. Attorno ai templi e al viale crebbero nel tempo quartieri residenziali, commerciali e artigianali: tutte realtà delle quali oggi non è rimasta traccia. Oltre il limite urbano si estendevano i campi coltivati. ■

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I quartieri residenziali

L’area abitativa di Tebe era costruita al riparo dalle piene del Nilo. È probabile che fosse cresciuta in modo spontaneo, senza particolari pianificazioni.

O S S R O

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(Hieracómpolis)

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Una via sull’acqua

Per Assuan (229 km)

Il Nilo, che percorre l’intero Egitto da nord a sud, fu la grande via di comunicazione del Paese. Veniva associato ad Hapi, dio della fertilità e dell’abbondanza.


SPONDA ORIENTALE

RECINTO DI MENTU

Le inondazioni del Nilo

RECINTO DI MUT

Ogni anno, a luglio, durante la stagione di akhet, i campi coltivati attorno alla città erano sommersi dalle piene del Nilo. Era un periodo di grandi feste religiose.

Il viale delle Sfingi

ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL DE L’ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

Largo 27 metri e lungo due chilometri, questo cammino sacro tra i templi di Luxor e Karnak era fiancheggiato da centinaia di sfingi con testa di ariete.

CORTILE DI RAMSES II COLONNATO DI AMENHOTEP III CORTILE DI AMENHOTEP III

Il santuario di Luxor

In questo tempio consacrato ad Amon, si svolgeva ogni anno a settembre la Bella Festa di Opet, che durava 11 giorni ed era officiata dal faraone e dai grandi sacerdoti. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GLI EGIZI USAVANO LA PIETRA QUASI SOLO PER COSTRUIRE I TEMPLI E LE TOMBE REALI

di Tebe fu raso al suolo e la popolazione venne trasferita in una nuova zona residenziale. Il terreno su cui sorgeva la precedente città fu spianato e si provvide a creare una piattaforma rialzata da usare come basamento per nuove costruzioni monumentali. Questa politica di radicale ristrutturazione urbanistica, unita alla successiva sovrapposizione di Luxor, ha reso praticamente impossibile individuare il tracciato urbano della Tebe faraonica. Per di più, nell’antico Egitto le case comuni venivano edificate con materiali estremamente deperibili come il legno e l’adobe (un impasto di argilla, sabbia e paglia). Alla pietra si ricorreva solo per la costruzione di templi e necropoli, edifici sacri che dovevano sfidare il tempo e sopravvivere per l’eternità.

Malgrado la carenza di indizi archeologici, si ritiene che nel Nuovo Regno Tebe si sviluppasse attorno al viale che collegava i templi di Karnak, a nord della città, e di Luxor. Entrambi i santuari erano delimitati da un recinto sacro che li isolava dal resto dell’abitato, e attorno a loro sorgevano i palazzi amministrativi, i magazzini e le abitazioni della nobiltà. I due complessi templari ospitavano ogni anno una delle cerimonie religiose più importanti dell’intero Egitto: la Bella Festa di Opet. Durante il suo svolgimento, l’intera città si radunava nelle strade per assistere alla solenne processione con cui le statue della triade divina tebana venivano portate dal tempio di Karnak fino a quello di Luxor. Lì il dio Amon era condotto al cospetto del suo omologo di Luxor, in una cerimonia di rigenerazione che sanciva la natura divina del faraone (preposto al rito) e la sacralità del suo potere regale. Al di fuori dei recinti sacri si sviluppava la città vera e propria, circondata dai campi coltivati e protetta da una cinta muraria. Il centro urbano doveva avere un aspetto piut86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BERTRAND RIEGER / GTRES

Una città monumentale

LE TOMBE DI ABD EL-QURNA In questa necropoli, situata vicino alla Valle dei Re, molti funzionari della XVIII dinastia si fecero costruire magnifiche tombe, decorate con formule magiche e affreschi ispirati al Libro dei morti.


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NEL VII SECOLO A.C. I RE ASSIRI SACCHEGGIARONO TEBE, CHE NON SI RIPRESE PIÙ DAI DANNI SUBITI BRACCIALETTO DELLA REGINA AHHOTEP, MADRE DEL FARAONE AHMOSI I, FONDATORE DELLA XVIII DINASTIA.

tosto caotico, con strade strette nelle quali si circolava a fatica. Lì si concentravano le botteghe di Tebe, città ricca di artigiani: vasai, falegnami, scultori, gioiellieri. Sulle rive del Nilo sorgeva il porto fluviale, in cui attraccavano ogni giorno decine di imbarcazioni cariche di merci e alimenti. Molti di questi beni finivano poi sulle bancarelle del mercato, dove gli abitanti di Tebe erano soliti acquistare i beni di prima necessità.

Case di un’unica stanza I ceti meno abbienti, che costituivano la base della società egizia, abitavano in case composte da un’unica stanza, con le pareti di argilla e paglia. Tra gli occupanti di queste povere capanne c’erano non solo i contadini, che in genere vivevano lontano dai campi, ma anche i pescatori e gli artigiani meno qualificati. In quanto città sacra, Tebe ospitava un gran numero di sacerdoti. Quando non erano in servizio, gli appartenenti al basso clero risiedevano al di fuori dei recinti templari, in case più o meno grandi a seconda del rango. Nei periodi di servizio potevano invece restare all’interno del recinto sacro, occupando le dimore loro riservate (come dimostrano i resti archeologici rinvenuti a Karnak). La stessa cosa accadeva ai funzionari pubblici, distinti in base al loro incarico: potevano prestare servizio nel palazzo o nell’harem reale, essere alle dipendenze del visir (la massima autorità egizia dopo il faraone), presiedere all’amministrazione della giustizia o del tesoro. Per la maggior parte vivevano, come il basso clero, in quartieri umili. Le loro case avevano dimensioni modeste: in genere erano composte da un salone, una camera da letto, una cucina e un terrazzo. A questi ambienti, talvolta, si aggiungeva anche un giardino interno. I nobili, l’alto clero e gli alti funzionari vivevano invece nei quartieri ricchi di Tebe, oppure ai margini della città, in ampie dimore 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

circondate da tenute che potevano superare l’ettaro di superficie. Le proprietà erano protette da spesse mura e dominate da una grande villa padronale composta da decine di stanze raccolte intorno a uno spazioso cortile. Tutt’attorno erano distribuiti gli edifici secondari e di servizio: i magazzini, le stalle, le cucine, gli alloggi per la servitù. Nelle abitazioni signorili non mancavano mai un giardino ricco di palme e sicomori e un laghetto, usato per l’irrigazione degli orti, ma anche a scopo di svago, per navigarvi in barca.

L’inizio del declino Nell’antico Egitto, i palazzi reali sorgevano al di fuori del nucleo urbano. Il solo Amenhotep III fece costruire la sua nuova residenza sulla sponda occidentale del Nilo, nella zona consacrata ai templi funerari. La spiegazione più plausibile di questa scelta insolita (la sponda occidentale del Nilo era consacrata alla morte) è che il faraone voleva tenersi lontano dai sacerdoti del dio Amon, il cui potere si stava facendo ingombrante. I resti dell’edificio, grande quasi quanto una città, mostrano le stanze personali del re, l’harem, le sale delle udienze e del trono, alcune aree con giardini. Nei dintorni sorgevano botteghe e uffici amministrativi, oltre a un tempio dedicato ad Amon. A partire dalla XIX dinastia, Tebe perse progressivamente di importanza. Durante la XXI dinastia, la capitale fu spostata a Tanis, sul delta ed i faraoni non vennero più sepolti nella necropoli tebana. Agli inizi del VII secolo a.C., la città fu saccheggiata dai re assiri: uno di questi, Asarhaddon (sul trono dal 681 al 669 a.C.), compì una spedizione talmente distruttiva che Tebe non riuscì più a riprendersi. Ma l’antica magnificenza della città non andò completamente perduta: a testimoniarla sopravvissero i templi di Luxor e Karnak, che ancora oggi ricordano l’epoca in cui Tebe era la capitale politica e spirituale dell’Egitto.


MAURITIUS IMAGES / AGE FOTOSTOCK

SFINGI CRIOCEFALE Una serie di sfingi criocefale (con corpo di leone e testa di ariete) ornavano il Grande Cortile Porticato di Karnak, utilizzato dai sacerdoti come deposito delle barche sacre al divino Amon.


IL CAVALLO DI TROIA Questa è la prima rappresentazione nota del cavallo di legno con il suo mortale carico. Vaso del VII secolo a.C. Museo Archeologico di Mikonos.

JAMES L. STANFIELD / NGS

IL PIATTO DI ACHILLE Piatto d’argento che riporta scene della vita di Achille. Opera di autore greco ignoto del IV secolo d.C. Römermuseum, Augst (Svizzera).


AKG / ALBUM

MITO E REALTÀ DELLA CITTÀ OMERICA

TROIA Le vicende della guerra di Troia e la distruzione della città, descritte nell’Iliade, continuano a essere sospese tra la storia e la leggenda. Ma alcuni aspetti, specie quelli relativi al cavallo di legno, trovano qualche conferma, anche se meno romantica OSCAR MARTINEZ SCRITTORE E DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA


A

AKG / ALBUM

lla fine del XIX secolo, l’archeologo e imprenditore tedesco Heinrich Schliemann dissotterrò sulla collina di Hissarlik, sulla costa nordoccidentale dell’Anatolia, le rovine di un’antica città che immediatamente identificò con Troia o Ilio, ossia con lo scenario nel quale si svolse la guerra raccontata da Omero nell’Iliade.

DA PRINCIPESSE A SCHIAVE Secondo il mito, le donne troiane furono prese dai Greci come schiave. Cammeo del XVIII secolo con Andromaca, vedova di Ettore, catturata dal greco Neottolemo. 92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Come poi appurarono i suoi successori negli scavi, ciò che realmente celava la collina di Hissarlik non era una sola, bensì nove città di Troia, una sopra l’altra. Gli archeologi individuarono in Troia VI (1700-1250 a.C.) la migliore candidata a essere la città omerica. La sua strategica posizione all’ingresso dello Stretto dei Dardanelli, nell’orbita del potente Impero ittita – padrone dell’Asia Minore –, le dava il controllo totale sul traffico marittimo; agli occhi dei Greci micenei, potenza rivale e vicina, mettere fine a questo dominio era un buon motivo per andare in guerra. Buono come il rapimento della bella Elena, sposa del re spartano Menelao, da parte del principe troiano Paride, fatto che, secondo il mito, scatenò il conflitto: i Greci marciarono su Troia per vendicare l’affronto subito. Che gli abitanti di Troia fossero coscienti di una minaccia incombente lo dimostra il fatto che la città fosse protetta da mura e da fossati disegnati specificamente per bloccare gli attacchi dei carri da guerra, l’arma di distruzione caratteristica dell’epoca. Questa minaccia dovette concretizzarsi intorno al 1250 a.C., poiché gli strati archeologici che corrispondono a questa data presentano segni evidenti di una città in stato di emergenza, di un assalto armato e di una distruzione in seguito a un incendio. Ciò che però l’archeologia non è riuscita a determinare è l’identità dei suoi assalitori e nemmeno se la distruzione di Troia fu dovuta a una battaglia epica o a una suc-

cessione di assalti sporadici. A questo punto, dove l’archeologia tace, dobbiamo volgere lo sguardo ai poemi omerici che ci parlano del geniale stratagemma di un cavallo di legno e della notte funesta in cui l’inespugnabile città di Troia cadde, avvolta dalle fiamme. Paradossalmente, sebbene l’oscuro presagio della sua fine ricorra in tutto il poema, l’Iliade non narra la distruzione di Troia e, da parte sua, l’Odissea ci racconta la fine della guerra solo come un fatto avvenuto. I poemi omerici si limitavano a raccontare due episodi del ciclo mitico di Troia – quello dell’ira di Achille e quello dell’avventuroso ritorno di Odisseo (o Ulisse) a Itaca –, mentre gli altri episodi che completano la leggenda circolarono in opere conservate solo in forma frammentaria, come la Iliupersis o Caduta di Troia, che narrava dettagliatamente gli ultimi momenti della città. Per questo motivo, gli episodi chiave degli ultimi giorni di Troia ci sono arrivati attraverso poemi composti secoli dopo, come l’Eneide o le Postomeriche di Quinto Smirneo (III-IV secolo), che iniziavano proprio nel punto in cui Omero concludeva l’Iliade: i funerali di Ettore, erede del re troiano Priamo, morto per mano di Achille.

Gli ultimi giorni di Troia Dopo la morte di Ettore, la città era destinata alla rovina. I Troiani però speravano ancora di poter vincere grazie all’arrivo di truppe ausiliarie in grado di affrontare i Greci. I primi rinforzi a giungere furono le Amazzoni della regina Pentesilea, che non poterono fare nulla contro l’impeto di Achille. Nondimeno, la tradizione ci ha trasmesso un famoso episodio


JAMES L. STANFIELD / GETTY IMAGES

GLI STRATI DELL’ANTICA TROIA Rovine della città, che nella sua storia subì numerose distruzioni. Venne sempre ricostruita e fu abitata senza interruzione fino all’epoca romana.


LO SCENARIO DI UNA GUERRA LEGGENDARIA

Penisola di Gallipoli 2

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A. DE LUCA / CORBIS / CORDON PRESS

LA MORTE DI LAOCOONTE Il sacerdote troiano e i suoi figli lottano contro i serpenti inviati come castigo per la loro opposizione all’ingresso del cavallo. I secolo d.C. Museo Pio Clementino, Roma.

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CARTOGRAFIA: EOSGIS

ELL’EPOCA nella quale si ritiene ebbe luogo la guerra di Troia – intorno al 1200 a.C. –, i Greci si distinsero per le loro scorrerie piratesche. Le spedizioni di saccheggio coinvolsero tutto l’Egeo, fino a Creta e all’Asia Minore. Così, non è strano che Troia sia diventata uno degli obiettivi, che sia vera o meno la storia del rapimento di Elena. Troia occupava una posizione strategica, vicino a una baia che nell’Età del Bronzo serviva da rifugio alle barche che risalivano lo stretto dei Dardanelli. Lì, o forse nella baia di Besik, nell’Egeo, sbarcò la flotta degli invasori; i Greci probabilmente posizionarono il loro accampamento nelle vicinanze. Da quel punto attaccarono le città anatoliche alleate di Troia, tra le quali Tebe Ipoplacia e Lirnesso. La guerra con Troia consistette in una serie di scontri nella pianura davanti alla città. Le truppe greche erano probabilmente insufficienti per organizzare un efficace assedio di Troia, che tra l’altro era difesa da mura inespugnabili. La vittoria poté arrivare, secondo la leggenda, solo grazie a uno stratagemma.

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Sesto

legato a questo incontro: quando Achille e la regina si trovarono uno di fronte all’altra, combatterono in un duello che si concluse con la morte di Pentesilea per mano dell’eroe greco. Quest’ultimo si innamorò perdutamente della regina amazzone nel momento stesso in cui la trapassava con la sua lancia. Ai Troiani rimaneva ancora l’aiuto delle truppe etiopi, gli uomini dalla “pelle bruciata”. Erano giunti da un punto non bene determinato dell’Africa, la terra degli Etiopi, che veniva menzionata da Omero come un luogo lontano sulle sponde del fiume Oceano (forse identificabile con il Nilo), ipoteticamente la Nubia, un luogo che aveva sempre fornito mercenari ai faraoni egizi. Sotto il comando di Memnone, gli Etiopi costituivano l’ultimo ostacolo che si frapponeva tra Achille e le porte di Ilio.

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Pedaso

Capo Lectum

I due guerrieri, Achille e Memnone, presero posizione per dirimere la battaglia in un combattimento a due. Dopo che ebbero entrambi schivato la lancia avversaria, si diede inizio a un serrato scontro con la spada, finché Achille trovò un’apertura tra le lamine metalliche della corazza del suo rivale e lo uccise. Sembrava che la vittoria fosse inesorabilmente nelle mani di Achille, ma mentre l’eroe greco combatteva, il principe troiano Paride, rapitore di Elena e quindi causa della guerra, si era appostato dietro i parapetti che blindavano le porte della città e tendeva il suo arco per scoccare la freccia al momento opportuno. Così, quando Achille, dopo aver ucciso Memnone, era ormai pronto a conquistare la città, un dardo guidato dal dio Apollo fu scoccato dall’arco del principe troiano e si conficcò nel tallone del capo dei Mirmidoni. Dopo dieci anni di duro combattimento, era

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1 Sbarco. Dopo essersi lasciata alle

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spalle la costa della città di Aulide, vicino al golfo di Eubea, la flotta greca si dirige verso Troia attraverso le isole di Lemno e Imbro, sbarcando a sud del capo Sigeo.

ASIA MENOR

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2 Alleati di Troia. I Troiani possono contare sull’appoggio di numerose città dell’area come Sesto, Abido, Arisbe e Percote, su entrambe le sponde dell’Ellesponto (Dardanelli), guidate da Asio dalla città di Arisbe.

3 Pianura di Troia. I Greci stabiliscono un accampamento sulla spiaggia e, per nove anni, i due eserciti si affrontano sulla pianura situata di fronte alla città, senza che i Greci riescano a conquistare Troia.

4 Saccheggi di Achille. I Greci assaltano MONTE IDA

SSbarco sulla costa

le città vicine a Troia per prenderne il bottino. Achille conquista e saccheggia Lirnesso, da cui porterà via prigioniera Briseide, figlia di Brise, uno dei sacerdoti di Apollo.

