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LA SIGNORA DEI MARI Questa miniatura dal Libro delle meraviglie, di Marco Polo (1400), raffigura il porto di Venezia nel corso del Medioevo, quando la città divenne l’emporio commerciale più importante e potente del Mediterraneo. Bodleian Library, Oxford.
ORONOZ / ALBUM
CITTÀ MEDIEVALI
UNA VIVACE CITTÀ ANSEATICA L’acquerello, opera di un pittore anonimo del XVI secolo, ricrea l’attività marittima nel porto della città tedesca di Stralsund, sul Baltico. Nella scena si vedono navi cariche di merci provenienti dalle numerose città che formavano l’Hansa. Stadtarchiv, Stralsund.
10 L’era delle cattedrali Le città medievali crebbero attorno alle loro cattedrali gotiche, che erano luoghi di culto, tribunali, punti di ritrovo e scenari di spettacoli profani
26 Il cammino di Santiago Migliaia di pellegrini percorsero l’Europa per venerare i resti dell’apostolo Giacomo, dando impulso alla vita urbana in Spagna
40 Siviglia Adagiata sulle rive del Guadalquivir, nel Sud della Spagna, Siviglia fu una città strategica e vitale sia in epoca islamica sia cristiana
52 Londra Splendide case e sporchi tuguri si concentravano in una bella e caotica città, il cui passato medievale fu distrutto dall’incendio del 1666
62 Bruges Sul finire del Medioevo la città belga divenne la capitale commerciale e finanziaria non solo delle Fiandre ma dell’intera Europa
74 Parigi Il vescovo Maurice de Sully volle erigere la chiesa più grande della cristianità: sorse così la cattedrale di Notre-Dame, simbolo di Parigi 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
AKG / ALBUM
90 Firenze L’epoca in cui visse Dante fu la fase di maggiore espansione territoriale ed economica di Firenze, preludio al Rinascimento
102 Pisa La Repubblica di Pisa dominò sul Mediterraneo, ma il suo scontro con Genova e Firenze portò al declino e alla perdita della sua indipendenza
114 La Lega anseatica La Lega anseatica nacque nel XIII secolo come una grande alleanza per tutelare gli interessi mercantili ed economici delle città germaniche
124 Praga Re di Boemia e imperatore, Carlo IV trasformò Praga, la capitale dei suoi domini, in una delle più splendide città d’Europa
IL CANALE ROZENHOED, UNO DEI LUOGHI PIÙ SUGGESTIVI DELLA CITTÀ BELGA DI BRUGES. FOTO: JOSE FUSTE RAGA / CORBIS / CORDON PRESS
134 Le capitali russe Dal IX secolo lo sconfinato territorio russo si aggregò attorno alla città di Novgorod, poi soppiantata nel ruolo di capitale da Kiev e Mosca
146 Città islamiche Nei territori conquistati dall’Islam fiorirono città nelle cui vie scorreva un’animata vita commerciale, alimentata dai bazar o dai mercati STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL CENTRO DELLA CRISTIANITÀ Notre Dame venne concepita per essere il tempio più grande e importante della cristianità. La cattedrale parigina è presente nell’immagine, che raffigura i demoni scacciati da Dio. Libro delle Ore di Etienne Chevalier (XV secolo), di Jean Fouquet.
LA RINASCITA DELLE CITTÀ
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ortemente ridimensionate con la fine dell’Impero Romano, le città europee tornarono ad avere un ruolo di primo piano nella vita civile, economica e culturale in seguito alla “Rinascita dell’anno Mille”. Fu questa una conseguenza della rivoluzione agricola, favorita dalla mitigazione del clima (il Periodo caldo medievale, 700-1200) e da nuovi attrezzi e tecniche, come l’aratro pesante, con il quale furono impiegati per la prima volta animali da tiro, la rotazione delle colture, i mulini per l’industria tessile e la fabbricazione della carta. L’industria tessile, in particolare, registrò una crescita esponenziale nelle Fiandre e in Italia settentrionale, portando alla costituzione delle corporazioni: la classe non aristocratica influì sempre più non solo sull’economia, ma anche sulla politica e sulla cultura. Altro evento cruciale fu la nascita delle università: nel 1088 venne fondata l’Università di Bologna, quale prima scuola laica organizzata dagli stessi studenti, che offrivano insegnamenti permanenti agli studiosi itineranti (i clerici vagantes). Seguiranno quelle di Oxford (1167), Parigi (1208 circa), Cambridge (1209), Salamanca (1218), Montpellier (1220), Padova (1222), Napoli (1224), prima Università fondata da un imperatore (Federico II di Svevia). Si consolidarono così lo sviluppo e la trasmissione del sapere non più legato alle scuole ecclesiastiche e svincolato dall’autorità della Chiesa. Nel campo dell’arte si assisté a un’altra profonda trasformazione: nel 1136 l’abate Suger, consigliere dei re francesi, ricostruì la chiesa di SaintDenis, presso Parigi, con uno stile architettonico nuovo che prenderà poi il nome di gotico. Lo stile è caratterizzato da archi acuti, nervature nelle volte e archi rampanti per scaricare il peso delle parti superiori, grandi vetrate multicolori con scene della Bibbia. Il gotico fu poi reinterpretato nel XIII secolo in Italia da Nicola Pisano (Battistero di Pisa, Duomo di Siena), analogamente a quanto fece il suo contemporaneo Giotto nella pittura, sviluppando un’immagine umanizzata dell’uomo e del suo ambiente terreno che si distaccava dalla sacralità trascendente dell’arte europea. In sintesi, si verificò una trasformazione epocale, che vi raccontiamo in queste pagine. Giorgio Rivieccio
JAVIER LARREA ROA / AGE FOTOSTOCK
LA MOSCHEA DI CORDOVA Questo magnifico edificio venne realizzato dal 785 per ordine del califfo Abderraman I. Con i suoi 13.400 metri quadri e il suo immenso bosco di colonne divenne la seconda moschea piĂš grande del mondo islamico, superata solo da quella de La Mecca, oltre che un simbolo della grandezza del califfato omayyade di Cordova. 8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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UN INSOLITO ARCO A FORBICE La cattedrale di Wells, in Inghilterra, fu costruita fra il 1175 e il 1490 in stile gotico inglese. È celebre per l’insolita struttura ad archi contrapposti che, nella navata centrale, regge l’imponente torre di crociera.
L’EUROPA GOTICA
L’ERA DELLE CATTEDRALI Le città medievali crebbero attorno alle loro cattedrali gotiche. Costruite secondo una complessa simbologia, queste chiese erano, al tempo stesso, luoghi di culto, tribunali, punti di ritrovo della cittadinanza e scenari di spettacoli profani COVADONGA VALDALISO DOCENTE DI STORIA MEDIEVALE
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uando qualcuno varcava per la prima volta le porte di una città medievale, comprendeva immediatamente di essere entrato in una realtà diversa da quella che si era lasciato alle spalle. Non era solo la vista a segnalarglielo, spiazzata dal frettoloso viavai di gente che giungeva da ogni dove; anche l’olfatto e l’udito avvertivano sensazioni nuove. Nelle città medievali aleggiava a ogni ora un odore penetrante di fumo, carbone, cibo, immondizia, pane, erbe aromatiche. Le vie erano di terra e fango, le case addossate le une alle altre; c’erano tratti di strada tanto stretti che la luce vi filtrava a malapena. Sui lati dei vicoli, sotto le abitazioni, si susseguivano osterie e taverne, botteghe e laboratori. Era tutto un vociare di negozianti e clienti, ma il maggior frastuono proveniva dalla piazza del mercato, dove alle grida dei venditori si sommavano il chiacchiericcio della gente, lo schiamazzo delle galline, i muggiti del bestiame. La città, poteva essere Londra, Parigi o Bruges, non faceva differenza; l’assetto urbano era sempre lo stesso, con una cinta muraria che delimitava un abitato su cui, immancabile, svettava la cattedrale.
RAMON MANET / ALBUM
La cattedra del vescovo
IL CROAT DI BARCELLONA Questa rara moneta in argento, coniata nel 1285 da Pietro III d’Aragona, era la valuta di Barcellona, città che, nel Medioevo, fu tra i maggiori porti del Mediterraneo.
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Nel Medioevo ogni città aveva una cattedrale, e la cattedrale era il cuore di ogni città. Un centro urbano non si distingueva per le dimensioni o il numero di abitanti, ma perché ospitava un vescovado. E la cattedra, ovvero il seggio dal quale il vescovo amministrava la propria diocesi, aveva sede nella cattedrale. Quest’organizzazione territoriale della Chiesa, con grandi diocesi facenti capo a un vescovado situato in ambito urbano, era un’eredità del sistema amministrativo romano, e secondo molti studiosi fu un fattore-chiave nella nascita delle città medievali. Nel IV secolo, quando l’Impero romano cominciò a decadere, i centri urbani si spopolarono, abbandonati da una massa di brac-
cianti e artigiani che, trasferendosi in campagna, speravano di ottenere più cibo e sicurezza. Solo le città vescovili fecero eccezione: al loro interno, la vita sociale si riorganizzò attorno alla figura del vescovo, che sostituì le autorità imperiali e provvide a difendere l’abitato cingendolo con mura fortificate. Con il tempo, lo spazio entro le mura andò riducendosi, poiché il numero delle case aumentava e i blocchi di pietra ricavati dalla demolizione dei vecchi edifici venivano reimpiegati in nuovi palazzi. Le vie si fecero più strette e non fu più possibile rispettare il modello urbanistico romano, con le sue strade ad angolo retto e gli isolati rettangolari. Fu così che dalla città antica si passò a quella medievale, proprio mentre in Occidente si apriva una nuova fase di urbanizzazione.
Un film che si ripete Se assistessimo a un film in cui si descrivono la nascita e lo sviluppo di una città medievale, la storia narrata sarebbe quasi sempre la stessa. La pellicola inizierebbe con un gruppo di persone che si riunisce in un luogo, crea un primo nucleo di case e, in un punto più o meno centrale, vi edifica una chiesa. Nel momento in cui questo tempio diventa cattedrale, tutt’attorno cominciano a sorgere edifici collegati all’attività episcopale, ma non solo: alla casa del vescovo e dei canonici si affiancano così locande, osterie, bagni pubblici, colonne di giustizia (che indicavano sotto che giurisdizione ricadeva il borgo: se del re, di un nobile o del vescovo), ospedali. Vengono anche creati spazi aperti per ospitare i fedeli durante le cerimonie religiose.
JORG GREUEL / GETTY IMAGES
UN PONTE TRA TERRA E CIELO Come molte altre città europee, Colonia terminò la sua cattedrale (iniziata nel 1248) solo nel XIX secolo, quando furono erette le due torri cuspidate alte ben 157 metri.
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nell’Europa medievale una vera rete urbana andò creandosi soltanto a partire dal X secolo; nei cinque secoli precedenti i territori continentali erano spopolati e la gente viveva sparsa tra villaggi e campagne. Nell’XI secolo, tuttavia, si ebbe quella che gli storici chiamano “rinascita dell’anno Mille”: la popolazione iniziò a crescere, i commerci s’intensificarono, le strade vennero ampliate e apparvero nuclei urbani ovunque. In questo contesto, la città divenne una sorta di irresistibile magnete per gli abitanti del contado: le sue mura la dividevano e proteggevano dalle campagne circostanti, definendo uno spazio autonomo, separato, un mondo a sé stante con regole, leggi e abitudini proprie.
SONNET SYLVAIN / GTRES
Sotto i portici del “paradiso”
IL RECINTO DI CHARTRES Il recinto del coro della cattedrale francese di Chartres è ornato da duecento statue scolpite nel XVI secolo da Jehan de Beauce: le scene raffigurate evocano episodi evangelici della vita di Gesù e Maria.
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Nel frattempo, dal contado iniziano ad affluire in città mercanti, artigiani o semplici contadini, che si stanziano in quartieri diversi a seconda della loro religione (cristiana, islamica o ebraica), origine (genovese, lombarda, franca) o professione (macellaio, fabbro, vasaio). Nel centro urbano viene ricavata una grande piazza del mercato, mentre la presenza ecclesiastica si fa più massiccia per il sorgere di vari monasteri. Le mura vengono ampliate e si edificano nuovi edifici pubblici: palazzi, municipi, sedi delle corporazioni. E intanto la vecchia cattedrale romanica comincia a sembrare piccola, e si pensa di costruirne una nuova nello stile che, a partire dal XII secolo, si è andato imponendo in Europa: il Gotico. La città cresce così in ampiezza, popolazione e altezza. Se si escludono le città di origine romana e quelle islamiche sorte nella Penisola iberica,
Due erano i poli attorno ai quali si articolava la vita urbana: la cattedrale e la piazza del mercato. Davanti a ogni cattedrale c’era un atrio porticato, detto “paradiso”, che svolgeva funzioni sia religiose sia sociali: era il luogo dove i fedeli si riunivano a chiacchierare dopo le funzioni; dove i penitenti espiavano le loro colpe e i poveri chiedevano l’elemosina; dove, più semplicemente, si poteva assistere alle celebrazioni al riparo da pioggia e sole. Il “paradiso” costituiva uno dei luoghi più vitali del tessuto urbano. Fino alla comparsa dei municipi, era sotto i suoi portici che si svolgevano le assemblee comunali e i processi. Secondo il monaco francese Aymeric Picaud, autore nel XII secolo di una Guida del pellegrino, nell’atrio della cattedrale di Santiago de Compostela, in Spagna, si vendevano “otri per il vino, scarpe, zaini in pelle, cinture, erbe medicinali e molti altri prodotti”. A Santiago de Compostela, così come a Chartres, Rouen o Parigi, la cattedrale era il perno fisico e simbolico della città. La gente vi si riuniva per discutere, parlare, decidere, giudicare, giustiziare, divertirsi, comprare. Solo a partire dal XIII secolo, la piazza del mercato prima, e il municipio poi, le sottrassero parte delle sue funzioni: un fenomeno al quale non fu estraneo il rafforzamento in tutta Europa della classe mercantile, pronta ormai, attraverso i Consigli comunali, a far sentire la propria voce in aggiunta e, spesso, in contrapposizione a quella del vescovo, del cui potere la cattedrale era il simbolo di pietra.
PRISMA / ALBUM
L’aristocrazia era il terzo incomodo nel complesso sistema degli equilibri politici cittadini. Le casate nobiliari più influenti si erano costruite sin dal IX-X secolo torri fortificate che costituivano un metro della loro potenza – misurata sulla base dell’altezza – ma anche un elemento difensivo contro le famiglie rivali e di minaccia nei confronti del popolo. Tuttavia l’ascesa della classe mercantile e artigianale, testimoniata dal sorgere in tutta Europa di splendidi palazzi municipali, portò all’approvazione di regolamenti comunali che imponevano la “capitozzatura”, cioè il taglio dei piani più alti, di queste torri. È il cronista Matteo Villani, parlando della Firenze duecentesca, a darci conto del fenomeno: “E per ottenere più potere [il popolo di Firenze: ndr]cominciò a costruire il palazzo che si trova dietro l’abbazia, in piazza San Apollinare. Prima non esisteva un Palazzo comunale a
Firenze, la Signoria aveva sede ora in un luogo, ora in un altro. E siccome il popolo aveva preso la Signoria, ordinò che tutte le torri di Firenze fossero tagliate all’altezza di cinquanta braccia, e non di più: e così fu fatto”.
Tempo sacro e tempo profano Non meno determinante fu, nella ridefinizione dei rapporti di forza cittadini, la sfida per la gestione del tempo. Tradizionalmente erano le cattedrali, attraverso il suono delle campane, a segnare le ore, regolando così la vita quotidiana degli abitanti. I rintocchi seguivano i ritmi delle varie funzioni religiose, ma potevano anche annunciare eventi eccezionali: il campanaro suonava “a martello” in caso di pericolo – di solito un attacco nemico o un incendio –, “a lutto” quando moriva un personaggio influente, “a messa” nell’imminenza delle funzioni.
LA VENDITA DEL PESCE Una tipica bottega medievale di generi alimentari in una miniatura tratta da un manuale medico del XIV secolo: nelle pagine del manuale si consiglia un largo consumo di pesce sotto sale.
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s e c o lo s i v e r if ic ò in E u r o p a u n a c o s t a n e d e i c o m m e r c i t e r r e s t r i e m a r it t im i, e f a v o r ì la c ir c o la z io n e d e i v a r i p r o d o t t i n e i m e r c a t i d e lle m a g g io r i c it t à . NEL MAR MEDITERRANEO, l e p r i n c i p a l i p o t e n z e m e r c a n t i l i e r a n o G e n o v a , V e n e z ia e il r e g n o d ’A r a g o n a . A t t r a v e r s o le lo r o e s t e s e r e t i c o m m e r c ia li c ir c o la v a n o in E u r o p a p r o d o t t i c o m e s p e z ie e s e t e o r ie n t a li, a llu m e d i r o c c a ( u s a t o c o m e f is s a n t e d e i c o lo r i) , o r o a f r ic a n o , b r o c c a t i, c u o io , s a le , v in o e o lio . NEL MAR BALTICO d o m i n a t o d a l l a L e g a a n s e a t i c a ( H a n s a ) , l a f e d e r a z io n e d e lle c it t à m e r c a n t ili t e d e s c h e , s i c o m m e r c ia v a in le g n o , p e lla m e , m in e r a li, c e r e a li e c a r n e s o t t o s a le . L ’a m b r a , u n a r e s in a f o s s ile u s a t a c o m e g io ie llo , e r a il p r o d o t t o p iù p r e g ia t o . I MERCANTI d e l M e d i t e r r a n e o e q u e l l i n o r d i c i c o n v e r g e v a n o t u t t i a B r u g e s , n e lle F ia n d r e o c c id e n t a li ( o g g i B e lg io ) , c h e d iv e n n e c o s ì il m a g a z z in o d ’E u r o p a e la m a g g io r e p ia z z a d i s c a m b io d e l c o n t in e n t e . Q u i s o t t o , c a r ic o e s c a r ic o d i m e r c a n z ie a B r u g e s , m in ia t u r a d e l X V I s e c o lo , B a y e r is c h e S t a a t s b ib lio t e k , M o n a c o .
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IL SENSO DEL TEMPO Nelle città medievali i ritmi della vita quotidiana erano scanditi dai rintocchi di campane come questa, conservata nel castello trecentesco di Malbork, in Polonia.
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Tutti conoscevano il codice della campane: all’alba tre rintocchi annunciavano l’ora prima; due a metà mattinata indicavano l’ora terza, mentre a mezzogiorno bastava un tocco per segnalare l’ora sesta. E, dopo pranzo, si ricominciava: due rintocchi a metà pomeriggio, tre al tramonto per il Vespro, quattro dopo cena per ricordare la preghiera serale. Tutto questo fino al XIV secolo quando, con il diffondersi dei primi orologi meccanici, il tempo cominciò a essere calcolato non più in base alle ore canoniche ma, come oggi, a una suddivisione convenzionale del giorno in ventiquattro ore. Una rivoluzione che ampliò le distanze tra città e campagna, dove il lavoro restava scandito dai ritmi naturali della luce e delle stagioni; ma che, soprattutto, ebbe effetti sugli equilibri politici della città. Se a ospitare il grande orologio pubblico era il campanile della cattedrale, in fondo non
cambiava molto, la gestione del tempo continuava a essere prerogativa del vescovo. Ma nella maggior parte dei casi gli orologi vennero piazzati sulle facciate dei palazzi comunali o di altri edifici pubblici. Un messaggio inequivocabile alla città: il tempo non era più monopolio della Chiesa, si laicizzava; passava, almeno simbolicamente, nelle mani delle autorità comunali, ovvero dei mercanti.
La croce di Cristo La città dell’XI-XII secolo era cresciuta attorno alla sua cattedrale romanica, che rappresentava la casa di Dio in Terra e ne esprimeva la sacralità. Di qui la scelta di una struttura fortemente simbolica; la croce creata dall’intersezione tra la navata centrale e il transetto rappresentava Cristo crocifisso: l’abside era la testa, la navata il corpo, il transetto le braccia. Il presbiterio era orientato verso est,
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a significare la luce divina che illumina la Chiesa; le volte a botte della copertura scandivano il cammino verso l’altare, mentre la nudità delle pareti rammentava la necessità di staccarsi dalla materia per arrivare a Dio.
L’ascesa verso il cielo Le città si svilupparono attorno a questi spazi sacri in cui la cattedra – il trono – episcopale rappresentava l’autorità del vescovo, che spesso avocava in sé, come un signore feudale, anche il potere temporale. Ma a partire dal XIII secolo la supremazia vescovile fu intaccata dall’ascesa delle classi mercantili che, in competizione con il potere ecclesiale, costruirono municipi sempre più belli e più grandi. Ed ecco, come per reazione, le cattedrali iniziano a crescere, diventano più alte, alleggerendo le proprie strutture e lasciando filtrare all’interno, attraverso il rosone della facciata
e le vetrate laterali policrome, la luce solare. È la nascita del Gotico, una nuova visione del mondo più che un nuovo stile, una concezione artistico-teologica che non si sente più imprigionata nei lacci della materia, ma che aspira ad ascendere al cielo, a farsi spirito. Non è un caso se il modello delle chiese gotiche è la Gerusalemme celeste, la “Città d’oro”, alla quale, come scrive Giovanni nell’Apocalisse, “non occorre luce solare né di Luna, perché è rischiarata dalla gloria divina”. Per continuare a dominare sulla città, a controllarla dall’alto, la cattedrale gotica si slancia dunque verso il cielo, sfidando le leggi della statica e della gravità. Le sue torri cuspidate, presto integrate nel sistema difensivo comunale, diventano non solo l’asse di gravità della vita urbana, ma anche la prima cosa che il forestiero vede stagliarsi all’orizzonte approssimandosi alle mura cittadine.
UN PORTO MOVIMENTATO Ecco come il porto di Napoli, attivissimo negli scambi con il Nord Europa, appare raffigurato nella Tavola Strozzi, olio su tavola del 1472. Museo di San Martino, Napoli.
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LA VITA IN CITTÀ ALL’ EPOCA Questo affresco di Ambrogio Lorenzetti, intitolato Effetti del Buon Governo in città, offre una perfetta
1 La cattedrale
All’estremità dell’affresco è rappresentato il Duomo di Siena, con la sua grande cupola e il campanile bianco e nero, entrambi risalenti al XIII secolo.
2 Vita quotidiana
Gli edifici svelano dettagli di vita quotidiana: una donna che bagna le piante su una terrazza, operai al lavoro sui tetti, un gatto, brocche e vasi, una gabbia…
3 Le strade
I piani alti delle abitazioni erano più ampi rispetto a quelli bassi: ecco perché, nei vicoli cittadini, spesso i raggi solari filtravano a malapena.
4 I palazzi
I palazzi signorili di Siena, situati lontani dalla cinta muraria, avevano tetti merlati sorretti da mensole sagomate e bifore gotiche che scandivano la facciata.
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9 Una sposa
Una sposa a cavallo, seguita dai suoi parenti, suscita la curiosità delle due donne che si trovano sulla porta di casa, e di altre due che si affacciano a un balcone.
Taverna All’ingresso di una taverna due uomini discutono fra loro, mentre due bambini giocano lì vicino e altri uomini, seduti a un tavolo, scommettono ai dadi.
Sarto e cambiavalute Un sarto cuce i vestiti seduto sopra una panca, per strada. Sullo sfondo si indovinano la bottega di un orafo e, forse, il banco di un cambiavalute.
Danze per strada Dieci giovani danzatrici si tengono per mano e ballano al ritmo di un tamburello, celebrando la prosperità e la pace regalate dal buon governo.
DELLE CATTEDRALI GOTICHE rappresentazione dell’architettura urbana e delle attività quotidiane nella Siena del XIV secolo
5 Operai
Un gruppo di muratori è al lavoro su un ponteggio collocato sopra un tetto; alla fine del XIV secolo, Siena era una città in piena espansione edilizia.
6 Terrazze
Una terrazza coperta, con la parete dipinta a curiosi motivi floreali, contrasta con le case adiacenti che sembrano fortezze.
7 Campanile
Fra le torri e le merlature dei grandi palazzi signorili, Lorenzetti ha raffigurato anche una chiesa, con il campanile che svetta sugli edifici confinanti.
8 Le mura
Oltre che a difendere gli abitanti, le mura urbane servivano anche a separare la città dalla campagna. La porta d’accesso era il trait d’union fra i due mondi.
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Calzolaio Sotto i portici di una casa c’è il laboratorio di un calzolaio. Un cliente, forse un contadino, si accosta al banco per comperare qualcosa.
Università Dal pulpito, un professore tiene una lezione a un pubblico molto attento. L’Università di Siena, nata nel 1240, è una delle più prestigiose in Italia.
Laboratorio tessile Un tessitore e un cardatore lavorano all’aperto, di fronte al loro laboratorio, mentre un contadino si avvicina con due muli carichi di balle di lana.
Contadini Due donne si dirigono verso il mercato con una grande cesta in testa e un’oca da vendere, mentre un pastore conduce il suo gregge a pascolare fuori dalle mura.
SCALA, FIRENZE
LA CITTÀ SI TRASFORMA Scene di vita urbana in un’antica miniatura: a partire dal XIV secolo, nelle città europee la cattedrale cominciò a essere affiancata dai grandi palazzi aristocratici. XV secolo, Berlino.
E tuttavia, un simile sforzo costruttivo non può che avere costi esorbitanti, di tempo e di denaro. Lo esemplifica il caso della cattedrale di Burgos, in Spagna: iniziata nel 1221, è ancora in costruzione nel 1465 quando un nobile boemo, di passaggio dalla città, annota che la cattedrale possiede “due eleganti torri costruite con pietre sfaccettate, più una terza in costruzione”. E ci vorranno altri cento anni perché l’edificazione della chiesa, il maggior esempio di Gotico nella Penisola iberica, possa dirsi davvero completata.
Ingorghi tra le navate Anche se è difficile crederlo, le cattedrali medievali non erano affatto oasi di pace e meditazione. Di giorno erano animate da un incessante andirivieni di gente, una folla variegata che comprendeva fedeli desiderosi di appartarsi in preghiera, viaggiatori incurio22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
siti dalle bellezze artistiche dell’edificio, mercanti in cerca di clienti per le proprie merci. Le cappelle delle navate laterali erano spazi privati, inaccessibili: il Capitolo della cattedrale le vendeva alle grandi casate cittadine che le usavano come tombe di famiglia. Solo l’altare e il coro erano destinati esclusivamente al culto; nel resto dell’edificio i fedeli circolavano liberamente, ignorando i limiti imposti dal collegio dei canonici. I funerali causavano ogni volta ingorghi e malumori, specie se si svolgevano in forme monumentali, poiché limitavano la libertà di movimento dei fedeli e rendevano difficile assistere in silenzio alle funzioni. Sin dall’Alto Medioevo, si diffuse inoltre l’abitudine di usare le cattedrali come scenario di “rappresentazioni di scherno”, che potevano comprendere sermoni grotteschi, doppi sensi o canzonette lascive.
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LA FRANCIA COME MODELLO Nel 1221 presero il via i lavori di costruzione della cattedrale di Burgos, in Spagna, ispirata al Gotico francese. Aperta al culto dal 1260, fu conclusa solo nel 1567.
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LE CATTEDRALI ERANO USATE PER INSCENARE SERMONI GROTTESCHI O SPETTACOLI PROFANI
Nel XIII secolo, Alfonso X di Castiglia ordinò che “scherzi e villanie non fossero ammessi nelle chiese”, e che i chierici cacciassero chiunque proponesse questo tipo di spettacoli; ma le sue disposizioni non dovettero trovare ascolto se, nel 1473, i vescovi spagnoli riuniti nel Concilio provinciale di Aranda de Duero si sentirono in dovere di vietare ufficialmente le “rappresentazioni di scherno”: “Date alcune abitudini ammesse nelle chiese metropolitane, dove avvengono ludi scenici con maschere e mostri, e messinscene poco nobili; e dato che in queste chiese v’è confusione e si odono canti così sgraziati e conversazioni così scherzose da turbare il culto, proibiamo unanimi questa corruzione morale”.
Ancora nel XIV secolo, la cattedrale si dibatte dunque fra la sua naturale vocazione di centro liturgico e spirituale della vita cittadina e quella, acquisita in un’epoca ormai remota, di edificio urbano chiamato a svolgere anche funzioni pubbliche e sociali. In questa seconda veste, la cattedrale accoglie spettacoli e rappresentazioni, offre i suoi portici ai mercanti, ospita (sempre più raramente) processi e assemblee comunali; come luogo di culto, invece, testimonia la presenza del sacro in città, annuncia il messaggio evangelico attraverso i bassorilievi scolpiti sulle sue facciate o i dipinti affrescati al suo interno, presiede al regolare svolgimento delle funzioni e delle cerimonie religiose. Sul finire del Medioevo, le cattedrali hanno raggiunto un tale livello di splendore che a ognuna di esse si potrebbero applicare le parole usate da Aymeric Picaud per descrivere Santiago de Compostela nel XII secolo: “Colui che salirà le scale per accedere alle navate del triforio di umore triste, non potrà che diventare allegro alla vista della luminosa bellezza che traspare da questo luogo sacro”. 24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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La luminosa bellezza
LA NASCITA DI UNO STILE La maestosa basilica di Saint-Denis (XII secolo), poco fuori Parigi, è il primo esempio di Gotico, stile fatto di luce, slancio e perfetta proporzione tra gli elementi architettonici.
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UN LUNGO VIAGGIO PER L’EUROPA Pellegrini a Santiago de Compostela durante il pranzo. Pala d’altare dipinta da Friedrich Herlin intorno al 1460. Chiesa di San Giacomo, Rothenburg ob der Tauber (Germania)
AISA
IL CALICE DI DONNA URRACA Nella pagina seguente, il cosiddetto Calice di donna Urraca, dell’XI secolo, conservato nella collegiata di Sant’Isidoro di León. Questa chiesa era una delle tappe obbligate per chi percorreva il Cammino di Santiago.
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LE CITTÀ LUNGO IL PERCORSO
IL CAMMINO DI SANTIAGO La comparsa delle spoglie dell’apostolo Giacomo fece avventurare migliaia di pellegrini a percorrere l’Europa medievale per venerare il santo; la loro presenza diede un forte impulso alla vita urbana in Spagna ASUNCIÓN ESTEBAN UNIVERSITÀ DI VALLADOLID
INÉS CALDERÓN UNIVERSITÀ DELLE ISOLE BALEARI
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el corso dei primi decenni del IX secolo, proprio nel momento in cui si stava formando il regno delle Asturie, vi fu il ritrovamento dei presunti resti dell’apostolo Giacomo. In tale contesto, il santo divenne patrono e protettore del nuovo regno e la guida degli eserciti cristiani che partivano per combattere contro l’Islam.
SIMBOLO DELLA VIA CRUCIS Questa croce si trova nella chiesa di Santiago a La Coruña, in Galizia. La città non era lungo il Cammino, ma i pellegrini facevano spesso una deviazione per visitarla.
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Nell’XI secolo il santuario dell’apostolo Giacomo (Santiago in spagnolo) in Galizia era divenuto uno dei principali centri di pellegrinaggio insieme a Roma e alla Terrasanta. Verso di esso si dirigevano migliaia di viandanti che giungevano da tutti i territori della cristianità. Con i pellegrini arrivarono anche artigiani, mercanti e nuovi abitanti che si stabilirono nelle città poste lungo il tragitto e diedero impulso alla vita economica e sociale del luogo. I re cristiani promossero un’apertura verso il resto d’Europa e favorirono la crescita economica dei loro regni mediante la fondazione di villaggi e città lungo il Cammino di Santiago; nuclei abitativi che contribuivano a rinforzare il controllo politico del territorio. Ciò spiega perché, alla fine dell’XI secolo, Alfonso VI, re di Castiglia e León, e Sancho Ramírez, sovrano di Navarra, stabilirono l’itinerario principale del Cammino. Nel XII secolo, i tragitti del pellegrinaggio di Santiago erano ormai definitivi. In Francia esistevano quattro vie che raccoglievano i pellegrini di tutto il continente. Dal Passo del Somport, i viandanti si dirigevano verso Jaca; mentre coloro che attraversavano i Pirenei attraverso Roncisvalle arrivavano a Pamplona. Queste due rotte convergevano a Puente la Reina, e da lì il Cammino continuava verso Estella, Logroño, Nájera e Santo Domingo de la Calzada, nella provincia di La Rioja; nel bacino del Duero passava per Burgos, Castrojeriz, Frómista, Carrión, Sahagún, León e Astorga; Ponferrada e Villafranca erano le tappe della regione del Bierzo. In Galizia si passava per Cebrero, Portomarín, Triacastela e Palas de Rey, fino a Santiago de Compostela.
Si crearono anche rotte secondarie che entravano attraverso la costa e collegavano diversi punti con il Cammino francese. Nel 1139, il monaco cluniacense Aymeric Picaud redasse il Liber Sancti Jacobi, nel quale descrisse le condizioni del Cammino e il carattere delle popolazioni che i pellegrini avrebbero incontrato lungo il percorso, oltre a fornire loro consigli pratici e morali, e ad avvertirli dei possibili pericoli insiti nel viaggio.
Proteggere i viaggiatori Il pellegrino godeva di una considerazione speciale, ma era anche molto vulnerabile perché non conosceva il territorio, le sue leggi, i costumi e le diverse lingue locali. Tutto ciò lo esponeva al rischio di subire gli abusi di mercanti, osti, riscossori di pedaggi e banditi. Per fornire protezione giuridica ai viaggiatori, si creò una legislazione che comminava gravi pene a chi attentasse alla loro persona e ai loro beni. Gli Ordini militari, nati per proteggere i pellegrini che si dirigevano in Terrasanta, svolsero questa stessa funzione lungo il Cammino di Santiago, posizionandosi nei punti più pericolosi. Così, i Templari si stabilirono a Villalcázar de Sirga e a Ponferrada, mentre l’Ordine di Santiago dirigeva l’Ospedale di San Marcos de León; da parte loro gli Ospitalieri controllavano l’Ospedale di Órbigo. È il caso di segnalare che nel Medioevo gli ospedali non erano istituzioni dedicate specificamente alle cure mediche, ma svolgevano soprattutto funzioni di accoglienza a poveri e viaggiatori. Re, nobili e istituzioni ecclesiastiche migliorarono le condizioni del percorso: costruirono e ripararono ponti e strade, fondarono ospedali e alberghi di accoglienza e alleggerirono i pedaggi.
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LA ROTTA ARAGONESE La chiesa di Santa Maria, vicino al monastero di San Juan de la Peña, a Huesca, è situata lungo il Cammino aragonese di Santiago de Compostela.
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MOLTI STRANIERI POPOLARONO LE NUOVE E LE VECCHIE CITTÀ LUNGO IL CAMMINO L’APOSTOLO GIACOMO. MUSEO DIOCESANO, MAIORCA, XIV SECOLO.
Tedeschi e Inglesi in Castiglia Nella Crónica anónima de Sahagún si descrive in questi termini la fondazione dell’omonima cittadina e l’arrivo presso di essa di popoli dall’altro lato dei Pirenei: “E quindi quando il sopracitato re [Alfonso VI] ordinò e stabilì che in quel luogo si fondasse un centro abitato, giunsero da tutte le parti dell’universo borghesi pratici di molti mestieri: vale a dire, fabbri, falegnami, sarti, pellettieri, calzolai, scudieri e uomini esperti in molte diverse arti e attività, e inoltre, persone provenienti da differenti e sconosciute province e regni; vale a dire, Bretoni, Tedeschi, Inglesi, Borgognoni, Normanni, Tolosani, Provenzali, Lombardi e molti altri mercanti provenienti da diverse nazioni [di] sconosciute lingue; e in questo modo determinò il popolamento e la fondazione di una cittadina non piccola”. Sahagún sorse sotto la protezione del monastero benedettino dedicato ai santi Facundo e Primitivo e durante la seconda metà dell’XI secolo venne affidato ai cluniacensi. La cittadina crebbe grazie alla politica regia, all’affluenza di pellegrini che vi passavano nel loro viaggio verso Santiago de Compostela e all’attività sviluppata dagli artigiani e dai commercianti che vi si stabilirono. I tipi di città che era possibile trovare lungo il 30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Ridiedero vita anche ad antichi nuclei abitativi e fondarono numerosi villaggi e città ai quali attribuirono statuti speciali con importanti privilegi, destinati a favorire soprattutto l’afflusso di commercianti e di artigiani. Molti di loro erano stranieri e a essi la documentazione pervenutaci allude con il termine di “Franchi”. Questi centri divennero sedi di mercato e alcuni ricevettero il privilegio di organizzare fiere, cosa che favorì lo sviluppo delle città e della loro nascente borghesia. Questa si stabilì nei quartieri collocati fuori delle mura, i borghi, e si arricchì con la pratica del commercio e dell’artigianato.
Cammino erano molto vari. C’erano piccoli villaggi sorti intorno a un monastero o a un’istituzione ecclesiastica, i quali crebbero su entrambi i lati del percorso secondo una struttura lineare. Centri di media grandezza come Puente la Reina e Santo Domingo de la Calzada presentavano un tracciato più complesso e un maggior numero di borghi o quartieri. C’erano poi le città importanti, come Jaca, Pamplona, Logroño, Burgos, León o la stessa Santiago de Compostela. Dopo aver attraversato i Pirenei passando per il Passo di Somport, i pellegrini giungevano a Jaca, in territorio aragonese. Questo centro urbano, che agli inizi dell’XI secolo era un castro, ossia un villaggio fortificato, sperimentò un forte impulso con la concessione di un fuero, cioè di uno statuto speciale nel 1077 da parte del re Sancho Ramírez, che vi stabilì la sua residenza, creò il vescovado e gli attribuì la condizione di città. Il suo statuto speciale fu uno dei primi concessi
TUTTI UNITI CONTRO L’ABATE
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OSÌ COME ACCADDE nel nord della Francia, nelle Fiandre e nelle terre bagnate dal Reno, anche nella Spagna medievale, nelle città rette da autorità ecclesiastiche, borghesi e cittadini si ribellarono contro le restrizioni alla loro libertà imposte dai diritti signorili. Questo fu per esempio il caso della rivolta borghese che si verificò a Sahagún nel 1110. Secondo quanto riferisce la Crónica anónima de Sahagún, “in questo tempo si sollevarono contro l’abate e tutti noi non solo i ricchi o, per dire così, i borghesi, ma ancora di più le persone molto umili, così come i conciatori, i sarti, i venditori di pelle, i calzolai e perfino quelli che in botteghe sotterranee svolgevano il loro mestiere”. Il conflitto si estese anche all’ambiente rurale: “In questo tempo tutti i contadini e i lavoratori e la povera gente si unirono e congiurarono contro i loro signori…, e a questa congiura davano il nome di fratellanza”.
MONASTERO DI SANTA MARIA LA REAL, NELLA CITTÀ DI NÁJERA, CHE EBBE GRANDE IMPULSOGRAZIE AI PELLEGRINI.
in Spagna, e costituì un modello che si sarebbe applicato in seguito ad altri centri urbani. Da Roncisvalle, il Cammino si dirigeva verso Pamplona, un’antica città di origine romana, che si sviluppò a partire dal nucleo originario conosciuto come Navarrería grazie all’arrivo di numerosi Franchi. Nel 1129, Alfonso il Battagliero, re di Aragona e di Pamplona, concesse a Pamplona i privilegi specifici necessari per incentivare l’insediamento:“Lettera di donazione e conferma per tutti voi Franchi che popolate la piana di San Saturnino de Iruña; vi concedo il dono di godere in tutte le vostre proprietà e in tutti i vostri processi di privilegi speciali come quelli che furono stabiliti per i colonizzatori di Jaca”. Il quartiere di San Saturnino era occupato principalmente dai commercianti franchi ubicati su un tratto che era di transito obbligato per i pellegrini. Alla fine del XII secolo sorse un nuovo nucleo abitativo, la città di San Nicola, organizzata se-
condo uno schema di urbanesimo geometrico. L’esistenza di questi tre centri autonomi e la posizione privilegiata riconosciuta alla sola popolazione dei Franchi provocarono a Pamplona numerosi e aspri conflitti tra i suoi abitanti.
Tra Tudela e Logroño La conquista di Tudela, in Navarra, nel 1134 da parte di Alfonso il Battagliero comportò l’incorporazione di una città musulmana nel Cammino . Il sovrano concesse un periodo di un anno ai suoi abitanti per abbandonare l’area urbana, e molti di loro si stabilirono in quartieri collocati fuori delle mura, chiamati morerías. All’interno delle mura, i cavalieri e i valvassori, nobili hidalgos che avevano collaborato alla conquista, si suddivisero le case. La popolazione cristiana si vide rafforzata dall’arrivo di nuovi abitanti: i Mozarabi (i cristiani che vivevano nei domini musulmani della Penisola iberica) e numerosi Franchi. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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GLI OSPEDALI LUNGO IL CAMMINO SERVIVANO AD ACCOGLIERE E A DARE ASSISTENZA AI PELLEGRINI
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SAN GIACOMO COME PELLEGRINO. MUSEO DE LOS CAMINOS, LEÓN.
A circa quattro giornate da Tudela si trovava Logroño, che prima del periodo in cui fu in auge il Cammino francese non era più di un piccolo villaggio, anche se nelle sue vicinanze i sovrani avevano costruito un castello strategico vicino al fiume Ebro. Intorno a questa fortificazione si stabilirono nuovi abitanti attratti dai privilegi previsti dallo statuto speciale che nel 1095 Alfonso VI concesse alla città: “Abbiamo deciso di concedere uno statuto speciale nel quale dovranno vivere tutti quelli che ora popolano il suddetto luogo e quelli che, con il favore di Dio, lo faranno per sempre, Francesi come Spagnoli, come qualsiasi altro popolo…”. I monarchi della Castiglia non stabilirono dunque per legge differenze tra Franchi e Spagnoli, ma favorirono l’intera popolazione.
Le grandi capitali del Cammino Nel corso del Medioevo, Burgos diventò uno dei principali centri politici ed economici della Penisola iberica. La sua origine risale alla metà del IX secolo, nel contesto della Repoblación, il ripopolamento della vasta regione tra il fiume Duero e la Cordigliera Cantabrica che era stata spopolata nei primi anni della Reconquista. Prima che il Cammino passasse per la città, in essa vi era già un certo dinamismo economico; con l’arrivo di nuovi abitanti sorsero però nuovi quartieri e nuovi mercati. Lo statuto speciale concesso a Burgos da Alfonso VI nel 1103 riconosceva l’esistenza di due popolazioni, ma equiparava i privilegi concessi a Franchi e Castigliani. Il geografo e viaggiatore berbero al-Idrisi (10991164 circa) descrisse Burgos come una città attiva e fiorente; secondo quanto racconta, essa è “attraversata da un fiume e divisa in quartieri circondati da mura. Uno di quei quartieri è abitato soprattutto da ebrei. La città è forte ed è predisposta per la difesa. Ci sono bazar, negozi e molta gente e ricchezze. È situata sulla rotta principale dei pellegrini; i suoi dintorni sono coperti di vigneti, di villaggi e di altre frazioni…”. 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Nel XIII secolo, Alfonso VIII diede impulso al Cammino e sviluppò l’assistenza per i pellegrini fondando, nei dintorni di Burgos, insieme al monastero delle Huelgas Reales, l’Hospital del Rey, che il cronista Rodrigo Jiménez de Rada descrisse come un edificio“magnificamente rifinito nella sua struttura e nelle sue parti, dotto dei mezzi necessari perché, a qualsiasi ora del giorno, si possano fornire di tutto il necessario i pellegrini senza che a nessuno venga rifiutata l’accoglienza. A loro volta, i malati ricevono ogni tipo di cure da parte di caritatevoli donne e uomini fino a che non muoiano o vengano completamente curati, in un modo tale che chiunque in quell’ospedale può contemplare le opere della pietà così come se si trattasse di uno specchio”. Proseguendo il suo viaggio, il pellegrino avrebbe poi trovato León, descritta da Aymeric Picaud come “la città del re e della corte, piena di tutte le felicità”. La sua grande importanza si deve al ruolo politico che svolse dagli inizi dell’XI secolo come capitale del regno. In essa convergevano varie vie secondarie del Cammino, sia quella che proveniva dalla costa sia altre che arrivavano dal sud. Ciò comportava una grande concentrazione di pellegrini, che erano assistiti negli ospedali della città, come quello di San Marco. Con il trasferimento a León delle reliquie di sant’Isidoro, per ordine di Fernando I di León, la città acquisì un importante ruolo simbolico e religioso. Le reliquie furono poste nella chiesa di San Juan e lì fu consacrato a sant’Isidoro un monastero che i sovrani di León scelsero come luogo di sepoltura. I miracoli attribuiti al santo aumentarono la devozione dei pellegrini alle sue reliquie. Nella seconda metà del XII secolo, Ferdinando II di León diede ordine di modificare il tracciato del Cammino di Santiago all’interno della città, perché i pellegrini passassero per la porta della chiesa di Sant’Isidoro. Dall’XI al XIII secolo, León conobbe una notevole crescita demografica, al punto che la sua popolazione triplicò. Fuori dalle mura vennero eretti nuovi quartieri.
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LA CATTEDRALE DI BURGOS Entrati a Burgos attraverso la porta di San Juan, i pellegrini si dirigevano alla cattedrale, uno dei principali monumenti nel tragitto verso Santiago de Compostela.
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LA RINASCITA DELLE CITTÀ
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L CAMMINO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA divenne il principale elemento esemplificativo della tesi sostenuta dal grande storico belga Henri Pirenne (1862-1935) sulla stretta relazione esistente tra la ripresa del commercio e la rinascita urbana dell’XI e del XII secolo. Secondo questa ipotesi, i mercanti (denominati in Inghilterra “piedi impolverati”) si stabilirono al riparo di vecchie città, fortezze, chiese e monasteri, creando centri abitati di tipo commerciale denominati borghi, a cui affluirono artigiani attratti dall’esistenza del mercato. Questo fenomeno avrebbe interessato i nuclei abitativi che costeggiavano il Cammino di Santiago. Altri storici hanno invece segnalato che le città nacquero dall’espansione stessa della società rurale: essi considerano che l’incremento della produzione agricola rese possibile la comparsa di nuovi gruppi economici dedicati ad attività come l’artigianato e il commercio. I FRUTTI DEL LAVORO CONTADINO AVREBBERO PERMESSO LA RINASCITA DEL MONDO URBANO NEL MEDIOEVO. LAVORI AGRICOLI IN UNA MINIATURA DELLE CANTIGAS DE SANTA MARIA. XIII SECOLO.
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SANT’ISIDORO DI LEÓN Il Cammino di Santiago passava davanti alle porte della collegiata di Sant’Isidoro di León, uno dei templi romanici più rilevanti della Spagna, costruito nel corso dell’XI e del XII secolo.
Tra questi il borgo di San Martín e il cosiddetto vico Francorum, dove si stabilirono numerosi commercianti di origine straniera. Attraversata l’area montuosa del Bierzo, i pellegrini iniziavano l’ultima tappa del Cammino, che passava per la Galizia: “Una terra fertile”, scrive Aymeric, “con fiumi, prati rigogliosi, buoni frutti e limpide fonti; però con poche città, villaggi e terre da lavorare”. Dal Monte do Gozo, i pellegrini scorgevano la città: “Finalmente, Compostela, eccellentissima città apostolica, piena di tutte le delizie, che custodisce il prezioso corpo di Giacomo ed è perciò riconosciuta come la più felice ed eccelsa di tutte le città della Spagna”.
La città dell’apostolo Intorno al sepolcro del santo era sorto un nucleo urbano che con il tempo andò crescendo grazie all’appoggio del potere reale e del vescovo di Compostela, che era anche il signore della città.
URNA MEDIEVALE Tra le opere d’arte custodite nella basilica di Sant’Isidoro vi è questa urna di agata; di origine andalusa e dell’XI secolo forse arrivò a León come bottino di guerra. Museo Archeologico Nazionale, Madrid.
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però il suo antico splendore. Nel 1120, durante l’episcopato di Diego Gelmírez, le venne concessa la condizione di arcivescovado, al quale seguì un importante impulso alla costruzione della cattedrale e allo sviluppo delle istituzioni assistenziali. Frutto della crescita dell’attività mercantile fu la comparsa di un potente settore borghese che iniziò a rivendicare il proprio ruolo nel governo della città contro i vescovi. La Historia Compostelana, composta intorno al 1139 da Gelmírez, narra la sua rivolta: “Con il pretesto di difendere la giustizia, i cospiratori, associandosi a loro persone del clero e del popolo, opprimono alcuni e sollevano altri; rinnovano leggi e plebisciti; assumono il potere sulla città; distruggono palazzi; arrivano a minacciare di morte alcuni”. La stessa cattedrale fu lo scenario di uno degli attacchi più violenti:“I Compostelani salirono nella parte alta della chiesa apostolica.
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La città dell’apostolo si trovò ad attraversare momenti difficili. Uno dei più gravi si verificò alla fine del IX secolo, quando venne distrutta dalle truppe di Almanzor (o al-Mansur, “Colui che è reso vincitore da Dio”), che era il reggente del califfo omayyade di al-Andalus, nome con cui i musulmani chiamavano la parte della Penisola iberica sottoposta al loro controllo. Secondo quanto racconta lo scrittore marocchino ibn Idhari, vissuto tra il XIII e il XIV secolo, nella sua opera storiografica Al-Bayan al-Mughrib:“I musulmani si impossessarono di tutte le ricchezze che trovarono e distrussero le costruzioni, le mura e la chiesa, al punto che non vi restarono altro che le rovine. Tuttavia le guardie posizionate contro al-Mansur per far rispettare il sepolcro del santo impedirono che la tomba risultasse in alcun modo danneggiata”. A partire dall’XI secolo, grazie alla ripresa determinata dal Cammino di Santiago, la città recu-
JORDI SARRÀ / FONDAZIONE BARRIÉ
IL PORTICO DELLA GLORIA
Angeli Alcuni angeli tengono in mano gli strumenti della Passione di Cristo, come la colonna della flagellazione, i chiodi, la croce, la corona di spine.
Il Portico della Gloria è uno dei capolavori della scultura del XII secolo ed è considerato uno dei principali monumenti dell’arte cristiana. Il Maestro Matteo iniziò la sua costruzione nel 1168 per incarico del re Ferdinando II di León e la concluse vent’anni dopo. Per innalzarlo si dovette abbattere la facciata della cattedrale, eretta cento anni prima. Il Portico si compone di tre differenti parti, ossia un grande arco centrale e due laterali, che riproducono un ambizioso programma iconografico religioso.
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PORTICO DELLA GLORIA E INTERNO DELLA CATTEDRALE DI SANTIAGO. OLIO DI JENARO PÉREZ VILLAAMIL. 1849-1851. PALAZZO DE LA MONCLOA, MADRID.
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ISAIA SORREGGE UNA PERGAMENA SULLA QUALE È SCRITTO IL SUO NOME.
Alla base della colonna che sostiene l’arco centrale un uomo tiene due leoni per il collo (il trionfo sul Male) e. Sul fusto vi è l’albero di Jesse f, attraverso cui le figure dell’Antico Testamento si legano genealogicamente a Cristo tramite la Vergine. Più in alto, il lignaggio umano di Gesù si unisce con quello divino, traducendosi nella Trinità g. Giacomo pellegrino h tiene nelle mani il pastorale e un rotolo che allude alla sua predicazione.
TINO SORIANO / CORBIS / CORDON PRESS
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1 ANTICO TESTAMENTO
L’arco si compone di tre archivolti. Quello superiore presenta una decorazione vegetale a. In quello centrale, undici figure legate a un ceppo simboleggiano gli ebrei, prigionieri della propria legge b. In quello inferiore, altre undici figure rappresentano “il limbo dei Giusti, il Senato del popolo ebreo, i Padri degli Israeliti, dai quali proviene Cristo” c. Il Salvatore benedice e tiene in mano il libro della Verità d.
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PROFETI 1 Abdia 2 Amos 3 Osea 4 Gioele 5 Geremia 6 Daniele 7 Isaia 8 Mosè
ILUSTRAZIONE: FERNANDO AZNAR
ORONOZ / ALBUM
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SAN GIACOMO PRESIEDE LA COLONNA SEDUTO SU UNA SEDIA PIEGHEVOLE.
3 JORDI SARRÀ / FONDAZIONE BARRIÉ
Anime Tra i personaggi che compaiono nel timpano ci sono i 144.000 eletti che, secondo l’Apocalisse, troveranno la salvezza eterna.
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Il timpano è presieduto da Cristo che mostra le sue piaghe I, circondato dagli evangelisti con i loro simboli: Giovanni con l’aquila j, Luca con il bue k, Marco con il leone l e Matteo con l’angelo m. Completano il timpano le figure degli eletti n, gli angeli o e i ventiquattro anziani dell’Apocalisse, scolpiti con elaborati dettagli come gli strumenti della Passione da loro tenuti in mano p.
4 GIUDIZIO FINALE
BRIDGEMAN / INDEX
TINO SORIANO / CORBIS / CORDON PRESS
3 REGNO DI CRISTO
UN CRISTO IERATICO È LA FIGURA PRINCIPALE AL CENTRO DEL TIMPANO.
Anche l’arco a destra si compone di tre archivolti. In alto compare Dio Padre q, più in basso Dio Figlio r, che sostiene i Vangeli. A destra, alcuni esseri mostruosi infliggono tormenti terribili ai condannati durante il Giudizio Finale s. Quattro angeli conducono le anime purificate alla Casa di Dio t. Le grandi statue di questo arco raffigurano sant’Andrea, san Matteo, san Tommaso e san Bartolomeo.
BRIDGEMAN / INDEX
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SANTI 9 San Pietro 10 San Paolo 11 Giacomo il Maggiore 12 San Giovanni 13 Sant’Andrea 14 San Matteo 15 San Tommaso 16 San Bartolomeo
MOSTRI E DEMONI TORTURANO LE ANIME CHE SONO STATE CONDANNATE.
STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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re Ferdinando II, che concesse al Maestro Matteo un vitalizio: “Io, Ferdinando, [...] consegno e concedo a te, Maestro Matteo, ogni anno due marchi d’argento settimanali. [...] Questo ti sia concesso a vita, per dirigere l’opera di Santiago”. Come racconta Aymeric, in quel tempo la città aveva dieci chiese e un’importante rete ospedaliera che dava ospitalità alla moltitudine di pellegrini che arrivavano per venerare il santo. Tra le sette porte che davano accesso alla città spicca soprattutto quella conosciuta come Francigena. Davanti a essa, in una spaziosa piazza, si svolgeva il vivace mercato nel quale i viaggiatori potevano acquistare ogni tipo di merce come ricordo del pellegrinaggio, oltre che rimedi medicamentosi per i malati e oggetti di tipo più pratico: secondo Aymeric,“conchiglie, botti di vino, scarpe, zaini di pelle di cervo, cinture, cinturoni e ogni genere di erbe medicinali e altre pozioni e molte altre cose che si vendevano lì”.
ORONOZ / ALBUM
Finalmente, la tomba dell’apostolo
LA TOMBA DELL’APOSTOLO Teodomiro, vescovo di Iria Flavia (attuale Padrón, in Galizia), scopre il sepolcro dell’apostolo Santiago e dei suoi discepoli. Miniatura del XII secolo. Biblioteca della cattedrale di Santiago de Compostela.
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Passando poi al palazzo del vescovo, corrono, rubano, gettano via vestiti e bicchieri d’oro e d’argento […], salgono infine alla chiesa del benedetto apostolo, salgono sulla torre dal palazzo episcopale e si dispongono ad assaltare la torre delle campane, dove si era rifugiato il vescovo, con i suoi servi e i cavalieri”. Una volta sedata la rivolta, l’arcivescovo Gelmírez recuperò i controllo della città e per evitare eventuali futuri pericoli diede ordine che si erigessero merli sulla basilica, che acquisì così un carattere di fortezza militare. Santiago conobbe il suo massimo impulso tra la seconda metà del XII e gli inizi del XIII secolo, epoca che coincise con il momento di maggiore importanza del Cammino e con l’ultima grande fase della costruzione della cattedrale, che fu portata a termine dal Maestro Matteo, artefice di quello che da molti è considerato il più bel portico romanico del mondo: il Portico della Gloria. Alla realizzazione del grandioso progetto contribuì il
Una volta attraversato il Portico della Gloria, i pellegrini portavano a termine la loro avventura: si dirigevano a venerare il sepolcro di san Giacomo, che“giaceva nascosto in una urna marmorea sotto l’altare maggiore, in un sepolcro bellissimo, fornito di volta e costruito con ammirevole arte”, il che dà a intendere che la cripta rimanesse chiusa. La maggior parte dei pellegrini credeva fermamente che il corpo dell’apostolo si trovasse sepolto lì, nonostante il fatto che nessuno l’avesse mai visto, circostanza che diede luogo a numerose leggende. Una volta compiuta la propria missione e dopo aver lasciato la cattedrale, il pellegrino iniziava in senso contrario il Cammino, che lo avrebbe ricondotto alla sua vita ordinaria. È innegabile che il Cammino di Santiago ebbe una straordinaria importanza economica e urbanistica; diede anche impulso alla vita sociale, culturale e artistica nei nuclei urbani che toccava. Questo processo però non fu un fatto eccezionale, perché va collocato in un contesto generale di crescita economica del mondo feudale, e nella politica di ripopolamento urbano che portarono avanti tutti i poteri di quel tempo in Europa occidentale. Dall’altro lato, non esistette un urbanesimo caratteristico ed esclusivo del Cammino di Santiago, come hanno sostenuto vari storici, ma i tracciati dei villaggi e delle città si sistemarono secondo i modelli generali applicati in tutta la Spagna cristiana lungo il XII e il XIII secolo.
IBERFOTO / AISA
LA CATTEDRALE DI SANTIAGO La sua facciata barocca, del XVIII secolo, nasconde il Portico della Gloria, il maestoso ingresso all’antica basilica romanica, costruita tra il XII e il XIII secolo.
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JERÓNIMO ALBA / AGE FOTOSTOCK
LA SALA DEGLI AMBASCIATORI L’ampio Salón de Embajadores, creato dall’imperatore Carlo V nel 1425, è uno degli ambienti più sontuosi dell’Alcázar di Siviglia, il palazzo reale fatto costruire da Pietro I di Castiglia (1334-1369).
CAPITALE ISLAMICA E CRISTIANA
SIVIGLIA Adagiata sulle rive del Guadalquivir, nel Sud della Spagna, Siviglia fu una città strategica sia in epoca islamica che cristiana; il suo celebre porto e i suoi splendidi edifici in stile moresco incantarono per secoli chiunque la visitasse MANUEL GARCÍA FERNÁNDEZ PROFESSORE DI STORIA MEDIEVALE, UNIVERSITÀ DI SIVIGLIA
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l 23 novembre del 1248 la città islamica di Ishbiliyya, ovvero l’odierna Siviglia, capitolava dinnanzi a Ferdinando III di Castiglia e León, al termine di un assedio durato sedici mesi. Curiosamente, la presa della città avveniva nel giorno del ventisettesimo compleanno dell’infante don Alfonso, destinato di lì a qualche anno (1252) a sostituire il padre con il nome di Alfonso X il Saggio. Un mese più tardi, il 22 dicembre del 1248, Ferdinando III il Santo e la sua corte facevano il loro trionfale ingresso in città. Si realizzava così, dopo oltre vent’anni di guerre, il sogno del sovrano di Castiglia di conquistare la valle del Guadalquivir, unico fiume iberico navigabile, e di strappare al califfato berbero degli Almohadi la sua capitale Siviglia.
A differenza di altre città occupate dai Castigliani, Siviglia non subì radicali modifiche urbanistiche dopo la conquista. Le mura, ampliate nel XII secolo e scandite da 166 torri, avevano appena cent’anni; e la grande moschea almohade, con il suo minareto sormontato da quattro sfere dorate che scintillavano al tramonto, ne aveva solo cinquanta. I conquistatori della città si mostrarono perciò rispettosi dell’assetto urbanistico ereditato, ammaliati dal fascino dell’architettura moresca e dai grandiosi edifici islamici della loro capitale: come la Torre dell’Oro, sulla sponda sinistra del Guadalquivir, innalzata nel 122o per controllare l’accesso fluviale alla città; o come la porta-torre di Cordova, dove secondo la tradizione fu catturato sant’Ermenegildo (564-585), poi martirizzato dagli ariani. Per non parlare dell’Alcázar, il palazzo reale di Siviglia, forte moresco rimodellato in puro stile mudéjar – una sintesi di elementi arabi e ispanici; o come la Giralda, l’ex minareto trasformato nella torre campanaria della nuova cattedrale gotica di Santa Maria, sorta tra il 1402 e il 1498 sui resti della vecchia moschea. 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
FELIPE RODRIGUEZ / AGE FOTOSTOCK
Il canto perduto dei muezzin
DA MOSCHEA A CATTEDRALE Per oltre 150 anni dopo la Reconquista, gli abitanti di Siviglia usarono come chiesa vescovile l’ex moschea almohade, sostituita solo nel 1402 dall’imponente cattedrale gotica.
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TRA IL XIV E IL XV SECOLO SIVIGLIA DIVENNE UNA DELLE CITTÀ PIÙ SPLENDIDE E POPOLOSE D’ EUROPA VERSO DI UN DINAR D’ORO CONIATO DAL CALIFFO DI SIVIGLIA AL-MU’TAMID, XI SECOLO.
Furono questi edifici a fare di Siviglia una delle città più splendide e ammirate del Basso Medioevo, una metropoli che, tra il XIV e il XV secolo, crebbe a dismisura grazie alla presenza della corte reale e alle fortune commerciali del suo porto, affollato ogni giorno di navi provenienti da tutto il mondo. La conquista cristiana di Siviglia aveva causato l’abbandono della città da parte di quasi tutta la popolazione islamica. Riferisce un cronista musulmano che Alì al-Dabbach, uno dei pochi berberi rimasti in città, morì pochi mesi dopo l’arrivo dei Castigliani, afflitto dal dispiacere di “non sentire più la chiamata del muezzin alla preghiera dei fedeli”, sostituita dal suono delle campane. Altri mudéjar – i musulmani restati fedeli alla loro religione nei territori cristianizzati – furono più fortunati, ma finirono confinati nel quartiere di Adarvejo, a nord della città, dove si trovava l’unica moschea superstite di Siviglia.
Case in mattoni o argilla La città conservò tuttavia ancora per molti decenni un aspetto islamico. Fino al XV secolo abbondavano a Siviglia le dimore mudéjar, gruppi di case in stile moresco raccolte attorno a un cortile interno e con una profusione di portici o pergolati di vimini che servivano a proteggere gli abitanti dalla soffocante calura delle estati andaluse. Con fatica si ricavarono nel fitto tessuto urbano varie piazzette – spesso ex cimiteri – su cui si affacciavano le nuove chiese sorte tra il XIV e il XV secolo. Nel contempo si procedette alla costruzione di centinaia di nuovi edifici, per ospitare le massa di persone che affluiva di continuo nella capitale richiamata dalla sua fama e dalla speranza di individuarvi opportunità di arricchimento. Si trattava quasi sempre di case modeste, a uno o due piani, abitate da più famiglie e dotate di un patio e di un cortile comune. Ogni 44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
gruppo familiare aveva a disposizione una o due stanze al pianterreno, mentre condivideva con gli altri la cucina e il patio centrale. L’uso della pietra come materiale edile era ancora raro, riservato ai palazzi nobiliari e agli edifici ecclesiastici. Per costruire le abitazioni dei quartieri popolari ci si serviva dunque dei mattoni o del pisé, una tecnica basata sulla realizzazione di mura in argilla umida compattata dentro apposite “gabbie” di legno.
Epidemie ed esondazioni Siviglia divenne una città malsana, poiché l’antico acquedotto romano, ricostruito dalla dinastia almohade nel 1172, serviva solo una parte della città, e le cisterne e i pozzi erano rari. Gli abitanti dei quartieri popolari, come il Triana, sulla riva destra del Guadalquivir, erano perciò costretti a servirsi dell’acqua del fiume, che spesso era infetta, anche per via dei cumuli di spazzatura che si ammassavano nell’alveo fluviale. Di qui l’esplodere in città di continue epidemie: tra il 1350 e il 1480 ve ne furono ben sette, una più virulenta dell’altra, che decimarono la popolazione urbana colpita, a ondate successive, da infezioni di malaria, colera, peste e vaiolo. A queste epidemie si aggiunsero poi, nello stesso periodo, i rovinosi straripamenti del Guadalquivir: da quello del 1410, che spazzò via il ponte di barche che univa il quartiere del Triana al resto della città, all’alluvione del 1434, che costrinse molti abitanti a rifugiarsi per giorni sulle mura cittadine nel tentativo di sottrarsi alla furia delle acque. Queste emergenze, sanitarie o idrogeologiche che fossero, toccavano solo marginalmente la vita della corte reale, e di quella nutrita schiera di nobili, cavalieri ed esponenti ecclesiastici che le gravitava attorno; avevano invece effetti disastrosi sul resto della popolazione, costituita perlopiù da plebei perennemente in bilico tra miseria e stentata sopravvivenza.
CORBIS
LA CONQUISTA DELL’ANDALUSIA
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A VITTORIA DEI RE CRISTIANI sull’esercito almohade del califfo Muhammad al-Nasir nella battaglia di Las Navas de Tolosa (1212) schiuse alle truppe spagnole le porte dell’Andalusia. L’eroe di questa fase della Reconquista fu Ferdinando III di Castiglia e León, nipote di quell’Alfonso VIII che era stato tra i protagonisti del trionfo di Las Navas. Fu Ferdinando III, tra il 1224 e il 1240, ad approfittare delle discordie tra i vari regni islamici (taifa) della Penisola iberica per fomentare rivolte contro il califfato di Siviglia. Riuscì così, in pochi anni, a impossessarsi di Andújar, Martos, Baeza, Úbeda e Cordova. In seguito sottomise per via diplomatica Niebla, Arcos e Jerez de la Frontera, dopodiché puntò ad assoggettare Siviglia e il Basso Guadalquivir. Nel 1246 Ferdinando III acquisì pacificamente Arjona e Jaén, mentre il re di Granada si dichiarava suo vassallo. Con la presa di Siviglia, nel 1248, quasi tutta la valle del Guadalquivir era nelle sue mani. ALFONSO VIII DI CASTIGLIA IN UN OLIO DI FRANCISCO DE P. VAN HALEN, MADRID.