SSpedizione di saccheggio di Achille Assalto finale a Troia A

5 Il cavallo. Ulisse costruisce un cavallo

POSSIBILI ROTTE DEGLI ACHEI

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Accampamento greco Città alleate di Troia Città saccheggiate dai Greci Pedaso

di legno nel quale si nascondono i guerrieri greci, mentre la flotta greca si dirige a Tenedo. Quando i Troiani introducono il cavallo in città, la flotta torna e i Greci conquistano Troia.

Possibili ubicazioni

caduto il migliore dei Greci e le mura di Troia coronavano ancora intatte lo Stretto dei Dardanelli. I Greci, colpiti dalla morte del loro eroe e scoraggiati, accettarono la sconfitta. Il re Agamennone ordinò il ritorno.

L’arma segreta dei Greci L’astuzia di Ulisse cambiò tuttavia il corso degli eventi. Prendendo la direzione delle operazioni, ordì lo stratagemma militare più celebre della storia: i Greci avrebbero costruito un grande cavallo di legno al cui interno si sarebbe nascosta una manciata di guerrieri; una volta dentro le mura, questi avrebbero aperto le porte di Troia al resto dell’esercito, che nel frattempo sarebbe rimasto nascosto sulla vicina isola di Tenedo. Si trattava di un’azione che non ammetteva il minimo margine d’errore e che si doveva realizzare al primo tentativo. Ricevuto l’ordine, i

Greci raccolsero in fretta tutta la legna che riuscirono a trovare per costruire il gigantesco cavallo; poi, al riparo della notte, lo trascinarono fino al luogo in cui fino a quel momento c’era stato il loro accampamento e lo lasciarono lì. Tutti, a eccezione di Sinone, si imbarcarono sulle navi e partirono. Quando, la mattina successiva, la guardia troiana guardò all’orizzonte, vide solo tende distrutte, ossa di animali e fuochi spenti, ma nessuna traccia degli assedianti. Sembrava che i Greci avessero desistito e che, dopo aver tolto l’assedio, avessero abbandonato Troia lasciandosi alle spalle un misterioso cavallo di legno. Quando il re Priamo lo seppe, ordinò di aprire le porte della città. Per la prima volta in dieci anni, gli abitanti di Troia corsero sulla spiaggia senza timore delle lance nemiche, e lì, tra i resti dell’accampamento deserto, contemplarono attoniti la singolare offerta. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Baia di Besik, oggi coperta dai sedimenti del fiume Scamandro.

TROIA PRIMA DELLA GUERRA

Le mura che circondavano la città bassa, localizzate nel 1988.

La città bassa: qui si trovavano negozi, case e laboratori

1868

1870

1873

HEINRICH SCHLIEMANN. FOTOGRAFIA DELLO SCOPRITORE DI TROIA E MICENE, PUBBLICATA IN UN LIBRO SUI SUOI SCAVI (1891).

ANFORE RINVENUTE DURANTE GLI SCAVI AL LIVELLO “TROIA II”. FOTOGRAFIA DEL 1875, ANNO DEL RITROVAMENTO.

SOFIA, MOGLIE DI SCHLIEMANN, POSA CON ALCUNI GIOIELLI DEL COSIDDETTO “TESORO DI PRIAMO”. FOTOGRAFIA DEL 1873.

96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

CONVINTO CHE la Troia omerica si trovi nello strato inferiore della collina, Schliemann distrugge i livelli superiori. Arriva allo strato noto come Troia II, dove rinviene anfore e i resti di un imponente edificio, che identifica con il palazzo di Priamo. Alla fine di maggio scopre il cosiddetto “Tesoro di Priamo”, formato da oggetti preziosi e semipreziosi, che fa uscire segretamente dalla Turchia.

GTRES

DOPO DUE ANNI in cui non può dedicarsi completamente alla ricerca di Troia, Schliemann torna a Hissarlik e inizia a scavare, pur non avendo ancora ricevuto l’autorizzazione dalle autorità ottomane. Porta alla luce alcuni muri di pietra. Quando arriva il permesso, nel 1871, Schliemann assume 120 operai e intensifica gli scavi: trova varie città di Troia, disposte su diversi livelli.

AKG / ALBUM

ERICH LESSING / ALBUM

SCHLIEMANN arriva in Turchia, Iliade alla mano, con l’intento di scoprire Troia. Allora si credeva che i possibili siti della città fossero due, distanti pochi chilometri l’uno dall’altro: il villaggio di Bunarbashi e la collina di Hissarlik. Seguendo il consiglio del console britannico Frank Calvert, Schliemann opta per la seconda opzione, che gli sembra più corrispondente alla descrizione omerica.


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ACQUARELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

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RICOSTRUZIONE DI TROIA REALIZZATA SULLA BASE DEGLI SCAVI DI MANFRED KORFMANN, CHE INCLUDONO L’ACROPOLI E LA CITTÀ BASSA.

CARTOGRAFIA: EOSGIS

ITACA

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La posizione privilegiata della leggendaria Troia, vicino allo Stretto dei Dardanelli (nell’attuale Turchia), ne fece una città fiorente per i commerci e quindi un obiettivo appetibile per chi ambiva alla sua ricchezza. Distrutta intorno al 1200 a.C. e divenuta una leggenda grazie ai poemi di Omero, il suo studio ha focalizzato l’attenzione degli archeologi da quando, nel 1868, Heinrich Schliemann la localizzò sulla collina di Hissarlik.

L’ingresso allo stretto dei Dardanelli, controllato dai Troiani.

La collina di Hissarlik, dove si ergevano il palazzo reale e i templi.

1932

L’UNIVERSITÀ di Cincinnati manda a Troia l’architetto americano Carl Blegen, che dirige gli scavi fino al 1938. Blegen studia dettagliatamente la stratigrafia e giunge alla conclusione che la città corrispondente al livello di Troia VI fu distrutta da un terremoto e non da un incendio. Nel livello successivo, Troia VII, trova resti un incendio devastante e identifica con questo strato la Ilio dei testi omerici.

L’ARCHEOLOGO tedesco Manfred Korfmann conduce i primi scavi con metodi scientifici moderni e scopre il decimo strato della città. A capo di un’équipe internazionale, vi scava fino alla morte, nel 2005. Il ritrovamento di una grande città extramuraria al livello di Troia VI, che aumenta di molto le dimensioni dell’area scavata, lo induce a ricollocare la Troia omerica a questo livello.

LA SQUADRA DI SCAVATORI DI DÖRPFELD POSA SULLE ROVINE DI TROIA DURANTE LA CAMPAGNA DI SCAVO DEGLI ANNI 1893-1894.

ROVINE DEL TEATRO ROMANO NEL 1915, QUANDO GLI SCAVI FURONO INTERROTTI PER LA PRIMA GUERRA MONDIALE.

PORTA EST, CIRCONDATA DALLE MURA DI TROIA VI, IDENTIFICATA DA DÖRPFELD E DA KORFMANN CON LA CITTÀ CANTATA DA OMERO.

1988

ART ARCHIVE

BPK / SCALA

SCHLIEMANN, che con gli anni è diventato più abile e attento nel lavoro di scavo, sceglie come socio Wilhem Dörpfeld, un giovane archeologo che utilizza metodi più scientifici. Dopo la morte di Schliemann, nel 1890, Dörpfeld prosegue gli scavi a Hissarlik e definisce i livelli di Troia fino al nono. Stabilisce inoltre che Troia VI, e non Troia II (precedente al 2000 a.C.), è la città cantata da Omero.

ART ARCHIVE

1882

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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DEA / ALBUM

L’INGRESSO DEL CAVALLO IN CITTÀ In questa sella di fattura tedesca del XVI secolo è rappresentato il momento in cui i Troiani introducono in città il cavallo e il suo carico mortale. Pinacoteca Ambrosiana, Milano.

Fu allora che lo stratagemma di Ulisse entrò nella sua seconda fase. In quel momento, Sinone si presentò davanti ai Troiani assicurando che aveva disertato per non finire vittima di un sacrificio. Interrogato lì su due piedi, riferì ai nemici che il cavallo era un’offerta alle divinità che i Greci avevano costruito per ottenere un buon ritorno. Aggiunse che, secondo le parole di Calcante, l’indovino dei Greci, chi avesse posseduto la monumentale statua non avrebbe mai subito una sconfitta.

Il favore degli dei Bisognosi di notizie di speranza dopo dieci anni di guerra, i Troiani decisero di portare il cavallo dentro la città; per trasferirlo, fu necessario distruggere parte delle mura. Solo il sacerdote di Apollo, Laocoonte, sospettò un inganno e si oppose fermamente al trasporto del cavallo all’interno delle mura. Vista 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

l’inutilità delle sue proteste, gettò con rabbia la sua lancia contro di esso, ma a quel punto giunsero dal mare due serpenti che strangolarono lui e i suoi figli. I Troiani interpretarono così il fatto: il sacerdote aveva compiuto un sacrilegio e Poseidone, il dio del mare, lo aveva voluto punire. E così, attraverso una breccia aperta nelle mura, introdussero il dono in città. Il piano fu sul punto di fallire, quando, a un certo punto, Elena, anch’ella diffidente, imitò davanti al cavallo la voce delle spose dei guerrieri greci. L’astuto Ulisse però intuì l’inganno e trattenne i suoi compagni dallo scoprirsi. Anche la volontà degli dei si mise dalla sua parte quando la principessa Cassandra – condannata da Apollo a profetizzare il futuro senza essere mai creduta – gridò invano che si trattava di un’imboscata e che la città sarebbe stata conquistata quella stessa notte.


ARALDO DE LUCA / CORBIS / CORDON PRESS

ELENA, REGINA DI SPARTA Elena era la moglie di Menelao, re di Sparta e fratello di Agamennone, re di Micene. Secondo il mito, il suo rapimento da parte di Paride, cui ella acconsentĂŹ, fece scoppiare la guerra. Scultura in marmo di Antonio Canova. 1811. Ermitage, San Pietroburgo.


LA VENDETTA DI ACHILLE Nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli è conservato il cosiddetto “Vaso di Patroclo”, del IV secolo a.C. La sua decorazione mostra la reazione di Achille alla morte dell’amico Patroclo per mano del troiano Ettore. Nell’Iliade, l’eroe esclama: “Rallegrati, o Patroclo, anche se sei nell’Ade! Ho portato trascinandolo il cadavere di Ettore, che darò ai cani perché lo divorino crudelmente; e sgozzerò davanti alla tua pira dodici figli di Troiani illustri”. 1 INTRODUZIONE:

2 NESTORE E FENICE,

3 GLI DEI PROTETTORI

4 SACRIFICI UMANI

5 LA PIRA FUNERARIA

6 IL RE AGAMENNONE ONORA

7 ACHILLE SI VENDICA

8 GLI DEI PROTEGGONO

EDIPO E LA SFINGE Sul collo di questo cratere compare il personaggio di Edipo, coperto con una clamide e provvisto di bastone e faretra. Al suo fianco si trova la Sfinge, e a sinistra di questa vediamo una Furia.

DEGLI ACHEI Intorno agli anziani compaiono vari dei, come Atena (rappresentata con lo scudo) e Hermes (riconoscibile per il caduceo). All’altro lato della kliné si trovano due guerrieri e forse Teti, madre di Achille.

DI PATROCLO Come era consuetudine, i Greci hanno eretto una grande pira funeraria per bruciarvi il cadavere del giovane Patroclo. Su di essa hanno posto le armi del defunto: l’elmo, la corazza, lo scudo e gli schinieri.

SU ETTORE Automedonte, il cocchiere del carro da guerra di Achille, trascina il cadavere di Ettore, legato per i piedi alla quadriga, fino all’accampamento greco. L’artista ha messo in evidenza le ferite sul corpo di Ettore.

LA VOCE DELL’ESPERIENZA I due saggi anziani Nestore e Fenice discutono su una kliné all’ombra di una tenda. Entrambi erano andati a Troia come consiglieri: Nestore, del re Menelao di Sparta; Fenice, dell’eroe Achille.

IN ONORE DELL’AMICO Achille si dispone a sacrificare un prigioniero troiano di fronte alla pira di Patroclo. Altri tre, con le mani legate, aspettano il loro turno. L’Iliade racconta che Achille arrivò a sacrificare fino a dodici nemici catturati.

IL GUERRIERO CADUTO Agamennone, re di Micene e capo dei Greci, compie una libagione rituale vicino alla pira funeraria di Patroclo. Dietro c’è una donna con diadema, forse Clitemnestra, sposa di Agamennone, e dietro di lei un’ancella.

IL CORPO DELLO SCONFITTO Dando compimento alla sua minaccia, Achille ha lasciato alle intemperie il corpo di Ettore perché sia divorato dai cani. Ma Zeus interviene, e due donne proteggono il cadavere fino all’arrivo del padre, il re Priamo.


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SCALA, FIRENZE

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ART ARCHIVE

L’ANZIANO RE PRIAMO SUBÌ LO STESSO CRUDELE DESTINO DI TUTTI I DIFENSORI DI TROIA MASCHERA RITROVATA A MICENE DA SCHLIEMANN, CHE LA ATTRIBUÌ AL RE AGAMENNONE, XVI SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, ATENE.

Così, con l’ingannevole offerta all’interno delle mura, i Troiani festeggiarono sotto le stelle la loro falsa vittoria. Quando alla fine si addormentarono, i Greci uscirono dal cavallo e, occupati i posti di guardia, aprirono le porte di Troia al resto dell’esercito. Quella notte Ilio fu presa a ferro e fuoco, e i Troiani subirono un crudele destino. Il vecchio re Priamo, con indosso la sua armatura, venne massacrato insieme al resto dei difensori. Le donne furono prese come schiave e assegnate ai migliori guerrieri greci. Solo il troiano Enea riuscì a sfuggire alla morte e a scappare verso un futuro pieno di speranza: con l’anziano padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio per mano, lasciò dietro di sé la città incendiata e si diresse verso le coste italiane per fondare una nuova Troia, quella che successivamente sarebbe stata Roma. La sorte dei diretti responsabili della guerra non poté essere più diversa. Paride, rotolandosi tra terribili dolori a causa del veleno di una freccia, si recò dal suo antico amore, la ninfa Enone, che aveva abbandonato per Elena, per supplicarla di dargli l’antidoto che solo lei possedeva, ma questa glielo negò. Elena, invece, uscì indenne dal conflitto: quando vide Menelao, il suo antico sposo, che si lanciava con la spada su di lei per vendicare il proprio onore uccidendola, fuggì e nel correre rimase discinta: la vista del suo bellissimo corpo indusse subito Menelao alla riconciliazione.

Il più grande enigma di Troia Molti sono i personaggi che raccontano questo affascinante mito, ma il grande protagonista della notte in cui Troia venne conquistata è un attore silenzioso. Si è cercato di spiegare la figura del cavallo come la trasposizione poetica delle barche sulle quali i Greci giunsero sulle spiagge di Ilio. Si è anche pensato che la città fu presa grazie al fatto che un traditore avrebbe disegnato su 102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

una porta un cavallo per segnalare al nemico la via di accesso. Secondo alcuni studiosi, si potrebbe trattare della rappresentazione figurata di un terremoto dato che il dio Poseidone, “Colui che scuote la Terra”, aveva il cavallo come animale sacro. A queste ipotesi si è aggiunta negli ultimi tempi la teoria che dietro l’enigma si celi una macchina d’assedio come quella che si vede in un bassorilievo assiro del palazzo nordoccidentale di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) nella sua capitale, Nimrud. È certo che questa testimonianza del “cavallo assiro” è molto posteriore alla data in cui Troia VI venne distrutta, ma esistono prove documentali negli archivi di Hattusa, la capitale dell’Impero ittita, che indicano che realizzazioni di questo tipo erano in uso già nel XVIII secolo a.C. Questa macchina d’assedio consisteva in un palo di cinque metri di lunghezza, che finiva a punta, manovrato da guerrieri che si proteggevano dal nemico grazie a una struttura di legno larga fino a otto metri e alta due. Sotto di essa i guerrieri cercavano di abbattere le mura nemiche, indebolendo le giunture dei blocchi di pietra che le componevano. Ciò che è realmente interessante è che, a causa del suo aspetto zoomorfo, nei documenti ittiti questo marchingegno appare con nomi di animali come “asino selvaggio” o “bestia a un solo corno”. In definitiva, la storia del cavallo di Troia può essere trasposta nella realtà identificandolo con uno strumento di assedio dall’aspetto equino fornito di uno spazio per proteggere i guerrieri che lo trasportavano. Quale che sia la verità, ancora oggi, tremila anni dopo che il vecchio mito trovasse nei versi di Omero la sua massima espressione artistica, la maggiore sfida dell’archeologia continua a essere quella di stabilire quale sia l’autentica storia di Troia e degli uomini disposti a difendere fino all’ultimo respiro la propria città, ormai in preda alle fiamme.


JAMES STANFIELD / NGS

LA PORTA DEI LEONI Situata a ovest, questa porta monumentale dava accesso alla città di Micene, la capitale di Agamennone. Dietro la porta si trova il circolo tombale A, scavato da Schliemann, dove questi trovò la maschera che attribuì al re Agamennone.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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“IL TESORO DEL FARAONE” (Khazneh al-Faroun) è il primo edificio che appare se si accede a Petra dall’angusto passaggio del Siq. La facciata è alta 40 metri ed è interamente scolpita nella pietra.