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Territori cristiani nel 1212 Territori conquistati fino al 1252
CARTOGRAFIA: EOSGIS
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Linea di espansione cristiana Flotta di Ramón Bonifaz (1248) Principali castelli e siti fortificati
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IL SOVRANO DELLE TRE RELIGIONI
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ENTRE AMPLIAVA i confini del suo regno, Ferdinando III di Castiglia e León stabiliva relazioni cordiali con molti dei sovrani musulmani sottomessi. Fu il caso di Muhammad ibn Nasr, sultano di Granada e suo amico personale, e degli emiri dei regni islamici di Niebla, Arcos e Jerez de la Frontera, che divennero vassalli del re di Castiglia e furono ammessi alla sua corte. Con analoga clemenza Ferdinando III si comportò verso i mudéjar rimasti a Cordova e Siviglia dopo il suo arrivo: tramite patti privati egli riconobbe loro la libertà personale e la possibilità di praticare la propria fede. Profondamente religioso, Ferdinando III aspirò tuttavia a creare un’Andalusia tollerante, basata sulla convivenza pacifica di cristiani, musulmani ed ebrei. L’iscrizione sul suo sepolcro in quattro lingue, ebraico, arabo, latino e castigliano, testimonia la volontà di Ferdinando III di essere il sovrano di tutti i suoi sudditi, e non solo di quelli di fede cristiana.
FERDINANDO III DI CASTIGLIA E LEÓN RICEVE LE CHIAVI DI SIVIGLIA DAL GOVERNATORE MUSULMANO, OLIO SU TELA DI FRANCISCO DE ZURBARÁN. 1634, COLLEZIONE PRIVATA.
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AISA
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LA SPLENDENTE TORRE D’ORO Alta 36 metri, è una torre militare eretta nel 1220 sulle sponde del Guadalquivir. Deve il suo nome al bagliore che proietta sull’acqua, dovuto alla miscela di malta di calce e paglia usata per costruirla.
Nelle fasi di crisi – come la seconda metà del Quattrocento – questa parte della cittadinanza sprofondava facilmente nell’indigenza, un destino che toccava più facilmente alle donne, agli anziani, ai malati e agli orfani. I documenti del XV secolo alludono con frequenza alla grande povertà della popolazione di Siviglia, e all’urgenza di moltiplicare in città i centri assistenziali e di carità per i bisognosi.
Una città di chiese e conventi Il cambiamento più tangibile vissuto da Siviglia dopo la conquista castigliana fu la moltiplicazione di chiese e conventi. La città venne divisa, sul modello di Toledo, in 24 parrocchie o collaciones, ciascuna delle quali faceva riferimento a una chiesa centrale. Molte di queste erano ex moschee trasformate in templi cristiani. Fu l’arcivescovo Raimundo de Losana, che aveva affiancato Ferdinando III nella con-
Il muro dei Giudei Nel settore nordoccidentale della città si concentravano i grandi monasteri fondati negli anni successivi alla Reconquista, come il Real Monasterio di San Clemente, che poté contare sul sostegno di Alfonso X e offrì sepoltura a vari membri della famiglia reale. Tra il Tre e il Quattrocento, altri centri monastici sorti per iniziativa della nobiltà sivigliana contribuirono a fare di Siviglia una capitale (almeno a livello architettonico) della fede. Il monastero di Santa Inés, per esempio, fu
fondato da María Coronel, figlia di Alfonso Fernández Coronel, nobile andaluso fatto uccidere da re Pietro I. Tra i tesori del convento vi era il corpo mummificato di María, che preferì sfigurarsi con l’olio bollente piuttosto che cedere ai desideri del sovrano, non a caso detto Pietro il Crudele. Anche gli ordini monastico-militari di Calatrava e San Giovanni non mancarono di lasciare tracce architettoniche significative nel cuore di Siviglia. All’interno delle mura cittadine viveva pure, fino al 1391, l’antica comunità ebraica, che occupava un quartiere vicino all’Alcázar, ma separato dal resto della città dal famigerato “muro dei Giudei”. Tra il XIII e XIV la comunità ebraica sivigliana fu una delle più potenti di Spagna, con famiglie come i Levi o gli Abravanel che svolgevano incarichi finanziari di rilievo nell’ambito dell’amministrazione pubblica di Alfonso XI e Pietro I.
LA SPADA DI FERDINANDO III Spada del XIII secolo, simbolo del potere di Ferdinando III, che fa parte del tesoro esposto nella Cappella reale della cattedrale di Siviglia, luogo di sepoltura del sovrano.
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quista di Siviglia, ad avviare la cristianizzazione degli antichi luoghi di culto islamico, un processo che occupò tutto il XIII e gran parte del XIV secolo. Solo al termine di questa fase di edilizia religiosa ebbe inizio la costruzione dei palazzi nobiliari, simboli, come in Italia, dell’affermarsi di un nuovo potere signorile.
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LA GIRALDA, IL MINARETO DI SIVIGLIA
UN PROGETTO IN PURO STILE ALMOHADE La torre della Giralda fu costruita tra il 1184 e il 1195 dagli alarifes (architetti e capomastri) Ahmad Ben Baso e Alí de Gomara, che nel progettarla si ispirarono ad altri due famosi minareti di epoca almohade (1147-1269): quello della Kutubiyya, a Marrakech,e la torre di Hassan, a Rabat, entrambi in Marocco. Balaustra merlata . Il corpo principale del minareto terminava con una piattaforma delimitata da una balaustra con merli a gradini, un ornamento tipico dell’arte andalusa. Dalla piattaforma si innalzava una seconda torretta, più sottile, coronata da una cupola a mosaici.
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In epoca islamica, la Giralda era il minareto dalla cui terrazza il muezzin chiamava a raccolta i fedeli per la preghiera nella Grande moschea di Siviglia. Voluta dal califfo Abu Yusuf Ya’qub, la moschea iniziò a essere costruita nel 1172, e dieci anni più tardi vi fu pronunciato il primo sermone. Venne demolita nel 1402 per far posto alla cattedrale gotica. Di essa restano solo la Giralda e il Patio de los Naranjos (Patio degli aranci).
MERLI A GRADINI DI TIPO ANDALUSO, VIII SECOLO, MOSCHEA DI CORDOVA.
BATTENTE BRONZEO DELLA PORTA DEL PERDONO, ACCESSO AL PATIO DE LOS NARANJOS.
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IL CAMPANILE RINASCIMENTALE FU COSTRUITO SULLA SOMMITÀ DEL MINARETO.
L’esterno La torre principale poggiava su blocchi di pietra provenienti dal palazzo di Muhammad al-Mu’tamid, sultano della taifa di Siviglia nell’XI secolo. Si trattava di un edificio a pianta quadrata, in mattoni a vista, con lati di 13,6 metri. La sua altezza superava i cinquanta metri. In totale il minareto, compresa la torretta finale, misurava 76 metri. SEBKHA, DECORO ROMBOIDALE IN MATTONI TIPICO DELL’ARCHITETTURA ALMOHADE.
L’interno Il minareto era formato da due torri: una esterna e una interna, a forma di prisma. Tra le pareti dell’una e dell’altra si apriva una cavità occupata da 35 rampe che salivano fino alla terrazza superiore. Questa soluzione fu pensata per consentire ai soldati, in caso di bisogno, di salire a cavallo fino alla sommità del minareto. SEZIONE DELLA GIRALDA, PARTICOLARE DA UN’INCISIONE CINQUECENTESCA.
LE QUATTRO SFERE DORATE Per celebrare la sua vittoria di Alarcos (1195, presso Toledo) sul re Alfonso VIII di Castiglia, il califfo Abu Yusuf Ya‘qub fece costruire la punta del minareto di Siviglia. Consisteva in una barra verticale di ferro, lo yamur, pesante circa 1400 chili, sulla quale si innestavano quattro sfere sovrapposte in rame dal forte valore simbolico.
1198. I quattro globi in rame furono posti sulla cima della Giralda nel marzo del 1198, alla presenza del califfo. Si narra che risplendessero così intensamente da essere visibili a più di un giorno di cammino di distanza. Le loro dimensioni decrescenti simboleggiavano i quattro mondi in cui può manifestarsi Allah: il mondo dei sensi, o Dunya; il mondo umano, o Mulk; il mondo dello spirito, o Malakut; e il mondo celeste, o Yabarut.
1568. La costruzione del campanile, opera dell’architetto Hernán Ruiz, si concluse con la collocazione sulla cima di una statua di bronzo che rappresentava la Fede e che fungeva anche da segnavento (o giralda, da cui il nome dell’edificio). L’altezza totale del nuovo campanile era di 43 metri, compresi i sette della statua in bronzo (ribattezzata Giraldillo) creata da J. Bautista Vázquez il Vecchio su modello del pittore Luis de Vargas.
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ILLUSTRAZIONI: FERNANDO AZNAR
1248. Quando Ferdinando III conquistò Siviglia, non sostituì lo yamur con una croce, come in genere avveniva nelle città islamiche occupate dai cristiani; preferì invece lasciarlo al suo posto, ammirato dallo sfavillare delle sfere dorate. Nel 1356, tuttavia, un terremoto fece crollare lo yamur e distrusse la cupola su cui si reggeva. Fu allora che il corpo superiore della torre venne modificato e trasformato in campanile.
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I MERCANTI GENOVESI CREARONO NEL CENTRO DI SIVIGLIA UNA RICCA COLONIA COMMERCIALE
La Siviglia cristiana si sviluppò attorno al suo fiume, il Guadalquivir. Del resto si diceva che la città fosse un “dono del Guadalquivir”, il cui alveo costituiva l’asse centrale dell’abitato. Le aree più vicine al fiume, dove si ergevano la cattedrale gotica, il Real Alcázar e la Porta di Jerez con il suo ponte levatoio, godettero ben presto dei benefici economici derivanti dalle attività commerciali legate al traffico fluviale. Il ponte di barche che congiungeva le due sponde del fiume, distrutto da Ramón Bonifaz, ammiraglio di Ferdinando III, durante la conquista della città, fu in breve ricostruito, unendo tra loro tramite catene 17 barconi per una lunghezza totale di quasi 150 metri.
La via dei Genovesi I sovrani di Castiglia promossero il ripristino degli antichi cantieri navali di epoca califfale, che furono utilizzati per costruire e riparare le grandi galee inviate poi a sorvegliare lo Stretto di Gibilterra. Di pari passo, attorno al porto andarono sorgendo importanti edifici pubblici: le fonderie reali, l’ospedale – gestito dagli Ordini monastico-cavallereschi – la Zecca, le dogane, il collegio di Santa Maria di Gesù, germe della futura Università. Il prosperare dei traffici fluviali spinse molte città europee, marinare e non, a creare nei quartieri di Siviglia grosse colonie commerciali, abitate da mercanti e amministrate da un legato che aveva l’incarico di gestire le attività di compravendita dei suoi concittadini. Tra queste colonie, la più fiorente fu indubbiamente quella fondata da Genova: i suoi mercanti, sotto Ferdinando III e Alfonso X, godettero di notevoli privilegi fiscali e mercantili, ed ebbero il loro quartier generale nella Calle de Génova, una via nei dintorni della cattedrale. Analoghi privilegi ottennero dalle autorità locali i mercanti fiorentini, veneziani, 50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
SYLVAIN SONNET / CORBIS / CORDON PRESS
CERAMICA IN STILE MUDÉJAR PROVENIENTE DA VALENCIA, XV SECOLO.
pisani e fiamminghi. Anche i Catalani e i Valenziani avevano proprie basi a Siviglia, e così pure i mercanti galiziani e baschi, a conferma della capacità di attrazione della città e della sua vocazione cosmopolita.
Dentro e fuori le mura Malgrado la crescita demografica e il continuo sorgere di nuovi quartieri, la città rimase circoscritta entro le sue antiche mura arabe, che avevano un perimetro di oltre sette chilometri. Dotata di 12 porte perennemente intasate dall’andirivieni di mercanti, contadini e soldati, questa cinta muraria delimitava un’area di circa 290 ettari, solo in parte edificata. All’interno della città murata, infatti, resistevano vaste aree disabitate, zone spopolate come l’odierna Alameda de Hércules, una grande piazza nei pressi del fiume Guadalquivir sorta nel 1574 su terreni acquitrinosi.
IL CORTILE DELLE CENTO VERGINI
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ALCÁZAR DI SIVIGLIA non è
solo uno dei più monumentali palazzi reali al mondo, ma anche uno straordinario incrocio di tradizioni architettoniche e stili contrastanti. L’immenso complesso è formato da vari ambienti ed edifici costruiti in epoche successive, intervallati da splendidi giardini interni. Tra questi è celebre il Patio de las Doncellas, il “Cortile delle fanciulle”, il cui nome deriva dalla leggenda secondo la quale i Mori esigevano come tributo dai re cristiani spagnoli 100 vergini ogni anno. Il livello inferiore del patio fu eretto da Pietro I il Crudele nel secolo XIV, mentre della galleria superiore si occupò, nel XVI secolo, Luis de Vega, architetto imperiale di Carlo V, che lo eresse in stile rinascimentale. Nell’insieme il patio risente di una molteplicità di influenze stilistiche diverse, che vanno dal Moresco al Mudéjar, dal Gotico al Barocco. IL PATIO DE LAS DONCELLAS, ERETTO DA PIETRO I IL CRUDELE NEL XIV SECOLO E AMPLIATO NEL CINQUECENTO DA CARLO V.
Relax al parco Tra queste aree verdi, i Sivigliani del XIII secolo mostravano ancora di prediligere l’antica Huerta del Rey, una sorta di grande parco con piscine colme di pesci multicolori, piante acquatiche, giardini botanici irrigati da cristallini corsi d’acqua. Nel XV secolo, venne poi edificato l’Humilladero della Cruz del Campo, un tempietto di campagna che era al tempo stesso tappa finale della Via Crucis quaresimale, luogo di pellegrinaggio per i fedeli e punto di ritrovo per i Sivigliani in cerca di relax.
Alla fine del XIV secolo, Siviglia era divenuta la città più popolosa dell’Andalusia, con circa 3.000 residenti. E da lì in avanti il numero dei suoi abitanti sarebbe cresciuto costantemente, fino a raggiungere, nel XV secolo, le 40.000 unità. I viaggiatori che vi giungevano restavano impressionati dal suo affollamento, ma anche dalle feste che si succedevano di continuo nelle piazze e dal pullulare di postriboli, locande e pessimi alloggi. Erano anche sconcertati dalla passione delle classi popolari per le mode aristocratiche. Siviglia, sul finire del XV secolo, era la meta prediletta di nobili, artisti e mercanti, e in ogni suo palazzo sembravano manifestarsi il prestigio e la ricchezza raggiunti dalla città. L’antica Ishbiliyya era diventata la capitale politica ed economica della Castiglia, una metropoli che, per splendore e opulenza, superava ogni altra città spagnola.
IL RE IN PREGHIERA Statua in alabastro di Pietro I il Crudele, re di Castiglia e León dal 1350 al 1369, raffigurato in posizione orante. XIV secolo, Museo Arqueológico Nacional, Madrid.
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Fuori dalla cinta muraria, l’unico quartiere importante era quello di Triana, formatosi intorno alla parrocchia di Sant’Anna, nel XIII secolo. Il resto era una cintura agricola di campi coltivati, alberi e frutteti solo ogni tanto interrotta dagli splendidi orti-giardini che sorgevano nei pressi dei monasteri.
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UN LUNGO MEDIOEVO La Londra medievale esisteva ancora nel 1547. A destra si vede la guglia della cattedrale gotica di Saint Paul durante la processione per l’incoronazione di Edoardo VI, in quell’anno. Acquerello di Samuel Hieronymous Grimm. 1785. Society of Antiquaries, Londra.
CONTRASTI SULLE RIVE DEL TAMIGI
LONDRA Si poteva trovare di tutto a Londra. Splendide case e sporchi tuguri si concentravano in una bella e caotica città, il cui passato medievale fu distrutto per sempre dallo spaventoso incendio del 1666 MICHAEL ALPERT
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UNIVERSITÀ DI WESTMINSTER
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erci di lusso, un porto gremito, commercianti, prostitute, ladri, odori intensi e maestose dimore che contrastavano con le fangose stradine: poteva trovarsi di tutto nella Londra di fine Medioevo. La capitale dell’Inghilterra era allora una piccola città che misurava da nord a sud poco più di un chilometro. Si estendeva invece due chilometri e mezzo da est a ovest, dalla Torre di Londra, nell’estremità orientale delle mura, fino allo sbocco del fiume Fleet nel Tamigi. Intorno al 1370, circa 40.000 persone vivevano all’interno delle mura romane che circondavano la città; in un costante viavai, carri e residenti attraversavano le sue cinque porte, i cui nomi rimangono oggi come nomi di strade e stazioni della metropolitana: Ludgate a ovest; Aldersgate, Moorgate e Bishopsgate a nord, e Aldgate a est. Le due arterie principali che attraversavano Londra da est a ovest portavano alla cattedrale di Saint Paul, il maggiore edificio dell’Inghilterra medievale, la cui guglia dominava l’intera città. Dalla cattedrale, un’altra importante via, Cheapside, si dirigeva a est.
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Un luogo di perdizione
RITRATTO DI RICCARDO II A quattordici anni, Riccardo II assistette presso Smithfield, nei dintorni di Londra, all’assassinio del ribelle Wat Tyler. Dipinto su tavola. 1390. Abbazia di Westminster, Londra.
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Sulla riva meridionale del Tamigi, a Southwark, sobborgo della Londinium romana, esisteva una zona che sfuggiva al controllo delle autorità. Lì si affastellavano taverne e bordelli, covi di ladri e indesiderabili di ogni tipo. Già alla fine del XII secolo, il monaco benedettino Riccardo di Devizes descrisse Londra come un luogo di peccato, pieno dei peggiori individui: ladri, streghe, effeminati e pederasti, falsi guaritori, buffoni, imbroglioni e ruffiani delle prostitute che pullulavano ovunque. Da Southwark partivano le vie verso sud ed è per questo che qui fiorivano locande e taverne. Tuttora ne esiste una, The George, che conserva il cortile dal quale uscivano allora le diligenze. Di fianco a essa, e fino al XIX secolo, si trovava The Tabard, la celebre locanda dove si riunirono i pellegrini de I racconti di Can-
terbury che Geoffrey Chaucer scrisse intorno al 1387. A monte del fiume, un miglio e mezzo più a ovest, si ergeva la grande abbazia di Westminster in una zona regale ed ecclesiastica. In contrasto con il tono accusatorio di Riccardo di Devizes, alla fine del XV secolo, il poeta scozzese William Dunbar cantava: “Londra, sei il fiore di tutte le città”. E l’ambasciatore veneziano Andrea Trevisan scrisse nel 1478 che “a Londra abbondavano gli articoli di lusso. In una sola via [probabilmente Cheapside, la principale strada commerciale di quell’epoca] c’erano 52 orafi e una quantità di oggetti maggiore di quella esistente in tutte le botteghe di Milano, Roma e Firenze messe insieme”.
Rumori e odori Il paesano che arrivava in città rimaneva senza parole per la meraviglia davanti a quella Londra rumorosa e chiassosa. Gridavano i portieri, gli acquaioli e i venditori ambulanti. Le ruote dei carri scricchiolavano sul selciato e i colpi degli attrezzi da lavoro di fabbri, falegnami e bottai risuonavano per le strade. Il contadino era assillato dai venditori, e, nel frattempo, qualche ladruncolo poteva rubargli il portamonete e darsi alla fuga. Gli odori non erano meno intensi dei rumori. Il fetore dei mattatoi si mescolava con quello dello sterco di cavalli, asini, mucche da latte e del bestiame che era accalcato nelle vie. Se il viandante aveva fame, a ogni angolo poteva trovare locali che vendevano pane, vino e panzerotti il cui contenuto era molto difficile, se non impossibile, da identificare. Londra viveva continui cambiamenti: vi si costruiva, vi si distruggeva, vi si ricostruiva.
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ABBAZIA DI WESTMINSTER Celebrata da re e poeti, e visitata da migliaia di pellegrini, l’abbazia medievale di Westminster diventò il luogo dell’incoronazione e della sepoltura dei sovrani inglesi.
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I NOBILI INGLESI PREFERIVANO SPOSTARSI SUL TAMIGI CHE SULLE STRADE AFFOLLATE
Spuntavano dunque nuove case, botteghe, mercati e chiese all’interno della città e, sempre più spesso, all’esterno delle mura. Forse la maggiore opera nel Basso Medioevo fu qui la ricostruzione in muratura del Ponte di Londra, grande via commerciale fin dall’epoca romana. Ai magazzini e alle botteghe della città arrivavano continuamente nuovi generi commerciali dal porto. Situato tra il Ponte di Londra e la Torre di Londra, esso era sempre stracolmo di imbarcazioni cariche delle merci importate da ogni parte del mondo, quali sete, spezie, gioielli, tappeti, frutta esotica e il famoso Sherry o vino di Jerez (in Spagna), oltre che il vino delle Canarie e di Porto. Si commerciava ogni tipo di prodotto: pelli, lana, tele, cereali, legno, ferro, sale, cera e un’infinità di altre merci.
La città dei ricchi Il luogo in cui la nobiltà preferiva dimorare era lo Strand, sul percorso che univa Londra con Westminster. Le porte posteriori delle residenze permettevano un facile accesso al Tamigi, una via di circolazione più veloce e gradevole rispetto alle affollate strade cittadine. Lì, gli aristocratici e i grandi mercanti potevano dimenticarsi dei cattivi odori, del fumo di carbone e del trambusto caratteristici del centro di Londra. Somerset House, dove nel 1604 si firmò un celebre trattato di pace tra Inghilterra e Spagna, è una delle dimore nello Strand che è sopravvissuta fino a oggi, anche se in gran parte ricostruita nel XVIII secolo. La più imponente fu però il Savoy Palace, che nel XIV secolo appartenne al più potente nobile del regno, Giovanni di Gand, duca di Lancaster. Oggi, il Savoy Theatre ne ha preso il posto. I nobili, il clero superiore, i conventi e i commercianti all’ingrosso e di oggetti di lusso occupavano grandi case di mattoni, spesso di tre o quattro piani e circondate da giardini cinti 56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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I RACCONTI DI CANTERBURY DI GEOFFREY CHAUCER. 1478. BRITISH LIBRARY.
da mura in cui crescevano alberi da frutta. Davanti alle dimore c’erano cortili circondati dagli alloggi del personale; dietro vivevano le guardie armate, i servitori e i ragazzi che si occupavano di badare ai cavalli e alle carrozze di lusso su cui si spostavano i signori e le loro dame, scortati da guardie del corpo. L’interno delle case era costituito da un’immensa sala, attorniata da stanze da letto. Spesso vi era una cappella perché i padroni non dovessero uscire per ascoltare la messa in una delle 126 chiese che esistevano a Londra nel XIII secolo.
L’altra faccia della città Al di fuori delle zone riservate alla classe benestante, la Londra medievale si presentava come un labirinto di strade e vie sinuose. Gli operai vivevano ammucchiati, spesso con le loro famiglie, in una sola stanza, senza camino né vetri nei fori che fungevano da finestre.
LA TORRE DI LONDRA La Torre di Londra, nella zona a sud-est del Tamigi, fu una fortezza e anche una prigione. Il suo edificio principale, la Torre Bianca, venne costruita da Guglielmo il Conquistatore nel 1078.
LA FINE DI UN RIBELLE WAT TYLER capeggiò la rivolta di
LA MORTE DI WAT TYLER. MINIATURA. CRONACHE DI JEAN FRO ISSART, 1460. BRITISH LIBRARY, LO NDRA.
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contadini e artigiani urbani che scoppiò nel 1381, a causa dell’introduzione di una nuova imposta. L’immagine mostra Smithfield, a quel tempo un’ampia area erbosa fuori Londra, in cui Riccardo II convocò i ribelli per negoziare. Mentre erano lì riuniti, il sindaco di Londra, William Walworth, uccise Tyler colpendolo al collo con la spada. Nella miniatura il re compare due volte: vicino a Tyler e mentre si allontana.
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LA FOLLA DECAPITÒ L’ARCIVESCOVO DI LONDRA NELLA RIVOLTA CAPEGGIATA DA WAT TYLER L’ARMA DI WILLIAM WALWORTH, USATA PER UCCIDERE WAT TYLER NEL 1381.
Il pavimento di fango era coperto con stuoie formate da giunchi sporchi, tra i quali correvano i ratti e pullulavano le pulci. Così erano le abitazioni degli operai qualificati come conciatori, falegnami, sellai, sarti e tintori. Ancora oggi, i nomi di alcune strade indicano i mestieri di coloro che vivevano in esse, come Milk Street, la via dei lattai, Bread Street, quella dei panettieri, o Coal Lane, quella dei carbonai. L’aspetto di queste vie offriva un forte contrasto con Lombard Street, le cui confortevoli abitazioni erano destinate ai ricchi banchieri provenienti dalla Lombardia.
Condizioni insalubri Sebbene fossero stati emessi regolamenti che prescrivevano che i piani bassi delle nuove abitazioni fossero costruiti in pietra e che i tetti fossero coperti con tegole, la richiesta di case era talmente alta che si continuavano a costruire edifici di legno e perfino di mattoni crudi e canne, con tetti di paglia. Nelle dimore, sprovviste di camini, gli abitanti cucinavano e si riscaldavano per mezzo di bracieri, e quindi gli incendi erano frequenti. Ancora più dannosa era la mancanza di igiene, che causava costantemente malattie ed epidemie. Senza un’adeguata pulizia municipale e con un sistema di fognature primitivo, le strade cittadine erano piene di rifiuti di ogni genere, da animali morti a tutto quello che gli abitanti erano soliti gettare dalle finestre: verdura e frutta marce, deiezioni personali. L’acqua maleodorante scorreva al centro della via e una gran parte della spazzatura andava a finire nel fiume, dal quale molti abitanti attingevano l’acqua da bere. In tali condizioni erano comuni le malattie infettive, la dissenteria e il colera. Nel XIII secolo arrivarono a Londra frati dominicani, francescani e benedettini per soccorrere i malati delle zone più in difficoltà. Questi religiosi erano identificati dal colore dei loro abiti: 58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
rispettivamente frati neri, frati grigi e frati bianchi, nomi che sono rimasti in alcune strade ed edifici londinesi, come la stazione dei treni di Blackfriars, “frati neri”.
Anni violenti Alla fine di settembre del 1348 arrivò a Londra la peste nera, o peste bubbonica, portata da ratti che viaggiavano a bordo delle navi ormeggiate ai moli. L’epidemia uccise più della metà degli abitanti. Anni dopo, Londra avrebbe affrontato un’altra crisi: una nuova imposta di tre pence, l’equivalente di una giornata lavorativa di un operaio, fece invadere Londra nel 1381 dai contadini dell’Essex e del Kent, contee vicine alla capitale. Le folle, guidate da Wat Tyler, pretendevano la fine della loro condizione sociale di semischiavi, la vendita delle terre dei conventi e l’uguaglianza di tutti davanti alla legge. I ribelli conquistarono la città, aprirono le carceri e saccheggiarono il Savoy Palace, proprietà di Giovanni di Gand. Distrussero anche il palazzo di Lambeth, residenza di Simon Sudbury, arcivescovo di Canterbury, primate d’Inghilterra e Lord cancelliere del regno. L’arcivescovo, accompagnato dal Lord Tesoriere, abbandonò il palazzo e si rifugiò nella Torre di Londra, una fortezza creata con il proposito di dominare il popolo ribelle. Il giorno dopo, il re Riccardo II, di soli 14 anni, si presentò davanti ai rivoluzionari, che si erano accampati a Mile End, un distretto posto un miglio a est della City. Nel frattempo, un gruppo di insorti si diresse alla Torre di Londra e catturò l’arcivescovo e il tesoriere, li decapitò, percorse le strade con le loro teste su una lancia e le fissò al Ponte di Londra. Anche se la Rivolta dei contadini terminò con la morte di Wat Tyler e con un coprifuoco imposto alla popolazione che fu così costretta a rientrare nelle proprie case quando faceva buio, la violenza rimase un fatto abituale.
ERICH LESSING / ALBUM
LA CHIESA DEI TEMPLARI Risalente al XII secolo, the Temple è uno dei pochi edifici medievali che rimangono ancora in piedi. Era una delle costruzioni che formavano la commenda dei Templari a Londra.
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LA FINE DELLA CITTÀ MEDIEVALE
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LL’ALBA di domenica 2 settembre 1666 iniziarono a comparire alcune fiamme sulla sponda nord del Tamigi. In pochissimo tempo queste si estesero in modo allarmante, riducendo in cenere le case e le strade del centro della città. Lo spaventoso incendio distrusse quasi del tutto la Londra medievale: una densa trama di stretti vicoli e di alte case di legno delimitate dalle antiche mura romane e dal Tamigi. La città, con il suo mezzo milione di abitanti, brulicava di attività produttive come officine metallurgiche, fabbriche di vetro e panifici che comportavano il rischio di incendi. Da uno di questi edifici partì molto probabilmente la scintilla fatale. Nel secondo giorno dell’incendio, il fumo poteva essere visto a una distanza di sessanta chilometri dalla capitale. Dopo questo devastante incendio, il celebre architetto Christopher Wren ebbe l’incarico di ricostruire la città.
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IL GRANDE INCENDIO DI LONDRA NEL 1666. OLIO SU TAVOLA. SCUOLA OLANDESE. XVII SECOLO. MUSEUM OF LONDON, LONDRA.
THE GRANGER CLLECTIO / AGE FOTOSTOCK
IL LORD DELLE CLASSI POVERE In questa incisione di Renold Elstrack, del XVII secolo, è ritratto il mercante e filantropo Richard Whittington, che finanziò opere pubbliche, ospedali e bonifiche in zone povere di Londra.
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Le risse erano frequenti: litigavano apprendisti delle varie corporazioni, servi e lavoratori che difendevano la loro paga giornaliera lottando contro chi arrivava dalla campagna o dall’estero in cerca di occupazione.
Un governo difficile Governare Londra non era cosa facile e, spesso, le sanzioni erano molto severe. La forca e la frusta erano onnipresenti, e per ogni crimine erano previsti diversi tipi di punizioni. Il commerciante che ingannava i propri clienti e il panettiere che vendeva una focaccia di un peso minore rispetto a quello dovuto rischiavano di essere caricati su un asino per essere portati alla gogna, dove il popolo, per varie ore, lanciava loro pietre e ortaggi putrefatti, mentre di fronte a questi si bruciavano le merci contraffatte. Ai ruffiani veniva rasata la testa e le prostitute erano por-
tate in strada con in mano una candela accesa fino alla gogna, per poi essere rinchiuse in un edificio destinato al loro recupero morale. Se un sacerdote era sorpreso in flagrante con una delle sue parrocchiane, era condotto per le strade con i calzoni calati. Il governo di Londra esigeva però qualcosa in più delle punizioni, e alcuni dei suoi amministratori cercarono di migliorare le condizioni di vita in città. Dal 1189, questa era governata da un sindaco (Mayor), figura così importante che ancora oggi il sindaco della antica City è indipendente dal sindaco di Londra capitale. Uno dei sindaci più celebri di Londra fu Richard Whittington (1354-1423), un mercante che fece una grande fortuna con il commercio di stoffe e che, oltre a essere membro del Parlamento, ricoprì quattro volte l’incarico di primo cittadino. Nel corso della sua vita, Whittington finanziò grandi progetti pubblici nel-
1 IL TAMIGI. Il Ponte di Londra, le cui arcate si vedono nel dipinto, univa il nord della città, luogo in cui scoppiò l’incendio, con il sud, che si mantenne al riparo dalla fiamme grazie al Tamigi. Il quadro sembra opera di un pittore che osserva la città dal bordo di una imbarcazione sul fiume. 2 BRUCIA SAINT PAUL. Le fiamme divorano la cattedrale di Londra. Nel quadro, il fuoco sembra aver superato già il fiume Fleet, un affluente del Tamigi situato a ovest della cattedrale di Saint Paul, cosa che accadde il secondo giorno dell’incendio, la mattina del 4 settembre.
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3 LA FUGA. Nell’immagine si vedono centinaia di persone che si dirigono verso est, in direzione opposta all’avanzata del fuoco, mentre altre attraversano il fiume su barche. Le fiamme lasciarono senza casa circa 80.000 persone, quasi un quinto degli abitanti della Londra di allora. 4 LA TORRE DI LONDRA. Le guardie di questa fortezza reale parteciparono ai lavori di spegnimento distruggendo le case con polvere da sparo per arginare il fuoco. Questo fu uno dei luoghi dai quali seguì l’incendio Samuel Pepys, il cui diario è per noi un’importante fonte storica.
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le zone più povere di Londra, migliorò il drenaggio delle acque di scarico e finanziò una sala nell’ospedale di Saint Thomas dedicata solo alle ragazze madri. Promulgò anche una legge nella quale proibiva agli apprendisti dei conciatori di lavare le pelli animali nell’acqua fredda del Tamigi, poiché molti di loro morivano di ipotermia o affogati a causa delle forti correnti che li trascinavano via. Lasciò la sua fortuna al fondo benefico Sir Richard Whittington che, istituito da lui stesso, sei secoli dopo continua a soccorrere i bisognosi. Oltre al sindaco, vi era un consiglio eletto dalle grandi corporazioni dei mestieri, ognuna delle quali disponeva di un luogo di riunione detto hall; molte di queste sale esistono ancora oggi. Il consiglio si riuniva nella Guildhall, un grande edificio situato un po’ a nord di Cheapside e costruito su quello che nell’epoca romana era stato il centro amministrativo.
Il vero potere si concentrava però nelle mani di poche famiglie che erano in costante lotta con il potere reale ed esposte alla violenza delle masse scontente. Dovevano anche affrontare l’arrivo di competitive merci straniere e l’ascesa della nuova classe media che minacciava la loro condizione privilegiata. Alla fine del Medioevo, Londra continuava a essere una città medievale cinta da mura. Anche se la sua vera espansione non arrivò fino alle epoche dei Tudor e degli Stuart, nei secoli XVI e XVII, nel corso della sua storia non smise mai di essere una città di intensi contrasti in cui era possibile di tutto. Dal Medioevo a oggi, Londra ha continuato a essere la città che Samuel Johnson, uno dei più grandi scrittori inglesi, descriveva così nel XVIII secolo: “Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra esiste tutto ciò che la vita può offrire”.
PANICO A LONDRA La paura dei Londinesi e la terribile avanzata dell’incendio, che iniziò al centro della città e fu bloccato solo dalle acque del Tamigi, sono drammaticamente rappresentate in questo dipinto.
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LA VENEZIA DEL NORD Così, già in epoca medievale, era definita Bruges, città celebre per i suoi mercati, i suoi splendidi palazzi e i canali d’acqua (Reien) percorsi da battelli carichi delle merci in arrivo da tutta Europa.
IL PIÙ GRANDE MERCATO D’EUROPA
BRUGES
Non è un caso se il termine Borsa, nel senso di piazza degli affari, pare derivare dal cognome di una famiglia di Bruges: sul finire del Medioevo, infatti, la città belga divenne la capitale commerciale e finanziaria non solo delle Fiandre, ma dell’intera Europa COVADONGA VALDALISO DOCENTE DI STORIA MEDIEVALE
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ittà cosmopolita per eccellenza, tra il XIV e XV secolo Bruges fu il principale mercato europeo e la più affollata piazza di scambi finanziari. Le navi salpate dall’Italia facevano scalo in Spagna, Portogallo o Inghilterra per poi approdare nella città fiamminga, da dove le loro merci venivano distribuite in Russia e nel centro e Nord Europa.
Un labirinto con due centri
RELIQUIARIO IN STILE FIAMMINGO A dipingere nel XV secolo il Reliquiario di Sant’Orsola fu Hans Memling, affermato maestro tedesco che lavorò a Bruges. Ora si trova nel Hans Memlingmuseum della città belga. 64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Una volta sbarcato nel porto cittadino, il viaggiatore medievale che approdava a Bruges (il cui nome, dal norreno bryggja, significa “pontile”, “banchina”) rischiava di smarrirsi in un dedalo di canali, ponti e stradine senza nome, popolati da gente che proveniva da ogni Paese e parlava ogni tipo di lingua. Presto o tardi, tuttavia, si sarebbe ritrovato nel Grote Markt, la grande piazza del mercato della lana: lì, sotto i portici degli edifici che delimitavano lo slargo, c’erano le botteghe dei banchieri e dei cambiavalute, mentre nella piazza si vendevano uova, verdure, tessuti, lana e prodotti di vario
genere. Nessuno, nel XV secolo, poteva restare insensibile di fronte allo spettacolo del Grote Markt, il mercato più attivo d’Europa. A pochi passi da qui c’era il secondo cuore di Bruges, il Burg, piazza dove sorgevano il municipio e la basilica del Sacro Sangue. Se il viaggiatore era devoto, la prima visita sarebbe toccata sicuramente alla basilica, al cui interno era custodita una delle reliquie più venerate del Medioevo: la fiala in cristallo di rocca nella quale, secondo la tradizione, Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto alcune gocce del sangue di Cristo, e che sarebbe stata portata a Bruges nel 1149 dal conte crociato Thierry d’Alsace, di ritorno da Gerusalemme.
Abiti sfarzosi e buone locande Proprio di fronte alla chiesa, nell’angolo sud della piazza, vi era invece lo Stadhuis, il Municipio di Bruges: distrutto da un incendio nel 1280, a metà del XV secolo era appena stato ricostruito dall’architetto Jan Roegiers nel più puro stile gotico-bramantino. A meno che non fosse un appassionato d’architettura o un cultore di reliquie, lo straniero in visita a Bruges sarebbe comunque rimasto colpito soprattutto dallo sfarzo degli abiti indossati dai passanti. Che fossero mercanti locali o uomini d’affari stranieri, tutti gli abitanti di Bruges sembravano infatti impegnati in una gara per dimostrare che nella loro città tutto si poteva comprare con il denaro, e che il denaro vi scorreva a fiumi. A questo punto il nostro viaggiatore, stanco per il viaggio e per l’emozione del primo impatto con una realtà straniera, avrebbe forse avvertito l’esigenza di trovare un alloggio.
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Anche Francesi, Inglesi, Portoghesi, Tedeschi, Catalani e Castigliani contribuivano ad alimentare questo intenso traffico mercantile. Non c’è da stupirsi, dunque, se già nel X secolo il viaggiatore andaluso Pedro Tafur dicesse di Bruges: “Lì vedrete tutte le nazioni nutrirsi alla stessa mangiatoia senza litigare”. Dal Mediterraneo arrivavano i velluti di Genova, i broccati di Venezia e le spezie orientali; dal Nord il frumento baltico, la birra di Amburgo e Brema, il legname e il baccalà della Norvegia, le pelli russe; dall’Inghilterra la lana, dalla Francia il vino, dalle Fiandre i tessuti. Bruges non aveva produzioni proprie: si prestava come luogo strategico di scambio. E, grazie a questa sua funzione di “hub” commerciale, si arricchiva e prosperava, costruiva case e scavava canali. Una crescita senza sosta che si sarebbe arrestata solo all’inizio del XVI secolo, a seguito del trasferimento dei traffici europei nella vicina Anversa.
BERTRAND RIEGER / GTRES
IL GROTE MARKT In questa piazza rettangolare, cuore della Bruges medievale, si erge il maestoso Belfort, campanile alto oltre 80 metri che sovrastava l’antico mercato della lana (Hallen). La piazza fu costruita nel XIII secolo e rinnovata nel Cinquecento.
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CANALI, DIGHE E MAREE
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L RAPPORTO DI BRUGES con l’acqua
è molto stretto: uno degli elementi distintivi della città fiamminga sono infatti i suoi canali interni, attraverso i quali, nel Medioevo, si poteva navigare fino al centralissimo Grote Markt. Questi canali erano dotati di dighe che regolavano il flusso delle maree e, al tempo stesso, fungevano da linea difensiva in caso di attacco nemico. Il modo in cui questa rete di vie d’acqua si andò creando è complesso: in generale, la si può considerare come il frutto della combinazione tra canali naturali e canali artificiali scavati dall’uomo. IL PAESAGGIO URBANO DI BRUGES nacque in effetti da un fitto lavoro di canalizzazioni, combinato con la costruzione di ponti, moli, banchine… Attraverso i canali si introducevano i battelli carichi di merci fino nel porto interno della città, l’odierno Minnewater. Le maree erano la forza motrice di Bruges: l’acqua sospingeva le barche e manteneva in funzione i mulini delle fabbriche. Nel XV secolo, Bruges aveva la struttura urbana che si può osservare in questa incisione tratta dal Civitates Orbis Terrarum, atlante cinquecentesco firmato da Georg Braun e Franz Hogenberg.
1 Gli orti
Bruges fu una delle più popolose città delle Fiandre, regione nella quale la cospicua presenza di centri urbani, con conseguente forte richiesta di derrate alimentari, favorì lo sviluppo dell’agricoltura e di un allevamento basato sulla produzione di carne e latte.
2 I ponti
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Nel XV secolo decine di ponti scavalcavano i canali di Bruges, unendo tra loro le varie strade. Quelli ancora visibili, realizzati in pietra, differiscono molto dai ponti medievali, che avevano strutture mobili in legno per consentire il passaggio dei battelli mercantili.
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3 Burg
Fu il centro politico di Bruges e la seconda grande piazza cittadina dopo il Grote Markt. Ai suoi lati si ergono lo Stadhuis, o Municipio (costruito tra il 1376 e il 1421, è il palazzo comunale più antico del Belgio) e la basilica del Sacro Sangue (XII secolo).
4 Grote Markt
Vero fulcro della Bruges medievale, fu uno degli scenari della rivolta dei tessitori fiamminghi (1302) contro i Francesi insediati nelle Fiandre. Qui si scaricavano i tessuti che giungevano in battello, lungo i canali cittadini, dall’avamporto di Damme.
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5 Belfort
Il Grote Markt, la piazza su cui si affaccia questo grandioso campanile, ospitò per secoli il mercato della lana. Il Belfort (detto anche Belfry) fu aggiunto alla piazza nel 1248, e ricostruito dopo un incendio nel 1296; la torre ottagonale che chiude l’edificio è del 1483.
6 Mulini
Nell’Europa preindustriale, l’energia motrice necessaria per muovere i macchinari delle concerie e delle industrie tessili era fornita dai mulini ad acqua costruiti lungo i fiumi e i canali; i mulini a vento, invece, venivano utilizzati per la macina dei cereali.
7 Mura
In epoca medievale, Bruges era protetta da una cinta muraria fortificata e da un fossato esterno. La cinta, edificata nel XII secolo e più volte ricostruita, andò definitivamente in rovina nell’Ottocento. Oggi sopravvivono solo quattro delle sue antiche porte.
8 Minnewater
Il vasto porto interno della città – il cui nome, alla lettera, significa “Lago dell’amore”– nasceva da un sistema di dighe create lungo il Reie, il grande canale navigabile che collegava Bruges all’estuario dello Zwyn, sul Mare del Nord.
IL FIORENTE MERCATO DELL’AMORE
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MUSEO STAATLICHE
DIFFERENZA di quanto accadeva in altre città, le autorità di Bruges non cercarono di controllare il mercato della prostituzione; non c’erano restrizioni né sul modo di vestire, né sulle zone della città nelle quali le meretrici potevano esercitare. La maggior parte incontrava i propri clienti in bagni pubblici, postriboli e taverne situati nel centro città o vicino ai mercati. L’elevato numero di prostitute presenti a Bruges non mancava di stupire i visitatori stranieri, ma la città seguiva le regole del mercato: l’offerta corrispondeva a una domanda ampia e stabile. I postriboli contavano su una clientela di passaggio – i visitatori – e su una fissa – gli stranieri che risiedevano a Bruges per lunghi periodi. Molti di loro erano single, e quelli sposati raramente portavano con sé le loro mogli. Le prostitute, di solito, erano donne trasferitesi in città dalla campagna per sfuggire alla povertà.
PROSTITUTE CON I LORO CLIENTI IN UN BAGNO PUBBLICO , MINIATURA DEL XV SECOLO, STAATLICHE MUSEEN, BERLINO.
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LA CAPITALE DI FILIPPO III Il duca di Borgogna, Artois e Fiandre Filippo III il Buono, raffigurato sul dritto di questa moneta d’oro coniata durante il suo regno (1419-1467), stabilì a Bruges la capitale.
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Da questo punto di vista, difficilmente Bruges poteva deludere le attese: la città, infatti, proponeva ostelli e locande adatti a ogni esigenza, e una ricca offerta di osterie e taverne in cui ristorarsi e bere del discreto vino.
La prima Borsa-valori Se il visitatore si trovava a Bruges per affari, gli conveniva probabilmente consumare il pranzo in una locanda: non di rado, infatti, questi locali fungevano anche da cambiavalute, offrendo prestiti e fornendo preziose informazioni circa possibili affari. Tale attività collaterale delle locande era così diffusa che, secondo la tradizione, la prima Borsa valori della storia sarebbe nata proprio nel palazzo di un ricco locandiere di Bruges, tale Van den Burse. Qualora il visitatore, dopo pranzo, avesse voluto svagarsi per qualche ora, poteva pas-
seggiare lungo i canali cittadini, affacciarsi sui laboratori artigianali dei vari quartieri, ammirare la torre – alta 122 metri – della Chiesa di Nostra Signora. Poteva anche entrare in una delle taverne che proponevano spettacoli di danza e musica, o in uno dei molti postriboli e bagni pubblici. La diffusione della prostituzione a Bruges era una diretta conseguenza dell’abbondanza di denaro: laddove nel Medioevo c’erano mercati, banche e commerci, non mancavano mai anche taverne, gioco d’azzardo e bordelli. Alle sue origini, Bruges era un borgo annesso al regno franco dei Merovingi, che venne poi soppiantato dall’Impero carolingio. Nel IX secolo le Fiandre, la regione belga a cui la città, geograficamente, appartiene, furono trasformate in una contea indipendente da Baldovino I, che costruì una fortezza nei pressi del borgo, a protezione delle coste fiammin-
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ghe martoriate dalle incursioni vichinghe. Fu questo castello fortificato il nucleo attorno al quale si andò aggregando la futura città. Mercanti e artigiani iniziarono a insediarsi a Bruges già sul finire del IX secolo, e nel 1089 fu costruita la prima cerchia muraria.
Il gioco delle maree La vicinanza al mare, l’allestimento di grandi fiere, il progressivo processo di inurbamento dei contadini risiedenti nelle campagne: tutto questo spiega a sufficienza la vertiginosa crescita economica, demografica e urbanistica di cui la città fu protagonista a partire dal IX secolo. Il nucleo primitivo dell’abitato, probabilmente poco più di un villaggio, in appena due secoli si espanse fino a generare una piccola metropoli. E a questo processo di crescita contribuì in misura decisiva la compresenza, accanto alla fortezza, del porto.
Sin dal IX secolo Bruges, pur distando 13 chilometri dalla costa, comunicava con il Mare del Nord attraverso un ampio canale naturale scavato nella sabbia; ma a partire dall’XI secolo un graduale processo di interramento interruppe questo collegamento. Fortunatamente per Bruges, nel 1134 una tempesta aprì un nuovo canale naturale, ribattezzato Reie, tra l’estuario dello Zwyn e la città, riattivando le comunicazioni marine. Le autorità di Bruges ne approfittarono per creare due avamporti nei villaggi di Sluis e Damme, dove le navi mercantili in arrivo dall’oceano scaricavano le merci che poi venivano imbarcate su battelli più piccoli e traghettate fino a Bruges. Il trasporto delle merci avveniva sfruttando il gioco delle maree: i battelli attendevano a Damme il sopraggiungere dell’alta marea, che con le sue correnti li sospingeva lungo il Reie fino al porto di Bruges.
LA PORTA DELLA SANTA CROCE L’imponente Kruispoort, aperta nel 1297 sul lato est della cinta muraria di Bruges, fu distrutta nel 1382 dalle truppe della vicina città di Gent (Gand). Venne ricostruita nel XV secolo.
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ILGIOIELLO DELLO STADHUIS Nella vasta Sala gotica del Municipio di Bruges, ristrutturata tra il 1895 e il 1905, spiccano la doppia volta a crociera in legno policromo e gli affreschi delle pareti, che rievocano episodi della storia cittadina.
Lì, in una sorta di lago interno creato da un sistema di chiuse, depositavano il loro carico; poi aspettavano la bassa marea, quando la ritirata delle acque li ritrascinava naturalmente verso Damme e il mare aperto. Grazie a questo ingegnoso sistema di trasporto acquatico, ogni giorno quintali di merci provenienti da tutta Europa venivano scaricate nel porto di Bruges, per poi essere trasferite nel vicino Grote Markt, dove venivano vendute o stipate in un grande magazzino ricavato in uno degli edifici della piazza.
Un evento internazionale Si stima che la popolazione di Bruges raggiungesse nel Quattrocento i 50.000 abitanti, cifra assai elevata per l’epoca, ma che cresceva ancora in occasione dei maggiori eventi cittadini, come la Fiera di maggio, momento di ritrovo di tutti i mercanti d’Europa. 70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
In quei giorni, le strade della città erano così affollate che diventava persino difficile distinguere i locali dagli stranieri, i residenti dai visitatori. In ogni caso, un forestiero che avesse voluto approfittare dell’occasione per compiere un’analisi sociologica sulla popolazione di Bruges, avrebbe potuto suddividerla in cinque tipologie di abitanti. In primo luogo vi erano i nativi della città, che parlavano il fiammingo e, quando non lavoravano nel settore della finanza e dell’artigianato, erano i proprietari delle industrie tessili e conciarie attive in città; poi gli immigranti, provenienti dal contado e solitamente impiegati come operai nelle varie industrie o come inservienti nelle locande e nelle taverne. Insieme a loro c’erano gli ecclesiastici, sempre piuttosto numerosi nelle città medievali, e, in quantità decisamente superiore rispetto alla media europea, le prostitute.
UN TOSCANO ALLA CORTE DI BORGOGNA , al temS po stesso, l’importanza economica E C’È UN’OPERA CHE RIFLETTE
e lo splendore artistico di Bruges nel XV secolo, questa è Il ritratto dei coniugi Arnolfini (1434), olio su tavola di Jan van Eyck. Il protagonista, Giovanni di Arrigo Arnolfini, apparteneva all’ampia comunità di commercianti e finanzieri italiani che risiedevano a Bruges. Nato a Lucca, ebbe stretti rapporti con Filippo il Buono, duca di Borgogna, che lo nominò suo consigliere personale e gli concesse il diritto di riscossione delle imposte sulla mercanzia inglese in arrivo nel porto francese di Gravelines. Naturalizzato francese, Arnolfini era sposato con Giovanna Cenami, appartenente a una famiglia di banchieri toscani. Il dipinto rappresenterebbe proprio le nozze tra il finanziere e la giovane sposa.
La firma “Jan van Eyck è stato qui nel 1434”. La firma sullo sfondo del dipinto parrebbe attestare la presenza del pittore alla cerimonia nuziale.
Lo specchio Riflette i due coniugi di spalle. Di fronte a loro, nella posizione di chi guarda il dipinto, ci sono due uomini, forse Van Eyck stesso e un prete. Il ventre La sposa ha la mano sul ventre e indossa un abito verde, simbolo di speranza: due chiari auspici di una prossima gravidanza. Le mani Vero tema del dipinto potrebbe essere la cessione a Giovanna, da parte del marito, del diritto di gestire gli affari in sua assenza.
Cane e arance Il cagnolino ai piedi della sposa evoca la fedeltà coniugale, mentre le arance sul davanzale sono simboli di fertilità.
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La candela Simbolo di Gesù Cristo, la cui presenza santifica l’unione coniugale, la candela si accendeva il giorno delle nozze come augurio di fertilità.
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LE BEGHINE, DONNE DI FEDE E DI LIBERTÀ
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E BEGHINE ERANO SORTA DI SUORE LAICHE medievali, don-
ne vedove o non sposate che abbracciavano una vita evangelica, basata sulla preghiera e sulla carità, senza tuttavia prendere i voti monacali. Rifiutavano la clausura, spesso lavoravano, non avevano legami con le gerarchie ecclesiastiche. Alloggiavano nelle proprie abitazioni o in piccole comunità chiamate beghinaggi, complessi di case raccolti attorno a un cortile e a volte circondati da un muro. Il beghinaggio apparve nelle Fiandre del XIII secolo e subito si impose come un fenomeno essenzialmente urbano. La Chiesa non sostenne mai la diffusione delle beghine, preoccupata dalla loro indipendenza rispetto alle istituzioni ecclesiastiche e dai rischi di eresia. Sebbene oggi sia un convento benedettino, il beghinaggio di Bruges fu uno dei luoghi più rappresentativi delle Fiandre. Fondato nel 1245, era il maggiore delle dieci comunità presenti a Bruges, e nel XIV secolo arrivò a ospitare fino a 150 beghine. BEGHINA IN PREGHIERA, OLIO SU TELA DI ALFRED FAHEY, 1905, WILMINGTON (STATI UNITI).
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Infine a Bruges risiedevano migliaia di stranieri, mercanti e finanzieri che si erano trasferiti nella città fiamminga per affari e che, alla fine del Medioevo, costituivano una percentuale significativa della popolazione.
Al centro delle grandi rotte A fare le fortune di Bruges fu, principalmente, la sua posizione geografica: prossima al Mare del Nord e ai grandi fiumi dell’Europa nordorientale, si impose sin dal X secolo come piazza privilegiata degli scambi tra i mercanti scandinavi, tedeschi e britannici. A partire dall’XI secolo, le attività commerciali di Bruges non smisero mai di espandersi: attraverso la Piccardia e la Lorena, i Fiamminghi portavano i loro prodotti fino nelle fiere della Francia centrale, e da lì proseguivano verso l’Italia, dove scambiavano le proprie merci con cibi, oggetti di lusso e spezie
UN QUARTIERE DI SOLE DONNE I beghinaggi, tipici delle città fiamminghe del XIII secolo, erano piccoli quartieri chiusi abitati solo da donne. Quello di Bruges (nella foto), attivo fino al 1928, comprendeva 30 case e una chiesa.
lirono la loro tesoreria e la cancelleria reale. In seguito, il governo della città fu assunto da un’élite di mercanti che rafforzò la vocazione commerciale di Bruges e ne fece un corrispettivo nordico dei comuni italiani. Ma questa fase di splendore non sarebbe durata a lungo. Attorno al 153o, il succedersi di alluvioni nell’estuario dello Zwyn insabbiò nuovamente il canale che lo collegava alla città, togliendo a Bruges il suo sbocco al mare. Di conseguenza, le navi straniere iniziarono a dirigersi verso porti più accessibili, come Anversa, che sottrasse a Bruges molti dei suoi traffici. E con le navi, se ne andarono anche i mercanti e i banchieri. Le direttrici dell’economia europea, insomma, erano cambiate e Bruges, ormai ai margini delle grandi rotte commerciali, si trasformò a poco a poco in una città-museo, ferma all’epoca in cui, nelle sue locande e nei suoi mercati, si decidevano le sorti finanziarie dell’intero continente.
L’EMBLEMA DELLE FIANDRE In questo scudo policromo del XV secolo compare un leone rampante, storico stemma della città di Bruges ed emblema della regione delle Fiandre.
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da rivendere nel Nord Europa. In seguito, l’accresciuta capacità di carico delle navi mercantili permise di sostituire questo pericoloso viaggio terrestre con un più rapido tragitto marittimo, spostando definitivamente verso nord il fulcro delle attività commerciali europee. Bruges si trasformò così nel maggiore porto continentale, e il suo fiorente mercato richiamò folle di uomini d’affari italiani che si trasferirono nella città fiamminga arricchendola con i loro capitali. Questi mercanti potevano operare a titolo individuale o essere agenti di grandi compagnie con sede in Italia. Si riunivano in comunità riconosciute dalle autorità cittadine e chiamate “nazioni”, che avevano il compito di tutelare gli interessi dei loro membri e difendere i privilegi di cui questi godevano. Tra l’XI e il XII secolo, Bruges fu la residenza preferita dei conti delle Fiandre, che vi stabi-
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LA SIGNORA DI PARIGI Nell’Île de la Cité, cuore della Parigi medievale, si innalza la cattedrale di Notre-Dame. Oggi come ieri, la sua mole, dominata dalle due torri di 69 metri di altezza, domina il centro antico della città.
NOTRE-DAME, SIMBOLO DELLA CITTÀ
PARIGI
Nella città che era capitale della Francia dal X secolo, il vescovo Maurice de Sully volle erigere un grande edificio simbolo della cristianità nel nuovo stile gotico che stava rivoluzionando l'architettura. Così nel XII secolo fu edificata Notre-Dame JOSÉ LUIS CORRAL LAFUENTE UNIVERSITÀ DI SARAGOZZA
DUCEPT PASCAL / GTRES
IL PALAIS DE LA CITÉ Fu residenza dei re di Francia tra il X e il XIV secolo, quando Carlo V abbandonò il palazzo. Allora il piano superiore divenne la sede del Parlamento, mentre il piano terra venne trasformato nel carcere della Conciergerie.
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e origini di Parigi risalgono all’antica Lutetia Parisiorum, un piccolo insediamento gallico conquistato da Gaio Giulio Cesare nel 52 a.C. Trecento anni più tardi, Lutezia era già una città ragguardevole che si estendeva sulle isole fluviali della Senna, l’Île de la Cité e l’Île Saint-Louis, e lungo il lato sinistro del fiume. Dopo che i Franchi si insediarono in Gallia, Parigi divenne un centro commerciale strategico, perché controllava il passaggio delle merci attraverso la Senna. Alla fine dell’Impero carolingio, la città divenne il centro dei domini della dinastia dei Capetingi, fondata nel X secolo da Ugo Capeto, conte di Parigi, e da allora la capitale della Francia. Nella mente degli uomini medievali, però, Parigi era associata soprattutto all’espansione del Cri-
stianesimo. Effettivamente la città si convertì alla nuova religione molto presto ed ebbe nel III secolo il suo primo martire: Saint Denis o, in italiano, San Dionigi. Secondo la tradizione, dopo essere stato giustiziato sulla collina di Montmartre, il “monte del martirio”, intorno al 250, il santo trasportò la propria testa mozzata lungo i dieci chilometri che separano Montmartre dal luogo in cui, più tardi, venne eretta in suo onore la celebre abbazia di Saint-Denis. Sull’Île de la Cité, centro della città medievale, furono edificate varie chiese, il palazzo reale e una famosa scuola di filosofia. Fu in quest’area che Maurice de Sully, vescovo di Parigi nel XII secolo, decise di erigere una grande cattedrale che doveva imporsi per dimensioni. Il prelato era stato testimone della recente costruzione della basilica di Saint-De-
Due secoli di lavori La prima pietra di Notre-Dame fu posta una domenica del mese di giugno del 1163; l’evento, al quale assistette persino papa Alessandro III, ebbe una vastissima risonanza. Come per ogni edificio gotico, la costruzione della nuova cattedrale iniziò dal coro. Erano
tempi di prosperità economica per l’Europa, soprattutto per la Francia i cui re (prima Luigi VII e poi Filippo II Augusto) elargirono ingenti somme di denaro per costruire la chiesa. Le pareti di quest’ultima si alzarono così a un ritmo accelerato: in soli vent’anni fu completato il coro. Nel 1182 venne consacrato l’altare maggiore e fu celebrata la prima messa nella cattedrale. Alla morte del vescovo, nel 1196, i lavori della navata erano avanzati molto e rimanevano da ultimare solamente le ultime sezioni della facciata. Un aspetto architettonico caratteristico della cattedrale di Notre-Dame è il sistema di archi rampanti, che partono dalla facciata e trasferiscono il peso delle volte a piloni situati all’esterno. In questo modo, dato che i muri non sostengono il soffitto, è possibile aprire su di essi grandi vetrate.
TESORI DI NOTRE-DAME Tra i tesori conservati nella cattedrale di Notre-Dame vi è questo calice d’oro con decorazione in filigrana, appartenuto al cardinale LouisAntoine Noailles nel XVII secolo.
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nis, che fu la prima eretta secondo la nuova corrente artistica che faceva della luce uno dei suoi elementi fondamentali: il Gotico. Per realizzare il suo progetto, de Sully disponeva delle consistenti rendite del vescovato e dell’appoggio di re Luigi VII. Nel 1160 poté così assegnare la costruzione della nuova chiesa a un architetto di cui però non conosciamo il nome. Per far posto al nuovo edificio, furono distrutte due chiese e alcune case del quartiere medievale della Cité.
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CAPITALE SULLA SENNA
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UESTA INCISIONE del XVI secolo
mostra una Parigi molto simile a quella del Basso Medioevo. La città era ancora chiusa nelle mura del XIII secolo, che nei cento anni successivi furono ampliate solo sulla sponda destra della Senna. Quattro ponti collegavano le tre grandi zone che si potevano distinguere nella vecchia Parigi. La prima, l’Île de la Cité, era il nucleo abitativo originario, e il centro religioso e politico; si estendeva intorno al palazzo episcopale, la cattedrale di Notre-Dame e il Palazzo di Giustizia. La seconda grande area, sulla sponda sinistra, accoglieva il distretto universitario, che si estendeva intorno al colle di Sainte-Geneviève. La zona borghese e commerciale si concentrò sulla sponda destra, intorno al Municipio e al porto fluviale della Grève. Attualmente rimane poco di questa Parigi medievale, salvo alcuni edifici dell’Île de la Cité, come il Palazzo di Giustizia.
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PARIGI SECONDO IL CIVITATES ORBIS TERRARUM EDITO DA GEORG BRAUN. INCISIONE DI FRANZ HOGENBERG. XVI SECOLO.
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1 Il Tempio
Qui si trovava nel XIII secolo la sede dei cavalieri del Tempio. Formava una vera e propria città fortificata, con mura che raggiungevano gli otto metri di altezza. Dopo la soppressione dell’Ordine nel 1312, passò ai cavalieri Ospedalieri.
2 Mura medievali
Alla fine del XII secolo, il re Filippo II Augusto fece costruire un circuito di mura di oltre 5 chilometri di diametro, che fu concluso verso il 1210. La crescita demografica sulla sponda destra del fiume rese necessario ampliare le mura alla fine del XIV secolo.
3 La Bastiglia
Fu costruita alla fine del XIV secolo come bastione difensivo (da qui il nome). In origine aveva otto torrioni di 24 metri di altezza ed era circondata da un enorme fossato. Nel XVII secolo iniziò a essere usata come carcere per i criminali politici.
4 Hôtel de Ville
Il Municipio fu eretto verso la metà del XIV secolo in una zona molto vivace dal punto di vista economico. Nel XVI secolo fu sostituito da un nuovo edificio in stile rinascimentale, che bruciò durante la Comune del 1871 e fu ricostruito tra il 1874 e il 1882.
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5 Il Louvre
In origine era un semplice torrione difensivo, eretto da Filippo II Augusto alla fine del XII secolo; due secoli dopo, Carlo V lo trasformò in un tipico castello medievale. Fu alla fine del XVI secolo che divenne il celebre palazzo rinascimentale attuale.
6 Notre-Dame
La cattedrale di NotreDame fu eretta nella metà del XII secolo al centro dell’Île de la Cité, prendendo il posto di una chiesa databile al VI secolo. Ai piedi delle sue alte torri si estendeva una piazza molto frequentata dagli abitanti di Parigi.
7 Palazzo di Giustizia
Antica dimora dei conti di Parigi, nel XIV secolo fu convertito nella sede del Parlamento o tribunale supremo della monarchia. La Conciergerie era solamente la prigione del tribunale, anche se oggi questo nome viene dato a tutto l’edificio.
8 Università
Durante il XII secolo, sul colle di Sainte-Géneviève si sviluppò una scuola universitaria promossa da Pietro Abelardo, che competé con gli altri centri d’insegnamento di Parigi. Nel 1257 qui fu fondato il Collegio della Sorbona, celebre sede universitaria.
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LA VITA SULLE RIVE DELLA SENNA Nel 1317, un monaco dell’abbazia di SaintDenis redasse un manoscritto sulla storia di questo santo. L'animata scena quotidiana della Parigi medievale che si vede sopra illustrava il testo.
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Quando però venne disegnata la copertura della chiesa, gli archi rampanti non erano ancora stati perfezionati, cosicché l’anonimo architetto che diede inizio alla costruzione non poté aprire nelle pareti vetrate di grandi dimensioni. La svolta fondamentale avvenne nel 1220, quando si decise di coprire l’edificio con sezioni di volte divise in sei parti, una novità tecnica per quell’epoca. Tale accorgimento architettonico permise infatti di suddividere meglio il peso della copertura. Tra il 1240 e il 1250, il capomastro Jean de Chelles, il primo architetto di Notre-Dame di cui si conosca il nome, terminò la navata maggiore e le due torri della facciata principale. Cominciò a lavorare alle facciate del transetto, che furono poi concluse dal suo successore, Pierre de Montreuil. Contemporaneamente furono posizionate le vetrate dei nuovi finestroni e i rosoni delle
tre facciate. Ma il punto finale alla grande opera parigina lo mise il maestro Jean Ravy, che costruì gli imponenti archi rampanti dell’abside, i cui contrafforti di 15 metri di altezza conferiscono oggi a Notre-Dame il suo inconfondibile aspetto.