LA CITTÀ SCOLPITA NELLA ROCCIA\

PETRA

Nel II secolo a.C. sorse nell’Arabia del nord un ricco e potente regno, quello dei Nabatei, che resistette per molto tempo alla conquista greca e romana. La sua capitale, a lungo caduta nell’oblio, è una delle meraviglie del mondo JUAN PABLO SÁNCHEZ

NURIA PUENTES

PROFESSORE DI FILOLOGIA CLASSICA


RITTERBACH / FOTOTECA 9 X 12

IL “MONASTERO” (el-Deir), eretto nel I secolo a.C., è il maggiore edificio della città di Petra. La sua facciata misura 48 metri di altezza. Si ritiene che sia un tempio dedicato al culto del re dei Nabatei Obodas I.

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el 1812 l’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt, che da anni viaggiava per il Vicino Oriente, decise di andare alla ricerca di alcune vestigia straordinarie di cui aveva sentito parlare durante un suo viaggio da Damasco in Egitto. Vestito da umile beduino e con il pretesto di voler fare un sacrificio al profeta Haroun (l’Aronne biblico), si fece portare sulle montagne di Wadi Musa, la “valle di Mosè”. Dopo aver percorso un lungo tragitto attraverso una stretta gola tra le montagne (il Siq), gli si parò davanti uno spettacolo inatteso: la facciata di un monumentale tempio greco scavato nella roccia. Vicino, semisepolti dalla sabbia, si scorgevano altri monumenti: una strada affiancata da colonne, un teatro, un santuario.

Burckhardt era arrivato a Petra: una città lontana dal mondo e dalla storia, ma testimone di uno splendido passato. Il viaggio di Burckhardt diede vita a un mito che assunse, per mano di viaggiatori e artisti successivi, le tinte tipiche dell’orientalismo del XIX secolo.

La città dei nomadi La scarsità di fonti scritte ha reso piuttosto difficile la ricostruzione della storia degli abitanti di Petra. Oggi, grazie all’archeologia, sappiamo che i primi insediamenti stabili, risalenti al I millennio a.C., sono quelli degli Edomiti, un popolo a lungo rivale del regno di Israele. Il luogo fu poi abbandonato fino al VI secolo a.C., quando una popolazione di origine araba, i Nabatei, occupò la regione che prima era appartenuta agli Edomiti trasformando Petra in centro di incontro delle sue tribù.


Privi di un chiaro disegno politico e territoriale, erano rigorosamente nomadi, al punto da condannare a morte chi si opponeva a questo stile di vita. Si nutrivano di erbe selvatiche, della carne e del latte delle loro pecore. Raccoglievano l’acqua in cisterne scavate nella sabbia, impermeabilizzate con stucco e accuratamente nascoste perché non potessero essere individuate. La profonda conoscenza del territorio permise loro di sopravvivere. Ma come fu possibile che questo popolo nomade dallo stile di vita così semplice desse vita a un regno che si estendeva dal Sinai alla Giordania, al sud della Siria e al nordest dell’Arabia Saudita? Ciò avvenne grazie al controllo esercitato dai Nabatei sul commercio con l’Oriente, controllo che li rese ricchi. Commerciavano in

GIOVANE CON UNA MASCHERA del dio Pan o di un satiro. La scultura in calcare, ritrovata a Petra, testimonia l’influenza dell’arte ellenistica nella città nabatea. I secolo d.C. Museo Archeologico di Amman.

E. LESSING / ALBUM

Le prime testimonianze storiche sui Nabatei risalgono alla fine del IV secolo a.C. nel contesto delle lotte tra i successori di Alessandro Magno in Oriente. La Siria-Palestina era una zona strategica ambita sia dai re tolemaici egizi sia dai Seleucidi dell’Asia Minore. Fu per questo che nel 312 a.C. Antigono I Monoftalmo, re dell’Anatolia centrale, organizzò una spedizione contro i Nabatei per il controllo di tale territorio. Ma sia Ateneo, suo luogotenente, sia suo figlio Demetrio Poliorcete fallirono. Diodoro Siculo narra che i Nabatei si rifugiarono nella “rocca” priva di mura difensive, ma con una sola via di accesso. Questa descrizione coincide con la morfologia di Petra e con il suo stretto passaggio di entrata, il Siq. Antigono dovette firmare la pace. Diodoro Siculo ci offre in questa descrizione storica la prima testimonianza sui Nabatei.


NEL 63 A.C. PETRA RESISTETTE CON SUCCESSO ALL’ATTACCO DELLE LEGIONI DI POMPEO MAGNO

SCALA, FIRENZE

MERCANTI E CAROVANA CON CAMMELLI SU UNA STELE PROVENIENTE DA PETRA. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

prodotti di lusso come incenso, mirra e spezie che importavano dall’Arabia Felix (oggi Yemen) fino al Mediterraneo. In queste rotte commerciali, Petra costituiva lo snodo principale e la tappa di tutte le vie carovaniere; per il passaggio, i Nabatei facevano pagare ingenti somme di denaro sotto forma di tasse doganali. Durante il periodo ellenistico, il regno mantenne una certa indipendenza dagli Stati vicini. Una dura lotta fu intrapresa contro i Tolomei per il controllo delle rotte del Mediterraneo e del Mar Rosso. I pirati nabatei attaccavano le navi egizie provocando la risposta del re di Alessandria. Per appianare le controversie, i due Stati richiesero probabilmente l’intervento di una mediazione straniera: questo spiegherebbe la presenza a Petra e ad Alessandria nel 129 a.C. dell’ambasciatore della città ionica di Priene, Moschion. Il costante contatto con l’Egitto portò nel frattempo i Nabatei di Petra a imitare l’architettura ellenistica e a introdurre il culto di Iside.

Dall’indipendenza alla sottomissione Neanche i Seleucidi riuscirono ad arrestare l’ascesa dei Nabatei. La campagna intrapresa contro di loro da Antioco XII nell’88-87 a.C. fu una disfatta e lo stesso Antioco morì nella battaglia di Cana. Il vincitore Obodas I, che morì poco dopo, fu sepolto nella nuova città nabatea di Obod (Avdat), venerato come il vero fondatore della dinastia del regno di Petra. Aretas III, il suo successore, espanse ulteriormente il territorio a danno dei Seleucidi. A mano a mano che il regno seleucide si indeboliva, si rinforzavano sia il potere del regno nabateo sia l’indipendenza dei loro vicini, gli Ebrei. La proibizione di alcuni rituali da parte dei Seleucidi provocò una rivolta capeggiata dai Maccabei (168-167 a.C.). I Nabatei, sotto la guida di Aretas I, appoggiarono i rivoltosi. Tuttavia di lì a poco i due popoli finirono con lo scontrarsi per il controllo dei territori limitrofi e i Nabatei furono coinvolti nei conflitti 108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

degli Asmonei, la dinastia fondata dai Maccabei che regnò in Giudea fino al 37 a.C. I Nabatei, che avevano retto le pressioni dell’Egitto e dei Seleucidi, non poterono resistere all’espansione di Roma. Con l’annessione del regno di Pergamo (Asia Minore) nel 133 a.C., i Romani estesero le loro mire espansionistiche al Vicino Oriente e nel 64 a.C. Pompeo Magno si recò in Siria per spodestare Antioco XIII ed eliminare il regno seleucide. Pompeo, risoluto a porre fine ai conflitti tra Asmonei e Nabatei, dopo aver conquistato Gerusalemme intraprese una campagna contro il regno arabo. Mise a capo dell’operazione il suo luogotenente Marco Emilio Scauro, che nel 58 a.C. tornò a Roma dove fece coniare una moneta con l’immagine del re Aretas III genuflesso. In realtà Scauro, come era già successo ad Antigono I Monoftalmo, non riuscì a sconfiggere i Nabatei, trincerati nell’inespugnabile Petra, e trattò dunque la pace accettando dal re Aretas un versamento di 300 talenti per togliere l’assedio a Petra, che da allora divenne un regno vassallo di Roma. Il legame tra Petra e Roma è poi dimostrato dal fatto che il re nabateo Malco I aiutò prima Cesare nella guerra alessandrina e più tardi Marco Antonio in occasione della battaglia di Azio. In seguito, quando il regno era nelle mani di Obodas III, l’imperatore Augusto appoggiò il tentativo del primo ministro Sileo di impadronirsi del potere. Quando Obodas III morì senza discendenti, Sileo però si trovava a Roma e fu un altro membro della casa reale ad assumere il potere: Aretas IV.

Capitale del lusso e della ricchezza Con Aretas IV (9 a.C.-40 d.C.) il regno nabateo conobbe il suo periodo di massimo splendore. L’immagine della vita a Petra che ci offre Strabone nella sua Geografia (I secolo d.C.) risale esattamente a questo periodo. In essa abbondano particolari sulla ricchezza della regione, la magnificenza degli edifici,


Siria

Palmira (Tadmor)

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Berytus (Beirut)

Damasco

1 LA STRADA DEL NORD. Attraversava varie Dessert De sert se r o si siri r an ri ano o città della Decapoli, come Gerasa, per collegare Petra

a Palmira. Quest’ultima a partire dal I secolo d.C. prese il posto di Petra come intermediaria tra Roma e l’Oriente.

Mar Mediterraneo Gerusalemme Alessandria

Giordano

Samaria

Bosra

Gerasa (Jerash)

3 LA TRAVERSATA DEL DESERTO. Attraversando la penisola araba, una strada estenuante collegava Petra a Hegra, da dove si divideva in tre: verso il Mar Rosso, verso lo Yemen e verso oriente.

Mar Morto

Gaza Al-Arish Elusa

Giudea

Mampsis Avdat (Kurnub)

Nessana

Aila (Aqaba)

Desert De seerto rto rt del Siina de nai

Wadi Wa dii Rum m

Petra

Adumatu (Dumat al-Jandal)

Hawara (Humeima)

Arabia

Gol fo

Egitto

Nege gev

di Aq aba

Clysma (Suez)

2

Shivdat

2 LA STRADA PER IL MAR ROSSO. Le strade verso occidente collegavano Petra a diversi porti del Mediterraneo e all’Egitto dopo avere attraversato i deserti del Negev e del Sinai.

Tabuk

Leuke Come

D se De sert rtto deel Na Nafu ffu ud

3 Tayma

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Hegra (Medain Saleh)

CARTOGRAFÍA: EOSGIS

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Dedan (Al-Ula)

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Myos Hormos

Karkuma

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Regno nabateo intorno al 60 a.C. Rotte commerciali: via terra via mare

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L’IMPERO DELLE CAROVANE

ART ARCHIVE

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A PROSPERITÀ DEL REGNO NABATEO si basava sulle ingenti entrate derivanti dal commercio, in particolare di piante aromatiche, spezie e bitume. A Petra affluivano tutti questi prodotti grazie a lunghe carovane che partivano da lì per giungere nei grandi mercati del bacino del Mediterraneo, come Roma o Alessandria. Tuttavia questa immensa ricchezza suscitò l’avidità dei popoli vicini, principalmente i Seleucidi, che tentarono in diverse occasioni di conquistare Petra, senza però riuscirci. JOHANN LUDWIG BURCKHARDT, (1784-1817). L’ESPLORATORE SVIZZERO NEL 1812 SCOPRÌ L’ANTICA PETRA.

La seta: un lusso che veniva dalla Cina. Tramite i Nabatei la seta giungeva a Roma dalla Cina, seguendo la rotta delle oasi dell’Asia centrale e via mare. Plinio e Cicerone le dedicarono invettive per avere contribuito alla corruzione dei costumi.

Bitume: fondamentale per le imbarcazioni. Tra i prodotti commercializzati dai Nabatei c’era il bitume proveniente dal Mar Morto, usato per impermeabilizzare le navi. Si esportava in Egitto e nel Mediterraneo probabilmente fin dal IV secolo a.C.

Le spezie: per il rito, oltre che per il condimento. La cannella e il pepe erano tra i beni in cui commerciavano i Nabatei. Alla cannella si attribuivano proprietà digestive e si usava in alcuni riti: Nerone ne bruciò molta per onorare la morte di sua moglie Poppea.

Piante aromatiche: la fragranza degli dei. Aloe, mirra e incenso erano, insieme con le spezie, la base del commercio nabateo. Tali piante erano usate in ambito cosmetico, medico e religioso. In tutto il Mediterraneo la loro richiesta era inesauribile. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UNA SPLENDIDA CITTÀ NEL COME NELLE ALTRE GRANDI LOCALITÀ ROMANE, I PRINCIPALI LUOGHI PUBBLICI DI PETRA

TEATRO

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MERCATO SUPERIORE

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ILLUSTRAZIONE: FRANCESCO CORNI / FOTO: SANTI PÉREZ

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CUORE DEL DESERTO ERANO DISTRIBUITI LUNGO UNA VIA CON PORTICI COLONNATI E COPERTI

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1 Tomba del Palazzo. Questa tomba ha una facciata tra le più monumentali di Petra. Misura 45 metri di altezza per 49 di larghezza ed è su tre piani.

2 Tomba dell’Urna. È probabile che sia la tomba del re nabateo Malichus II. La sua maestosa facciata è sormontata da un elemento a forma di urna.

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3Viale delle Facciate. In questo luogo vi sono molte tombe, costruite dai ricchi commercianti di Petra e unite tra loro da passaggi e scalinate. 4 Mura. Protetta grazie alla sua posizione privilegiata da possibili attacchi, Petra non fu dotata di una cinta muraria fino al III secolo d.C. 5 Gran Tempio. Questo santuario del I secolo era formato da due cortili. Nel secondo si trovava l’edificio sacro, forse dedicato alla dea Al-Uzza.

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6 Mercato inferiore. Era il principale mercato della città. Le sue dimensioni erano proporzionate all’importanza di Petra come snodo commerciale. 7 Palazzo reale. Era un edificio monumentale, ma la sua funzione come residenza dei sovrani nabatei non è stata stabilita con sicurezza. 8 Tempio dei Leoni Alati. Era formato da un cortile e da una costruzione sopraelevata che fungeva da altare. I capitelli erano decorati con leoni alati. 9 Porta del Temenos. Questo arco monumentale separava la Via Colonnata dal luogo sacro, o temenos, su cui si affacciava il Qasr al-Bint. Qasr al-Bint. Questo santuario, datato tra i secoli I a.C. e I d.C., era dedicato al dio Dushara, una delle principali divinità del pantheon nabateo. Via Colonnata. Con una lunghezza di 300 metri, costituiva la principale arteria della cirttà. Era fiancheggiata dagli edifici pubblici più importanti.

EL- DEIR (IL MONASTERO)

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ERODE IL GRANDE SCOLPITO DA GIOVANNI PISANO SUL PULPITO DELLA CHIESA DI S. ANDREA A PISTOIA. 1297-1301.

UN NABATEO ALLA CORTE DI AUGUSTO SILEO, MINISTRO DI OBODAS III, fu una delle personalità più note e influenti della storia del regno nabateo. Durante la sua vita mostrò di possedere un carattere machiavellico e sibillino e una smisurata ambizione. Forse il miglior esempio è offerto dal suo comportamento dopo la morte del re Oboda nel 9 a.C. A quel tempo, Sileo si trovava a Roma, dove si era recato per denunciare ad Augusto le campagne di Erode il Grande, re dei Giudei, contro il regno nabateo. Appresa la notizia della morte di Obodas (di cui fu accusato), Sileo sognò di creare, con il consenso di Augusto, un grande regno in Siria, che comprendesse sotto la sua guida sia il regno giudeo sia quello nabateo. Tuttavia, durante la sua assenza, un membro della famiglia reale nabatea salì al trono con il nome di Aretas IV, senza attendere il permesso dell’imperatore Augusto. Quest’ultimo, contrariato, permise a Sileo di tornare in patria, dove questi iniziò a cospirare sia contro Aretas sia contro Erode il Grande. Infine fu arrestato e mandato a Roma, dove venne giustiziato nel 6 a.C.

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NURIA PUENTES

SCALA, FIRENZE

IL TEATRO DI PETRA Scavata in arenaria rosa locale, l’edificio ha una cavea con 45 file di sedili suddivise in tre settori. Poteva accogliere 10.000 spettatori.

l’abbondante presenza di oro e denaro, la grande quantità di mucche e pecore e persino di fertili campi coltivati, un particolare che potrebbe risultare curioso per il visitatore moderno, ma che le recenti scoperte archeologiche hanno confermato. È stato in effetti rinvenuto un complesso sistema di canalizzazione che serviva non solo a fornire acqua agli abitanti di Petra, ma anche a mantenere cisterne e giardini in una città che aveva scoperto i vantaggi derivanti dalla pax Romana di Augusto. L’influsso della cultura ellenistica si manifestò inoltre nel cerimoniale di corte a Petra. Sulla scia di Aretas III, il Filoellenico, i re adottarono titoli che ricordavano quelli di altri sovrani greci come “Colui che ama il suo popolo” o “Salvatore del popolo”. Dal re dipendevano sua moglie (detta “sorella”) e il primo ministro (chiamato “fratello”), che era la più alta carica


L’amore per il greco L’ellenizzazione del regno si manifestò nella sua pienezza anche nel fatto che il greco cominciò a essere utilizzato sempre più accanto al nabateo, come si riscontra nei documenti che si sono conservati. Fino ad allora, i Nabatei si erano serviti di un tipo di aramaico che aveva forme grammaticali e lessico simili all’arabo moderno, e avevano ideato un proprio sistema di scrittura che lo studioso tedesco Eduard Beer riuscì a decifrare nel 1840. Scarse e piuttosto povere restano però le testimonianze scritte: in esse si parla solo di aspetti molto concreti della

religione (come i nomi degli dei), dell’organizzazione sociale e dell’onomastica nabataea. Non vi è nulla per esempio, riguardo a narrazioni mitologiche o a decreti. L’importanza che i Nabatei attribuivano alla scrittura è avvalorata dall’esistenza del culto di al-Kutbâ, dio della scrittura e dell’arte divinatoria. Un altro dio del pantheon nabateo era Duchara, “Signore di al-Sharah” (un monte a est di Petra), che divenne la divinità protettrice della dinastia reale. A Duchara era dedicato, come confermano numerosi studi, il principale tempio della città, chiamato dagli Arabi Qasr al-Bint Faroun (“il palazzo della figlia del faraone”). Un’altra dea popolare era Al-Uzza, identificata con l’Afrodite greca e la Iside egizia. Il tempio a lei dedicato, battezzato dai Romani Afrodiseion, corrisponde con molta probabilità al

TESTA MASCHILE IN CALCARE proveniente da Petra. Si tratta forse di un sacerdote nabateo. L’influenza orientale si rileva nel berretto frigio e nella foggia della barba. Museo di Amman.