Santuario e teatro Fin dalla sua costruzione, la cattedrale di Notre-Dame fu intimamente legata alla storia della Francia e dell’Europa centrale. Sicuramente per la monarchia francese esistevano altri centri cerimoniali più importanti come Reims, dove venne incoronata la maggior parte dei sovrani francesi, e Saint-Denis, dove questi venivano sepolti. L’unico caso di un re medievale francese incoronato nella cattedrale fu quello di Enrico VI d’Inghilterra. Questi venne proclamato re di Francia a Notre-Dame nel 1431.
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LA NAVATA MAGGIORE Alta 32 metri e larga 12, la navata principale di NotreDame si articola in cinque campate. I suoi pilastri sostengono gli archi a sesto acuto tipici del Gotico, i quali a loro volta sostengono le volte a crociera.
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Anche se Notre-Dame non è la più grande delle cattedrali gotiche (altre, come quelle di Amiens e Beauvais la superano in dimensioni), è la più emblematica e la più ricca di simboli allegorici. I suoi archi, il suo orientamento, la distribuzione dello spazio e molti altri elementi riflettono lo sforzo dell’uomo medievale di esprimere le proprie convinzioni in edifici volti a lodare la maestà e lo splendore divini.
FABRIZIO RUGG / AGE FOTOSTOCK
I SEGRETI DELLA CATTEDRALE
1 Reliquie
La statua a forma di gallo che corona la guglia, del XIX secolo, contiene tre reliquie: una di Saint Denis, una di Sainte Géneviève e parte della Corona di spine di Gesù.
2 Statue degli apostoli Alla base della guglia, l’architetto Eugène Violletle-Duc posizionò statue raffiguranti gli apostoli. Tra queste ve n’è una che, in onore dell’architettorestauratore, presenta nel volto i suoi tratti.
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3 Navata centrale
L’altezza della navata centrale è di 33 metri. La cattedrale, a cinque navate separate da poderosi pilastri cilindrici, poteva arrivare a ospitare 9000 persone, delle quali 1500 nelle tribune laterali.
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RUGGERO VANNI / CORBIS / CORDON PRESS
4 Rosone nord
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Il rosone della facciata nord misura 13 metri di diametro. Intorno all’immagine della Madonna in trono con bambino sono disposte le figure dei 16 profeti, dei 32 patriarchi e dei 32 re dell’Antico Testamento.
Galleria dei Re Le figure di questi sovrani biblici furono restaurate da Viollet-le-Duc.
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Nella torre sud si trova la campana maggiore di Notre-Dame, chiamata Emmanuel. Fu fusa di nuovo nel XVII secolo. Pesa circa 13 tonnellate e ha un diametro di 2,61 metri. È dedicata a Gesù.
ADAM WOOLFITT / CORBIS / CORDON PRESS
5 Campana Emmanuel
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7 Archi rampanti
Per costruire il soffitto in legno della cattedrale fu necessario abbattere 1300 castagni, corrispondenti a oltre 25 ettari di bosco. Il sottostante soffitto in pietra proteggeva la chiesa dagli incendi.
A partire dal 1220 furono posti archi rampanti laterali che, scaricando il peso delle volte all’esterno dell’edificio, permisero l’apertura di grandi finestre. Secondo alcuni, tale elemento architettonico fu usato qui per la prima volta. Sagrestia Disegnata nel XIX secolo da Viollet-leDuc, ospita il tesoro della cattedrale.
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La superficie compresa tra le pareti della cattedrale è di 4800 m2.
Portale di sant’Anna Le sculture qui impiegate risalgono al XII secolo.
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I GOLIARDI ERANO STUDENTI DEDITI AI BAGORDI E CLIENTI DI TAVERNE E BORDELLI
Precedentemente, a metà del XIII secolo, re Luigi IX il Santo aveva lasciato in custodia, nella stessa cattedrale, le reliquie della Passione di Cristo, tra le quali la Corona di spine, che egli aveva acquistato in Terrasanta. Intanto veniva portata a termine la Sainte-Chapelle, eretta sull’Île de la Cité proprio per conservare tale tesoro religioso. Un po’ trascurata dai sovrani, Notre-Dame fece parte della vita quotidiana di generazioni di Parigini. Durante il Medioevo fu scenario di una singolare celebrazione: la Festa dell’Asino, che aveva luogo ogni 6 dicembre, giorno in cui un giovane vestito come un prelato, denominato “vescovello”, entrava nella cattedrale su un asino e intorno a lui sfilavano centinaia di fedeli vestiti in modo grottesco, ballando e cantando versi burleschi.
Dalle feste alla teologia Intorno alla cattedrale di Notre-Dame si sviluppò una delle più celebri scuola di filosofia medievale d’Europa, la Sorbona. I professori più stimati tenevano le loro lezioni sotto le volte dell’edificio, davanti a gruppi di studenti che ascoltavano la lettura dei libri di Aristotele. La scuola era un polo di attrazione per molti alunni, che arrivavano a Parigi senza risorse economiche e vivevano di elemosina e di reati. Chiamati goliardi, erano studenti sempre pronti alla zuffa, dediti ai bagordi, e assidui frequentatori di taverne e bordelli. I vescovi di Parigi decisero di porre fine agli eccessi studenteschi e nel 1215 il cardinale Roberto di Courçon ordinò che sul portale di Notre-Dame venisse letto un decreto nel quale si dettavano regole per controllare e garantire la moralità nella Sorbona. Quest’ultima aveva ricevuto nel 1213 la licentia docendi ossia il permesso di insegnare, e lottò per non perderla anche per mezzo di uno 84 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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SIGILLO DELLA SORBONA. XIII SECOLO. ARCHIVES NATIONALES, PARIGI.
sciopero di professori e studenti, nel 1229. Notre-Dame fu anche un centro di potere. Vicino alla chiesa si trovavano i palazzi dei vescovi di Parigi, veri signori feudali dotati di un’amplissima giurisdizione. Così, non è raro che vicino alla cattedrale si celebrassero processi ed esecuzioni. Per esempio, nel 1314, su un’isoletta davanti all’abside di Notre-Dame, fu giustiziato sul rogo Jacques de Molay, l’ultimo Grande Maestro dei Templari. Per secoli, l’impressionante mole di Notre-Dame continuò a troneggiare sul paesaggio di Parigi. Era certo inevitabile che l’edificio si deteriorasse con il passare del tempo; però durante il XVIII secolo subì gravissime aggressioni. Nel regno di Luigi XIV fu distrutto lo jubé, un tramezzo di pietra dotato di una decorazione scultorea e posto all’altezza del transetto, e furono distrutte statue del XIII secolo e vetrate del XII e del XIII secolo.
UNA LEZIONE ALL’UNIVERSITÀ Alcuni studenti, tra i quali vi è anche una donna, assistono a una lezione nell'aula di un’università. Rilievo di Jacobello e Pier Paolo Dalle Masegne. XIV-XV secolo. Museo Civico, Bologna.
L’UNIVERSITÀ DELLA SORBONA deve il suo nome a Robert de Sorbon (cappellano e confessore del re Luigi IX), che nel 1257 fondò un collegio per i maestri e per gli studenti poveri, in cui si insegnava teologia. Tale scuola non tardò ad acquisire una grande influenza e attrasse un gran numero di allievi. Ai tempi del cardinale Richelieu (XVII secolo) fu edificata la cappella con la celebre cupola. La struttura fu completamente restaurata alla fine del XIX secolo. CUPOLA DELLA SORBONA (A SINISTRA) E FRONTONE E CUPOLA DEL PANTHEON (A DESTRA).
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CENTRO DEL SAPERE
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NEL XIX SECOLO SORSE LA LEGGENDA DEL SIGNIFICATO OCCULTO DELLA CATTEDRALE
Si salvarono solo i tre rosoni, che conservarono i vetri originali. Venne demolito in seguito anche il pilone dell’ingresso centrale per permettere in età barocca il passaggio dei grandi carri processionali.
L’impatto più devastante si verificò dopo lo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789, che fra le altre cose distrusse molte chiese e abbazie in tutta la Francia, simbolo dell’oppressione della Chiesa e della monarchia. L’edificio fu assaltato dalla folla, che distrusse le 28 statue della Galleria dei Re al di sopra del portale principale, credendo che fossero immagini dei re di Francia, mentre in realtà erano effigi dei re di Giudea e Israele. Furono demoliti anche sculture, reliquiari e altre statue. Le campane di bronzo furono fuse per fabbricare cannoni; sopravvisse solo Emmanuel, un’enorme campana di 13 tonnellate di peso, che suonava dalla torre sud per annunciare feste, funerali, guerre e pacificazioni. I giacobini trasformarono Notre-Dame in un tempio per onorare la dea Ragione, e Robespierre vi istituì il culto dell’Essere Supremo. Alla fine di questa fase storica, la cattedrale presentava un aspetto decadente. Gli uccelli entravano dalle grosse finestre e costruivano i loro nidi su tribune e cornicioni. Nel 1801 però il governo di Napoleone firmò un concordato con la Santa Sede con il quale la Chiesa recuperava la gestione di Notre-Dame. Si intrapresero quindi opere di pulitura e di chiusura delle finestre, e lo stesso Bonaparte poté essere incoronato lì imperatore nel 1804. La vera rinascita di Notre-Dame fu però nel XIX secolo, grazie a Victor Hugo. Massimo rappresentante francese del Romanticismo, movimento interessato al recupero del passato medievale e all’arte gotica, pubblicò nel 1831 un’opera che avrebbe ottenuto grande successo in Europa, Notre-Dame de Paris. 86 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
THOMAS FRED / EYEDEA
Decadenza e recupero
SAINTE -CHAPELLE Vicino alla cattedrale di Notre-Dame si erge questa famosa cappella gotica costruita da Luigi IX nel XIII secolo per custodire la Corona di spine di Gesù, reliquia che ora è conservata nella cattedrale di Notre-Dame.
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I Parigini rivolsero allora di nuovo il loro sguardo all’edificio abbandonato, e dopo una mobilitazione cittadina nel 1845 iniziò il restauro della cattedrale. I lavori furono assegnati all’architetto Eugène Viollet-le-Duc, che per vent’anni si prodigò per restituire a Notre-Dame l’antico splendore. Con i migliori scultori della città restaurò le facciate e la Galleria dei Re. Realizzò nuove sculture per le facciate, le cornici e i doccioni, e pose nuove vetrate a imitazione di quelle originali.
Un significato occulto? Un’altra grande trasformazione aumentò l’attrattiva di Notre-Dame: la radicale riforma urbanistica di Parigi promossa da Napoleone III e dal suo ministro di fiducia, il barone di Haussmann. Sull’Île de la Cité, Haussmann fece abbattere molte case ed edifici che circondavano la cattedrale, aprendo una nuova 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
piazza di fronte alla facciata principale. Così per la prima volta la cattedrale poté essere contemplata in tutta la sua grandiosità. Con il restauro sorse anche la leggenda del significato alchemico occulto dell’edificio, cancellato, si pensava, da Viollet-le-Duc. Il principale sostenitore di questa teoria fu Fulcanelli, enigmatico autore francese che nel 1929 pubblicò un’interpretazione sulla simbologia delle cattedrali, in particolare di Notre-Dame. Sosteneva, per esempio, che una figura femminile con una scala, intagliata all’ingresso della cattedrale, fosse un simbolo dell’ascesa alchemica all’armonia e alla conoscenza. Oggi tali interpretazioni esoteriche non risultano convincenti e gli esperti credono che la statua rappresenti piuttosto la dea Cibele, ma evidenziano l’interesse che tale grande monumento dell’arte gotica continua a suscitare ancora ai giorni nostri.
MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12
SCALA, FIRENZE
LA TORRE DI NESLE Fu costruita sulla sponda sinistra della Senna, all'inizio del XIII secolo per ordine del re, Filippo II Augusto. Acquerello di Theodore Joseph Hubert Hoffbauer (1839-1922). Musée Carnavalet, Parigi.
MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12
LE CHIMERE DI NOTRE-DAME L’architetto Eugène Viollet-le-Duc, criticato per i suoi restauri basati su una propria visione del Medioevo, disegnò esseri fantastici come questo chiamato Strige, nella galleria che unisce le torri nord e sud. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA FIRENZE DI DANTE Nella tempera di Domenico di Michelino (1417-1491) Dante, con in mano la Divina Commedia, è ritratto sullo sfondo di Firenze (a destra) e del monte del Purgatorio. 1465, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze.
AKG / ALBUM
IL DOLLARO DEL MEDIOEVO Il fiorino, la moneta d’oro in uso a Firenze dal 1252, fu per tutto il Medioevo la valuta di scambio preferita in Europa. Sul dritto recava l’immagine di un giglio (da cui il nome), sul verso l’effigie di Giovanni Battista.
AKG / ALBUM
UNA CITTÀ DI COMMERCI E ARTE
FIRENZE
Il periodo tra Due e Trecento in cui visse Dante Alighieri coincise con la fase di maggiore espansione territoriale ed economica di Firenze, preludio allo splendore umanistico e rinascimentale del XV secolo VITTORIO BEONIO BROCCHIERI PROFESSORE DI STORIA MODERNA E STORIA DEL SISTEMA INTERNAZIONALE, UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA
ANDREAS STRAUSS / AGE FOTOSTOCK
SULLA SPONDA DELL’ARNO Veduta notturna di Firenze, dominata dalla torre di Palazzo Vecchio e dalla cupola del Duomo: la città medievale si sviluppava sulla riva destra dell’Arno.
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a Firenze in cui, nel 1265, nacque Dante Alighieri era molto diversa dalla città che possiamo ammirare oggi. Nel corso dei secoli la sua struttura urbana è cambiata molto più profondamente di quella di altre città sue vicine e rivali. I centri storici di Siena, Arezzo o Pisa, il cui sviluppo economico e urbano si è arrestato bruscamente nel corso del Trecento, conservano tuttora, in sostanza, l’aspetto medievale che avevano allora. Firenze invece, proprio a causa del suo ruolo di città dominante in Toscana, alla dimensione medievale ne ha progressivamente aggiunta una rinascimentale, una barocca, una neoclassica… A dire il vero, già la Firenze che Dante lasciò al momento dell’esilio, nel 1302, era molto diversa per dimensioni e aspetto da quella in
cui era nato. Il Duecento rappresentò infatti un periodo di straordinaria crescita e trasformazione per la città, che lasciò un segno profondo anche sul futuro sviluppo urbano. Nella prima metà del XII secolo, la Firenze “sobria e pudica” di Cacciaguida (Paradiso, Canto XV), rimpianta dal suo discendente Alighieri, contava probabilmente tra i 10 e i 15.000 abitanti, saliti a 50.000 ai primi del Duecento, poi a 70.000 circa alla metà del secolo per raggiungere i 100.000 nel Trecento. A questa data Firenze era una delle città più grandi d’Italia, con Milano, Venezia e Genova. E nell’Europa cristiana, solo la Parigi dei Capetingi superava, con i suoi 150.000 abitanti, le metropoli italiane. Riflesso di questa crescita fu il continuo allargamento delle mura che proteggevano Firenze. La cerchia carolingia fu sostituita da
renzo il Magnifico (1449-1492) aveva poco più della metà degli abitanti della Firenze conosciuta da Dante, e quella che fu capitale provvisoria del Regno d’Italia, tra il 1865 e il 1871, era appena poco più grande.
Fiorentini “contro”: guelfi e ghibellini Dall’epoca di Cacciaguida a quella di Dante, molte altre cose erano cambiate dentro e fuori la città. La Firenze d’inizio Duecento era ancora dominata da una nobiltà cavalleresca e feudale che traeva le sue ricchezze dalla campagna e che riproduceva entro le mura i suoi valori e i suoi contrasti di clan e fazione. La skyline di Firenze era infatti dominata dalle sagome delle case-torri che costituivano sul piano militare ma anche simbolico il centro di potere delle consorterie – federazioni di famiglie – che reggevano la città.
IL LEONE FIORENTINO Tra il 1418 e il 1420, lo scultore Donatello realizzò il Marzocco, leone araldico che regge uno scudo con lo stemma della città. Museo Nazionale del Bargello, Firenze.
SCALA, FIRENZE
una seconda cinta, più ampia, all’epoca della contessa Matilde di Canossa (1046-1115), ma nel 1172-75 già ne venne realizzata una nuova, che moltiplicava per quattro la superficie della città e, per la prima volta, giungeva a estendersi al di là del fiume Arno. Anche questa cinta, però, si dimostrò presto insufficiente, e nel 1284 fu avviata la costruzione di una nuova cerchia che racchiudeva un’area otto volte superiore a quella precedente. Dante tuttavia non avrebbe mai visto la conclusione – avvenuta nel 1333 – di quest’opera, destinata a segnare i confini della città fino alla seconda metà dell’Ottocento. Per Firenze, come per diverse altre città italiane, le dimensioni raggiunte in epoca medievale rappresentarono infatti un limite non più valicato per secoli, l’apogeo dello sviluppo urbano. La Firenze, pur splendida, di Lo-
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LA CITTÀ NEL XV SECOLO
mi decenni del XIII secolo, una profonda ristrutturazione urbanistica. Alla metà del Duecento, infatti, Firenze appariva ancora come un grande borgo medievale: un dedalo di vicoli fiancheggiati da case di pietra e legno su cui svettavano le alte torri delle famiglie aristocratiche. Ma sul finire del Duecento vennero avviati una serie di progetti costruttivi che avrebbero trasformato il volto della città, dandole l’aspetto rinascimentale rappresentato in questa mappa di Francesco di Lorenzo Rosselli (1448-1513) nota come Pianta della Catena.
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1 Inferno dantesco
2 Cupola
3 Santa Croce
Nel 1296 ebbero inizio i lavori di costruzione della cattedrale di Santa Maria del Fiore, il duomo di Firenze. La grande cupola, progettata da Filippo Brunelleschi, fu aggiunta solo nel XV secolo.
GIRAUDOU LAURENT / GTRES
È possibile che le visioni infernali della Commedia dantesca siano state ispirate dai mosaici del Battistero di San Giovanni. Sotto, il poeta in una statua di V. Vela, 1865, Padova.
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ALL’OMBRA DELLE GRANDI MURA Nella mappa di Francesco di Lorenzo Rosselli, la città appare protetta dalla grande cinta muraria che fu costruita all’epoca di Dante, tra il 1284 e il 1333. Arnolfo di Cambio, Giotto e Andrea Pisano contribuirono alla progettazione della cinta, che aveva un perimetro complessivo di 8,5 chilometri. Le mura, alte 6 metri, erano rinforzate da 63 torri e scandite da 12 porte monumentali, ognuna delle quali sfiorava i 35 metri d’altezza.
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Questa basilica del 1294 fu punto di incontro dei più grandi artisti, teologi e politici rinascimentali. Ospita il cenotafio di Dante, che morì nel 1321 a Ravenna dove è tuttora sepolto.
TORRIONE STEFANO / GTRES
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A CITTÀ di Dante subì, negli ulti-
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5 Casa di Dante
6 Ponte Vecchio
7 Santa Maria Novella
Simbolo della città, varca l’Arno nel punto più stretto. Edificato nel 1345, venne sopraelevato nel 1565 da Giorgio Vasari con il celebre corridoio che unisce Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti.
MANIN RICHARD / GTRES
Dante stesso scrisse di essere nato all’ombra della Badia Fiorentina, chiesa abbaziale nel centro di Firenze. Oggi in quell’area sorge una casa-museo dedicata all’opera del poeta.
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Fu costruito nel 1299 in Piazza della Signoria, per offrire protezione ai magistrati in un’epoca turbolenta. La sua torre, alta circa 94 metri, è stata utilizzata coma prigione.
Costruita nel 1279 su una chiesa preesistente, fonde elementi gotici con una delle massime realizzazioni dell’arte rinascimentale: la facciata in marmo policromo del XV secolo.
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4 Palazzo Vecchio
FIN DAL XIII SECOLO LA CLASSE DIRIGENTE DI FIRENZE ERA DIVISA TRA GUELFI E GHIBELLINI
Erano insomma una sorta di trasposizione urbana dei castelli onnipresenti nelle campagne del tempo, e come questi erano spesso teatro di feroci scontri. Nella prima metà del Duecento, tuttavia, Firenze stava vivendo una fase di espansione i cui protagonisti – la “gente nuova” arricchita da “subiti guadagni” che l’aristocratico Dante disprezzava – avevano cominciato a pretendere voce in capitolo in una vita politica tradizionalmente turbolenta e, spesso, violenta. Fin dall’inizio del secolo, infatti, il ceto dominante era diviso fra guelfi e ghibellini, per i quali il richiamo originario alle ragioni del papa e dell’imperatore era ormai un puro pretesto per lotte di potere.
Nel corso del secolo, a questo conflitto se ne sovrappose un altro, quello sociale fra l’antica nobiltà e il cosiddetto “Popolo”, l’élite del mondo degli affari e delle professioni organizzata nelle Arti maggiori. La prima di queste, l’Arte detta di Calimala, era nata nel XII secolo e riuniva coloro che importavano la lana grezza dalle Fiandre per rifinirla e riesportarla. A tale corporazione, nel Duecento, se ne aggiunsero altre sei: l’Arte dei giudici e notai, della lana, della seta, del cambio, dei pellicciai, dei medici e speziali. Da allora, alle antiche istituzioni comunali, con al vertice il podestà e i suoi due consigli, si affiancarono quelle del Popolo, guidato da un capitano a sua volta assistito da due consigli. Una specie di “doppio Stato”, di doppio binario istituzionale che rende faticoso seguire le vicende politiche fiorentine. Dante era stato costretto a iscriversi all’Arte dei medici e speziali perché, dopo il varo degli Ordinamenti di giustizia del gonfaloniere Giano della Bella nel 1293-95, l’appartenenza a un’Arte era la condizione necessaria per poter partecipare alla vita politica cittadina. 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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La nascita del “doppio Stato”
UNA CUPOLA DA PRIMATO Con il suo diametro di 45 metri la cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore era la piĂš grande della sua epoca. Di fianco alla cattedrale si erge il campanile di Giotto, alto 82 metri.
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ALL’EPOCA DI DANTE LE COMPAGNIE DI MERCANTI E BANCHIERI ERANO ORGANIZZATE SU BASE FAMILIARE CALCO DI UN SIGILLO DI PARTE GUELFA, MUSEO DEL BARGELLO, FIRENZE.
Tale misura aveva sancito il rovesciamento dei rapporti di forza creatisi nei cinquant’anni precedenti. Il Popolo era riuscito a estromettere dal potere le famiglie aristocratiche – i cosiddetti “magnati” – anche se ora doveva fare a sua volta i conti con la volontà di partecipazione politica degli artigiani. La costruzione di Palazzo dei Mozzi, uno degli edifici civili più significativi di questo periodo, mostra come questi sviluppi sociali ed economici mutarono anche il volto urbanistico della città. Il palazzo fu infatti realizzato, tra il 1266 e il 1273, sul sito in cui prima sorgevano le case-torri della stessa famiglia. La sua costruzione può essere presa a simbolo del passaggio da una città dominata da una nobiltà guerriera arroccata nelle sue fortezze urbane a una città “borghese”, i cui palazzi erano insieme residenze di prestigio e centri di organizzazione economica.
Affari di famiglia In realtà, questa città “borghese”conservava molto del suo passato nobiliare. Anzitutto l’importanza delle solidarietà familiari e di parentela nella vita economica. Le Compagnie di mercanti e banchieri – i Bardi, i Peruzzi, gli Spini, più tardi gli Alberti o i Medici – erano infatti organizzate su base familiare. I legami matrimoniali rinsaldavano poi quelli affaristici. Nella Firenze di Dante, il posto che un individuo occupava nella città dipendeva sempre dalla risposta alla domanda che Farinata degli Uberti rivolge al poeta nel Canto X dell’Inferno: “Chi fur li maggior tui?” Vale a dire, “Dimmi chi sono i tuoi antenati, e saprò chi sei e che posto hai in città”. Essere guelfo o ghibellino, Bianco o Nero, magnate o popolano non costituiva una scelta individuale ma un destino quasi inevitabile, legato all’orientamento della propria famiglia. Non possiamo tuttavia comprendere la vita di Firenze a cavallo fra Due e Trecento se ci 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
limitiamo a guardare ciò che avvenne all’interno delle sue mura. Gli interessi economici, come i conflitti politici, legavano con mille fili Firenze al resto della Toscana, dell’Europa e del Mediterraneo. La solidarietà di fazione univa, per esempio, i guelfi o i ghibellini fiorentini a quelli delle altre città italiane. I sanguinosi conflitti civili scoppiati in un comune si trasformavano in vere e proprie guerre fra centri rivali, come Firenze e Siena, per il dominio sulla regione e sui mercati europei. Ma al di là della Toscana, Firenze era parte di un sistema di Stati e di un equilibrio di potenze che aveva ormai dimensioni continentali.
Firenze come New York Al pari delle grandi metropoli odierne, come New York o Londra, Firenze era al centro di una circolazione a largo raggio di merci e capitali. Fu tale ruolo di piazza economica e finanziaria internazionale a sostenere la sua crescita politica e il suo splendore artistico. E non a caso proprio un fiorentino, Francesco Balducci Pegolotti (1310-1347), scrisse la Pratica di mercatura, forse il più celebre manuale di commercio del Medioevo. In ogni città d’Europa o del Mediterraneo si stabilivano colonie di mercanti e banchieri fiorentini che rifornivano i ricchi consumatori locali di merci di lusso provenienti da tutto il mondo e si rendevano indispensabili ai sovrani prestando loro il denaro di cui avevano bisogno per finanziare il fasto delle loro corti e il costo delle loro guerre. Dunque, nel 1300, l’orizzonte dei Fiorentini era il mondo, o quasi. Simbolo di questa centralità economica di Firenze è la coniazione, a partire dal 1252, del fiorino d’oro, la moneta che divenne lo strumento di pagamento principale delle grandi transazioni internazionali e un punto di riferimento. Insomma qualcosa di simile a un dollaro del Medioevo.
JEAN-PIERRE LESCOURRET / CORBIS / CORDON PRESS
PASSAGGIO DI PROPRIETÀ Sede per tutto il Medioevo del governo comunale di Firenze, nel XVI secolo Palazzo Vecchio divenne la dimora del duca Cosimo I de’ Medici, che lo ampliò per ospitarvi la sua corte.
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A fare la grandezza di Firenze, a segnare il suo posto nella storia, non furono però solo gli uomini d’affari. Questa fu anche l’epoca della prima fioritura della cultura fiorentina. Fiorentini furono, infatti, molti esponenti dello Stil Novo: Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, oltre, naturalmente, a Dante. Fu soprattutto grazie a loro che il volgare toscano, meglio fiorentino, divenne il fondamento della lingua italiana moderna.
L’alba del Rinascimento In campo artistico, il fiorentino Cimabue (1240-1302) rappresentò una tappa fondamentale, che però fu presto oscurata dall’emergere dell’astro del suo allievo Giotto di Bondone (1267-1337), fiorentino del contado. Al senese – ma trapiantato a Firenze – Arnolfo di Cambio (1230 circa-1310) sono invece ascrivibili alcune delle più significative 100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
realizzazioni architettoniche del periodo. La cattedrale di Santa Reparata (poi Santa Maria del Fiore) anzitutto, che fu integralmente rifatta a partire dalla fine del Duecento, e probabilmente la chiesa di Santa Croce, edificata nel 1294, e forse Palazzo Vecchio, la cui costruzione iniziò nel 1299. Con Giotto e Arnolfo cambiò il ruolo dell’artista. Prima di tutto per il carattere multiforme della loro attività: pittore e architetto Giotto (fu lui a realizzare il celebre campanile posto a fianco della cattedrale), architetto e scultore Arnolfo. Inoltre entrambi non furono più semplici artigiani, pur di alto livello, quali erano stati pittori, scultori e architetti medievali, ma appunto “artisti”, intellettuali contesi da papi, re e Comuni che operavano quasi ovunque in Italia. Anche in questo, Giotto, Arnolfo e Dante aprirono la strada alla fioritura umanistica e rinascimentale.
SCALA, FIRENZE
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LE TORRI DELLA NOBILTÀ Arroccato su un colle della Val d’Elsa (Siena), il borgo di San Gimignano conserva ancora le alti torri di pietra in cui, a Firenze come in tutte le città toscane, risiedevano le grandi famiglie nobiliari del XIII secolo.
SCALA, FIRENZE
IL BATTISTERO DI SAN GIOVANNI Nei sontuosi mosaici del XIII secolo che rivestono la cupola del Battistero di San Giovanni, presso Santa Maria del Fiore, è raffigurato il Giudizio universale con i castighi dei dannati.
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LA CITTÀ DI MARMO La cattedrale romanica di Pisa e il suo celebre campanile, la torre pendente, sono il simbolo dello splendore economico, culturale e artistico che la città visse tra l’XI e il XII secolo.
UNA CITTÀ APERTA AL MARE
PISA
Fu una delle Repubbliche marinare che nel Medioevo dominarono sul Mediterraneo e a cui il mare concesse un’epoca di gloria. Ma il suo scontro con Genova e Firenze portò al declino del suo porto e alla perdita della sua indipendenza JACOPO MORDENTI STORICO E SCRITTORE
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A Palazzo dell’Orologio.
Ricostruito secondo il progetto di Vasari intorno al 1607, incorporò la Torre della Muda, dove morì il famoso conte Ugolino.
B Palazzo della
Carovana. Costruito tra il 1562 e il 1564, fu sede dei Cavalieri di Santo Stefano.
C Chiesa di Santo
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Stefano dei Cavalieri. Progettata da Vasari, venne consacrata nel 1569.
D Chiesa di San Paolo
a Ripa d’Arno. Costruita tra l’XI e il XII secolo, fece le veci di cattedrale mentre veniva costruito il duomo.
A. DE GREGORIO / DEA / ALBUM
iù che di una città, la storia di Pisa è la storia di un porto, o meglio di un sistema di porti di assoluto rilievo nell’ambito delle rotte mediterranee. I non pochi approdi nei pressi dell’abitato, sviluppatosi su un lembo di terra acquitrinosa fra i fiumi Arno e Auser (oggi Serchio), hanno segnato la vicenda di Pisa fin dalle sue incerte origini: stando agli eruditi greci e romani, un primo insediamento potrebbe aver visto la luce già fra II e I millennio a.C., a opera dei Greci o dei Liguri. È in epoca etrusca, e poi romana, che si delinea con maggiore precisione il ruolo di Pisa quale strategico centro marittimo di ampio respiro. Se già con gli Etruschi la città assurge a riferimento commerciale per l’entroterra toscano, con i Romani, dunque sin dal III secolo a.C., essa arriva a fungere da base militare contro i Liguri, i Galli e i Cartaginesi di Annibale, probabilmente proprio in ragione dei suoi approdi. Spicca in breve fra essi il cosiddetto porto pisano, la cui capacità di accogliere flotte anche molto numerose è ben documentata. Fonti alla mano, il porto si direbbe essere l’infrastruttura protagonista anche della Pisa altomedievale, legata ai Longobardi prima e ai Franchi poi. È infatti proprio da esso che, sconfitto dai Franchi, nel 774 salpa alla volta dell’Oriente il principe longobardo Adelchi, a conclusione di un dominio che aveva visto la città non solo fungere da testa di ponte verso la Corsica, la Sardegna, la Spagna, ma anche dare i natali a Pietro da Pisa, uno degli intellettuali di punta della corte carolingia. È ancora al porto pisano che, nell’801, approdano gli ambasciatori del califfo abbaside Harun al-Rashid, carichi di doni per Carlo Magno. Benché difficoltoso, se non altro per l’impaludamento documentato fra Tarda Antichità e Alto Medioevo, si ipotizza che proprio il mantenimento del sistema portuale abbia consentito a Pisa di porsi come potenza navale nel Mediterraneo, già fra X e XI secolo.
E Palazzo Agostini.
Risalente al XV secolo, era di una famiglia dedita al commercio della seta.
TRA L’ARNO E IL MARE
Il Porto Pisano, distante 16 miglia dalla città, nel Medioevo divenne il maggior porto della Repubblica di Pisa, sia come grande scalo tirrenico per i commerci con tutto il mar Mediterraneo, sia come rifugio per la potente flotta da guerra pisana..
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F Palazzo Gambacorti. Fu sede delle magistrature municipali nel XV secolo.
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G Chiesa del Santo Sepolcro. Edificio ottagonale progettato nel XII secolo da Diotisalvi.
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H Palazzo Medici. Dei secoli XIII-XIV, fu acquisito nel XV secolo dai Medici; vi soggiornò spesso Lorenzo il Magnifico .
L’EPOCA GLORIOSA
LA SOTTOMISSIONE A FIRENZE
LA POTENZA NAVALE pisana iniziò nell’XI secolo, quando i Pisani si insediarono in Sardegna e in Corsica, isole che contesero tenacemente ai Genovesi per più di 100 anni. L’apice della città vi fu ai tempi delle crociate, nel XII secolo e nella prima metà del XIII, quando le sue navi portavano in Oriente armi, ferro dell’isola d’Elba, legno degli Appennini, lana, pelli e cuoio, e ritornavano con spezie, seta e cotone. Nel corso di quest’epoca vennero erette le mura della città 1 e lo splendido complesso di Piazza dei Miracoli 2, così come, tra le altre opere, le chiese di Santa Caterina 3 e di Santa Maria della Spina 4.
ANNESSA A FIRENZE nel 1406, Pisa dovette affrontare la rovina del suo porto e la crisi della sua industria tessile causata dalla concorrenza fiorentina. Tuttavia i Medici, nel governare Firenze, prestarono speciale attenzione alla rivale sottomessa. Già nel XVI secolo, Pisa venne integrata nel Granducato di Toscana, creato nel 1569. Il primo granduca, Cosimo I de’ Medici, vi fondò nel 1562 l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, che comportò la ristrutturazione della piazza dei Cavalieri 5, centro della Pisa medievale. Nel frattempo, i Lungarni 6continuarono a ospitare magnifiche residenze di nobili e ricchi patrizi. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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PISA DIEDE IL SUO APPORTO ALLE CROCIATE CON UNA FLOTTA DI CENTOVENTI NAVI LEONARDO FIBONACCI. STAMPA DEL XIX SECOLO.
Pure a lungo politicamente subordinata a Lucca nell’ambito della Marca di Tuscia, è infatti Pisa la città da cui muovono, nel corso dell’XI secolo, alcune significative spedizioni antisaracene in Calabria, in Sardegna, nel Nord Africa; da ricordare anche alcuni interventi nel Sud Italia normanno. La floridità economica e la vivacità culturale raggiunte nel frangente da Pisa risultano ben note anche agli storiografi contemporanei: per esempio, il biografo di Matilde di Canossa, non senza una certa perplessità, testimonia la presenza in città di mercanti “turchi, africani, parti e caldei”.
È fra XI e XII secolo che si consuma l’ascesa pisana. Al suo interno, Pisa vive una prima stagione di turbolenza politica e istituzionale, nel momento in cui il potere pubblico del marchese è sostituito di fatto da quello autonomo del vescovo e delle famiglie eminenti della città: è la nascita del Comune medievale. È però soprattutto sul piano della politica e dei commerci mediterranei che Pisa vive la sua epoca d’oro, tessendo pervicacemente una propria rete di interessi che dal Mediterraneo Occidentale arriva a comprendere il Nord Africa, l’Egitto, la Siria, l’Asia Minore, il Mar Nero. In particolare il supporto alle crociate e all’Oriente latino viene prontamente sfruttato dalla città non solo per ottenere nuovi sbocchi commerciali, ma anche per acquisire un maggiore spessore politico: è significativo che a essere eletto patriarca di Gerusalemme, all’indomani della conquista della città nel 1099, sia proprio il vescovo di Pisa Daiberto. I risvolti del ruolo di potenza marittima raggiunto in quest’epoca da Pisa appaiono molteplici e correlati fra loro. Si pensi in primo luogo alla ricchezza culturale della quale la città, in virtù del suo contatto con i più avan106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
SCALA, FIRENZE
L’epoca d’oro
zati saperi circolanti nel Mediterraneo, si fa tramite a vantaggio della civiltà occidentale. Una figura su tutte: quella di Leonardo Fibonacci, geniale matematico che introduce in Europa, mutuandoli dalla cultura musulmana, il calcolo posizionale e le cifre indo-arabe. Nato fra gli anni Settanta e Ottanta del XII secolo, Leonardo è chiamato ancora bambino dal padre Guglielmo, scrivano della dogana dei Pisani, a Bugia (in Algeria), dove apprende i rudimenti della matematica araba e, in un secondo momento, le nove figure indiane (che impropriamente sono chiamate numeri arabi). Nel corso dei suoi viaggi nel Mediterraneo, Leonardo continua ad applicarsi ai suoi studi, finendo per consegnare all’Occidente, provvisto di una matematica appena più che rudimentale, una summa del sapere aritmetico e algebrico che travalica i risultati conseguiti fino ad allora dai grandi matematici arabi.
IL SANTO PATRONO DI PISA Nel Camposanto, il cimitero monumentale di Pisa, questo affresco di Antonio Veneziano mostra il ritorno in città del suo patrono, san Ranieri, figlio di un ricco mercante pisano. XIV secolo.
IL GRANDE MATEMATICO
TRATTATO DI TRIGONOMETRIA. MANOSCRITTO ARABO CONSERVATO NELLA BIBLIOTECA DELL’ESCORIAL.
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IL SISTEMA DI NUMERAZIONE indo-arabico diffuso in Occidente da Leonardo Pisano, detto Fibonacci, sostituì la complessa numerazione romana . È la numerazione di cui ci serviamo oggi, in cui per la prima volta una stessa cifra cambia valore a seconda della sua posizione nel numero. In questa numerazione è inclusa la rivoluzionaria invenzione dello zero, cifra che da sola non vale nulla ma che moltiplica per dieci e per i suoi multipli quelle precedenti.
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I PISANI DECISERO DI PAGARE UN’IMPOSTA SPECIALE PER COSTRUIRE IL BATTISTERO
SCALA, FIRENZE
UGOLINO DELLA GHERARDESCA E I SUOI FIGLI, DI JEAN-BAPTISTE CARPEAUX, XIX SECOLO, MUSÉE D’ORSAY, PARIGI.
Non è un caso se i trattati fondamentali di Fibonacci (in primo luogo il Liber Abaci del 1201, nonché la Pratica Geometriae del 1220) non risultano godere di immediata fortuna: benché tutt’altro che privi di risvolti pratici (si pensi in questo senso allo spazio che il Liber Abaci dedica alla soluzione dei tipici problemi connessi alla matematica mercantile, come compravendite, cambi, prestiti, società ecc.), per lunghi decenni essi incontrano la diffidenza di non pochi mercanti europei, giacché quella che nei fatti propugnano è una rivoluzione che, per essere applicata, richiede l’abbandono di quanto impiegato in precedenza. In buoni e duraturi rapporti con la corte dell’imperatore Federico II, che conosce personalmente in occasione del soggiorno di questi a Pisa nel 1226, Fibonacci risulta ancora in vita nel 1241, quando il Comune di Pisa delibera a suo favore un salario annuo di 20 lire.
Grandi opere pubbliche Beninteso, la Pisa del XII secolo raggiunge risultati straordinari anche in ambito artistico. Si pensi alle grandi opere architettoniche, ricche di suggestioni, che accompagnano la forte crescita della città: la cattedrale, pure avviata nel 1063, è al centro di un cantiere secolare a cui, fra il 1173 e il 1180, prende parte anche il grande scultore Bonanno; non sono da meno il battistero – su progetto di Diotisalvi, per realizzare il quale le famiglie pisane ricorrono nel 1153 all’autotassazione, e al quale un secolo dopo lavorerà anche Nicola Pisano – e il campanile, meglio noto come Torre di Pisa, eretto a partire dal 1173 e a lungo afflitto dai ben noti problemi di cedimento del terreno. Rimarchevoli anche i traguardi giuridici, e in senso più ampio intellettuali, di cui si rivela capace la cultura pisana del periodo: basti ricordare il Costitutum Usus del 1161, una formulazione del diritto consuetudinario pisano, attinente commerci e navigazione, che non 108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
solo esplicita il proficuo contatto di Pisa con città e costumi diversi, ma che permette anche di intendere la sua cultura giuridica – espressa fra le altre da una figura poliedrica come quella di Burgundio, al contempo ambasciatore, giurista e grecista – come precoce e indipendente rispetto a quella bolognese.
La politica interna ed estera In termini di politica interna, la Pisa del XII secolo dimostra di avere la lungimiranza di ampliare le infrastrutture funzionali al suo ruolo di potenza marittima: per esempio, il porto pisano vede migliorare le proprie strutture di attracco, di immagazzinamento delle merci e di accoglienza dei viaggiatori; una fitta rete di canali e fossi, inoltre, consente ai Pisani di contenere la costante minaccia dell’impaludamento e dell’interramento degli approdi, guadagnando al contempo aree urbanizzabili e terreni coltivabili. Tutto ciò non impedisce alla città di essere percorsa tanto da profondi contrasti sociali, di cui sono espressione via via movimenti come quello dei patarini, dei valdesi, degli umiliati, quanto da violenti antagonismi fra le famiglie più in vista, di estrazione feudale piuttosto che consolare o commerciale. Nel 1191 il consolato cede il passo alla magistratura del podestà: non è che la prima di una serie di trasformazioni istituzionali, tutt’altro che pacifiche, che accompagnano la storia pisana nel corso del Basso Medioevo. Peraltro, le tensioni interne tendono con il tempo a riverberarsi anche nei domini diretti di Pisa, come in Sardegna: nel XIII secolo l’isola è il primo teatro dello scontro, lungo e acceso, fra i conti della Gherardesca (fra i quali l’Ugolino di dantesca memoria) e i Visconti. Per quanto riguarda, invece, il piano della politica internazionale, l’affermazione di Pisa finisce in breve tempo per collidere con quella delle altre Repubbliche marinare.
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IL ROMANICO PISANO Le facciate del battistero e, alle sue spalle, della cattedrale sono ornate con le arcate cieche tipiche dello stile Romanico pisano.
1 Il Camposanto
Sarcofagi I patrizi riutilizzarono come tombe alcuni sarcofagi romani.
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2 Gli affreschi del Camposanto
3 Il battistero di san Giovanni
Tra i magnifici cicli di affreschi che decorano le pareti del Camposanto vi è la straordinaria serie di dipinti attribuita a Buonamico Buffalmacco, realizzata dal 1340: il Trionfo della morte, il Giudizio Universale e l’Inferno.
Dedicato a san Giovanni Battista e progettato dall’architetto Diotisalvi, ha pianta circolare, con una circonferenza di 107 metri e un’altezza di quasi 55. La sua costruzione si protrasse 250 anni, fino all’ultimo decennio del XIV secolo.
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Venne iniziato da Giovanni di Simone (il secondo architetto della torre pendente). Il cimitero della cattedrale fu chiamato Camposanto in base a una tradizione secondo cui conteneva terra portata dalla Terrasanta da navi pisane.
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Secondo la tradizione, la cattedrale di Pisa venne fondata nel 1063, il giorno dopo la vittoria pisana sui musulmani a Palermo. Alla basilica si aggiunse nel 1153 il battistero e, nel 1173, il campanile, la torre pendente. Un secolo dopo, nel 1277, fu la volta del DIO SOSTIENE L’UNIVERSO. Camposanto, il cimitero AFFRESCO DI PIERO DI PUCCIO, XIV SECOLO. monumentale. Giungeva CAMPOSANTO, PISA. così all’apice la costruzione del complesso della cattedrale; i suoi edifici furono rivestiti di lastre, arcate e colonne di marmo. Nel 1595 un incendio danneggiò gravemente l’interno della cattedrale; si salvarono il mosaico nell’abside e il pulpito, ma il resto dei decori dovette essere sostituito e fu oggetto di successivi restauri.
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IL GRANDE COMPLESSO PISANO
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La cella campanaria L’ultimo anello, che portò la torre a 56 metri di altezza, fu terminato nel 1350.
4 Colonne corinzie Furono prese da una moschea di Palermo dopo l’attacco alla città.
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La torre pendente È cilindrica, secondo lo stile delle torri bizantine, e pesa 14.453 tonnellate.
Facciata I quattro ordini di archi poggiano su colonne con capitelli.
5 L’interno della cattedrale
6 Il pulpito della cattedrale
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Tra il 1301 e il 1310, lo scultore Giovanni Pisano realizzò uno dei suoi capolavori: il pulpito del duomo. Vi scolpì scene che narrano la vita di Cristo in rilievi su formelle che, per la prima volta, sono leggermente ricurve.
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Sulle sue pareti si alternano il marmo bianco e quello nero. L’abside è decorato da un grande mosaico del Cristo in trono tra la Vergine e san Giovanni Evangelista, a cui lavorò Cimabue fino 1302 e che fu poi completato nel 1321.
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Dal 1180 circa Bonanno Pisano lavorò al portale principale della cattedrale, conservato nel Museo dell’Opera del Duomo. È formato da 24 lastre di bronzo; le due inferiori raffigurano dodici profeti sotto ondeggianti palmizi.
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4 La porta di san Ranieri
anche vero che, qualche decennio più tardi, il sostegno dato a Federico II – che culmina nell’episodio dell’isola del Giglio del 1241, allorquando i Pisani intercettano i cardinali diretti via mare al concilio di Roma – costa a Pisa una duratura cattiva reputazione presso il papato e il fronte guelfo. Non basta: agli inizi del Trecento la città offre il proprio appoggio all’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, salvo poi ritrovarsi, all’indomani dell’improvvisa morte di questi in Italia nel 1313, a dover affrontare da sola le armate lucchesi, fiorentine e angioine. Benché i brillanti risultati della difesa consentano a Pisa di chiedere una pace onorevole, l’isolamento della città si direbbe conclamato.
SCALA, FIRENZE
Il definitivo declino
VEDUTA DI PISA NEL MEDIOEVO Nella chiesa di San Nicola a Pisa è conservata una tavola dipinta di autore ignoto in cui è raffigurato il santo mentre salva la città dalla peste; nel particolare sopra una veduta realistica di Pisa, che è probabilmente la più antica a noi giunta.
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Se i rapporti con Venezia non risultano idilliaci, a causa del reiterato tentativo dei Pisani di dominare anche la ricca orbita bizantina, è soprattutto con Genova che si registrano i più intensi e deleteri contrasti: lo scontro, anche armato, prende il via nel 1118 per trascinarsi di fatto per secoli, toccando Corsica, Sardegna, Oriente latino, Spagna. Pisa ha infine la peggio, subendo nel 1284 la grave sconfitta della Meloria (al largo di Livorno): un episodio spesso inteso, non senza qualche forzatura, come l’inizio della fine della sua vicenda. A risultare davvero determinante per il declino delle ambizioni di Pisa è tuttavia il suo reiterato schierarsi a favore del fronte ghibellino. Se è vero che i buoni rapporti con l’imperatore Federico I Barbarossa fruttano alla città, fra il 1162 e il 1165, il riconoscimento della propria autonomia e del proprio dominio su di un entroterra relativamente cospicuo, è
Perduto nel 1326 anche il controllo della Sardegna, dopo un fallimentare conflitto con l’Aragona, nel corso del XIV secolo Pisa si vede costretta a ridimensionare il proprio raggio d’azione su base via via sempre più regionale, il che la porta a scontrarsi con una Firenze in forte ascesa economica e commerciale. Piegata dalle ondate epidemiche che la colpiscono alla metà del secolo, e in costante fibrillazione interna, nel 1399 la città viene venduta da Gherardo d’Appiano a Giangaleazzo Visconti, Signore di Milano: appena sei anni più tardi il figlio di questi, Gabriele Maria, la vende a sua volta proprio a Firenze. Il dominio fiorentino dura quasi un secolo. All’impoverimento materiale di Pisa , che pure continua a distinguersi da un punto di vista culturale, va a sommarsi il dissesto idrografico dell’ambiente circostante, che comporta il definitivo interramento dei porti – già nel Trecento lo stesso porto pisano era stato abbandonato a favore degli approdi prossimi a quella che sarà Livorno – e il dilagare della palude. Illustri commentatori politici, come Luigi Guicciardini, hanno sostenuto come ciò sia stato appositamente indotto dai Fiorentini per piegare la resistenza pisana. L’ultimo tentativo di riconquistare la propria indipendenza è compiuto da Pisa nel 1494; quindici anni più tardi, a seguito di un assedio decennale, la resa della neonata Repubblica suggella il definitivo tramonto di Pisa quale città autonoma, e prelude al suo ingresso nel Granducato di Toscana a opera dei Medici.
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IL PULPITO DELLA CATTEDRALE All’interno della cattedrale di Pisa si distingue il pulpito o ambone, uno dei capolavori dell’arte gotica che Giovanni Pisano terminò di scolpire nel 1310.
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LA GERMANIA URBANA L’incisione del Liber Chronicarum (1493), storia universale in latino scritta da Hartmann Schedel, raffigura i vari centri urbani del Sacro Romano Impero: tra questi Amburgo, una delle città fondatrici della Lega anseatica.
I MERCANTI DEL NORD
LA LEGA ANSEATICA Fondata nel XII secolo per tutelare gli interessi mercantili ed economici delle città germaniche, la Lega anseatica mantenne per tutto il Medioevo il monopolio dei commerci in gran parte dell’Europa settentrionale e nell’area baltica VITTORIO BEONIO BROCCHIERI PROFESSORE DI STORIA MODERNA E STORIA DEL SISTEMA INTERNAZIONALE, UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA
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IL RELIQUIARIO DI SANT’ORSOLA È una piccola cassa in legno a forma di tempietto gotico, decorata sui lati con dipinti di Hans Memling (14401494) raffiguranti scene di vita di Sant’Orsola. 1489, Ospedale di San Giovanni, Bruges.
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Europa è nata lungo le coste del Mediterraneo, ma sin dalle sue origini è stata una realtà in continua evoluzione. Nei secoli dell’Alto Medioevo si è progressivamente ampliata, coinvolgendo nuove terre e nuovi popoli, al di là delle Alpi, verso occidente e verso nord. E così, già dal I secolo a.C., l’Europa, attraverso i Romani, si è affacciata per la prima volta su un altro Mediterraneo, quello del nord, costituito da quella porzione di Oceano Atlantico che conosciamo come Mare del Nord e, al di là degli Stretti danesi, dal Mar Baltico. Questi due mari interni hanno svolto un ruolo importantissimo nella storia del nostro continente. Costituiscono infatti l’asse di comunicazione che permette non solo la circolazione di merci, uomini e idee fra diverse re-
gioni d’Europa, ma anche fra l’Europa nel suo complesso e le civiltà confinanti, quella bizantina e quella araba a sud e il mondo slavo e ortodosso a nord. Durante l’epoca medievale, il Mare del Nord e il Mar Baltico, al pari del Mediterraneo, sono stati, più che una frontiera, un crocevia di scambi la cui intensità è andata crescendo nel tempo. E nel corso dei secoli, il Mediterraneo del nord, come quello del sud, ha spesso cambiato padrone. A sud, dopo l’anno Mille, le cosiddette “repubbliche marinare” italiane subentrarono ai Musulmani che, a loro volta, avevano strappato l’egemonia marittima e mercantile ai Bizantini. A nord, nei “secoli bui”, sono stati innanzitutto i Frisoni, dalle loro basi lungo le coste delle attuali Olanda e Germania, a organizzare i primi circuiti di scambio fra l’Europa carolingia, la Scandinavia e le terre a est
Le Hanse dei mercanti Datare con precisione l’inizio dell’egemonia delle città mercantili tedesche sulle rotte dei mari settentrionali non è facile. Si è trattato, infatti, di un processo lungo e graduale. Potrà sembrare sorprendente, ma la storia di quella che sarebbe diventata l’Hansa, la confederazione delle “repubbliche marinare” e mercantili tedesche, non comincia lungo le coste del Mare del Nord o del Baltico, ma sulle
rive del Reno, a Colonia. Ma forse non è poi così strano, dato che Colonia è stata “la madre delle città tedesche”, l’unica metropoli della Germania fondata prima della caduta dell’Impero romano. Nel 1130, i mercanti di Colonia ottennero infatti da Enrico I d’Inghilterra il diritto di stabilire a Londra un insediamento commerciale che possiamo considerare come l’origine di quello che sarà il grande kontor (il fondaco, ovvero la casa-magazzino dove i mercanti stranieri, per concessione delle autorità locali, depositavano le loro merci, svolgevano i loro traffici e, a volte, alloggiavano) dell’Hansa allo Steelyard di Londra. Ma nel XII secolo, di Hansa, ovvero di un’unica organizzazione delle città mercantili tedesche, non si poteva ancora parlare. I centri urbani germanici
L’EMBLEMA DELL’HANSA Sulla grande placca di pietra proveniente da Steelyard, ricco emporio sulle rive del Tamigi, è scolpita l’aquila bicipite, simbolo della Lega anseatica. 1670, Museum of London.
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dell’Elba, ancora pagane. Poi fu la volta degli Scandinavi, che ampliarono queste vie di traffico, sia verso Oriente e Bisanzio, attraverso i grandi fiumi russi, sia verso Occidente, fino a raggiungere l’Islanda, la Groenlandia e oltre. E solo dopo, a partire dal XII secolo, venne il turno dei mercanti e delle città tedesche che avrebbero costituito la Lega anseatica.
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Per comprendere il ruolo svolto dalle città anseatiche, occorre guardare però anche verso Oriente, oltre il fiume Elba. E non bisogna solo considerare l’attività economica delle Hanse mercantili, ma anche la fame di terra dei contadini e le mire politiche dei cavalieri. Nel XII e XIII secolo, le regioni costiere del Baltico costituivano una sorta di “Far East”, una frontiera mobile dell’Europa medievale. Dal XII secolo quest’area è oggetto di un’intensa colonizzazione da parte di immigrati provenienti da Occidente. Si tratta di contadini in cerca di nuove terre, i cui spostamenti vengono coordinati dai signori feudali che intendono valorizzare i loro domini. Colonizzazione dunque, ma anche evangelizzazione, o, forse bisognerebbe dire crociata, perché in Prussia, Pomerania e Lituania non vi era solo un confronto etnico fra popolazioni tedesche e slave, ma anche uno scontro fra cristianità cattolica e un paganesimo deciso a resistere, piuttosto che un Cristianesimo ortodosso non meno vitale. Dal XIII secolo queste regioni diventano dunque campo d’azione di una delle confraternite nate dalle Crociate, l’Ordine dei Cavalieri Teutonici, che in Prussia e in Livonia – regione baltica che si estende attorno al Golfo di Riga – costituisce uno Stato autonomo impegnato in continue guerre contro i Lituani pagani e i Russi ortodossi.
I MERCANTI NEL PORTO La frenetica attività commerciale del porto di Amburgo in una miniatura del XV secolo proveniente da un manoscritto che contiene l’antico statuto comunale della città. 1497, Staatsarchiv, Amburgo.
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si muovevano ancora in ordine sparso, spesso in concorrenza fra loro. Meglio allora parlare di Hanse, al plurale, ossia di comunità di mercanti provenienti da una stessa città e operanti all’estero. Il termine Hansa, di origine incerta, significa associazione, lega oppure universitas, per usare un termine latino. Qualcosa di simile alle comunità organizzate dei mercanti italiani – di Pisa, Amalfi, Genova, Venezia, ma poi anche di Firenze, Lucca ecc. – che più o meno nello stesso periodo iniziarono a moltiplicarsi lungo le coste del Mediterraneo e in molte città dell’Europa continentale. L’Hansa, l’universitas mercatorum, è dunque un organismo con una sua personalità giuridica, che costituisce l’interlocutore legalmente riconosciuto dall’autorità del posto e che gode di determinati diritti e privilegi. Per esempio, l’esenzione da certi dazi, o il diritto di amministrare la giustizia al suo interno.
È sullo sfondo di questa “marcia verso est” del mondo germanico che bisogna collocare il dinamismo delle Hanse tedesche. Già alla metà dell’XII secolo si parla di una universitas “di tutti i mercanti del Sacro Romano Impero che frequentano l’isola di Gotland”, allora il principale emporio commerciale nel Baltico. La “marcia verso est” si manifesta anche nella fondazione di nuove città in territori che fin lì ne erano stati privi. All’urbanizzazione dei territori baltici contribuirono anche i Cavalieri Teutonici, cui si deve la fondazione di Torún, nell’odierna Polonia, o la conquista di Danzica; ma è indubbio che l’impulso maggiore venne dall’immigrazione tedesca. Tra le nuove città un posto di rilievo spetta a Lubecca, fondata nel 1158 da Enrico il Leone (cugino e rivale di Federico Barbarossa) alla radice dell’istmo che separa il Mare del Nord dal Baltico e unisce Danimarca e Germania.
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Lubecca e le nuove città
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SIMBOLO DI POTENZA Nel punto più alto di Lubecca (Germania), centro principale della Lega anseatica, si erge la chiesa di Santa Maria, eretta tra il 1250 e il 1350 su impulso dei potenti mercanti cittadini.
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Ancora Perlopiù era fatta di pietra e legno, materiali meno costosi del ferro e più facili da rimpiazzare. XIII-XIV secolo, Museo di Storia e della Navigazione, Riga (Lettonia).
NEL XIII SECOLO LUBECCA OTTENNE DA FEDERICO II L’ AMBITO TITOLO DI LIBERA CITTÀ IMPERIALE
Nella posizione migliore, quindi, per controllare gli intensi flussi commerciali che si svolgevano fra Europa occidentale e orientale. Nel 1226 Lubecca ottenne dall’imperatore Federico II il riconoscimento della propria autonomia come libera città imperiale. Il popolamento di Lubecca derivò in parte dall’immigrazione dalla Vestfalia germanica, e le sue stesse leggi si ispirarono ai codici della città tedesca di Soest, a loro volta influenzati da quelli della potente Colonia. Ben presto Lubecca divenne il centro propulsivo di nuove fondazioni, la “madre” di una nuova generazione di città: Rostock, Wismar, Stralsund, Stettino e infine Reval, l’odierna Tallinn (Estonia), tutte sorte nell’area baltica.
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RUSSO BARBUTO, EMBLEMA DEI MERCANTI DI LUBECCA A NOVGOROD. 1527.
Castello di prua Come il castello di poppa, aveva una funzione difensiva. Era protetto da un parapetto di legno talvolta rinforzato con scudi in vimini e pelle.
Legno In genere si preferiva quello di quercia, molto abbondante nel Nord Europa. Per fissare tra loro le assi si usavano chiodi dalla punta ricurva.
Scafo Era composto da lunghe tavole parallele sovrapposte parzialmente lungo i bordi e puntellate con rinforzi fissati allo scafo esterno.
Una porta tra due mondi Lubecca ottenne una preminenza che le fu riconosciuta dalle stesse città tedesche: “Le nostre città – scrivevano per esempio i mercanti di Reval ai maggiorenti di Lubecca – sono unite come le braccia di un crocefisso”. Tra i centri urbani che adottarono il codice legislativo di Lubecca, vi fu, già nel 1188, Amburgo, posta alla foce dell’Elba, sul versante opposto dell’istmo dello Jutland. E proprio il trattato stipulato nel 1241 fra Lubecca e Amburgo può essere considerato l’atto fondativo dell’Hansa. Da quel momento, la galassia di città e insediamenti mercantili germanici si trasformò progressivamente in una confederazione di centri urbani uniti da vincoli flessibili ma solidi e capace, almeno talvolta, di condurre una politica comune. Lubecca non fu peraltro sola in quest’opera di urbanizzazione del Baltico. Il primo insediamento tedesco della futura Riga, per esempio, attuale capitale della Lettonia, fu opera di mercanti provenienti da Brema e la fondazione formale della città avvenne appunto per ini120 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
ziativa del vescovo, Alberto von Buxthoeven. Il legame fra Lubecca e Amburgo rappresentò anche la saldatura fra i circuiti commerciali occidentali, rivolti verso l’Inghilterra e le Fiandre, e quelli baltici, rivolti al mondo slavo. E il ruolo storico dell’Hansa sarà proprio quello di fungere da porta fra questi due mondi. Guardiamo allora più da vicino le caratteristiche di questi traffici. Nelle regioni ancora poco popolate e boscose dell’Europa orientale, i mercanti tedeschi si procuravano sia beni di largo consumo – come legname, canapa, miele, cereali – sia prodotti di lusso, come le pellicce acquistate nel kontor di Novgorod, in Russia. Senza il grano o il legname provenienti da quei territori, lo sviluppo demografico e produttivo di città come Gand o Bruges, che tra il 1200 e il 1450, passarono rispettivamente da 25.000 e 30.000 abitanti a 60.000 e 120.000, o della stessa Londra, sarebbe stato
LA KOGGE, IL VELIERO DEL NORD
Timone di poppa Dal XIII secolo sostituì il timone laterale, collocato sul fianco destro del ponte. Tradizionalmente, se ne attribuisce l’invenzione ai marinai di Bayonne (Francia).
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Velocità Si calcola che la Kogge rinvenuta nel 1962 a Brema, nel fiume Weser, potesse raggiungere, con vento a forza sei, una velocità media di circa sei nodi (11 km/h).
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tra o acili da ecolo, a tonia).
Vela Di forma quadrata, aveva una superficie di circa 200 m2. Dal XIV secolo la cocca fu dotata di un corto bompresso (o albero di prua) per facilitare le andature di traverso.
impossibile. L’Inghilterra, le città fiamminghe e quelle anseatiche importavano dall’Est anche intere parti di navi prefabbricate. Pare che gli stessi archi grazie ai quali gli Inglesi sconfissero a Crécy (1346) e Azincourt (1415) la cavalleria francese fossero di legno di tasso proveniente dall’Europa orientale.
Le vie commerciali del sale Anche il pesce occupava una posizione centrale. I banchi di pesca al largo delle coste della Scania – una delle province tradizionali della Svezia – o della Norvegia erano infatti tra i più ricchi d’Europa; ma per la conservazione del pesce erano necessarie grandi quantità di sale. Ecco quindi che si sviluppò un altro fondamentale flusso di scambi, quello del sale proveniente in parte dal Lüneburg, in Sassonia (Germania) – e si trattava di salgemma estratto dal sottosuolo – e in misura crescente dalle
E FORTUNE ECONOMICHE e po-
litiche dell’Hansa coincidono con quelle del tipo di nave che dominò non solo i commerci, ma anche la guerra marittima fra XII e XV secolo: la Kogge, in italiano “cocca”. Si tratta di un’imbarcazione a vela, a un solo albero, lunga dai 15 ai 25 metri e larga tra i 5 e gli 8, con una capacità di carico che poteva arrivare a 200 tonnellate. Un veliero più simile alla navis romana o alle navi tonde usate da Genovesi o Veneziani nel Mediterraneo che alle agili galee da guerra mosse dai remi. La Kogge era essenzialmente una nave mercantile, il cui requisito fondamentale era la capacità di carico. La minaccia rappresentata dai pirati fece sì che con il tempo venisse dotata di castelli a prua e a poppa per ospitare arcieri e armigeri. Nel XIII secolo un miglioramento decisivo fu l’adozione del timone di poppa al posto di quello laterale. COCCA ANSEATICA, DEUTSCHES HISTORISCHES MUSEUM, BERLINO.
coste atlantiche della Francia, dove ogni anno si recavano le flotte anseatiche a prelevare il sale destinato alla Scandinavia. Nella direzione opposta, cioè da Ovest verso Est, viaggiavano soprattutto i manufatti – tessuti, armi, oggetti di arredamento ecc. – prodotti dalle città dell’Europa occidentale, in rapido sviluppo. Nelle Fiandre, in particolare a Bruges, i due circuiti, quello del Mediterraneo del sud, su cui dominavano gli Italiani, e quello del Mediterraneo del nord, dove si stavano imponendo gli anseatici, si incontravano. E per questo a Bruges, l’Hansa stabilì uno dei suoi kontor più importanti. Per conservare il monopolio sul flusso di scambi fra Est e Ovest, i mercanti tedeschi dovevano controllare gli Stretti danesi e la via terrestre attraverso l’istmo dello Jutland, onde impedire a Inglesi e Fiamminghi di accedere al Baltico e agli Scandinavi di raggiungere il Mare del STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL DECLINO DELL’HANSA FU UNA CONSEGUENZA DELLA MANCANZA DI COESIONE INTERNA
LA GRANDE ESPANSIONE Crocevia delle linee commerciali che univano la Russia all’Europa occidentale, Tallinn, odierna capitale dell’Estonia, raggiunse il massimo splendore nel periodo in cui faceva parte dell’Hansa.
Nord. Ma il nuovo attivismo della monarchia danese e svedese, la crescita dello Stato polacco, il dinamismo commerciale degli Olandesi e quello degli Inglesi rendeva la situazione più complessa. La forza militare, soprattutto sotto forma navale, era uno strumento essenziale per conservare la propria posizione privilegiata, e nel XIII e XIV secolo le città dell’Hansa vennero sempre più spesso coinvolte in conflitti con le potenze confinanti.
Per gli anseatici la minaccia più grave proveniva dall’ascesa dei rivali occidentali, Olanda e Inghilterra in testa, e dalla mancanza di coesione interna dovuta a interessi economici spesso divergenti. Il conflitto con i Paesi Bassi del 1438-41 rappresentò un punto di svolta: l’Hansa fu costretta a riconoscere ai rivali il diritto di commerciare nel Baltico, uno scacco dovuto al mancato sostegno da parte delle città della Livonia, Riga e Reval, alla capofila Lubecca. Le città più orientali, infatti, avevano tutto l’interesse a non dipendere esclusivamente da Lubecca per i loro commerci. Nel caso del successivo conflitto anglo-anseatico, del 1470-74, fu invece Colonia a rompere la solidarietà dell’Hansa, a causa dei legami economici con l’Inghilterra. Nel corso del Cinquecento l’unità e l’attività commerciale dell’Hansa continuarono a declinare, anche perché le città che la componevano non seppero inserirsi efficacemente, come del resto gli Italiani, nei nuovi scenari mondiali aperti dai viaggi di Colombo e Vasco da Gama. Il tempo dei “Mediterranei” si era chiuso. Il futuro apparteneva a chi aveva il dominio degli oceani. La chiusura dell’importante kontor di Londra da parte di Elisabetta I, nel 1597, può essere presa simbolicamente come la fine dell’Hansa, anche se l’ultima assemblea di una Lega anseatica ormai priva di peso politico ed economico si tenne solo nel 1669. 122 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’ultima assemblea
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LA PIAZZA DELLA CITTÀ VECCHIA Sullo sfondo si staglia la facciata della chiesa di Santa Maria di Týn, un'area fortificata nella parte vecchia di Praga (Staré Město in ceco) in cui i mercanti stranieri pagavano i diritti di dogana e tenevano al sicuro i propri beni.