ERICH LESSING / ALBUM

dopo il sovrano e da cui dipendevano poi altre cariche, anch’esse definite con nomi in lingua greca come “lo Stratego”, “l’Ipparco”, ovvero il capo della cavalleria, oppure “lo Stratopedarca”, letteralmente il generale imperiale.


ART ARCHIVE

RACCONTA STRABONE NELLA GEOGRAFIA CHE A PETRA VENIVA MULTATO CHI PERDEVA IL PROPRIO DENARO TRAIANO SU UN SESTERZIO DEL 103. L’IMPERATORE ANNESSE IL REGNO NABATEO A ROMA NEL 106.

tempio dei Leoni Alati, oggetto di diversi studi negli anni Settanta del secolo scorso. Al-Uzza formava una triade con Allath, dea della guerra, e Manat, dea del destino. L’ellenizzazione del regno si rivela anche nell’assimilazione degli dei del pantheon nabateo a quelli greci: Dushara si sovrappone per esempio a Zeus e a Dioniso.

Capitale del lusso e della ricchezza Sembra strano che da un popolo un tempo caratterizzato dal sobrio stile di vita dei nomadi nacque un’élite che lottava per accumulare ricchezza. Come testimonia Strabone, a Petra venivano multati coloro che perdevano denaro, mentre quelli che aumentavano il loro patrimonio erano ricoperti di onori e insigniti di incarichi politici. Si introdusse anche la tradizione greca dei banchetti o simposi, come riunioni della classe alta nabatea. Ai banchetti non poteva mancare il vino di Rodi, come testimoniano le numerose anfore provenienti dall’isola, a partire dal III secolo a.C., rinvenute a Petra. I banchetti erano celebrati con estremo lusso e sfarzo, ma secondo un rigido protocollo: erano ammessi non più di 13 commensali, e per ogni simposio era concesso bere un massimo di 11 bicchieri di vino in coppe d’oro che venivano cambiate ogni volta. Infine non vi partecipavano schiavi poiché era il re, garante di queste regole, a servire gli invitati. Questo dimostrerebbe che, sebbene a Petra vi fosse la monarchia, vigevano anche alcune regole “democratiche”, forse retaggio del tempo in cui i Nabatei erano dei nomadi il cui capo non era altro che il primo tra simili (primus inter pares), ma potrebbe anche trattarsi di una parodia della vita della polis, la Città-Stato greca. Il re doveva render conto del suo operato ai suoi sudditi in assemblee che probabilmente si celebravano in luoghi come l’odeon del cosiddetto Gran Tempio di Petra. 114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Strabone parla dell’autorevolezza dei tribunali di Petra nel Mediterraneo: a conferma vi sarebbe una serie di papiri rinvenuti a sud del Mar Morto e appartenenti a Babatha, un’ebrea di Maoza (città sulle rive di quel mare, nell’attuale Giordania). Tra i documenti che Babatha decise di nascondere vi erano copie di contratti, sentenze e atti giudiziari inviati a Petra, le cui copie originali erano conservate nell’Afrodiseion di questa città.

Templi, teatri e ville L’influenza della cultura greco-romana è evidente anche nei monumenti di Petra. Il primo edificio che si scorge quando si attraversa il Siq è quello che i beduini chiamarono Khazneh al-Faroun, “il Tesoro del Faraone”, e che in realtà era la tomba di Aretas IV. La sua monumentalità barocca, propria dell’arte ellenistico-romana, è un buon esempio di come Aretas desiderasse creare un’importante capitale nabatea che fosse all’altezza di un grande regno ellenizzato sotto la protezione di Roma. E in effetti i principali monumenti che si possono ammirare oggi visitando Petra sono stati costruiti o ingranditi durante il suo regno, come il teatro e i due templi di Qasr al-Bint Faroun e dei Leoni Alati. Le abitazioni private di Petra confermano la trasformazione dei Nabatei da nomadi in stanziali. Strabone documenta il grande lusso di queste residenze in epoca romana, dato che la maggior parte delle case non era costruita su una rete di strade, ma su terrazze naturali scavate nella roccia lungo la valle. Ad Az-Zantur, un’area al di sopra della strada di epoca romana, si trovano i resti di ville del I secolo d.C. che colpiscono non solo per l’ampiezza e per il numero di stanze (con terme, atri e bagni), ma anche per i resti di statue, marmi importati, mosaici e dipinti in stile pompeiano che ci lasciano immaginare il tenore di vita degli abitanti di Petra.


HERVÉ HUGHES / MAURITIUS IMAGES / AGE FOTOSTOCK

LA TOMBA DEL PALAZZO È il monumento funerario del re Malco II, morto nel 70 d.C. Fa parte delle cosiddette Tombe Reali. Di tre piani e 49 metri di altezza, deve il suo nome all’aspetto imponente della costruzione.


ART ARCHIVE

TOMBA DEL PALAZZO A PETRA IN UN ACQUERELLO DI DAVID ROBERTS. 1839. PARIGI, LOUVRE.

HEGRA: LA PETRA DEL SUD Mada’in Salih in Arabia Saudita. Fino a poco tempo fa gli studiosi ritenevano che la città fosse stata fondata dai Nabatei di Petra nel I secolo a.C. come luogo di sosta per le carovane e posto di difesa sul confine meridionale del regno nabateo e che fosse stata abbandonata dopo la sua annessione a Roma nel 106 d.C. Recenti scavi archeologici hanno stabilito che la fondazione di Hegra risale a molto tempo prima, poiché un’iscrizione in latino del 175 a.C. menziona la ricostruzione delle sue mura.

I successori di Aretas IV, Malco II e Rabel II, estesero questa concezione urbanistica ad altre regioni del regno. La capitale fu trasferita a nord, a Bosra, e altre città nabatee cominciarono a prosperare. Nel frattempo la rivolta giudaica del 66-70 d.C. e la crescente minaccia dell’estensione del vicino Impero dei Parti spinsero Roma a rafforzare gli insediamenti militari nel Vicino Oriente. La presenza sempre più consolidata dei Romani nella zona culminò infine nel 106 d.C., alla morte di Rabel II, quando il regno nabateo fu annesso all’impero romano da Traiano.

Petra città romana Pochi anni dopo l’annessione, Traiano fece costruire la grande via Nova Traiana che attraversava la cosiddetta provincia d’Arabia passando da Petra. L’intenzione dell’imperatore era ridisegnare i confini dell’Impero du116 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ANDREAS WOLF / AGE FOTOSTOCK

LA CITTÀ PIÙ MERIDIONALE dell’antico regno nabateo era Hegra, l’attuale

rante la sua campagna contro i Parti. Quando Traiano fece visita a Petra nel 114, il corteo imperiale percorse una strada porticata costruita in suo onore. La parata sboccò in un arco trionfale eretto per l’occasione. L’antico regno nabateo costituì il nucleo di una nuova provincia romana, che ebbe il nome di Arabia Petrea. Fu Bosra a essere eletta al rango di capitale della nuova provincia, ma Petra ricevette il titolo onorifico di “metropoli di Arabia” e il suo ruolo amministrativo fu tutt’altro che secondario, come dimostra un’iscrizione rinvenuta a Petra nella tomba di Sesto Fiorentino, legatus augustus pro praetore nella provincia d’Arabia all’inizio del II secolo. Nell’arco della sua brillante carriera, questo funzionario prestò servizio in varie province dell’Impero Romano, ma morì a Petra mentre portava a compimento un censimento effettuato nella provincia d’Arabia.


Nel 130 l’imperatore Adriano visitò Petra: in suo onore furono organizzate varie celebrazioni e in segno di riconoscimento il sovrano concesse alla città l’onore di mutare il proprio nome in Petra Hadriana. Alcuni decenni dopo vi si insediò la dinastia dei Severi che rafforzò i legami del potere imperiale con il Vicino Oriente: Settimio Severo, fondatore della dinastia, era sposato con Giulia Domna, figlia del sommo sacerdote di Baal della città siriana di Emesa. Non è da escludere dunque che all’inizio del III secolo l’imperatore Eliogabalo (la cui nonna era sorella di Giulia Domna) abbia concesso a Petra lo status di colonia romana. La fine dell’antichità a Petra fu segnata da un evento drammatico: un terremoto che nel 363 distrusse la via porticata e causò danni a numerosi edifici. Intanto in città era già giunto il Cristianesimo e numerose sono le testimo-

nianze che se ne hanno nell’architettura. Alcuni edifici (come il Monastero e la cosiddetta Tomba dell’Urna) furono consacrati a luoghi di culto cristiano e fu edificata anche una nuova chiesa in onore di santa Maria. Petra, orgogliosa del suo prestigioso titolo di metropoli, attrasse l’interesse della famiglia dell’arcivescovo Teodoro, figlio di Obodanos, i cui possedimenti si estendevano in tutta l’Arabia e la Siria-Palestina. La conquista musulmana della zona nel VII secolo vide il definitivo declino dell’antica capitale nabatea che, ormai ridotta a semplice villaggio, fu ben presto abbandonata. In seguito il luogo divenne solo un riparo per i beduini che sostavano tra le sue rovine durante le loro traversate. Fino a che non giunse sul posto Johann Ludwig Burckhardt e Petra rinacque a nuova vita nell’immaginazione degli appassionati di civiltà antiche.

TOMBA AL-FARID a Hegra, oggi Medain Saleh (Arabia Saudita). Come Petra, Hegra è composta da una necropoli monumentale con tombe scavate nella roccia e da una zona residenziale.

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GAVIN HELLIER / FOTOTECA 9X12

IL PADIGLIONE D’ORO A KYOTO Costruita nel 1397 come villa privata per il grande shogun giapponese Ashikaga Yoshimitsu, questa pagoda, nota come Kinkaku-ji, fu trasformata dal figlio Yoshimochi in un tempio buddhista.

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LA CULLA DI TRE GRANDI CIVILTÀ

ASIA ORIENTALE Dall’Età del Bronzo, Cina, Giappone e Sudest asiatico dettero vita a grandi civiltà, nate da una radice comune e testimoniate dalle loro splendide capitali: Kyoto, sull’isola nipponica di Honshu, Angkor, nella giungla cambogiana, e Pechino VERÓNICA WALKER VADILLO ARCHEOLOGA SPECIALISTA IN STORIA KHMER

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O. LUIS MAZZATENTA / GETTY IMAGES

I GUARDIANI DI QIN SHIHUANGDI È uno degli 8000 guerrieri di terracotta che proteggevano la tomba dell’imperatore cinese Qin Shihuangdi. Le statue, alte in media 1,80 metri, raffigurano fedelmente i soldati imperiali nei volti e nelle loro uniformi.

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Le radici storiche della civiltà cinese affondano nelle culture agricole sorte attorno allo Yangzi, il Fiume Azzurro, dove già si coltivava il riso intorno al 6500 a.C. Dato che il suo chicco si può conservare facilmente, questo cereale divenne presto l’alimento-base della Cina e di fatto la sua coltivazione divenne uno dei motori dello sviluppo dell’Asia. Il riso, per crescere, necessita di grandi quantità d’acqua: ciò impose agli abitanti della Cina di realizzare complesse opere idrauliche, come canali e dighe, che implicavano uno sforzo collettivo e, quindi, una solida organizzazione sociale. Intorno al 3000 a.C., le relazioni tra le varie civiltà fiorite attorno allo Yangzi e allo Huang He – il Fiume Giallo – si cristallizzarono nella cosiddetta “cultura di Longshan”, la cui marcata gerarchizzazione sociale è documentata dall’esistenza di ricchi corredi funerari e dall’abitudine di sacrificare, alla morte del padrone, anche tutti i suoi servi. A mano a mano che l’organizzazione sociale si faceva più complessa, la cultura neolitica di Longshan lasciò il posto a nuove civiltà. Una di queste fu la “cultura di Erlitou” (2000-1800 a.C.), che gli studiosi cinesi tendono a far coincidere con la semileggendaria dinastia Xia, la prima della storia del Paese. Dopo la sua scomparsa, attorno al 1800 a.C., si affermò la dinastia Shang, che appartiene già a pieno titolo all’Età del Bronzo. L’era dei Shang si caratterizzò per lo sviluppo della scrittura e della lavorazione del bronzo, per l’addomesticamento del cavallo, per una maggior stratificazione sociale e per l’imporsi di un potere regio che esercitava la sua autorità da un centro di culto che era anche il cuore politico del regno.

La prima capitale della dinastia fu Zhengzhou, dove palazzi e templi di legno si ergevano su grandi basamenti di terra battuta detti hangtu. La capacità dei sovrani Shang di mobilitare in proprio favore la popolazione fu immortalata nei cosiddetti “ossi oracolari”, carapaci di tartaruga o scapole di bovini utilizzati nella divinazione reale e incisi con iscrizioni che rappresentano la più antica forma di scrittura cinese: su di essi si può leggere che il sovrano comandava eserciti di migliaia di uomini. Per esercitare senza ostacoli la loro autorità, gli Shang stabilirono un controllo ferreo su ogni aspetto della vita collettiva, dall’esercito alla religione fino al prelievo fiscale. Questo conferì loro un potere e una ricchezza mai visti prima, come dimostrano i vasi di bronzo e le tazze in giada e avorio ritrovati nella tomba di Fu Hao, una delle sessanta spose dell’imperatore Wu Ding, che regnò fino al 1200 a.C. circa.

W. FORMAN / GTRES

e vicende dell’Asia orientale sono state segnate fino dalla preistoria dal primato della Cina. L’organizzazione politica ed economica delle prime dinastie che la governarono influenzò lo sviluppo di tutto il continente: altre civiltà, come quella giapponese o quella khmer, pur conservandosi indipendenti, ebbero forti legami con il gigante cinese. LA PERFEZIONE DEL BRONZO Questo vaso rituale, usato nelle cerimonie religiose come contenitore per il vino, mostra l’abilità nella lavorazione del bronzo raggiunta dagli artigiani della dinastia Shang (1800-1045 a.C.).

Il Mandato del Cielo Nel 1045 a.C., la dinastia Zhou sconfisse gli Shang. Gli Zhou erano una tribù che viveva a ovest del regno degli Shang e ne aveva assimilato la cultura: il loro avvento non produsse perciò alcuna frattura nella storia cinese. La prima figura di spicco della dinastia, Zhou Gong, proseguì nella politica di unificazione del territorio, lottando contro i regnanti degli Stati orientali alleatisi ai superstiti Shang. Per rafforzare la loro dinastia, gli Zhou introdussero una nuova divinità: Tian, il Cielo, che era al di sopra di ogni altro dio e al quale solo il sovrano poteva offrire sacrifici. Questa divinità benediceva il re conferendogli il Tian Ming, il “Mandato del Cielo”, una sorta di legittimaSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IN SHIHUANGDI era il sovrano del regno di Qin, nel-

la Cina occidentale. Tra il 230 e il 221 a.C., dopo oltre due secoli di caos, egli riuscì a sottomettere gli altri sei regni nei quali si divideva il Paese, riunificando i territori cinesi. Secondo le fonti dell’epoca, le guerre condotte da Qin provocarono oltre un milione di morti. Il primo imperatore cinese si impose agli avversari grazie alle imponenti masse di soldati che mise in campo e ai suoi formidabili arcieri a cavallo. Riunire un così alto numero di uomini non fu facile: Qin Shihuangdi ci riuscì concedendo ai contadini la proprietà delle terre che coltivavano e generalizzando la tassazione sulla produzione agricola. Le entrate così ottenute e la mobilitazione collettiva dei contadini furono decisivi nella vittoria di Qin e, più tardi, nella realizzazione dell’opera a cui più è legato il suo nome: la Grande Muraglia. Questa costruzione, che si snodava per oltre 6000 chilometri lungo i confini cinesi collegando spezzoni di mura già esistenti, sarebbe stata restaurata e rinforzata milleduecento anni più tardi dalla dinastia dei Ming (1368-1644).

LE PRIME TRE DINASTIE CINESI Dinastia Zhou (1045-221 a.C.)

La dinastia degli Zhou Occidentali creò uno Stato di tipo feudale. Con l’ascesa degli Zhou Orientali, nell’VIII secolo a.C., la Cina si frantumò in una quantità di regni in guerra tra di loro.