IL SOGNO DI CARLO IV
PRAGA Re di Boemia e imperatore, Carlo IV era stato educato in Francia, e la sua ammirazione per Parigi lo portò a trasformare Praga, la capitale dei suoi domini, in una delle più splendide e colte città d’Europa JOSEP MARIA CASALS MESEGUER STORICO
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na domenica di settembre del 1347, Carlo I salì al trono di Boemia. Sua madre, Elisabetta, apparteneva alla dinastia dei Přemislidi, che cinquecento anni prima aveva costruito sulla collina di Hradčany il primo dei castelli che dominarono su Praga, la capitale boema. Suo padre era Giovanni di Lussemburgo, un nobile di stirpe franco-tedesca imparentato con la casata di Valois, allora regnante in Francia. Carlo era nato a Praga, ma la provinciale città nella quale vide la luce non aveva niente a che vedere con la ricca, cosmopolita e vivace capitale da lui creata e dove, nel 1378, fu sepolto. Fu un cambiamento nel quale risultarono decisivi gli stretti vincoli del sovrano con la Francia.
Sebbene battezzato come Venceslao, Carlo prese questo nome dal re Carlo IV di Francia, presso la cui corte parigina aveva ricevuto un’accurata educazione fino ai quattordici anni sotto la tutela di Pierre Roger, il futuro papa Clemente VI. Lì prese accordi sul proprio matrimonio con la prima delle sue quattro mogli, la principessa Bianca di Valois. E Parigi, con la sua raffinata corte, la magnifica cattedrale di Notre-Dame, l’architettura gotica della Sainte-Chapelle e la vivace università della Sorbona, fu il modello in base al quale Carlo maturò la decisione di creare una nuova Praga. L’influenza francese era una novità. Fino all’elezione del padre di Carlo a re di Boemia, nel 1310, il regno aveva oscillato piuttosto verso il mondo tedesco: i Přemislidi infatti avevano cercato l’appoggio dei sovrani germanici del Sacro Romano Impero, interessati, a loro volta, a poter contare su un alleato contro gli Slavi. Il frutto delle intense relazioni tra la Boemia e l’Impero fu l’egemonia dei Tedeschi sia sulla Chiesa di Boemia, che dipendeva dall’arcivescovado di Magonza, sia sul principato che controllava le città boeme, tra cui Praga. 126 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’ambizione di un re
NELLA PARTE PIÙ ALTA DI PRAGA Dalla sommità del quartiere di Hradčany, la cattedrale di San Vito domina la città, che è attraversata dal Vltava. I Tedeschi chiamano tale fiume Moldau, da cui è derivato il suo nome italiano, Moldava.
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Malá Strana (“Parte Piccola” o “Quartiere Piccolo”). Venne fondata nel 1257 dal re Ottocaro II che la riservò a coloni tedeschi e la fortificò; Carlo IV riedificò nel XIV secolo le sue mura.
UNA CAPITALE E QUATTRO CITTÀ lo IV, Praga fu la capitale del regno di Boemia e del Sacro Romano Impero, divenendo la città “moult grande e moult riche” che ammirava il diplomatico fiammingo Gilbert de Lannoy nel 1414. Poco dopo, le guerre di religione che i sovrani cattolici condussero contro i ribelli hussiti (1419-1434) devastarono la città. Praga impiegò un secolo e mezzo per recuperare il suo splendore, anche se per poco tempo, sotto Rodolfo II d’Asburgo, quando divenne di nuovo la capitale dell’Impero (1575-1612). La città era formata da quattro entità indipendenti (Hradčany, Malá Strana, Staré Mcěsto, Nové Město) che nel 1784 furono raggruppate in un unico municipio. Nové Mě sto, la Città Nuova, fondata da Carlo IV, presentava un reticolato geometrico, con strade dai 18 ai 27 m di larghezza e un grande viale di 3 km di lunghezza e 60 m di larghezza; qui nel 1348 Carlo fondò la più antica università dell'Europa centrale. PRAGA IN UN’INCISIONE DI GEORG BRAUN E FRANS HOGENBERG. 1572. MUSEO NAVALE DI PEGLI, GENOVA.
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SIGILLO D’ORO DI CARLO IV Nel sigillo d’oro del 1376, Carlo IV compare con la corona di Boemia, detta di San Venceslao, che egli stesso progettò. Gli zaffiri di questa corona provengono dall'attuale Sri Lanka.
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RA IL 1347 E IL 1378, sotto Car-
Hradčany (“Collina del Castello”). Carlo IV eresse qui la cattedrale di San Vito e trasformò il palazzo reale in una residenza tipica dello stile francese dell’epoca, poi ampliata da suo figlio e successore Venceslao IV.
Quest’ultima città non costituiva un unico municipio, ma era formata da tre nuclei distinti. Di questi, due si trovavano sulla sponda sinistra del fiume Vltava: uno era Hradčany, la zona del castello; l’altro era la Città Piccola (Malá Strana), che era cresciuta all’ombra del palazzo del re. Il terzo nucleo di Praga si era sviluppato invece sulla sponda destra del Vltava: la Città Vecchia (Staré Město). L’esistenza e la prosperità della città si dovevano a un guado in quel punto del Vltava, il quale garantì alla città la sua privilegiata posizione come incrocio delle vie commerciali che collegavano il Baltico all’Adriatico, e l’Europa occidentale con il mondo slavo. Fu questo dinamismo economico che all’inizio vi attrasse i primi commercianti tedeschi e una prospera comunità ebraica. Quando, chiamato dal padre, Carlo si stabilì a Praga, era già deciso a trasformarla in una
città che potesse reggere il confronto con le maggiori metropoli dell’epoca, e che fosse non solo il centro politico del suo regno, ma anche il cuore amministrativo e culturale del Sacro Romano Impero, al cui scettro il re di Boemia aspirava. Dal momento in cui lo ottenne nel 1355, divenne noto come Carlo IV.
La creazione di una capitale All’elezione imperiale di Carlo non furono estranee le manovre diplomatiche del suo antico tutore a Parigi, papa Clemente VI, il cui intervento aveva anche permesso di rendere possibile, nel 1344, ciò a cui fino ad allora i Přemislidi avevano aspirato invano: convertire la diocesi di Praga in un arcivescovado, così che la Chiesa boema potesse divenire indipendente da quella imperiale. Il primo arcivescovo fu Ernesto di Pardubice, amico e stretto collaboratore di Carlo; fu lui
Staré Město (“Città Vecchia”). Nel XIV secolo era la capitale politica del regno di Boemia e la zona dove risiedeva una ricca classe borghese di origine tedesca, dedita al commercio e alla finanza.
Ponte Carlo. Sostituì il ponte di Giuditta, del XII secolo, distrutto nel 1342 da un’inondazione della Moldava. Lo progettò Peter Parler, l’architetto di Carlo IV, e fu costruito tra il 1357 e il 1402.
che quello stesso anno pose a Hradčany la prima pietra della cattedrale di San Vito, sede del nuovo arcivescovado. Qui si venerarono le reliquie di san Venceslao, patrono del regno, il cui culto, promosso da Carlo, consolidò Praga come centro politico della Boemia. Con la costruzione della cattedrale iniziò la trasformazione della città nel maggiore centro gotico dell’Europa centrale. I lavori furono diretti da Mattias di Arras fino alla sua morte, quando gli successe Peter Parler, il quale costruì un nuovo e maestoso palazzo a Hradčany, con una cappella che imitava la Sainte-Chapelle di Parigi, ma che poi fu distrutta da un incendio nel corso del XVI secolo. Oltre ad abbellire Hradčany, Carlo ampliò Praga con la maggiore operazione urbanistica del Medioevo europeo: nel marzo del 1348 creò la Città Nuova (Nové Město), insieme alle fortificazioni della Città Vecchia.
Nové Mesto (“Città Nuova”). Tale quartiere fu fondato da Carlo IV nel 1348. Qui si stabilirono piccoli commercianti e artigiani e furono posti il mercato del bestiame, dei cavalli e del fieno.
Questa nuova area, che triplicò la superficie di Praga e fu cinta da mura in soli due anni, aveva il suo centro in una vasta piazza dalla quale partivano strade tracciate in linea retta: il mercato del bestiame, l’attuale Piazza Carlo, che con più di otto ettari supera la parigina Place de la Concorde e la Piazza Rossa di Mosca. La Città Nuova si popolò rapidamente: in quattro anni furono costruite seicento case, i cui proprietari furono esentati dal pagamento delle imposte per dodici anni a patto che mantenessero l’allineamento delle vie. Carlo impresse un ritmo frenetico all’edilizia, che corrispondeva al suo fervente cattolicesimo. Sembra che pretendesse di edificare un complesso di chiese e monasteri che formasse una croce sulla pianta di Praga. La sua devozione si manifestava in un’ansia compulsiva di collezionare reliquie (per ospitarle fece erigere il castello di Karlštejn, vicino alla città). STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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LA TORRE DEL MUNICIPIO Disegnata da Peter Parler, fu costruita nel 1364 e misura 69,5 m di altezza. Sulla sua facciata fu installato un orologio astronomico, menzionato per la prima volta nel 1410 e in seguito modificato.
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Il suo zelo religioso si manifestava anche nelle cerimonie ideate per onorare le reliquie e nel suo amore per i rituali. Così, nella Città Nuova edificò il convento di Sant’Ambrogio, i cui occupanti, i monaci ambrosiani, furono chiamati da Milano poiché Carlo amava il canto ambrosiano. Allo stesso modo, il re fece sì che si celebrasse l’antica liturgia slava nel nuovo monastero di Emmaus, nel quale fu compiuta la prima traduzione in ceco della Bibbia. Sotto Carlo, Praga era un immenso cantiere. La sua impronta rimane nella celebre piazza della Città Vecchia, dove, su uno dei lati, fu eretta la torre del Municipio, per la quale poi si sarebbe costruito il famoso orologio astronomico. All’estremo opposto si affacciano le torri della chiesa di Santa Maria di Týn, la cui costruzione fu iniziata da Peter Parler, che diresse anche un’altra delle più famose costruzioni dell’epoca: il Ponte Carlo sul Vltava.
Il sovrano però voleva qualcosa di più che semplici edifici per la sua capitale: necessitava di un’università che formasse persone colte legate alla corona per affermare la sua autorità su tutto il regno. La nobiltà, desiderosa di limitare il potere del re, aveva fatto naufragare fino ad allora tutti i tentativi di creare un’istituzione di questo tipo. Carlo riuscì a ottenere di nuovo l’aiuto di papa Clemente VI che, nel gennaio del 1347, autorizzò la creazione di quella che sarebbe stata l’università più antica a nord delle Alpi. Nel 1366, il sovrano fondò il Collegio Carolino, residenza dei professori e luogo in cui si tenevano le lezioni. La presenza della corte imperiale e l’attività edilizia aumentarono la prosperità borghese di una Praga che, alla fine del XIV secolo, con i suoi 35.000 abitanti, poteva competere con Parigi e Londra. Sotto lo splendore però si celava una profonda inquietudine spirituale.
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GLI EBREI NELLA PRAGA MEDIEVALE A PRIMA NOTIZIA sulla presenza di ebrei
a Praga è fornita da Ibrahim ibn Ya’qub, ebreo spagnolo che fece parte di una legazione inviata a Ottone il Grande dal califfo al-Hakam II, nel X secolo. Nel 1142 un incendio distrusse il quartiere ebraico a Malá Strana, e gli ebrei si trasferirono sull’altra sponda del Vltava, nella Città Vecchia. Nel 1254, il re Ottocaro II promulgò alcune leggi che punivano gli attacchi antisemiti come crimini di lesa maestà, e sotto il suo regno fu edificata la sinagoga Vecchia-Nuova, la più antica di Praga. Tuttavia il massacro di 1500 ebrei nel corso del pogrom della Pasqua del 1389, sotto gli occhi di un inerte Venceslao IV (il successore di Carlo IV), mostrò la fragile posizione della comunità ebraica di Praga.
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UN SIMBOLO DI SEGREGAZIONE Era comune vedere a Praga il discriminatorio e appuntito judenhut (“cappello ebraico”), obbligatorio per gli ebrei del Sacro Romano Impero dal 1267. Miniatura tedesca del XIII secolo. Cividale del Friuli. LA SINAGOGA VECCHIA-NUOVA Le demolizioni della sinagoga di Ratisbona nel 1519 (legata all’espulsione degli ebrei) e della sinagoga di Worms nel 1938 (sotto il Terzo Reich) resero quella di Praga la sinagoga più antica dell’Europa centrale. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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IL CASTELLO DI PRAGA All'attività edilizia di Carlo IV seguì quella di altri re. Ladislao II (1471-1516) costruì questo ampio salone, di 62 m di lunghezza, 16 di larghezza e 13 di altezza, cui si poteva accedere a cavallo.
VENCESLAO, IL SANTO DI PRAGA
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ENCESLAO ERA NIPOTE DI BOŘIVOJI, il primo esponente
della dinastia dei Přemislidi convertito al Cristianesimo e il primo duca ceco a stabilire la sua corte a Praga. Venceslao venne assassinato dal fratello Boleslao, che gli succedette al trono; intorno al 932, per farsi perdonare il suo crimine, il fratricida pose i resti di Venceslao nella originaria cattedrale di Hradčany. Al defunto Venceslao, descritto dalle leggende come un sovrano amante della giustizia e un fervente credente, furono attribuiti numerosi miracoli, e la sua canonizzazione come patrono ufficiale di Boemia aumentò il prestigio dei Přemislidi. Carlo IV rafforzò i vincoli tra la monarchia e il culto a Venceslao. Nel 1344 gli consacrò la corona reale di Boemia, che fu collocata su un busto-reliquiario del santo nella nuova cattedrale gotica, quella di San Vito; lì, Carlo fece costruire per Venceslao una cappella, con un nuovo sepolcro nel quale furono trasferiti i suoi resti. CAPPELLA DI SAN VENCESLAO NELLA CATTEDRALE DI SAN VITO. PETER PARLER LA COSTRUÌ INTORNO AL 1362-1367. SULL’ANTICA BASILICA DOVE VENCESLAO FU SEPOLTO NEL X SECOLO.
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Questo stato d’animo si manifestava nelle critiche alla corruzione della Chiesa, evidente per i Praghesi, poiché nella città vivevano più di 1200 sacerdoti (oltre ai 200 della cattedrale). Gli statuti che l’arcivescovo Ernesto di Pardubice promulgò per i religiosi danno l’idea della situazione: vietava loro di gestire macellerie, mercerie o taverne, vestire alla moda, partecipare a feste e tornei, praticare l’usura, giocare ai dadi e mantenere concubine.
Crepe invisibili I predicatori iniziarono a reclamare a Praga la riforma morale dei credenti e della Chiesa. Il primo fu Conrad Waldhauser, un monaco agostiniano che Carlo aveva chiamato dall’Austria, e che nel 1360 cominciò a predicare nella chiesa di San Gallo e poi in quella del Týn. All’inizio egli si rivolse all’aristocrazia mercantile di Praga in tedesco, cercando di convincerla a
cento della popolazione. Perché Carlo non mise fine a una predicazione che minacciava la Chiesa, l’appoggio più saldo della corona? Forse perché il profondo cattolicesimo dell’imperatore lo portava a desiderare la riforma di tutto ciò che, decadente e corrotto, potesse oscurare lo splendore della monarchia. Per lui, Milic era solo un mistico deviato e, se lo rinchiuse in carcere per un periodo, fu unicamente per spaventarlo. Però Waldhauser e Milic avevano trasformato i pulpiti della capitale in vere e proprie tribune dell’opinione pubblica. Dopo la morte di Carlo, sotto i suoi figli Venceslao IV e Sigismondo, gli attacchi alla Chiesa si fecero sempre più duri, fino a che la predicazione di Jan Hus nella cappella praghese di Betlemme accese la miccia delle guerre di religione dette hussite, nel 1419. Quando cessarono, la Praga di Carlo non era altro che un ricordo nella desolazione.
L’ARCHITETTO DI CARLO IV Il tedesco Peter Parler rappresentò così se stesso nel triforio della cattedrale di San Vito. Carlo gli affidò la costruzione di questa chiesa nel 1352, quando Parler aveva circa 22 anni.
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liberarsi dei cattivi costumi che l’avevano condotta a una vita nel lusso e nell’opulenza, e a non credere a sacerdoti che per la loro dissipazione disonoravano il Vangelo. Le sue parole influirono sul ricco prelato Giovanni Milic da Kromeriz, che abbandonò i suoi beni e iniziò a predicare nel 1363. Con i suoi sermoni, in lingua ceca, denunciò Carlo come l’Anticristo, ma un periodo in carcere lo portò a ritenere che il vero Anticristo fosse il capo della Chiesa: il papa di Roma. Intorno a Milic nacque una comunità che viveva secondo i principi della povertà evangelica nella “Nuova Gerusalemme” (Nový Jeruzalem), una serie di abitazioni situate nella via Benátky (“Venezia”), zona malfamata da cui provenivano le ex prostitute convertite e dedite a opere pie. Non stupisce che le denunce della corruzione del clero avessero grande diffusione in una città in cui i poveri erano forse il quaranta per
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LA CATTEDRALE DI SAN BASILIO Nel 1555 lo zar Ivan IV ”il Terribile” volle celebrare la sua vittoria sui Mongoli erigendo a Mosca la cattedrale di San Basilio, simbolo della cultura russa. Le cupole furono completate sul finire del XVI secolo. DUE SANTI DELLA CHIESA ORTODOSSA In quest’icona del XIV secolo proveniente da Novgorod, sono raffigurati i santi Boris e Gleb, figli di Vladimir I di Kiev, primo sovrano russo convertito al Cristianesimo, e della principessa bizantina Anna Porfirogenita.
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LE CAPITALI RUSSE Lo sconfinato territorio russo, frantumato per tutto l’Alto Medioevo in una miriade di tribù slave, a partire dal IX secolo iniziò ad aggregarsi attorno alla città di Novgorod, poi soppiantata nel ruolo di capitale da Kiev e Mosca ALEXANDRA RYBALKO TOKARENKO STUDIOSA DI STORIA RUSSA
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LA RESIDENZA DEGLI ZAR Il Cremlino, sulla riva sinistra della Moscova, è la parte più antica di Mosca e la sede delle sue istituzioni: si sviluppa attorno alla Piazza Rossa, lunga 700 metri e larga 130.
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a Cronaca degli anni passati, manoscritto in russo antico attribuito al monaco Nestore di Kiev (1056-1114), racconta che nell’862 le tribù stanziate a nordovest della Russia si recarono nella “Terra dei Variaghi”, l’attuale Scandinavia, con una proposta singolare: “La nostra patria è grande e ricca”, dissero a coloro che li avevano accolti, “ma manca di qualsiasi forma di autorità. Perché non venite voi a governarla?”. La proposta fu accettata da tre intrepidi fratelli vichinghi (variaghi in russo), il più anziano dei quali, Rjurik, si stabilì nella città oggi nota come Novgorod; gli altri due, Askold e Dir, si diressero più a sud, verso l’odierna Kiev. Secondo la Cronaca, i tre condottieri nordici si riferivano a se stessi come “Rus” ed estesero l’epiteto alle nuove terre di cui divenne-
ro padroni. Fu così che ebbero origine, sempre stando alla leggenda, i tre nuclei fondanti della futura Russia, tre regni che furono rispettivamente culla, madre e cuore della civiltà slava: il principato di Novgorod, fondato dal mitico Rjurik; il Rus di Kiev, retto dai suoi discendenti, e il Rus di Mosca, anima del più vasto Impero europeo del Medioevo.
La “città nuova” Delle tre città, Novgorod è quella con la storia più controversa. Benché le cronache russe ne attribuiscano la fondazione alle primitive tribù slave che popolavano le terre lungo il fiume Volchov, nella Russia nordoccidentale, l’archeologia ha provato che la città, in quanto tale, non apparve prima della metà del X secolo. Il suo consolidamento fu opera della vedova del principe Igor di Kiev, Òlga, che de-
delle mercanzie più svariate: non solo la cera, il miele e le pelli pregiate prodotti in Russia, ma anche i beni di lusso, i gioielli, la seta, i cristalli e le spezie provenienti da Bisanzio e destinati ai ricchi mercati occidentali.
Case e tubature di legno La lavorazione del legno, orientata sia alla fabbricazione di piccoli utensili artigianali sia all’attività edilizia, costituì una delle note salienti della civiltà slava. L’architettura urbana del Medioevo russo era basata quasi totalmente sull’impiego del legname, tanto che i carpentieri usavano il termine “tagliare” come sinonimo di “costruire”. Grazie a una tecnica appresa probabilmente da Bisanzio, Novgorod si dotò addirittura di una rete idrica integralmente costituita da tubature di legno. Tutti gli abitanti di Novgorod, ricchi
IL CONDOTTIERO VENUTO DAL NORD Secondo il mito, Rjurik era un condottiero variago (cioè vichingo) chiamato dalle tribù slave di Novgorod a portare ordine in città. Statua del XIX secolo, Novgorod.
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tenne il potere, in qualità di reggente, dal 945 al 963. Sovrana dal pugno di ferro, governò con saggezza e autorità, riuscendo a far diventare tributaria di Kiev la stessa potente provincia di Novgorod. In cambio ridisegnò il volto di questa città, riordinandone l’assetto urbano, pavimentando le strade, trasformando quello che era poco più di un villaggio in un vasto nucleo urbano ribattezzato, appunto, novyi gorod, “città nuova”. Circondata da terreni paludosi e spesso ghiacciati, Novgorod non poté mai fondare il proprio benessere sull’agricoltura; la sua ricchezza dipendeva dai commerci, propiziati dalla posizione della città situata lungo la via d’acqua tra il Baltico e il Mar Nero, in un’area di raccordo tra Bisanzio, la Scandinavia e l’Europa occidentale. Questa collocazione strategica fece dei mercati di Novgorod i terminali
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IL MONASTERO DELLE GROTTE Le cupole dorate della cattedrale dell’Assunta svettano sui tetti del Monastero delle Grotte, fondato alle porte di Kiev durante il regno di Jaroslav I il Saggio (978-1054).
TUTTI GLI ABITANTI DI NOVGOROD, ANCHE I PIÙ RICCHI, VIVEVANO IN CASE DI LEGNO o poveri che fossero, vivevano in case di legno: erano le dimensioni degli alloggi a indicare il loro status sociale. Una peculiarità delle case di Novgorod era di poggiare su fondamenta rialzate che le proteggevano dal substrato paludoso della zona. Ogni abitazione, inoltre, aveva un proprio giardino, dove gli occupanti ammassavano i rifiuti coperti, per motivi igienici, sotto uno spesso strato di rami. La prosperità causò una crescita esponenziale della popolazione di Novgorod: tutti volevano vivere al riparo delle sue solide mura. Il centro cittadino si sviluppava lungo le due sponde del Volchov; sulla destra vi era l’area commerciale, con il mercato e la grande piazza dove si riuniva la Veče, l’assemblea popolare che costituiva una sorta di parlamento locale; sulla riva sinistra si ergeva il Cremlino, la cittadella fortificata simbolo di Novgorod.
Fra gli edifici del Cremlino svettava la cattedrale di Santa Sofia, l’unica costruzione dell’XI secolo ancora visibile nell’odierna Novgorod. Fu edificata in legno fra il 1045 e il 1052, per volere di Vladimir II, sulla base di un progetto ispirato a quello dell’omonima cattedrale di Kiev. In quella chiesa, tuttavia, gli interni erano ricoperti di mosaici, mentre a Novgorod prevalevano gli affreschi, una tecnica decorativa di cui gli artisti locali erano maestri. La cattedrale aveva meno absidi (tre contro cinque) e meno cupole (cinque contro tredici) di quella di Kiev. Alcuni studiosi si sono interrogati sul perché le chiese di Novgorod avessero, in genere, dimensioni minori rispetto a quelle della capitale ucraina. La risposta non è univoca, ma si ipotizza che ciò possa dipendere dalla natura “borghese” di Novgorod, dominata a tal punto dall’assemblea popolare e dal potere dei grandi esponenti dell’aristocrazia locale – i “boiardi” – da costringere i principi di Kiev a risiedere fuori città. 138 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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Coesistenza tra poteri
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IL CREMLINO: LA FORTEZZA DEL POTERE
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L CREMLINO, la fortezza in cui risiedevano il sovrano e le massime autorità ecclesiastiche, era il fulcro delle città russe. Al tempo stesso castello, santuario e area residenziale, era circondato da una cinta muraria che garantiva la sicurezza dei suoi occupanti in caso di attacco nemico e proteggeva gli edifici più importanti della città: la cattedrale, il palazzo reale, le varie sedi del potere. Molto spesso, le mura racchiudevano anche una grande piazza nella quale si svolgeva il mercato cittadino e venivano organizzate le cerimonie pubbliche più solenni. Nella Russia medievale, erano molte le città che avevano un Cremlino, termine che, in cirillico, significa “fortezza”: Novgorod, Pskov, Suzdal, Smolensk, Kazak. Su tutte, però, spiccava Mosca, in quanto il suo Cremlino, a partire dal momento in cui la città divenne capitale della Russia, non rappresentò più solo la sede delle istituzioni urbane, ma il cuore stesso dell’Impero russo.
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IL PRINCIPE DI NOVGOROD E KIEV Moneta d’oro con l’effigie di Vladimir I il Grande, principe di Novgorod nel 970 e Gran principe di Kiev tra il 980 e il 1015: sotto di lui, la Russia si aprì all’influenza culturale e religiosa dell’Impero bizantino.
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La roccaforte di legno L’odierno aspetto del Cremlino di Mosca è il risultato della sovrapposizione dei vari edifici innalzati dagli zar nel corso di oltre quattrocento anni: da Ivan III, nel XV secolo, a Nicola I, nel XIX secolo. Le origini della cittadella risalgono a una fortificazione di legno costruita nel XII secolo dal principe di Kiev Jurij Dolgorukij, fondatore della città. Sopra, il Cremlino all’inizio del XIV secolo, acquerello di Apollinarij Michajlovič Vasnetsov, 1921, Mosca.
In effetti, il sistema politico di Novgorod era qualcosa di unico nell’ambito della Russia medievale. Si fondava sulla coesistenza, non sempre agevole, fra tre diverse autorità: il duca di Kiev, comandante dell’esercito e supremo custode della giustizia; la Veče, aperta a tutti i cittadini liberi e chiamata a deliberare su ogni aspetto della vita pubblica; e il Posadnik, un governatore eletto dalla Veče tra i boiardi e dotato di ampi poteri esecutivi. A partire dall’XI secolo, con il rafforzamento politico della nobiltà, le grandi famiglie aristocratiche di Novgorod riuscirono a circoscrivere sempre più i privilegi dei duchi inviati da Kiev. Per quanto restassero formalmente i sovrani legittimi, questi persero via via il diritto di amministrare autonomamente la giustizia e di nominare i vescovi. Attorno al 1102, fu poi deliberato che i duchi non potessero posse-
dere terre a Novgorod, diritto riservato ai soli abitanti della città. Insomma, a mano a mano che cresceva la sua potenza, Novgorod tendeva a emanciparsi da Kiev, sebbene questa restasse la capitale della Russia e il modello urbanistico su cui si era andata plasmando la città rifondata dalla principessa Òlga.
La profezia dell’apostolo Andrea “E questa sarà la madre di tutte le città russe”, proclamò il principe Igor, figlio di Rjurik, quando nel 882 conquistò Kiev. La leggenda vuole che la capitale fossa stata fondata nel VI secolo d.C. da quattro fratelli slavi – Kij, Scec, Khoriv, più la sorella Lybed – in un punto dell’alto Dnepr dove l’apostolo Andrea aveva profetizzato la nascita di una grande città. Trecento anni più tardi Askold e Dir, fratelli del variago Rjurik, la videro mentre viaggiavano verso Bisanzio e decisero di stabilirvisi.
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Le mura di pietra bianca Con l’ascesa al potere di Ivan I Kalita, principe di Mosca dal 1325, il Cremlino divenne definitivamente la residenza della famiglia reale. Poiché era fatto di legno, le sue mura e gli edifici interni furono più volte vittime di incendi: pertanto, nel 1367, il principe Dimitri Donskoj decise di sostituire la palizzata in quercia con mura di pietra bianca. Sopra, la cinta muraria del Cremlino in un altro acquerello di A. Vasnetsov, 1922, Mosca.
Fin dalla sua nascita Kiev, nel nord dell’attuale Ucraina, parve destinata a diventare la capitale dell’omonimo Rus, nucleo del primitivo Stato russo. La sua posizione strategica lungo la rotta che collegava Scandinavia e Grecia offriva infatti a chi la governava le chiavi del commercio russo: non è dunque un caso se, pur di conquistarla, il principe Igor non esitò a uccidere gli zii Askold e Dir. Popolata da mercanti, artigiani, contadini, ecclesiastici, guerrieri, e da una moltitudine di lavoratori non specializzati, Kiev era una metropoli tumultuosa e caotica. Dall’alto del suo magnifico palazzo, costruito su una delle tre colline svettanti sull’abitato, il duca governava su questa massa vociante di uomini e donne, coadiuvato, dopo la conversione al Cristianesimo, dal patriarca della Chiesa ortodossa. Tutt’attorno a lui sorgevano i palazzi dell’aristocrazia e dei mercanti più ricchi, mentre il
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La ricostruzione di Ivan III Nella sua forma odierna, il Cremlino fu costruito a partire dal XV secolo, sotto Ivan III il Grande. La progettazione della cittadella fu affidata a vari architetti italiani, fra i quali Aristotele Fioravanti, autore della cattedrale della Dormizione. Nella stessa epoca furono erette anche la torre Spasskaja, che domina la vasta Piazza Rossa, e le nuove mura in mattoni rossi immortalate da A. Vasnetsov in questo dipinto del 1921, Mosca.
popolo viveva ai piedi della collina, lungo la valle del Dnepr, in capanne di legno ammassate l’una di fianco all’altra a formare quartieri labirintici e animatissimi come il celebre Podil, il distretto dei mercanti.
Il battesimo nel Dnepr L’età dell’oro di Kiev iniziò sul finire del X secolo, quando Vladimir I il Grande impose ai suoi sudditi, in maggioranza pagani, la conversione al Cristianesimo. L’evento fu celebrato con una cerimonia durante la quale vennero abbattute le statue degli dei pagani innalzate sulla collina reale e alcuni sacerdoti giunti da Bisanzio battezzarono in massa gli abitanti di Kiev nelle acque del Dnepr. Questo rito di massa divenne di fatto il simbolo dell’introduzione del Cristianesimo in Russia, e segnò, anche dal punto di vista architettonico, un even-
IL DONO DI COSTANTINO Secondo la leggenda, questa corona fu donata dall’imperatore bizantino Costantino IX al nipote Vladimir II il Monomaco, signore di Kiev dal 1113 al 1125. XII secolo, Armeria del Cremlino, Mosca.
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NEL XIII SECOLO LE ORDE MONGOLE DI BATU KHAN CONQUISTARONO KIEV E LA RASERO AL SUOLO IVAN I KALITA, PRINCIPE DI MOSCA DAL 1325 AL 1340, IN UNA MEDAGLIA COMMEMORATIVA DEL XVIII SECOLO.
to cruciale. A partire da quel momento, infatti, a Kiev e dintorni fiorì l’architettura religiosa: lungo le sponde del Dnepr, sul monte Berestov, poco fuori l’originaria cerchia urbana, venne edificato il Monastero delle grotte, il primo di tutto il Rus di Kiev; e all’interno delle città nacque la prima chiesa russa in pietra, quella della Dormizione della Vergine, innalzata sopra un antico cimitero pagano. Dopo la morte di Vladimir I, il figlio Jaroslav I il Saggio proseguì l’opera paterna di abbellimento della città: sono della sua epoca la cattedrale di Santa Sofia, modellata sull’omonimo tempio di Bisanzio, e la celebre Porta d’oro, principale accesso alla città murata.