Dinastia Qin (221-206 a.C.) L’impero del bellicoso Qin Shihuangdi durò appena quindici anni, ma sancì la riunificazione della Cina e la nascita di uno Stato centralizzato, autoritario e fondato su una forte burocrazia. Dinastia Han (202 a.C.-220 d.C.) Per i primi duecento anni, con gli Han anteriori, la Cina visse una grande espansione; poi, dopo l’avvento degli Han posteriori (25 d.C.), iniziò per il Paese una fase di disgregazione politica.

IL NOME DI QIN SHIHUANGDI SCRITTO IN CARATTERI CINESI.

IL PRIMO IMPERATORE Ritratto dell’imperatore Qin Shihuangdi in un manoscritto coreano del XIX secolo. British Library, Londra.

zione divina al potere regio. Ma tale beneficio non era definitivo. Se il sovrano si dimostrava ingiusto o corrotto, il Tian Ming poteva essere revocato. Carestie, inondazioni, calamità naturali erano segni che Tian non approvava le azioni del sovrano, e che quindi era legittimo un cambio dinastico. Questa convinzione creò le basi per i frequenti rivolgimenti politici che caratterizzarono la storia della Cina.

AKG / ALBUM

La Cina confuciana

122 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

A partire dall’VIII secolo a.C., il potere degli Zhou andò logorandosi. Il loro impero si frantumò in una miriade di regni organizzati secondo un sistema semifeudale. Questa trasformazione fu accompagnata da guerre continue, e lo stato di anarchia che si produsse stimolò la riflessione etica e filosofica di Confucio (551-479 a.C.), un oscuro funzionario del principato di Lu (nell’odierna

Cina attuale

CARTOGRAFIA: HISTORIA NG

UN GRANDE IMPERO CREATO IN NOVE ANNI

Domini delle diverse dinastie

Capitali

provincia di Shandong). Inizialmente circoscritti a una cerchia limitata di discepoli, gli insegnamenti di Confucio, raccolti nel Lun yu (noto in italiano con il titolo di Dialoghi), ebbero in seguito un’enorme diffusione, costituendo il fondamento ideale su cui, a partire dal II secolo a.C., venne fondato l’Impero cinese. La dottrina confuciana non separava la politica dalla morale; al contrario, sosteneva che il buon sovrano dovesse possedere innanzitutto due virtù: la giustizia e la pietà fraterna. Il Confucianesimo si impiantava sui valori fondanti della tradizione cinese: la lealtà familiare, il culto degli antenati, il rispetto delle gerarchie. Ciò favorì il suo attecchimento presso le classi colte del Paese, e la conseguente trasformazione della dottrina confuciana in una sorta di canone etico collettivo, chiamato a disciplinare i comportamenti non solo privati ma anche pubblici del popolo cinese.


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(222 a.C.)

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XIANYANG (Hienyang)

BAIMA

Capitale dell’Impero di Qin Muraglie unite e ampliate da Qin Shihuangdi YAN Regni combattenti (230 a.C.) Data di conquista di Qin Shihuangdi YUEZHI Popoli “barbari” (non cinesi) Ultimo viaggio di Qin Shihuangdi (210 a.C.) Via della seta

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Sul finire dell’epoca nota come periodo dei Regni Combattenti (450-221 a.C.), uno Stato feudale si impose su tutti gli altri: il regno di Qin, guidato da Qin Shihuangdi, primo imperatore cinese. Le opere colossali realizzate durante il suo regno dimostrano l’immenso potere conquistato da questo sovrano. Due spiccano su tutte: la monumentale tomba imperiale di Xi’an, nell’attuale provincia dello Shaanxi, custodita da migliaia di soldati di terracotta a grandezza naturale; e la Grande Muraglia, destinata a proteggere i confini cinesi dagli attacchi dei popoli barbari. Simili lavori furono possibili solo grazie a un severo controllo dello Stato sulla vita pubblica. La necessità di mantenere eserciti sterminati, folle di schiavi e schiere di funzionari statali accentuò tuttavia la dipendenza della Cina dalla coltivazione del riso. Fu così che, al termine della breve dinastia Qin (221-206 a.C.), le basi

Mar Giallo

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(223 a.C.)

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HAN

SICHUAN ESPANSIONE DEL REGNO DI QIN NEL PERIODO DEI REGNI COMBATTENTI Fino al 350 a.C. 350-315 a.C. 315-249 a.C. 249-221 a.C. 221-206 a.C.

(222 a.C.)

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dell’Impero cinese potevano dirsi poste: da allora l’unità nazionale sarebbe stata garantita da una potente burocrazia centrale, da un’intensa attività agricola e da un sistema politico basato sul Confucianesimo. Oltre i suoi confini, l’Impero cinese (che dal XV secolo trasferì la capitale a Pechino) estese la propria influenza tramite l’esercito o – come in Giappone – attraverso un’abile attività diplomatica.

Le origini del Giappone L’arcipelago giapponese fu colonizzato circa 40.000 anni fa, in pieno periodo glaciale, quando la diminuzione del livello dei mari permise di accedere via terra alle sue isole. Circa 20.000 anni più tardi, tuttavia, un nuovo innalzamento delle acque separò l’arcipelago dal continente asiatico, favorendo la comparsa di culture autoctone. La più estesa fu quella di Jomon,(11000-500 a.C.), così chiamata dal STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

123


LA POPOLAZIONE DE L GIAPPONE SI RAGGRUPPÓ NE L III SE COLO IN UJI, CLAN GUIDATI DA UN MILITARE

tipo di decorazione a corda (Jomon, in giapponese, significa appunto “corda”) che ornava le ceramiche usate nei riti funebri. La comparsa della ceramica in Giappone non fu legata, come in Cina, alla nascita di comunità agricole sedentarie. Gli Jomon erano una società di cacciatori-raccoglitori: vivevano di caccia, pesca e della raccolta dei prodotti spontanei della terra. Tuttavia, tra il 3000 e il 2000 a.C., l’evoluzione di questa civiltà portò alla comparsa delle prime forme di agricoltura e alla nascita, soprattutto nella pianura del Kanto, dove oggi sorge Tokyo, di insediamenti più ampi. Nel contempo andò sviluppandosi una struttura sociale più stratificata, che permise la realizzazione delle opere idrauliche necessarie per la risicoltura, una tecnica di coltivazione proveniente dalla Cina e adottata, insieme ad altri tratti cinesi (come la lavorazione del bronzo), attorno all’anno 1000 a.C.

Con la diffusione della risicoltura, in Giappone si verificò una transizione dalla cultura Jomon a quella Yayoi, una civiltà agricola che, a partire dal III secolo a.C., cominciò a creare tumuli monumentali dalla forma simile a quella di un buco della serratura. Durante il periodo successivo, conosciuto come Kofun (III-VII d.C.), la popolazione si organizzò in clan (uji) guidati da un capo militare. Ogni uji aveva il proprio dio, o kami, in onore del quale il capoclan officiava riti volti ad assicurare la prosperità delle sue genti. Questi dei ancestrali, insieme al culto dei fenomeni naturali, sono l’essenza della religione che avrebbe preso il nome di Shintoismo. Intorno al V secolo d.C., nella regione di Yamato (sull’isola di Honshu, la maggiore dell’arcipelago giapponese), si formò una sorta di confederazione formata da più uji: uno di questi clan aristocratici, che adorava Amateratsu, la dea del sole, riuscì a prevalere sugli altri e a 124 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

J. FUSTÉ RAGA / AGE FOTOSTOCK

Culti ancestrali


IL CASTELLO DI HIMEJI Fu completato nel XVII secolo, quando in Giappone il potere effettivo era nelle mani degli shogun, e non di un imperatore ridotto ormai a funzioni poco piĂš che simboliche.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

125


BRIDGEMAN / INDEX

NEL IX SECOLO COMINCIÒ L’ASCESA DEI SAMURAI, L’ARISTOCRATICA CASTA GUERRIERA DEL GIAPPONE ELMO DA SAMURAI DECORATO CON L’EMBLEMA DEL POTENTE CLAN DEI TOKUGAWA. XVI-XVII SECOLO, FUJI ART MUSEUM, TOKYO.

nominare il proprio kami divinità suprema, dando inizio alla stirpe imperiale nipponica. Nel VI secolo d.C., il regno coreano di Paekche inviò alla corte di Yamato una statua di Buddha e vari testi buddhisti. Benché sia nato in India, il Buddhismo si diffuse rapidamente in tutta la Cina e, da lì, in Corea. L’introduzione del Buddhismo in Giappone ebbe effetti rilevanti: fu infatti il primo passo di un processo di trasformazione che portò il regno di Yamato a modellarsi sull’Impero cinese, mutuandone l’idea di un potere fortemente centralizzato, fondato sull’autorità assoluta di un sovrano e sui principi dell’etica confuciana. Nel 710 d.C. l’imperatrice giapponese Gemmei fondò una nuova capitale, Nara, che replicava l’assetto urbanistico della capitale cinese Chang’an. Le grandi sepolture kofun, con i loro tumuli a forma di serratura, furono abbandonate e, a partire dall’VIII secolo, si diffuse la pratica buddhista della cremazione. Lo Shintoismo perse di importanza ma, grazie alla natura tollerante del Buddhismo, continuò a essere praticato. Sempre nell’VIII secolo, i monasteri buddhisti della capitale si moltiplicarono e iniziarono a esercitare una forte pressione sulla corte. Per questo, l’imperatore Kammu (737-806 d.C.) abbandonò Nara per stabilirsi a Heian Kyo, l’attuale Kyoto.

L’era dei guerrieri Non diversamente dalla Cina, il Giappone era un Paese a vocazione agricola, dove le imposte si pagavano principalmente in grano o tessuti. Quando, a partire dal IX secolo, l’autorità imperiale iniziò a declinare, l’amministrazione statale passò nelle mani di potenti clan che controllavano latifondi molto estesi (shoen). L’imperatore fu relegato a un ruolo sostanzialmente cerimoniale, mentre l’Impero si strutturava in grandi feudi indipendenti. Tale sistema durò fino al 1868, quando l’imperatore Meiji riuscì a restaurare l’autorità politica. In questo millennio di latitanza del potere cen126 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

trale, la società nipponica si era organizzata in latifondi controllati da signori feudali – i daimyo – sostenuti e protetti dall’aristocrazia guerriera dei samurai. In seguito i samurai conquistarono il potere (XII secolo), instaurando una dittatura militare ereditaria in cui l’autorità politica era detenuta dallo shogun, il comandante supremo dell’esercito imperiale.

La nascita di Angkor L’influenza della Cina si irradiò anche in tutto il Sudest asiatico; e, sebbene diluita attraverso i contatti commerciali, ebbe in questa regione storica un impatto considerevole. Come in Giappone, uno degli eventi decisivi nella storia dell’Asia sudorientale fu l’introduzione della risicoltura, attorno al 2500 a.C. Due millenni più tardi, con l’inizio dell’Età del Ferro, nel bacino del fiume Mekong in Cambogia si ebbe un incremento della produttività agricola e, di conseguenza, una crescita demografica. Questo aumento della popolazione si accompagnò a una maggiore gerarchizzazione sociale: sorsero e si affermarono quindi signori locali che traevano dall’agricoltura i mezzi per sostenere il proprio potere. Intorno al I secolo d.C. nacquero sul Delta del Mekong una serie di città collegate da una fitta rete di canali, una costellazione urbana chiamata Funan. La città portuale di Óc-Eo, forse la maggiore di questo regno, ospitava varie attività artigianali: tra di esse una bottega di gioielli nella quale sono state rinvenute due monete romane del II secolo d.C., frutto (probabilmente) dei traffici commerciali che intercorrevano tra il Funam e il Mediterraneo lungo la Via della seta. Oltre alle monete romane, nel sito archeologico di Óc-Eo sono stati ritrovati anche sigilli e anelli con iscrizioni in sanscrito, un’antica lingua dell’India: ciò pare testimoniare l’esistenza di contatti via mare anche tra il regno di Funan e il subcontinente indiano. Sebbene siano attestate varie missioni di di-


L

O SHOGUN TOKUGAWA IEYASU (1543-

1616) governò il Giappone da Edo, l’odierna Tokyo; tuttavia il suo ruolo gli imponeva visite periodiche alla corte dell’imperatore, a Kyoto. Per questo, nel 1603, ordinò di costruire in quella città una grande residenza. Nacque così il castello di Nijo che, a dispetto delle sue mura, era più un palazzo che una for-

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

IL GRANDE CASTELLO DI NIJO, A KYOTO tezza. La sua vera funzione consisteva infatti nell’esibire davanti all’imperatore la potenza del clan shogunale dei Tokugawa. Il dipinto riprodotto qui sotto mostra il castello di Nijo nel XVII secolo, prima che venisse abbandonato. TSUBA, O GUARDIA DELLA SPADA, ATTRIBUITA ALLA SCUOLA DEI GOTO, ARMIERI AL SERVIZIO DEGLI SHOGUN. XVII SECOLO, BRITISH MUSEUM.

2

3 4

5

1 Fortificazioni.

Una muraglia e un fossato cingevano il castello; al loro interno si trovavano i palazzi di Ninomaru e Honmaru, quest’ultimo circondato a sua volta da un ampio fossato.

SCALA, FIRENZE

SCALA

1

2 La torre.

Il palazzo di Honmaru era provvisto di una classica torre difensiva giapponese, o tenshu. Questo edificio a cinque piani fu distrutto nel 1788 da un incendio.

3 Il palazzo.

Il palazzo di Ninomaru si componeva di cinque edifici principali, utilizzati per alloggiare la famiglia dello shogun e i suoi ministri, ma anche come luoghi per le udienze.

4 Commercianti.

Nel grande cortile dinnanzi al palazzo di Honmaru, alcuni mercanti offrono le loro stoffe ai cortigiani: una prova della funzione di stimolo ai commerci locali svolta dal castello.

5 La partenza. La carrozza d’onore dello shogun esce dal palazzo, accompagnata da un corteo. È possibile che si stia dirigendo a Edo, la città da dove i Tokugawa governavano il Giappone.


ORONOZ / ALBUM

LUCA TETTONI / CORBIS / CORDON PRESS

SURYAVARMAN II, IL COSTRUTTORE Questo grande sovrano khmer, qui ritratto mentre tiene un’udienza, edificò nel XII secolo il gigantesco tempio di Angkor Wat, consacrato a Vishnu.

IL RISO, MOTORE DE LLA STORIA

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A COLTIVAZIONE DEL RISO ha segnato la storia dell’Asia orientale. Questo cereale viene seminato e cresce nell’acqua; non può quindi prescindere da complesse opere idrauliche per l’irrigazione, possibili solo là dove esiste una comunità ben organizzata, capace di coordinare e ripartire il lavoro. D’altra parte la risicoltura offre grandi quantità di cibo, facile da immagazzinare, conservare e trasportare. Questa coltivazione garantisce quindi una miglior nutrizione, favorisce la crescita demografica e permette di liberare manodopera dal lavoro dei campi. Fu proprio quanto accadde tra il 6500 e il 2000 a.C. in Cina e nel Sudest asiatico, dove il diffondersi della risicoltura consentì alle dinastie regnanti di impegnare larghi strati della popolazione nell’estrazione di metalli e in attività manifatturiere o artigianali. Ciò favorì lo sviluppo del commercio e, di conseguenza, quegli scambi culturali da cui prese forma il volto dell’Asia orientale.

LAVORI AGRICOLI NELLE RISAIE IN UN MAGNIFICO ESEMPIO DI UKIYO-E, STAMPA ARTISTICA GIAPPONESE REALIZZATA SU MATRICI DI LEGNO. L’AUTORE DELL’OPERA È IL PITTORE E INCISORE UTAGAWA HIROSHIGE (1797-1858).

128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

plomatici del Funam in Cina, è indubbio che a esercitare la maggior influenza sul regno furono i mercanti indiani e cingalesi. Intorno al V secolo d.C. si svilupparono intensi contatti tra l’area del Mekong e l’India, e dal VII secolo si iniziarono a costruire in tutto il regno templi dedicati a Vishnu, la massima divinità induista, oggetto di un culto officiato in India dalla potente casta sacerdotale dei brahmani.

Un regno induista Le élite del bacino del Mekong adottarono elementi di cultura brahmanica per rafforzare la propria posizione sociale. L’introduzione dell’Induismo servì alle classi dirigenti per giustificare l’accumulo di potere nelle loro mani, proprio come i brahmani indiani, nella loro veste di rappresentanti degli dei, erano riusciti a strappare immensi privilegi civili ed economici. Ciò spiega perché i Khmer, l’etnia


cruciale per attrarre vassalli e accumulare potere. In quest’epoca, i legami tra la nobiltà locale e l’Induismo si fecero più intensi: il processo culminò, nell’802, con l’incoronazione di Jayavarman II, che adottò il rito indù proclamandosi devaraja, “re-divino”. Con lui nacque il mandala di Angkor, con capitale l’omonima città, nei pressi del lago Tonlé Sap, al centro della Cambogia. Come in Cina, anche ad Angkor furono i tributi versati dai popoli vassalli sotto forma di riso o di lavori forzati a garantire lo sfarzo di corte e la costruzione di strade e ponti. Così l’Impero khmer divenne in breve il crocevia di varie rotte commerciali, trasformandosi in uno dei regni più floridi del Sudest asiatico. La sua vita durò per sei secoli, dall’802 fino al 1431. A porle termine furono le armate del regno siamese di Ayutthaya, che nel XV secolo conquistarono Angkor e la rasero al suolo.