Kiev annientata dai Mongoli Sul finire del XII secolo, Kiev contava fra i 36.000 e i 50.000 abitanti, una popolazione paragonabile a quella di Londra e Parigi. Le sue fortune, tuttavia, declinarono bruscamente nel 1240, quando Batu Kahn, nipote del fondatore dell’Impero mongolo Gengis Khan, attaccò Kiev e la rase al suolo. Solo 200 case, tra le migliaia che sorgevano in città, scamparono alla furia degli invasori. Batu aveva annientato Kiev e altri centri urbani russi, ma non poté attaccare Novgorod, perché fu bloccato dal disgelo: un evento fortuito salvò dunque la città del mitico Rjiurik dalla distruzione, regalandole il primato sulla Russia nordoccidentale. Il momento di maggior gloria di Novgorod coincise probabilmente con il principato di Alexander Nevskij, che alla sua morte, nel 1263, divise il regno tra i suoi tre figli: Dimitrij, Andreij e Daniel. Dei tre, l’eredità peggiore pareva toccata all’ultimogenito, Daniel, che aveva ricevuto dal padre un insignificante avamposto nella Russia occidentale, in un’area ricca solo di fiumi e foreste: Mosca. Ma con l’avvento sul trono di Daniel e la nascita (sostenuta dai Mongoli) del principato di Moscovia, la storia della città 142 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
cambiò corso. Ebbe infatti inizio per la futura capitale zarista una fase di vigorosa espansione, che si consolidò durante i regni di Dimitri Donskoj (1350-1389) e Ivan III (1440-1505), abili nell’allentare la morsa mongola sulla Russia ed espandere la sfera d’influenza di Mosca fino a farne il cuore politico del Paese. E mentre la supremazia di Mosca si consolidava, crescevano le sue dimensioni: dalla metà del XV secolo, la città fu protagonista di un autentico boom edilizio, che moltiplicò il numero di chiese e palazzi, spesso progettati da architetti italiani. Fu ricostruita la fatiscente cattedrale della Dormizione, eretta 150 anni prima per volere di Ivan I Kalita. Nel cuore del Cremlino, venne inoltre eretta la cattedrale dell’Annunciazione, chiesa privata degli zar, in origine collegata al palazzo reale.
I cinque quartieri di Mosca Fu uno dei principi di Mosca, Ivan IV il Terribile, ad adottare per primo, nel 1547, il titolo di zar, termine derivante dal latino Caesar, “imperatore”. Ivan fece anche costruire la magnifica cattedrale di san Basilio, per celebrare la sua vittoria sul khanato di Kazan, una delle ultimi enclavi mongole in Russia. Secondo la leggenda, dopo aver visto la cattedrale lo zar ordinò di cavare gli occhi all’architetto che l’aveva progettata, perché non potesse più costruire nulla di così bello. La Mosca medievale crebbe a partire dal Cremlino, attorno al quale si svilupparono quattro quartieri, ognuno cinto da proprie mura. Il più periferico era la cosiddetta “Città di legno”, dove vivevano gli artigiani e i lavoratori più poveri. Essendo interamente costruito in legno, fu più volte devastato da spaventosi incendi, circostanza che fece le fortune dei mercanti di legname e dei carpentieri locali. Più all’interno rispetto alla Città di legno, vi era il Zemljanoj gorod, o “Città di terra”, così denominata dal terrapieno che la circondava.
LA CATTEDRALE DEGLI ZAR IVAN III IL GRANDE chiamò a MoN ELsca1475 l’architetto bolognese Aristotele Fio-
ravanti per affidargli i lavori di ricostruzione della cattedrale della Dormizione, la chiesa-madre del Cremlino. Simbolo della civiltà russa, ospitava le cerimonie pubbliche più solenni, come l’incoronazione degli zar e l’intronizzazione del patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca.
Cupole Coronano cinque torri in mattoni bianchi con strette finestrelle dalle quali penetra la luce che rischiara l’interno. Pilastri Sui quattro pilastri cilindrici sono affrescate oltre cento immagini di guerrieri, principi di Kiev e martiri canonizzati. Iconostasi In tutte le chiese ortodosse questa parete decorata con icone sacre (da cui il nome) separa l’altare dal resto del tempio.
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Facciate Una serie di finte arcatelle rette da sottili colonnine decora le facciate nord, sud e ovest della cattedrale della Dormizione. Portale ovest Era l’ingresso principale del tempio, usato dai sovrani quando si recavano alle funzioni sacre.
Tabernacolo Contiene le reliquie del patriarca Ermogene (15301612), che si lasciò morire di fame durante l’invasione polacca della Russia.
Trono di Ivan IV Intagliato nel legno (1551), è ornato con scene raffiguranti la vita di Vladimir II di Kiev, modello politico di Ivan IV.
Portale sud È rivestito da lamine di rame su cui sono dipinte, in oro su fondo laccato nero,venti scene di ispirazione biblico-religiosa.
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MOSCA ALLA FINE DEL MEDIOEVO Una veduta dall’ alto di Mosca nel XVI secolo, incisione tratta dal Civitates Orbis Terrarum, atlante in sei volumi realizzato da Georg Braun e Franz Hogenberg. XVI secolo, Civico Museo Navale, Genova.
Si trattava di un’area principalmente residenziale, composta dalle case degli addetti alle industrie e dei servi della gleba; più tardi ospitò le abitazioni della piccola nobiltà. La “Città bianca”, o Belyj gorod, il cui nome derivava dal colore delle mura che la cingevano, si sviluppò tutt’attorno al Cremlino. Vi sorgevano grandiose chiese e magnifici palazzi, affacciati su vie e piazze spesso pavimentati con tavole di legno, per facilitare il passaggio dei carri durante i periodi di disgelo.
Il mercato sulla Piazza Rossa A est del Cremlino vi era infine il Kitaj gorod, o “Città cinese”, il quartiere commerciale della città: si estendeva ai margini della Piazza Rossa, sede ogni giorno di un fornitissimo mercato. La Piazza Rossa era anche il luogo in cui risuonavano le voci infiammate dei predicatori che invitavano alla conversione, gli 144 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
annunci solenni delle incoronazioni reali e i lamenti dei carcerati condannati alla tortura. Poco distante dalla piazza, all’interno del Cremlino, si ergeva il campanile di Ivan III il Grande, orgoglio della città, costruito nel XVI secolo. Con i suoi 81 metri era l’edificio più alto di Mosca e il suo centro geografico, oltre che la rappresentazione plastica del potere politico e spirituale raggiunto dalla capitale. Il barone Sigismondo di Herberstein, che in qualità di ambasciatore visitò due volte Mosca, nel 1515 e nel 1526, la descrisse come una metropoli di legno, affollata e terribilmente sporca. Eppure, malgrado l’impressione negativa che poteva suscitare nei visitatori, Mosca seppe rinascere più volte dalle sue ceneri, reinventandosi, dopo ogni incendio o distruzione, come una città nuova, senza tuttavia mai perdere il suo status di splendida capitale del più immenso Impero d’Europa.
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MARTIRI, PRINCIPI E GUERRIERI Affreschi a soggetto politico-religioso decorano gli interni della cattedrale della Dormizione, a Mosca: la chiesa fonde retaggi rinascimentali con elementi della tradizione bizantina.
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IL PALAZZO DELL’ALHAMBRA Sulla Sabika, la Collina Rossa che domina Granada, i sultani nasridi eressero lo splendido complesso palaziale dell’Alhambra. Nell’immagine, il cortile dei Leoni. XIV secolo.
DAGLI ORTI / AGE FOTOSTOCK
UNA RAFFINATA PLACCA D’AVORIO La richiesta di prodotti di lusso da parte di principi e dignitari abbasidi trasformò Baghdad in una delle maggiori aree commerciali del mondo. Placca di avorio abbaside. XII secolo. Louvre, Parigi.
BRIDGEMAN / INDEX
CITTÀ ISLAMICHE Le città fiorirono nei vasti territori conquistati dall’Islam. Sulle loro strade, presidiate dai minareti delle moschee, si svolgeva quotidianamente una vivace vita commerciale, alimentata dai suq, i mercati EDUARDO MANZANO RICERCATORE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLE RICERCHE SCIENTIFICHE SPAGNOLO
U
n affascinante racconto arabo narra di come un giorno si presentò davanti al califfo uno dei suoi visir in stato di grande agitazione, chiedendo il permesso di abbandonare la città. Il visir spiegò che, mentre passeggiava tra la folla di Baghdad, si era imbattuto nella Morte la quale, quando lo aveva visto, si era fermata a fissarlo. Preso dal panico, il visir chiese al sultano di potersi assentare dalla capitale per dirigersi nella città di Samarra, a nord di Baghdad, dove sarebbe potuto arrivare prima che facesse notte e dove la Morte non avrebbe potuto trovarlo. Il califfo gli concesse il permesso, ma, stupito dalla storia, uscì in incognito dal suo palazzo. Girò per le vie, finché non incontrò la Morte e le chiese il motivo per cui avesse spaventato il suo visir, un buon uomo ancora nel fiore degli anni. La Morte rispose che non era stata affatto sua intenzione incutere timore al visir, ma che era rimasta molto sorpresa di trovarlo a Baghdad: aveva infatti un appuntamento con lui quella stessa notte a Samarra.
AKG / ALBUM
Città di nuova costruzione
IL COMMERCIO FLUVIALE Mercanti navigano sul fiume Eufrate. Miniatura araba delle Maqamat, opera in prosa ritmata di Ali al-Hariri (10541121). 1222-1223 circa. Bibliothèque Nationale, Parigi. 148 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
Baghdad e Samarra avevano in comune il fatto di essere entrambe città fondate da califfi. Nel 762, il califfo abbaside al-Mansur decise di edificare una nuova città, Baghdad, vicino al fiume Tigri, sfruttando così non solo l’abbondanza dell’acqua, ma anche le sue buone comunicazioni fluviali: “Se mi stabilisco in un luogo in cui non si possono importare prodotti per terra e per mare”, diceva il califfo, “i prezzi saliranno, i beni saranno scarsi e il rifornimento di cibo sarà difficile”. Progettata come un centro urbano protetto da una cinta circolare di mura, dalle sue quattro porte si giungeva a una grande piazza centrale, dove si trovavano il palazzo del califfo e la moschea principale. Baghdad, tuttavia, presto crebbe al di là di queste mura divenendo l’eterogeneo agglomerato urbano del quale raccontano molte storie de Le mille e una notte.
Questo fu uno dei motivi per cui i discendenti di al-Mansur decisero di fondare Samarra, a circa 125 chilometri a nord di Baghdad, spostando lì sia l’amministrazione centrale sia l’esercito. Tutto, in questa nuova città, fu concepito in modo grandioso: sui lati di un viale di tre chilometri e mezzo si costruirono palazzi con vasti giardini come il Dar al-Jilafa, che aveva un’estensione di 125 ettari. Padiglioni, residenze, caserme, ippodromi e moschee vi furono eretti tra l’836 e l’892. Tuttavia Samarra non poteva contare su una rete di comunicazioni buona come quella di Baghdad e i problemi di rifornimento di acqua risultarono pressanti, tanto che i califfi abbasidi decisero di ritornare nella loro antica capitale intorno agli inizi del X secolo. Costruiti con mattoni di fango cotto rivestiti di stucco e di piastrelle di ceramica, i muri degli imponenti edifici di Samarra iniziarono presto a sgretolarsi. Così la città si trasformò in un immenso campo di rovine coperto dalla sabbia del deserto, che oggi si può individuare solamente grazie alla fotografia aerea. Anche nel Maghreb vi furono governanti e califfi fondatori di nuove città. Alla fine dell’VIII secolo, un fuggiasco che apparteneva a una famiglia imparentata con il profeta Maometto, Idris ibn ‘Abd Allah, scappò dall’Oriente in seguito alle sue eccessive aspirazioni al potere e giunse nel territorio dell’attuale Marocco dove ancora esistevano alcune città dell’epoca romana come Tangeri o Volubilis (un importante centro amministrativo). Egli decise, tuttavia, di creare una nuova città a circa settanta chilometri a est di Volubilis, a un crocevia tra strade percorse da tribù berbere: Fez.
PROF. ALBERT T. CLAY / NGS
SAMARRA, LA CAPITALE ABBANDONATA
VEDUTA AEREA DI SAMARRA La fotografia aerea mostra ciò che resta dell’antica Samarra; si notano le rovine della Grande Moschea, la maggiore del mondo islamico durante il IX secolo, di cui si conservano le mura e il minareto.
DEA / C SAPPA / AGE FOTOSTOCK
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I TEMPI DEI CALIFFI ABBASIDI, nell’835, il califfo al-Mu’tasim decise di trasferire la capitale del suo regno da Baghdad a Samarra, sulla riva orientale del Tigri. Tale città (nell’attuale Iraq) perse il ruolo di capitale califfale nell’892, ma per quasi sessant’anni fu una delle metropoli più importanti dell’intero emisfero boreale. Qui al-Mu’tasim si stabilì, protetto dai suoi mercenari turchi, e durante il suo regno e quello dei suoi successori, le necessità della corte, dell’amministrazione e dell’esercito trasformarono Samarra in uno dei maggiori centri commerciali del mondo islamico. Ma le lotte dinastiche e l’agitazione militare (che portarono all’assassinio del califfo al-Mutawakkil) contribuirono a spingere i califfi a tornare a Baghdad.
IL MINARETO A SPIRALE Il gigantesco minareto, la cui forma ricorda le ziggurat della Mesopotamia, arriva a 52 metri di altezza. Conosciuto come Malwiyya (“la spirale”), fu costruito tra l’848 e l’852; la sua scala elicoidale è unica. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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L’ASPETTO DELLA CITTÀ ISLAMICA
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AKG / ALBUM
i attribuisce spesso al tortuoso tracciato delle vie di una città islamica un presunto spirito caotico degli orientali; tuttavia, questa idea è sbagliata. Le fondazioni urbane musulmane seguivano sempre piani ortogonali molto ben definiti, e ciò che oggi vediamo è la trasformazione di queste planimetrie iniziali, motivata in parte dal “diritto d’uso” che la legge musulmana garantiva al padrone di un immobile rispetto allo spazio adiacente, e che di solito portava alla sua appropriazione e alterazione. La pianta di una città islamica è un documento che ci mostra in quali vie si trovavano le antiche mura e dove si ergevano i lussuosi palazzi. Vi appaiono anche le tracce di edifici classici, come nel caso della Moschea degli Omayyadi a Damasco che prima fu una basilica dedicata a san Giovanni Battista edificata, a sua volta, su un tempio romano del I secolo d.C.
PIANTA DEL CAIRO, NELL’ATLANTE DI PIRI REIS, CARTOGRAFO TURCO. XVI SECOLO. BIBLIOTECA SÜLEYMANIYE, ISTANBUL.
ERICH LESSING / ALBUM
LAMPADA DA MOSCHEA Per le loro moschee i sultani mamelucchi commissionarono un gran numero di lampade in vetro dorato e smaltato, decorate con iscrizioni coraniche. 1350 circa. British Museum, Londra.
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A Fez si svilupparono due nuclei urbani nel corso del IX secolo: da un lato, la “zona degli abitanti di Qayrawan” (o alla francese, Kairouan, in Tunisia); dall’altro lato, la “zona degli Andalusi”, dove si stabilirono i fuggiaschi che scappavano dalla repressione esercitata dall’emiro al-Hakam I dopo l’ammutinamento di un sobborgo di Cordova, una rivolta che nell’818 lo aveva quasi detronizzato. Tale sobborgo, detto “della Secunda”, era cresciuto fino ad allora grazie a mercanti e artigiani stabilitisi sull’altro lato dell’antico ponte romano sul Guadalquivir, che comunicava con la Grande Moschea e l’Alcázar (palazzo) degli emiri. Stanchi delle alte imposte decretate dall’emiro, i commercianti decisero di ribellarsi contro di lui assediando il palazzo, e sarebbero riusciti a impossessarsi di questo edificio se non fosse intervenuto l’esercito. Per vendicarsi della sollevazione, l’emiro
omayyade ordinò di radere al suolo il sobborgo e proibì ai suoi successori di costruire su quel luogo qualsiasi tipo di edificio; un ordine che, effettivamente, venne rispettato, come hanno dimostrato recenti scavi archeologici. Viene attribuita a Abd al-Rahman III, il primo califfo di al-Andalus (912-961), ossia di quella parte della Penisola iberica che era sottoposta al governo musulmano, una poesia che costituisce una vera e propria dichiarazione di principio: “Quando i re vogliono perpetuare ai posteri il ricordo dei loro più alti pensieri, lo fanno per mezzo del linguaggio degli edifici da loro stessi costruiti”. A questo califfo si deve anche un’altra fondazione urbana situata a cinque chilometri a ovest di Cordova: la città di Madinat al-Zahra’, ovvero “la città dei fiori” o, secondo altre interpretazioni, “la città di Zahra”, la presunta concubina di Abd al-Rahman III, che ne
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avrebbe caldeggiato la costruzione. Qui trasferì la sua amministrazione e il suo esercito. La città, però, a mala pena sopravvisse settant’anni, perché fu distrutta nel corso delle lotte che misero fine al califfato omayyade nel 1013. Se non fosse scomparsa è molto probabile che Madinat al-Zahra’ avrebbe avuto lo stesso destino della città del Cairo.
La fondazione de Il Cairo Durante l’epoca romana, a sudest dell’attuale centro della capitale egizia si trovava una fortezza conosciuta come Babilonia, vicino alla quale i conquistatori arabi stabilirono intorno al 643 un insediamento chiamato al-Fustat o Misr. Quest’ultimo termine designa un accampamento militare convertito in un insediamento urbano permanente. Il luogo in cui era Misr, che in arabo passò a indicare l’intero Egitto, corrisponde all’attuale
Cairo Vecchia. Tre secoli dopo, in seguito alla conquista dell’Egitto da parte dei califfi fatimidi nel 969, si decise di fondare una nuova città a nordest dell’antico nucleo urbano. In questi casi di solito si ricorreva agli astrologi che determinavano il momento propizio per dare inizio ai lavori. La leggenda racconta che un sistema di campane tirate da corde delimitava l’area della nuova città in modo che tutti i lavori cominciassero allo stesso tempo, ma che un corvo tirò la corda proprio quando il nefasto pianeta Marte (al-Qahir, “il vittorioso” da cui “Il Cairo”) dominava i cieli. Non sembra che vi sia molta verità in questa storia, dal momento che non c’è alcun dubbio che i califfi fatimidi scelsero consapevolmente per la loro città il nome del pianeta dell’antico dio della guerra. Nel centro di al-Qahira furono costruiti due splendidi palazzi, vicino alla Grande Moschea di al-Azhar.
LA MOSCHEA DEGLI OMAYYADI La Grande Moschea di Damasco, in Siria, è una delle più antiche del mondo. Il califfo omayyade al-Walid I la fece erigere tra il 705 e il 715, quando Damasco aveva il ruolo di capitale dell’Impero islamico.
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BAGNI PER SULTANI E RE Nell’Alhambra di Granada, i Bagni Reali del Palazzo de Comares, utilizzati dai sultani e poi dai Re Cattolici, furono concepiti come un luogo d’igiene, di svago e di purificazione religiosa.
La decadenza della dinastia fatimide e l’inarrestabile crescita urbana della città finirono tuttavia per cambiare la fisionomia originale di al-Qahira: gli antichi palazzi furono distrutti e al loro posto vennero costruiti centri d’insegnamento, moschee, residenze e strade. Al contrario, l’antico al-Fustat e il nuovo Cairo crebbero finché non finirono per fondersi e diventarono una grande metropoli.
L’aspetto della città musulmana La medina (letteralmente “città”), ossia la parte vecchia di una città musulmana, era un paesaggio fortemente islamizzato. Per orientarsi al suo interno la cosa migliore era partire dalla moschea maggiore o moschea aljama, luogo in cui si svolgeva la preghiera del venerdì e si leggevano le comunicazioni ufficiali. Di solito, davanti a questa moschea si trovava il centro del potere politico: il palazzo
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del califfo, dell’emiro o del governatore. A Siviglia, per esempio, l’antica moschea, ubicata dove oggi si innalza la cattedrale, è posta davanti ai Reales Alcázares (le fortezze reali), la residenza dei governatori musulmani. Esistevano anche moschee di quartiere più modeste, intorno alle quali era articolata la vita di quelle zone della città. Nelle immediate vicinanze della moschea maggiore si trovava sempre il mercato principale, il suq. Lì c’erano i piccoli negozi di commercianti, raggruppati per settore di attività, in modo molto ordinato: librai, speziali, gioiellieri, profumieri o commercianti di tessuti si concentravano nelle zone più vicine alla moschea, mentre i venditori di frutta, carne o pesce si trovavano in luoghi più distanti o perfino in un mercato a parte, ma sempre nelle vicinanze di corsi d’acqua che permettessero di facilitare le operazioni di pulizia. Si trovavano in zone isolate anche alcune attività artigianali come per esempio le botteghe dei vasai, i cui fumi rendevano necessario situarle all’esterno delle mura della città. Edifici particolari posti all’ingresso dei suq erano le alcaicerias, magazzini per conservare in modo sicuro le merci arrivate da fuori città. In Oriente, questi edifici erano solitamente finanziati da privati, ricevevano il nome di funduq (mercato dei cereali) o caravanserraglio, e includevano abitazioni e stanze per i mercanti. Altri edifici privati, chiaramente debitori di una tradizione orientale, erano i bagni (gli hammam), forniti di locali freddi e caldi alimentati per mezzo di forni. Le città potevano contare su una o più strade principali, chiamate zuqaq, che solitamente sboccavano sulle porte principali delle mura, che venivano chiuse all’imbrunire. Da queste strade si diramavano piccole stradine o cammini di ronda che formavano vicoli, molti dei quali senza uscita, e che in alcuni casi erano chiusi anche con porte. Una conseguenza di questo tipo di tracciato fu il predominio del trasporto a dorso di animale (cammelli o bestie da soma) rispetto ai carri, che a mala pena potevano entrare all’interno delle medine. La tipologia propria delle case, con piccoli vani all’esterno e una predilezione per l’ambito privato riflesso nelle stanze che si aprivano verso un cortile interno, contribuiva a creare un ambiente urbano chiuso e labirintico.
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L’INTERNO DI UN BAGNO ISLAMICO La miniatura dello Shahnameh (Libro dei Re), opera del persiano Ferdowsi, mostra un bagno islamico. Vi si vedono il meccanismo per portare l’acqua, la rasatura e il massaggio dei clienti. XVI secolo. British Library, Londra.
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LA CORDOVA MUSULMANA
NEI BORDELLI ERA COMUNE CHE LE DONNE MOSTRASSERO LA TESTA SCOPERTA
A causa del passare del tempo, è difficile ricostruire la fisionomia della città che fu la capitale della Spagna musulmana sotto la dinastia omayyade tra l’VIII e l’XI secolo. Lo è ancora di più se si considera che la zona cinta di mura era solo una parte della città, che si estendeva fino alla periferia come una città moderna.
La città rimaneva così suddivisa in spazi distinti, cosa che permetteva anche una segregazione religiosa, come mette in rilievo l’esistenza di quartieri ebraici e cristiani intorno a sinagoghe e chiese. D’altra parte, le città non smettevano di crescere; la proliferazione del commercio faceva sì che arrivasse sempre più gente nelle città, il che rendeva necessario costruire nuove case e ampliare il territorio da esse occupato. L’immediata conseguenza fu che all’esterno delle mura iniziarono a formarsi sobborghi dove si stabiliva chi arrivava attratto dalle nuove opportunità urbane.
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8 Il quartiere ebraico
2 Porte della città
9 Bagni arabi
3 I sobborghi
L’Alcázar Venne costruito sull’antico palazzo visigoto o “palazzo di Rodrigo”; oggi non rimane nulla della ricca residenza degli emiri e dei califfi omayyadi.
4 L’Ajarquía
La Grande Moschea Progettata originariamente per accogliere 5000 fedeli, dopo il suo ultimo ampliamento alla fine del X secolo poteva accogliere fino a 30.000 persone.
5 Shabular
Midá Questo era il nome dato a edifici posti fuori dalla Grande Moschea dotati di vasche, fonti, bagni. Qui i fedeli compivano le abluzioni prescritte dal rituale.
6 Mura della medina
Ponte romano Comunicava con le due rive del Guadalquivir (da al-wadi l-kabir, “fiume grande”). Fu ricostruito diverse volte in epoca musulmana.
7 Il suq
Necropoli Al-Hakam I ordinò di radere al suolo il quartiere a sud del fiume, in risposta una rivolta scoppiata nell’818. Al suo posto sorse il cimitero dell’Arrabal.
La capitale della Spagna musulmana era collegata molto bene con le altre città. Del suo intricato tracciato urbano si conoscono solo alcune vie. C’erano sette porte d’ingresso alla città, delle quali la principale era quella del Ponte. Oggi restano solo quella di Almodóvar e parte della porta di Siviglia.
Oltre le mura
Nel X secolo, la popolazione di Cordova era distribuita in 21 sobborghi, a est, a nord e a ovest della medina, oltre l’area rappresentata nella mappa. Il nome di tale quartiere, ancora in uso, viene dall’espressione araba al-yanib al-sharquí , “quartiere orientale”. Nel X secolo aveva mura con tre porte. L’elemento naturale su cui sorse questo popoloso quartiere, dove c’era una moschea, gli avrebbe dato il nome: Shabular viene dal termine latino sabulum, sabbia.
La medina, chiamata anche alcazaba, era protetta da un circuito di mura di 4 chilometri di lunghezza, oggi quasi completamente scomparso.
ILUSTRAZIONE: MB CREATIVITAT
In molti casi, la crescita dei sobborghi obbligava ad abbattere le mura. In essi esistevano grandi oratori all’aria aperta, le cosiddette musalle, dove si celebravano, per esempio, le preghiere di richiesta della pioggia nei momenti di grave siccità. In alcune città andaluse è attestata la presenza anche di bordelli o rabad al-qihab, luoghi dedicati a ospitare la prostituzione, nei quali era frequente che le donne mostrassero la testa scoperta. Vi erano poi i cimiteri, che solitamente si situavano nei sobborghi della città. Le tombe erano contrassegnate da lapidi semplici, a volte con iscrizioni. I sepolcri dei personaggi di rilievo erano coperti dai qubba, piccoli edifici a pianta quadrata coronati da una piccola cupola. Con un aspetto sempre meno tetro rispetto a quelli cristiani, i cimiteri musulmani erano spesso luoghi di riunione nei quali si svolgevano anche frequenti cortei e feste. A Damasco, Il Cairo e a Cordova (che per grandezza e numero di abitanti potevano rivaleggiare, nel secolo X, con la stessa Baghdad) ancora perdurano, insieme ai minareti di antiche moschee, le vie irregolari e le case che si aprono sui cortili interni. Sono i tratti di un paesaggio urbano che affonda le sue radici nell’epoca gloriosa dell’Islam medievale.
1 Percorsi e strade
All’inizio, il suq o mercato principale era nei pressi della moschea maggiore, ma con il tempo andò estendendosi verso la parte bassa dell’Ajarquía.
Il quartiere ebraico di Cordova occupava un’estesa area a nordest della moschea. Sopravvisse alla conquista cristiana; rimane la sua sinagoga. Si ritiene che in epoca califfale a Cordova vi fossero 900 bagni. A causa della deperibilità dei materiali utilizzati, se ne conservano tuttavia solo tre.
Porta di Almodóvar La porta merlata chiamata anche di al-Mudawwar o dei Noci, si conserva oggi in una ricostruzione databile al XIV secolo.
Porta degli Ebrei, di Talavera, del Leone o della Giusta Direzione
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Porta di Amir
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Porta di Toledo, di Roma, di Abd al-Yabbar o di Ferro
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Porta dei Noci o di Almodóvar ara
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Porta di Siviglia o degli Speziali
Bagni califfali I bagni arabi del Campo Santo dei Martiri, nell’Alcázar, erano composti da quattro sale.
Noria della Albolafia Lungo il corso del fiume Guadalquivir furono installati diversi mulini ad acqua.
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Porta del Ponte, del Fiume o di Algeciras
Mulini ad acqua
Porta di Ferro o di Saragozza
Ponte romano Con i suoi 240 metri di lunghezza e le sue 16 arcate, il maggior ponte di Cordova fu spesso vittima delle piene.
Torre de la Calahorra Fu eretta dagli Arabi per difendere il Ponte romano. La struttura attuale è databile al XIV secolo. 155 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
BUENA VISTA IMAGES / GETTY
IL PONTE DELLA CITTÀ VECCHIA Largo quasi 10 metri e lungo 516, il ponte di Carlo, costruito nel 1357 e il più antico di Praga, unisce la Città Vecchia, luogo di insediamento delle prime popolazioni urbane, alla Città Nuova, sorta nel corso del XIV secolo.
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ILLUSTRAZIONE DI FINE MEDIOEVO Nel codice delle Antichità giudaiche, di Flavio Giuseppe, compare l’illustrazione La costruzione del tempio di Salomone, di Jean Fouquet, realizzata tra il 1470 e il 1476. Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi.
PER SAPERNE DI PIÙ OPERE GENERALI SAGGI La civiltà dell’Occidente medievale. Jacques Le Goff. Einaudi, Torino, 1999. L’arte e la società medievale. Georges Duby. Laterza, Bari, 2003. Le città del Medioevo. Henri Pirenne. Laterza, Bari, 2007. Dieci secoli di Medioevo. Renato Bordone, Giuseppe Sergi. Einaudi, Torino, 2009. La vita quotidiana nel Medioevo. Robert Delort. Laterza, Bari, 2009. Viaggiare nel Medioevo. Hans C. Peyer. Laterza, Bari, 2009.
CAMMINO DI SANTIAGO SAGGI Compostela e il culto di san Giacomo nel Medioevo. Denise Péricard-Méa. Il Mulino, Bologna, 2004. Pellegrini del Medioevo. Gli uomini, le strade, i santuari. Raymond Oursel. Jaca Book. Milano, 1997.
TESTO Guida del pellegrino di Santiago. Libro quinto del Codex Calixtinus. Paolo Cacucci von Saucken (a cura di). Jaca Book, Milano, 1989. INTERNET http://www.programa catedral.com
SIVIGLIA SAGGIO Arte e storia di Siviglia. José María de Mena. Bonechi, Firenze, 1992. INTERNET http://www.alcazarsevilla.org
LONDRA
PARIGI
LEGA ANSEATICA
SAGGIO La cattedrale gotica. Il concetto medievale di ordine. Otto von Simson. Il Mulino, Bologna, 2008.
SAGGIO The German Hansa. Phillipe Dollinger. Routledge, Londra, 1999.
ROMANZO Notre-Dame de Paris. Victor Hugo. Einaudi, Torino, 2007.
SAGGIO Praga d’oro e nera. Peter Demetz. Sellerio, Palermo, 2000.
FIRENZE
CAPITALI DELLA RUSSIA
SAGGI Firenze nel Medioevo. Barbara Beyus. Bompiani, Milano, 2000.
PRAGA
SAGGIO Storia della Russia. Nicholas V. Riasanovsky. Bompiani, Milano, 2011.
Il Comune di Firenze tra Due e Trecento. Pietro Gualtieri. Olschki, Firenze, 2009.
ROMANZO Russka. Edward Rutherfurd. Mondadori, Milano, 1994.
La grande storia del Tamigi. Peter Ackroyd. Neri Pozza, Milano, 2009.
L’arte a Firenze nell’età di Dante. Angelo Tartuferi, Mario Scalini (a cura di). Giunti Editore, Milano, 2004.
CITTÀ DELL’ISLAM
ROMANZO Londra. Edward Rutherfurd. Mondadori, Milano, 1999.
TESTI La Divina Commedia Dante Alighieri. Mondadori, Milano, 2007.
BRUGES
Storie fiorentine Niccolò Machiavelli. Nerbini, Firenze, 2013.
SAGGI Londra. Una biografia. Peter Ackroyd. Neri Pozza, Milano, 2013.
SAGGIO Mercanti toscani e Bruges nel tardo Medieovo. Laura Galoppini. Plus Editore, Pisa, 2009. ROMANZO Il ragazzo di Bruges. Gilbert Sinoué. BEAT Edizioni, Milano, 2011.
PISA SAGGIO Economia, società, istituzioni a Pisa nel Medioevo. Cinzio Violante. Dedalo Edizioni, Bari, 1993.
SAGGI Gli Arabi e l’Europa nel Medioevo. Norman Daniel. Il Mulino, Bologna, 1998. L’Europa e l’Islam. Bernard Lewis. Laterza, Bari, 1999. Andalusia. Città arabe di Spagna. Attilio Gaudio. Polaris, Firenze, 2000. Arte islamica nel Mediterraneo. Da Damasco a Granada. Henri Stierlin. White Star, Vercelli, 2005. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC
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ORONOZ / ALBUM
ARTIGIANI MEDIEVALI Verso il 1370, il pittore fiorentino Nicolò di Pietro Gerini (noto come Maestro della Misericordia orcagnesca) realizzò le Storie di sant’Eligio, tra le quali vi era Sant’Eligio nella bottega di un orfice, che mostra il lavoro degli orefici. Museo del Prado, Madrid.
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MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History. Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella.
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PETER H. RAVEN, Chairman JOHN M. FRANCIS, Vice Chairman PAUL A. BAKER, KAMALIJIT S. BAWA, COLIN A. CHAPMAN, KEITH CLARKE, J. EMMETT DUFFY, PHILIP GINGERICH, CAROL P. HARDEN, JONATHAN B. LOSOS, JOHN O’LOUGHLIN, NAOMI E. PIERCE, JEREMY A. SABLOTT, MONICA L. SMITH, THOMAS B. SMITH, WIRT H. WILLS
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