TESTIMONE DI RELIGIOSITÀ Figura orante di bronzo realizzata ad Angkor tra il XV e il XVI secolo. Museo Nazionale, Phnom Penh, Cambogia.

BRIDGEMAN / INDEX

maggioritaria in Cambogia, poterono assimilare elementi dell’Induismo senza smarrire la propria identità culturale. A differenza della Cina, l’Impero khmer non aveva frontiere fisse, ma era un’entità fluida, dove il potere centrale esercitava la propria autorità sulle Città-Stato minori attraverso mutevoli alleanze e guerre. I territori vicini alla capitale erano legati al re, ma nelle regioni periferiche i capi locali godevano di grande autonomia, tanto che spesso versavano tributi a più Stati. Tale sistema di governo è noto come mandala, “cerchio” in sanscrito. Sul finire del VI secolo d.C., il regno di Funan si indebolì e il centro del potere si spostò dal Delta del Mekong all’interno della Cambogia, dove si costituì il mandala di Chenla, caratterizzato da feroci lotte intestine. Le grandi opere idrauliche realizzate per garantire l’acqua nella stagione arida divennero un elemento


ANGKOR WAT (CAMBOGIA) Edificato per volere di Suryavarman II nel 1140, questo tempio khmer simboleggia il monte Meru, luogo in cui abitano gli dei e centro dell’universo. Era stato concepito probabilmente come mausoleo reale.


HUBER / FOTOTECA 9 X 12

LA CAPITALE DELL’IMPERO KHMER

ANGKOR Ricca di templi e santuari innalzati tra la giungla cambogiana e le lagune, Angkor, a partire dal IX secolo, divenne il cuore di uno degli imperi più potenti dell’intera Asia: il regno Khmer VERÓNICA WALKER VADILLO ARCHEOLOGA SPECIALIZZATA NELLA STORIA KHMER


I

l tempo sembra essersi fermato nei santuari di Angkor. La capitale dell’Impero Khmer, nell’attuale Cambogia, appare ricoperta da una fitta giungla. Sono scomparse le case di legno in cui vissero i suoi 150.000 abitanti al tempo del massimo splendore, ma si conservano gli edifici in pietra: un centinaio di templi con bassorilievi e sculture che mostrano com’era la vita ad Angkor all’apice dell’Impero.

Verso il III secolo, in prossimità della foce del Mekong (nell’attuale Vietnam), si sviluppò il regno di Funan. Era un insieme di Città-Stato che di volta in volta si unificavano politicamente. Pertanto non aveva frontiere fisse, ma comprendeva un insieme di popoli vassalli che versavano il tributo a un capo. Tale sistema di governo è conosciuto come mandala (ovvero “cerchio” in sanscrito). Il termine, che nel mondo buddhista e induista simboleggia il tutto, il centro di irradiazione della vita materiale e spirituale, in questo caso indicava i vari luoghi da cui si irradiava il potere politico in quell’area. Nella regione del Mekong si succedettero i mandala di Funan, Chenla e Angkor. Funan fu la prima grande enclave commerciale, situata in una zona strategica per questa attività. I rapporti commerciali con la vicina India furono fondamentali per lo sviluppo socio-culturale del regno di Funan, che riprese vari elementi tipici della società indiana: la religione induista (con il culto di Shiva e di Vishnu), il buddhismo, la scrittura e la lingua sanscrita come idioma del sacro. Verso il VI secolo, l’epicentro del potere si spostò dal delta del Mekong alla zona interna, dove si costituì il mandala di Chenla (VI-VIII secolo). Le poche iscrizioni disponibili indicano che in quest’epoca i sovrani iniziarono a essere considerati intermediari degli dei e a venire divinizzati dopo la morte. Questi re mostrarono una spiccata capacità di 132 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

HUBER / FOTOTECA 9 X 12

Le fondamenta di un grande impero


IL CUORE DEL REGNO Angkor Wat era il cuore politico e religioso dell’Impero khmer. Tempio consacrato a Vishnu e, insieme, palazzo reale, ospitava 20.000 persone addette alla cura del sovrano e della sua famiglia.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

133


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Regni nei secoli XI-XIV Capitale

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IMPERO KHMER

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CARTOGRAFÍA: EOSGIS

Penisola di Malacca

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L’ASIA AL TEMPO DEI KHMER La mappa mostra la situazione del Sudest asiatico tra l’XI e il XIV secolo, l’epoca di massimo sviluppo dell’Impero Khmer, nell’attuale Cambogia.

mobilitare la popolazione e Jayavarman I (657100° E 681 ca.), considerato il primo sovrano dell’Impero Khmer, concentrò nelle sue mani un tale potere da essere proclamato dio mentre era ancora in vita. Da quel momento, Chenla acquisì un carattere sacro da cui emanava il potere spirituale dello stesso Jayavarman I, anche se alla sua morte il regno si sfasciò a causa del riemergere delle spinte autonomistiche.

Ascesa e declino dei Khmer Poco più di un secolo dopo un altro monarca, Jayavarman II, riuscì a ripristinare l’ordine. La storia del suo regno non è ben nota, ma si sa che sottomise vari territori fino a creare un grande Impero Khmer, che chiamò Kambuja. Decise di stabilire la sua corte nella regione di Angkor, nella zona del Grande Lago (Tonlé Sap, in lingua khmer), ricca di riso e di pesci. Nell’802 si consacrò re, secondo il rito indù, 134 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sul vicino monte Kulen accanto a una statua di Shiva. Diede così inizio al culto del devaraja, il “re-divino”, visto come una manifestazio110° E ne del dio indù Shiva e rappresentato con un linga, un simbolo fallico ovale custodito sul monte Kulen. Un’iscrizione ritrovata a Lobok Srot lo identifica come “re della terra circondata dall’oceano”, un riferimento al monte Meru della tradizione induista e buddhista. Nella cosmogonia buddhista, infatti, il monte Meru è una montagna mitica situata al centro dell’universo fisico e spirituale; è a pianta quadrata, circondata da un oceano e cinta da altre montagne. Tale simbologia fu determinante nella costruzione dei templi khmer. La monarchia di Angkor fondata da Jayavarman II visse il suo momento di massimo splendore nel XII secolo. Durante il regno di Suryavarman II (1113-1150 ca.) fu costruito l’imponente tempio di Angkor Wat e la capitale fu


GIOVANNI SIMEONE / FOTOTECA 9 X 12

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IL TEMPIO DI BANTEAY SREI (“Fortezza delle donne”), eretto nel 967 da Yajnyavahara, maestro del monarca Jayavarman V, è l’unico tempio di Angkor a non essere stato edificato da un re. È consacrato alla divinità indù Shiva.


WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

LE GUARDIE AVEVANO L’ORDINE DI NON LASCIARE ENTRARE IN CITTÀ NÉ CANI NÉ DELINQUENTI DIVINITÀ A TRE VOLTI PROVENIENTE DA ANGKOR THOM, XII-XIII SECOLO.

insediata all’interno della sua cinta muraria. Trent’anni dopo, durante il regno di Jayavarman VII (1181-1218), venne fondata Angkor Thom, nuova sede della corte. La capitale fu cinta da mura alte 8 metri e lunghe 12 chilometri ancora oggi visibile. Quasi ottant’anni più tardi, nel 1296, giunse nella città un funzionario cinese di nome Zhou Daguan, che al suo ritorno in patria scrisse l’unica opera contemporanea a noi nota sulla vita alla corte di Angkor Thom. Dopo di lui, le testimonianze su Angkor divennero via via più rare, poiché la costruzione dei templi cessò e le iscrizioni si fecero scarse. A poco a poco, il vibrante impero di un tempo iniziò a declinare, soffocato da costanti guerre di successione e da conflitti con i mandala vicini. Nel 1431, l’esercito del mandala di Ayutthaya (nell’attuale Thailandia) saccheggiò per la seconda volta Angkor Thom e la città fu abbandonata per sempre.

Una capitale sontuosa La costruzione di Angkor Thom (“grande città”), alla fine del XII secolo, rispondeva alla necessità di sacralizzare la monarchia. Jayavarman VII, un devoto buddhista, eresse la capitale a immagine del monte Meru, con pianta quadrata, un fossato esterno e una muraglia-montagna. Le strade di accesso dividevano il recinto in modo simmetrico; tutte confluivano nel tempio di Bayon e si dirigevano verso ciascuno dei punti cardinali. Vi era solo un altro ingresso, un sentiero che dal palazzo reale piegava verso est. Per attraversare il fossato furono costruiti ponti in pietra con 54 statue di divinità su un lato e 54 demoni sull’altro che reggono il corpo di un naga, la personificazione degli uomini-serpente del pantheon vedico-induista. L’accesso al recinto avveniva attraverso imponenti ingressi con tre torri, dove i visitatori erano accolti dall’enigmatico sorriso dei volti giganti di Avalokitesvara, il bodhisattva (se136 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

guace di Buddha incamminato verso l’illuminazione) che incarna la compassione di tutti i Buddha. Si ritiene che questi volti rappresentino lo stesso Jayavarman VII divinizzato. Dal racconto di Zhou Daguan è stato possibile conoscere l’aspetto degli edifici della capitale dell’Impero Khmer nel XIII secolo. Oltre alle torri di templi e palazzi, anche quelle delle mura erano decorate in oro e avevano enormi porte di legno che rimanevano aperte dall’alba al tramonto. Le guardie che le presidiavano avevano ordine di non lasciar passare né cani né delinquenti; ai trasgressori venivano tagliate le dita dei piedi. All’interno della struttura dovevano essere ammassate case di legno e palafitte per evitare le inondazioni nel periodo delle piogge. I nobili abitavano intorno al palazzo reale, che si ergeva presso il tempio di Phimeanakas (“tempio celestiale”). L’accesso al palazzo era limitato e, anche se l’interno della residenza doveva essere sfarzoso, non se ne conoscono descrizioni dettagliate. La stanza cui avevano accesso gli ambasciatori stranieri e i sudditi era la sala delle udienze. Seduti in fila per terra, nobili e plebei aspettavano pazientemente il suono della buccina che segnalava l’arrivo del sovrano. Alle prime note, tutti i presenti facevano una profonda riverenza e non sollevavano il capo fino a che il re non si era seduto. Il monarca entrava nella stanza attraverso un finestrone d’oro circondato da quaranta o cinquanta specchi; una volta che si era seduto su una pelle di leone, la buccina taceva e l’udienza poteva avere inizio. Al centro del palazzo si ergeva il tempio di Phimeanakas, la cui cupola splendeva al sole con il suo rivestimento d’oro. Leggermente più a sud del palazzo, spiccava all’orizzonte la cupola in bronzo del tempio di Baphuon, mentre proprio al centro di Angkor Thom si innalzava imponente la cupola del tempio di Bayon, le cui torri erano rivestite d’oro.


ANGKOR THOM

Ingresso ovest

Galleria interna

GTRES

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AYAVARMAN VII fu il primo re buddhista di Angkor. Verso il 1180 fece costruire nella sua capitale Angkor Thom l’imponente tempio-montagna di Bayon. Le 37 torri sopravvissute sono ornate da 216 giganteschi volti di pietra che guardano verso i quattro punti cardinali. Al recinto sacro si accede, con un accesso regolato e ben organizzato, attraverso otto torri cruciformi unite da gallerie, un tempo coperte, che contengono alcuni dei bassorilievi più belli dell’intero sito archeologico di Angkor.

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IL TEMPIO DI BAYON 1 Le Apsara, ballerine celesti Le torri centrali del Tempio di Bayon sono ornate da rilievi raffiguranti queste creature immortali, geni del bene incaricati di custodire gli dei e gli eroi.

2 Statue di pietra per adorare Buddha Diverse statue di Buddha alle entrate del tempio ricordano l’origine di Bayon. Ancora oggi gli abitanti del luogo vi depositano le loro offerte di fiori e piante.

Bassorilievi di un circo

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Ingresso nord Biblioteca monastica

2 1

ILUSTRACIÓN: DK IMAGES

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Ingresso sud

5 Galleria esterna

Ingresso est

Bassorilievi sulla vita quotidiana

3 La torre centrale Il tempio aveva 49 torri di forma piramidale disposte su tre livelli. Di esse, oggi, ne restano solo 37. La torre centrale, con i suoi 43 metri, è la più alta del tempio.

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4 Volti sorridenti Ciascuna torre presenta quattro enormi volti che si pensa rappresentino Jayavarman VII come il bodhisattva (seguace di Buddha sul cammino dell’illuminazione).

ACI

GTRES

Bassorilievi dell’esercito khmer

5 Sacrificio di un bufalo Oltre 1200 metri di rilievi ricoprono le gallerie del tempio di Bayon. Qui, i soldati stanno portando un bufalo al sacrificio, forse come offerta per propiziare la vittoria.


ANGKOR WAT

IL SIMBOLO DI UN IMPERO

A

NGKOR WAT, m a s s i m a espressione dell’arte khmer, è il più vasto monumento religioso del mondo (1,5 km per 1,3). Fu eretto nel XII secolo dal re Suryavarman II ed è consacrato a Vishnu, principale divinità induista. La sua struttura imita quella di un mandala (un cerchio oppure un quadrato), che nell’Induismo rappresenta il disegno sacro del cosmo.

TRIDENTE

La torre centrale del tempio, alta 42 metri, doveva essere coronata da un tridente, simbolo della trimurti induista e attributo del dio Shiva.

Il complesso è circondato da un muro decorato a bassorilievi, che simboleggia i confini del mondo, e da un fossato che rappresenta l’oceano cosmico, origine di tutte le cose. Il santuario centrale, con le sue cinque imponenti torri elevate su tre livelli, è simbolo del sacro monte Meru. Diversamente dagli altri templi induisti, orientati a est, Angkor Wat è orientato a ovest, il punto cardinale della morte.

TA REACH Si ritiene che il santuario centrale fosse presidiato da una statua di Vishnu, conosciuta come Ta Reach , alta cinque metri.

APSARA I rilievi sui muri raffigurano 1850 apsara, gli spiriti femminili delle acque, che danzano. Nessuna figura è uguale all’altra.

INGRESSI Sono quattro, ornati con immagini di Buddha che riflettono l’influenza del Buddhismo successiva alla sua costruzione.

ILLUSTRAZIONI: BRUCE MORSER / NGS

Phnom Bakheng

I PRINCIPALI TEMPLI KHMER DI ANGKOR

1 PHNOM BAKHENG Eretto da re Yasovarman I nel X secolo in onore della divinità induista Shiva, aveva oltre 100 torri, quasi tutte perdute.

Prasat Kravan

Phimeanakas

2 PRASAT KRAVAN Questo piccolo tempio, formato da cinque torri in mattoni, fu fondato da Harshavarman I nel X secolo in onore di Vishnu.

Ta Keo

3 PHIMEANAKAS Tempio-palazzo costruito da Rajendravarman II nel X secolo e ampliato da Jayavarman VII. È a forma di piramide a tre livelli.


Nel XII secolo, il grande complesso di Angkor accoglieva un centinaio di templi, migliaia di strutture di vario genere e sofisticati impianti idraulici per il controllo delle piogge stagionali e la raccolta d’acqua per uso urbano e agricolo. L’illustrazione a destra mostra i canali e i baray – immensi bacini idrici artificiali – di Angkor.

Campi di riso

Angkor Thom Baray settentrionale

Baray occidentale

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Baray orientale

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Angkor Wat

Baray Roluos

Tonlé Sap Bosco allagato

Campi di riso Campi di riso allagati

STEVE COWDER / NGS

L’ANGKOR IMPERIALE

STENDARDO È probabile che in cima alle torri fossero poste delle aste sulle quali ondeggiavano al vento bandiere di seta con i simboli dell’Impero Khmer.

TORRI Le cinque torri centrali, a forma di fiore di loto, sono in pietra arenaria. Si pensa che fossero rivestite d’oro.

FRONTONI Presentano una fitta decorazione con immagini di divinità, figure femminili, motivi geometrici e vegetali.

Preah Khan

4 TA KEO Eretto da Jayavarman V nel 980 circa in onore di Shiva, ha cinque torri e un’altezza complessiva di 45 metri. È rimasto incompiuto.

5 ANGKOR WAT Opera di Suryavarman II, è il meglio conservato dei templimontagna. L’arte del bassorilievo khmer tocca qui il suo apice.

Bayon

6 PREAH KHAN A pianta cruciforme, questo grande complesso fu edificato da Jayavarman VII e funzionò come monastero e palazzo reale.

7 BAYON Opera di Jayavarman VII, è una delle strutture più straordinarie di Angkor, con i suoi enigmatici volti sorridenti di pietra.


MALATTIE COME LA DENGUE, LA DISSENTERIA E LA LEBBRA FALCIDIAVANO GLI ABITANTI DI ANGKOR ART ARCHIVE

SERPENTE NAGA A SETTE TESTE, XII SECOLO. TEMPIO PREAH KHAN, ANGKOR.

L’ingresso orientale del tempio aveva un ponte dorato con due statue di leoni, anch’esse in oro, e nelle sale inferiori vi era una fila di Buddha, sempre dello stesso prezioso metallo.

Feste e cerimonie Ad Angkor le classi sociali erano distinte attraverso l’uso di vestiti di colore differente. Come mostrano i rilievi dei templi, tutti i Khmer avevano i capelli raccolti in uno chignon e giravano scalzi e a torso nudo. Le classi più umili utilizzavano un panno di cotone legato alla vita, mentre solo il re poteva indossare tessuti ricchi di decorazioni floreali. Uno dei momenti più spettacolari della vita a corte era la celebrazione dell’anno nuovo, a fine ottobre. In quell’occasione, di fronte al palazzo reale, veniva allestito un apparato scenico ornato con lampioncini e fiori. A cento metri di distanza si ergevano strutture di legno su cui si collocavano fuochi d’artificio. All’imbrunire, il re accendeva la miccia e lo spettacolo poteva essere ammirato fino a mezzo chilometro di distanza. Per consolidare l’immagine divinizzata del re, quasi ogni mese veniva celebrata una festività religiosa. Durante il quarto mese lunare si svolgevano dei giochi con la palla. Nel corso del quinto si dava il benvenuto a Buddha portando tutte le statue del regno a palazzo, in modo che potessero essere immerse nel bagno insieme al re. Il settimo mese era quello del primo raccolto, quando i contadini bruciavano il riso presso la porta sud di Angkor Thom come offerta a tutti i Buddha. L’ottavo mese, infine, le ballerine eseguivano a palazzo un ballo chiamato ailan. A questa festa, che durava dieci giorni, partecipavano anche gli ambasciatori stranieri, invitati ad assistere alle lotte tra cinghiali ed elefanti. Fuori dal palazzo, il cuore della città era il mercato, che in un centro con una popolazione compresa tra gli 80.000 e i 150.000 abitanti 140 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

doveva essere assai caotico. Tutti i giorni, dalle sei fino a mezzogiorno, vi si potevano trovare prodotti cambogiani come avorio, corna di rinoceronte, piume di martin pescatore, cera, tamarindo e pepe, ma anche cinesi quali oro, argento, peltro, porcellana, carta, aghi, recipienti di rame e di ferro. Poiché nell’Impero Khmer non esisteva un sistema monetario, i piccoli acquisti si pagavano in riso, prodotti cinesi o tessuti, mentre per quelli di maggior valore si usavano oro e argento. Le donne si occupavano del commercio e al mercato avevano uno spazio deputato per il quale, forse, pagavano una tassa.

La vita quotidiana La vita, ad Angkor, non era però facile. L’esistenza di ospedali ricorda la vulnerabilità di un Paese in cui ancora oggi la dengue (una malattia mortale trasmessa dalle zanzare) miete migliaia di vittime. Anche la dissenteria causava stragi, al pari della lebbra. Il sistema penale era molto rigido. La maggior parte dei casi si risolveva con multe, frustate o la condanna a morte. La pena più comune per i ladri era l’amputazione delle dita o del naso e, se il torto era grave, il colpevole veniva seppellito in una fossa con la testa fuori. Le scommesse e l’adulterio erano proibiti, ma il marito offeso poteva torturare l’amante finché questi non gli avesse concesso i suoi beni. Sia il testo di Zhou Daguan sia i bassorilievi dei templi riferiscono di una società molto attiva nei secoli di fulgore. Ma nel XV secolo, indebolito politicamente e da gravi siccità, l’Impero si sfaldò e nel 1431 Angkor fu conquistata dai Thai. Tutto il complesso venne abbandonato a eccezione di Angkor Wat, che rimase un importante centro di pellegrinaggio buddhista. Al chiasso dei suoi abitanti subentrarono le voci dei mantra buddhisti, fino alla riscoperta della città da parte degli esploratori francesi nel XIX secolo.


PATXI URIZ / FOTOTECA 9X12

JAYAVARMAN VII, IL RE BUDDHISTA Il sovrano riteneva, in quanto buddhista, di dover alleviare le sofferenze del suo popolo. Così fece costruire anche ospedali e ricoveri.

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LA PORTA DELLA POTENZA DIVINA Era la porta nord della Città Proibita. La fotografia è stata scattata dalla Collina del Carbone, un terrapieno artificiale costruito con il materiale di scavo ricavato dai fossati che circondavano il Palazzo imperiale.


HUBER / FOTOTECA 9X12

IL PALAZZO DEL FIGLIO DEL CIELO

LA CITTÀ PROIBITA

Ventiquattro imperatori risedettero per cinque secoli nella “Purpurea Città Proibita” di Pechino, uno dei complessi palaziali più grandi del mondo, dotato di una elaborata simbologia magico-religiosa in ogni suo elemento ALEXANDRA PRATS DOCENTE DI STORIA DELLA CINA E DEL GIAPPONE ALL’UNIVERSITÀ APERTA DELLA CATALOGNA


L AKG / ALBUM

a Città Proibita di Pechino, con i suoi 720.000 metri quadrati di superficie, costituisce uno dei complessi palaziali più grandi e meglio conservati del mondo. È stata la residenza di ventiquattro imperatori, prima appartenenti alla dinastia Ming e in seguito a quella Qing, e ha costituito il centro del potere imperiale cinese per quasi 500 anni.

VASO MING IN PORCELLANA Ai tempi della dinastia Ming la porcellana cinese conquistò le élite europee e divenne un prodotto d’importazione molto ricercato. Su questo vaso campeggia un drago. 1573-1620. 144 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Né la sua costruzione né la sua ubicazione si possono spiegare senza tenere presenti le circostanze legate al regno del suo fondatore, l’imperatore Yongle (1402-1424). Questi era figlio del primo imperatore della dinastia Ming, Hongwu – che aveva espulso la dinastia mongola Yuan dalla Cina –, ma non era il suo erede legittimo. Era solo uno dei suoi 42 figli, al quale, secondo un uso che si sarebbe poi mantenuto per tutta la dinastia, era stato affidato un territorio lontano da Nanjing (Nanchino), la capitale imperiale, per prevenire il rischio di scontri per il trono. Ricevette il principato di Yan, situato vicino alla Grande Muraglia; il suo centro era nell’antica capitale dei Mongoli, Dadu, il cui nome fu cambiato in Beiping (“Pace del Nord”). Il governo di tale territorio conferiva a Yongle un enorme potenziale militare, poiché gli consentiva di controllare gli eserciti che dovevano mantenere la pace alla frontiera settentrionale con i Mongoli. L’erede legittimo di Hongwu morì prima di quest’ultimo, il cui successore fu quindi il nipote Jianwen (1398-1402), un giovinetto che, per difendersi, cercò presto di limitare il potere dei suoi zii, tra i quali Yongle. Oltraggiato e trattato ingiustamente, questi decise di dichiarare guerra al nipote, occupò Nanjing, fece incendiare i palazzi con la famiglia imperiale al loro interno e si proclamò imperatore. Poco dopo cambiò il nome alla sua città: la chiamò Beijing, “Capitale del Nord”, in contrapposizione a Nanjing, “Capitale del Sud”, e nel 1406 iniziò la costruzione di un nuovo palazzo imperiale in quella che da quel momento fu la nuova capitale cinese. Yongle trasferì la capitale a Beijing (Pechino)

per diversi motivi: da una parte, Nanjing era stata distrutta; dall’altra, era necessario controllare i Mongoli da vicino. Ma la ragione fondamentale di questo cambiamento fu che il potere di Yongle era legato ai suoi domini del nord; il nuovo imperatore diffidava dei funzionari del sud, ancora leali al sovrano precedente, che si diceva fosse ancora vivo.

Costruzioni in tempo record La costruzione del Palazzo imperiale avvenne dal 1406 al 1421, un periodo di tempo molto breve per un’opera così imponente. Ciò fu possibile perché l’imperatore mobilitò un milione di operai e circa centomila artigiani. Il complesso lavoro fu coordinato dal Ministero delle Opere Pubbliche e della Giustizia, incaricato di ricollocare le migliaia di famiglie giunte da Nanjing, Shanxi e Zhejiang nei pressi della nuova capitale per procurarsi cibo, oltre che di mobilitare le centinaia di migliaia di galeotti assegnati al trasporto di materiali e ai lavori di costruzione. Si sa poco invece degli architetti; l’unico di cui abbiamo notizia è l’eunuco vietnamita Nguyen An. La nuova capitale, che doveva riflettere la grandezza dell’imperatore, si trovava a sud dell’antica sede dei Mongoli e fu organizzata in rettangoli concentrici: al centro fu costruita la Purpurea Città Proibita (Zijincheng); intorno a questa e da questa separata per mezzo di un muro c’era la Città Imperiale (Huangcheng). Tale struttura ereditò più di 2000 anni di tradizione architettonica: già sotto l’antica dinastia Zhou (1045-256 a.C.) ogni regno aveva una capitale cinta da mura, al cui interno di solito altre mura circondavano il palazzo.


BEST VIEW STOCK / AGE FOTOSTOCK

PALAZZO DELLA SUPREMA ARMONIA In esso si trova il trono imperiale. Era fatto interamente di legno, come tutta la Città Proibita, ed è il maggior edificio di tutto il complesso, con i suoi 2377 m2 di superficie e i suoi 35 m di altezza.


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LA GRANDE MURAGLIA CINESE Fu costruita per difendere la Cina dai nomadi del nord. In realtà, non riuscì mai a svolgere con efficacia il suo ruolo di deterrenza e di argine alle invasioni.

Il nome di “Purpurea Città Proibita” si deve al fatto che la gente comune non poteva accedervi, e che l’imperatore era paragonato alla Stella Polare – in cinese, “Costellazione Purpurea Luminosa” – in quanto punto immobile nel firmamento intorno a cui tutto gira. Anche per questo motivo, il palazzo e la città si orientano sempre verso nord, dato che questa è la direzione segnata dalla Stella Polare.

Costruzioni di legno Gli elementi costruttivi utilizzati mantengono anche la continuità con una tradizione architettonica precedente alla nostra era. Gli edifici importanti si ergono su una piattaforma che li eleva sopra il resto e si basano su grandi colonne di legno, generalmente di nanmu, un albero simile al cedro. La maggior parte di questo legno proveniva dalla lontana provincia di Sichuan ed era trasportata attraverso 146 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

il fiume Yangzi e il Gran Canale, ricostruito da Yongle per facilitare l’arrivo dei rifornimenti alla capitale. Questa predilezione per il legno caratterizza tutta l’architettura cinese. Si tratta di un materiale forte, leggero, facile da trasportare via acqua e adatto a essere tagliato in forme e misure standard. Di fatto, l’uniformità della struttura architettonica di tutto il complesso palaziale si basa sull’utilizzo di un modulo unico (jian) a pianta rettangolare, e tutti i tetti si sostengono su di un sistema di impalcature di legno (dougong) realizzato partendo da pezzi standard che si incastrano alla perfezione. Da un punto di vista decorativo, le pareti esterne e le colonne sono dipinte di rosso, e il tocco di colore è dato dalle travi e dalle mensole su cui si appoggiano, decorate con disegni nei quali predominano il blu e il verde. I tetti a capanna sono fatti di tegole di cerami-


CARTOGRAFIA: EOSGIS

Territori dei Ming alla fine del XVI secolo Zone di espansione dei Ming hu a

Coste battute dai pirati giapponesi Fiu

Capitali dei Ming Città grandi

m

Jurchen (Manciù) Hunchun

Karakorum

Grande Muraglia

Shenyang (Mukden)

Campagne militari dei Ming

Tartari Calmucchi

Invasioni giapponesi, manciù e di altri popoli della steppa

Jinzhou

Osaka

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Anxi

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Jinan

Mar Giallo

Ningxia

Langzhou

Xi’an (Chang’an)

Mar cinese orientale

Ningbo Wuchang

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Tibet

Nanjing (Nanchino) (1368 - 1406)

Hefei

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Hangzhou

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Chengdu

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Keelung

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Myanmar

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Xiamen (Amoy) Taiwa

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Giappone

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Beijing (Pechino) (1406-1644)

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Mar del Giappone

Corea

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Tartari Calmucchi

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Thang Long (Hanoi)

Laos

Guangzhou (Canton)

Aomen (Macao, portoghese dal 1557)

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Fort Zeelandia (presenza olandese 1624-1662)

Mar cinese meridionale

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Manila (fondata dagli Spagnoli nel 1571)

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IL VASTO IMPERO MING tnam erano il preludio alle ingenti spedizioni marittime dei Ming, che percorsero l’Oceano Indiano fino in Africa e alla Mecca. Dopo Yongle, l’Impero rinunciò all’espansione e rimase sulla difensiva. Gli attacchi di Mongoli e Manciù e, già nel XVI secolo, dei pirati giapponesi, indebolirono i Ming, che nel 1644 furono sostituiti dalla dinastia Qing, detta anche dinastia Manciù, che governò la Cina fino al 1912. UN GENERALE E UN ALTO FUNZIONARIO CIVILE DELLA DINASTIA MING. AKG / ALBUM

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ONDATA NEL 1368, la dinastia Ming ebbe un inizio di forte espansione, basato su importanti lavori d’irrigazione, riforestazione e ripopolamento, e sull’appoggio ai piccoli contadini contro i latifondisti. L’imperatore Yongle (1402-1424) stabilì la capitale a Beijing, dove eresse la Città Proibita. Rafforzò la Grande Muraglia per proteggere la nuova sede della corte e ricostruì il Gran Canale per approvvigionarla, mentre le guerre conto il Vie-


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L’ESAME DI FRONTE AL SOVRANO

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Il complesso sistema di esami per accedere alle più alte cariche di funzionari culminava con la prova che si svolgeva nella Città Proibita.

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BRIDGEMAN / INDEX

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BRIDGEMAN / INDEX

CONFUCIO COME MANDARINO Le conversazioni del filosofo con i discepoli, raccolte nei Dialoghi, erano tema di studio per gli aspiranti funzionari. XIX secolo. Musée Guimet, Parigi.

ca verniciata di giallo, un colore associato all’imperatore, tranne che nella biblioteca, dove si usano piastrelle nere, dato che il nero simboleggia l’acqua, come elemento protettivo contro gli incendi, e nella residenza dei figli piccoli dell’imperatore, dove sono verdi per l’associazione di tale colore alla crescita.

Il recinto esterno La Città Proibita si struttura a partire da un asse sud-nord sul quale si posizionano i principali edifici del complesso; a destra e sinistra di questo asse, in modo simmetrico, si dispongono gli edifici secondari. Secondo la tradizione è formata da 9999 stanze, un numero allegorico, in quanto il numero 9 è simbolo del supremo e della longevità, e il numero 10.000 rappresenta la totalità. A ogni modo, se teniamo presente che i Cinesi considerano una stanza lo spazio tra quat-

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1 La Città Proibita. L’Esame di Palazzo aveva luogo nella sala della Preservazione dell’Armonia. 2 Presieduto dall’imperatore. Il sovrano assisteva all’esame, introdotto nel X secolo in sostituzione di una prova di abilità organizzata dai ministri. 3 Supervisori e correttori. L’imperatore si serviva di otto correttori con i quali si riuniva al termine della prova per stabilire i voti di ogni candidato. 4 Svolgimento dell’esame. I candidati dovevano comporre un saggio, strutturato in otto parti, su un passo di un’opera scelta tra i classici cinesi. 5 I risultati. Dopo aver consegnato la prova d’esame, gli aspiranti attendevano la pubblicazione ufficiale dei risultati, in una cerimonia presso il Palazzo imperiale.

tro pilastri, il numero reale di “stanze” si approssimerebbe davvero a 10.000. L’accesso alla Città Proibita da sud si effettua attraverso l’imponente porta di Mezzogiorno (Wumen), una costruzione a forma di “U” rovesciata di 35 metri di altezza sormontata da una tribuna dalla quale l’imperatore presiedeva le cerimonie, riceveva i generali vittoriosi e puniva gli alti funzionari caduti in disgrazia. L’attraversano cinque ingressi, tre nella facciata principale e due laterali. Nella facciata principale, l’ingresso centrale poteva essere utilizzato solo dall’imperatore, dall’imperatrice il giorno delle nozze oppure da coloro che primeggiavano negli esami imperiali di rango superiore; le altre due venivano usate solo da ministri e da alti funzionari. Dalle porte laterali passavano invece le persone di condizione sociale inferiore. Dopo aver attraversato la porta, si arriva a


TOÑO LABRA / AGE FOTOSTOCK

LO SCENARIO DEL POTERE Basamenti di marmo su cui si ergevano le Tre Sale della Città Proibita. Le teste di drago poste alla loro base servivano per far defluire l’acqua piovana.


LA GRANDE RESIDENZA IMPERIALE

11 Sala dell’Unione Celeste e Terrestre. Era la sala del trono dell’imperatrice, dove ella riceveva le concubine nelle grandi celebrazioni annuali.

Muraglia e fossato. Il complesso imperiale è circondato da una muraglia di 12 m di altezza e da un grande fossato di 50 m di larghezza.

12 Palazzo della Tranquillità Terrestre. Qui si trovavano i figli dell’imperatrice. Lei e il sovrano trascorrevano qui la prima notte di nozze.

3 Dépendance degli eunuchi. Con la dinastia Ming, gli eunuchi acquisirono un’influenza crescente nelle questioni di Stato.

13 Giardino imperiale. Con una superficie di circa 7000 m2, accoglie padiglioni, stagni, colline artificiali, alberi esotici...

4 Fiume delle Acque d’Oro. A seconda del grado e delle funzioni, i servitori dell’imperatore vi passavano sull’uno o l’altro dei suoi 5 ponti.

14 Sala della Pace Imperiale. In questo tempio taoista gli ultimi imperatori Ming si esercitavano in arti come l’alchimia o la divinazione.

5 Porta dell’Armonia Suprema. Dà accesso a un cortile di 30.000 m2, circondato da gallerie destinate a magazzini imperiali.

15 Porta della Potenza divina. Di fronte a essa, fuori dalle mura, si trova la Collina del Carbone, dove s’impiccò l’ultimo imperatore Ming.

6 Sala dell’Armonia Suprema. Al suo interno il sovrano presiedeva le grandi cerimonie: il suo anniversario, l’arrivo dell’anno nuovo ecc.

16 Sala dell’Educazione mentale. I sovrani si ritiravano qui per dedicarsi allo studio o per praticare l’arte della calligrafia e della pittura.

7 Sala dell’Armonia Perfetta. L’imperatore preparava qui le suppliche rituali prima di compiere i sacrifici annuali.

17 Sei Palazzi Occidentali. In questo complesso, completamente restaurato nel XIX secolo, risiedevano le concubine imperiali.

8 Sala della Preservazione dell’Armonia. Accoglieva atti pubblici come gli esami degli alti funzionari e banchetti in onore di dignitari stranieri.

18 Parete dei Nove Draghi. Di 4 x 30 m, è decorata con piastrelle che rappresentano nove draghi tra le onde del mare.

9 Porta della Purezza Celeste. Dava accesso al Palazzo Esterno e al Palazzo Interno, residenza ufficiale della famiglia imperiale.

19 Palazzo della Tranquilla Longevità. Costruito nel corso del XVII secolo, le sue mura preservavano l’intimità degli imperatori.

10 Palazzo della Purezza Celeste. Ospitava le stanze dell’imperatore. Nel XVIII secolo gli venne assegnato un uso amministrativo.

20 Palazzo dell’Astinenza. I sovrani si ritiravano in quest’area per compiere il digiuno prima di celebrare diversi riti annuali.

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ATTA ERIGERE DA YONGLE, terzo sovrano della dinastia Ming, il quale ascese al trono imperiale dopo diversi anni di lotta, la Città Proibita costituì la residenza imperiale e la sede della corte fino all’abdicazione di Puyi, l’ultimo imperatore della dinastia Qing, nel 1912, in base agli accordi firmati con i capi della Rivoluzione cinese del 1911 e la successiva fondazione della Repubblica cinese. La sua pianta corrispondeva ad antichi principi religiosi e magici: orientata da sud a nord e organizzata a forma di un reticolato, il suo ordine voleva riflettere quello dell’universo stesso. Al centro si trovava il trono dell’imperatore, intermediario tra il Cielo e la Terra, alla cui persona veniva associata la Stella Polare, intorno alla quale girano tutte le altre stelle del firmamento. Allo stesso modo, la Città Proibita si struttura intorno allo spazio centrale occupato dalle Tre Sale: la sala della Preservazione dell’Armonia, la sala dell’Armonia Perfetta e la sala dell’Armonia Suprema, dove si trova il trono imperiale. Un rigido protocollo regolava l’accesso ai diversi spazi del complesso circondato da mura, che era in ogni caso assolutamente interdetto agli appartenenti alla classe popolare.

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LEONE O CANE FOO NELLA CITTÀ PROIBITA. QUESTI ANIMALI MITICI CUSTODIVANO PALAZZI, TEMPLI E TOMBE.

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1 Porta di Mezzogiorno. La Città Proibita ha quattro porte che si aprono ai quattro punti cardinali; questa ha un’altezza di 35 m.


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IL TRONO DEL FIGLIO DEL CIELO Si trova nella sala dell’Armonia Suprema. Sul trono e sulle colonne sono posti draghi, un simbolo imperiale; sempre associati all’acqua, questi esseri proteggono dal fuoco, la minaccia maggiore per gli edifici di legno.


ART ARCHIVE

UNA CITTÀ AFFASCINANTE Questo delicato dipinto su seta, opera di Zhu Bang e datato intorno al 1500, mostra la Città Proibita settant’anni dopo la morte del suo fondatore, Yongle. British Museum, Londra.

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un’ampia spianata attraverso la quale serpeggia in direzione ovest-est il Fiume delle Acque d’Oro (Jinshui), un canale artificiale che scorre lungo il margine occidentale del complesso e in questo cortile lo attraversa verso est. Secondo le regole della geomanzia (la divinazione a partire da segni sulla superficie terrestre), il luogo ideale di una città deve includere un fiume che presenti queste caratteristiche, in quanto possiede la proprietà di trascinare le energie negative verso l’esterno. Seguendo la stessa tradizione, il nome fa riferimento all’origine occidentale di questa corrente d’acqua, poiché l’oro è l’elemento proprio di questo punto cardinale. Lo attraversano cinque ponti di marmo bianco, sopra i quali vigono le stesse regole gerarchiche della Porta del Mezzogiorno. All’altra estremità della spianata si erge la porta dell’Armonia Suprema, che finalmente dà

accesso agli spazi pubblici del palazzo. Qui l’imperatore riceveva i dignitari stranieri, offriva banchetti ufficiali e, durante la dinastia Ming, svolgeva quotidianamente i suoi compiti insieme ai ministri. Poi si erge l’imponente complesso delle Tre Sale, situato su un triplo basamento di marmo con balaustra, di 230 metri di lunghezza, che gira intorno ai tre edifici e discende fino al livello del cortile attraverso dodici scale e due rampe su cui sono stati intagliati draghi e perle. La prima sala, quella dell’Armonia Suprema (Taihedian), compiva le funzioni di sala del trono ed era riservata alle cerimonie più solenni dell’Impero: incoronazione dell’imperatore, nozze reali, Anno Nuovo, solstizio d’inverno o anniversario dell’imperatore. Nessun edificio in tutto il Paese poteva essere più grande di questo, perché nulla poteva superare il potere imperiale. Esso è inoltre


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LA MURAGLIA ESTERNA Un’enorme muraglia rettangolare protegge e isola la Città Proibita. In ognuno dei suoi quattro angoli si erge un padiglione come quello dell’immagine, con il colore rosso che domina sugli altri.


NELLA CITTÀ PROIBITA, FATTA DI LEGNO, NON CI SONO CAMINI PER EVITARE IL RISCHIO DI INCENDI

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l’unico protetto da dieci statuette di animali mitici in ogni angolo del tetto. La sua decorazione principale sono i draghi, simbolo dell’imperatore, che coprono il tetto, le colonne e il trono, e raggiungono un totale di 13.844, anche se all’esterno troviamo ulteriori elementi allegorici, come le tartarughe e le gru che rappresentano la longevità. La sala successiva, quella dell’Armonia Perfetta (Zhonghedian), è la più piccola delle tre. Era concepita come uno spazio di riposo per l’imperatore, nel quale riceveva persone di totale fiducia e si preparava prima della celebrazione dei riti e delle cerimonie. La terza sala è quella della Preservazione dell’Armonia (Baohedian), destinata alla celebrazione degli esami imperiali di livello superiore, da cui uscivano i più alti funzionari dell’Impero. Si nota ovunque la presenza di enormi orci che conservano resti di doratura. Funzionavano come riserve di acqua in caso d’incendio e in inverno venivano coperti con panni di cotone imbottito ed erano scaldati alla base per evitare che il liquido congelasse. Queste misure preventive sono normali in una cultura che utilizza il legno come principale materiale da costruzione e nella quale si verificano periodicamente incendi. Malgrado le accortezze, le Tre Sale bruciarono sei volte sotto le dinastie Ming e Qing. Questo spiega anche perché nella Città Proibita non vi siano camini; il sistema di riscaldamento era infatti sotterraneo e veniva integrato con bracieri quando era necessario. I nomi dati alle diverse sale del palazzo sono generalmente collegati a concetti come la pace, l’armonia o la tranquillità, e il loro nome compare sempre scritto sulla facciata di ogni edificio, in modo che la lettura ripetuta possa essere considerata un buon augurio. Intorno a questi spazi monumentali, che co-

HARVEY LLOYD / GETTY

DEA / ALBUM

DIVINITÀ. STATUETTA DI EPOCA MING, MUSEO DI ARTE CINESE, PARMA.

stituivano il cuore pulsante politico e simbolico dell’Impero, si susseguono aree amministrative, rituali e di servizio, tra le quali risaltano il palazzo dell’Eminenza militare e il palazzo della Gloria letteraria.

Il recinto interno Seguendo l’asse sud-nord si arriva agli alloggi dell’imperatore e delle sue consorti: il Palazzo Interno, al quale si accede attraverso la porta della Purezza Celeste (Qianqingmen). Al suo interno, tre edifici costituiscono una replica in scala ridotta del complesso esterno. Il principale è il palazzo della Purezza Celeste (Qianqinggong), residenza del Figlio del Cielo durante la dinastia Ming e parte della Qing, in quanto a partire da Yongzheng (1722-1735) la sede imperiale si trasferì nella sala dell’Educazione mentale. Al suo interno c’erano 9 stanze e 27 letti, in modo che nessuno potes-


REGNARE DA DIETRO UNA TENDA

S

OLO UN’IMPERATRICE CINESE regnò co-

me sovrana: Wu Zetian (690-705). Tuttavia, alla fine della dinastia Qing ci fu una donna che non occupò direttamente il trono, ma che “regnò da dietro una tenda”; l’ambiziosa imperatrice Cixi. Nel 1861, alla morte dello sposo, l’imperatore Xianfeng, Cixi riuscì a disfarsi di tutti i consiglieri imperiali e a prendere il potere come reggente di suo figlio di sei anni, Tongzhi (1856-1875). Questi occupava il trono durante le udienze imperiali, ma alle sue spalle, celata da una tenda di seta gialla, Cixi ascoltava le relazioni e prendeva le decisioni. Alla maggior età dell’imperatore, Cixi dovette cedergli momentaneamente il potere, ma un anno dopo, improvvisamente, Tongzhi morì. Ella pose allora al suo posto un suo nipote di quattro anni, Gaungxu. Cixi continuò a “governare da dietro la tenda” e, quando Guangxu diventò maggiorenne, lo tolse di mezzo facendolo mettere agli arresti domiciliari.

DRAGO CON CINQUE ARTIGLI, SIMBOLO DELL’IMPERATORE. PARETE DEI NOVE DRAGHI NELLA CITTÀ PROIBITA. XVIII SECOLO.

se sapere in quale letto sarebbe andato a dormire l’imperatore ogni notte. Le altre due costruzioni sono la sala dell’Unione Celeste e Terrestre (Jiaotaidian), in cui si rendeva omaggio all’imperatrice nel giorno del suo compleanno e in altre feste, e il palazzo della Tranquillità Terrestre (Kunninggong), residenza dell’imperatrice sotto la dinastia Ming e camera nuziale con la dinastia Qing. Intorno a queste tre costruzioni si distribuiscono i Sei Palazzi Occidentali e i Sei Palazzi Orientali, destinati alle spose, alle concubine e ai figli; e in fondo si estendono i giardini imperiali. Questa combinazione del 3 e del 6 non è casuale, ma deve essere intesa come una rappresentazione grafica del trigramma qian (cielo) e del trigramma kun (terra). Infine, sul lato est si nota un ultimo importante complesso, il palazzo della Tranquilla Longevità (Ningshougong), che si può consi-

derare una piccola “Città Proibita dentro la Città Proibita”. Fu costruito dall’imperatore Qianlong (1735-1799) come luogo di ritiro dopo la sua abdicazione, dopo sessanta anni di regno, e più tardi sarebbe stato usato dall’imperatrice Cixi, nel XIX secolo. Nei suoi giardini si trova il tristemente noto “pozzo di Zhen”, dentro il quale Cixi fece gettare la sposa favorita dal nipote, l’imperatore Guangxu, come punizione per l’aiuto da lei offerto al sovrano nel suo tentativo di riforma politica del Paese. Il complesso rimane chiuso a nord dalla porta della Potenza Divina (Shenwumen), dove si trovano la campana e il tamburo che scandiscono l’inizio e la fine della giornata. Al di là della porta si erge la cosiddetta “Collina del Carbone”, creata artificialmente con la terra estratta dal fosso che circonda la Città Proibita, e che costituisce il miglior punto panoramico per contemplare l’intero complesso. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ORONOZ / ALBUM

I LIBRI DEI MAYA Uomini e divinità si mescolano in questa scena raffigurata nel codice Trocortesiano, conservato nel Museo de América, a Madrid. È uno dei tre codici maya esistenti al mondo.


PER SAPERNE DI PIÙ AMERICA SAGGI

Le civiltà dell’America precolombiana. Friedrich Katz Mursia Editore, 2008. Il rovescio della conquista. Testimonianze azteche, maya e inca. Miguel León Portilla, Adelphi, 1994.

TIKAL, PIRAMIDI NELLA FORESTA SAGGI

Maya e Aztechi. Antonio Aimi, Mondadori Electa, 2008. La civiltà maya. Ericj J. Thompson, Einaudi, 2006. Tikal: The Center of the Maya World. Elizabeth Mann, Tom McNeely, Mikaya Press, 2002 ROMANZI

Tikal, l’apocalisse dei Maya. Daniel Peters, Rizzoli, 2010. INTERNET

http://www.parque-tikal/ archaeology.htm

TENOCHTITLÁN, LA CAPITALE DEGLI AZTECHI SAGGI

La civiltà azteca. George C. Vaillant, Einaudi, 2000. Gli Aztechi tra passato e presente. Alessandro Lupo, Leonardo Lopez Lujan, Luisa Migliorati, Carocci, 2006 ROMANZI

L’azteca. Colin Falconer, Piemme, 2001. INTERNET

http://www.templomayor. inah.gob.mx

MACHU PICCHU, UN ENIGMA ARCHEOLOGICO SAGGI

Gli Inca. Catherine Julian, Il Mulino, 2000. TESTI

La città perduta degli Inca. Hiram Bingham, Newton Compton, 2001. INTERNET

http://panoramas.pe/ machupicchu100.html

Templi dell’antico Egitto. Richard H. Wilkinson, Istituto Poligrafico dello Stato, 2007. I tesori nascosti dell’antico Egitto. Zahi Hawass, White Star, 2005. ROMANZI

La battaglia di Tebe. Naguib Mahfuz. Newton Compton, 2009. INTERNET

MEDITERRANEO SAGGI

Haou-Nebout. I popoli del mare. Widmer Bemi, Antonella Chiappelli, Pendragon, 2008. Storia del mare. John Mack, Odoya, 2012. I Micenei. Archeologia, storia, società dei Greci prima di Omero. Massimo Cultraro, Carocci, 2006. I Fenici fra Oriente e Occidente. Enrico Acquaro, Silvana editoriale, 2003. Fenici e Cartaginesi in Sardegna. Sabatino Moscati, Ilisso, 2005. TESTI

I tesori di Troia. Gli scavi di Schliemann a Troia, Micene, Tirinto. Heinrich Schliemann, BUR (Rizzoli), 1995 INTERNET

http://phoenicia.org

TEBE, LA CITTÀ SACRA DI AMON SAGGI

I tesori di Luxor e della Valle dei Re. Kent R. Weeks. White Star, 2009.

http://whc.unesco.org/en/ list/87/

TROIA, MITO E REALTÀ DELLA CITTÀ OMERICA SAGGI

La guerra di Troia. Barry Strauss. Laterza, 2009.

ASIA ORIENTALE SAGGI

Storia della Cina. Mario Sabattini, Paolo Santangelo, Laterza, 2010. Storia del Giappone. Kenneth G. Henshall, Mondadori, 2005. ROMANZO

Shogun. James Clavell, Bompiani, 2005.

ANGKOR, LA CAPITALE DELL’IMPERO KHMER SAGGI

Angkor. Fasto e splendore dell’Impero khmer. Marilia Albanese. White Star, 2002.

TESTI

La scoperta di Troia. Heinrich Schliemann, BUR (Rizzoli), 1995.

Angkor. Un mondo perso nel tempo. Claudio Bussolino, Polaris, 2004.

Iliade. Omero, Einaudi, 2005.

Angkor. Tiziano Terzani, Liaison, 2009.

ROMANZI

INTERNET

INTERNET

LA CITTÀ PROIBITA, IL PALAZZO DEL FIGLIO DEL CIELO

Il canto di Troia. Colleen McCullough, Superbur (Rizzoli), 2003. http://www.cerhas.uc.edu/ troy/

PETRA, LA CITTÀ SCOLPITA NELLA ROCCIA

www.theangkorguide.com http://

SAGGI

Il mondo cinese Jacques Gernet, Einaudi, 1978.

TESTI

Viaggio in Giordania. Johann Ludwig Burckhardt, Cierre Edizioni, 1994.

Un gesuita nella città proibita. Matteo Ricci, 1552-1610. R. Po-Chia Hsia. Il Mulino, 2012.

SAGGI

TESTI

INTERNET

INTERNET

Petra. Splendori della civiltà nabatea. Francesca Ossioro White Star, 2009. http://www. petranationalfoundation.org

Tales of the Forbidden City. Cheng Qinhua. Foreign Languages Press, Pechino, 1997. http://www.dpm.org.cn/ index16801050.html STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL CIELO IN UNA TOMBA EGIZIA La volta di uno dei corridoi della tomba di Ramses VI, nella Valle dei Re, è decorata con una scena del viaggio celeste del dio del sole Ra. Al centro compare il serpente protettore del sole. 160 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


ARALDO DE LUCA STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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